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Le donne e la Resistenza - Uil

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Per non dimenticare<br />

“ Ora e sempre <strong>Resistenza</strong> “<br />

Con l’Alto Patrocinio DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA<br />

Patrocinio DEL SENATO DELLA REPUBBLICA<br />

Patrocinio DELLA CAMERA DEI DEPUTATI<br />

Patrocinio DEL CONSIGLIO DELLA REGIONE LAZIO<br />

ROMA, 23 aprile 2007 – ore 9.00- Camera dei Deputati, Sa<strong>la</strong> delle Conferenze Pa<strong>la</strong>zzo Marini –( Via<br />

del Pozzetto )


Presentazione<br />

Abbiamo voluto raccogliere e presentare alcuni aspetti significativi del contributo fornito dalle<br />

<strong>donne</strong> al<strong>la</strong> lotta di Liberazione, accompagnati da una parziale documentazione, ma in grado di<br />

fornire un quadro sufficientemente rappresentativo del contesto nel quale l’impegno delle <strong>donne</strong> si è<br />

sviluppato.<br />

Una sintesi per stimo<strong>la</strong>re una migliore e maggiore conoscenza dello spaccato femminile, in quello<br />

che è stato il periodo fondamentale per il riscatto e <strong>la</strong> rinascita del nostro Paese, ripercorrendo<br />

vicende, nel<strong>la</strong> stragrande maggioranza poco conosciute e ingiustamente relegate come apporto<br />

secondario fornito dalle <strong>donne</strong> durante il regime e nel<strong>la</strong> lotta per abbatterlo.<br />

Il nostro è un tentativo volto anche a valorizzare e sostenere, condividendone le finalità e l’azione,<br />

<strong>la</strong> meritoria opera che le associazioni partigiane, quelle dei deportati, quelle dei perseguitati politici,<br />

dei muti<strong>la</strong>ti ed invalidi dal<strong>la</strong> riconquistata libertà stanno continuamente portando avanti per non far<br />

dimenticare quanti hanno lottato, pagando caro il loro generoso sacrificio, per <strong>la</strong> libertà e <strong>la</strong><br />

democrazia, consentendone a tutti noi oggi di poterne beneficiare. Vorremmo che <strong>la</strong> nostra ricerca<br />

basata sul loro materiale riuscisse ad essere d’esempio per attivarne molte altre, in modo da<br />

al<strong>la</strong>rgare l’area del<strong>la</strong> conoscenza e come diceva spesso Sandro Pertini “gli anziani ricordino e i<br />

giovani sappiano” per divenire un inesauribile motore di trasmissione del<strong>la</strong> memoria.<br />

Uniamo, quindi, alle situazioni e avvenimenti che hanno riguardato le persone, altre notizie di utilità<br />

di ricerca: una bibliografia riguardante quasi esclusivamente l’impegno delle <strong>donne</strong> e di quanti sono<br />

stati i difensori dei valori che hanno accompagnato tutto questo periodo storico e da questi<br />

protagonisti consegnato al<strong>la</strong> storia; una serie di fotografie che testimoniano il sacrificio e l’impegno<br />

che quel<strong>la</strong> generazione ha dovuto affrontare per <strong>la</strong> lotta per <strong>la</strong> libertà.<br />

Per <strong>la</strong> nostra storia diviene di partico<strong>la</strong>re importanza evidenziare il fatto come e quanto le <strong>donne</strong><br />

non siano state protagoniste solo quando hanno combattuto in prima linea, ma anche quando come<br />

madri, mogli, figlie e nonne hanno dato il loro sostegno al<strong>la</strong> lotta antifascista e contro l’oppressore<br />

nazista. Basta leggere le toccanti lettere che i condannati a morte hanno scritto alle persone più care<br />

per rilevare che queste sono state, in prevalenza, destinate alle <strong>donne</strong> del<strong>la</strong> famiglia, non solo per<br />

l’affetto che evidentemente li legava, ma soprattutto quale riconoscimento del ruolo e del<strong>la</strong> forza<br />

che per i loro uomini esse rappresentavano.<br />

La donna nel<strong>la</strong> vita quotidiana sotto il fascismo, e più ancora nel periodo bellico, ha combattuto le<br />

privazioni, con le difficoltà del<strong>la</strong> gestione dei figli e del<strong>la</strong> casa, il dover essere spesso<br />

contemporaneamente madre, moglie, sorel<strong>la</strong>, compagna di lotta, il dover far fronte ai soprusi e ai<br />

tentativi di sfruttamento dei piccoli o grandi ras del regime. La donna a casa come in guerra, nel<strong>la</strong><br />

<strong>Resistenza</strong> o nel<strong>la</strong> solitudine di una resistenza personale o familiare, sui posti di <strong>la</strong>voro, affrontando<br />

i pericoli, dell’essere staffetta, infermiera, impegnata nei GAP, nelle SAP, nelle GDD o in<br />

montagna nel<strong>la</strong> lotta armata, oppure organizzando scioperi contro <strong>la</strong> guerra e per il reperimento


degli alimenti, vivendo le dure privazioni del carcere, delle torture, pagando con le deportazioni<br />

fino all’estremo sacrificio.<br />

A tutte loro, alle 35.000 partigiane riconosciute, alle 20.000 patriote, alle 70.000 facenti parte dei<br />

Gruppi di Difesa del<strong>la</strong> Donna, alle 4653 arrestate e torturate, alle 2750 deportate, alle 2900 fuci<strong>la</strong>te<br />

o cadute in combattimento, alle centinaia di migliaia che in silenzio hanno sofferto, pagato e<br />

contribuito al<strong>la</strong> vittoria sul<strong>la</strong> barbarie del<strong>la</strong> dittatura fascista e dell’occupazione nazista, avremmo<br />

voluto dedicare uno spazio, ma purtroppo non è stato possibile; dunque, <strong>la</strong> testimonianza di poche<br />

valga per tutte, a cui dedichiamo - con profondo rispetto, riconoscimento e gratitudine - questo<br />

nostro <strong>la</strong>voro, parte integrante del convegno che abbiamo contribuito a realizzare.<br />

Per le fotografie, i documenti e le informazioni contenute nel testo, essendo questa testimonianza<br />

una memoria condivisa, una memoria del Paese, che è patrimonio di tutti, si è deciso di non citare<br />

nello specifico le fonti.<br />

Roma 23 aprile 2007<br />

La presente pubblicazione è stata curata da Paolo Saija<br />

L’Istituto di Studi Sindacali UIL


Con l’Alto Patrocinio DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA<br />

Patrocinio DEL SENATO DELLA REPUBBLICA<br />

Patrocinio DELLA CAMERA DEI DEPUTATI<br />

Patrocinio DEL CONSIGLIO DELLA REGIONE LAZIO<br />

Ore 8,30 Registrazione partecipanti<br />

Ore 9,00 Apertura <strong>la</strong>vori<br />

Presiede<br />

Gianni SALVARANI<br />

Vice Presidente Istituto Studi Sindacali UIL<br />

Ore 9,15 Interventi di saluto:<br />

Carlo LEONI<br />

Vice Presidente Camera dei Deputati<br />

Donatel<strong>la</strong> LINGUITI<br />

Sottosegretaria al Ministero per i diritti e le pari<br />

opportunità<br />

Rosa RINALDI<br />

Sottosegretaria al Ministero del <strong>la</strong>voro<br />

Massimo PINESCHI<br />

Presidente del Consiglio del<strong>la</strong> Regione Lazio<br />

Ore 10,45 Interventi di<br />

Giuliano VASSALLI<br />

Presidente Emerito del<strong>la</strong> Corte Costituzionale<br />

Piero BONI<br />

Partigiano, Medaglia d’Argento al Valor Militare<br />

Antonio LANDOLFI<br />

Storico, Vice Presidente dell’ANPPIA<br />

Cinzia DATO<br />

Deputata, componente dell’OSCE<br />

Vittoria FRANCO<br />

Senatrice, Presidente dell’Associazione Nazionale<br />

Gramsci<br />

Ore 12,30 Testimonianze di:<br />

Tina ANSELMI<br />

Ex Ministra, staffetta partigiana<br />

Vera MICHELIN SALOMON<br />

Deportata, Vice Presidente ANED -Lazio<br />

Marisa OMBRA<br />

Staffetta partigiana<br />

Ore 13,00 Conclusioni di:<br />

Nirvana NISI<br />

Segretaria Confederale UIL<br />

Nel corso del convegno saranno lette dagli attori<br />

Marisa Marisa Marisa Solinas Solinas e <strong>Le</strong>a <strong>Le</strong>andro <strong>Le</strong>a<br />

ndro Amato<br />

le motivazioni con le quali sono state insignite di medaglia d’oro<br />

le 19 <strong>donne</strong> che hanno eroicamente combattuto nel<strong>la</strong> resistenza


ROMA, 23 aprile 2007 – ore 9.00- Camera dei Deputati, Sa<strong>la</strong> delle Conferenze Pa<strong>la</strong>zzo Marini –( Via del Pozzetto )<br />

IL SACRIFICIO DELLE NONNE, DELLE MADRI, DELLE SORELLE, DELLE SPOSE<br />

E DELLE FIGLIE DURANTE IL FASCISMO, LA GUERRA E LA RESISTENZA E’<br />

STATO QUELLO PAGATO PIU’ A CARO PREZZO, SPESSO SOFFERTO IN<br />

SILENZIO E SEMPRE DONANDO, CON LA GENEROSITA’ DI CUI SOLO UNA<br />

DONNA PUO’ ESSERE CAPACE, AI FAMILIARI E AGLI ALTRI, TUTTO L’AMORE E<br />

L’OPERA CHE, PER IL RUOLO RICOPERTO IN CASA E NELLA SOCIETA’,<br />

VENIVANO CHIAMATE AD ESERCITARE. UN SACRIFICIO CHE E’ STATO<br />

TROPPO SPESSO SOTTOVALUTATO, POSTO SEMPRE IN SECONDO PIANO<br />

RISPETTO A QUELLO DEGLI UOMINI E SOPRATTUTTO MAL RICOMPENSATO,<br />

COME SE LE RESPONSABILITA’ E I DOLORI PROVATI DALLE DONNE FOSSERO<br />

INFERIORI.<br />

NELL’ANNO EUROPEO DELLE PARI OPPORTUNITA’ E IN OCCASIONE<br />

DELL’ANNIVERSARIO DEL 25 APRILE LA UIL, L’ISTITUTO DI STUDI SINDACALI<br />

E IN PARTICOLARE IL COORDINAMENTO FEMMINILE DELL’ORGANIZZAZIONE<br />

HANNO VOLUTO CONTRIBUIRE A MANTENERE VIVA LA MEMORIA DEI TANTI<br />

SACRIFICI COMPIUTI DA MILIONI DI DONNE.<br />

PER RAGIONI DI SICUREZZA L’INGRESSO IN SALA SARA’ CONSENTITO SOLO ALLE<br />

PERSONE CHE AVRANNO ANTICIPATAMENTE CHIESTO DI ESSERE INSERITI<br />

NELL’ELENCO DEI PARTECIPANTI DEPOSITATO AL VARCO DI CONTROLLO.<br />

PER GLI UOMINI E’ OBBLIGATORIA GIACCA E CRAVATTA,<br />

LE OPERAZIONI DI REGISTRAZIONE AVRANNO INIZIO ALLE ORE 8,30<br />

PREGASI CONFERMARE LA PARTECIPAZIONE ENTRO<br />

MERCOLEDI 18 APRILE P.V.<br />

ALLA SEGRETERIA DEL CONVEGNO<br />

UIL VIA LUCULLO 6 - 00187 ROMA - TELEFONI 064753279 - 064753398 FAX 064753376<br />

e-mail: polcittadinanza@uil.it


19 MEDAGLIE D’ORO AL VALOR MILITARE<br />

ALLE DONNE PARTIGIANE<br />

(motivazioni e profili biografici)<br />

Bandiera Irma, n. 1915 Bologna. Partigiana combattente.<br />

Prima fra le <strong>donne</strong> bolognesi a impugnare le armi per <strong>la</strong> lotta nel nome del<strong>la</strong> libertà, si<br />

batté sempre con leonino coraggio. Catturata in combattimento dalle SS. tedesche, sottoposta a<br />

feroci torture, non disse una paro<strong>la</strong> che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata<br />

accecata fu barbaramente trucidata e il corpo <strong>la</strong>sciato sul<strong>la</strong> pubblica via. Eroina purissima degna<br />

delle virtù delle italiche <strong>donne</strong>, fu faro luminoso di tutti i patrioti bolognesi nel<strong>la</strong> guerra di<br />

liberazione.<br />

Meloncello, 14 agosto 1944.


Nata da famiglia benestante ed educata ad alti sentimenti patriottici, dopo l’8 settembre 1943 entrò a<br />

far parte delle organizzazioni c<strong>la</strong>ndestine del<strong>la</strong> Div. Partigiani “Bologna”, VII Brig. G.A.P.<br />

“Gianni”, ove assunse lo pseudonimo di “Mimma” e il compito di staffetta. Il 4 agosto 1944 venne<br />

arrestata nello svolgimento di una missione che le era stata affidata. Dopo nove giorni di torture e<br />

sevizie per indur<strong>la</strong> a sve<strong>la</strong>re i nomi dei compagni di lotta e gli scopi del<strong>la</strong> azione venne fuci<strong>la</strong>ta<br />

proprio nei pressi del<strong>la</strong> sua abitazione.<br />

Bedeschi Ines, n. 1914 Conselice (Ravenna). Partigiana combattente.<br />

Spinta da un ardente amor di Patria, entrava all'armistizio nelle formazioni partigiane<br />

operanti nel<strong>la</strong> sua zona, subito distinguendosi per elevato spirito e intelligente iniziativa. Assunti i<br />

compiti di staffetta, portava a termine le delicate missioni affidatele incurante dei rischi e pericoli<br />

cui andava incontro e del<strong>la</strong> assidua sorveglianza del nemico. Scoperta, arrestata e barbaramente<br />

torturata, preferiva il supremo sacrificio anziché tradire i suoi compagni di lotta.<br />

Nord Emilia (Parma) - Riva del Po (Parma), 1° ottobre 1943 - 28 marzo<br />

1945.<br />

Nata da famiglia di agricoltori, si dedicò ai <strong>la</strong>vori dei campi al<br />

termine delle c<strong>la</strong>ssi elementari. Dopo gli avvenimenti succeduti<br />

all’armistizio dell’8 settembre 1943, <strong>la</strong> sua casa ospitò i maggiori esponenti<br />

del<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> e ne divenne <strong>la</strong> staffetta, recando ordini, disposizioni ed<br />

armi alle formazioni partigiane operanti nel<strong>la</strong> Romagna e nel parmense.<br />

Bianchi Livia, n. 1919 Me<strong>la</strong>ra (Rovigo). Partigiana combattente.<br />

Nel settembre 1943, accorreva con animo ardente nelle file dei partigiani, trasfondendo nei<br />

compagni di lotta il fuoco del<strong>la</strong> sua fede purissima per <strong>la</strong> difesa del sacro suolo del<strong>la</strong> Patria<br />

oppressa. Volontariamente si offriva per guidare in ardita ricognizione attraverso <strong>la</strong> impervia<br />

montagna una pattuglia che, scontratasi con un grosso reparto nemico impegnava dura lotta, cui<br />

essa, virilmente impugnando le armi, partecipava con leonino valore, fino ad esaurimento delle<br />

munizioni. Insieme ai compagni veniva catturata e sottoposta ad interrogatori e sevizie, che non<br />

piegarono <strong>la</strong> loro fede. Condannati al<strong>la</strong> fuci<strong>la</strong>zione lei veniva graziata, ma fieramente rifiutava per<br />

essere unita ai compagni anche nel supremo sacrificio. Cadde sotto il piombo nemico unendo il suo<br />

olocausto alle luminose tradizioni di patriottismo nei secoli fornite dalle <strong>donne</strong> d'Italia.<br />

Cima Valsolda, settembre 1943 - gennaio 1945.<br />

Umile donna di casa, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 volle partecipare attivamente<br />

al<strong>la</strong> lotta c<strong>la</strong>ndestina. Nel<strong>la</strong> formazione partigiana “Ugo Ricci”, operante sulle montagne del<strong>la</strong> zona<br />

del Lario, col nome di battaglia “Franca” fu portaordini e combattente. Il 21 gennaio 1945, dopo un<br />

violento combattimento, rifugiatasi con altri compagni di lotta in una casa di Cima di Porlezza fu<br />

con essi costretta al<strong>la</strong> resa con <strong>la</strong> promessa di avere salva <strong>la</strong> vita. I prigionieri furono invece condotti<br />

al cimitero locale e schierati contro il muro di cinta vennero falciati dalle armi automatiche. La<br />

partigiana “Franca”, rifiutò <strong>la</strong> salvezza che le veniva offerta e si unì <strong>la</strong> gruppo dei condannati, nel<br />

supremo sacrificio del<strong>la</strong> vita.<br />

Borellini Gina, n. 1919 San Possidonio (Modena). Partigiana combattente.<br />

Giovane sposa, fin dai primi giorni dedicava tutta se stessa al<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> liberazione<br />

d'Italia, rifugiando militari sbandati e ricercati e aiutandoli nel sottrarsi al servizio con i tedeschi,<br />

staffetta instancabile ed audacissima, trasportava armi, diffondeva opuscoli di propaganda,


comunicava ordini, sempre incurante del grave pericolo cui si esponeva. Arrestata col marito,<br />

resisteva alle più atroci torture senza dire una paro<strong>la</strong> sui suoi compagni di lotta. Tre volte condotta<br />

davanti al plotone di esecuzione assieme al suo consorte, continuava a tacere. Inopinatamente<br />

ri<strong>la</strong>sciata, rifiutava di nascondersi in montagna per essere più vicina al marito tuttora detenuto.<br />

Fuci<strong>la</strong>to questo, arrestatole un fratello, raggiunse una formazione partigiana con <strong>la</strong> quale<br />

affrontava rischi e disagi inenarrabili e non esitava ad impugnare le armi dando frequenti e<br />

luminose prove di virile coraggio. Sorpresa <strong>la</strong> sua formazione dalle Brigate Nere, gravemente<br />

ferita ad una gamba nel<strong>la</strong> disperata eroica resistenza, non permetteva ai suoi compagni di<br />

soccorrer/a, so<strong>la</strong> riusciva a frenare <strong>la</strong> copiosa emorragia e, traendo coraggio dal pensiero dei<br />

propri figli, si sottraeva alle ricerche nemiche. Nell’ospedale di Carpi, individuata dal<strong>la</strong> polizia<br />

fascista subisce, sebbene già in gravissime condizioni, estenuanti interrogatori, ma tace<br />

incrol<strong>la</strong>bile nel<strong>la</strong> decisione eroica. Amputatale <strong>la</strong> gamba, l'insurrezione <strong>la</strong> sottrae al<strong>la</strong> vendetta del<br />

nemico fuggente. Fulgido esempio di sacrificio e di eroismo.<br />

Modenese, 8 settembre 1943 - aprile 1945.<br />

Modesta e <strong>la</strong>boriosa donna di casa, dopo l’8 settembre 1943 si dedicò col<br />

marito e con i fratelli al<strong>la</strong> lotta partigiana. Svolse in un primo tempo <strong>la</strong><br />

pericolosa missione di staffetta; poi fu una delle più capaci organizzatrici dei<br />

“Gruppi di difesa del<strong>la</strong> donna” incaricati di rifornire le formazioni partigiane<br />

di viveri, medicinali e vestiario. Arrestata col marito e torturata, assieme a lui<br />

resisteva senza dire una paro<strong>la</strong> sui suoi compagni di lotta. Dopo <strong>la</strong> fuci<strong>la</strong>zione<br />

del marito avvenuta il 19 marzo 1945 non esitò ad impugnare le armi<br />

entrando coraggiosamente nelle formazioni gappiste.<br />

Appartenente al<strong>la</strong> Brig. “Remo” come ispettrice e con <strong>la</strong> qualifica gerarchica di capitano, fu ferita<br />

nel combattimento di S. Possidonio da pallotto<strong>la</strong> esplosiva il 12 aprile 1945 e subì l'amputazione<br />

del<strong>la</strong> gamba sinistra. La muti<strong>la</strong>zione e <strong>la</strong> perdita del compagno non intaccarono il suo forte animo.<br />

Subito dopo <strong>la</strong> liberazione organizzò il movimento democratico femminile (VDI) a Concordia e fu<br />

animatrice di ogni azione per il miglioramento delle condizioni economiche e per <strong>la</strong> emancipazione<br />

del<strong>la</strong> donna. Eletta Deputato al Par<strong>la</strong>mento per <strong>la</strong> I, II e III legis<strong>la</strong>tura del<strong>la</strong> Repubblica, <strong>la</strong> sua<br />

attività par<strong>la</strong>mentare fu rivolta partico<strong>la</strong>rmente, al<strong>la</strong> soluzione dei problemi dei combattenti, fra cui<br />

quelli dei muti<strong>la</strong>ti ed invalidi di guerra, partigiani e congiunti dei Caduti in guerra o per causa di<br />

guerra. Ha ricoperto <strong>la</strong> carica di Consigliere ai Comuni di Concordia e di Sassuolo, nonché quel<strong>la</strong> di<br />

Consigliere al<strong>la</strong> Provincia di Modena. È stata Presidente del<strong>la</strong> Associazione Nazionale Muti<strong>la</strong>ti ed<br />

Invalidi di guerra del<strong>la</strong> Sezione di Modena e Membro del Comitato Centrale del<strong>la</strong> stessa. Risiedeva<br />

a Modena.<br />

Capponi Car<strong>la</strong>, n. 1921 Roma. Partigiana combattente.<br />

Partigiana volontaria ascriveva a sé l’onore delle più eroiche imprese nel<strong>la</strong><br />

caccia senza quartiere che il suo gruppo d’avanguardia dava al nemico<br />

annidato nel<strong>la</strong> cerchia dell’abitato del<strong>la</strong> città di Roma. Con le armi in<br />

pugno, prima fra le prime, partecipava a diecine di azioni distinguendosi in<br />

modo superbo per <strong>la</strong> fredda decisione contro l’avversario e per spirito di<br />

sacrificio verso i compagni in pericolo. Nominata vice comandante di una<br />

formazione<br />

partigiana guidava audacemente i compagni nel<strong>la</strong> lotta cruenta, sgominando ovunque il nemico e<br />

destando attonito stupore nel popolo ammirato da tanto ardimento. Amma<strong>la</strong>tasi di grave morbo<br />

contratto nel<strong>la</strong> dura vita partigiana non volle desistere nel<strong>la</strong> sua azione fino a fondo impegnata per<br />

il riscatto delle concusse libertà. Mirabile esempio di civili e militari virtù del tutto degna delle<br />

tradizioni di eroismo femminile del Risorgimento italiano.<br />

Roma, 8 settembre 1943 - 6 giugno 1944.


Iscritta al<strong>la</strong> facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma, dopo l’armistizio dell’8<br />

settembre 1943 si dedicò attivamente al<strong>la</strong> lotta c<strong>la</strong>ndestina di resistenza. Nelle formazioni “G.A.P.”,<br />

col nome di battaglia “Elena”, fu vicecomandante di una formazione partigiana operante in Roma e<br />

nel<strong>la</strong> provincia, a Valmontone, a Zagarolo e a Palestrina. Organizzatrice di numerosi atti di<br />

sabotaggio, fra i quali l’incendio nell’interno del<strong>la</strong> città di un autotreno carico di carburante<br />

destinato a Cassino, partecipò il 23 marzo 1944 all’attentato di via Rasel<strong>la</strong> contro una formazione<br />

militare tedesca. Fu eletta nel 1953 deputato al Par<strong>la</strong>mento per <strong>la</strong> 2ª legis<strong>la</strong>tura repubblicana per <strong>la</strong><br />

circoscrizione di Roma, Viterbo, Latina, Frosinone. Risiedeva a Roma.<br />

Deganutti Cecilia, n. 1914 Udine. Infermiera volontaria del<strong>la</strong> C.R.I., partigiana combattente.<br />

Valorosa crocerossina, consapevole e cosciente delle tragiche ore attraversate dal<strong>la</strong> Patria<br />

invasa prendeva immediatamente <strong>la</strong> via del dovere e dava, in terra Friu<strong>la</strong>na, <strong>la</strong> sua entusiastica<br />

attività al movimento del<strong>la</strong> liberazione contro l’oppressione nemica.In lunghissimi mesi di lotta<br />

senza quartiere, nel<strong>la</strong> volontaria diuturna feconda ed appassionata fatica metteva in luce tutta <strong>la</strong><br />

sua purissima fede e dava ripetute prove dei sentimenti più nobili e delle virtù militari più salde.<br />

Individuata dal nemico ed esortata a porsi in salvo preferiva continuare a svolgere <strong>la</strong> sua<br />

multiforme attività patriottica finché veniva arrestata. Sottoposta a numerosi snervanti<br />

interrogatori e a ripetute torture per costringer<strong>la</strong> a sve<strong>la</strong>re le fi<strong>la</strong> dell’organizzazione c<strong>la</strong>ndestina<br />

che l’avversario sapeva a lei ben note, opponeva sempre un netto e deciso rifiuto anche quando i<br />

maltrattamenti superarono ogni limite di umana sopportazione. Non una paro<strong>la</strong> usciva così dalle<br />

sue <strong>la</strong>bbra. Condotta al supremo sacrificio, l’affrontava con <strong>la</strong> calma dei forti dando mirabile<br />

esempio del come <strong>la</strong> gente Friu<strong>la</strong>na sa servire <strong>la</strong> Patria e per Essa morire.<br />

Zona d’operazione, giugno 1944 - aprile 1945.<br />

Insegnante elementare a Castione di Strada dal 194, frequentò i corsi di infermiera<br />

volontaria del<strong>la</strong> C.R.I. presso il Comitato provinciale di Udine e prestò per qualche tempo servizio<br />

nell’ospedale civile e in quello militare di Udine. Trasferita al posto di soccorso ferroviario, ivi si<br />

trovava nel settembre 1943 quando militari e civili italiani venivano caricati nei carri bestiame e<br />

deportati in Germania. <strong>Le</strong> dolorose scene alle quali assistette <strong>la</strong> spinsero a partecipare al<strong>la</strong> lotta di<br />

resistenza e divenne partigiana. Affiancatasi al gruppo di assistenza ai feriti, disimpegnò anche<br />

opera di collegamento col<strong>la</strong>borando attivamente con i radiotelegrafisti del<strong>la</strong> Missione alleata.<br />

Arrestata il 6 gennaio 1945 ad Udine sotto l’accusa di spionaggio e favoreggiamento del nemico, fu<br />

fuci<strong>la</strong>ta a Trieste il 4 aprile successivo.<br />

Degli Esposti Gabriel<strong>la</strong> in Reverberi, n. 1912 Crespel<strong>la</strong>no (Bologna). Partigiana combattente.<br />

Due tenere figliolette, l’attesa di una terza, non le impedirono di dedicarsi con tutto lo<br />

s<strong>la</strong>ncio del<strong>la</strong> sua bel<strong>la</strong> anima al<strong>la</strong> guerra di liberazione. In quindici mesi di lotta senza quartiere si<br />

dimostrava instancabile ed audacissima combattente, facendo del<strong>la</strong> sua casa una base avanzata<br />

delle formazioni partigiane, eseguendo personalmente numerosi atti di sabotaggio e<br />

contribuendo a<strong>la</strong>cremente al<strong>la</strong> diffusione del<strong>la</strong> stampa c<strong>la</strong>ndestina. Accortasi di un rastrel<strong>la</strong>mento,<br />

riusciva ad allontanare gli sgherri dal<strong>la</strong> propria casa per breve tempo e, incurante del<strong>la</strong> propria<br />

salvezza, metteva al sicuro le figliole ed occultava armi e documenti compromettenti. Catturata, fu<br />

sottoposta alle torture più atroci per indur<strong>la</strong> a par<strong>la</strong>re, le furono strappati i seni e cavati gli occhi,<br />

ma el<strong>la</strong> resistette imperterrita allo strazio atroce senza dir motto. Dopo dura prigionia, con le carni<br />

straziate, ma non piegata nello spirito fiero, dopo aver assistito all’esecuzione di dieci suoi<br />

compagni, affrontava il plotone di esecuzione con il sorriso sulle <strong>la</strong>bbra e cadeva invocando<br />

un‘ultima volta l’Italia adorata. <strong>Le</strong>ggendaria figura di eroina e di martire.


Castelfranco Emilia, 17 dicembre 1944.<br />

Appartenente a modesta famiglia di <strong>la</strong>voratori, originaria del<strong>la</strong> frazione di Calcara del<br />

comune di Crespel<strong>la</strong>no, dopo l’8 settembre 1943 diede ogni sua attività al<strong>la</strong> lotta c<strong>la</strong>ndestina.<br />

Staffetta partigiana con <strong>la</strong> qualifica di tenente, prestò servizio in una formazione facente capo al<strong>la</strong><br />

Div. “Walter Trabucchi Modena”.<br />

Del Din Pao<strong>la</strong>, n. 1923 Pieve di Cadore (Belluno). Partigiana combattente.<br />

Dopo aver svolto intensa attività partigiana nel Friuli nel<strong>la</strong> formazione comandata dal<br />

fratello, ad avvenuta morte di questi in combattimento, viene prescelta per portare al Sud<br />

importanti documenti operativi interessanti il Comando alleato. Oltrepassate a piedi le linee di<br />

combattimento dopo non poche peripezie e con continuo rischio del<strong>la</strong> propria vita ed ultimata <strong>la</strong><br />

sua missione, chiedeva di frequentare un corso di paracadutisti. Dopo aver compiuto ben undici<br />

voli di guerra in circostanze fortunose, riusciva finalmente, unica donna in Italia, a <strong>la</strong>nciarsi col<br />

paracadute nel cielo del Friuli al<strong>la</strong> vigilia del<strong>la</strong> liberazione. Nel corso dell'atterraggio riportava<br />

una frattura al<strong>la</strong> caviglia ed una torsione al<strong>la</strong> spina dorsale, ma nonostante il dolore <strong>la</strong>ncinante, <strong>la</strong><br />

sua unica preoccupazione era di prendere subito contatto con <strong>la</strong> Missione alleata nel<strong>la</strong> zona per<br />

consegnarle i documenti che aveva portato con sé. Negli ultimi giorni di guerra, benché<br />

c<strong>la</strong>udicante, passava ancora ripetutamente le linee di combattimento per recapitare informazioni ai<br />

reparti alleati avanzanti. Bellissima figura di partigiana seppe in ogni circostanza assolvere con<br />

rara capacità e virile ardimento i compiti affidatile, dimostrando sempre elevato spirito di<br />

sacrificio e sconfinata dedizione al<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> libertà.<br />

Zona di operazione, settembre 1943 - aprile 1945.<br />

Figlia di ufficiale degli alpini combattente<br />

del<strong>la</strong> prima e del<strong>la</strong> seconda guerra mondiale e<br />

sorel<strong>la</strong> di Renato caduto a Tolmezzo il 25 aprile<br />

1944 e decorato del<strong>la</strong> M.O. al V.M. al<strong>la</strong> memoria,<br />

consegui <strong>la</strong> maturità c<strong>la</strong>ssica nel Liceo di Udine e si<br />

<strong>la</strong>ureò in lettere presso l'Università di Padova nel<br />

1945. Dopo l'8 settembre 1943 dedicò <strong>la</strong> sua<br />

attività al<strong>la</strong> lotta partigiana. Alle dipendenze del<br />

fratello comandante del<strong>la</strong> “Prima banda di<br />

montagna” del Gruppo Divisioni d'assalto<br />

“Osoppo-Friuli”, allora in formazione, disimpegnò<br />

le funzioni di staffetta rendendo preziosi servizi<br />

anche nel campo informativo. Vincitrice di una borsa di studio, frequentò dal 1951 al 1953<br />

l'Università di Pennsylvania in America conseguendo il titolo di “Master of Arts”. Insegnante di<br />

lettere ad Udine nelle scuole medie. Risiede a Udine.<br />

Enriques Anna Maria, n. 1907 Bologna. Partigiana combattente.<br />

Immemore dei propri dolori, ricordò solo quelli del<strong>la</strong> Patria; e nei pericoli e nelle ansie del<strong>la</strong> lotta<br />

c<strong>la</strong>ndestina ricercò senza tregua i fratelli da confortare con <strong>la</strong> tenerezza degli affetti e da fortificare<br />

con <strong>la</strong> fermezza di un eroico aposto<strong>la</strong>to. Imprigionata dagli sgherri tedeschi per lunghi giorni,<br />

superò con <strong>la</strong> invitta forza dell’animo <strong>la</strong> furia dei suoi torturatori che non ottennero da quel<br />

giovane corpo straziato una so<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> rive<strong>la</strong>trice. Tratta dopo un mese dal carcere delle Murale,<br />

il giorno 12 giugno 1944, sul greto del Mugnone, in mezzo ad un gruppo di patrioti, cadeva uccisa<br />

da una raffica di mitragliatrice: indimenticabile esempio di valore e di sacrificio.<br />

Firenze, 15 maggio - 12 giugno 1944.


Laureata in lettere nel 1930, ed assunta come archivista negli Archivi di<br />

Stato fu a Firenze dal 1932 al 1939. Allontanata dall’ufficio per ragioni razziali,<br />

trovò rifugio in Vaticano dove venne impiegata nell’archivio di quel<strong>la</strong> Biblioteca.<br />

Propagandista animosa, organizzò i primi gruppi di resistenza politica del Partito<br />

Democratico Cristiano, a Roma e poi a Firenze, quando nel 1943 raggiunse <strong>la</strong><br />

famiglia colà residente. A lei fecero capo, dopo l’armistizio, le organizzazioni<br />

partigiane del livornese, del<strong>la</strong> Lucchesia, del<strong>la</strong> Val d’Orcia e del<strong>la</strong> Val di Chiana e<br />

servì di tramite per <strong>la</strong> trasmissione di notizie politiche e militari ai comandi alleati.<br />

Si prodigò, inoltre, a favore di ebrei e ricercati politici. Pubblicò vari saggi sul<strong>la</strong> paleografia e su<br />

argomenti di storia medioevale.<br />

Lorenzoni Maria Assunta (Tina), n. 1918 Macerata. Crocerossina, partigiana combattente.<br />

Purissima patriota del<strong>la</strong> Brigata "V", martire del<strong>la</strong> fede italiana, compì sempre più del suo<br />

dovere. Crocerossina e intelligente informatrice, angelo conso<strong>la</strong>tore fra i feriti, esempio e sprone ai<br />

combattenti, prestò sempre preziosi servizi al<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> liberazione d'Italia. Allo scopo di<br />

alleviare le perdite del<strong>la</strong> Brigata, già duramente provata ed assottigliata nel corso delle precedenti<br />

azioni, onde rendere possibile una difficile avanzata, volle recarsi al di là del<strong>la</strong> linea del fuoco per<br />

scoprire e rilevare le posizioni nemiche. Il compito volontariamente ed entusiasticamente assuntosi,<br />

già altre volte portato felicemente a termine, <strong>la</strong> condusse verso <strong>la</strong> cattura e verso <strong>la</strong> morte.<br />

Gloriosa eroina d'Italia, sicura garanzia del<strong>la</strong> rinascita nazionale.<br />

Firenze, Via Bolognese, 21 agosto 1944.<br />

Figlia del Segretario generale dell'Istituto internazionale<br />

di agricoltura e Ordinario di economia politica nel<strong>la</strong><br />

Università di Firenze, al<strong>la</strong> dichiarazione del<strong>la</strong> seconda<br />

guerra mondiale era <strong>la</strong>ureanda nel<strong>la</strong> facoltà di Magistero.<br />

Crocerossina durante <strong>la</strong> guerra, dopo l’8 settembre 1943<br />

entrò a far parte di uno dei gruppi del<strong>la</strong> resistenza<br />

operanti a Firenze che si fusero poi nel<strong>la</strong> Brig. “V”,<br />

costituitasi e mantenutasi apolitica fino allo scioglimento,<br />

avvenuto nel settembre 1944. Conosciuta nell'ufficio<br />

informazioni del<strong>la</strong> Brig. con 1ª sig<strong>la</strong> “S.C. 28”, prese<br />

parte al<strong>la</strong> organizzazione di altri gruppi di informazione a Mi<strong>la</strong>no e in altre località del Nord,<br />

facilitando l'espatrio a numerosi ebrei e perseguitati politici. Durante i combattimenti svoltisi per<br />

<strong>la</strong> liberazione di Firenze nell'estate del 1944, dopo avere più volte oltrepassate le linee nemiche<br />

al di là del Mugnone e dell'Arno, veniva arrestata in un ulteriore tentativo per raccogliere<br />

preziose notizie per gli alleati. Rinchiusa in una cantina del<strong>la</strong> vil<strong>la</strong> Cisterna, cadde l'indomani,<br />

sotto una raffica di mitra tedesco in un tentativo di fuga durante l'interrogatorio.<br />

Marchiani Irma, n. 1911 Firenze. Partigiana combattente.<br />

Valorosa partigiana animata da grande ardimento, dopo essersi distinta per coraggio e sprezzo<br />

del pericolo nel<strong>la</strong> battaglia di Montefiorino, veniva catturata dal nemico nel generoso tentativo<br />

di far ricoverare in luogo di cura un compagno gravemente ferito. Condannata al<strong>la</strong><br />

deportazione e riuscita audacemente ad evadere, riprendeva il suo posto di lotta e partecipava<br />

ai combattimenti di Benedello battendosi con indomito coraggio e prodigandosi nel<strong>la</strong> amorosa<br />

assistenza ai feriti. Caduta nuovamente nelle mani del nemico, affrontava impavida <strong>la</strong> morte,<br />

offrendo fieramente il petto al piombo che troncava <strong>la</strong> sua balda esistenza. Pavullo nel<br />

Frignano, 26 novembre 1944.


Ricamatrice e modista si interessò anche di pittura, <strong>la</strong>sciando buone prove come<br />

ritrattista e miniaturista. L’8 settembre 1943 trovavasi nel<strong>la</strong> zona del Frignano per motivi<br />

di salute, tuttavia partecipò al<strong>la</strong> lotta c<strong>la</strong>ndestina di resistenza nelle formazioni partigiane<br />

come staffetta ed informatrice, dai primi mesi del 1944. Dal maggio successivo entrò a far<br />

parte definitivamente del<strong>la</strong> Brig. “Roveda” del<strong>la</strong> Div. “Modena”. <strong>Le</strong> sue capacità di<br />

infermiera e di organizzatrice, nonché le sue eccezionali doti di combattente, le ottennero<br />

<strong>la</strong> nomina a vice comandante del btg. “Matteotti” dove militò col nome di battaglia “Anty”.<br />

Marighetto Ancil<strong>la</strong>, n. 1927 Castel Tesino (Trento). Partigiana combattente.<br />

Generosa figlia del Trentino abbandonò <strong>la</strong> propria casa e <strong>la</strong> famiglia per rispondere<br />

all’appello del<strong>la</strong> Patria a cui già il padre aveva sacrificata <strong>la</strong> vita. Unitamente al fratello maggiore<br />

divise i gravi rischi e i grandi sacrifici del<strong>la</strong> lotta partigiana nel<strong>la</strong> stagione più rigida e in zona<br />

impervia e pericolosa. Durante un rastrel<strong>la</strong>mento, con uno sci spezzato da raffiche nemiche, si<br />

rifugiò sopra un albero. Individuata, scaricò <strong>la</strong> pisto<strong>la</strong> sul nemico fino ad esaurimento delle<br />

munizioni. Catturata e sottoposta a sevizie e torture non si piegò. Offertale salva <strong>la</strong> vita purché<br />

denunciasse i propri compagni, rifiutava sdegnosamente sputando in faccia ai carnefici e gridando:<br />

«Ammazzatemi, ma non tradirò mai i miei fratelli ».Il piombo nemico stroncò <strong>la</strong> sua eroica<br />

esistenza.<br />

Col del Tocco - Passo Broccone - Comune di Castel Tesino (Trento), 19 febbraio 1945.<br />

Di modesta famiglia di contadini e di casari, al<strong>la</strong> dichiarazione dell’armistizio,<br />

seguendo l’esempio del fratello maggiore, raggiunse sulle montagne del Trentino una<br />

formazione partigiana del Gruppo Brigate “Gramsci” e precisamente il btg. “G. Gherlenda”<br />

del<strong>la</strong> Brig. “E. De Bortoli”. Fu fuci<strong>la</strong>ta in località Coazzo, appena diciottenne.<br />

Menguzzato Clorinda, n. 1924 Castel Tesino (Trento). Partigiana combattente.<br />

Valorosa donna trentina, fu audace staffetta, preziosa informatrice, eroica combattente,<br />

infermiera amorosa. Catturata dai tedeschi oppressori, sottoposta ad atroci sevizie, violentata<br />

dal<strong>la</strong> soldataglia, <strong>la</strong>cerate le carni da cani inferociti, con sublime fierezza opponeva il silenzio alle<br />

torture più strazianti, e nell'ultimo anelito gridava agli aguzzini: « Quando non potrò più<br />

sopportare le vostre torture mi mozzerò <strong>la</strong> lingua con i denti per non par<strong>la</strong>re ». La brutalità teutone<br />

poté vio<strong>la</strong>rne il corpo, ma non piegarne l'anima ardente e l'invitto coraggio. La leonessa dei<br />

partigiani rimane fulgido esempio delle più nobili tradizioni di eroismo e di fede delle <strong>donne</strong><br />

italiane.<br />

Castel Tesino, 10 ottobre 1944.<br />

Appartenente a modesta famiglia di contadini, esercitava il mestiere di venditrice<br />

ambu<strong>la</strong>nte. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fu testimone un giorno, nel<strong>la</strong> stazione di<br />

Trento, del<strong>la</strong> triste scena presentata da un convoglio ferroviario carico di soldati italiani diretti<br />

ai campi di concentramento in Germania. Impressionata dalle umiliazioni inflitte ai nostri<br />

soldati, non esitò a scegliere quel<strong>la</strong> strada che doveva poi costarle <strong>la</strong> vita a soli 19 anni.<br />

Raggiunte in montagna le prime formazioni partigiane, cui si aggregò in seguito anche il<br />

fratello, fu coraggiosa staffetta nel btg. “Gherlenda” del<strong>la</strong> Div. “Gramsci”, nota come <strong>la</strong><br />

“Garibaldina Veglia”.<br />

Pratelli Parenti Norma, n. 1921 Massa Marittima (Grosseto). Partigiana combattente.<br />

Giovane sposa e madre, fra le stragi e le persecuzioni, mentre nel litorale maremmano<br />

infieriva <strong>la</strong> rabbia tedesca e fascista, non accordò riposo al suo corpo né piegò <strong>la</strong> sua volontà di<br />

soccorritrice, di animatrice, dì combattente e di martire. Diede alle vittime <strong>la</strong> sepoltura vietata,


provvide ospitalità ai fuggiaschi, libertà e salvezza ai prigionieri, munizioni e viveri ai partigiani e<br />

nei giorni del terrore, quando <strong>la</strong> paura chiudeva tutte le porte e faceva deserte le strade, con lo<br />

esempio di una intrepida pietà donò coraggio ai timorosi e accrebbe <strong>la</strong> fiducia ai forti. Nel<strong>la</strong> notte<br />

del 22 giugno, tratta fuori dal<strong>la</strong> sua casa, martoriata dal<strong>la</strong> feroce bestialità dei suoi carnefici,<br />

spirò, sublime offerta al<strong>la</strong> Patria, l’anima generosa.<br />

Massa Marittima, giugno 1944.<br />

Ispirata da sentimenti cristiani, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, seguendo l’esempio<br />

del marito, partecipò al<strong>la</strong> lotta c<strong>la</strong>ndestina di resistenza con l’entusiasmo dei suoi giovani anni.<br />

Militò nel rgpt. “Amiata” del<strong>la</strong> III Brig. “Garibaldi” operante nel<strong>la</strong> zona di Massa Marittima. Nel<strong>la</strong><br />

picco<strong>la</strong> trattoria gestita dal<strong>la</strong> madre ebbe occasione di avvicinare ed indurre a disertare, per<br />

raggiungere le formazioni partigiane, numerosi prigionieri di nazionalità straniera al seguito delle<br />

truppe tedesche. Tradita da uno di questi, un mongolo emissario del nemico, <strong>la</strong> sera del 22 giugno<br />

1944, quando già le unità germaniche erano in ritirata, fu arrestata in casa insieme con <strong>la</strong> madre. La<br />

mattina successiva fu rinvenuto il suo corpo straziato dalle fuci<strong>la</strong>te.<br />

Rosani Rita, n. 1920 Trieste. Partigiana combattente.<br />

Perseguitata politica, entrava a far parte di una banda armata partigiana vivendo <strong>la</strong> dura<br />

vita di combattente. Fu compagna, sorel<strong>la</strong>, animatrice di indomito valore e di ardente fede. Mai<br />

arretrò innanzi al sicuro pericolo ed alle<br />

sofferenze del<strong>la</strong> rude esistenza, pur di portare a<br />

compimento le delicate e rischiosissime missioni<br />

a lei affidate. Circondata <strong>la</strong> sua banda da<br />

preponderanti forze nazifasciste, impugnava le<br />

armi e, ultima a ritirarsi, combatteva<br />

strenuamente finché cadeva da valorosa sul<br />

campo, immo<strong>la</strong>ndo al<strong>la</strong> Patria <strong>la</strong> sua giovane<br />

ed eroica esistenza.<br />

Monte Comune, 17 settembre 1944.<br />

Di origine cecoslovacca, insegnante<br />

nel<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> elementare ebraica a Trieste, per<br />

sfuggire alle persecuzioni razziali, fu costretta ad abbandonare <strong>la</strong> città dopo l’armistizio dell’8<br />

settembre 1943. Rifugiatasi a Portogruaro, partecipò attivamente al<strong>la</strong> lotta c<strong>la</strong>ndestina di resistenza,<br />

quindi, nel febbraio 1944, si portò a Verona dove costituì, insieme a pochi altri, <strong>la</strong> formazione<br />

“Aqui<strong>la</strong>” del<strong>la</strong> Brig. “Pasubio”. Combatte in Valpolicel<strong>la</strong> e nel<strong>la</strong> zona di Zevio fino al giorno del<br />

suo cosciente sacrificio. Per il suo virile comportamento fu assunta dal<strong>la</strong> comunità ebraica quale<br />

simbolo del<strong>la</strong> virtù e del<strong>la</strong> forza d’animo del popolo d’Israele.<br />

Rossi Modesta in Polletti, n. 1914 Bucine (Arezzo). Partigiana combattente.<br />

Seguiva il marito nelle impervie montagne dell’Appennino Tosco-emiliano e con lui<br />

divideva i rischi, i pericoli e i disagi del<strong>la</strong> vita partigiana, animata e sorretta dal<strong>la</strong> fede e<br />

dall’amore per <strong>la</strong> Patria. Incaricata di umili mansioni assistenziali, chiedeva ed otteneva di<br />

prendere parte attiva al<strong>la</strong> lotta rifulgendo con le armi in pugno per coraggio e sprezzo del pericolo.<br />

Arrestata dai tedeschi resisteva eroicamente a torture e lusinghe e, senza proferire paro<strong>la</strong> che<br />

potesse essere rive<strong>la</strong>zione, affrontava il plotone di esecuzione che spietatamente stroncò, insieme<br />

al<strong>la</strong> sua, l’esistenza di un figlioletto di appena un anno che, quale giovane virgulto, era avvinto al<br />

seno materno.<br />

Zona di So<strong>la</strong>ia (Arezzo), 11 settembre 1943 - 29 giugno 1944.


Appartenente a numerosa famiglia di modestissimi agricoltori, dopo l’armistizio dell’8<br />

settembre 1943, per quanto giovane madre, volle seguire il marito impegnato nel<strong>la</strong> lotta c<strong>la</strong>ndestina<br />

di resistenza sulle montagne dell’Aretino.<br />

Tonelli Ve(i)rginia, n. 1903 Castelnuovo del Friuli (Pordenone). Partigiana combattente.<br />

Partigiana animata da profonda fede e dotata di elevate doti intellettive ed organizzative,<br />

svolgeva a lungo importanti rischiosi incarichi di collegamento fra varie formazioni partigiane e<br />

gli organi direzionali del movimento di resistenza del Veneto e del<strong>la</strong> Lombardia. Ricercata<br />

attivamente, veniva catturata a Trieste e sottoposta per venti giorni ad atroci, inumane sevizie allo<br />

scopo di conoscere le preziose notizie in suo possesso. Vista l'impossibilità, grazie all'eroico spirito<br />

di sacrificio del<strong>la</strong> martire, di trarre le informazioni richieste, gli aguzzini, esasperati, <strong>la</strong> bruciavano<br />

viva. Sublime esempio di cosciente sacrificio in nome del<strong>la</strong> libertà del<strong>la</strong> Patria.<br />

Trieste, 29 settembre 1944.<br />

Appartenente a famiglia numerosa di <strong>la</strong>voratori, frequentò <strong>la</strong> Scuo<strong>la</strong> per Infermiere.<br />

Donna coraggiosa e dotata di alto spirito di sacrificio, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943<br />

entrò a far parte del Movimento di <strong>Resistenza</strong> disimpegnando con abilità e audacia le più<br />

difficili missioni. Il 17 settembre 1944, incaricata dal Capo del<strong>la</strong> Delegazione Provinciale del<br />

Comando Generale Brigate “Garibaldi” di Udine di una nuova importante missione, partì per<br />

Trieste, in treno, ove appena giunta fu arrestata dal<strong>la</strong> polizia tedesca.<br />

Vassalle Vera, n. 1920 Viareggio (Lucca). Partigiana combattente.<br />

Ventiquattrenne, di eccezionali doti di mente, d'animo e di carattere, all'atto dell'armistizio,<br />

incurante di ogni pericolo, attraversava le linee tedesche e si presentava ad un comando alleato per<br />

essere impiegata contro il nemico. Seguito un breve corso d'istruzione presso un ufficio<br />

informazioni alleato, volontariamente si faceva sbarcare da un Mas italiano, in territorio occupato<br />

dai tedeschi. Con altro compagno R. T. portava con sé una radio e carte topografiche, organizzava<br />

e faceva funzionare un servizio di collegamento fra tutti i gruppi di patrioti dislocati nell'appennino<br />

toscano, trasmettendo più di 300 messaggi, dando con precisione importanti informazioni di<br />

carattere militare. La sua intelligenza e coraggiosa attività rendeva possibile sessantacinque <strong>la</strong>nci<br />

da aerei a patrioti. Sorpresa dalle SS tedesche mentre trasmetteva messaggi radio riusciva a<br />

fuggire portando con sé codici e documenti segreti e riprendeva <strong>la</strong> coraggiosa azione c<strong>la</strong>ndestina.<br />

Pochi giorni prima dell'arrivo degli alleati passava nuovamente le linee tedesche portando preziose<br />

notizie sul nemico e sui campi minati. Animata da elevati sentimenti, dimostrava in ogni<br />

circostanza spiccato sprezzo del pericolo. Degna rappresentante delle nobili virtù delle <strong>donne</strong><br />

italiane.<br />

Italia occupata, settembre 1943 - luglio 1944.<br />

Diplomatasi nell'Istituto magistrale di Pisa ed abilitata all'insegnamento, era impiegata<br />

presso <strong>la</strong> Cassa di Risparmio di Lucca. Dopo l'8 settembre 1943, in seguito al<strong>la</strong> dichiarazione<br />

dell'armistizio, aderendo al<strong>la</strong> proposta del cognato Manfredo Bertini, decorato poi di M.O. al<br />

V.M. al<strong>la</strong> memoria, di col<strong>la</strong>borare con gli anglo-americani, abbandonò impiego e famiglia.<br />

Raggiunta Montel<strong>la</strong> dopo avventuroso viaggio attraverso le linee nemiche fu messa a<br />

disposizione dell'”Office of Strategic Service” (Ufficio Informazioni del<strong>la</strong> 5ª Armata alleata)<br />

e incaricata di svolgere azione informativa e di collegamento con le formazioni partigiane in<br />

territorio occupato dai tedeschi. Dopo aver frequentato a Taranto un apposito corso di<br />

addestramento, il 18 gennaio 1944, munita di una radiotrasmittente, partiva da Bastia in<br />

Corsica con una motosilurante sbarcando qualche ora dopo nei pressi di Orbetello. Raggiunta<br />

Viareggio e presi contatti con esponenti del C.L.N. di Firenze, si prodigò in azioni di<br />

sabotaggio e d'informazione, facilitando avio<strong>la</strong>nci di armi alle formazioni partigiane.<br />

Individuata il 2 luglio dai tedeschi <strong>la</strong> stazione trasmittente, riuscì col radiotelegrafista che


l'accompagnava a sfuggire al<strong>la</strong> cattura. Si aggregò al<strong>la</strong> formazione partigiana “Marcello<br />

Garosi” ed ottenuta altra radio operò fino al<strong>la</strong> liberazione di Lucca, passando poi a Siena.<br />

Nominata insegnante elementare, risiedeva a Cavi di Lavagna (Genova) dove è deceduta nel<br />

novembre 1985.<br />

Versari Iris, n. 1922 Portico S. Benedetto (Forlì). Partigiana combattente.<br />

Giovane di modeste origini, poco più che ventenne, fedele alle<br />

tradizioni delle coraggiose genti di Romagna, non esitò a scegliere il suo<br />

posto di rischio e di sacrificio per opporsi al<strong>la</strong> tracotante oppressione<br />

dell'invasore, unendosi ad una combattiva formazione autonoma<br />

partigiana locale. Ardimentosa ed intrepida prese parte attiva a<br />

numerose azioni di guerriglia distinguendosi come trascinatrice e valida<br />

combattente. Durante l'ultimo combattimento, circondata con altri<br />

partigiani in una casa colonica iso<strong>la</strong>ta, ferita ed impossibilitata a<br />

muoversi, esortò ed indusse i compagni a rompere l'accerchiamento e,<br />

impegnando gli avversari con intenso e nutrito fuoco, agevolò <strong>la</strong> loro<br />

sortita. Dopo aver abbattuto l'ufficiale nemico che per primo entrò nel<strong>la</strong><br />

casa colonica, consapevole del<strong>la</strong> sorte che l'attendeva cadendo viva nelle<br />

mani del crudele nemico, si diede <strong>la</strong> morte. Immo<strong>la</strong>va così <strong>la</strong> sua giovane vita a quegli ideali che<br />

aveva nutrito iel<strong>la</strong> sua breve ma gloriosa esistenza.<br />

Terra di Romagna, 9 settembre 1943 - 18 agosto 1944.<br />

Nata da famiglia di modesti contadini, frequentò le scuole elementari. Dopo <strong>la</strong> dichiarazione<br />

dell’armistizio dell’8 settembre 1943, entrò a far parte del<strong>la</strong> formazione partigiana “Battaglione<br />

Corbari” e si distinse nel<strong>la</strong> rischiosa attività di portaordini per assicurare i collegamenti fra i nuclei<br />

partigiani operanti sui monti del<strong>la</strong> Romagna. Arrestata dai tedeschi riuscì a fuggire ma, per<br />

rappresaglia, i suoi genitori furono presi e deportati in Germania e del padre non ebbe più notizie.<br />

Durante un combattimento fu gravemente ferita alle gambe e per non cadere nuovamente in mani<br />

tedesche preferì darsi <strong>la</strong> morte.


CHIARINI SCAPPINI RINA<br />

(Operaia)<br />

MEDAGLIE D’ARGENTO AL VALOR MILITARE<br />

ALLE DONNE PARTIGIANE<br />

Nata ad Empoli (Firenze) il 16 dicembre 1909, morta a Empoli il 20 ottobre 1995.<br />

A 11 anni aveva dovuto smettere di frequentare <strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>, per contribuire, dopo l’arresto del padre<br />

antifascista, alle necessità del<strong>la</strong> sua famiglia. Era poi stata assunta, come operaia, in una vetreria e<br />

già qui aveva preso a col<strong>la</strong>borare col "Soccorso Rosso". Nel 1926 <strong>la</strong> giovane si era iscritta al<br />

Partito comunista c<strong>la</strong>ndestino. Nell’aprile del 1943, quando Remo Scappini uscì dal carcere, Rina<br />

poté sposarlo. I coniugi si spostarono a Mi<strong>la</strong>no e qui Rina visse i rischi del<strong>la</strong> lotta c<strong>la</strong>ndestina,<br />

come anche quando andarono a Genova, dove <strong>la</strong> donna fu valida col<strong>la</strong>boratrice (con il nome di<br />

battaglia di "C<strong>la</strong>ra"), del Comando regionale delle Brigate Garibaldi. Il 6 luglio del 1944, Rina<br />

cadde nelle mani del<strong>la</strong> polizia fascista. Portata nel<strong>la</strong> famigerata Casa dello studente di Genova, <strong>la</strong><br />

donna fu sottoposta a pesanti interrogatori e sevizie, nonostante fosse in avanzato stato di<br />

gravidanza. Perse dolorosamente il suo bambino, ma non si <strong>la</strong>sciò sfuggire <strong>la</strong> minima ammissione.<br />

Il Tribunale militare fascista il 29 luglio del 1944 <strong>la</strong> condannò al<strong>la</strong> pena capitale insieme ad altri<br />

cinque coimputati. La donna si salvò, ma di lì a poco fu di nuovo condotta, con altri trenta patrioti<br />

genovesi, davanti ai giudici, che <strong>la</strong> condannarono a 24 anni di reclusione. Tradotta nel <strong>la</strong>ger di<br />

Bolzano, nel marzo del 1945 riuscì ad evadere con una compagna di prigionia. Raggiunse<br />

fortunosamente Mi<strong>la</strong>no e di qui, <strong>la</strong> sera del 26 aprile, raggiunse Genova, dove le truppe tedesche si<br />

erano arrese. Rina si è sempre impegnata per <strong>la</strong> pace e <strong>la</strong> giustizia sociale. Oltre che del<strong>la</strong> Medaglia<br />

d’argento al valor militare, "C<strong>la</strong>ra" è stata decorata del<strong>la</strong> Stel<strong>la</strong> d’oro al valore partigiano,<br />

conferitale dal Comando generale delle Brigate Garibaldi.<br />

LUSSU JOYCE (SALVADORI GIOCONDA)<br />

(Intellettuale)<br />

Nata a Firenze l’8 maggio 1912, morta a Roma il 4 novembre 1998<br />

Joyce Lussu nacque come Gioconda Salvadori da genitori marchigiani,<br />

entrambi con ascendenze inglesi. Il padre Guglielmo, docente<br />

universitario e primo traduttore del filosofo Herbert Spencer, malmenato<br />

e più volte minacciato dalle camicie nere, fu costretto all’esilio. Si<br />

trasferì in Svizzera nel 1924 con <strong>la</strong> moglie Giacinta e i tre figli. Joyce<br />

visse così all’estero gli anni dell’adolescenza, in collegi ed ambienti<br />

cosmopoliti, maturando un’educazione non formale. Con i fratelli,<br />

comunque, continuò gli studi conseguendo <strong>la</strong> licenza di Liceo C<strong>la</strong>ssico<br />

con esami da privatista nelle Marche, tra Macerata e Fermo. Studiò<br />

filosofia a Heidelberg e si <strong>la</strong>ureò prima in lettere al<strong>la</strong> Sorbona, poi in<br />

filologia a Lisbona. Dal 1933 al ’38, intraprese rischiosi viaggi in Africa<br />

e compose le sue prime poesie, apprezzate anche da Benedetto Croce.<br />

Insieme al fratello Max, Joyce entrò a far parte del movimento "Giustizia e Libertà" e nel 1938<br />

incontrò Emilio Lussu - mister Mill – con cui si sposò e con lui visse <strong>la</strong> drammatica e sperico<strong>la</strong>ta<br />

vicenda del<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ndestinità, nel<strong>la</strong> lotta antifascista. La Francia occupata dai nazisti, <strong>la</strong> Spagna, il


Portogallo, <strong>la</strong> Svizzera, l’Inghilterra, furono il teatro di rischiose missioni come staffetta<br />

partigiana, passaggi oltre confine, falsificazioni di documenti, corsi di guerriglia. Raggiunse, in<br />

questa militanza nelle formazioni di G.L., il grado di Capitano.<br />

Il suo impegno intellettuale e politico continuò dal dopoguerra fino agli ultimi anni del<strong>la</strong> sua vita,<br />

occupandosi dei diritti civili delle culture più emarginate. Cercò di diffondere, soprattutto tra i<br />

giovani, <strong>la</strong> memoria storica, base del<strong>la</strong> consapevolezza e responsabilità morale. Ha <strong>la</strong>sciato oltre<br />

20 opere scritte sui temi che più l’hanno coinvolta e interessata.<br />

MUSU MARISA<br />

(Giornalista)<br />

Nata a Roma il 18 aprile 1925, morta a Roma il 3 novembre 2002. All’inizio del 1942 <strong>la</strong> liceale del<br />

"Mamiani" era entrata nell’organizzazione c<strong>la</strong>ndestina del PCI, insieme al<strong>la</strong> sua compagna Adele<br />

Maria Jemolo. L’anno dopo, a settembre, Marisa era stata tra i protagonisti del<strong>la</strong> battaglia per <strong>la</strong><br />

difesa di Roma. Con l’occupazione nazista iniziò <strong>la</strong> sua attività nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>. Con il nome di<br />

"Rosa" era entrata nel<strong>la</strong> formazione dei GAP, guidata da Franco Ca<strong>la</strong>mandrei. Tra le tante azioni<br />

portate a termine da questo gruppo ci fu l’attacco del 23 marzo del ’44 ad una colonna di nazisti in<br />

via Rasel<strong>la</strong>, durante il quale "Rosa" ebbe il compito di assistente armata degli altri partigiani.<br />

Trascorse due settimane, dopo altre azioni portate a termine, "Rosa" ed altri gappisti caddero nelle<br />

mani del<strong>la</strong> polizia. Per loro fortuna, ad arrestarli furono dei commissari che erano in contatto col<br />

CLN. Facendoli passare per comuni rapinatori, i due funzionari fecero rinchiudere gli uomini e <strong>la</strong><br />

ragazza nel carcere giudiziario. La ragazza, che era già stata condannata a morte dal Tribunale di<br />

guerra nazista, riuscì, prima che <strong>la</strong> sua vera identità fosse scoperta, a farsi trasferire, fingendosi<br />

ma<strong>la</strong>ta, all’Ospedale San Camillo. Di qui evase grazie all’aiuto di alcuni medici antifascisti. Dopo<br />

<strong>la</strong> Liberazione Musu ha <strong>la</strong>vorato nel partito comunista italiano. Si è occupata di problemi del<strong>la</strong><br />

scuo<strong>la</strong> ed è stata giornalista.<br />

TERRADURA WALKIRIA<br />

Nata a Gubbio, dopo ripetuti tentativi, da parte dell’OVRA, di arrestare il padre avvocato, Walkiria<br />

si ritrovò con lui in fuga nel<strong>la</strong> zona tra i monti del Burano. In questa zona tra gli Appennini<br />

dell’alta Umbria e delle Marche si costituirono molte bande di partigiani. Il padre di Walkiria si<br />

unì insieme a Samuele Panichi, formando una banda insieme ad altri fuggitivi. Di questo nucleo di<br />

partigiani Panichi divenne comandante (e <strong>la</strong> banda prese il suo nome) ed il padre divenne<br />

commissario politico. Ben presto si aggiunsero altri elementi ed altre <strong>donne</strong>, tra cui <strong>la</strong> sorel<strong>la</strong><br />

Lionel<strong>la</strong>, liberata dal carcere di Perugia. Walkiria, si addestrò alle armi e cominciò a combattere.<br />

L’attività non conobbe tregua: sabotaggi, incursioni, combattimenti, turni di guardia, raccolta di<br />

informazioni e soprattutto dover vincere il pregiudizio e <strong>la</strong> discriminazione da parte degli altri<br />

partigiani per essere una giovane donna combattente. Successivamente <strong>la</strong> banda confluì nel 5°<br />

Brigata Garibaldi “Pesaro”, che contava 5 battaglioni. Walkiria venne assegnata al 5°. Quando il<br />

distaccamento divenne numeroso, fu necessario creare delle squadre e Walkiria divenne <strong>la</strong> capo<br />

squadra (a 18 anni) del<strong>la</strong> sua. Questa fu chiamata “il Settebello”. Un giorno, ad Apecchio, attaccò<br />

ed annientò, con un altro partigiano, un convoglio militare tedesco di passaggio. Quest’azione le<br />

valse <strong>la</strong> decorazione con <strong>la</strong> medaglia d’argento al valor militare.


L’IMPEGNO E LA LOTTA<br />

BREVE ELENCO DI DONNE CHE SI SONO DISTINTE NELLA RESISTENZA<br />

ABBA’ GIUSTINA<br />

Nata a Rovigno (Istria) nel 1903. Morta a Rovigno il 24 settembre 1974, operaia.<br />

Occupata al<strong>la</strong> Manifattura Tabacchi di Rovigno, nel 1942 <strong>la</strong> Abbà, che proprio quell’anno si era<br />

iscritta al Partito comunista c<strong>la</strong>ndestino, organizzò con altre sue compagne di <strong>la</strong>voro un riuscito<br />

sciopero "contro <strong>la</strong> fame e <strong>la</strong> guerra". La Milizia fascista e i carabinieri intervennero, repressero <strong>la</strong><br />

manifestazione ed arrestarono Giustina e le compagne che più si erano esposte. Ri<strong>la</strong>sciata, <strong>la</strong><br />

tabacchina fu presto tra i fondatori del Movimento popo<strong>la</strong>re di liberazione di Rovigno. Giustina<br />

Abbà fu anche <strong>la</strong> prima donna italiana ad entrare nel movimento partigiano dell’Istria, a fianco del<br />

padre e del figlio.<br />

ALESSI MARIA LUISA<br />

Nata a Falicetto (Cuneo) il 17 maggio 1911, impiegata.<br />

Nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> cuneese <strong>la</strong> conoscevano come Marialuisa. Il suo nome completo si apprese<br />

soltanto il 26 novembre del 1944, quando i fascisti <strong>la</strong> fuci<strong>la</strong>rono sul piazzale del<strong>la</strong> stazione di<br />

Cuneo insieme ai partigiani Pietro Fantone, Ettore Garelli, Rocco Repice e Antonio Tramontano.<br />

Maria Luisa Alessi, l’impiegata, era diventata un’antifascista attiva sin dal 1935, quando si era<br />

iscritta al Partito comunista. Dall’8 settembre 1943 divenne un’animatrice del<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>. Fu<br />

staffetta partigiana del<strong>la</strong> 181a Brigata "Morbiducci" operante in Val Varaita, dove assolse<br />

numerose e pericolose missioni. L’8 settembre del 1944, forse per una soffiata, fu catturata dai<br />

brigatisti neri del<strong>la</strong> "Lidònnici". Condannata a morte, fu fuci<strong>la</strong>ta circa tre mesi dopo.<br />

ALLASON BARBARA<br />

Nata a Pecetto (Torino) il 12 ottobre 1877. Deceduta a Torino il 20 agosto 1968, scrittrice e critica<br />

letteraria.<br />

Dopo aver iniziato gli studi universitari a Napoli ed averli conclusi a Torino, con una <strong>la</strong>urea in<br />

letteratura tedesca, <strong>la</strong> Al<strong>la</strong>son prese, attraverso Piero Gobetti, i primi contatti con l’antifascismo


torinese. Nel 1929, avendo espresso con una lettera <strong>la</strong> sua solidarietà a Benedetto Croce, che aveva<br />

par<strong>la</strong>to al Senato contro i Patti Lateranensi, fu allontanata dall’insegnamento. Entrate in vigore le<br />

leggi eccezionali fasciste, partecipò all’attività c<strong>la</strong>ndestina del gruppo torinese di "Giustizia e<br />

Libertà" e, tra il 1930 e il 1934. In quel periodo assolse anche delicati incarichi cospirativi, tra i<br />

quali il collegamento tra le organizzazioni antifasciste di Torino e Mi<strong>la</strong>no e il tentativo, fallito, di<br />

far evadere Ernesto Rossi dal carcere. Nel 1934, in occasione del processo a <strong>Le</strong>one Ginzburg e<br />

Sion Segre fu arrestata dal<strong>la</strong> polizia e incarcerata per alcuni mesi. Negli anni del fascismo<br />

trionfante non venne mai meno il suo impegno contro il regime.<br />

ALTOBELLI ARGENTINA<br />

Nata ad Imo<strong>la</strong> nel 1866. Morta nel 1942.<br />

Nacque, mentre il padre combatteva per l’unità d’Italia. Affidata a degli zii paterni crebbe con<br />

l’ideale del<strong>la</strong> libertà alimentato da un’ininterrotta lettura dei testi che formarono <strong>la</strong> sua, non<br />

comune per l’epoca, passione politica. Argentina fu l’espressione compiuta del movimento<br />

d’emancipazione femminile che si confrontava con le disperanti esistenze delle mondariso, delle<br />

braccianti, delle contadine. Mazziniana, aderì successivamente al socialismo, grazie agli scritti di<br />

Andrea Costa. Amica di Anna Kuliscioff e Rosa Luxemburg, viaggiò per tutta l’Italia del centro<br />

nord per organizzare conferenze e tenere comizi nel<strong>la</strong> stagione delle lotte contadine. Il matrimonio<br />

con Abdon Altobelli nel 1899 e due figli non interferirono nel<strong>la</strong> sua luminosa opera di elevazione<br />

delle masse rurali e delle <strong>donne</strong> in partico<strong>la</strong>re. Frutto del suo <strong>la</strong>voro fu il rinnovo del patto agrario<br />

imposto a Val Cornia e preso a modello per il contratto nazionale. Nel 1900 venne eletta segretaria<br />

nazionale del<strong>la</strong> Federterra e nel 1912 fu chiamata a far parte del Consiglio Superiore del Lavoro.<br />

Antifascista, dopo l’avvento del regime s’impiegò presso l’Istituto di previdenza sociale e, dal suo<br />

posto di <strong>la</strong>voro, continuò a diffondere <strong>la</strong> sua fede socialista e ad alimentare <strong>la</strong> resistenza al regime.<br />

ANSELMI TINA<br />

Nata a Castelfranco Veneto nel 1927, insegnante<br />

La guerra partigiana determinò le scelte successive del<strong>la</strong> Anselmi. Tina Anselmi, infatti, decise da<br />

che parte schierarsi quando, giovanissima, vide un gruppo di giovani partigiani portati al martirio<br />

dai fascisti. Divenne così staffetta del<strong>la</strong> brigata autonoma "G. Battisti" e del Comando regionale<br />

del Corpo volontari del<strong>la</strong> libertà. Nel 1944 si iscrisse al<strong>la</strong> DC e - non si era ancora <strong>la</strong>ureata in<br />

lettere - partecipò attivamente al<strong>la</strong> vita del suo partito. Nel dopoguerra Tina Anselmi fu dirigente<br />

sindacale, vice presidente dell’Unione europea femminile. Par<strong>la</strong>mentare, fece parte di<br />

Commissioni, presiedette per due volte <strong>la</strong> Commissione par<strong>la</strong>mentare d’inchiesta sul<strong>la</strong> Loggia P2,<br />

fu tre volte ministro e tre volte sottosegretaria.<br />

ARATA MARIA<br />

Nata a Massa Carrara il 14 dicembre 1912. Deceduta a Mi<strong>la</strong>no il 12 febbraio 1975, insegnante.<br />

Nel 1926 suo padre, Emilio, che era segretario generale del<strong>la</strong> provincia di Massa e Carrara, fu<br />

obbligato, perché socialista, a rinunciare all’incarico. Si trasferì così con <strong>la</strong> famiglia a Mi<strong>la</strong>no,<br />

dove Maria si <strong>la</strong>ureò e divenne assistente di Botanica all’Università. La giovane insegnante passò<br />

poi al Liceo “Carducci”, con l’incarico di professoressa di Scienze naturali. Fu in questo ambiente<br />

che Maria Arata entrò in un gruppo antifascista c<strong>la</strong>ndestino, del quale facevano parte studenti ed<br />

insegnanti. Dopo l’8 settembre 1943, Maria si dedicò al<strong>la</strong> diffusione di stampa c<strong>la</strong>ndestina, al<strong>la</strong><br />

raccolta di fondi per sostenere le formazioni partigiane operanti nel Mi<strong>la</strong>nese, al procacciamento di<br />

documenti falsi per ebrei e per renitenti al<strong>la</strong> leva del<strong>la</strong> RSI. Il 4 luglio del 1944, <strong>la</strong> professoressa fu<br />

arrestata dal<strong>la</strong> GNR e dopo un primo interrogatorio, fu rinchiusa nel carcere di San Vittore e poi<br />

passata nel “braccio” gestito direttamente dai tedeschi. Dopo due mesi <strong>la</strong> deportazione, prima nel<br />

campo di Bolzano e poi, in Germania, nel <strong>la</strong>ger di Ravensbrück. Riuscita a sopravvivere, <strong>la</strong> Arata<br />

fu liberata il 30 aprile del 1945 dalle truppe sovietiche. Nell’agosto dello stesso anno il ritornò in<br />

patria.


BERTANI BICE<br />

Nata a Reggio Emilia il 17 giugno 1921. Muore il 22 aprile del 2000.<br />

Partecipò attivamente al<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> reggiana dal 10 luglio 1944 al 25 aprile 1945, con il nome di<br />

battaglia “Romilda”. Era inquadrata nel<strong>la</strong> 77a Brigata SAP “Fratelli Manfredi”. Il <strong>la</strong>voro di<br />

staffetta che le era stato affidato dalle formazioni SAP, consisteva nel portare ogni giorno i<br />

rapporti dei partigiani delle zone di S. Prospero, Mancasale, Pratofontana, Cavazzoli Nord al CNL<br />

di Sesso. Dopo l’eccidio a Vil<strong>la</strong> Sesso le fu assegnato l’incarico di scrivere a macchina, in una casa<br />

di <strong>la</strong>titanza, il materiale per il Fronte del<strong>la</strong> Gioventù.<br />

BRAMBILLA PESCE ONORINA<br />

Nata a Mi<strong>la</strong>no il 27 agosto 1923,<br />

impiegata.<br />

Gia tra il marzo 1943 ed il 1944, nel<br />

pieno del<strong>la</strong> guerra, aveva contribuito<br />

all’organizzazione degli scioperi<br />

realizzati a Mi<strong>la</strong>no. Era il 12 settembre<br />

1944, quando “Sandra” - una delle<br />

dirigenti mi<strong>la</strong>nesi dei “Gruppi di difesa<br />

del<strong>la</strong> donna” - (questo il suo nome di<br />

battaglia) cadde nelle mani dei fascisti<br />

repubblichini. Per due mesi fu<br />

sottoposta a pesanti interrogatori in<br />

quel<strong>la</strong> che era, allora, <strong>la</strong> “Casa del<br />

Balil<strong>la</strong>” di Monza, ma <strong>la</strong> ragazza non si<br />

<strong>la</strong>sciò sfuggire nul<strong>la</strong> di compromettente.<br />

L’11 di novembre “Sandra” fu prelevata<br />

dal<strong>la</strong> cel<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> quale fu tenuta in<br />

iso<strong>la</strong>mento e fatta salire su un autobus<br />

che <strong>la</strong> portò due giorni dopo al campo<br />

di concentramento di Bolzano-Gries.<br />

Nel campo, Onorina Brambil<strong>la</strong> (numero<br />

di matrico<strong>la</strong> 6087), restò sino al<strong>la</strong><br />

liberazione, avvenuta il 29 aprile del<br />

1945.<br />

BUCARELLI TOSCA<br />

Nata a Firenze il 4 ottobre 1922. Morta a Firenze il 14 gennaio 2000.<br />

Era giovanissima, quando entrò a far parte dei Gruppi d’Azione Patriottica, ma si fece subito<br />

apprezzare per il suo coraggio. Fu scelta, quando i GAP decisero di compiere un attentato nel<br />

pieno centro di Firenze. Obiettivo era il bar "Paskowsky", ritrovo abituale dei comandanti tedeschi<br />

e dei caporioni fascisti. La ragazza quel giorno (era l’8 di febbraio del ‘44) era in compagnia di un<br />

gappista sperimentato (Antonio Ignesti). L’ attentato non riuscì e, mentre nel parapiglia, il ragazzo<br />

riuscì a fuggire <strong>la</strong> sua compagna restò nelle mani dei fascisti.<br />

La destinazione è, per "Toschina", "Vil<strong>la</strong> Triste", base del<strong>la</strong> "banda Carità". I fascisti <strong>la</strong><br />

interrogarono, <strong>la</strong> picchiarono, <strong>la</strong> torturarono, le procurarono gravi lesioni, per le quali soffrì tutta <strong>la</strong><br />

vita, ma <strong>la</strong> ragazza non parlò. Fu trasferita al carcere di Santa Verdiana. Mesi in snervante attesa<br />

dell’esecuzione o del<strong>la</strong> deportazione. Poi, il colpo di mano dei GAP, che liberarono <strong>la</strong> "Toschina"<br />

e altre sedici antifasciste detenute.<br />

BUFFULINI ADA


Nata a Trieste il 28 settembre 1912. Deceduta a Mi<strong>la</strong>no il 3 luglio 1991, medico radiologo.<br />

Cresciuta in una famiglia del<strong>la</strong> borghesia irredentista triestina, Ada Buffulini fu una delle poche<br />

<strong>donne</strong> italiane, del<strong>la</strong> sua generazione, <strong>la</strong>ureate in Medicina. A Mi<strong>la</strong>no (dove, negli anni 30, si era<br />

trasferita per frequentarvi l’Università) venne in contatto con il movimento antifascista. Proprio<br />

mentre preparava <strong>la</strong> specializzazione, Ada conobbe <strong>Le</strong>lio Basso, segretario del Partito socialista e,<br />

quando fu annunciato l’armistizio, il suo impegno antifascista si fece totale. Progettò e organizzò<br />

un giornale socialista rivolto alle <strong>donne</strong>, “La Compagna”, che uscì per <strong>la</strong> prima volta nel luglio<br />

1944, proprio all’indomani dell’arresto di Ada. La Buffulini rimane due mesi in una cel<strong>la</strong> di San<br />

Vittore senza che, nei quotidiani interrogatori, i nazifascisti riuscissero a strapparle qualche utile<br />

informazione. Due mesi dopo, il trasferimento in autobus al “campo di transito” di Bolzano. <strong>Le</strong>i fu<br />

impiegata come medico, nell’infermeria del campo e ciò le consentì, oltre che a curare i ma<strong>la</strong>ti, di<br />

organizzare un Comitato c<strong>la</strong>ndestino di resistenza, che provvide ad assistere i prigionieri ed a<br />

mantenere i contatti con le loro famiglie. Quando le SS sospettarono che Ada nel campo non si<br />

limitasse a fare il medico, <strong>la</strong> rinchiusero nelle “Celle”, dove fu trattenuta dal<strong>la</strong> metà di febbraio del<br />

1945, sino al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> guerra. Per tre settimane restò a Bolzano, per soccorrere i ma<strong>la</strong>ti rimasti<br />

nell’infermeria del campo, ma anche per contribuire all’organizzazione del Partito socialista nel<strong>la</strong><br />

città. Poi tornò a Mi<strong>la</strong>no.<br />

CABASSA ENRICHETTA<br />

Nata a Parma nel 1916. Morta a Pa<strong>la</strong>nzano (Parma) l’8 marzo 1945, sarta.<br />

Lavorò in una sartoria di Parma, in borgo del Carbone, che il tito<strong>la</strong>re, Giovanni Cordani, trasformò<br />

in un centro di smistamento del<strong>la</strong> stampa antifascista. La donna, che ebbe il marito disperso in<br />

guerra, decise di impegnarsi nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>, anche per contribuire al<strong>la</strong> conclusione del conflitto.<br />

<strong>Le</strong> fu così affidato il compito di staffetta, diventando punto di riferimento del Comando Nord-<br />

Emilia per mantenere i collegamenti con le varie formazioni partigiane. Quando i sospetti dei<br />

fascisti finirono per appuntarsi sul<strong>la</strong> Cabassa, <strong>la</strong> giovane sarta fu mandata in montagna ed<br />

inquadrata nel<strong>la</strong> 143a Brigata Garibaldi "Aldo". "Silvia", così fu conosciuta nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>, si<br />

trovò a Pa<strong>la</strong>nzano, nei locali del<strong>la</strong> Banca di risparmio di Parma, occupati dal Comando di<br />

raggruppamento, quando fu investita dallo scoppio accidentale di una bomba, morendo.<br />

CEVA BIANCA<br />

Nata a Pavia nel 1897. Deceduta a Mi<strong>la</strong>no nel 1982, insegnante e letterata.<br />

Sin dal 1930, nello stesso anno in cui morì in carcere il fratello minore Umberto, Bianca Ceva fu in<br />

contatto con esponenti dell’opposizione democratica al fascismo, da Benedetto Croce a Ferruccio<br />

Parri. Per le sue idee fu allontanata dall’insegnamento nel 1931 e poté tornare a scuo<strong>la</strong> soltanto con<br />

<strong>la</strong> caduta di Mussolini. Pochi mesi dopo Bianca entrò subito nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>, militando nel Partito<br />

d’Azione. Nel dicembre del 1943 <strong>la</strong> professoressa fu arrestata e nell’agosto del 1944 comparve<br />

davanti al Tribunale militare di Mi<strong>la</strong>no, che <strong>la</strong> rinviò al Tribunale Speciale. Ma i giudici fascisti<br />

non riuscirono a condannar<strong>la</strong>. Bianca, infatti, nell’ottobre evase dal carcere e si unì ai partigiani<br />

dell’Oltrepo Pavese, col<strong>la</strong>borando al<strong>la</strong> lotta armata.<br />

CHERCHI ANNA<br />

Nata a Torino il 15 gennaio 1924,. Deceduta a Torino il 7 gennaio 2006.<br />

Già il 7 gennaio del 1944 i tedeschi, assistiti dai fascisti di Salò, avevano bruciato <strong>la</strong> casa dei<br />

Cherchi, che facevano i contadini nelle Langhe. Anna riuscì a fuggire e cominciò <strong>la</strong> sua lotta come<br />

partigiana combattente sino a che il 19 marzo 1944, <strong>la</strong> ragazza, durante un rastrel<strong>la</strong>mento tra Carrù<br />

e Dogliani, fu catturata dai tedeschi. Una notte in una prigione improvvisata, poi, in treno, il<br />

trasferimento a Torino. Per un mese Anna Cherchi fece <strong>la</strong> spo<strong>la</strong> tra l’albergo Nazionale, base delle<br />

SS, e le carceri Nuove. Per un mese, ogni giorno, fu torturata, ma nemmeno con le scariche<br />

elettriche l’ufficiale nazista che <strong>la</strong> interrogava riuscì a far<strong>la</strong> par<strong>la</strong>re. Poi il trasferimento, in carro


estiame, da Torino al <strong>la</strong>ger di Ravensbrück, l’immatrico<strong>la</strong>zione con il numero 44.145, i patimenti,<br />

le sevizie (i nazisti, nel gennaio del 1945, dopo aver<strong>la</strong> portata per <strong>la</strong> bisogna nel <strong>la</strong>ger di<br />

Sachsenhausen, le estrassero, senza anestesia, ben quindici denti sani), il <strong>la</strong>voro coatto. Il<br />

trasferimento nel sottocampo di Berlin-Schonefeld con nuova immatrico<strong>la</strong>zione (numero 1.721) e<br />

nuovi patimenti, sino al<strong>la</strong> liberazione da parte dell’Armata Rossa il 28 aprile 1945. Nell’estate del<br />

1945, riuscì a rientrare in Italia, dopo una lunga, estenuante marcia, quasi sempre a piedi, da<br />

Ravensbrück a Bolzano.<br />

DE GIOVANNI EDERA FRANCESCA<br />

Nata a Monterenzio (Bologna) nel 1924. Fuci<strong>la</strong>ta a Bologna il 1° aprile 1944, domestica.<br />

Edera crebbe in una famiglia di antifascisti ed antifascista rimase, anche quando andò a servizio<br />

presso una facoltosa famiglia bolognese. Con il fascismo ancora imperante, non aveva esitato a<br />

polemizzare pubblicamente con un gerarca<br />

del suo paese di origine; ciò le valse venti<br />

giorni di carcere. Caduto Mussolini, prima<br />

ancora che <strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> si organizzasse, con<br />

altri giovani di Monterenzio impose alle<br />

autorità del paese che il grano ammassato<br />

nei depositi fosse distribuito al<strong>la</strong><br />

popo<strong>la</strong>zione. Dopo poco tempo, Edera<br />

divenne un’attiva organizzatrice dei gruppi<br />

di partigiani che, su suo impulso, avrebbero<br />

costituito <strong>la</strong> 36a Brigata Garibaldi. Il 30<br />

marzo del 1944, durante un’azione di<br />

prelevamento di armi effettuata nel centro di<br />

Bologna con altri partigiani, Edera fu<br />

catturata dal<strong>la</strong> polizia che fu avvertita da un de<strong>la</strong>tore. Torturata per un giorno intero, <strong>la</strong> ragazza non<br />

si <strong>la</strong>sciò sfuggire <strong>la</strong> più picco<strong>la</strong> informazione e all’alba del 1° aprile fu fuci<strong>la</strong>ta contro il muro di<br />

cinta del Cimitero in via del<strong>la</strong> Certosa. Prima che i suoi carnefici sparassero, Edera gridò:<br />

"Tremate. Anche una ragazza vi fa paura!".<br />

D’ESTE IDA<br />

Nata a Venezia il 10 febbraio 1917. Morta a Venezia il 9 agosto 1976, insegnante.<br />

Laureatasi a Ca’ Foscari nel 1941, Ida D’Este insegnò rego<strong>la</strong>rmente francese sino al 1943, anno in<br />

cui incontrò Giovanni Ponti che, dopo l’armistizio, era diventato un autorevole membro del CLN<br />

veneziano e, in quanto tale, introdusse Ida prima nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> e poi in politica. Al<strong>la</strong> giovane<br />

venne affidato il compito di fare <strong>la</strong> "staffetta" tra i comitati provinciali di Venezia, Padova,<br />

Vicenza e Rovigo e di mantenere i collegamenti tra Ponti e Alessandro Cancan. Nel gennaio del<br />

1945, <strong>la</strong> staffetta partigiana cadde nelle mani del<strong>la</strong> polizia. Arrestata con altri membri del CLN, Ida<br />

fu detenuta e torturata dal<strong>la</strong> banda Carità a Pa<strong>la</strong>zzo Giusti a Padova. Fu, quindi, deportata a Campo<br />

Tures, presso Bolzano. La Liberazione evitò al<strong>la</strong> giovane il trasferimento in Germania. Nel<br />

dopoguerra Ida D’Este, organizzò nel<strong>la</strong> regione il movimento femminile del<strong>la</strong> Democrazia<br />

cristiana<br />

DRADI BRUNA<br />

Nata ad Alfonsine (Ravenna) il 13 luglio 1927, partigiana.<br />

Fu <strong>la</strong> prima donna ad aver riconosciuto il grado di sergente dell’Esercito italiano. Seguendo gli<br />

insegnamenti del padre partecipò, a soli diciassette anni, al<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> nel Ravennate, militando<br />

nel<strong>la</strong> Brigata “A. Tarroni”. La Dradi si trasferì, poi, a Potenza e dal 1950 risiede in Basilicata, dove<br />

si è sempre impegnata sui temi del <strong>la</strong>voro e del<strong>la</strong> condizione femminile.


FIBBI GIULIETTA LINA<br />

Nata a Fiesole (Firenze) il 4 agosto 1920, operaia tessile, dirigente sindacale e politica.<br />

La sua famiglia dovette <strong>la</strong>sciare Fiesole ed emigrare in Francia per sottrarsi (era il 1923), alle<br />

persecuzioni e alle violenze fasciste. Operaia tessile a Lione, <strong>la</strong> Fibbi aveva soltanto 15 anni<br />

quando decise di iscriversi al<strong>la</strong> Federazione giovanile comunista francese e a 17 anni fu dirigente<br />

dell’Unione delle ragazze francesi nel<strong>la</strong> regione del Rodano. All’inizio del<strong>la</strong> seconda guerra<br />

mondiale Lina fu arrestata dal<strong>la</strong> polizia francese e internata nel campo di Rieucros. Nel 1941 Fibbi,<br />

su indicazione del PCI, chiese di essere rimpatriata. La richiesta fu accolta, ma appena Lina arrivò<br />

a Ventimiglia fu arrestata dal<strong>la</strong> polizia italiana: sei mesi di carcere a Firenze, poi, in assenza di<br />

prove a suo carico, il provvedimento di due anni d’ammonizione e <strong>la</strong> sorveglianza speciale. Con <strong>la</strong><br />

caduta del fascismo, fu chiamata ad operare nel servizio c<strong>la</strong>ndestino del<strong>la</strong> direzione del PCI<br />

dell’Interno. Quando a Mi<strong>la</strong>no si costituì il Comando generale delle brigate Garibaldi entrò a farne<br />

parte e cominciò il <strong>la</strong>voro di organizzazione dei Gruppi di difesa del<strong>la</strong> donna, ma prevalentemente<br />

si occupò dei collegamenti e di delicate missioni per conto del Comando delle Garibaldi. Dopo <strong>la</strong><br />

liberazione, <strong>la</strong> Fibbi assolse svariati compiti di direzione politica e sindacale.<br />

FILIPPINI-LERA ANNA ENRICA<br />

Nata a Roma il 27 luglio del 1914.<br />

Entrò in contatto con gli ambienti antifascisti nel<strong>la</strong> seconda metà degli anni Trenta. Nel '37-'38<br />

s'impegnò nel<strong>la</strong> raccolta di fondi per le Brigate in Spagna. Nel '40 s'iscrisse all'Università di Roma,<br />

al<strong>la</strong> facoltà di scienze biologiche. Al<strong>la</strong> fine del '42 col<strong>la</strong>borò al<strong>la</strong> redazione e al<strong>la</strong> diffusione del<br />

giornale c<strong>la</strong>ndestino comunista "Pugno chiuso". Dopo l'8 settembre del '43, entrò nel comitato<br />

studentesco di agitazione, distribuendo vo<strong>la</strong>ntini e svolgendo attività di propaganda, e<br />

successivamente aderì al<strong>la</strong> cellu<strong>la</strong> del PCI di Piazza Vittorio, diventando responsabile del <strong>la</strong>voro<br />

femminile del VI Settore. Fu arrestata il 14 febbraio del '44 dal<strong>la</strong> Gestapo, dietro denuncia, nel<strong>la</strong><br />

sua abitazione. Interrogata a via Tasso, fu poi rinchiusa nelle carceri di Regina Coeli, nel terzo<br />

braccio tedesco. Il 23 marzo del '44 fu processata dal Tribunale militare tedesco e condannata a tre<br />

anni di carcere duro, da scontare in<br />

Germania. Il 24 aprile del '44 fu portata a<br />

Firenze su un camion e lì caricata su un<br />

carro bestiame. Raggiunse Monaco il 1°<br />

maggio e fu detenuta nel carcere di<br />

Stadelheim. Da Monaco fu trasferita per<br />

un giorno a Dachau, ma riportata a<br />

Monaco perché "non ebrea" e perché<br />

"rego<strong>la</strong>rmente processata e condannata<br />

da un Tribunale militare tedesco". Infine<br />

il 29 maggio fu destinata al carcere<br />

femminile di Aichach (Alta Baviera),<br />

dove si trovò tra prigioniere politiche<br />

provenienti da ogni parte d'Europa, e<br />

anche tra detenute per reati comuni. Fu<br />

liberata dalle truppe americane il 5<br />

maggio del '45. Rientrò in Italia il 2<br />

giugno.<br />

FISCHLI DREHER ELENA<br />

Nata a Mi<strong>la</strong>no il 28 giugno 1913,<br />

infermiera.<br />

Di famiglia valdese, Elena dovette<br />

interrompere gli studi perché non iscritta<br />

al<strong>la</strong> "gioventù fascista" e quando si mise


a <strong>la</strong>vorare, appena le sue idee politiche venivano scoperte, perdeva il posto. Si avvicinò al<strong>la</strong><br />

<strong>Resistenza</strong> e nel novembre del 1943, data di nascita dei "Gruppi di difesa del<strong>la</strong> donna", si dedicò al<br />

movimento. Delle imprese compiute si ricordano: come riuscì a non farsi catturare dai fascisti che<br />

erano andati a cercar<strong>la</strong> in ospedale; come da Varese, dove si era rifugiata presso amici elvetici che<br />

le proposero il passaggio in Svizzera come rifugiata politica, tornò a Mi<strong>la</strong>no con i capelli tinti ed<br />

una nuova acconciatura; come fece a liberarsi, durante un rastrel<strong>la</strong>mento, di un plico di documenti<br />

compromettenti, "dimenticati" nel cesto di una fioraia e poi recuperati; come riuscì a trovare un<br />

rifugio per Ferruccio Parri, presso amici genovesi a Mi<strong>la</strong>no, ai quali avrebbe poi mandato un<br />

comunicato ufficiale che diceva: "Sono molto lieta di annunciarvi che il vostro ospite di allora è<br />

l’attuale presidente del Consiglio". Dopo <strong>la</strong> Liberazione fu <strong>la</strong> prima donna in Italia ad aver<br />

ricoperto un incarico pubblico: assessore all’Assistenza e Beneficenza a Mi<strong>la</strong>no.<br />

FLOREANINI DELLA PORTA GISELLA<br />

Nata a Mi<strong>la</strong>no il 3 aprile 1906. Morta a Mi<strong>la</strong>no nel 1993, insegnante di pianoforte e storia del<strong>la</strong><br />

musica.<br />

Floreanini aderì nel 1934 al movimento Giustizia e Libertà e nel 1936 entrò nel Psi. Per un paio<br />

d’anni diffuse stampa c<strong>la</strong>ndestina e, soprattutto, raccolse aiuti per sostenere le famiglie dei<br />

perseguitati politici. Fu costretta ad emigrare c<strong>la</strong>ndestinamente in Svizzera perché finì nel mirino<br />

dell’Ovra. Nel 1942 Gisel<strong>la</strong> passò nelle file dei comunisti italiani. L’anno successivo, subito dopo<br />

<strong>la</strong> caduta del fascismo, <strong>la</strong> Floreanini rientrò in Italia. Dopo l’8 settembre, prima cooperò con<br />

Eugenio Curiel e poi svolse compiti di collegamento tra le formazioni partigiane e <strong>la</strong> Svizzera. Qui<br />

fu arrestata nel giugno del 1944. Tre mesi dopo, scarcerata, rientrò in Italia e raggiunse subito <strong>la</strong><br />

neonata Repubblica dell’Osso<strong>la</strong>. Vi organizzò i Gruppi di difesa del<strong>la</strong> donna (Gdd) e venne<br />

nominata commissario aggiunto all’assistenza. Quando <strong>la</strong> Repubblica dell’Osso<strong>la</strong> cadde, fu Gisel<strong>la</strong><br />

che si preoccupò con successo dell’evacuazione dei bambini in Svizzera. Conclusa l’operazione,<br />

riattraversò il confine e in pieno rastrel<strong>la</strong>mento, raggiunse il comando delle brigate valsesiane. Da<br />

lì diresse l’attività di assistenza ai combattenti del Cusio e del Verbano. All’insurrezione fu Gisel<strong>la</strong><br />

che, come presidente del CLN di Novara, trattò <strong>la</strong> resa del locale comando tedesco. Dopo <strong>la</strong><br />

Liberazione <strong>la</strong> Floreanini è stata membro del<strong>la</strong> Consulta nazionale e deputata al<strong>la</strong> Camera.<br />

FOA LISA<br />

Nata a Torino nel 1923, intellettuale.<br />

Figlia dell'antifascista socialista Michele Giua - professore di chimica ed esperto di esplosivi, che<br />

nel 1935 fu condannato, uscendo dal carcere nel 1943 - Lisa studiò al Liceo d'Azzeglio<br />

interrompendo l'università per <strong>la</strong> guerra. Nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> prese parte da Mi<strong>la</strong>no al<strong>la</strong> lotta<br />

partigiana occupandosi del<strong>la</strong> diffusione del<strong>la</strong> stampa e del trasporto delle armi. Nell'estate del 1944<br />

a Mi<strong>la</strong>no, insieme a un'amica, tutte e due incinte, fu catturata dal<strong>la</strong> banda Koch. Riuscirono a farsi<br />

ricoverare in Ospedale e di lì a scappare grazie ad un gruppo di partigiani.<br />

Divisa, abbastanza spensieratamente, fra socialismo, azioniamo, e comunismo, nel dopoguerra si<br />

iscrisse al PCI. Andò a vivere a Roma ed ebbe tre figli, Anna, Renzo e Bettina, con Vittorio Foa di<br />

cui fu moglie per parecchi anni.<br />

GALEOTTI BIANCHI GINA<br />

Nata a Mantova il 4 aprile 1913. Caduta a Mi<strong>la</strong>no il 24 aprile 1945, ragioniera.<br />

Gina Galeotti Bianchi cominciò giovanissima – nel 1933 - <strong>la</strong> sua attività antifascista. Nel 1943 era<br />

stata arrestata e deferita al Tribunale Speciale per essere stata tra gli organizzatori a Mi<strong>la</strong>no degli<br />

scioperi del marzo contro <strong>la</strong> guerra. Incarcerata per quattro mesi, fu liberata con <strong>la</strong> caduta del<br />

fascismo il 25 luglio e dopo l’8 settembre entrò subito nelle organizzazioni del<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>. Fece<br />

parte, in partico<strong>la</strong>re, del Comitato provinciale di Mi<strong>la</strong>no dei "Gruppi di difesa del<strong>la</strong> donna", si<br />

impegno nel servizio informazioni e si dedicò all’assistenza delle famiglie degli antifascisti caduti.<br />

Lia, questo il "nome di battaglia" di Gina Galeotti Bianchi, morì proprio nei giorni del<strong>la</strong><br />

Liberazione di Mi<strong>la</strong>no. Pur incinta di otto mesi, "Lia" si stava recando all’ospedale di Niguarda,


dove doveva incontrare alcuni partigiani feriti, lì ricoverati sotto false generalità. Fu falciata da una<br />

raffica di mitra, sparata da un camion carico di soldati tedeschi in fuga e incappati in un posto di<br />

blocco partigiano.<br />

GALLICO SPANO NADIA<br />

Nata a Tunisi il 2 giugno 1916. Deceduta a Roma il 19 gennaio 2006, par<strong>la</strong>mentare e dirigente<br />

comunista.<br />

Nacque in una famiglia d’emigrati in Tunisia (il padre Renato, avvocato, col<strong>la</strong>borò, al<strong>la</strong> stampa<br />

antifascista locale in lingua italiana). Nel 1938, aveva aderito al Partito comunista. Il suo impegno<br />

nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> al nazifascismo divenne totale con l’occupazione tedesca del<strong>la</strong> Francia, tanto che,<br />

durante il regime col<strong>la</strong>borazionista di Petain, fu condannata per <strong>la</strong> sua attività politica. Nadia, così<br />

come il marito Velio Spano, riuscì a sottrarsi al<strong>la</strong> cattura e a raggiungere fortunosamente l’Italia<br />

liberata. Dal<strong>la</strong> Liberazione e sino al<strong>la</strong> morte si è impegnata sui problemi di politica internazionale,<br />

del Mezzogiorno e del<strong>la</strong> questione femminile. Fu eletta all’Assemblea costituente e fu<br />

par<strong>la</strong>mentare.<br />

IOTTI NILDE<br />

Nata a Reggio Emilia il 10 aprile 1920. Morta a Roma il 3 dicembre 1999, insegnante,<br />

par<strong>la</strong>mentare.<br />

Il padre - un sindacalista socialista che faceva il deviatore alle Ferrovie e che, durante <strong>la</strong> dittatura,<br />

era stato perseguitato dai fascisti - aveva voluto che <strong>la</strong> figlia <strong>Le</strong>onilde - per tutti Nilde - studiasse.<br />

La ragazza si era così <strong>la</strong>ureata (in <strong>Le</strong>ttere e Filosofia, all’Università Cattolica di Mi<strong>la</strong>no) e, per<br />

alcuni anni, insegnò all’Istituto tecnico industriale di Reggio Emilia. Dopo l’8 settembre 1943<br />

entrò nelle file del<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>, diventando organizzatrice dei "Gruppi di difesa del<strong>la</strong> donna” nel<strong>la</strong><br />

provincia di Reggio. Dopo <strong>la</strong> Liberazione, <strong>la</strong> Iotti si iscrisse al PCI, entrando negli organismi<br />

dirigenti nazionali. Fin dalle prime libere elezioni fu eletta par<strong>la</strong>mentare. Presidente di<br />

Commissione, nel 1979 – prima donna - fu eletta Presidente del<strong>la</strong> Camera dei deputati.<br />

MARTINI CARLA MARIA LILIANA<br />

Nata a Boara Polesine, Rovigo 7 agosto 1926. Croce al Merito di guerra.<br />

Fu arrestata il 14 marzo 1944. Fece parte, assieme alle sorelle Teresa, Lidia e Renata,<br />

dell'organizzazione di Armando Romani (ex ufficiale pilota) e padre P<strong>la</strong>cido Cortese (frate<br />

francescano conventuale), che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, aiutò prigionieri alleati<br />

evasi ed ebrei ad arrivare in Svizzera, dove c'era un comando alleato (si stima che l'organizzazione<br />

riuscì a salvare più di trecento persone). Assieme a lei fu arrestata <strong>la</strong> sorel<strong>la</strong> Teresa ed entrambe<br />

furono condotte dapprima nel carcere di Venezia per poi essere portate nei <strong>la</strong>ger di Mauthausen<br />

(dove Liliana compì i 18 anni), Linz e Grein. Rientrò amma<strong>la</strong>ta a Padova nel 1945.<br />

MICHELIN SALOMON VERA<br />

Nata a Carema (Torino) il 4 novembre 1923 da famiglia protestante di ufficiali dell’Esercito del<strong>la</strong><br />

Salvezza, bibliotecaria.<br />

Al<strong>la</strong> maggiore età, Vera scelse di trasferirsi a Roma (1941) dove <strong>la</strong>vorò come segretaria economa<br />

nel<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> professionale "Colomba Antonietti". Dopo l’8 settembre 1943, entrò nel<strong>la</strong> resistenza<br />

non armata e in partico<strong>la</strong>re nell’organizzazione del Comitato studentesco di agitazione. Compito di<br />

questi gruppi ristretti di giovani fu quello di distribuire materiale di propaganda antifascista contro<br />

l’occupante nazista, davanti alle scuole superiori e all’università, finalizzato anche ad impedire lo<br />

svolgimento rego<strong>la</strong>re delle lezioni e degli esami perché accessibili soltanto a quei giovani in grado<br />

di presentare l’autorizzazione del costituendo esercito del<strong>la</strong> Repubblica di Salò. Vera aderì al<strong>la</strong><br />

cellu<strong>la</strong> del Partito comunista di piazza Vittorio. Il 14 febbraio 1944, dietro de<strong>la</strong>zione, un<br />

commando di SS si presenta in via Buonarroti e arresta tutti i presenti. Tutto il gruppo è trasferito<br />

in Via Tasso. Soltanto Vera rimane nel<strong>la</strong> cel<strong>la</strong> femminile per gli interrogatori. Raggiungerà gli altri


a Regina Coeli. Il 22 marzo si svolge il processo al gruppo, davanti al Tribunale Militare Tedesco:<br />

tutti assolti i ragazzi invece Vera fu condannata a tre anni di carcere duro, da scontarsi in<br />

Germania. Tornano comunque tutti a Regina Coeli, dove sono testimoni del<strong>la</strong> selezione per <strong>la</strong><br />

strage delle Fosse Ardeatine. Il 24 d’aprile Vera fu avviata in Germania, prima in camion e poi in<br />

carro bestiame. Arrivò a Monaco di Baviera dove, dopo una sosta nel KZ di Dachau, fu<br />

immatrico<strong>la</strong>ta nel<strong>la</strong> prigione di Stadelheim (Monaco). Trascorso circa un mese, fu trasportata nel<strong>la</strong><br />

sede definitiva del<strong>la</strong> detenzione: il Frauen Zuchthaus di Aichach (Alta Baviera) dove fu liberata<br />

dalle truppe americane il 29 aprile 1945. Tornò in Italia arrivando a Mi<strong>la</strong>no il 2 giugno.<br />

MILLU LIANA<br />

Nata a Pisa il 21 dicembre 1914.<br />

Deceduta a Genova il 6 febbraio<br />

2005, maestra elementare, scrittrice.<br />

Liana Millu, nel 1937, era una<br />

maestrina di Livorno. Oltre che<br />

insegnare ai bambini delle<br />

Elementari, col<strong>la</strong>borò con il<br />

quotidiano Il Telegrafo, diretto da<br />

Giovanni Ansaldo. L’anno dopo, per<br />

le leggi razziali, perse l’impiego<br />

nel<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> e <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione al<br />

giornale. Visse di <strong>la</strong>voretti precari e<br />

mal pagati, sicché, nel giugno del<br />

1940 decise di trasferirsi a Genova. Fu qui che, dopo l’8 settembre 1943, Liana diventò un membro<br />

attivo del<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>. Entrata nell’Organizzazione "Otto", l’insegnante ebbe il delicato compito<br />

di comunicare informazioni e codici operativi. Il suo impegno fu bloccato nel marzo del 1944,<br />

quando, a Venezia, venne arrestata e deportata ad Auschwitz. Liana Millu riuscì a sopravvivere e a<br />

tornare in Italia, ma <strong>la</strong> drammatica esperienza segnò <strong>la</strong> sua esistenza. Sopravvissuta ai campi di<br />

sterminio nazisti, dedicò <strong>la</strong> vita al<strong>la</strong> memoria del<strong>la</strong> Shoah.<br />

MORONI SAGAN GINETTA<br />

Nata a Mi<strong>la</strong>no nel 1925. Deceduta nell’agosto 2000 ad Atherton, in California.<br />

Era ancora studentessa quando i fascisti, nel 1943, arrestarono i suoi genitori, entrambi medici. Il<br />

padre, cattolico, fu fuci<strong>la</strong>to; <strong>la</strong> madre, ebrea, internata morì ad Auschwitz. Ginetta Moroni entrò<br />

subito nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> come staffetta, <strong>la</strong> cui principale attività era quel<strong>la</strong> di aiutare ebrei ed<br />

antifascisti a riparare in Svizzera. Catturata dalle Brigate Nere a Sondrio nel 1945, Ginetta restò<br />

nelle mani dei fascisti per 45 giorni. Sottoposta ad ogni sorta di violenze riuscì, nonostante le<br />

iniettassero anche sodio e pentothal, a non tradire i suoi compagni, che riuscirono a liberar<strong>la</strong> in<br />

modo rocambolesco, consentendole di tornare al<strong>la</strong> sua attività di corriere c<strong>la</strong>ndestino. Si calco<strong>la</strong><br />

che Rosetta fosse riuscita, sino al<strong>la</strong> Liberazione, ad assicurare <strong>la</strong> salvezza ad oltre 300 persone. Nel<br />

1945 si trasferì a Parigi e poi andò in America dopo aver sposato <strong>Le</strong>onard Sagan.<br />

MURATTI MASSONO LUCILLA<br />

Nata a Tricesimo (Udine) il 5 settembre 1988. Morta ad Udine il 4 aprile 1964.<br />

Figlia di un aristocratico patriota e cospiratore triestino che aveva partecipato alle campagne<br />

garibaldine, Lucil<strong>la</strong> sposò il generale Massone. Dopo l’8 settembre 1943 si rese utile nell’ospedale<br />

civile di Udine e al<strong>la</strong> stazione ferroviaria, assistendo i soldati italiani che venivano deportati in<br />

Germania. Prese quindi contatto con il locale CLN ed entrò nelle Brigate Osoppo, con il nome di<br />

copertura di “Giustina”. Incaricata del servizio di controspionaggio, si prodigò soprattutto<br />

nell’allestimento di ospedali da campo. Fu arrestata e rinchiusa nel carcere del Coroneo nel


febbraio del 1945, mentre stava organizzando a Trieste i contatti con <strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>,. Vi restò dieci<br />

giorni. Quando fu ri<strong>la</strong>sciata, ritornò a Udine. Il 23 aprile 1945 si arruolò nel<strong>la</strong> Brigata<br />

“Miglioranza”. Dopo <strong>la</strong> Liberazione fu attivissima monarchica e si prodigò molto nel<strong>la</strong> campagna<br />

referendaria del 1946.<br />

NEGRI INES<br />

Nata a Savona l’8 ottobre 1916. Uccisa dai fascisti a Savona il 19 agosto 1944.<br />

Ines fu una giovane antifascista che, subito dopo l’armistizio, entrò nei Gruppi di difesa del<strong>la</strong><br />

donna e divenne staffetta partigiana. Nell’agosto del 1944 in provincia di Savona arrivarono i<br />

primi contingenti del<strong>la</strong> Divisione del<strong>la</strong> fanteria di marina "San Marco", ma non tennero conto del<br />

fatto che non pochi degli arruo<strong>la</strong>ti accettarono l’ingaggio per sottrarsi al<strong>la</strong> prigionia in Germania.<br />

Lo compresero le organizzazioni del<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> e, in partico<strong>la</strong>re, quelle delle <strong>donne</strong>. Fu così che<br />

anche tra quei soldati cominciarono le diserzioni. Il 16 agosto del 1944, ad Albiso<strong>la</strong> Mare, nei<br />

pressi di Vil<strong>la</strong> Faragiana, Ines Negri, che accompagnava in montagna militari del<strong>la</strong> "San Marco",<br />

fu arrestata. Dopo tre giorni di feroci torture, <strong>la</strong> giovane donna fu condannata a morte e subito<br />

fuci<strong>la</strong>ta. La stessa sorte toccò, una settimana dopo, a Clelia Corradini. La risposta delle <strong>donne</strong><br />

savonesi venne con un comunicato del bollettino "Noi Donne", nel quale si annunciò che, da quel<br />

momento, le <strong>donne</strong> sarebbero entrate nelle formazioni partigiane, partecipando direttamente alle<br />

azioni di guerriglia. Il nome di Ines fu dato ad una Brigata garibaldina<br />

NISSIM LUCIANA<br />

Nata a Torino nel 1919. Deceduta a Mi<strong>la</strong>no nel 1998, <strong>la</strong>ureata in medicina.<br />

Nonostante le leggi antiebraiche, Luciana Nissim riuscì a conseguire, nel 1943, poco prima del<strong>la</strong><br />

caduta del fascismo, <strong>la</strong> <strong>la</strong>urea in medicina. Dopo l’armistizio, Luciana decise di raggiungere in<br />

Valle d’Aosta un piccolo gruppo di partigiani di Giustizia e Libertà. Dopo pochi mesi Nissim<br />

venne arrestata con i compagni di lotta. Il 13 dicembre del 1943 fu rinchiusa nel carcere di Aosta.<br />

Poco dopo fu trasferita nel campo di Fossoli, da dove, il 22 febbraio del 1944, partì con un<br />

convoglio di circa cinquecento persone con destinazione Auschwitz. Luciana grazie al<strong>la</strong> sua <strong>la</strong>urea<br />

venne assegnata per qualche tempo all’infermeria del campo. Sopravvisse al <strong>la</strong>ger e tornò in Italia.<br />

OLIVA ELSA<br />

Nata a Piedimulera (Novara) l’11 aprile 1921. Deceduta a Domodosso<strong>la</strong> l’11 aprile 1994.<br />

Nacque in una famiglia antifascista. Frequentata soltanto <strong>la</strong> quarta elementare, a otto anni, fu<br />

messa "a servizio". Ragazzina irrequieta, aveva solo 14 anni quando, con il fratello Renato, si<br />

allontanò di casa e se ne andò in Valsesia. Poi si trasferì ad Ortisei. Elsa non nascose le sue idee,<br />

tanto che fu presa di mira dal<strong>la</strong> polizia. Fu così che ritenne più conveniente andarsene in un centro<br />

più grande. A Bolzano riuscì a farsi assumere all’Anagrafe del Comune, dove rimase fin dopo<br />

l’armistizio. Fu quello il momento dell’impegno totale nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>. Elsa partecipò al<strong>la</strong> difesa<br />

del<strong>la</strong> caserma di Bolzano contro i tedeschi, organizzò <strong>la</strong> fuga di militari internati dagli occupanti,<br />

procurò certificati falsi a molti soldati, perché potessero sottrarsi al<strong>la</strong> cattura, poi distrusse<br />

l’archivio dell’Anagrafe, perché non restassero tracce del suo operato. Sino al novembre del 1943,<br />

<strong>la</strong> ragazza partecipò coraggiosamente, con gli antifascisti locali, ad azioni di sabotaggio contro i<br />

tedeschi, ma finì per essere arrestata. Era in viaggio per Innsbruck, dove avrebbero dovuto<br />

processar<strong>la</strong>, quando riuscì a fuggire e a raggiungere, Domodosso<strong>la</strong> dove i suoi si erano nel<br />

frattempo trasferiti. Ricercata dalle SS, nel maggio del 1944 <strong>la</strong> ragazza si unì, come infermiera, ai<br />

partigiani del<strong>la</strong> 2a Brigata del<strong>la</strong> Divisione "Beltrami", ma presto divenne partigiana combattente.<br />

Nell’ottobre <strong>la</strong>sciò <strong>la</strong> "Beltrami", raggiungendo un altro fratello, Aldo, che militava nel<strong>la</strong> "Banda<br />

Libertà". Nuovamente cambiò formazione. Elsa entrò nel<strong>la</strong> Brigata partigiana "Franco Abrami"<br />

del<strong>la</strong> Divisione "Valtoce", che ebbe <strong>la</strong> sua base sul Mottarone. <strong>Le</strong> affidarono il comando di una<br />

squadra chiamata "Vo<strong>la</strong>nte di polizia" e che presto, dal nome di battaglia di Elsa, sarà chiamata<br />

"Vo<strong>la</strong>nte Elsinki”. L’8 dicembre 1944 fu catturata dai fascisti, che <strong>la</strong> portano in una loro caserma<br />

di Omegna. La ragazza era certa del<strong>la</strong> fuci<strong>la</strong>zione e decise quindi di simu<strong>la</strong>re il suicidio, ingerendo


del sonnifero. Portata in ospedale, dopo le cure, con l’aiuto di una suora e di un prete, riuscì a<br />

fuggire. Ritornata tra i partigiani del<strong>la</strong> "Valtoce", continuò <strong>la</strong> lotta armata sino al<strong>la</strong> Liberazione.<br />

Per questo, al<strong>la</strong> smobilitazione, le fu riconosciuto il grado di tenente<br />

OMBRA MARISA<br />

Nata ad Asti nel 1925. Intellettuale.<br />

Di famiglia operaia, Marisa Ombra all’indomani del settembre 1943, fece <strong>la</strong> scelta di entrare nel<strong>la</strong><br />

<strong>Resistenza</strong>. Il padre, Celestino Ombra (Tino fu il suo nome di battaglia) fu organizzatore dei primi<br />

gruppi partigiani. Dopo il suo arresto e <strong>la</strong> sua liberazione ad opera dei partigiani, fu trasferito nelle<br />

Langhe. A 19 anni, nel 1944, Marisa insieme al<strong>la</strong> madre<br />

ed al resto del<strong>la</strong> famiglia, si trasferirono nel<strong>la</strong> zona dove<br />

operava il padre - commissario di brigata - tra le Langhe<br />

ed il Monferrato. Nel gruppo partigiano delle Brigate<br />

Garibaldi dove entrò, le diedero l’incarico di staffetta di<br />

collegamento (Lilia fu il suo nome di battaglia) tra gli<br />

altri gruppi sparsi nel territorio. Fece parte dei Gruppi di<br />

difesa del<strong>la</strong> donna. Dopo <strong>la</strong> Liberazione fece parte<br />

dell’UDI. L’8 marzo 2007 è stata insignita del titolo di<br />

Grande Ufficiale del<strong>la</strong> Repubblica.<br />

ORIANI MARCELLINA<br />

Nata a Cusano Mi<strong>la</strong>nino (Mi<strong>la</strong>no) il 26 marzo 1908.<br />

Deceduta a Cusano Mi<strong>la</strong>nino il 22 dicembre 2000,<br />

fi<strong>la</strong>trice.<br />

Aveva soltanto undici anni quando cominciò a <strong>la</strong>vorare.<br />

Nel 1928, occupata come operaia nel<strong>la</strong> azienda tessile<br />

S.A.S.A. di Cusano, organizzò uno sciopero che le<br />

valse l’immediato licenziamento. Da quel momento<br />

ebbe inizio il pieno impegno politico: con l’adesione al<br />

Partito Comunista d’Italia illegale, con l’attività di<br />

diffusione del<strong>la</strong> stampa c<strong>la</strong>ndestina, con <strong>la</strong> raccolta di<br />

fondi per il "Soccorso Rosso" - che provvedeva ad<br />

aiutare le famiglie in difficoltà degli antifascisti<br />

perseguitati dal regime. Per sei anni <strong>la</strong> giovane operaia riuscì a svolgere <strong>la</strong> sua attività, poi – era il<br />

1934 – Oriani fu arrestata. Il 20 maggio 1935 fu processata dinanzi al Tribunale speciale che <strong>la</strong><br />

condannò a dieci anni per "costituzione di associazione comunista, appartenenza al<strong>la</strong> medesima e<br />

propaganda sovversiva". In carcere a Roma e a Perugia sino al 1938, quando uscì per amnistia,<br />

Marcellina diventò, per altri tre anni, una "sorvegliata speciale", ma riuscì a riprendere i contatti<br />

con il suo partito. Nel novembre del 1943, a <strong>Le</strong>gnano, organizzò uno sciopero delle operaie delle<br />

fabbriche tessili e nel gennaio 1944 quello delle maestranze del<strong>la</strong> "Franco Tosi". Nel 1944,<br />

Marcellina fu a Mi<strong>la</strong>no, dove dette un grande contributo al<strong>la</strong> riuscita degli scioperi del marzo. Ma<br />

dovette allontanarsi dal<strong>la</strong> città e si spostò in Liguria. Organizzò a Genova e a Savona i "Gruppi di<br />

Difesa delle Donne", che affiancarono le attività del<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>. Per farlo, Oriani assunse diverse<br />

identità e non si sottrasse da operazioni di guerriglia rischiose.<br />

PERON MARIA<br />

Nata Borgorico di Sant’Eufemia (Padova) nel 1915. Deceduta a San Bernardino Verbano (Novara)<br />

il 9 novembre 1976, infermiera.<br />

Nel<strong>la</strong> prima infanzia rimase orfana del padre. Adolescente si trasferì con <strong>la</strong> famiglia a Ravenna,<br />

dove conseguì il diploma di infermiera. Si spostò in Lombardia, <strong>la</strong>vorando a Niguarda, l’Ospedale<br />

Maggiore di Mi<strong>la</strong>no, alle dirette dipendenze del primario chirurgo in sa<strong>la</strong> operatoria. Cattolica


praticante, Maria, dopo l’8 settembre 1943, entrò in contatto con <strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> mi<strong>la</strong>nese per il<br />

tramite dei prigionieri politici che, dall’infermeria del carcere di San Vittore, bombardata, furono<br />

trasferiti a Niguarda. Cominciò così <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione dell’infermiera con i GAP e<br />

l’organizzazione del<strong>la</strong> fuga dall’ospedale di ebrei e antifascisti, avviati all’espatrio c<strong>la</strong>ndestino o<br />

alle formazioni partigiane. Nel giugno del 1944, quando i fascisti scoprirono l’organizzazione,<br />

l’infermiera riuscì a sottrarsi al<strong>la</strong> cattura ca<strong>la</strong>ndosi da una finestra dell’ospedale e si diede al<strong>la</strong><br />

macchia in Val d’Osso<strong>la</strong>, aggregandosi alle formazioni combattenti. Per tutti i mesi del<strong>la</strong> guerriglia<br />

Maria, girò con una sorta di divisa ricavata da equipaggiamento militare, sul<strong>la</strong> quale cucì una<br />

grande croce rossa. Organizzò infermerie, ospedali da campo, curò i partigiani feriti e anche i<br />

nazifascisti catturati, prodigandosi in ogni modo. Rimarrà nel Verbano dopo <strong>la</strong> Liberazione,<br />

esercitando <strong>la</strong> sua professione di infermiera.<br />

PETEANI ONDINA<br />

Nata a Trieste il 26 aprile 1925. Deceduta a Trieste il 3 gennaio 2003, ostetrica, libraia,<br />

sindacalista.<br />

Durante <strong>la</strong> Seconda guerra mondiale, <strong>la</strong> giovanissima Peteani <strong>la</strong>vorò nei Cantieri navali di<br />

Monfalcone. Qui prese i primi contatti col movimento antifascista c<strong>la</strong>ndestino. Prima ancora<br />

dell’armistizio dell'8 settembre 1943 Ondina, con conseguente coerenza, decise di aggregarsi come<br />

staffetta alle prime formazioni partigiane che si andavano costituendo nel Monfalconese e sul<br />

Carso triestino. Arrestata due volte dal<strong>la</strong> polizia fascista, <strong>la</strong> Peteani riuscì a fuggire. L’11 febbraio<br />

1944 a Vermegliano (Gorizia), dov’era in missione, finì nelle mani dei nazifascisti, che <strong>la</strong><br />

portarono a Trieste. Segregata nel Comando delle SS, <strong>la</strong> ragazza fu trasferita al carcere del<br />

Coroneo. Nel mese di marzo <strong>la</strong>sciò il carcere, per essere deportata ad Auschwitz (numero di<br />

matrico<strong>la</strong> 81672). Successivamente, <strong>la</strong> trasferirono nel campo di Ravensbrück. Dei <strong>la</strong>ger Ondina<br />

conobbe tutti gli orrori. Nell’ottobre del 1944, Ondina fu trasferita in una fabbrica di produzione<br />

bellica ad Eberswalde, presso Berlino. Nello stabilimento riuscì a far rallentare il ciclo produttivo.<br />

A metà aprile del 1945, nel corso di una marcia forzata di cinque giorni, che avrebbe dovuto<br />

riportar<strong>la</strong> a Ravensbrück, Ondina fuggì dal<strong>la</strong> colonna di prigionieri. Riuscì a rientrare in Italia a<br />

luglio, dopo aver percorso fortunosamente 1300 chilometri.<br />

PETRACCO NEGRELLI LAURA<br />

Nata a Trieste l’8 agosto 1917. Iimpiccata a Trieste il 23 aprile 1944, insegnante.<br />

Terminati gli studi al "Petrarca" di Trieste si iscrisse al<strong>la</strong> Facoltà di <strong>Le</strong>ttere a Padova. Nel 1939 <strong>la</strong><br />

giovane insegnante si sposò ed ebbe un figlio. Laura, animata da ideali di libertà e giustizia sociale,<br />

nonostante le cure del bambino, dal 1943 si impegnò nel movimento comunista c<strong>la</strong>ndestino<br />

triestino. La giovane insegnante non si limitò a svolgere <strong>la</strong>voro politico tra gli studenti e gli operai<br />

triestini, ma organizzò anche il movimento che prese il nome di "Gioventù antifascista italiana". Il<br />

19 aprile del 1944 l’insegnante fu arrestata dai tedeschi, di fronte ai quali <strong>la</strong> coraggiosa donna non<br />

esitò a riaffermare <strong>la</strong> sua fede democratica. Tre giorni dopo - Laura si trovava ancora in una cel<strong>la</strong><br />

del "Coroneo" - i partigiani del IX Korpus sloveno effettuarono un attentato contro <strong>la</strong> "Casa del<br />

soldato tedesco", che era ospitata nel<strong>la</strong> sede del Conservatorio. I nazisti reagirono con una<br />

spaventosa esecuzione: cinquantuno detenuti italiani e sloveni, tra i quali Laura Petracco Negrelli,<br />

furono prelevati dal carcere, trasportati in via Ghega, impiccati alle ba<strong>la</strong>ustre delle scale e alle<br />

finestre del Conservatorio e lì <strong>la</strong>sciati appesi per giorni.<br />

PIPPAN NICOLETTO MARIA<br />

Nata a Lussak (Fiume) il 28 gennaio 1907, operaia tabacchina.<br />

Emigrata in Francia con <strong>la</strong> famiglia, Maria si iscrisse al Partito comunista che, nel 1931, <strong>la</strong> inviò in<br />

Italia per svolgervi c<strong>la</strong>ndestinamente attività antifascista. Individuata dal<strong>la</strong> polizia, l’anno dopo <strong>la</strong><br />

ragazza fu arrestata. Confinata a Ponza, poi in Sardegna, alle Tremiti e, infine, a Ventotene, nel<br />

1934 fu condannata a quattro mesi di carcere dal Tribunale di Napoli e, nel 1935, ad altri otto mesi<br />

per attività antifascista svolta mentre era al confino. <strong>Le</strong> condanne non riuscirono a fiaccare Maria,


che nel 1936 aveva sposato, proprio a Ponza, l’antifascista Italo Nicoletto. Ri<strong>la</strong>sciata dal confino,<br />

<strong>la</strong> giovane donna dovette espatriare per sfuggire a un nuovo mandato di cattura. Raggiunta <strong>la</strong><br />

Francia, Maria vi riprese l’attività antifascista tra gli emigrati italiani. Nel 1942, per incarico del<br />

Centro estero del suo partito, rientrò in Italia per ricostituire, con altri compagni, <strong>la</strong> Federazione<br />

comunista di Brescia. Dopo l’8 settembre 1943, Maria prese parte al<strong>la</strong> guerra di Liberazione nelle<br />

file del<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> bresciana<br />

PISONI INES<br />

Nata a Trento nel 1913. Deceduta a Cogno<strong>la</strong> (Trento) il 4 ottobre 2005, partigiana, scrittrice,<br />

dirigente sindacale e politica.<br />

Insegnante, cattolica, si impegnò nel<strong>la</strong> lotta contro i nazifascisti, trasferendosi in Romagna. A<br />

Ravenna, con Valeria Vochenhausen (“Antonia”), fu una delle maggiori dirigenti provinciali del<br />

partito comunista c<strong>la</strong>ndestino e l’organizzatrice dei Gruppi di difesa del<strong>la</strong> donna. Soltanto dopo <strong>la</strong><br />

Liberazione “Serena” (questo il nome di battaglia che aveva scelto) tornò a Trento da Alfonsine.<br />

Nel dopoguerra Ines Pisoni si impegnò a Roma nel <strong>la</strong>voro politico e sindacale.<br />

RAVERA CAMILLA<br />

Nata ad Acqui Terme (Alessandria) il 18 giugno 1889. Morta a Roma il 14 aprile 1988, insegnante.<br />

Nel 1927 fu eletta segretaria del Partito Comunista d’Italia, partito che aveva contribuito a fondare<br />

nel 1921 e nel quale aveva assunto <strong>la</strong> guida dell’organizzazione femminile, fondando anche il<br />

periodico La compagna. Camil<strong>la</strong> Ravera resse <strong>la</strong> segreteria del PCdI sino al 1930 quando, rientrata<br />

c<strong>la</strong>ndestinamente in Italia dal<strong>la</strong> Francia, fu arrestata e condannata a quindici anni e mezzo,<br />

trascorsi tra carcere e confino sino al<strong>la</strong> caduta del fascismo.<br />

Fu l’ultima dei confinati a <strong>la</strong>sciare Ventotene e con Terracini, fu espulsa dal suo partito per aver<br />

condannato il patto Ribbentrop-Molotov. Riacquistata <strong>la</strong> libertà, Camil<strong>la</strong> Ravera riuscì a<br />

raggiungere dopo molte peripezie i suoi famigliari, che erano sfol<strong>la</strong>ti a San Secondo di Pinerolo.<br />

Dopo l’8 settembre 1943, sapendo di essere di nuovo ricercata, riparò in un caso<strong>la</strong>re sulle colline,<br />

che diventò presto luogo di incontri politici c<strong>la</strong>ndestini. Dovette abbandonarlo quando i fascisti<br />

cominciarono a dare alle fiamme tutti i caso<strong>la</strong>ri del<strong>la</strong> zona. Rientrata a Torino dopo <strong>la</strong> Liberazione,<br />

fu riammessa nel PCI e divenne consigliera comunale. Camil<strong>la</strong> Ravera ha <strong>la</strong>sciato molte<br />

pubblicazioni ed è stata <strong>la</strong> prima <strong>donne</strong> italiane nominate senatore a vita.<br />

ROCHAT JERVIS LUCILLA<br />

Nata a Firenze il 22 dicembre 1907. Deceduta a Torre Pellice (Torino) il 23 febbraio 1988,<br />

insegnante.<br />

Il nonno Giovanni e il padre Luigi furono valdesi e socialisti. Lucil<strong>la</strong>, che si <strong>la</strong>ureò in <strong>Le</strong>tteratura<br />

inglese all’Università di Firenze, militò nel movimento giovanile valdese e quando sposò<br />

Guglielmo Jervis si trasferì ad Ivrea con il marito, dirigente tecnico dell’Olivetti. Dopo l’8<br />

settembre 1943 i coniugi, che avevano due figli, si impegnarono nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> e, mentre<br />

“Willy” (che sarebbe stato ucciso dai tedeschi), si batteva come commissario politico delle<br />

formazioni Giustizia e Libertà operanti in Piemonte, Lucil<strong>la</strong> assolse a compiti di collegamento e di<br />

propaganda.<br />

ROLFI BECCARIA LIDIA<br />

Nata a Mondovì (Cuneo) l’8 aprile 1925. Deceduta a Mondovì il 17 gennaio 1996, maestra<br />

elementare.


Al momento dell’annuncio<br />

dell’armistizio, insegnava in un<br />

paesino del<strong>la</strong> Val Varaita. La<br />

“Maestrina Rosanna”, come<br />

l’avrebbero chiamata i suoi<br />

compagni, aderì subito al<br />

movimento partigiano, diventando<br />

staffetta del<strong>la</strong> costituenda XV<br />

Brigata Garibaldi “Saluzzo”. Il 15<br />

aprile 1944 Lidia Rolfi fu<br />

arrestata dai fascisti a Sampeyre<br />

(Cuneo). Rinchiusa prima nel<br />

carcere di Saluzzo, fu poi<br />

trasferita alle Carceri Nuove di<br />

Torino. Vi restò sino al<strong>la</strong> notte tra<br />

il 25 e 26 giugno, quando i<br />

nazifascisti ne decisero <strong>la</strong><br />

deportazione in Germania.<br />

Rinchiusa nel <strong>la</strong>ger di<br />

Ravensbrück, <strong>la</strong> giovane<br />

insegnante riuscì a sopravvivere,<br />

sino al sopraggiungere degli<br />

Alleati. Liberata rientrò in Italia il<br />

1° settembre 1945.<br />

ROMANO GRAZIELLA (LALLA)<br />

Nata a Demonte (Cuneo) l’11 novembre 1906. Deceduta a Mi<strong>la</strong>no il 26 giugno 2001, scrittrice.<br />

Partecipò al<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> entrando nel movimento Giustizia e Libertà. Quel<strong>la</strong> che sarebbe poi stata<br />

una delle maggiori scrittrici e poetesse italiane del Novecento si trovava, durante <strong>la</strong> guerra, nel suo<br />

paese natale. Vi era riparata, con il figlio, da Torino dove insegnava storia dell’arte. A Demonte<br />

entrò nei “Gruppi di difesa del<strong>la</strong> donna”.<br />

SCARAZZATI GIUNTOLI DIRCE<br />

Nata a Mi<strong>la</strong>no il 15 dicembre 1920. Deceduta a Empoli (Firenze) il 21 aprile 2002, domestica.<br />

Per sfuggire alle persecuzioni dei fascisti, <strong>la</strong> sua famiglia nel 1931, aveva dovuto riparare in<br />

Belgio. Si trasferirono in Francia e diventarono agricoltori. Nel 1936, <strong>la</strong> ragazza aveva preso i<br />

primi contatti con <strong>la</strong> cellu<strong>la</strong> comunista c<strong>la</strong>ndestina del paesino dove abitava e dove era "andata a<br />

servizio". Due anni dopo, Dirce si trasferì a Parigi, entrando a tempo pieno nell’organizzazione del<br />

Centro estero del PcdI. Nel<strong>la</strong> primavera del 1939 <strong>la</strong> ragazza fu incaricata di rientrare in Italia, per<br />

collegarsi con l’organizzazione c<strong>la</strong>ndestina di Ancona, ma cadde nelle mani dell’OVRA.<br />

Incarcerata, resistette agli interrogatori, poi fu trasferita al carcere di Marassi, a Genova, e deferita<br />

al Tribunale speciale. Processata con altri ventiquattro imputati di varie regioni, il 2 febbraio 1940<br />

Dirce Scarazzati fu condannata a otto anni di reclusione per "associazione e propaganda<br />

sovversiva". Scontò <strong>la</strong> pena nel Carcere di Trani. Liberata il 23 agosto del 1943, <strong>la</strong> giovane<br />

raggiunse Mi<strong>la</strong>no e qui, dopo l’8 settembre, riprese <strong>la</strong> lotta antifascista. Organizzò <strong>la</strong> propaganda,<br />

mantenne i contatti tra il CLN e le fabbriche. Poi passò a Torino, dove diventò "staffetta" delle<br />

formazioni partigiane. Quando, finalmente, l’Italia fu liberata, <strong>la</strong> ragazza tornò nel<strong>la</strong> sua città<br />

natale.


SPIAZZI PIUBELLI ONILDA<br />

Fuci<strong>la</strong>ta a Cazzano di Tramigna (Verona) il 29 luglio 1944, contadina.<br />

Essere madre di un renitente al<strong>la</strong> leva fu <strong>la</strong> so<strong>la</strong> colpa di Nilde, come <strong>la</strong> chiamavano in paese. Il<br />

figlio Luigi, infatti, si diede al<strong>la</strong> macchia e quando i fascisti, <strong>la</strong> sera del 28 luglio, si presentarono<br />

nel<strong>la</strong> povera casa degli Spiazzi Piubelli, non vi trovarono che <strong>la</strong> mamma. Con le percosse,<br />

tentarono di farsi dire dove si fosse rifugiato il ragazzo con altri suoi compagni, ma da Nilde non<br />

ottennero <strong>la</strong> minima indicazione. Trasferita nel<strong>la</strong> sede del municipio, Onilda per tutta <strong>la</strong> notte fu<br />

torturata dai suoi aguzzini, che non riuscirono a cavarle una paro<strong>la</strong> di bocca. L’indomani, l’eroica<br />

donna fu vista uscire, barcol<strong>la</strong>nte e sorretta dal parroco, dall’edificio del Comune. Era attorniata<br />

dai suoi torturatori, che <strong>la</strong> piazzarono contro un muro e <strong>la</strong> fuci<strong>la</strong>rono per il suo silenzio. Contro<br />

quel muro resta ora una semplice <strong>la</strong>pide.<br />

TITONEL DAMINA<br />

Nata a Refrentolo (Treviso) il 1° luglio 1923, casalinga.<br />

Aveva soltanto due anni quando <strong>la</strong> sua famiglia di contadini socialisti furono costretti ad emigrare<br />

per trovare un <strong>la</strong>voro e per sottrarsi alle aggressioni fasciste. Si trasferirono in Francia, a Monc<strong>la</strong>ir<br />

d’Agenais. Durante il regime di Vichy, Damina entrò nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> francese. Staffetta del<strong>la</strong> 35a<br />

Brigata “Francs-Tireurs-Partisan Main d’ouvres Immigrées” intito<strong>la</strong>ta a Marcel Langer, <strong>la</strong> giovane<br />

donna, nel maggio del 1944, cadde nelle mani dei tedeschi. Incarcerata a Tolosa, Damina vi fu a<br />

lungo interrogata e, inutilmente, percossa e torturata. Nel luglio del 1944 i tedeschi decisero di<br />

deportar<strong>la</strong> e <strong>la</strong> staffetta fu internata nel <strong>la</strong>ger di Belsen. Liberata dalle truppe sovietiche nell’aprile<br />

del 1945, Damina Titonel tornò a Monc<strong>la</strong>ir<br />

VIGANO’ RENATA<br />

Nata a Bologna il 17 giugno 1900. Deceduta a Bologna il 23 aprile 1976, infermiera e scrittrice.<br />

Ebbe <strong>la</strong> passione del<strong>la</strong> medicina e sognò di fare il medico, ma per le difficoltà economiche<br />

interruppe il liceo. Fu così che Renata, prese un "posto nel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>sse operaia", facendo prima<br />

l’inserviente e poi l’infermiera negli ospedali bolognesi. Ma questo suo <strong>la</strong>voro al servizio di chi<br />

aveva bisogno, non le impediva di scrivere, l’altra sua passione. Sino all’8 settembre del 1943<br />

Viganò continuò a <strong>la</strong>vorare in ospedale e a scrivere. Con l’armistizio scelse, insieme al marito ed<br />

al figlio, di partecipare al<strong>la</strong> lotta partigiana nelle valli di Comacchio e in Romagna, facendo, sino<br />

al<strong>la</strong> Liberazione, di volta in volta l’infermiera, <strong>la</strong> staffetta garibaldina, <strong>la</strong> col<strong>la</strong>boratrice del<strong>la</strong><br />

stampa c<strong>la</strong>ndestina.<br />

VIVODA ALMA<br />

Nata a Chiampore di Muggia (Trieste) il 23 gennaio 1911. Morta a Trieste il 28 giugno 1943,<br />

esercente. Prima Caduta del<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> italiana.<br />

Alma Vivoda, Maria nel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ndestinità, iniziò presto l’attività antifascista, anche perché "La<br />

Tappa" – <strong>la</strong> trattoria di Muggia di proprietà del padre – era diventata punto di riferimento per gli<br />

antifascisti del<strong>la</strong> zona. Dopo che le autorità fasciste imposero <strong>la</strong> chiusura dell’esercizio, Alma e il<br />

marito si dedicarono completamente al<strong>la</strong> lotta per <strong>la</strong> libertà. Affidato ad un collegio di Udine il<br />

figlio Sergio, Alma e Luciano scelsero <strong>la</strong> c<strong>la</strong>ndestinità. Maria divenne una delle dirigenti più attive<br />

dell’organizzazione "Donne Antifasciste", assicurando i collegamenti tra l’antifascismo triestino e<br />

le formazioni partigiane dell’Istria. Fu nel<strong>la</strong> primavera del ’43, che il marito fu arrestato e, per le<br />

sue precarie condizioni di salute, ricoverato. Maria ne organizzò l’evasione. Attenta ai problemi<br />

dell’emancipazione femminile e dell’internazionalismo, Alma promosse <strong>la</strong> diffusione del<strong>la</strong> stampa<br />

c<strong>la</strong>ndestina ed arrivò a curare di persona <strong>la</strong> redazione del foglio "La nuova donna". Anche per<br />

questo Alma fu braccata dal<strong>la</strong> polizia fascista, che aveva posto sul<strong>la</strong> sua testa una taglia di 10.000<br />

lire dell’epoca. Il 28 giugno del '43, durante una missione al<strong>la</strong> Rotonda del Boschetto (Trieste), fu<br />

riconosciuta da un carabiniere. Nello scontro a fuoco che ne seguì, Alma fu ferita al<strong>la</strong> tempia.<br />

Trasportata all’ospedale, vi spirò dopo poche ore, assistita da Pierina Chinchio Postogna, che era<br />

stata catturata insieme a lei. All’indomani del<strong>la</strong> morte di Alma Vivoda, il nome del<strong>la</strong> prima donna


italiana caduta nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> fu assunto da un battaglione autonomo del<strong>la</strong> 14a Brigata Garibaldi<br />

"Trieste" (Divisione Garibaldi "Natisone").<br />

VOLTOLINA CARLA<br />

Nata a Torino il 14 giugno 1921. Deceduta a Roma il 6 dicembre 2005, giornalista e psicologa.<br />

Figlia di un ufficiale dell’Esercito fu, prima dello scoppio del<strong>la</strong> seconda guerra mondiale, una<br />

promettente sportiva, tanto che aveva vinto alcuni trofei di nuoto. Dopo l’annuncio dell’armistizio,<br />

<strong>la</strong> ragazza divenne un’attiva partigiana nelle formazioni "Matteotti", prima nel<strong>la</strong> sua città natale e<br />

poi nelle Marche. Qui Car<strong>la</strong> fu arrestata dalle SS durante un rastrel<strong>la</strong>mento. Riuscita ad evadere<br />

con <strong>la</strong> col<strong>la</strong>borazione di un medico, raggiunse Roma, dove col<strong>la</strong>borò nel<strong>la</strong> redazione del<strong>la</strong> stampa<br />

c<strong>la</strong>ndestina. Con <strong>la</strong> liberazione del<strong>la</strong> Capitale, Car<strong>la</strong> raggiunse il Nord ancora occupato e a Torino<br />

incontrò Sandro Pertini, che sposò due anni dopo. Da Torino, nuovo spostamento a Mi<strong>la</strong>no, dove<br />

fu attiva sino al<strong>la</strong> Liberazione. Per il suo impegno nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong> Car<strong>la</strong> Voltolina fu iscritta al<br />

Distretto militare di Roma come combattente, decorata con <strong>la</strong> Croce di guerra.<br />

ZANINETTI LIBANO ANDREINA<br />

Nata a Vercelli il 18 giugno 1904. Deceduta a Vercelli il 30 aprile 1982, ragioniera.<br />

Dopo il diploma, fu assunta come impiegata a Vercelli, nell’Ufficio provinciale dell’economia<br />

(oggi Camera di commercio). Col fascismo ancora imperante, <strong>la</strong> giovane impiegata aderì al neo<br />

costituito Partito d’Azione. Fu così che, subito dopo l’armistizio, entrò nel<strong>la</strong> <strong>Resistenza</strong>. Col nome<br />

di copertura di “Anna”, Andreina Zaninetti s’impegnò nell’attività di appoggio ai prigionieri di<br />

guerra anglo-americani, col<strong>la</strong>borando con l’Ufficio informazioni e l’Ufficio falsi delle formazioni<br />

di “Giustizia e Libertà”. Rappresentò il PdA nell’Unione Donne Italiane. Dopo <strong>la</strong> Liberazione fu,<br />

sino al suo scioglimento nell’agosto del 1947, molto attiva nel Partito d’Azione

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