Le donne e la Resistenza - Uil
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Nata a Trieste il 28 settembre 1912. Deceduta a Mi<strong>la</strong>no il 3 luglio 1991, medico radiologo.<br />
Cresciuta in una famiglia del<strong>la</strong> borghesia irredentista triestina, Ada Buffulini fu una delle poche<br />
<strong>donne</strong> italiane, del<strong>la</strong> sua generazione, <strong>la</strong>ureate in Medicina. A Mi<strong>la</strong>no (dove, negli anni 30, si era<br />
trasferita per frequentarvi l’Università) venne in contatto con il movimento antifascista. Proprio<br />
mentre preparava <strong>la</strong> specializzazione, Ada conobbe <strong>Le</strong>lio Basso, segretario del Partito socialista e,<br />
quando fu annunciato l’armistizio, il suo impegno antifascista si fece totale. Progettò e organizzò<br />
un giornale socialista rivolto alle <strong>donne</strong>, “La Compagna”, che uscì per <strong>la</strong> prima volta nel luglio<br />
1944, proprio all’indomani dell’arresto di Ada. La Buffulini rimane due mesi in una cel<strong>la</strong> di San<br />
Vittore senza che, nei quotidiani interrogatori, i nazifascisti riuscissero a strapparle qualche utile<br />
informazione. Due mesi dopo, il trasferimento in autobus al “campo di transito” di Bolzano. <strong>Le</strong>i fu<br />
impiegata come medico, nell’infermeria del campo e ciò le consentì, oltre che a curare i ma<strong>la</strong>ti, di<br />
organizzare un Comitato c<strong>la</strong>ndestino di resistenza, che provvide ad assistere i prigionieri ed a<br />
mantenere i contatti con le loro famiglie. Quando le SS sospettarono che Ada nel campo non si<br />
limitasse a fare il medico, <strong>la</strong> rinchiusero nelle “Celle”, dove fu trattenuta dal<strong>la</strong> metà di febbraio del<br />
1945, sino al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> guerra. Per tre settimane restò a Bolzano, per soccorrere i ma<strong>la</strong>ti rimasti<br />
nell’infermeria del campo, ma anche per contribuire all’organizzazione del Partito socialista nel<strong>la</strong><br />
città. Poi tornò a Mi<strong>la</strong>no.<br />
CABASSA ENRICHETTA<br />
Nata a Parma nel 1916. Morta a Pa<strong>la</strong>nzano (Parma) l’8 marzo 1945, sarta.<br />
Lavorò in una sartoria di Parma, in borgo del Carbone, che il tito<strong>la</strong>re, Giovanni Cordani, trasformò<br />
in un centro di smistamento del<strong>la</strong> stampa antifascista. La donna, che ebbe il marito disperso in<br />
guerra, decise di impegnarsi nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>, anche per contribuire al<strong>la</strong> conclusione del conflitto.<br />
<strong>Le</strong> fu così affidato il compito di staffetta, diventando punto di riferimento del Comando Nord-<br />
Emilia per mantenere i collegamenti con le varie formazioni partigiane. Quando i sospetti dei<br />
fascisti finirono per appuntarsi sul<strong>la</strong> Cabassa, <strong>la</strong> giovane sarta fu mandata in montagna ed<br />
inquadrata nel<strong>la</strong> 143a Brigata Garibaldi "Aldo". "Silvia", così fu conosciuta nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>, si<br />
trovò a Pa<strong>la</strong>nzano, nei locali del<strong>la</strong> Banca di risparmio di Parma, occupati dal Comando di<br />
raggruppamento, quando fu investita dallo scoppio accidentale di una bomba, morendo.<br />
CEVA BIANCA<br />
Nata a Pavia nel 1897. Deceduta a Mi<strong>la</strong>no nel 1982, insegnante e letterata.<br />
Sin dal 1930, nello stesso anno in cui morì in carcere il fratello minore Umberto, Bianca Ceva fu in<br />
contatto con esponenti dell’opposizione democratica al fascismo, da Benedetto Croce a Ferruccio<br />
Parri. Per le sue idee fu allontanata dall’insegnamento nel 1931 e poté tornare a scuo<strong>la</strong> soltanto con<br />
<strong>la</strong> caduta di Mussolini. Pochi mesi dopo Bianca entrò subito nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>, militando nel Partito<br />
d’Azione. Nel dicembre del 1943 <strong>la</strong> professoressa fu arrestata e nell’agosto del 1944 comparve<br />
davanti al Tribunale militare di Mi<strong>la</strong>no, che <strong>la</strong> rinviò al Tribunale Speciale. Ma i giudici fascisti<br />
non riuscirono a condannar<strong>la</strong>. Bianca, infatti, nell’ottobre evase dal carcere e si unì ai partigiani<br />
dell’Oltrepo Pavese, col<strong>la</strong>borando al<strong>la</strong> lotta armata.<br />
CHERCHI ANNA<br />
Nata a Torino il 15 gennaio 1924,. Deceduta a Torino il 7 gennaio 2006.<br />
Già il 7 gennaio del 1944 i tedeschi, assistiti dai fascisti di Salò, avevano bruciato <strong>la</strong> casa dei<br />
Cherchi, che facevano i contadini nelle Langhe. Anna riuscì a fuggire e cominciò <strong>la</strong> sua lotta come<br />
partigiana combattente sino a che il 19 marzo 1944, <strong>la</strong> ragazza, durante un rastrel<strong>la</strong>mento tra Carrù<br />
e Dogliani, fu catturata dai tedeschi. Una notte in una prigione improvvisata, poi, in treno, il<br />
trasferimento a Torino. Per un mese Anna Cherchi fece <strong>la</strong> spo<strong>la</strong> tra l’albergo Nazionale, base delle<br />
SS, e le carceri Nuove. Per un mese, ogni giorno, fu torturata, ma nemmeno con le scariche<br />
elettriche l’ufficiale nazista che <strong>la</strong> interrogava riuscì a far<strong>la</strong> par<strong>la</strong>re. Poi il trasferimento, in carro