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cultura a<br />
Lungo la strada provinciale Maglie-Santa<br />
Cesarea Terme, tra<br />
Giuggianello e Poggiardo, domina<br />
la pianura una serra boscosa, i “Santi<br />
Stefani” sui cui frondosi declivi è custodito<br />
tra oliveti secolari ed il verdeggiare<br />
magico della macchia mediterranea, il<br />
cuore spirituale del Salento, quel vero e<br />
proprio Santuario mediterraneo della<br />
Dea Madre costituito dalla Grotta di<br />
San Giovanni e dal “furticiddhu della<br />
vecchia” (nella foto), il ventre ed il<br />
“corpo mistico” di quella divinità femminile<br />
a cui le popolazioni dell’arcaico<br />
Salento tributavano onore e venerazione.<br />
A poca distanza dell’abitato di Giuggianello<br />
si trova questo luogo mitico, in località<br />
“Duelli”, che è dominato da tre<br />
enormi monoliti sovrapposti, culminanti<br />
in una pietra “a cappello di prete”, posta<br />
in una posizione di apparentemente instabile<br />
equilibrio. Ma a sorprendere non<br />
è soltanto lo strabiliante masso, ma l’intero<br />
agglomerato megalitico, che suggerisce<br />
l’idea di un vero e proprio santuario,<br />
coi suoi altari ed i suoi luoghi<br />
“liturgici”, dove i sacerdoti e le sacer-<br />
cura di<br />
Alessio Palumbo<br />
Il “furticiddu de la vecchia” a Giuggianello:<br />
il cuore spirituale del Mesolitico salentino<br />
A poca distanza dal “furticiddhu della vecchia”, domina la località<br />
Santi Stefani, sul Monte della Serra, situato a 112 metri<br />
sul livello del mare, la grotta di San Giovanni, uno straordinario<br />
esempio di cristianizzazione degli antichi luoghi della spiritualità<br />
pagana.<br />
La grotta, dovuta ad un singolarissimo fenomeno carsico, è<br />
caratterizzata da pilastri naturali che sembrano sorreggerne la<br />
volta. All’interno di essa si svolgevano le antiche ritualità neolitiche,<br />
legate alla fertilità della terra e degli uomini. Vertice e<br />
fulcro dell’anno naturale era per queste popolazioni la cui vita<br />
era scandita dai tempi della natura, la notte del solstizio<br />
d’estate, il momento culminante del viaggio del sole nel cielo,<br />
il quale inizia la sua ridiscesa. In questa magica notte avvenivano<br />
le nozze sacre del Dio della vegetazione, il cui simbolo<br />
era il serpente, con la Dea Madre, la cui unione garantiva la<br />
prosperità dei raccolti e la fortuna nella caccia. Tale unione veniva<br />
ritualmente replicata dai sacerdoti e dalle sacerdotesse<br />
che si rinchiudevano in queste grotte dando corso a rituali di<br />
fertilità che si incentravano sull’unione fisica e spirituale della<br />
terra con il mondo vegetale, la cui vita era garantita dalla rugiada<br />
che in quella magica notte diveniva teurgica, curativa.<br />
Uomini e donne si rotolavano nella notte nell’erba per rigenerare<br />
il corpo e ritrovare la fertilità, e tutta la natura, sconvolta<br />
dalla magia astrale della notte di San Giovanni, veniva coinvolta<br />
in fenomeni straordinari: si riteneva ad esempio che gli<br />
animali acquisissero la parola e vaticinassero agli uomini le<br />
dotesse della Dea Madre celebravano<br />
principalmente riti di fertilità connessi<br />
al passaggio dall’infanzia all’adolescenza,<br />
consistenti nella sottoposizione dei fanciulli<br />
in età puberale a veri e propri itinerari<br />
iniziatici, che culminavano nel<br />
rito cruento della rinascita.<br />
Una tra le teorie più consolidate tra gli<br />
studiosi di antropologia è quella che voleva<br />
i fanciulli dormire nel ventre della<br />
madre terra per una notte, per poi rinascere<br />
cruentamente adulti all’alba del<br />
giorno successivo, in un rito che replicava<br />
i dolori ed il trauma del parto, con l’effusione<br />
della linfa sacra, del sangue,<br />
che ritornava alla terra. L’effusione del<br />
sangue avveniva o infliggendo ai ragazzi<br />
vere e proprie ferite, oppure sacrificando<br />
alla dea uno di essi, che per tutti ritornava<br />
alla natura, bagnando col proprio sangue<br />
la rinascita degli altri, i quali erano così<br />
pronti a celebrare i misteri della vita. I<br />
resti delle vittime sacrificate, fossero<br />
esse uomini o animali, venivano bruciati<br />
assieme a piante aromatiche, ed i roghi<br />
effondevano il loro sacro profumo nei<br />
luoghi circostanti. L’età del passaggio<br />
era stabilita col sopraggiungere delle regole<br />
femminili per le ragazze, mentre<br />
per i ragazzi si seguiva probabilmente il<br />
medesimo computo degli anni delle coetanee.<br />
Le sacerdotesse della Dea, le donne anziane<br />
delle comunità, le quali erano le<br />
depositarie delle conoscenze magiche,<br />
mediche e religiose, curavano gli aspetti<br />
rituali per tutti, ragazze e ragazzi, mentre<br />
gli uomini attendevano la fine dei riti di<br />
rinascita per introdurre i nuovi membri<br />
loro sorti. In seguito alle nozze sacre avveniva il consueto sacrificio<br />
umano o animale e la ricorrenza sacrale si concludeva<br />
con un falò, attorno al quale avvenivano danze e banchetti.<br />
Di tali consuetudini rituali sono rimaste tracce importanti nelle<br />
tradizioni cristiane legate al culto di San Giovanni, che hanno<br />
contribuito a tramandare sino a noi l’essenza spirituale del nostro<br />
passato più antico. È stato proprio grazie alla cristianizzazione<br />
del culto pagano che è stata resa possibile agli<br />
maschi della comunità ad altri riti, quelli<br />
della caccia e della vegetazione. Le ragazze<br />
invece venivano educate dalle anziane<br />
ai misteri della vita e della maternità<br />
per poter poi partecipare a quelle festività<br />
connesse alla fertilità della terra.<br />
È opinione ormai diffusa che il “furticiddhu<br />
della vecchia”, conosciuto anche<br />
come il “colle dei fanciulli e delle ninfe”<br />
(un evidente richiamo ai riti di iniziazione<br />
degli adolescenti) non sia stato edificato<br />
da popoli primitivi, ma che sia stato<br />
luogo di formazione naturale a cui i primitivi<br />
hanno progressivamente dato una<br />
forma, aggiungendovi scale e modellando<br />
alcune pietre per meglio rispondere alle<br />
necessità rituali.<br />
Quanto a lungo siano durati questi riti<br />
arcani è testimoniato dal fatto significativo<br />
che al “furticiddhu”, luogo che non<br />
poteva essere cristianizzato, come è invece<br />
accaduto per molte grotte, come<br />
quella di San Giovanni, sono state attribuite<br />
caratteristiche demoniache, tanto<br />
che si deve il suo nome alla Vecchia, la<br />
strega che “sul comignolo, pronuncia<br />
filando i suoi vaticini al sorgere del<br />
sole”, traccia evidentissima della figura<br />
delle sacerdotesse della Dea Madre. La<br />
superstizione popolare più che lo zelo<br />
ecclesiastico, che preferiva cristianizzare<br />
i luoghi di venerazione delle antiche divinità,<br />
ricollegò il retaggio di questi riti<br />
antichissimi alla figura della “strega de<br />
lu Nanni Orcu”, ossia la sacerdotessamoglie<br />
del sacerdote del signore degli<br />
animali del neolitico, sul quale essa<br />
aveva la preminenza.<br />
Vincenzo Scarpello<br />
La Grotta di San Giovanni, il ventre della Dea fecondato dal dio della Vegetazione<br />
antropologi ed agli archeologi la ricostruzione di un antichissimo<br />
passato che altrimenti si sarebbe perduto per sempre. La<br />
Religione Cattolica, memore della pax deorum che aveva garantito<br />
l’universalità spirituale di Roma nel mondo antico, preferì<br />
assorbire le religioni pagane anziché distruggerle,<br />
preservando nella trasformazione e nella attribuzione del senso<br />
autentico del sacro dell’intuizione che di esso aveva avuto l’antenato,<br />
che non aveva potuto avere conoscenza dell’incarnazione<br />
del logos divino.<br />
La devozione al dio vegetazionale ed alla Dea Madre, traslata<br />
nel culto di San Giovanni e nella fortissima devozione Mariana,<br />
molto sentita a Giuggianello come in tutto l’Occidente cattolico,<br />
è potuta così sopravvivere fino ai giorni nostri, vivendo periodi<br />
altalenanti di fortuna tra un medioevo greco di splendore iconografico,<br />
nel corso del quale molti santuari rupestri vennero<br />
convertiti in chiese con l’apposizione di magnifici affreschi di<br />
scuola bizantina, ed un periodo di declino, conclusosi fortunatamente<br />
con un avvenimento prodigioso, la guarigione della<br />
figlia del massaro della vicina Masseria “Armino”, che contribuì<br />
personalmente al restauro dell’antica grotta ed alla ripresa<br />
di un fenomeno culturale che compendia l’essenza stessa dell’Identità<br />
Salentina, ossia la devozione ad una Madre Celeste,<br />
e contemporaneamente Madre terrena, della quale hanno avuto<br />
privilegiata premonizione e conoscenza i nostri avi, sin da quei<br />
tempi ancestrali nei quali Ella veniva chiamata Dea Madre.<br />
(V. C.)