I Malavoglia - Letteratura Italiana
I Malavoglia - Letteratura Italiana I Malavoglia - Letteratura Italiana
Giovanni Verga - I Malavoglia Quelli che stavano a sentire, Piedipapera e Rocco Spatu, si scompisciavano dalle risa. – Ve lo faccio per niente – aggiunse don Silvestro, messo di buon umore; e se ne andò cogli altri a chiacchierare con lo zio Santoro, davanti all’osteria. – Sentite, zio Santoro, volete guadagnarvi dodici tarì? e cavò fuori la moneta nuova, sebbene lo zio Santoro non ci vedesse. – Mastro Vanni Pizzuto vuol scommettere dodici tarì che ora don Michele il brigadiere va a parlare colla Barbara Zuppidda, la sera. Volete buscarveli voi quei dodici tarì? – O anime sante del purgatorio! esclamò baciando il rosario lo zio Santoro, il quale era stato ad ascoltare tutto intento, cogli occhi spenti; ma egli era inquieto, e muoveva le labbra di qua e di là, come fa delle orecchie un cane da caccia che sente la pedata. – Sono amici, non temete – aggiunse don Silvestro sghignazzando. – Sono compare Tino, e Rocco Spatu, aggiunse il cieco dopo essere stato attento un altro po’. Egli conosceva tutti quelli che passavano, al rumore dei loro passi, fossero colle scarpe o a piedi nudi, e diceva – Voi siete compare Tino, oppure siete compare Cinghialenta. E siccome era sempre là, a dir delle barzellette con questo e con quello, sapeva ciò che accadeva in tutto il paese, e allora per buscarsi quei dodici tarì, come i ragazzi andavano a prendere il vino per la cena, li chiamava – Alessi, o Nunziata, o Lia, – e domandava pure: Dove vai? d’onde vieni? che hai fatto oggi? oppure: L’hai visto don Michele? ci passa dalla strada del Nero? ‘Ntoni, poveretto, finché c’era stato bisogno, era corso di qua e di là senza fiato, e s’era strappati i capelli anche lui. Adesso che il nonno stava meglio, girandolava pel paese, colle mani sotto le ascelle, aspettando che potessero portare un’altra volta la Provvidenza da mastro Zuppiddu per rabberciarla; e andava all’osteria a far quattro chiacchiere, giacché non ci aveva un soldo in ta- Letteratura italiana Einaudi 153
Giovanni Verga - I Malavoglia sca, e raccontava a questo e a quello come avevano visto la morte cogli occhi, e così passava il tempo, cianciando e sputacchiando. Quando gli pagavano poi qualche bicchiere di vino, se la prendeva con don Michele, che gli aveva rubata l’innamorata e andava ogni sera a parlare colla Barbara, li aveva visti lo zio Santoro, che aveva domandato alla Nunziata se don Michele ci passava per la strada del Nero. – Ma sangue di Giuda! non mi chiamo ‘Ntoni Malavoglia, se non mi taglio questo corno, sangue di Giuda! La gente ci si divertiva a vedergli mangiare l’anima, e perciò gli pagavano da bere. La Santuzza, mentre risciacquava i bicchieri, si voltava dall’altra parte, per non sentire le bestemmie e le parolacce che dicevano; ma all’udir discorrere di don Michele, si dimenticava anche di questo, e stava ad ascoltare con tanto d’occhi. Era divenuta curiosa anche lei, e stava tutta orecchi quando ne parlavano, e al fratellino della Nunziata, o ad Alessi, allorché venivano pel vino, regalava delle mele e delle mandorle verdi, per sapere chi s’era visto nella strada del Nero. Don Michele giurava e spergiurava che non era vero, e spesso la sera, quando l’osteria era già chiusa, si udiva un casa del diavolo dietro la porta. – Bugiardo! gridava la Santuzza. Assassino! ladro! nemico di Dio! Tanto che don Michele non si fece più vedere all’osteria, e si contentava di mandare a prendere il vino e berselo nella bottega di Pizzuto, solo col suo fiasco, per amor della pace. Massaro Filippo, invece di esser contento che si fosse tolto così un altro cane da quell’osso della Santuzza, metteva buone parole e cercava di rappattumarli, che nessuno ci capiva più nulla. Ma era tempo perso. – Non vedete che voga al largo e non si fa più vedere? esclamava la Santuzza. – Questo è segno che la cosa è vera com’è vero Iddio! No! non voglio sentirne parlar più, dovessi chiuder l’osteria, e mettermi a far calzetta! Letteratura italiana Einaudi 154
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davanti all’osteria. – Sentite, zio Santoro, volete guadagnarvi<br />
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vuol scommettere dodici tarì che ora don Michele il<br />
brigadiere va a parlare colla Barbara Zuppidda, la sera.<br />
Volete buscarveli voi quei dodici tarì?<br />
– O anime sante del purgatorio! esclamò baciando il<br />
rosario lo zio Santoro, il quale era stato ad ascoltare tutto<br />
intento, cogli occhi spenti; ma egli era inquieto, e<br />
muoveva le labbra di qua e di là, come fa delle orecchie<br />
un cane da caccia che sente la pedata.<br />
– Sono amici, non temete – aggiunse don Silvestro<br />
sghignazzando.<br />
– Sono compare Tino, e Rocco Spatu, aggiunse il cieco<br />
dopo essere stato attento un altro po’.<br />
Egli conosceva tutti quelli che passavano, al rumore<br />
dei loro passi, fossero colle scarpe o a piedi nudi, e diceva<br />
– Voi siete compare Tino, oppure siete compare Cinghialenta.<br />
E siccome era sempre là, a dir delle barzellette<br />
con questo e con quello, sapeva ciò che accadeva in<br />
tutto il paese, e allora per buscarsi quei dodici tarì, come<br />
i ragazzi andavano a prendere il vino per la cena, li chiamava<br />
– Alessi, o Nunziata, o Lia, – e domandava pure:<br />
Dove vai? d’onde vieni? che hai fatto oggi? oppure:<br />
L’hai visto don Michele? ci passa dalla strada del Nero?<br />
‘Ntoni, poveretto, finché c’era stato bisogno, era corso<br />
di qua e di là senza fiato, e s’era strappati i capelli anche<br />
lui. Adesso che il nonno stava meglio, girandolava<br />
pel paese, colle mani sotto le ascelle, aspettando che potessero<br />
portare un’altra volta la Provvidenza da mastro<br />
Zuppiddu per rabberciarla; e andava all’osteria a far<br />
quattro chiacchiere, giacché non ci aveva un soldo in ta-<br />
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