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Vesprino n38 - Lions Palermo dei Vespri

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magazine<br />

NUMERO TRENTOTTO - MARZO 2013<br />

esprino<br />

Il diario online del <strong>Lions</strong> Club <strong>Palermo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Vespri</strong><br />

Desirée<br />

Rancatore<br />

in concerto a<br />

Villa Malfitano<br />

<strong>Lions</strong> Club <strong>Palermo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Vespri</strong> - Distretto 108 Y/b - Circoscrizione I - Zona 1


<strong><strong>Vespri</strong>no</strong> Magazine<br />

Editoriale di marzo<br />

Negli ultimi giorni del mese di<br />

marzo sono scomparsi tre Italiani<br />

famosi, appartenenti ad aspetti diversi<br />

della nostra cultura, quella<br />

sportiva rappresentata da Pietro<br />

Mennea, campione olimpico <strong>dei</strong><br />

200 metri piani, successivamente<br />

plurilaureato e stimato professionista,<br />

e quella musicale rappresentata<br />

da due cantautori, Enzo<br />

Gabriella Maggio Iannacci, impegnato, come usava<br />

dire nel secolo passato, nella denuncia sociale e umana ed<br />

apprezzato chirurgo, e Franco Califano “ spericolato” cantautore<br />

di successo dai toni seduttori e romantici. Le loro<br />

vite si sono svolte in maniera decisamente parallela, perché<br />

li si può definire coetanei, ma sono state diverse per obiettivi<br />

e mezzi e strategie di realizzazione. I giudizi di valore<br />

adesso hanno scarso significato, perché ciascuno di noi,<br />

negli anni in cui questi uomini sono stati protagonisti, si è<br />

riscoperto ora in uno ora nell’altro. Ma quello che ancora<br />

oggi è importante, secondo me, è il fatto che hanno rappresentato,<br />

e ancora rappresentano, modi diversi di essere<br />

italiani. In questi giorni cruciali, come ha detto il Presidente<br />

della Repubblica, ma ancora inconsapevoli per molti di noi,<br />

le loro vite ci suggeriscono che noi italiani come popolo,<br />

abbiamo nel nostro intimo la diversità, ma anche che questa<br />

è una risorsa più che un limite o un ostacolo. Questa<br />

diversità va valorizzata e rispettata e può essere il volano<br />

della ripresa. Compito della politica sarebbe quello di conoscere<br />

e valorizzare i vari caratteri ed interessi del popolo<br />

piuttosto che essere autoreferenziale.<br />

Visita > Leggi > Commenta > Collabora > Scrivi<br />

<strong><strong>Vespri</strong>no</strong>Magazine<br />

incontriamoci in rete<br />

www.lionspalermo<strong>dei</strong>vespri.it<br />

Hanno collaborato al n. 38 di <strong><strong>Vespri</strong>no</strong>:<br />

Salvatore Aiello, Tommaso Aiello,Vincenzo Ajovalasit,<br />

Raimondo Augello, Attilio Carioti, Daniela Crispo, Aurora<br />

D’Amico, Carmelo Fucarino, Pietro Manzella, Marinella,<br />

Gianfranco Romagnoli, Pippo Sciortino, Carla Seranini,<br />

Amedeo Tullio.<br />

Comitato di redazione:<br />

Gabriella Maggio (Direttore)<br />

Mimmo Caruso • Renata De Simone<br />

Carmelo Fucarino • Francesco Paolo Scalia<br />

2<br />

SOMMARIO<br />

Il coraggio della memoria Raimondo Augello<br />

Scarpe rosse a Torino Gabriella Maggio<br />

Le ricette letterarie di Marinella Marinella<br />

Tre fratelli contadini Raimondo Augello<br />

Giornata internazionale<br />

della donna Gabriella Maggio<br />

Parliamo di lionismo Attilio Carioti<br />

La Real Cantina Borbonica Tommaso Aiello<br />

Desirée Rancatore<br />

a Villa Malfitano Salvatore Aiello<br />

Quando le Associazioni Culturali Carla Seranini<br />

I <strong>Lions</strong> per la prevenzione Attilio Carioti<br />

I piolini sotto le tegole Amedeo Tullio<br />

Papa Francesco Gabriella Maggio<br />

Prevenzione della cecità Vincenzo Ajovalasit<br />

Un barbone Aurora D’Amico<br />

Le molte stagioni di <strong>Palermo</strong> Attilio Carioti<br />

Giornata Mondiale della Poesia Gabriella Maggio<br />

Una lettera inedita<br />

di Mazzini Gianfranco Romagnoli<br />

Cambiamento o semplice<br />

cambio di guardia Pietro Manzella<br />

Il <strong>Lions</strong> Club <strong>Palermo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Vespri</strong><br />

per la pace Gabriella Maggio<br />

Nabucco Salvatore Aiello<br />

Giornata dell’Unità Nazionale Daniela Crispo<br />

Ritorna il progetto Martina Gabriella Maggio<br />

Va’ Pensiero Carmelo Fucarino<br />

Con l’occhio <strong>dei</strong> bambini Gabriella Maggio<br />

I picureddi Pippo Sciortino<br />

Conviviale di Pasqua Attilio Carioti<br />

Serena Pasqua La Redazione


variegato della musica<br />

antagonista degli anni ’70<br />

un posto di rilievo lo occupa<br />

Nelpanorama<br />

una formazione di ragazzi milanesi,<br />

gli Stormy six, autori di parecchie raccolte e<br />

protagonisti di una storia lunga e per certi versi travagliata.<br />

Nati nel 1966, gli Stormy six sono tra i primi<br />

esponenti del rock italiano, non esenti da alcune venature<br />

psichedeliche (in stile Pink Floyd) e country.<br />

Ben presto, però, la ricerca artistica del gruppo si rivolge<br />

verso le tematiche politiche di forte denuncia,<br />

dando vita ad una singolare fusione stilistica tra la<br />

canzone politica e il cosiddetto “rock progressivo”,<br />

corrente della musica rock nata in Inghilterra alla<br />

fine degli Anni sessanta così chiamata per il fatto che<br />

essa rappresenta un’evoluzione del semplice rock,<br />

tendente a realizzare un livello di maggiore complessità<br />

e varietà compositiva, melodica, armonica e<br />

stilistica con l’obiettivo di dare alla musica una finalità<br />

artistica che la renda un’opera d’arte; si trattava<br />

di un genere colto, insomma, arricchito da un continuo<br />

richiamo alla musica classica e al jazz, tale da<br />

trasformare il rock da strumento di semplice svago<br />

in arte. Dopo avere vinto nel ’66 il primo festival<br />

della canzone studentesca al Palalido di Milano e<br />

avere mosso i primi passi nei locali più noti del capoluogo<br />

lombardo (Piper, Voom voom, Bang bang) il<br />

gruppo dà inizio alla propria attività discografica e<br />

si apre anche a collaborazioni internazionali, accompagnando,<br />

tra l’altro, i Rolling Stones nel 1967<br />

3<br />

Storia<br />

Il coraggio della memoria<br />

di Raimondo Augello<br />

Gli Stormy Six<br />

in occasione della loro prima tournée italiana. Nel<br />

1972 gli Stormy six pubblicano “L’unità”, un album<br />

che, attingendo a canti di lotta nazionale e internazionale<br />

e a canzoni diffuse tra il Movimento Studentesco,<br />

presenta alcuni brani che offrono una<br />

rivisitazione in chiave fortemente critica delle vicende<br />

che hanno portato all’unità d’Italia. L’uscita è salutata<br />

con entusiasmo dalla critica, che gratifica<br />

“L’unità” del riconoscimento di migliore lavoro prodotto<br />

da un gruppo italiano per quell’anno. La forte<br />

denuncia presente in alcuni brani, tuttavia, fa sì che<br />

l’album incorra nel veto della RAI, la cui commissione<br />

d’inchiesta censura tutte le canzoni. Da questo<br />

momento la storia del gruppo si identifica con una<br />

serie di veti imposti dalla RAI e di incomprensioni<br />

con la stessa casa discografica, l’Ariston Records, incapace<br />

di comprendere la forza dirompente e innovatrice<br />

degli Stormy six, incline piuttosto a tentare di<br />

imbrigliarne la vena polemica entro il più rassicurante<br />

e remunerativo modello di una musica commerciale<br />

del tutto estranea all’ indole creativa del<br />

gruppo. Non mancano, tuttavia, anche gli attestati di<br />

solidarietà provenienti da vari campi del mondo dell’arte,<br />

in Italia e non solo. Ripercorrere tutte le tappe<br />

della storia degli Stormy six sarebbe difficile; per<br />

amore di sintesi qui basti dire che contestualmente<br />

alla maturazione dell’impegno civile e politico il<br />

gruppo milanese si apre alla sperimentazione con un<br />

occhio di particolare attenzione al teatro, offrendosi<br />

a parecchie collaborazioni, tra cui quella con il regi-


Storia<br />

Il coraggio della memoria<br />

sta Gabriele Salvatores, di cui curerà la parte musicale<br />

del Pinocchio Bazaar, musical portato in scena<br />

dalla compagnia del Teatro dell’Elfo di Milano. Apprezzamenti<br />

di grande rilievo provengono dalla critica<br />

di tutta Europa: dalla Svezia, la Germania,<br />

l’Inghilterra, dalla Spagna, dalla Francia, dall’Austria<br />

ed altri ancora: tutti paesi nei quali gli Stormy six si<br />

trovano ad operare. Per quella diffidenza con cui il<br />

gruppo veniva visto in Italia, tuttavia, quei giudizi<br />

così apertamente lusinghieri stentano ad arrivare in<br />

quegli anni sino al nostro Paese, relegando la conoscenza<br />

del gruppo a ristrette cerchie di intellettuali e<br />

agli ambienti della protesta studentesca. Invitati al festival<br />

della canzone politica di Berlino Est nel 1979<br />

e nel 1980, divengono un vero “caso”, poiché la loro<br />

musica appare, per i musicisti e gli intellettuali dissidenti<br />

della Germania comunista, espressione paradigmatica<br />

della posizione critica assunta dal PCI<br />

verso il blocco sovietico. Un gruppo, dunque, la cui<br />

sorte pareva dovesse essere quella di risultare scomodi<br />

a qualsiasi forma di potere costituito. Gli<br />

Stormy six si sciolgono nel 1983 per poi riunirsi dieci<br />

anni dopo; dal 1993 riprendono la loro attività tenendo<br />

ogni anno parecchi concerti e trovando spazio<br />

anche su Radio 3.<br />

Tra le canzoni presenti nell’album “L’unità” ce n’è<br />

una, che oggi presentiamo, dedicata a Pontelandolfo,<br />

cittadina del beneventano in cui all’alba del<br />

14 agosto del 1861 si consumò forse il peggiore degli<br />

eccidi che la contrastata storia del processo unitario<br />

italiano ha scritto. Una pagina colpevolmente rimossa<br />

dai nostri libri di storia e ancora una volta<br />

raccontata solo dal linguaggio dell’arte.<br />

Pontelandolfo<br />

Tra Pontelandolfo e Casalduni qualche giorno<br />

prima di quella infausta data un manipolo di quarantacinque<br />

soldati (un ufficiale, quaranta bersaglieri<br />

e quattro carabinieri) era caduto in un’imboscata<br />

tesa dalle forze partigiane, i cosiddetti “briganti”.<br />

Condotti in paese i militari furono uccisi. La rappresaglia<br />

non tardò: il generale Cialdini, coman-<br />

4<br />

Pontelandolfo<br />

dante in capo delle truppe piemontesi, ordinò che<br />

di quei paesi “non rimanesse pietra su pietra” e incaricò<br />

il maggiore vicentino Pier Eleonoro Negri di<br />

portare a compimento l’operazione. All’alba del 14<br />

agosto una colonna di 500 bersaglieri entrava a Pontelandolfo<br />

mentre la gente era immersa nel sonno.<br />

Erano per lo più vecchi, donne e bambini, poiché<br />

buona parte degli uomini atti alle armi erano sui<br />

monti a condurre la guerriglia e parecchi si erano<br />

allontanati probabilmente avendo avuto già sentore<br />

della violenza della rappresaglia che si preparava.<br />

Le case furono tutte incendiate impedendo a chi si<br />

trovava dentro di uscirne vivo, le donne violentate<br />

selvaggiamente, furono compiute efferatezze indicibili<br />

(oggi abbiamo anche i nomi e cognomi di molte<br />

delle vittime) la chiesa del paese fu profanata e gli<br />

arredi sacri trafugati: l'indomani nella piazza principale<br />

di Benevento i bersaglieri avrebbero allestito<br />

un mercatino improvvisato con la refurtiva, in cui il<br />

parroco di Pontelandolfo, sopravvissuto all'eccidio,<br />

andò a riscattare l'ostensorio.<br />

Due fratelli noti per le loro idee liberali che avevano<br />

tentato di intercedere a nome del paese presso gli ufficiali<br />

piemontesi furono uccisi senza che venisse loro<br />

offerta la possibilità di esprimere le proprie ragioni.<br />

Qualche anno fa la Pro loco del comune di Delebio,<br />

in provincia di Sondrio, ha pubblicato il diario di<br />

Carlo Margolfo, un bersagliere cui toccò la ventura<br />

di prendere parte a quella operazione di rappresaglia.<br />

In esso, a pagina 53, si legge: “Al mattino del


Il coraggio della memoria<br />

giorno 14 (agosto) riceviamo l'ordine superiore di<br />

entrare a Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno le<br />

donne e gli infermi (ma molte donne perirono) ed<br />

incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo<br />

incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti<br />

capitava; indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo<br />

dato l'incendio al paese. Non si poteva stare<br />

d'intorno per il gran calore, e quale rumore facevano<br />

quei poveri diavoli cui la sorte era di morire abbrustoliti<br />

o sotto le rovine delle case. Noi invece durante<br />

l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e<br />

capponi, niente mancava… Casalduni fu l'obiettivo<br />

del maggiore Melegari. I pochi che erano rimasti si<br />

chiusero in casa, ed i bersaglieri corsero per vie e vicoli,<br />

sfondarono le porte. Chi usciva di casa veniva<br />

colpito con le baionette, chi scappava veniva preso a<br />

fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano<br />

portate fuori le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano<br />

gli zaini, il fuoco crepitava”.<br />

Non esistono stime ufficiali sul numero delle vittime<br />

di quella rappresaglia, ma l’ipotesi degli storici va da<br />

un minimo di quattrocento, ad una cifra che più verosimilmente<br />

supera il migliaio (Pontelandolfo contava<br />

infatti oltre quattromila abitanti). Comunque<br />

stiano le cose, è chiaro che se anche volessimo accettare<br />

la cifra per difetto (quattrocento) ci troveremmo<br />

in un rapporto di dieci civili per ogni soldato<br />

caduto, lo stesso criterio adottato dalle truppe tedesche<br />

alle fosse Ardeatine per vendicare l’attentato di<br />

via Rasella.<br />

Qualche giorno dopo, di fronte a tanto scempio, il<br />

deputato Giuseppe Ferrari, milanese d.o.c. (proprio<br />

come gli Stormy six), dopo essersi recato sul posto<br />

per verificarne de visu lo stato di desolazione, fu<br />

l'unico durante una seduta parlamentare a prendere<br />

la parola per denunciare i fatti accaduti; il suo intervento,<br />

al cospetto di un Parlamento in cui c'erano<br />

anche parecchi che sghignazzavano, si concluse con<br />

queste parole di rassegnazione: "Signori, se non vi<br />

accorgete che state sguazzando nel sangue, allora<br />

non so cos'altro dirvi!". Severo fu anche il giudizio<br />

espresso dalla stampa e dalla politica estera: il Parlamento<br />

inglese non mancò di esprimere il proprio<br />

orrore per quanto verificatosi.<br />

5<br />

Storia<br />

Durante i festeggiamenti per il centocinquantenario<br />

dell’unità d’Italia, Giuliano Amato, presente in visita<br />

a Pontelandolfo, ha ricordato l’eccidio porgendo<br />

le scuse ufficiali a nome del governo italiano alla comunità<br />

del paese, mentre il sindaco di Vicenza, la<br />

città da cui proveniva Eleonoro Negri, il boia che<br />

guidò l’operazione di rappresaglia, si è inginocchiato<br />

dinanzi alla lapide scoperta in memoria di Concettina<br />

Biondi (adolescente stuprata e poi uccisa) e di<br />

tutte le altre donne vittime di quella cieca follia. Peccato<br />

che ci siano voluti centocinquanta anni per<br />

farlo, peccato che sui testi ufficiali di storia patria il<br />

nome di Pontelandolfo risulti ancora sconosciuto.<br />

Peccato che non esista ancora un giorno della memoria<br />

che inviti alla riflessione su questo e i tanti altri<br />

orrori che si accompagnarono al processo unitario.<br />

Peccato che ancora un regista del nostro cinema<br />

non abbia deciso di raccontare in un film di Pontelandolfo,<br />

magari emulando l’israeliano Ari Folman e<br />

il suo coraggio nel rievocare alla coscienza <strong>dei</strong> suoi<br />

connazionali i fantasmi di Sabra e Shatila in Valzer<br />

con Bashir. Merito dunque agli Stormy six che irridendo<br />

alla retorica ufficiale e alle esigenze commerciali<br />

hanno avuto il coraggio di raccontare (loro<br />

milanesi) i fatti accaduti in quel lontano paese nel<br />

giorno di quel lontano 1861, offrendo un monumento<br />

di virtù civile e artistica di perenne memoria


Attualità<br />

Ieri, 2 marzo, quattrocento paia di<br />

scarpe rosse sono state allineate<br />

in piazza Castello a Torino in ricordo<br />

delle donne costrette a subire<br />

violenza. Scarpe rosse come il<br />

sangue, hanno testimoniato l’ assenza<br />

dalla società e dalla famiglia di chi direttamente<br />

o metaforicamente le ha indossate.<br />

La manifestazione è un’istallazione dell’artista<br />

messicana Elina Chauvet che<br />

dal 2009 viene allestita nelle piazze di<br />

varie città del mondo. Le scarpe sono<br />

state raccolte poco per volta col passa<br />

parola e di città in città sono aumentate dalle trentatre<br />

iniziali sino alle quattrocento paia di Torino.<br />

L’idea è venuta all’artista a Ciudad Juárez, nello<br />

stato del Chihuahua,nel nord del Messico, dove dal<br />

1993 si susseguono gravissimi atti di violenza sulle<br />

donne e sulle bambine, sotto lo sguardo indifferente<br />

delle autorità. Zapatos Rojo è nata in questa città<br />

dove purtroppo ha avuto anche origine il termine<br />

femminicidio.<br />

di Gabriella Maggio<br />

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6


7<br />

<strong>Lions</strong> Club<br />

LE RICETTE LETTERARIE DI MARINELLA<br />

Il conIglIo alla procIdana<br />

Nell’Isola di Arturo di Elsa Morante Nunziata, la sposa quattordicenne di Wilhelm Gerace,<br />

padre del protagonista Arturo, la sera del suo arrivo a Procida trova la cena già pronta :<br />

coniglio alla procidana.<br />

Ingredienti:<br />

1 coniglio, olio extravergine di oliva<br />

q.b., 1 bicchiere di vino bianco, e<br />

spicchi d’aglio, un grosso ciuffo<br />

prezzemolo, ¼ di peperoncino, sale<br />

q.b. , 8 pomodorini vesuviani<br />

Preparazione:<br />

Rosolare in un tegame di terracotta il coniglio, tagliato a piccoli pezzi, con<br />

olio e sale. Quando è ben dorato, sfumare il vino ed aggiungere i<br />

pomodorini, l’aglio, il peperoncino ed il prezzemolo; lasciare cuocere per<br />

20 mm.


Musica<br />

Tre fratelli contadini<br />

Qualche tempo fa presentando il video<br />

musicale che rievoca i fatti drammatici<br />

di Pontelandolfo abbiamo avuto modo<br />

di raccontare per sommi capi la storia<br />

degli Stormy six, il gruppo milanese autore di una<br />

musica antagonista, e del suo percorso artistico ricco<br />

e travagliato. Quest’oggi presentiamo un altro brano<br />

degli Stormy six, anch’esso tratto da “L’unità” l’album<br />

che, pubblicato nel 1972, suscitò parecchio<br />

scandalo ma anche una messe di consensi da parte<br />

della critica.<br />

Il brano racconta una delle tante storie dimenticate<br />

degli anni cruciali che portarono all’unità d’Italia: è<br />

la vicenda di tre fratelli di Venosa, in Lucania, che<br />

nell’estate del 1861, rifiutatisi di indossare la divisa<br />

<strong>dei</strong> Savoia, preferirono imbracciare le armi e andare<br />

sui monti a condurre la guerriglia. Il 21 gennaio<br />

1862 i tre, sorpresi da un’imboscata tesa dai<br />

soldati, furono uccisi; i loro corpi, portati sulla piazza<br />

del paese, furono esposti come monito per chi nutrisse<br />

velleità di ribellarsi al nuovo re. Come è noto,<br />

l’estensione della leva obbligatoria da parte <strong>dei</strong> Savoia,<br />

insieme all’imposizione di una pressione fiscale<br />

di proporzioni sconosciute, fu tra le cause principali<br />

che portò nelle province del Meridione a quella rivolta<br />

istintiva di popolo che prese il nome di brigantaggio.<br />

D’altro canto, i due fenomeni trovavano<br />

una reciproca giustificazione: le continue guerre sostenute<br />

dal Piemonte richiedevano infatti la presenza<br />

di un esercito numeroso e l’enorme disavanzo prodotto<br />

dalla scelta bellicista in politica estera non poteva<br />

che essere parzialmente ammortizzato da un<br />

sistema fiscale estremamente gravoso che esteso ad<br />

una base più ampia di contribuenti (il Regno delle<br />

due Sicilie era di gran lunga il più popoloso tra gli<br />

stati preunitari) avrebbe permesso di lenire un debito<br />

che altrimenti avrebbe rischiato di portare in<br />

breve al fallimento dello stato sabaudo. Ben diversa<br />

era invece la situazione al tempo <strong>dei</strong> Borboni: la leva<br />

non era obbligatoria e soltanto un cittadino sorteggiato<br />

ogni venticinque era chiamato all’obbligo delle<br />

di Raimondo Augello<br />

8<br />

armi; per il resto provvedevano milizie professionali.<br />

Quanto alle tasse, viste le condizioni floride dell’economia,<br />

esse erano talmente blande da essere<br />

considerate quasi inesistenti, e comunque tra le più<br />

basse d’Europa. La renitenza alla leva, in Sicilia allo<br />

stesso modo che nel Meridione continentale, fu la risposta<br />

disperata di una civiltà contadina in lotta per<br />

la sopravvivenza, una risposta che finì inevitabilmente<br />

per sfociare nel fenomeno del brigantaggio;<br />

scrive a tal proposito Carlo Levi, in “Cristo si è fermato<br />

ad Eboli”: “Il brigantaggio non fu altro che un<br />

accesso di eroica follia, un desiderio di morte e distruzione,<br />

senza speranza di vittoria in cui la civiltà<br />

contadina meridionale difese la propria natura e la<br />

propria identità contro quell’altra civiltà che le stava<br />

contro e che, senza comprenderla, eternamente l’assoggettava”.<br />

Il problema è che di fronte a tale fenomeno<br />

l’unica risposta data dal governo nazionale fu<br />

ispirata ad un criterio di brutale repressione. Tanto<br />

per limitarci ad alcuni fatti di Sicilia, come racconta<br />

Domenico Bonvegna nelle pagine dell’archivio storico<br />

dedicate a questi fatti,<br />

“Il generale Govone chiese e ottenne dal Governo


Tre fratelli contadini<br />

l’autorizzazione a mettere ordine in Sicilia, cominciò<br />

con Caltanissetta, accerchiandola. Tutti coloro<br />

che fossero stati incontrati nella campagna e nei<br />

paesi ‘dall’età apparente del renitente o col viso dell’assassino’,<br />

sarebbero stati arrestati. A Licata, il 15<br />

agosto 1863, il maggiore Frigerio, comandante di un<br />

battaglione di fanteria, intimava alla popolazione<br />

che ‘se l’indomani alle ore 15 non si fossero costituiti<br />

i renitenti e i disertori, avrebbero tolto l’acqua, e ordinato<br />

che nessuno potesse uscire di casa sotto pena<br />

di fucilazione e di altre misure di più forte rigore’.<br />

Una ordinanza a dir poco barbara. Si sono verificati<br />

– aggiunge il Bonvegna – altri casi terribili in Sicilia<br />

in quell’anno, come quello che è successo al<br />

sordomuto palermitano Antonino Cappello. Al poveretto,<br />

ritenuto renitente alla leva, poiché si riteneva<br />

fingesse non parlando, furono inflitte 154<br />

bruciature di ferro rovente in tutto il corpo ‘Il suo<br />

aguzzino – conclude Bonvegna citando lo storico<br />

Tommaso Romano (Sicilia 1860-1870-Una storia da<br />

riscrivere, pag.99) – degno di un persecutore in un<br />

gulag o in un lager del XX secolo – fu il medico divisionale<br />

del Corpo Sanitario Militare Antonio Revelli,<br />

poi insignito dell’Ordine sabaudo <strong>dei</strong> santi<br />

Maurizio e Lazzaro’ .<br />

E ancora scrive il Bonvegna: “In poco più di un<br />

anno furono ben 154 i comuni circondati e posti in<br />

stato d’assedio e poi perquisiti, lo scrive Giancarlo<br />

Poidomani; su 20.000 renitenti, ne vennero arrestati<br />

4.000. Il libro di Romano ne descrive alcuni, il 26<br />

agosto ai Salemi il 48° Reggimento Fanteria del<br />

maggiore Raiola cinse la città per tre giorni, chiudendo<br />

l’acqua potabile. ‘Si ricercano i renitenti e, in<br />

assenza, si arrestano madre, padre, sorelle, fratelli,<br />

che legati come malfattori o galeotti sono trascinati<br />

in carcere. Si arresta senza discernimento. Si arrestano<br />

i parenti sino nei più lontani gradi, gli amici e<br />

chi niente ha in comune col renitente ma che lo vide<br />

nascere’. (pag. 104). Le varie operazioni militari che<br />

miravano a controllare il territorio nelle province di<br />

<strong>Palermo</strong>, Trapani e Girgenti, portarono all’arresto<br />

9<br />

Musica<br />

<strong>dei</strong> facinorosi, <strong>dei</strong> disertori e renitenti, con eventuali<br />

rappresaglie sulle famiglie. Tra le tante disposizioni<br />

emanate, ‘si può leggere questa perla di ‘diritto’ –<br />

scrive Romano – ‘L’autorità politica ha prescritto<br />

che ogni cittadino assente dal proprio comune sia<br />

munito di una carta di circolazione. Tutti coloro che<br />

alla distanza di un chilometro dal paese ne saranno<br />

trovati sprovvisti verranno arrestati, né si rilasceranno<br />

prima che il Sindaco alla presenza del Delegato<br />

di Sicurezza Pubblica e del Comandante la<br />

stazione <strong>dei</strong> R. Carabinieri abbia assicurazioni sulla<br />

loro moralità’ (pag.115)”.<br />

Altre e numerose siffatte perle annovera, come dicevamo,<br />

la storia del Meridione continentale, dove il<br />

fenomeno del brigantaggio imperversò per parecchi<br />

anni in modo ben più virulento che nell’isola.<br />

Dunque la Lucania, teatro <strong>dei</strong> fatti cantati dalla canzone;<br />

quella Venosa che un tempo aveva dato i natali<br />

ad Orazio, tra i massimi cantori dell’età augustea<br />

e che negli anni che stiamo raccontando diventa epicentro<br />

del fenomeno del brigantaggio, la terra in cui<br />

imperversano le bande di Ninco Nanco e di Carmine<br />

Crocco Donatelli, alle cui gesta il bisnipote Michele<br />

Placido dedica ogni anno una ricostruzione<br />

teatrale che ha come sfondo la suggestiva cornice<br />

naturale della foresta della Grancia, parco storico<br />

della Basilicata; uno spettacolo dal titolo eloquente<br />

(“La storia bandita”) in cui, sulle note di brani musicali<br />

appositamente scritti di Antonello Venditti e<br />

Lucio Dalla, il popolare attore veste i panni del famigerato<br />

bisnonno. A tal proposito, in un’intervista<br />

rilasciata alla stampa racconta Michele Placido:<br />

“Sono il pronipote del più terribile brigante e me ne<br />

vanto. Ricordo quando da bambino la nonna mi<br />

raccontava le sue gesta e mi faceva restare ammirato<br />

e a bocca aperta narrandomi le sue avventure e fu<br />

allora che scoprii di assomigliargli molto, perché anch’io<br />

come lui odiavo le ingiustizie. E’ancora vivo in<br />

me il ricordo <strong>dei</strong> racconti della nonna, nei mesi in<br />

cui trascorrevo le vacanze estive a Rionero, dov’era<br />

nato mio padre e dove nacque e operò Carmine


Musica<br />

Tre fratelli contadini<br />

Crocco. Le gesta del mio avo sono la riprova che il<br />

brigantaggio postunitario nell’Italia Meridionale è<br />

stato un fenomeno patriottico e di lotta contadina, la<br />

ribellione di un popolo che si oppose all’invasione<br />

dello Stato piemontese che non tenne fede alle promesse<br />

di distribuire le terre demaniali per consentire<br />

ai cafoni di coltivarle. E’giunto il momento di<br />

fare i conti con la storia –prosegue Placido- e riabilitare<br />

chi, all’interno del movimento di ribellione<br />

contadina, fu criminalizzato da una storiografia bugiarda.<br />

L’Italia deve restare una, ma occorre riscrivere<br />

la storia senza le menzogne che hanno<br />

accompagnato l’invasione piemontese nel Regno<br />

delle Due Sicilie. Basta con la retorica risorgimentale,<br />

facciamo riemergere dagli archivi le verità che<br />

hanno portato alla cancellazione di una nazione che<br />

aveva 700 anni di vita. Il brigantaggio – conclude<br />

Placido nella sua appassionata intervista - non fu<br />

per niente un fenomeno criminale e per questo neanche<br />

Crocco lo fu”. Parole che confermano quanto<br />

detto da Carlo Levi e che paiono riecheggiare in<br />

modo letterale le idee espresse da Antonio Gramsci<br />

nel noto giudizio espresso nel 1920.<br />

Oggi la Basilicata è una delle aree più povere d’Italia<br />

e il reddito procapite è fra i più bassi dell’intero<br />

continente europeo; basti dire che a Matera, dichiarata<br />

dall’Unesco patrimonio dell’umanità per i suoi<br />

“sassi”, non esiste neppure una stazione ferroviaria,<br />

Visita > Leggi<br />

10<br />

il treno non arriva, insomma: peggio che nel Far<br />

West. Eppure in Basilicata sono stati scoperti i più<br />

ricchi giacimenti petroliferi su terraferma di tutta<br />

Europa, ma la cosa, anziché produrre benessere, ha<br />

portato ad uno sfruttamento selvaggio da parte delle<br />

multinazionali grazie al beneplacito del governo nazionale,<br />

con conseguenti ricadute disastrose per<br />

l’ambiente, la salute pubblica (ad oggi il governo romano<br />

non si è curato di avviare un’indagine epidemiologica)<br />

e sull’economia locale, a vocazione<br />

prevalentemente agricola. E come se ciò non fosse<br />

sufficiente, il governo nazionale a trazione leghista<br />

ha concluso accordi con le suddette multinazionali<br />

per incrementare le trivellazioni nel Golfo di Taranto<br />

e per portare il limite minimo da dodici a cinque<br />

miglia dalla costa.<br />

Quando dopo l’invasione piemontese nel Meridione<br />

esplose il fenomeno sino ad allora sconosciuto dell’emigrazione,<br />

cominciò a diffondersi tra le plebi<br />

contadine il detto “O brigante o emigrante”: è forse<br />

per questo che oggi in Basilicata, di fronte ad un presente<br />

di povertà e di brutale sfruttamento coloniale,<br />

si preferisce guardare con occhi nuovi al proprio passato,<br />

senza più vergogna, individuando nei protagonisti<br />

di quella sfortunata epopea contadina le<br />

radici di una dignità e di un orgoglio mortificati<br />

dagli sviluppi della storia.<br />

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11<br />

Attualità<br />

GIORNATA INTERNAZIONALE<br />

DELLA DONNA<br />

di Gabriella Maggio<br />

"Sono stato e sarò sempre dalla parte delle<br />

donne. Abbiate a cuore l'Italia, siate amiche<br />

del vostro paese che ha bisogno di voi, oggi<br />

come non mai", Queste parole ci ha rivolto<br />

oggi il nostro Presidente della Repubblica<br />

Giorgio Napolitano. Perciò, care amiche, sentiamoci<br />

investite di un compito ancora più<br />

grande, se è possibile, che si aggiunge a quelli<br />

già noti e saputi. Ne saremo tutte egualmente<br />

capaci. Viva le donne!


<strong>Lions</strong> Club<br />

Sabato 23 febbraio 2013 presso il Centro<br />

Studi Sociali Pedro Arrupe si è svolto l’incontro<br />

sul tema “ Parliamo di lionismo”.<br />

All’affollata riunione con il Vice Governatore<br />

Gianfranco Amenta ed il Presidente di circoscrizione<br />

Natale Caronia hanno partecipato gli<br />

officer distrettuali e di club ed i soci lions della circoscrizione.<br />

Sono stati affrontati i problemi che ge-<br />

di Attilio Carioti<br />

12<br />

nerano la crisi dell’associazionismo e sono state<br />

proposte varie soluzioni convergenti tutte nella necessità<br />

di mantenere viva la partecipazione <strong>dei</strong> soci<br />

alle attività del club attraverso il coinvolgimento<br />

personalizzato e la selezione <strong>dei</strong> nuovi attraverso<br />

un’adeguata formazione prima del loro inserimento<br />

nell’Associazione.<br />

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di “bene culturale”<br />

è stata a lungo attribuita<br />

quasi esclusivamente<br />

Ladefinizione<br />

alle forme di arte figurativa<br />

e architettonica,a quelle,cioè,che nel ‘500<br />

furono definite”belle arti”. Le conseguenze<br />

di questa mentalità portarono ad occuparsi<br />

e salvare solo certe testimonianze del passato<br />

facendo perderne altre, talvolta molto<br />

preziose;a privatizzare l’oggetto creando attorno<br />

ad esso un fenomeno di tipo commerciale<br />

e a presentarlo come qualcosa di<br />

avulso dal suo contesto originale . Era accaduto<br />

così che,isolando il monumento,l’edificio,dalla<br />

realtà culturale che lo aveva<br />

prodotto,si erano potute compiere le distruzioni<br />

e gli sventramenti che sconvolsero il<br />

tessuto urbano e sociale di tante nostre città<br />

. Questa dimenticanza l’abbiamo ancora notata nel<br />

dicembre del 1999 con la pubblicazione del volume”Siti<br />

Reale Borbonici in Sicilia”di R.Giuffrida,Miranda,Dispensa<br />

e Lo Piccolo che ricordano<br />

la “Pianta e progetto di ristrutturazione del Casino<br />

Reale”(esisteva in Via P.pe Umberto ancora ai<br />

primi dell’Ottocento)dell’architetto Carlo Chenchi,tralasciando,per<br />

la mentalità di cui parlavamo,di<br />

parlare di un’opera di edilizia rurale,ma di<br />

grande valenza architettonica,qual è la Reale Cantina<br />

Borbonica. Noi cercammo invece,col Gruppo<br />

Studi e Ricerche,di recuperare il significato più vero<br />

di cultura inteso come intervento attivo dell’uomo<br />

nella manipolazione dell’ambiente naturale . In<br />

questa maniera il concetto di cultura si liberava del<br />

senso aristocratico per estendersi a tutto ciò che appariva<br />

solo ad un certo punto della storia della società<br />

umana,come risultato di un impegno a<br />

rinnovare,a migliorare la qualità della vita,come testimonianza<br />

di un passato recuperabile nella sua realtà<br />

di sistema,a cui tutto,dalla cancellata in ferro<br />

battuto o dall’ex-voto al sublime capolavoro,si riferisce<br />

e da cui tutto riceve il lume di una interpreta-<br />

di Tommaso Aiello<br />

13<br />

Cultura<br />

La Real Cantina Borbonica prima del restauro negli anni ’80. Foto T.Aiello<br />

zione che si approfondisce e si allarga . Questa indicazione<br />

però non comportava di certo un appiattimento<br />

<strong>dei</strong> valori e del senso della qualità . Così<br />

questa nuova visione ci portò ad interessarci della<br />

Real Cantina Borbonica,ma non solo di questa,e di<br />

sottoporla all’attenzione delle forze politiche per-<br />

L’interno della Cantina nel 1974. Foto Aiello


Cultura<br />

La Real Cantina borbonica di Partinico.<br />

Dal progetto alla realizzazione: spazi e funzioni (1800-1802)<br />

La Cantina Borbonica e la Palazzina-Torre. Foto Aiello 1974.<br />

ché si facessero promotrici presso gli organi competenti<br />

della richiesta dell’esproprio del bene monumentale<br />

più interessante del paese. Purtroppo<br />

passarono oltre 26 anni prima che si arrivasse all’esproprio<br />

e al suo restauro perché il Paese si riappropriasse<br />

di questo bene.<br />

Detto questo,parliamo ora del complesso Cantina<br />

Borbonica,che forse non ha eguali in tutto il sud<br />

d’Italia ed è solo paragonabile a similari costruzioni<br />

dell’Olanda,della Francia e della Gran<br />

Bretagna,dove negli anni precedenti si era verificata<br />

una”rivoluzione agraria” che tendeva a modificare<br />

la produzione con l’ausilio di nuove tecniche e nuovi<br />

mezzi . La Cantina Borbonica fu fatta costruire nel<br />

1800 da Ferdinando III,re di Sicilia(divenuto dopo<br />

la restaurazione Ferdinando I Re delle Due Sicilie) e<br />

rappresenta una delle opere civili più importanti del<br />

nostro paese . Per parlare della Real Cantina Borbonica<br />

non si può prescindere dal ricordare un uomo<br />

eccezionale:Felice Lioy,che era un profondo conoscitore<br />

della vinificazione del territorio che riteneva negativa,nonostante<br />

il Di Bartolomeo nel suo<br />

manoscritto completato nel 1805,parli di una produzione<br />

di ottomila botti di vino bianco amabilissimo<br />

ed apprezzato anche dagli alcamesi . Per il Lioy invece<br />

le cose stavano ben diversamente,tanto e vero<br />

14<br />

che con le sue nuove teorie fece una<br />

sperimentazione a Marineo e a Partinico<br />

per arrivare a una vinificazione ottimale,attraverso<br />

l’uso di una<br />

macchinetta per raspolare(levare i raspi<br />

e gli acini)per ottenere un vino meno<br />

acido che si poteva conservare meglio e<br />

vendere con più comodo . Sulla spinta<br />

di queste nuove teorie,che forse dovette<br />

mediare dagli inglesi,non gli fu difficile<br />

convincere il sovrano,che acconsentì<br />

con dispaccio del 5 luglio del 1800,ad<br />

acquistare,per un importo di 3075<br />

Onze,delle terre . Inoltre lo convinse a<br />

costruire una”Incantina”per la vinificazione<br />

con i nuovi metodi che lui personalmente<br />

aveva sperimentato .Così fu affidato<br />

all’architetto regio Carlo Chenchi(o Chenchè),pupillo<br />

del Vanvitelli,il compito di elaborare un progetto<br />

e provvedere alla sua costruzione(anche se non<br />

esiste un documento di incarico preciso) . Sappiamo<br />

però che il 31 ottobre 1800,il Chenchi si recò a Partinico”per<br />

esaminare le opere della strada carrozzabile<br />

di Partinico e la perriera per la pietra per servizio<br />

dell’Incantina”e che nel mese di aprile del 1802 ricevette<br />

la somma di onze 4 e tarì 4,per il saldo di una<br />

nota da lui presentata per le visite fatte a Partinico il<br />

10 febbraio e il 17 marzo per la consegna delle opere<br />

della Real Cantina(R.Commenda della<br />

Magione,Libro di tavola 1800-1802,vol.2159,f.264)<br />

. In realtà questo complesso non rapprensentò solo<br />

un investimento del re per migliorare le condizioni<br />

economiche <strong>dei</strong> suoi sudditi,ma fu volto anche ad aumentare<br />

il suo patrimonio personale;infatti la Cantina<br />

rappresentava una vera e propria industria in cui<br />

i prodotti agricoli grezzi,sia coltivati nel podere<br />

reale,che ivi portati dai produttori della zona,venivano<br />

trasformati in prodotti finiti pronti per la commercializzazione,che<br />

in alcuni casi avveniva anche<br />

all’interno della Cantina. Proprio per questo possiamo<br />

affermare che questa sua funzione ne fa un<br />

esempio unico nel suo genere e antesignano della


moderna commercializzazione . I lavori della costruzione<br />

procedettero alacremente fino al 1802 e<br />

l’Incantina fu consegnata ultimata nel 1803 . Furono<br />

spesi complessivamente 18.000 scudi,somma<br />

che,come dice lo storico Stefano Marino(Partinico e<br />

dintorni,pag.123)fu ben spesa,se diede lavoro a molta<br />

gente . La Real Cantina presenta un corpo di grande<br />

impatto visivo con i suoi pilastri e i suoi archi a crociera<br />

che danno movimento a tutto l’insieme . Ma<br />

ascoltiamo cosa scriveva il Di Bartolomeo nel suo<br />

manoscritto(pag.101):”L’arte vi si è impegnata a<br />

segno che si è resa tal rarità il primiero augusto monumento<br />

del Regno d’attirar eternamente l’ammirazion<br />

ancora de’ più curiosi viaggiatori e vieppiù<br />

degl’insigni architetti del mondo . Se ne danno in le<br />

straniere nazioni,per quel ch’io so,di simili,ma lavorare<br />

sul tornio di cotesta ed in egual grandezza e vastità<br />

penerei a crederlo . S’istrada ella in tre spaziose<br />

braccia e ben proporzionate,larghe,l’uno <strong>dei</strong> quali,il<br />

più rispettabile,sotterraneo,l’altri su la faccia del<br />

suolo ad una corrispondente maestosa altezza,seguendo<br />

a loro un ben vasto magazzino.<br />

Avvi una comoda scala o salita dalla parte<br />

d’oriente,aggiata tanto che rende facile la salita e<br />

scesa da’ piccoli giumenti nella vendemmia,carichi<br />

de’ soliti vasi di legname,pieni<br />

dell’uva onde pestarsi<br />

.Evvene una seconda all’opposto e rimpetto<br />

a libeccio,più magnifica e spaziosa,per<br />

dove si adisce ad una<br />

loggia,che guarda a sirocco ossia la<br />

mentovata montagna e da codesta si<br />

passa poi nelle stanze superiori di suddetta<br />

cantina.<br />

Le porte,le finestre son elleno lavorate<br />

con sodità e galanteria di legname di<br />

noce,tinte e piene l’ultime di<br />

vetriate,con suoi ferramenta al gusto<br />

moderno. Tutto e di dentro e al difuori<br />

spira novità e grandezza.”<br />

Ricordate che queste sono le parole di<br />

un notaio che ebbe la ventura di vedere<br />

15<br />

Cultura<br />

La Real Cantina borbonica di Partinico.<br />

Dal progetto alla realizzazione: spazi e funzioni (1800-1802)<br />

il complesso ”Incantina”ultimato da poco . Purtroppo<br />

alla metà del secolo iniziò la decadenza,perché<br />

i tempi stavano cambiando e un ‘epoca intera<br />

era entrata in crisi e il degrado degli uomini e delle<br />

cose era arrivato a un punto di non ritorno .<br />

Questo può spiegare il perché Padre Daniele Lo<br />

Grasso nel suo “Partenico ed il culto di Maria SS.di<br />

Altofonte e del Ponte” edito nel 1935,dedica pochissime<br />

righe(pag.397)alla Real Cantina borbonica che<br />

forse avrebbe meritato ben altra fortuna,come è stato<br />

per la Palazzina Cinese o la splendida Reggia della<br />

Ficuzza . Ma torniamo alla descrizione della Cantina<br />

ed osserviamo che gli appezzamenti di terreno<br />

acquistati e riuniti erano pari a circa 80 salme(con<br />

un perimetro di 3007 canne,pari a 6026 metri) che<br />

costituivano pertanto il Real Podere che assieme al<br />

complesso della “Incantina di vino,liquori ed<br />

olii”,con annesso fondaco , bettola e locanda,formava<br />

il centro di raccolta e di vendita <strong>dei</strong> prodotti<br />

dell’Azienda Reale . In totale il Real Podere contava<br />

nel complesso 227.748 piante,tra cui 33.847 alberi<br />

da frutta,6009 alberi infruttiferi,44.725 arboscelli e<br />

143.527 viti,nonché 69 piante medicinali(già sperimentate<br />

nell’Orto Botanico di <strong>Palermo</strong>) . L’ingresso<br />

L’interno della Cantina restaurato. Foto Aiello 2008.


Cultura<br />

La Real Cantina borbonica di Partinico.<br />

Dal progetto alla realizzazione: spazi e funzioni (1800-1802)<br />

Planimetria del complesso”Incantina”(Ing. M.Fiore)<br />

principale si affaccia sulla strada provinciale per San<br />

Cipirrello e attraverso un cancello si entra in un vasto<br />

cortile che si divide in tre sezioni di complessivi 1350<br />

metri quadrati . Sulla sinistra c’è una stecca di corpi<br />

bassi che comprendono una chiesetta(in cui si trova<br />

la rappresentazione della Madonna del Ponte),la sagrestia<br />

e una serie di stalle e magazzini di circa 310<br />

metri quadrati adibiti un tempo ad alloggi e cucine .<br />

Attaccata poi alla Cantina c’era un’altra serie di magazzini<br />

di circa 150 metri quadrati . Anche sul lato<br />

destro(per chi entra) se ne trovavano altri adibiti negli<br />

ultimi tempi a stalle,per un’estensione di circa 277<br />

metri quadrati,ma che agli inizi dovettero funzionare<br />

come frantoio.<br />

Al centro dell’immenso cortile troviamo poi una palazzina<br />

di mq.185 che riteniamo preesistente ai corpi<br />

aggiunti nel 1800 dall’architetto regio Carlo Chencè<br />

. Tale supposizione si basa su due considerazioni . La<br />

prima riguarda la posizione della palazzina(B)che risulta<br />

simmetricamente posta al centro del cortile,così<br />

come lo erano le torri medievali costruite per difesa<br />

e avvistamento . L’altra considerazione deriva dal<br />

fatto che la struttura della torre fino ai due terzi della<br />

sua altezza è completamente diversa dalla parte su-<br />

16<br />

periore che dovette essere ricostruita al<br />

tempo della costruzione della Cantina<br />

.Sulla facciata principale si nota poi una<br />

caditoia che è caratteristica delle torri<br />

di difesa e non avrebbe avuto senso la<br />

sua costruzione per un complesso che<br />

aveva solo funzione abitativa e costruita<br />

in un periodo in cui non se ne presentava<br />

più assolutamente la necessità .<br />

Un’ultima notazione di ordine esteticoarchitettonico<br />

riguarda le finestre che<br />

riecheggiano nell’architrave una forma<br />

catalana e cioè di arco a due volute raccordate<br />

in una punta centrale e ricordano<br />

un portale del Castello di<br />

Montalbano Elicona del XIV<br />

secolo(vedi G.Lanza Tomasi,Castelli e<br />

monasteri siciliani,pag.134) . Per queste<br />

considerazioni riteniamo che la palazzina<br />

sia preesistente e se non abbiamo elementi probanti<br />

per collocarla in età federiciana,nel periodo di<br />

ripopolamento di Partinico voluto da Federico III di<br />

Sicilia con diploma dato in Trapani il 20-11-<br />

1309,sicuramente è tra le torri più antiche(XV-XVI<br />

sec.) . La palazzina è costituita da un piano terra e un<br />

primo piano . In ogni piano vi sono tre ambienti di<br />

forma quadrangolare di circa 25 mq.ciascuno e uno<br />

di forma rettangolare di circa 35 mq. La sua funzione<br />

era sicuramente abitativa,non certamente per il<br />

Re,ma per chi aveva la responsabilità di custodire il<br />

complesso Cantina. Accanto alla palazzina-torre,separata<br />

da un lungo corridoio di appena due metri di<br />

larghezza,troviamo la Cantina,la cui facciata dà nel<br />

cortile e presenta tre ingressi di cui uno prima era<br />

ostruito dal corpo <strong>dei</strong> magazzini ricavati chiudendo<br />

un passetto sostenuto da tre eleganti colonne . Il<br />

corpo di fabbrica della Cantina,che è il centro vitale<br />

di tutto il complesso,presenta un impianto a tre navate<br />

formate da pilastri ed archi che si collegano tra<br />

loro a crociera in un gioco armonioso e una copertura<br />

a falde costituita da travi di legno e coppi di argilla<br />

rossa . La navata destra e quella di centro furono


lasciate libere per l’ammasso e la lavorazione delle<br />

uve e la sistemazione degli altri prodotti agricoli che<br />

servivano alla vendita.<br />

Sotto la campata destra della Cantina si trova un sotterraneo(vedi<br />

foto sopra) illuminato ed areato da<br />

aperture a bocca di lupo con tine a muro per la conservazione<br />

<strong>dei</strong> vini in un ambiente molto più fresco<br />

che in superficie e quindi molto più adatto alla conservazione<br />

del vino . La navata sinistra invece è stata<br />

chiusa,in un secondo tempo,ed è stata utilizzata per<br />

la costruzione di tine a muro,ma questa volta non<br />

per il vino,ma per la conservzione <strong>dei</strong> cereali,come<br />

si può facilmente evincere dalle bocche di fuoriuscita.<br />

Alla fine della navata troviamo un ambiente di circa<br />

66 mq.da usare come palmento.<br />

Al piano superiore(vi si accede dall’esterno attraverso<br />

una rampa addossata al perimetro della Can-<br />

17<br />

Cultura<br />

La Real Cantina borbonica di Partinico.<br />

Dal progetto alla realizzazione: spazi e funzioni (1800-1802)<br />

La palazzina-torre. Foto Aiello 1974<br />

tina e sotto cui sono stati ricavati magazzini)si ha un<br />

loggiato coperto con l’accesso alle tine sottostanti.<br />

La lunghezza della Cantina è di m.36,50,mentre nel<br />

senso della larghezza,la distanza tra i pilastri è di<br />

m.8,70 . Purtroppo è da osservare che il contesto<br />

paesaggistico in cui si trova inserito tutto il complesso<br />

oggi è senz’altro mutato profondamente rispetto<br />

a quello originario,infatti si trova ormai<br />

inglobato nel tessuto urbano, la qualcosa impedisce<br />

in parte di poter gustare la bellezza,il fascino e l’importanza<br />

di questo straordinartio complesso . Se la<br />

costruzione ebbe veramente la funzione di dare impulso<br />

all’economia del territorio,oggi che finalmente<br />

è stata restituita alla fruizione di tutti,ci chiediamo<br />

cosa può rappresentare per la gente,non solo di Partinico,ma<br />

di tutto il territorio . Questo complesso<br />

deve aprirsi al pubblico e diventare ancora una volta<br />

centro propulsore per la cultura,per il turismo,per<br />

l’economia,attraverso una strutturazione che sia moderna<br />

e risponda alle esigenze di proiettarsi all’esterno<br />

con razionalità,intelligenza e modernità .<br />

Dobbiamo trovare la strada per affrancarci dal nostro<br />

deleterio provincialismo,dalla incancrenita inefficienza<br />

della nostra classe politica regionale,dalla<br />

miseria e dalla disoccupazione,che significa anche la<br />

possibilità di liberarci per sempre dalle sopraffazioni<br />

di una minoranza mafiosa,che come un bubbone<br />

mina alla base la nostra società,la nostra gente.


Cultura<br />

La Real Cantina borbonica di Partinico.<br />

Dal progetto alla realizzazione: spazi e funzioni (1800-1802)<br />

Il sotterraneo della cantina con le”tine”a muro<br />

per la conservazione <strong>dei</strong> vini.<br />

La rampa esterna che porta al loggiato.<br />

Foto Aiello 2008<br />

Il “logos” della Real Cantina Borbonica.<br />

Foto Aiello 2009<br />

18<br />

Le tine a muro della navata sinistra per la conservazione<br />

<strong>dei</strong> cereali. Foto Aiello 2008<br />

Il complesso “Incantina” visto dall’alto.<br />

Foto Aiello 2008


Il9 marzo<br />

DESIRÉE RANCATORE<br />

PER LA MAZZOLENI<br />

DI PALERMO<br />

nei sontuosi saloni di Villa Malfitano<br />

- Withaker di <strong>Palermo</strong>,atteso ritorno<br />

di Desirée Rancatore all’Associazione<br />

Ester Mazzoleni che ne ha colto gli esordi<br />

e via via tutte le tappe di una carriera straordinaria<br />

e che oggi la vede astro di prima grandezza affermata<br />

sulle più prestigiose ribalte nazionali ed internazionali.<br />

Desirèe, Premio Mazzoleni, con la<br />

umanità, la generosità che sono la cifra della sua<br />

personalità di donna e di artista, accompagnata dal<br />

collaudato maestro Giuseppe Cinà e con la partecipazione<br />

del giovane basso-baritono Claudio Levantino,<br />

si è presentata con un programma<br />

particolarmente suggestivo.<br />

“Sulle ali del belcanto”, era il titolo che vedeva la<br />

cantatrice offrire un saggio della sua ormai consumata<br />

arte. Dal Mozart de Le nozze di Figaro , attraverso<br />

Rossini,Bellini, Donizetti e Gounod<br />

approdava a Verdi, un dovuto omaggio al compositore<br />

bussetano nel bicentenario della nascita.<br />

Ad attenderla un parterre affollatissimo di estimatori<br />

della cantante palermitana, accolta all’ingresso<br />

da una standing ovation che creava un’atmosfera<br />

rara di emozioni miste alla gioia di un pubblico accorso<br />

per rivedere la sua beniamina in una forma<br />

splendida per vocalità, phisique du role, eleganza<br />

che le assicuravano un assoluto dominio. L’incipit<br />

del concerto era affidato all’Ave Maria dall’Otello<br />

risolto con una vocalità nuova di lirico pieno, capace<br />

di un’adeguata introspezione psicologica, di colori<br />

ed atmosfere che si confermavano ancora una volta<br />

in “Regnava nel silenzio” della donizettiana Lucia<br />

con acuti e sovracuti di mirabile scioltezza e limpidezza.<br />

Malinconia e nostalgia, emissione morbida<br />

permeavano il “Il faut partir” da La fille du régiment<br />

ritrovate nell’Elvira de I Puritani la cui scena della<br />

pazzia evidenziava un fraseggio mordente, un legato<br />

di Salvatore Aiello<br />

19<br />

<strong>Lions</strong> Club<br />

nobilissimo mentre le agilità erano voci dell’anima<br />

tormentata e delirante. Violetta Valery, recentemente<br />

cantata a Montecarlo, siglava l’inizio e la<br />

chiusura della seconda parte con “Addio del passato”<br />

ed “E’ strano, è strano” momenti cruciali della<br />

Traviata in cui la protagonista, angelo dimidiato,<br />

viene sconvolta dalla rivelazione dell’amore che si<br />

vestirà di rimpianto e di lutto.<br />

Completavano il programma il carezzevole valzer di<br />

Juliette di Gounod e l’aria di Medora del verdiano<br />

Corsaro.<br />

Ovazioni continue, entusiasmo a fior di pelle erano<br />

le costanti di un dialogo intenso creato col pubblico<br />

grato ad un’artista che si è donata con tutto il suo<br />

amore, la passione, la voglia di convogliare e trascinare<br />

ma soprattutto di creare qualcosa di nuovo e<br />

gli spettatori l’hanno compreso.<br />

Un cenno particolare merita il giovane Claudio Levantino,<br />

vincitore del recente concorso Simone


<strong>Lions</strong> Club<br />

DESIRÉE RANCATORE PER LA MAZZOLENI DI PALERMO<br />

Alaimo che ha offerto una prova significativa <strong>dei</strong><br />

suoi ancora giovani mezzi in “Non più andrai” e<br />

nella meno frequentata “Accusata di furto” da La<br />

gazza ladra di Rossini.<br />

Sensibilità, presenza e puntualità caratterizzavano il<br />

pianismo di Giuseppe Cinà.<br />

L’insistente richiesta di bis, dopo il frizzante duetto<br />

Adina- Dulcamara fruttava, dulcis in fundo, una<br />

mirabolante esecuzione dello straussiano “Voci di<br />

primavera” in cui la Rancatore si abbandonava con<br />

pirotecnico canto e sognante abbandono.<br />

E’ stata una serata all’Opera che ci ha indotto, nonostante<br />

tante difficoltà, a credere ancora in un futuro<br />

per le sorti del nostro Melodramma.<br />

20


di crisi a <strong>Palermo</strong> si fa cultura<br />

e se ne offre gratuitamente a<br />

chi ne vuole approfittare. Non<br />

Intempi<br />

sono “ cose da pazzi !” come suggerisce<br />

il noto intercalare cittadino, ma “ cose<br />

vere”. Negli ultimi giorni dello scorso febbraio<br />

l’Associazione VOLO, presieduta da Maria Di<br />

Francesco e l’Associazione LED, presieduta da<br />

Gaetano De Bernardis, hanno messo insieme<br />

idee, ingegni e risorse per dare inizio al cineforum,<br />

con ingresso libero, sul tema Teatro, Cinema,<br />

Vita in collaborazione con il Centro<br />

Sperimentale di Cinematografia - Scuola Nazionale<br />

di Cinema sede Sicilia. Primo film in<br />

programma Shakespeare in love diretto nel<br />

1998 da John Madden. La presentazione è stata<br />

curata da Eliana Lo Castro Napoli, Egle Palazzolo<br />

e Gabriella Maggio, che hanno colto<br />

nella pellicola spunti diversi su Shakespeare, sul<br />

rapporto vita-creazione artistica, sulla cultura<br />

elisabettiana. In parallelo al cineforum la<br />

VOLO ha programmato anche i Giovedì d’Arte<br />

e Letteratura presso la Galleria LUPOART di<br />

via Libertà. Il primo appuntamento, giovedì 28<br />

febbraio, ha avuto un taglio orientativo per i giovani<br />

liceali guidati sull’affascinante tema dell’Archeologia.<br />

Gabriella Maggio ha intervistato il Prof. Amedeo<br />

Tullio, archeologo autore, insieme a S. Aloisio e<br />

M.G. Montalbano del recente volume “ LO<br />

SCAVO ARCHEOLOGICO – Filosofia , prassi,<br />

documentazione”- Armando Siciliano Editore. Il<br />

prof. Tullio ha tracciato una breve storia dell’archeologia<br />

e delle tecniche di scavo. Semeiotico e detective,<br />

secondo lo studioso, l’archeologo procede<br />

per indizi, andando con metodo rigorosamente<br />

scientifico dal presente verso l’antichità. Iniziative sicuramente<br />

meritorie che realizzano quanto si scriveva<br />

nei Libri bianchi dell’Europa, a proposito della<br />

cultura e dell’imparare ad imparare, dell’offrire<br />

spunti di pensiero e tempi umani di riflessione. Un<br />

tempo che sembra remoto, ma rivive nella generosità<br />

culturale della VOLO e della LED.<br />

21<br />

Eventi<br />

QUANDO LE ASSOCIAZIONI<br />

CULTURALI...<br />

di Carla Seranini


<strong>Lions</strong> Club<br />

I LIONS PER LA PREVENZIONE DEI<br />

DANNI CAUSATI DAI TERREMOTI<br />

Venerdì 8 marzo 2013 nell’aula magna della<br />

Facoltà d’Ingegneria dell’Università di <strong>Palermo</strong><br />

si sono riuniti i rappresentanti del<br />

mondo accademico, degli Ordini professionali,<br />

dell’Associazione Industriale, <strong>dei</strong> Costruttori, della<br />

Protezione civile, della Croce Rossa e delle Istituzioni per<br />

confrontarsi su “Il rischio sismico in Sicilia” e promuovere<br />

l’implementazione della cultura della prevenzione<br />

<strong>dei</strong> terremoti attraverso l’adeguamento antisismico ed il<br />

ricorso ad agevolazioni per la ricostruzione con criteri di<br />

sicurezza. Promotori dell’evento i <strong>Lions</strong> Club della<br />

Prima e Seconda Circoscrizione in sinergia con gli altri<br />

Club Service della città. Considerata la complessità della<br />

di Attilio Carioti<br />

22<br />

tematica affrontata, sono state poste questioni già note<br />

più che proposte innovative di risoluzione del problema.<br />

Incisivo l’intervento conclusivo del Governatore del Distretto<br />

108 YB Antonio Pogliese che ha proposto di affrontare<br />

il problema spostando l’attenzione dalla legalità<br />

all’eticità. Sabato 9 marzo i lavori sono proseguiti nella<br />

Sala Gialla di Palazzo <strong>dei</strong> Normanni con la relazione del<br />

Vice governatore Gianfranco Amenta sull’impegno <strong>dei</strong><br />

<strong>Lions</strong> nella diffusione della cultura della prevenzione e<br />

con gli interventi <strong>dei</strong> rappresentanti degli Ordini professionali.<br />

Ha concluso i lavori il Governatore Antonio<br />

Pogliese ribadendo i concetti di sussidiarietà <strong>dei</strong> Club<br />

service nei confronti della Pubblica Amministrazione.


I “piolini” sotto le tegole <strong>dei</strong> tetti siciliani<br />

La copertura degli edifici pubblici<br />

e privati <strong>dei</strong> Greci di Sicilia era<br />

particolarmente curata ed era<br />

realizzata con tegole piane opportunamente<br />

affiancate ed alternate a<br />

tegoli curvi o coppi con un sistema tipico<br />

<strong>dei</strong> tetti siciliani (figg. 1-2).<br />

Le tegole, di forma rettangolare (dimensioni<br />

medie cm 80 x 55), con i bordi rialzati<br />

(Fig. 3), si chiamavano solenes; i<br />

tegoli, a profilo curvilineo volutamente<br />

rastremati , avevano la funzione di coprigiunti,<br />

kalypteres in greco (dal verbo kalyptein,<br />

cioè coprire, nascondere) per<br />

evitare indesiderate infiltrazioni di acqua<br />

piovana. Una funzionale ricostruzione di<br />

questa tipologia di coperture di terracotta<br />

è esposta nel Museo di Aidone con reperti<br />

provenienti dall’antica Morgantina<br />

(fig. 1). Ancora più esplicito è il disegno ricostruttivo<br />

della copertura del tempio”della Vittoria” di<br />

Himera (fig. 2), dove sono evidenziati tutti i gli elementi<br />

funzionali del tetto... Per ottenere buoni risultati<br />

era necessario che i singoli<br />

elementi fossero assemblati con cura e<br />

che ci si avvalesse di semplici ma efficaci<br />

modi per fissasre solenes e kalypteres e<br />

talvolta “sofisticati” incastri tra cui quelli<br />

riscontrati su alcune tegole piane riutilizzate<br />

in sepolture della necropoli greco-ellenistica<br />

di Polizzi Generosa (figg. 4-5).<br />

L’uso degli antichi di riutilizzare questi<br />

elementi, difettati o già adoperato in edifici<br />

in disuso; e il rinnovato interesse per<br />

questi resti, documenti della cultura architettonica,<br />

ha rivelato sorprendenti caratteristiche<br />

e dettagli tecnici che spesso<br />

si considerano sorprendenti per l’epoca<br />

(fin dal VII-VI sec. a:C.).<br />

Ormai non ci si stupisce più se si nota un<br />

foro su un frammento di una tegola: serve<br />

per fissarla alle strutture lignee del tetto; né ci si meraviglia<br />

della precisione degli incastri, a maschio e<br />

di Amedeo Tullio<br />

23<br />

Trovando e ri-trovando: “curiosità” archeologiche<br />

fig. 1 Museo archeologico di Aidone: parziale riassemblaggio<br />

di un tetto<br />

fig. 2 Ricostruzione ipotetica del tetto del Tempio “della<br />

Vittoria” di Himera


Trovando e ri-trovando: “curiosità” archeologiche<br />

I “piolini” sotto le tegole <strong>dei</strong> tetti siciliani<br />

fig. 3 Bordi di solenes di Himera (da A. Tullio, in Himera II,<br />

Roma 1976)<br />

femmina, al di sotto delò bordo rialzato; e così via.<br />

Meno consueto e più accurato è certo il particolare<br />

riscontrato su alcuni solenes rivenuti nella necropoli<br />

di contrada San Pietro a Polizzi Generosa ed oggi<br />

adeguatamente esposti nel locale Civico Museo Archeologico<br />

(fig. 4). Su due frammenti di tegole fittili<br />

(rispettivamente Inv. Po 96 808 e Po 96/810 di m<br />

0,54 x 0,46 e m 0,47 x 0,38), riutilizzate nella Sep.<br />

219 della fine del IV sec. a.C. In questo caso si notano<br />

due piolini (uno per lato) che sporgono al di<br />

sotto dell’incavo (fig. 5) che, nel tetto, si sarebbe appoggiato<br />

sul listello sporgente di una tegola del filare<br />

inferiore incastrandosi in un apposito foro per fissare<br />

meglio tra loro i due solenes . L’artificio, semplice<br />

ma funzionale, è lo stesso adoperato oggi negli<br />

elementi delle costruzioni “lego”. Questo giocattolo<br />

creativo fa notare l’ingegno dell’essere umano richiamando<br />

la nostra attenzione su “semplici” intuizioni<br />

che stanno alla base della moderna<br />

tecnologia<br />

24<br />

fig. 4 Civico Museo Archeologico di Polizzi Generosa: soleness<br />

inv. Po 96.810 e, al di sotto. Po 96.808 dalla Sep. 219<br />

della necropoli di Polizzi Generosa<br />

fig. 5 Particolari del solen Po 96.808


25<br />

Attualità<br />

PAPA FRANCESCO<br />

del papa non riguarda<br />

soltanto i cattolici, ma è un fatto<br />

storico che riguarda il mondo oc-<br />

L’elezione<br />

cidentale nel suo complesso, per<br />

l’autorevolezza morale che gli viene universalmente<br />

riconosciuta. Per questo motivo è stato<br />

dato molto rilievo dai media al breve conclave<br />

che ha eletto l’Arcivescovo di Buenos Aires J.<br />

Mario Bergoglio al soglio di Pietro. Argentino,<br />

figlio di italiani emigrati, la sua vita è stata semplice.<br />

I particolari saranno meglio conosciuti<br />

dal grande pubblico col tempo. Dopo essere<br />

stato nel mondo, ha seguito la vocazione religiosa<br />

vestendo l’abito <strong>dei</strong> Gesuiti. Come Papa<br />

ha scelto il nome di Francesco, manifestando<br />

la volontà di imprimere una svolta spirituale<br />

alla Chiesa, che negli ultimi tempi è apparsa<br />

piuttosto lontana dallo spirito evangelico. Il ritorno<br />

a Francesco d’Assisi significa “farsi pusillo”<br />

( cioè piccino, umile), come dice Dante<br />

nell’XI c. del Paradiso dedicato proprio a<br />

Francesco d’Assisi, e questo non consiste soltanto<br />

in gesti semplici, che lo avvicinano agli<br />

uomini qualsiasi, rifiutando la distanza che a<br />

Lui per tradizione destina “ il soglio di Pietro”,<br />

ma soprattutto “ mantener la barca di Pietro<br />

in alto mar per dritto segno” cioè facendo<br />

procedere la Chiesa verso il suo fine vero, che<br />

è spirituale e non materiale.<br />

di Gabriella Maggio<br />

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<strong>Lions</strong> Club<br />

PREVENZIONE DELLE CECITà PREVEDIBILI<br />

<strong>Palermo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Vespri</strong><br />

l’ 8 marzo 2013 a<br />

piazza Unità d’Italia ha<br />

Il<strong>Lions</strong><br />

organizzato una giornata<br />

dedicata alla prevenzione<br />

delle cecità prevenibili, reversibili<br />

e della conservazione della<br />

vista, grazie alla unità mobile<br />

messa a disposizione dal Consiglio<br />

Regionale Siciliano Unione<br />

italiana <strong>dei</strong> Ciechi ed Ipovedenti,<br />

e al dott. Corrado Ajovalasit<br />

specialista in oftalmologia.<br />

Durante le visite mediche, gratuite<br />

per tutti, è stato controllato,<br />

il visus, il segmento anteriore ed<br />

annessi, il tono oculare e sono<br />

state eseguite indicazioni sui<br />

mezzi di correzione della vista.<br />

A conclusione della giornata con<br />

il nostro service di utilità sociale, ha diagnosticato diciannove<br />

patologie oftalmiche e nove deficit visivi.”<br />

di Vincenzo Ajovalasit<br />

Il dottore Corrado Ajovalasit durante una visita<br />

26<br />

Il dottore Vincenzo Ajovalasit


Tutti gli passano davanti. Tutti lo<br />

vedono ma non lo guardano.<br />

Una madre allontana il suo<br />

bambino, che ora gli sta camminando<br />

troppo vicino.<br />

“Vedi? Se non studi finirai proprio come<br />

questo uomo” la si sente sussurrare.<br />

Lui, il barbone senza nome, sta disteso a<br />

terra su uno scatolone sporco e umido.<br />

Non gli importa niente di ciò che la gente<br />

dice sul suo conto: nessuno riesce mai ad<br />

avvicinarsi a quella che realmente è la sua<br />

storia. E a lui non importa correggerli.<br />

Tutto iniziò molti anni prima, quando il<br />

giovane soldato Dwayne aveva deciso di<br />

partecipare a una missione in Africa. Al<br />

suo ritorno, lui e Jane si sarebbero sposati. Gliel’aveva<br />

promesso. E lui era un uomo di parola.<br />

Una volta lì, però, tutta la vita trascorsa non aveva<br />

più importanza: ogni giorno Dwayne aveva a che<br />

fare con bambini che si facevano esplodere, donne<br />

che venivano violentate e uomini che morivano per<br />

ogni tipo di malattia esistente. Il compito del suo plotone<br />

era solo quello di reprimere ogni sorta di atto<br />

violento da parte <strong>dei</strong> ribelli. Ma in un modo o nell’altro<br />

era costretto ad assistere a numerosissime<br />

scene brutali, che lo facevano sentire sempre più impotente.<br />

Erano trascorsi parecchi mesi dall’inizio della missione<br />

e Dwayne, ora messo a capo della sua squadra,<br />

non era ancora riuscito ad abituare i suoi occhi a tutti<br />

quegli orrori. Di giorno assisteva alle disgrazie, di<br />

notte le sognava in terribili incubi: a volte erano bambini<br />

in fin di vita che lo supplicavano di aiutarli, altre<br />

erano ribelli che lo catturavano e torturavano. Si svegliava<br />

con la febbre alta e la tachicardia, e riprendere<br />

sonno era un’impresa alla quale non si voleva sottoporre.<br />

Ma venne un giorno in cui il suo plotone ebbe a che<br />

fare con una vera e propria battaglia contro i ribelli,<br />

i quali, anche se in minoranza, erano riusciti ad impossessarsi<br />

di una torre di controllo. C’era una gran<br />

confusione e i ribelli sparavano in aria per crearne<br />

UN BARBONE<br />

di Aurora D’Amico<br />

27<br />

Racconto<br />

ancora di più. Ogni soldato era al suo posto, pronto<br />

ad intervenire nel momento in cui un ribelle gli fosse<br />

capitato sotto tiro. Sangue freddo e concentrazione<br />

era tutto ciò di cui ogni uomo aveva bisogno e<br />

Dwayne era bravissimo in questo. Tuttavia, non riuscì<br />

mai a perdonarsi il momento in cui si fece distrarre<br />

da un piccolo pupazzo di pezza caduto<br />

proprio in mezzo al campo di battaglia. Nella confusione<br />

vide un bambino correre per andare a raccoglierlo<br />

e bastarono proprio quei pochi secondi di<br />

deconcentrazione a causare tutto il resto: i ribelli<br />

uscirono allo scoperto iniziando a sparare senza sosta<br />

e la squadra di Dwayne non fece in tempo a rispondere<br />

al fuoco, a causa del mancato ordine che doveva<br />

essere loro impartito. Quello stesso bambino perse la<br />

vita durante la sparatoria. Il giorno dopo il tenente<br />

ordinò a Dwayne di tornarsene a casa.<br />

Ma ormai niente era più lo stesso. Che senso aveva<br />

quella vita che tutti vivevano con gioia? Gente che<br />

rideva e si divertiva, festeggiando il suo ritorno a<br />

casa, mentre lui dentro sentiva ancora le urla di tutte<br />

quelle persone che aveva visto morire. Decise di allontanarsi<br />

dagli amici, perché troppo spensierati e felici<br />

per lui, e iniziò a perdere ogni contatto con il<br />

mondo esterno, rinchiudendosi in casa. Jane, l’amore<br />

della sua vita, piangeva al telefono, pregandolo di<br />

tornare il Dwayne che le aveva promesso di sposarla.<br />

Ma per lui era troppo difficile.


Racconto<br />

UN BARBONE<br />

I mesi trascorsero lentamente e i soldi iniziavano a<br />

scarseggiare. Lavorare? Non gli passava nemmeno<br />

per la mente. Non potendo più pagare l’affitto, vendette<br />

tutto, ritrovandosi in fine con un appartamento<br />

completamente vuoto. Fino a quando non perse<br />

anche quello.<br />

28<br />

Ora Dwayne vive in quel cartone, ignorato e calpestato<br />

da una società che lo giudica senza conoscere la<br />

sua storia. Ma se la sapessero, cosa cambierebbe?<br />

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29<br />

<strong>Lions</strong> Club<br />

LE MOLTE STAGIONI<br />

DI PALERMO"<br />

Venerdì 15 Marzo<br />

ore 18,30 nella sala<br />

Wagner dell’Hotel<br />

delle Palme di <strong>Palermo</strong><br />

si è svolto il terzo caminetto<br />

organizzato dal <strong>Lions</strong><br />

Club <strong>Palermo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Vespri</strong> sul<br />

tema “ La <strong>Palermo</strong> antica: i<br />

Normanni, gli Svevi, gli Angioini<br />

e gli Aragonesi”, relatori<br />

Carmelo Fucarino, Renata De<br />

Simone, Gaetano Basile. Dopo<br />

i saluti del Presidente del Club,<br />

Vincenzo Ajovalasit, Renata De Simone ha tracciato<br />

un profilo ampio e suggestivo del periodo storico che<br />

va dai Normanni agli Aragonesi illustrandolo e commentandolo<br />

con significativi documenti originali, mostrati<br />

al numeroso pubblico in slide.<br />

Dotto, come sempre e circonstanziato, non privo a<br />

volte di quel “giusto sdegno che in core avvampa”,<br />

l’excursus di Carmelo Fucarino. Ha concluso Gaetano<br />

Basile con i suoi ormai tradizionali aneddoti e<br />

le golose puntate gastronomiche.<br />

di Attilio Carioti<br />

Da sinistra Carmelo Fucarino, Vincenzo Ajovalasit, Renata<br />

De Simone<br />

Da sinistra Gaetano Basile, Carmelo Fucarino, Vincenzo Ajovalasit, Renata De Simone


Letteratura<br />

Oggi la poesia esce dall’abituale mutismo,<br />

dallo stato di esclusione nel quale è precipitata<br />

passando dal suono al segno,<br />

perché per celebrare la Giornata mondiale<br />

della poesia la leggiamo a voce alta, riappropriandoci<br />

del concetto che la materia della poesia è<br />

essenzialmente il suono. Oggi perciò la nostra attenzione<br />

si appunta più sul ritmo della fantasia, che<br />

sorge quasi per miracolo, piuttosto che sulla letterarietà<br />

del verso. Propongo ai lettori un inedito di<br />

Giuseppe Maccarone.<br />

CERCO<br />

GIORNATA MONDIALE<br />

DELLA POESIA<br />

nel profondo della mia anima<br />

ho scoperto dio<br />

e poi madre<br />

e poi padre<br />

e poi altri <strong>dei</strong><br />

fino al saldo <strong>dei</strong> mie bisogni che, soddisfatti,<br />

mi hanno restituito una sola anima<br />

con un solo dio<br />

(20.3.2013)<br />

di Gabriella Maggio<br />

30


Ifesteggiamenti per l’anniversario dell’unità<br />

d’Italia mi hanno fatto maturare la decisione<br />

di pubblicare una breve lettera autografa in<br />

mio possesso di uno <strong>dei</strong> protagonisti di questo<br />

evento storico, Giuseppe Mazzini.<br />

Si tratta di un biglietto, scritto con minuta calligrafia<br />

su due facciate di un piccolo pezzo di carta, del<br />

quale mi fece dono un funzionario romagnolo mio<br />

collaboratore al Ministero dell’Interno: è firmato<br />

Gius. M. e diretto ad Aurelio Saffi, romagnolo,<br />

triumviro della Repubblica Romana insieme allo<br />

stesso Mazzini e ad Armellini. La bustina reca l’indicazione<br />

del destinatario nei seguenti termini:<br />

Sig. aurelio Saffi per favore<br />

Lo scritto non reca data ma il contesto fa pensare<br />

che sia di epoca anteriore a quell’avvenimento, collocandosi<br />

nel quadro dell’attività pubblicistica svolta<br />

su giornali risorgimentali: è noto che una delle caratteristiche<br />

principali del Risorgimento d'Italia fu<br />

la grande fioritura di giornali e di periodici, nati dal<br />

clima di libertà e di uguaglianza e proprio per questo<br />

proibiti dalle autorità. Mazzini, dopo un breve<br />

accenno alla sua salute dal quale apprendiamo che<br />

era sofferente d’asma, nel promettere un articolo<br />

entro pochi giorni per il giornale Branciforte, lamenta<br />

con Saffi come due persone che gli erano<br />

state indicate quali possibili collaboratori al giornale<br />

si siano poi tirate indietro.<br />

Trascrivo il contenuto della lettera:<br />

caro aurelio,<br />

una stretta di mano dal tuo asmatico amico. Senti: scriverò tra<br />

due o tre giorni al Branciforte e un buon pezzo. ora tra le cartucce<br />

(?) mie, quelle degli altri, il lavoro, le corrispondenze,<br />

sono in verità irresponsabile di ogni anche lungo silenzio. la<br />

lettera <strong>dei</strong> Faentini era eccellente e la lessi commosso. Mi duole<br />

di vedere il materialismo prender piede anche fra gli operai in<br />

Bologna. Tu sai davvero il debito tuo verso la (parola illegibile)<br />

o. F. Fui nondimeno con essa minacciato ecc, bisogna afferrare<br />

ogni occasione d’aumentare il numero <strong>dei</strong> collaboratori<br />

31<br />

Attualità<br />

UNA LETTERA INEDITA<br />

DI MAZZINI<br />

di Gianfranco Romagnoli<br />

e adocchiare ogni giovane buono e capace. perché il Turchi non<br />

abbia mai scritto, non so. di ceneri non parlo: non si dà il<br />

nome per ritrarsi poi a quel modo. Ma conosci l’a. Fratti che<br />

ha scritto una prefazione ad alcune cose mie ristampate? che<br />

cos’è la rivoluzione della quale mi dicono che è direttore?<br />

Scrive benino; e se gli avanza tempo, dovrebbe qualche volta<br />

contribuire egli pure. diglielo se sei a contatto. addio: mi sento<br />

troppo sfasciato oggi per allungarmi. Tuo sempre gius. M.


<strong>Lions</strong> Club<br />

CAMBIAMENTO O SEMPLICE<br />

CAMBIO DI GUARDIA?<br />

Credere nei bisogni dell’umanità che soffre, condividerne<br />

le sofferenze, aiutare ad alleviarle o debellarle,<br />

sono scopi del lionismo sin dal 1917 e continuano ad esserlo<br />

anche nel 2013, senza che siano mutati o senza che<br />

si siano ossidati per il tempo trascorso. Ma, allora, cosa<br />

è cambiato: l’uomo, l’associazionismo lionistico o la società.<br />

A questo interrogativo dobbiamo, forse, una risposta<br />

e su questo dubbio dobbiamo riflettere e<br />

confrontarci. Da più parti ed ad ogni livello si sente parlare<br />

di “crisi”, di difficoltà, di mutamento, di cambiamento,<br />

ma nella realtà cosa è cambiato o sta cambiando<br />

realmente? L’uomo certamente no! Egli è strutturato<br />

sempre allo stesso modo: una parte materiale, un’altra<br />

spirituale o animica in cui esistono e convivono emozioni,<br />

sentimenti (amore – odio), razionalità, fede, intelligenza,<br />

intesa, anche, come volontà e capacità di<br />

comprensione e conoscenza, diritti, doveri, bisogni.<br />

Quindi, non si può affermare con certezza che egli sia<br />

radicalmente cambiato.<br />

Allora, la Nostra Associazione?!<br />

Ma, osservando più attentamente, ci rendiamo conto<br />

che, sia il Codice dell’Etica che gli Scopi, sono rimasti<br />

uguali a quelli del 1917, a parte qualche aggiustamento<br />

di traduzione dall’inglese. Anche la struttura piramidale<br />

e verticistica è rimasta immutata a parte l’introduzione di<br />

qualche ulteriore figura amministrativa, necessaria a<br />

completare un quadro gestionale più completo, in relazione<br />

anche alla complessità organizzativa ed alla crescita<br />

mondiale. Pertanto, non si può neppure concludere<br />

che sia cambiato il nostro Associazionismo. Resta per ultimo<br />

l’esame dell’attuale società civile. In effetti questa,<br />

rispetto al 1917 è cambiata:<br />

1) Sono mutati i costumi;<br />

2) Sono mutate le necessità / esigenze;<br />

3) Sono mutate le aspettative di convivialità;<br />

4) Sono mutati i comportamenti di molti uomini,<br />

sia singoli che associati, i loro diritti/doveri;<br />

5) È mutato, in altri termini, il modo di vivere la<br />

collettività all’interno della “civis” ed il concetto tradizionale<br />

di “civis” e la volontà di rendersi, in qualche<br />

modo, attivo e partecipativo.<br />

Mi esimo dall’analizzare l’aspetto sociologico di tale mutamento,<br />

poiché non ne possiedo le capacità professionali,<br />

ma ritengo di potere affermare che, essendo<br />

di Pietro Manzella<br />

32<br />

cambiata la società, così come detto, da “solida” piena<br />

cioè di fermi punti di riferimento, in “liquida”, volendo<br />

ripetere il concetto del sociologo Bauman, si è resa consequenzialmente<br />

necessaria sia la modifica delle modalità<br />

di comunicazione tra gli uomini, che un<br />

approfondimento degli scopi del lionismo nella nostra<br />

Associazione, per cui ritengo che sia cambiata soltanto la<br />

metodologia degli obiettivi da raggiungere, ma non è<br />

mutato il Lionismo in sé stesso.<br />

Se ad esempio le esigenze primarie del soggetto diversamente<br />

abile del 1917 non erano quelle di salire le scale<br />

per recarsi al lavoro, oggi tale esigenza è quasi quotidiana,<br />

per cui io <strong>Lions</strong> devo pensare come realizzare il<br />

relativo progetto, mettendo in atto un principio di sussidiarietà,<br />

oggi pure codificato, al quale la società civile e<br />

la classe preposta al suo governamento, non ha pensato<br />

o voluto pensare.<br />

Ecco che l’associazionismo lions si è pian piano trasformato<br />

anche in cittadinanza attiva, ma non perché prima<br />

non ne avesse le potenzialità, quanto, invece, perché<br />

prima non si erano presentate le relative opportunità.<br />

Anche la formazione-informazione <strong>dei</strong> soci è stata sempre<br />

presente negli statuti associativi e, nel rispetto della<br />

relatività nel tempo, si è sempre effettuata. Oggi, si avverte,<br />

invece, la necessità di sviluppare una formazione<br />

differente, poiché anche questa è legata al cambiamento


CAMBIAMENTO O SEMPLICE<br />

CAMBIO DI GUARDIA?<br />

socialitario e, per essa, anche ai mezzi di comunicazione.<br />

Prima l’uomo era più disposto ad ascoltare poiché, forse,<br />

aveva più tempo, oggi è meno disposto a farlo, poiché la<br />

sua corsa è contro il tempo come in una gara ad ostacoli!<br />

Ecco, quindi, che affiorano i problemi della defezione<br />

<strong>dei</strong> soci, della loro scarsa partecipazione, anche poiché,<br />

a mio avviso, le sollecitazioni parallele al lionismo, che la<br />

società attuale offre, sono sempre maggiori ma a volte<br />

prive, però, di quel principio rigido (eticità) che, invece,<br />

è baluardo inamovibile della nostra Associazione.<br />

Il logo con le due effige <strong>dei</strong> leoni, rivolte a sinistra ed a<br />

destra, non ha mutato il suo significato iniziale e, quindi,<br />

neppure il passato va cancellato tutto ogni anno, allorché<br />

un nuovo Presidente o un nuovo Governatore si avvicenda<br />

nella carica! Il passato deve servire per dare al presente<br />

il meglio e proiettarlo nel futuro, in quanto<br />

sicuramente qualcosa di positivo è stato fatto, sia pure<br />

per il solo impegno profuso da un altro uomo, nella collettività.<br />

Personalmente, infatti, la notte di capodanno non ho mai<br />

avuto la pessima abitudine di “sparare” all’anno trascorso,<br />

come scioccamente alcuni osano fare, ma ho ringraziato<br />

Dio per avermi lasciato in vita, rivolgendo,<br />

invece, un auspicio per l’ignoto futuro. Ritengo, infine,<br />

che se ciascun lions nel proprio cammino, all’interno dell’Associazione,<br />

oltre all’impegno efficiente nel ruolo e<br />

nella carica rivestita, senza bisogno di razionalizzare con<br />

filosofia pura un particolare lionismo, a volte anche fuori<br />

dalla realtà di tutti i giorni, dimenticando di essere principalmente<br />

mediatore <strong>dei</strong> bisogni dell’umanità con la società<br />

civile organizzata, usasse, invece, anche una buona<br />

dose di umiltà e buon senso, forse le criticità potrebbero<br />

attenuarsi e la convivialità ritornerebbe ad essere anche<br />

gioiosa, così come vuole il nostro Codice dell’Etica.<br />

Sono convinto, inoltre, che Melvin Jones abbia precorso<br />

i tempi allorché nel codice dell’etica scrisse, tra l’altro:<br />

“Perseguire il successo, domandare le giuste retribuzioni<br />

e conseguire i giusti profitti senza pregiudicare la dignità<br />

e l’onore con atti sleali ed azioni men che corrette”! Il<br />

10.12.1948 le Nazioni Unite approvarono, infatti, la “Dichiarazione<br />

universale <strong>dei</strong> diritti dell’uomo”, che all’art.<br />

1 recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali<br />

in dignità e in diritti”. Dunque la dignità dell’uomo, sia<br />

propria che di un altro, è anteposta ai diritti e rappre-<br />

33<br />

<strong>Lions</strong> Club<br />

senta il grembo in cui questi ultimi sono fecondati.<br />

Nelle ultime traduzioni dall’inglese a seguito <strong>dei</strong> correttivi<br />

apportati dal Board, la parola “dignità” viene tradotta<br />

in “rispetto per me stesso”, concetto quest’ultimo<br />

appropriato all’essere uomo e lions al tempo stesso.<br />

Infatti, il rispetto di me stesso deve indurmi a capire che,<br />

anche gli altri uomini, in quanto esseri umani, meritano<br />

altrettanto rispetto ed il mio ruolo è quello di fare germogliare<br />

e concretizzare i diritti ed i doveri, che subito<br />

dopo emergono.<br />

Tutti questi atteggiamenti comportamentali di vita significano<br />

trasformare l’uomo-individuo in cittadino e<br />

consequenzialmente renderlo attivo e partecipe nella e<br />

per la cosa pubblica in quella “civis” di cui parlavo prima<br />

e che, avendo allargato i propri confini territoriali non si<br />

chiama più <strong>Palermo</strong>, Roma, Milano, Vienna, New York,<br />

ma Europa, America, Asia, Globo Terrestre, mentre la<br />

cittadinanza si chiama “umanitaria”.<br />

Ecco che, pure, la sussidiarietà, voluta e codificata a gran<br />

voce anche dal nostro legislatore costituzionale, altro non<br />

è che l’identica “solidarietà” di cui Melvin Jones parlava<br />

nel 1920 in un suo scritto quando diceva “la solidarietà<br />

è quanto mai utile, ma da sola non può risolvere i problemi<br />

dell’umanità se non è accompagnata da una civile<br />

presa di coscienza, se non riusciamo ad emancipare la<br />

cultura <strong>dei</strong> popoli”.<br />

Solo con l’affrancazione dall’ignoranza di tutti i popoli<br />

della terra potremo riunirci in una linea ideale di pari<br />

dignità per poi rendere la solidarietà o sussidiarietà veramente<br />

spontanea e senza bisogno di distinzioni tra<br />

orizzontale e verticale o altre simili farneticazioni.<br />

Il lion di oggi deve lavorare con la mente e con il cuore,<br />

con la ragione e con l’impeto dell’amore, rituffandosi<br />

nella conoscenza delle regole esistenti nella nostra organizzazione,<br />

attuandole con convinzione ogni giorno ed<br />

in qualunque posto egli si trovi.


<strong>Lions</strong> Club<br />

IL LIONS CLUB PALERMO<br />

DEI VESPRI PER LA PACE<br />

Martedì 19 marzo 2013 il <strong>Lions</strong> Club<br />

<strong>Palermo</strong> di <strong>Vespri</strong> ha premiato i<br />

primi tre classificati, tra i numerosi<br />

alunni dell’I.C. G. Garibaldi- M.Rapisardi<br />

che hanno partecipato al concorso bandito<br />

dal <strong>Lions</strong> International per divulgare tra i<br />

giovani la cultura della pace. Il Presidente Ajovalasit,<br />

dopo avere ringraziato il Dirigente dell’Istituto<br />

Comprensivo , ha apprezzato molto i disegni<br />

<strong>dei</strong> giovani sul tema della pace ed il lavoro delle<br />

Docenti che con la loro sensibilità e competenza<br />

hanno contribuito alla realizzazione del progetto.<br />

Il Presidente con la seconda classificata<br />

di Gabriella Maggio<br />

34<br />

Il Presidente del Club <strong>Palermo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Vespri</strong> Vincenzo Ajovalasit<br />

col primo classificato


Dopo l’omaggio wagneriano con le prime<br />

due giornate della Tetralogia, semaforo<br />

verde per Giuseppe Verdi nel bicentenario<br />

della nascita che trova il Massimo di<br />

<strong>Palermo</strong> impegnato a proporre momenti salienti<br />

della produzione del bussetano con Nabucco, Aida,<br />

Rigoletto e due concerti verdiani che a maggio vedranno<br />

sul podio Stefano Ranzani con i solisti Anna<br />

Pirozzi, Amarilli Nizza, Giorgio Berrugi, Aquiles<br />

Machado, Dalibor Jenis, Claudio Sgura. A siglare<br />

questi appuntamenti, la mostra Verdi al Massimo<br />

curata da Sergio Troisi con l’allestimento di Roberto<br />

Lo Sciuto e il coordinamento di Marida Cassarà;<br />

importante testimonianza dell’archivio del teatro<br />

che espone per i cultori bozzetti, figurini, locandine<br />

e costumi inerenti alle produzioni verdiane dagli<br />

anni ’50 ai nostri giorni.<br />

Si è cominciato quindi con la riproposta di Nabucco<br />

la cui regia ed allestimento scenico risalgono a tre<br />

anni fa. Terza opera di Verdi costituisce il primo luminoso<br />

traguardo della sua produzione dopo il tonfo<br />

di Un giorno di regno; si impone con rinnovato successo<br />

per la carica di umanità, per il rinnovamento<br />

degli schemi del melodramma del primo Ottocento<br />

ma soprattutto per la novità di ritrovarvi le memorabili<br />

figure del suo teatro che grandeggiano per il<br />

fascino delle risolte caratterizzazioni sullo sfondo<br />

epico <strong>dei</strong> grandi affreschi corali. In altri termini è<br />

l’opera che ci dà a tutto tondo un’idea nuova della<br />

capacità del compositore di creare caratteri dalla<br />

forte individualità e carica psicologica. Zaccaria si<br />

avvarrà del profondo prestigio morale e dell’autorevolezza<br />

ma soprattutto si imporrà per nobiltà e caratura<br />

michelangiolesca. Nabucco inaugurerà la<br />

schiera <strong>dei</strong> personaggi malvagi; baciato dalla provvida<br />

sventura, si convertirà e da oppressore finirà<br />

con lo sposare la causa degli oppressi. Completa la<br />

triade la virago Abigaille lacerata tra rabbia e rimpianto<br />

della felicità perduta.<br />

Gli interpreti lirici si dividono in cantanti ed artisti;l’altra<br />

sera ci è capitato di ascoltare un cast di can-<br />

35<br />

Teatro<br />

NABUCCO POCO RASSICURANTE<br />

PER L’ANNO VERDIANO<br />

di Salvatore Aiello<br />

tanti che si sono solo limitati, con sufficiente resa, a<br />

risolvere le non poche difficoltà che i ruoli richiedono.<br />

Sappiamo perfettamente che affrontare quest’opera<br />

è un’impresa assai difficile, non a caso la storica<br />

Giuseppina Strepponi ci perdette la voce, e che oggi<br />

purtroppo domina la concezione che tutti possono<br />

cantare di tutto, ma non è così, poiché Verdi chiede<br />

spiccata personalità interpretativa, spessore vocale,<br />

fraseggio articolato, mordente, emissione sicura, parola<br />

scenica chiara e incisiva, temperamento acceso<br />

e non ultimo fuoco, tanto pathos per riconsegnare<br />

le schegge dell’anima e <strong>dei</strong> caratteri <strong>dei</strong> personaggi.<br />

Non ci siamo sentiti coinvolti né esaltati da prove<br />

senz’altro però dignitose. George Gagnidze di saldo<br />

dominio vocale non sempre è riuscito a tratteggiare<br />

la cifra del re babilonese allucinato e dimidiato tra la<br />

violenza del potere e tenerezze paterne. La sua interpretazione,<br />

nonostante il notevole approccio, risultava<br />

a tratti convincente mostrando al meglio la<br />

sua corda sentimentale apprezzabile soprattutto<br />

nella perorazione “Dio di Giuda”. Anna Pirozzi nell’impervia<br />

parte di Abigaille, la cui vocalità conosce


Teatro<br />

NABUCCO POCO RASSICURANTE<br />

PER L’ANNO VERDIANO<br />

tremendi sbalzi di registro, dal do acuto al do grave,<br />

con cambiamenti frequenti di colore, ha dato prova<br />

delle sue innate ed istintive capacità naturali mettendo<br />

soprattutto in luce la zona acuta sorretta dal<br />

forte temperamento. Poco ieratico lo Zaccaria di<br />

Luiz Ottavio Faria che però si è giovato di una organizzazione<br />

vocale corposa ed appassionata. Di<br />

buon livello la presenza di Gaston Rivero che ci ha<br />

regalato un Ismaele generoso, brillante per smalto<br />

vocale ed emissione morbida. Un apprezzamento<br />

senza riserve va ad Annalisa Stroppa nei panni di<br />

Fenena che si è distinta per volume, timbro suadente<br />

ed elegante linea di canto. Completavano il<br />

cast l’efficace Gran Sacerdote di Manrico Signorini,<br />

l’Anna di Stefania Abbondi e l’Abdallo di Mario Bolognesi.<br />

Un po’ in ombra inizialmente il coro istruito<br />

da Piero Monti e sopra le righe che però ha saputo<br />

emergere per tinte nostalgiche e malinconiche nel<br />

Va’ pensiero per tradizione bissato. La partecipe direzione<br />

di Renato Palumbo che ci aveva offerto una<br />

sinfonia di bel respiro ed equilibrate sonorità, via via<br />

ci lasciava perplessi per altalenanti momenti di esagerate<br />

accensioni e di rallentamenti forse dovuti alla<br />

voglia di seguire con scrupolo il palcoscenico che<br />

non sempre rispondeva alle sue attese. Senza particolari<br />

guizzi la regia di Saverio Marconi, ripresa da<br />

Alberto Cavallotti e che si giovava delle scene di<br />

Alessandro Camera; un incombente menorah al<br />

primo atto e soprattutto un invadente cilindro che<br />

di volta in volta rivelava ambienti e situazioni cui faceva<br />

corona un anonimo anfiteatro accogliente personaggi<br />

e masse, erano i pochi elementi che<br />

riconducevano all’ambientazione dell’opera. Adeguati<br />

i colorati costumi di Carla Ricotti così pure le<br />

luci di Roberto Venturi.<br />

36<br />

George Gagnidze interpreta Nabucco


La legge del 23 novembre 2012 indica il<br />

17 marzo come “Giornata dell’Unità<br />

Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e<br />

della Bandiera”. Per quanto possa sembrare<br />

oggi difficile considerare il percorso storico<br />

che ci ha reso Nazione, onorare la Costituzione<br />

ed anche il nostro tricolore, non abbiamo altri percorsi<br />

da scegliere. Riunire le nostre forze migliori<br />

cioè quelle oneste, rispettose del bene comune e<br />

votate all’interesse della collettività e non a quello<br />

personale o della propria parte politica è cosa<br />

pure difficile, dopo tanti anni di governo sciatto e<br />

di mancanza di dialettica politica tra i vari schieramenti,<br />

che ha intiepidito i nostri entusiasmi avviandoci<br />

verso il disincanto e talvolta verso il<br />

cinismo. Ma la risposta alla grave situazione in cui<br />

ci troviamo non può che venire da noi stessi come<br />

ci ricorda il Presidente della Repubblica: “Siamo<br />

oggi - noi italiani - credo che lo sappiamo bene, di<br />

nuovo in un momento difficile e duro, per l'economia<br />

che non cresce, per la disoccupazione che<br />

aumenta e dilaga tra i giovani, per il Mezzogiorno<br />

che resta indietro, per quel che non va nello Stato,<br />

nelle istituzioni, nella politica e che va modificato,<br />

che richiede, e già da tempo, di essere riformato.<br />

Ritroviamo dunque - questo è il mio augurio -<br />

come nelle celebrazioni del Centocinquantenario,<br />

orgoglio e fiducia, e ritroviamo il senso dell'unità<br />

necessaria. Unità, volontà di riscatto, voglia di fare<br />

e stare insieme nell'interesse generale, senza dividerci<br />

in fazioni contrapposte su tutto, senza perdere<br />

spirito costruttivo e senso di responsabilità”.<br />

di Daniela Crispo<br />

37<br />

Attualità<br />

GIORNATA DELL’UNITà NAZIONALE


<strong>Lions</strong> Club<br />

RITORNA IL PROGETTO MARTINA AL LICEO<br />

CLASSICO G. GARIBALDI DI PALERMO<br />

Perla seconda<br />

volta gli alunni<br />

delle quarte liceali del Garibaldi<br />

hanno incontrato gio-<br />

vedì 21 marzo nell’aula magna<br />

del Liceo Classico G. Garibaldi l’èquipe medica<br />

del <strong>Lions</strong> Club <strong>Palermo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Vespri</strong>, formata dai<br />

dott. Vincenzo Ajovalasit, Luciana Pace, Alfonso<br />

Rabiolo, Giuseppe Sunseri.Tema dell’incontro il<br />

Progetto Martina concernente l’informazione sulla<br />

prevenzione <strong>dei</strong> tumori che hanno una larga incidenza<br />

sulla popolazione anche in età giovanile.<br />

Il dott. Alfonso Rabiolo, Componente Comitato<br />

Distrettuale Progetto Martina, tema di studio del<br />

Multidistretto 108 Italy, ha illustrato brevemente<br />

il Progetto ricordando la ragazza che, colpita da<br />

tumore alla mammella, ha lasciato come testamento<br />

che i giovani siano ”informati ed educati ad<br />

avere maggior cura della propria salute”. Si è complimentato<br />

con i docenti dell’Istituto che hanno<br />

voluto coinvolgere nel progetto un secondo gruppo<br />

di alunni, consapevoli dell’importanza della corretta<br />

informazione. In particolare ha parlato del<br />

tumore alla mammella. e dell’importanza della<br />

prevenzione, dall’autopalpazione ai controlli medici<br />

veri e propri,ecografia e mammografia.<br />

La dott.ssa Luciana Pace ha parlato del Papilloma<br />

Virus da cui ci si può difendere con la vaccinazione.<br />

Il dott. Vincenzo Ajovalasit ha illustrato il<br />

tumore del testicolo e le modalità di prevenzione Il<br />

dott. Giuseppe Sunseri ha illustrato ai ragazzi gli<br />

stili di vita scorretti che predispongono all’insorgere<br />

del cancro: fumo, alcol, alimentazione scorretta,<br />

sedentarietà<br />

I giovani hanno seguito con attenzione le relazioni<br />

e hanno rivolto molte domande sugli argomenti<br />

trattati.<br />

di Gabriella Maggio<br />

38<br />

Dott. Alfonso Rabiolo Dott.ssa Luciana Pace<br />

Dott. Vincenzo Ajovalasit Dott. Giuseppe Sunseri


Scusate l’immagine, ma non ne ho trovate di<br />

nuove nell’area stampa del sito del teatro.<br />

Ma non cambia nulla, è evidente, si tratta<br />

dello stesso allestimento (stessi regia, scene e<br />

assistente, costumi e luci) di tre anni fa, allora nuovo<br />

progetto. Oggi nel solenne centenario dell’accoppiata<br />

Wagner – Verdi, è stata scelta come prima verdiana<br />

nell’anniversario della nascita del nostro<br />

bardo nazionale un’opera di scarso rilievo, un fiacco<br />

spettacolo che tre anni fa non giunse a scaldare i<br />

cuori e fu presto dimenticato. Ragioni di che per<br />

questa inutile ripresa? Forse finanziarie? O di mercato?<br />

Dopo il fracasso wagneriano e gli spunti di critica<br />

e di riflessione per le ardite innovazioni, la<br />

ripetizione di un fiasco già visto non poteva che sortire<br />

la noia che è circolata in sala, preparata dalle<br />

consistenti defezioni degli abbonati. Per dare smalto<br />

ad un fallimento non basta cambiare semplicemente<br />

direttore, con uno tosto che trascina con le braccia<br />

e le dita ad uncino l’orchestra dove lo porta il cuore.<br />

Così come i pur bravi cantatori lasciati all’iniziativa<br />

delle loro originali improvvisazioni canore. Perciò il<br />

pubblico entusiasta si è scalmanato al solito pezzo<br />

di Carmelo Fucarino<br />

39<br />

Opera<br />

strappalacrime e leghista e non si poteva non concedergli<br />

la soddisfazione del bis. Non si è trattato<br />

neppure del ritorno ferreo al peplum, dopo le disadorne<br />

e raccapriccianti nudità sceniche dell’ultimo<br />

regista. Vada pure l’allucinante fulgore di luci e colori,<br />

anfiteatri rotanti e abatjour cilindrico adorno<br />

di cuneiformi che si sollevava a scoprire il letto di<br />

stordenti colori. Bisognava altro per dare pathos al<br />

popolo oppresso e alle masse derelitte, maggiore dinamicità,<br />

sentimento di essere popolo che lotta. Peccato<br />

per tanta bella musica spesso gridata!<br />

Già nella prima scaligera del 9 marzo 1842 fu evidente<br />

il salto al Settecento con questa storia di un re<br />

dal nome troppo pomposo e perciò reso più familiare<br />

dell’originale e completo Nabucodonosor. Tra<br />

l’altro è un personaggio monocorde che minaccia<br />

continuamente stermini e sfracelli (Vittime tutti - cadranno<br />

omai! - Fa <strong>dei</strong> vinti atroce scempio). Scriveva<br />

Massimo Mila che l’opera «non è il dramma di personaggi,<br />

bensì uno statico affresco corale, dove il più<br />

alto livello di vita scenica e di liricità è raggiunto<br />

senza dubbio dalla massa del popolo ebraico». Questo<br />

ricorso ai grandi corali era la chiave politica di un


Opera<br />

giovane che era trascinato dai fervori patriottici di<br />

un’Italia, mai esistita e mal nata, che nel nome di<br />

V.E.R.D.I spiegò la sua origine programmata di annessione<br />

savoiarda. Da allora il dibattito si è sviluppato<br />

e si dilunga su Italia unita o regionette da<br />

barzelletta. Perciò il mesto, nostalgico, larmoyant,<br />

sussurrato corale è stato “strattonato” come inno nazionale<br />

dell’Italietta delle province leghiste.<br />

Con tante pace di artisti e orchestrali, che hanno dato<br />

il meglio di se stessi, una divagazione letteraria.<br />

Eppure il Salmo 137 aveva altre profondità e risonanze<br />

interiori:<br />

«[1] Sui fiumi di Babilonia,<br />

là sedevamo piangendo<br />

al ricordo di Sion.<br />

[2] Ai salici di quella terra<br />

appendemmo le nostre cetre.<br />

[3] Là ci chiedevano parole di canto<br />

coloro che ci avevano deportato,<br />

canzoni di gioia, i nostri oppressori:<br />

"Cantateci i canti di Sion!".<br />

[4] Come cantare i canti del Signore<br />

in terra straniera?».<br />

E allora Teognide di Megara:<br />

«Come può il vostro cuore sopportare<br />

Di cantare al ritmo dell’auleta?<br />

Dalla piazza appare il confine della terra<br />

che nutre con i suoi frutti chi nei conviti<br />

cinge purpuree corone sui biondi capelli.<br />

Ma su, scita, rasa la chioma, cessa la baldoria,<br />

piangi il suolo profumato che rovina» (vv. 825-30).<br />

40<br />

E ieri l’altro con diversa profondità Quasimodo, Alle<br />

fronde <strong>dei</strong> salici (da Giorno per giorno)<br />

«E come potevamo noi cantare<br />

con il piede straniero sopra il cuore,<br />

con i morti abbandonati nelle piazze<br />

sull'erba dura di ghiaccio, al lamento<br />

d'agnello <strong>dei</strong> fanciulli, all'urlo nero<br />

della madre che andava incontro al figlio<br />

crocifisso sul palo del telegrafo?<br />

Alle fronde <strong>dei</strong> salici, per voto<br />

anche le nostre cetre erano appese,<br />

oscillavano lievi al triste vento».<br />

Per risentire il lamento accorato:<br />

«Arpa d’or <strong>dei</strong> fatidici vati,<br />

Perché muta dal salice pendi?<br />

Le memorie nel petto raccendi,<br />

Ci favella del tempo che fu!».


di Gabriella Maggio<br />

E’ primavera, fiori, frutti, sole splendente col volto di bambino, alte cime ancora innevate,<br />

rondini in volo nell’azzurro… Un’idea stereotipata di natura o un sogno ? Difficile capire il<br />

punto di vista della giovane artista. Potrebbe dirimere la questione un metodo di lavoro ?<br />

Portare i bambini in giro per la città, spingendoli a vedere più che a guardare prima di farli<br />

disegnare ?<br />

Visita > Leggi<br />

Commenta > Collabora > Scrivi<br />

<strong><strong>Vespri</strong>no</strong>Magazine<br />

incontriamoci in rete<br />

www.lionspalermo<strong>dei</strong>vespri.it<br />

41<br />

<strong>Lions</strong> Club


Pasqua<br />

I PICUREDDI<br />

Nelle nostre case, fin dai<br />

tempi in cui la memoria<br />

ci consente di ricordare,<br />

nei giorni antecedenti la<br />

Santa Pasqua, era ed è consueto allestire<br />

“greggi” di picureddi, che<br />

oltre a prendere forma, ricordano<br />

aromi di vaniglia, cannella e chiodi<br />

di garofano. Queste creazioni, sono<br />

preparate non a fini speculativi o<br />

commerciali, ma come un vero e<br />

proprio “culto”, per il piacere di donarle<br />

a parenti, amici e conoscenti,<br />

rinnovando vincoli di appartenenza<br />

e di solidarietà.<br />

Il rivivere questo culto, di cui questa realizzazione<br />

è un chiaro esempio, oltre ad avere significati simbolici,<br />

manifesta un chiaro esempio culturale identificante<br />

che è patrimonio di tutta la nostra<br />

comunità.<br />

L’identificazione della Pasqua con l’agnello pasquale,<br />

va dal rito sacrificale dell’Antico Testamento,<br />

con l’identificazione in Gesù Cristo nel<br />

Nuovo Testamento. Al rito sacrificale si è sostituito<br />

nel tempo, il sacrificio “simbolico”.<br />

Il sacrificio reale non poteva che essere sostituito<br />

con quanto di più prelibato e sublime possa crearsi<br />

nella cucina siciliana, la pasta reale o frutta di<br />

martorana, per prendere forma nei “picureddi”.<br />

Nella Sicilia occidentale, l’allestimento delle pecorelle<br />

pasquali, come anche della frutta di martorana,<br />

è stata prerogativa <strong>dei</strong> conventi, in cui<br />

specialmente le suore erano abilissime pasticcere.<br />

A Roccapalumba, indipendentemente dai vari<br />

procedimenti gastronomici (a caldo o a freddo) o<br />

tecnici (a mano o con gli stampi), assumono fattezze<br />

di vere e proprie opere d’arte ed il rituale<br />

della preparazione <strong>dei</strong> picureddi non è stato il tramandare<br />

di una semplice ricetta, ma il perpetuarsi<br />

di un rito. Una delle prime elaborazioni è stata<br />

realizzata da una famiglia della borghesia agraria<br />

di Pippo Sciortino<br />

42<br />

agli inizi del ‘900, a porla in essere è stata una laboriosa<br />

massaia di fine ingegno, Giuseppina Modica<br />

(1877-1948), la tradizione è stata tramandata<br />

con cultura orale poi: a Rosa Genco (1903-1975),<br />

a Saveria Genco, a Rosa Tuzzolino (1914-1992) ed<br />

a Emanuela Lo Faso.<br />

Fino a quando la civiltà <strong>dei</strong> consumi e della globalizzazione,<br />

non avranno offuscato anche questo<br />

“rito” ed all’atto di tagliare un pezzettino di<br />

“picureddu”, ancora, come un preventivo pentimento,<br />

si è pervasi da un senso di colpa “pari piccatu”,<br />

ricordando quasi il peccato che il Cristo ha<br />

riscattato con la propria passione e morte, questo<br />

“culto” verrà perpetuato.<br />

ECCO L’AGNELLO DI DIO, ECCO COLUI<br />

CHE PRENDE SU DI SE’ IL PECCATO<br />

DEL MONDO ( Gv 1,29)


marzo, 2013 al Grand<br />

Hotel de Palmes si è svolta<br />

la conviviale degli Auguri di<br />

Il23<br />

Pasqua del <strong>Lions</strong> Club <strong>Palermo</strong><br />

<strong>dei</strong> <strong>Vespri</strong>. Erano presenti il<br />

Presidente della Zona 1 Pietro Manzella,<br />

socio del Club, Sedulio Rampolla,<br />

Presidente del <strong>Lions</strong> Club<br />

<strong>Palermo</strong> Mediterranea e M.Costanza<br />

Gelardi, Presidente del Leo<br />

Club <strong>Palermo</strong> <strong>dei</strong> <strong>Vespri</strong>, ospiti del<br />

Club. Durante la cerimonia è stato<br />

ammesso come socio Riccardo Carioti,<br />

di cui è stata madrina Zina<br />

Corso D’Arca.<br />

Il Presidente della zona 1 Pietro Manzella ha consegnato<br />

al dott. Corrado Ajovalasit, specialista in<br />

oftalmologia il guidoncino ed il libro <strong>dei</strong> “Quindici<br />

anni del club” in quanto l’8 marzo 2013 ha<br />

collaborato col Club nella giornata dedicata alla<br />

prevenzione delle cecità prevenibili, reversibili e<br />

della conservazione della vista.<br />

di Attilio Carioti<br />

43<br />

<strong>Lions</strong> Club<br />

CONVIVIALE DI PASQUA DEL LIONS<br />

CLUB PALERMO DEI VESPRI<br />

Da sinistra P. Manzella, V. Ajovalasit, Sedulio Rampolla, M.<br />

Costanza Gelardi<br />

Da sinistra V. Ajovalasit, R. Carioti, Zina<br />

Corso D’Arca

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