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Salinoch<br />

FIAMMIFERI<br />

e altri racconti<br />

© 2009 <strong>Editrice</strong> ZONA<br />

È VIETATA<br />

ogni riproduzione<br />

senza autorizzazione <strong>del</strong>l’editore<br />

ZONA


Fiammiferi e altri racconti<br />

di Salinoch<br />

ISBN 978-88-6438-005-6<br />

© 2009 <strong>Editrice</strong> ZONA<br />

via dei Boschi 244/4 loc. Pieve al Toppo<br />

52041 Civitella in Val di Chiana - Arezzo<br />

tel/fax 0575.411049<br />

www.editricezona.it – info@editricezona.it<br />

ufficio stampa: S<strong>il</strong>via Tessitore – sitessi@tin.it<br />

progetto grafico: Serafina - serafina.serafina@alice.it<br />

Il racconto Latte in polvere è già stato pubblicato nell’antologia<br />

Perso in tempo, edizioni Arcipelago - Giovani autori IULM,<br />

a cura di Paolo Giovannetti, Michele Marcon, Giulio Tellarini, 2008<br />

Stampa: Digital Team - Fano (PU)<br />

Finito di stampare nel mese di luglio 2009


Alla mia Fortezza…<br />

Alle pietre cadute d’Abruzzo


INTRODUZIONE<br />

Un mondo di solitudini profonde e inconsapevoli attraversato da un rivolo<br />

nero di catrame, che si allarga a macchia d’olio nella semplicità <strong>del</strong>la scrittura,<br />

e confonde realtà e immaginazione, speranza e incubo, letteralità e metafora.<br />

Questo l’orizzonte in cui si inscrivono i racconti <strong>del</strong>la raccolta Fiammiferi, un<br />

esordio fuori dal coro modaiolo che da due decenni sforna letteratura italiana<br />

simulando temi, forme e andamento di quella americana (tradotta): un <strong>libro</strong><br />

che non teme di confrontarsi con una classicità <strong>del</strong>la scrittura, con una grazia<br />

formale che evita <strong>il</strong> ricorso al turp<strong>il</strong>oquio cool per perturbare, e lo fa attraverso<br />

le immagini e le storie, sospese a metà tra fiaba id<strong>il</strong>lica di affetti devastati e<br />

devastanti e macabro insorgere di una morte che è dietro l’angolo,<br />

consustanziale alla vita, lato oscuro <strong>del</strong>la stessa luna. Come in un quadro di<br />

Basquiat, distinguiamo forme semplici di personaggi paradigmatici (la bambina,<br />

<strong>il</strong> corridore, <strong>il</strong> ladro-piazzista), ma essi ci appaiono scheletrici e denudati<br />

in un’essenzialità sinistra, assorbiti da una progressiva trasfigurazione che è<br />

sfiguramento, decadimento, involuzione e voluttà terrib<strong>il</strong>e e quasi liberatoria<br />

<strong>del</strong>la scomparsa. Le identità dei personaggi fluttuano, spingono i confini degli<br />

schemi narrativi e ne fuoriescono mutate, nello sforzo supremo di andare incontro<br />

alla propria fine, una fine ineluttab<strong>il</strong>e ma in fondo più tenera che tragica.<br />

L’infant<strong>il</strong>ismo <strong>del</strong> pensiero, nella scarnezza di dialoghi che sono gesti tanto<br />

quanto i gesti descritti, ci guida nel cogliere l’essenza <strong>del</strong> mondo tracciato da<br />

Salinoch: un mondo che si scopre asfittico, che cova nella sua normalità <strong>il</strong><br />

germe <strong>del</strong>la disgrazia e <strong>del</strong>la decomposizione <strong>del</strong>l’io. Così veniamo condotti<br />

in un alveo di assurdità atroci dove non c’è scampo, un mondo non meno


nero e feroce di quello di un Pahlaniuk, ma senza la morbosità psicotica e<br />

libidica <strong>del</strong>lo scrittore di Pasco, Washington. E anche quando, come nel lungo<br />

e intensissimo racconto Fior di Tenebra, l’allusione allo schema classico<br />

<strong>del</strong>la fiaba gotica à la Grimm sembra a tutta prima preponderante, questa<br />

diventa quasi immediatamente un torbido involucro di emozioni per<br />

metaforizzare, con la forza immane <strong>del</strong> <strong>del</strong>irio, come in una soggettiva cinematografica<br />

<strong>del</strong>la protagonista spezzata solo dall’oggettiva <strong>del</strong> finale, lo stato<br />

di panico e di prostrazione indotti dal dolore epifanico: uno “spostamento”<br />

tipicamente inerente alla logica <strong>del</strong>l’inconscio, dove <strong>il</strong> confine tra la sensazione<br />

di verità e la percezione <strong>del</strong> mondo esterno si annulla. Uno struggente<br />

crescendo musicale dove i temi ritornano come ossessioni, dove le emozioni<br />

<strong>del</strong>la paura si moltiplicano e si incarnano in dramatis personae, come in un<br />

sogno scorporato, dal quale non c’è via d’uscita.<br />

Nei racconti di Salinoch c’è sempre la forza di questo doppio sguardo che<br />

si smentisce e si integra, che procede per rivoluzioni (nel senso etimologico,<br />

astronomico, di ritorno su se stesso di qualcosa dopo aver compiuto un intero<br />

giro): quello tuffato nell’abisso <strong>del</strong>la soggettività e <strong>del</strong>le sue emozioni che<br />

fagocitano qualunque altra forma di pensiero, e la freddezza quasi da morgue<br />

<strong>del</strong>la realtà, di quel mondo “fuori” che i protagonisti <strong>del</strong>le storie, concentrati<br />

sulle proprie sensazioni fino ad esserne interamente sommersi, non riescono<br />

neppure a contemplare: quel fuori identificato dall’autore con l’imminenza<br />

<strong>del</strong>la morte, che da qualche parte arriverà, inattesa e sorprendente, a troncare<br />

<strong>il</strong> <strong>del</strong>irio, la spasmodica quanto inut<strong>il</strong>mente esorcistica sinfonietta in crescendo<br />

dei pensieri. Per paradosso, poi, è la tenebra portata dentro in tutte le<br />

sue infinite rifrazioni cromatiche in cui si scinde <strong>il</strong> nero in immagini, l’unica<br />

forma di straniante dolcezza <strong>del</strong> vivere e di certezza affermata dall’autore:<br />

l’immensamente incerto, <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ico di cui è fatta l’esistenza, nella sua macabra e<br />

irriducib<strong>il</strong>mente mortuaria consistenza. L’orizzonte gotico con i suoi codici<br />

sanguinari è insomma sempre stemperato dalla sua inscrizione in una realtà<br />

quotidiana e minimale, scippata persino all’attualità, come accade nel monologo<br />

interiore di Honoris Causa, dove <strong>il</strong> protagonista, preda <strong>del</strong> <strong>del</strong>irio<br />

esibizionistico o <strong>del</strong>la possessione <strong>del</strong>lo sterminio immotivato (che così tanto<br />

ha riempito ad ondate le cronache nere degli ultimi anni con la diffusione virale<br />

<strong>del</strong>l’etica <strong>del</strong> kamikaze), arriva a scindersi, con un sentimento tipico <strong>del</strong>la<br />

civ<strong>il</strong>tà panoptica e liquida di una mediaticità introiettata come una sorta di


secondo sguardo, fino a descrivere dall’esterno le sue stesse sensazioni, con<br />

lo stesso distacco quasi ironico che si potrebbe usare raccontando la trama di<br />

un f<strong>il</strong>m. Dunque, <strong>il</strong> doppio sguardo che disarticola l’apparente posatezza <strong>del</strong>la<br />

narrazione, come crisma di un’impossib<strong>il</strong>ità <strong>del</strong>l’identità ad esistere fuori<br />

<strong>del</strong> gesto che la identifica, aggiunge un ulteriore tassello a questa raccolta di<br />

sensazioni in forma di scrittura: quello di una distanza da sé che quasi chiude<br />

<strong>il</strong> circolo di un’umanità ingabbiata, spacciata, preda di sé in un gioco quasi<br />

meccanico, che la porta al centro di situazioni da cui non c’è altra uscita che<br />

l’annullamento. Una sorta di variazione metamorfica sul tema <strong>del</strong>la fine, da cui<br />

però si esce rafforzati, grazie alla forza di uno sguardo che pretende, in ogni<br />

momento, di descrivere la porzione minima, <strong>il</strong> barlume nascosto <strong>del</strong>la vita,<br />

che trascende, nella sua mancanza di difese dai propri demoni ancor prima<br />

che dalle minacce di un esterno, lo stesso jeux au massacre nel cui orizzonte<br />

le storie prendono forma.<br />

Serafino Murri


FIAMMIFERI<br />

Ad Adriana, che me lo augura<br />

La mamma è di nuovo strana.<br />

Non mi piace quando è strana. Sta nell’angolo <strong>del</strong>la cucina e guarda per<br />

terra. Guarda sempre in terra come se ci fosse qualcosa sul pavimento. La<br />

sento respirare forte, ma non le vado vicino.<br />

Ho paura.<br />

Edith ha detto che quando si è avvicinata alla mamma sentiva i piedi appiccicosi.<br />

E sentiva la puzza. Tutta la cucina puzza ormai.<br />

È tutto sporco: i piatti sono nel lavello. Sulla tavola c’è ancora la tovaglia.<br />

La muffa s’è mangiata <strong>il</strong> pane.<br />

Ho fame.<br />

Mentre Edith si avvicinava ho sentito che la mamma smetteva di respirare<br />

e mi è sembrata una statua. Le si era sciolto <strong>il</strong> nodo dietro la nuca ed i capelli<br />

le cadevano sulla schiena, disordinati e luridi.<br />

Sta lì e respira forte.<br />

Ci sono tanti scarafaggi adesso. Si mangiano lo sporco ed i rifiuti. E poi<br />

muoiono.<br />

Io non mangio.<br />

La mamma aveva cucinato lo stufato. Sembra che sia passato un anno.<br />

Edith è arrivata fin dietro la mamma e le ha tirato <strong>il</strong> vestito. Era quello<br />

bello, quello blu <strong>del</strong>la zia Lenore. Non ci portava su neanche <strong>il</strong> grembiule da<br />

cucina, tanto era bello.


La mamma non si è girata, ma le spalline non si muovevano più.<br />

Edith l’ha chiamata, piano, e io ho sentito che stava per piangere. Poi le si<br />

è messa davanti e le ha guardato <strong>il</strong> volto.<br />

Ho pianto.<br />

Edith no: stava ferma e tremava. Le colava la saliva dalla bocca e ha<br />

socchiuso gli occhi come se si stesse addormentando. Ha cominciato a battere<br />

i denti ed <strong>il</strong> rumore che faceva mi ha fatto piangere ancora di più. Teneva le<br />

dita intrecciate, come se stesse giocando, però le mani le tremavano.<br />

Poi è tornata verso di me, ma non mi ha guardata. Ho visto che teneva gli<br />

occhi incrociati, come quando giochiamo alle smorfie, ma mi faceva una gran<br />

paura. Perdeva saliva come uno dei cani <strong>del</strong> nonno e camminava tutta storta.<br />

Poi è salita in camera sua, lentamente.<br />

Ha aperto la porta.<br />

Ho sentito Perla che la salutava miagolando, mentre entrava nella stanza.<br />

Ha continuato a miagolare per tutto <strong>il</strong> giorno.<br />

Stamattina ha cominciato a graffiare contro la porta di Edith. Ha graffiato<br />

per parecchio tempo, soffiando.<br />

Ha smesso tre ore fa.<br />

Fuori ha ricominciato a piovere, non me n’ero accorta.<br />

Sono giorni che piove.<br />

Il signor Cummings non è passato per <strong>il</strong> latte neanche stamattina. Forse si<br />

è arrabbiato perché io ed Edith non gli abbiamo aperto. Papà è caduto davanti<br />

alla porta d’ingresso, vicino all’ombrelliera. È troppo pesante da spostare.<br />

Fuori sento battere la pioggia sulla tettoia <strong>del</strong> portico. La cucina è tutta<br />

grigia e nera.<br />

La can<strong>del</strong>a sul tavolo si è spenta da due giorni.<br />

Ce ne sono due piccole proprio sotto <strong>il</strong> quadro <strong>del</strong> grande castello, in<br />

salotto. Ce le abbiamo messe a Natale. Mi ha sempre fatto paura quel quadro,<br />

che è tutto nero e strano. Le can<strong>del</strong>e anche sono nere. Le so accendere,<br />

me lo ha insegnato papà l’inverno scorso, quando sono saltati i fusib<strong>il</strong>i.<br />

Papà dice che l’elettricità non è affidab<strong>il</strong>e, come tutte le novità che vengono<br />

dalla Francia.<br />

Prima ho sentito un rumore da sopra, mentre andavo in salotto. Non so<br />

perché, ma mi è venuto in mente di togliermi le scarpe.


Non ho guardato papà. Edith mi ha detto di non farlo, ma tanto ha la<br />

faccia sul pavimento. Non lo vedo comunque.<br />

Quando sono arrivata davanti al quadro non volevo guardare neanche<br />

quello: volevo prendere le can<strong>del</strong>e e tornare in cucina.<br />

Però poi l’ho fatto. Non so perché, ma non riesco mai a non farlo.<br />

L’ho guardato per qualche secondo.<br />

Si vedono soltanto le mura, tutte scure e dietro le fiamme che escono dalle<br />

feritoie. Davanti al grande cancello ci sono quattro uomini a cavallo, tutti<br />

incappucciati: Edith dice che se li guardi per tanto tempo riesci a vedere le<br />

loro facce, però io non l’ho mai fatto e secondo me neanche lei. Lo zio Ph<strong>il</strong>ip<br />

li chiamava “le furie”. Quando ce l’ha portato era tutto contento. Sudava tutto<br />

e <strong>il</strong> suo soprabito puzzava come l’incenso di padre O’Bannion. Mamma ci ha<br />

fatto salire di sopra, dicendo a papà: “Fai accomodare tuo fratello”. Sono<br />

rimasti di sotto per un bel po’, però non abbiamo sentito cosa dicevano. Io<br />

ed Edith odiamo quel quadro. Odiamo un po’ anche zio Ph<strong>il</strong>ip.<br />

La mamma dice che è un poco di buono, che non sa fare altro che cacciarsi<br />

nei pasticci, ma papà gli vuole bene e io lo capisco. Anch’io voglio bene<br />

ad Edith. È normale.<br />

Una volta abbiamo provato ad incendiare <strong>il</strong> quadro.<br />

Siamo scese di notte, camminando al buio per non svegliare mamma e<br />

papà che dormono con la porta aperta, ma lo facciamo spesso, quindi sappiamo<br />

dove sono tutti i mob<strong>il</strong>i e le scale.<br />

Edith aveva rubato quattro fiammiferi dalla credenza grande durante la<br />

cena e li ha accesi sul muro, che è un po’ ruvido. Mi ha promesso che me lo<br />

insegnerà quando compirò dieci anni.<br />

Siamo state attente al sofà e siamo arrivate davanti al quadro. Io lo sapevo<br />

di non arrivarci, però Edith mi ha detto che neanche lei era un gigante. Poi si<br />

è inginocchiata e mi ha detto di salirle sulle spalle, come faceva papà quando<br />

eravamo in vacanza in Galles. Io l’ho fatto, però credo che lei aveva soltanto<br />

paura di guardare <strong>il</strong> quadro da vicino. Io all’inizio le ho detto di no, perché<br />

non sapevo accendere i fiammiferi. Lei mi ha detto che ero una stupida, che<br />

me lo avrebbe acceso lei da sotto.<br />

Quando mi ha tirato su mi è venuto da far pipì, ma l’ho tenuta. Edith ha<br />

acceso <strong>il</strong> fiammifero e me lo ha passato. A me i fiammiferi non piacciono,<br />

perché ho paura di bruciarmi le dita, però <strong>il</strong> quadro me ne faceva di più. L’ho


avvicinato alla cornice, però non ci arrivavo bene. E <strong>il</strong> fiammifero si consumava.<br />

Edith mi ha str<strong>il</strong>lato di accendere una can<strong>del</strong>a e bruciare quella schifezza.<br />

Io ho urlato ad Edith che era lei una stupida perché non sapeva tenere la<br />

voce bassa e che starnazzava come l’oca <strong>del</strong>la signora McG<strong>il</strong>l.<br />

Dopo pochi secondi abbiamo sentito che papà si inf<strong>il</strong>ava le pantofole e<br />

apriva lo sgabuzzino di sopra. Mamma diceva qualcosa.<br />

Poi ho avvertito un bruciore sui polpastrelli <strong>del</strong>le dita e ho avvicinato <strong>il</strong><br />

fiammifero alla can<strong>del</strong>a, che si è accesa subito. Ho soffiato sul fiammifero che<br />

si è spento subito. Il fumo mi ha fatto tossire un po’. Edith mi ha detto di<br />

sbrigarmi, mentre sentivamo papà scendere le scale in fretta.<br />

Io ho preso la can<strong>del</strong>a con la mano, ma era troppo calda e mi sono scottata.<br />

Aveva la stessa puzza <strong>del</strong>la giacca <strong>del</strong>lo zio Ph<strong>il</strong>ip. Abbiamo barcollato<br />

un po’ e per poco non cadevamo, poi Edith mi ha buttata sul sofà così non mi<br />

sono fatta molto male. Poi nella stanza è entrato papà.<br />

Edith si è coperta la faccia e ha chiuso gli occhi str<strong>il</strong>lando. Fa sempre così.<br />

Io ho guardato dallo schienale <strong>del</strong> sofà.<br />

Papà stava fermo sull’entrata <strong>del</strong> salotto, in vestaglia e con la pistola a<br />

innesco che gli tremava nella mano.<br />

E piangeva.<br />

Non lo so perché, ma sono convinta che se guardo adesso gli incappucciati<br />

le facce le vedo eccome. Però alla fine sono riuscita a non guardare perché<br />

ho dovuto avvicinare <strong>il</strong> sofà al camino e faticare un po’ per salire in cima.<br />

Ho preso una can<strong>del</strong>a in mano e sono tornata in cucina.<br />

Mi è sembrata più buia e non sono entrata subito.<br />

Ho sentito un rumore dalle scale e ho visto Edith. Stava ferma sulla soglia<br />

<strong>del</strong>la camera e teneva Perla addormentata in braccio. Non la vedevo bene,<br />

però non mi ha detto niente ed è rimasta ferma nella penombra.<br />

Ormai dentro la casa era davvero buio e mi sono spaventata tanto. Ho<br />

detto ad Edith che andavo a prendere i fiammiferi e che stavolta è meglio che<br />

me lo insegni come si accendono. Non mi ha risposto. Immob<strong>il</strong>e.<br />

Ho guardato nella cucina buia.<br />

La puzza <strong>del</strong>la mamma arrivava fin lì da me.<br />

I fiammiferi erano nella sua mano destra.<br />

Ho respirato a fondo e ho ascoltato per un po’ la pioggia che cadeva fuori:


cadeva così forte che sembrava come se fuori non stesse passando nemmeno<br />

una carrozza. Era tutto s<strong>il</strong>enzioso.<br />

Solo la pioggia.<br />

Sono entrata in cucina e mi sono avvicinata piano alla mamma. Non la<br />

vedevo, ma sapevo bene dov’era. Arrivata vicino al tavolo ho sentito qualcosa<br />

che si spaccava sotto i miei piedi, poi sono quasi scivolata sul pavimento<br />

viscido. La bocca mi si è arricciata e mi è venuto da vomitare.<br />

Volevo uscire di lì, quindi ho accelerato <strong>il</strong> passo. Edith aveva ragione, i<br />

piedi si appiccicavano davvero al pavimento. Sembrava di camminare sulla<br />

colla.<br />

Sono arrivata proprio vicino a mamma e mi sono messa di fianco. Le<br />

vedevo la spallina merlettata in controluce e tutti i capelli arruffati che le spuntavano<br />

dalla testa. Aveva smesso di respirare di nuovo.<br />

Mi è venuto da far pipì, ma ho tenuto.<br />

L’ho chiamata piano. Mamma.<br />

Niente.<br />

Poi ho provato a chiamarla con <strong>il</strong> suo nome di battesimo, lo stesso che lei<br />

e papà avevano scelto per me. Isabelle.<br />

Non mi ha risposto e non si è mossa.<br />

Le ho cercato la mano e ho sentito che teneva la scatola dei fiammiferi.<br />

L’ho presa.<br />

Poi le ho preso di nuovo la mano, ma era molle, tutta secca.<br />

Mi è venuto da piangere e non ce l’ho fatta a tenere su anche le lacrime<br />

assieme al resto.<br />

Mi manca tanto. Ho tanto bisogno di lei. E anche Edith.<br />

Ho deciso di provare ad accendere un fiammifero contro <strong>il</strong> muro, proprio<br />

come faceva Edith. Se si fosse acceso, avrei guardato mamma, altrimenti<br />

sarei scappata in camera da Edith.<br />

Oh, perché ha questo odore orrib<strong>il</strong>e?<br />

Ho preso un fiammifero dalla piccola scatola di legno e l’ho tenuto bene<br />

tra l’indice ed <strong>il</strong> pollice. Mi sudavano le mani. L’ho avvicinato al muro tra <strong>il</strong><br />

tinello e la credenza e l’ho sfregato senza molta convinzione contro la superficie<br />

ruvida <strong>del</strong>la parete.<br />

Niente.


Sono rimasta ferma per un po’ davanti alla mamma, dandole le spalle. Nel<br />

buio.<br />

La pioggia sembrava volesse sfondare <strong>il</strong> tetto, tanto era forte.<br />

Ho pensato di andare da Edith, l’ho davvero pensato e ho detto alle mie<br />

gambe di obbedire. Però poi ho sfregato di nuovo <strong>il</strong> fiammifero.<br />

Una scint<strong>il</strong>la, un lampo improvviso, poi la testa cerata <strong>del</strong> fiammifero ha<br />

preso ad ardere. Non so perché, ma per un secondo sono stata contenta e ho<br />

perfino pensato di correre a dirlo immediatamente ad Edith. È durato tutto un<br />

attimo. Ho acceso la can<strong>del</strong>a nera, lentamente.<br />

Lo stoppino ha br<strong>il</strong>lato in modo strano, poi di nuovo quello strano odore<br />

mi ha punto le narici. Mi è venuto in mente zio Ph<strong>il</strong>ip. Il quadro. Le furie, le<br />

furie le chiamava. Incappucciate. Con quei volti nascosti, che osservavano<br />

lugubri. Uomini, donne e bambini bruciavano nel castello.<br />

Mi sono voltata di scatto e ho sollevato la can<strong>del</strong>a verso l’alto.<br />

Mamma mi guardava con due enormi occhi gialli.<br />

Qualcosa di liquido e caldo mi sta colando giù per le gambe.<br />

I suoi denti… non sono i suoi…


HONORIS CAUSA<br />

Oddio.<br />

Oddio, devo calmarmi. Sento <strong>il</strong> cervello premermi contro <strong>il</strong> cranio. Provo<br />

vertigine. Sapore di sangue sulla lingua in questo gelido mattino di follia. La<br />

parete alle mie spalle. Ci spremo addosso tutto <strong>il</strong> mio stupore, che umido<br />

prende a colare lungo la schiena. Mi tremano anche le nocche <strong>del</strong>le dita. Non<br />

so come usare <strong>il</strong> fuc<strong>il</strong>e che ho in mano. Non so come aprirlo, caricarlo e<br />

sparare.<br />

Poco fa ho provato a tirare un colpo.<br />

Ho imbracciato questo coso, l’ho tenuto goffamente, come un bimbo può<br />

tenere un cric. Mi scivolava in giù. Il fatto è che pesa parecchio.<br />

L’ho semplicemente puntato contro la televisione nel salotto. Ho premuto<br />

<strong>il</strong> gr<strong>il</strong>letto.<br />

La televisione è ancora lì, sul pianale di legno, nel bel mezzo <strong>del</strong> mio grazioso<br />

salottino. Io invece sono nella merda.<br />

Com’è successo?<br />

Com’è successo cosa, poi?<br />

Oddio.<br />

Oddio devo calmarmi sul serio.<br />

Non era assolutamente prevedib<strong>il</strong>e. Era una cosa talmente improbab<strong>il</strong>e<br />

che nemmeno ne avevo più gli incubi. E con me chiunque altro.<br />

Non esiste, quell’incubo. Non più.<br />

Intorno a me <strong>il</strong> giorno urla di dolore.


Premo spasmodicamente i polpastrelli contro l’impugnatura lignea <strong>del</strong>l’arma<br />

che ho tra le mani: ce le sfrego su energicamente, ma non esce nessuno a<br />

promettermi tre desideri.<br />

Ho i vestiti incollati addosso dal sudore. Magari potessi sciogliermi. Colare<br />

in terra e strisciare via in m<strong>il</strong>iardi di direzioni, tutte opposte tra loro, tutte<br />

diverse.<br />

Zitto! Ascolta…<br />

Aguzzo le orecchie, i nervi si tendono e mi inturgidiscono la muscolatura.<br />

Qualcuno sta bussando contro la mia porta. Picchia giù talmente duro che<br />

temo possa effettivamente fracassarla.<br />

Ma è un attimo. Ha già smesso.<br />

Aspetta.<br />

E se fosse qualcuno che stesse cercando di avvertirmi? Se tutti stessero<br />

correndo in strada per raggiungere un posto sicuro? Se rimanessi da solo?<br />

Oddio.<br />

Oddio, adesso mi affaccio alla finestra.<br />

No cretino, aspetta. Guarda <strong>il</strong> cervello di F<strong>il</strong>ippo che ti macchia la maglietta.<br />

Non fare stupidaggini.<br />

Dunque sono ancora qui a infradiciare la parete. F<strong>il</strong>ippo è lì, oltre <strong>il</strong> divano,<br />

ad infradiciare <strong>il</strong> suo corpo.<br />

Ho un fuc<strong>il</strong>e in mano e non so come usarlo. Sono solo.<br />

Oddio.<br />

Oddio, F<strong>il</strong>ippo è morto…<br />

No no, non ci provare! Stai parlando da solo, forse ad alta voce, ma<br />

fregatene… lo sai che rischi di rimetterci la brocca se cominci a pensare sul<br />

serio? Continua come stab<strong>il</strong>ito. Pensa in binario.<br />

F<strong>il</strong>ippo è morto, ma non te ne devi accorgere. Capito?<br />

Dio cane, sto parlando da solo. Ad alta voce. I déjà vu mi mitragliano gli<br />

occhi ed i f<strong>il</strong>amenti che me li tengono dentro le orbite.<br />

Sento che potrei perdere <strong>il</strong> controllo <strong>del</strong>le mie funzioni corporali. Sul serio.<br />

Ma io non conosco questa cosa… Non ne conosco la ragione.<br />

Non riesco a capire cos’è che sta accadendo.<br />

So solo che sta uccidendo persone.<br />

Oddio.<br />

Oddio cos’è stato?


Oh cazzo, sent<strong>il</strong>o come urla. È un uomo. Sì, è un uomo. Oddio. Sent<strong>il</strong>o…<br />

E se toccasse a me? Sono a dieci metri dalla morte. Io non posso morire.<br />

Nessuno mi ha detto come si muore così.<br />

Non me ne frega degli altri, non mi interessa se rimarrò l’unico uomo sulla<br />

terra. Davvero. Non voglio morire. Mi trema la vescica.<br />

Ma anche se dovessi sparare…? Se anche riuscissi a sparare…?<br />

Cristoincroce, quanto è inut<strong>il</strong>e quest’arma.<br />

Io non ce la faccio. Non so come si sopravvive così. Dio, che baccano<br />

fuori.<br />

Se penso, io mi strappo gli occhi e me li mangio… calmo.<br />

Calmo. Calmo. Calmo.<br />

Respira.<br />

Parete. Fuc<strong>il</strong>e.<br />

Dita contratte.<br />

Cervello di F<strong>il</strong>ippo sul <strong>libro</strong> di Sociologia economica. Sulla mia maglietta<br />

dei Black Sabbath.<br />

Calmo, porca puttana.<br />

Io lo so. Ho capito. Ma non riesco. So cosa va fatto. L’ho imparato a<br />

memoria. È teoria.<br />

Non l’ho mai fatto, però.<br />

So che se capita che un giorno stai studiando in casa per l’esame <strong>del</strong>l’indomani<br />

ed un proiett<strong>il</strong>e fracassa la vetrata <strong>del</strong>la finestra in salotto e scoperchia<br />

una tempia <strong>del</strong> tuo coinqu<strong>il</strong>ino, devi allontanarti da lì. Se nella strada poi si<br />

rovescia un vociare di uomini e donne, spari, gorgoglii di carni violate brutalmente,<br />

crocchiare di articolazioni scheggiate, crepitare di corpi calpestati con<br />

forza, devi prendere un fuc<strong>il</strong>e e addossarti a qualcosa di perpendicolare al<br />

terreno, stab<strong>il</strong>e almeno più di te, e cercare di non farti vedere dal guaio che<br />

sta accadendo.<br />

Il telegiornale non ne ha parlato. Saranno addossati anche loro alle mura<br />

degli studios?<br />

Chissà perché mi viene da pensare che i supermercati saranno stracolmi.<br />

Se fossero zombi?<br />

Quelli dei f<strong>il</strong>m. Quelli che ti minacciano abbastanza lentamente da lasciarsi<br />

colpire alla testa. Quelli che fanno sì che gli uomini vivi si riuniscano. Combattivi.<br />

Decisi a vivere.


Io sento solo gridare. Sempre meno, ma sento gridare.<br />

Vorrei fossero zombi.<br />

Vorrei accendere la televisione, ma ho paura.<br />

Che mi sentano. Probab<strong>il</strong>mente ho paura di scoprire cosa accade.<br />

Io sono deciso a non morire. Questo è quanto.<br />

Oddio.<br />

Oddio, non sono <strong>il</strong> personaggio principale!<br />

Oddiomio.<br />

Non è possib<strong>il</strong>e. Tutta la mia via. I miei umori e le mie felicità. I miei sogni.<br />

I miei anni.<br />

Me.<br />

Io devo vivere. Io sono <strong>il</strong> protagonista, no? Io sono <strong>il</strong> perché. Sono troppo<br />

importante per morire.<br />

Non lo sanno là fuori chi sono io? Non gliene importa?<br />

Il fuc<strong>il</strong>e pesa.<br />

Lo tiro su con un gesto di stizza.<br />

Ho prurito lungo la pelle <strong>del</strong> petto.<br />

Perché mai dovrebbero uccidermi? E poi chi vive?<br />

Guarda F<strong>il</strong>ippo, cazzo. Gli vedo una mano, poggiata vicino alla testa forata.<br />

Chissà se ha pensato prima che <strong>il</strong> proiett<strong>il</strong>e gli spappolasse la materia<br />

grigia?<br />

Tremo tutto. Mi sento come ubriaco e mi osservo in terza persona. Magari<br />

potessi morire così. Sarei anche al mio funerale.<br />

Non voglio <strong>il</strong> dolore. Non voglio capire che <strong>il</strong> buio sta per mangiarmi la<br />

coscienza.<br />

Oddio.<br />

Oddio, quante volte ho scritto roba di questo tipo, credendo di capirci<br />

davvero qualcosa. Quante parole. Io non sono pronto.<br />

Voglio svegliarmi. Dio, questa frase la capisco soltanto adesso. Voglio<br />

aprire le palpebre, credere per qualche secondo che sia tutto vero, poi lentamente<br />

e dolcemente snebbiarmi la percezione e godere <strong>del</strong>la realtà.<br />

Oddio. Quante volte ti sto nominando.<br />

Non posso credere che sia tutto vero.<br />

“Bang”? Come “Bang”?<br />

C’è qualcuno che spara, lì fuori.


Non sono solo.<br />

Stacco i piedi dal parquet e mi lancio finalmente contro la finestra. Voglio<br />

guardarlo. Voglio dirgli che non è solo neanche lui. Poveretto. Chissà quante<br />

ne ha passate finora. Come me. Magari anche lui si è accorto di non essere un<br />

personaggio principale. Magari è un’avventura corale.<br />

Oddio.<br />

Oddio, sto ridendo.<br />

Ho deciso. Combatterò al suo fianco sino alla fine. Contro qualsiasi cosa<br />

abbia strappato <strong>il</strong> tessuto nervoso <strong>del</strong>la mia vita. Di questa realtà.<br />

Sì. Così lo scriverei un personaggio. Un tipo tosto. Tosto dentro.<br />

Scaraventato in una situazione caotica ed improvvisa, costretto a battersi<br />

contro una minaccia misteriosa ed inspiegab<strong>il</strong>e, un tipo che ha già saggiato<br />

l’odore <strong>del</strong>la morte. Un tipo che non sa usare <strong>il</strong> fuc<strong>il</strong>e che ha in mano. Un tipo<br />

normale, dopotutto, ma pur sempre tosto. La desiderab<strong>il</strong>e verosimiglianza<br />

<strong>del</strong>la sua vita quotidiana scuoiatagli di dosso da mani unghiute, con violenza.<br />

Un tipo che non ha più nulla, pur avendo tutto che gli impazza attorno. Illusione<br />

accumulatasi attorno alla sua presunta sicurezza di morire grasso e ansante.<br />

Un tipo un po’ miserevole, ma che alla fine si scopre tosto.<br />

La sua trasformazione avverrà lentamente, a partire dalla finestra che sto<br />

per raggiungere: le tendine scostate gli riveleranno una via d’uscita diffic<strong>il</strong>e e<br />

tortuosa. Una strada lungo la quale i suoi occhi sanguineranno, costretti a<br />

contemplare l’assurdo mutare <strong>del</strong>la ordinarietà, ora fluida e viscosa, per nulla<br />

rassicurante. Un utero accogliente divenuto fauci schioccanti.<br />

Imparerà anche ad usare <strong>il</strong> fuc<strong>il</strong>e. Gli servirà per donare la morte al suo<br />

amico, ferito ed agonizzante, in un ultimo atto di misericordioso e disperato<br />

coraggio.<br />

Imparerà. Quando poi la realtà attorno a lui avrà smesso di tossire, lui sarà<br />

un uomo nuovo. Pronto. Cosciente <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la propria mortalità.<br />

Il personaggio principale perfetto.<br />

Non potevo che essere io.<br />

Tutto oltre queste tendine.<br />

Dove sei?<br />

Eccoti. Sono qui! Mi vedi? Non sei solo lì fuori. No, abbassa quel fuc<strong>il</strong>e.<br />

Ti chiamerò…<br />

Fuc<strong>il</strong>e a terra. Schegge di vetro nei capelli. Cado?


C’è qualche secondo di assoluto s<strong>il</strong>enzio. Tutto questo s<strong>il</strong>enzio.<br />

Dio come penso bene. Sto bene, bene. Senti come respiro, su e giù su e<br />

giù su e giù. Come in un videogioco. Gli occhi vedono tutto. Il salotto. Sei in<br />

un salotto. No aspetta. Sei nel tuo salotto. Eheheh. Certo che sei nel tuo<br />

salotto. Lo eri anche prima. Dietro la poltrona. Seduto contro <strong>il</strong> muro.<br />

Perché sei a terra?<br />

Come penso bene. Dai su, lo sai che hai una porzione di cranio completamente<br />

sollevata. Senti l’aria toccarti la superficie <strong>del</strong> cervello. Ma non pensare<br />

a morire. Lascialo lì, quel pensiero, tienigli la testa sotto l’acqua. Può agitarsi<br />

quanto vuole.<br />

Non piangere.<br />

C’è <strong>del</strong> vero, e ce n’è meno.<br />

Perché non me l’ha mai detto nessuno?<br />

Visse felice e contento e morì. La storia continua senza di me.<br />

Io l’avrei scritta diversamente. Così è brutta.<br />

Fra poco la carne mi cederà. Adesso dormo. Così potete girare pagina.<br />

www.editricezona.it<br />

info@editricezona.it


Introduzione, di Serafino Murri<br />

Fiammiferi<br />

Attenti al cane<br />

Il maratoneta<br />

Fior di tenebra<br />

Honoris Causa<br />

SOMMARIO<br />

Tanto vale morire per l’eternità<br />

Latte in polvere<br />

The Torquemada’s<br />

5<br />

9<br />

15<br />

39<br />

47<br />

81<br />

87<br />

97<br />

133

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