Le donne e la Resistenza - Uil
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SPIAZZI PIUBELLI ONILDA<br />
Fuci<strong>la</strong>ta a Cazzano di Tramigna (Verona) il 29 luglio 1944, contadina.<br />
Essere madre di un renitente al<strong>la</strong> leva fu <strong>la</strong> so<strong>la</strong> colpa di Nilde, come <strong>la</strong> chiamavano in paese. Il<br />
figlio Luigi, infatti, si diede al<strong>la</strong> macchia e quando i fascisti, <strong>la</strong> sera del 28 luglio, si presentarono<br />
nel<strong>la</strong> povera casa degli Spiazzi Piubelli, non vi trovarono che <strong>la</strong> mamma. Con le percosse,<br />
tentarono di farsi dire dove si fosse rifugiato il ragazzo con altri suoi compagni, ma da Nilde non<br />
ottennero <strong>la</strong> minima indicazione. Trasferita nel<strong>la</strong> sede del municipio, Onilda per tutta <strong>la</strong> notte fu<br />
torturata dai suoi aguzzini, che non riuscirono a cavarle una paro<strong>la</strong> di bocca. L’indomani, l’eroica<br />
donna fu vista uscire, barcol<strong>la</strong>nte e sorretta dal parroco, dall’edificio del Comune. Era attorniata<br />
dai suoi torturatori, che <strong>la</strong> piazzarono contro un muro e <strong>la</strong> fuci<strong>la</strong>rono per il suo silenzio. Contro<br />
quel muro resta ora una semplice <strong>la</strong>pide.<br />
TITONEL DAMINA<br />
Nata a Refrentolo (Treviso) il 1° luglio 1923, casalinga.<br />
Aveva soltanto due anni quando <strong>la</strong> sua famiglia di contadini socialisti furono costretti ad emigrare<br />
per trovare un <strong>la</strong>voro e per sottrarsi alle aggressioni fasciste. Si trasferirono in Francia, a Monc<strong>la</strong>ir<br />
d’Agenais. Durante il regime di Vichy, Damina entrò nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> francese. Staffetta del<strong>la</strong> 35a<br />
Brigata “Francs-Tireurs-Partisan Main d’ouvres Immigrées” intito<strong>la</strong>ta a Marcel Langer, <strong>la</strong> giovane<br />
donna, nel maggio del 1944, cadde nelle mani dei tedeschi. Incarcerata a Tolosa, Damina vi fu a<br />
lungo interrogata e, inutilmente, percossa e torturata. Nel luglio del 1944 i tedeschi decisero di<br />
deportar<strong>la</strong> e <strong>la</strong> staffetta fu internata nel <strong>la</strong>ger di Belsen. Liberata dalle truppe sovietiche nell’aprile<br />
del 1945, Damina Titonel tornò a Monc<strong>la</strong>ir<br />
VIGANO’ RENATA<br />
Nata a Bologna il 17 giugno 1900. Deceduta a Bologna il 23 aprile 1976, infermiera e scrittrice.<br />
Ebbe <strong>la</strong> passione del<strong>la</strong> medicina e sognò di fare il medico, ma per le difficoltà economiche<br />
interruppe il liceo. Fu così che Renata, prese un "posto nel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse operaia", facendo prima<br />
l’inserviente e poi l’infermiera negli ospedali bolognesi. Ma questo suo <strong>la</strong>voro al servizio di chi<br />
aveva bisogno, non le impediva di scrivere, l’altra sua passione. Sino all’8 settembre del 1943<br />
Viganò continuò a <strong>la</strong>vorare in ospedale e a scrivere. Con l’armistizio scelse, insieme al marito ed<br />
al figlio, di partecipare al<strong>la</strong> lotta partigiana nelle valli di Comacchio e in Romagna, facendo, sino<br />
al<strong>la</strong> Liberazione, di volta in volta l’infermiera, <strong>la</strong> staffetta garibaldina, <strong>la</strong> col<strong>la</strong>boratrice del<strong>la</strong><br />
stampa c<strong>la</strong>ndestina.<br />
VIVODA ALMA<br />
Nata a Chiampore di Muggia (Trieste) il 23 gennaio 1911. Morta a Trieste il 28 giugno 1943,<br />
esercente. Prima Caduta del<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> italiana.<br />
Alma Vivoda, Maria nel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ndestinità, iniziò presto l’attività antifascista, anche perché "La<br />
Tappa" – <strong>la</strong> trattoria di Muggia di proprietà del padre – era diventata punto di riferimento per gli<br />
antifascisti del<strong>la</strong> zona. Dopo che le autorità fasciste imposero <strong>la</strong> chiusura dell’esercizio, Alma e il<br />
marito si dedicarono completamente al<strong>la</strong> lotta per <strong>la</strong> libertà. Affidato ad un collegio di Udine il<br />
figlio Sergio, Alma e Luciano scelsero <strong>la</strong> c<strong>la</strong>ndestinità. Maria divenne una delle dirigenti più attive<br />
dell’organizzazione "Donne Antifasciste", assicurando i collegamenti tra l’antifascismo triestino e<br />
le formazioni partigiane dell’Istria. Fu nel<strong>la</strong> primavera del ’43, che il marito fu arrestato e, per le<br />
sue precarie condizioni di salute, ricoverato. Maria ne organizzò l’evasione. Attenta ai problemi<br />
dell’emancipazione femminile e dell’internazionalismo, Alma promosse <strong>la</strong> diffusione del<strong>la</strong> stampa<br />
c<strong>la</strong>ndestina ed arrivò a curare di persona <strong>la</strong> redazione del foglio "La nuova donna". Anche per<br />
questo Alma fu braccata dal<strong>la</strong> polizia fascista, che aveva posto sul<strong>la</strong> sua testa una taglia di 10.000<br />
lire dell’epoca. Il 28 giugno del '43, durante una missione al<strong>la</strong> Rotonda del Boschetto (Trieste), fu<br />
riconosciuta da un carabiniere. Nello scontro a fuoco che ne seguì, Alma fu ferita al<strong>la</strong> tempia.<br />
Trasportata all’ospedale, vi spirò dopo poche ore, assistita da Pierina Chinchio Postogna, che era<br />
stata catturata insieme a lei. All’indomani del<strong>la</strong> morte di Alma Vivoda, il nome del<strong>la</strong> prima donna