Foto di Claudio Porcarelli - Miss Italia
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«Dagli albori fino a questi anni contrad<strong>di</strong>ttori <strong>Miss</strong> <strong>Italia</strong><br />
scan<strong>di</strong>sce e fotografa l’evoluzione del costume. Scatto<br />
dopo scatto, giorno dopo giorno, un viaggio lungo tre<br />
quarti <strong>di</strong> secolo. Non fermiamoci all’apparenza, all’abito<br />
indossato, a ciò che andava <strong>di</strong> moda esattamente in<br />
quella stagione. Dietro c’è molto <strong>di</strong> più: ci sono aspirazioni,<br />
progetti, mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> essere, sogni, anche conquiste. Una<br />
lunga marcia: c’è ancora tanta strada da fare, ma molta<br />
è già stata percorsa.<br />
Lontana anni luce appare oggi l’epoca in cui l’unica prospettiva<br />
riservata alla donna era <strong>di</strong>ventare al più presto<br />
moglie e madre, meglio se prolifica, segno <strong>di</strong> grande patriottismo.<br />
Nei cosiddetti anni del consenso, sotto il fascismo,<br />
un’italiana su quattro era analfabeta; non meraviglia<br />
che il mondo del lavoro fosse ermeticamente sbarrato<br />
all’universo femminile, confinato fra le pareti domestiche.<br />
Sulla rivista Gran<strong>di</strong> Firme trionfavano, maliziose, le signorine<br />
<strong>di</strong>segnate da Boccasile, italiche pin-up: vitino <strong>di</strong> vespa,<br />
seno straripante, fianco ad anfora. Guai ad andare<br />
controcorrente, essere troppo magre, portare i pantaloni,<br />
avere atteggiamenti vagamente autonomi. Il tipo ideale<br />
era la donna morbida e rassicurante, “<strong>di</strong> statura me<strong>di</strong>a, <strong>di</strong><br />
buone proporzioni, un po’ rotonda e d’anca larga” come<br />
si legge testualmente in un manuale <strong>di</strong> igiene e psicologia<br />
<strong>di</strong>ffuso dal regime alla fine degli anni trenta. Ed è una<br />
bellezza quieta e nostrana quella che intende premiare<br />
la società farmaceutica che fa capo al conte Visconti <strong>di</strong><br />
Modrone quando nel ‘39 in<strong>di</strong>ce il concorso “Cinquemila<br />
lire per un sorriso”, antenato <strong>di</strong> <strong>Miss</strong> <strong>Italia</strong>.<br />
Bellezze più moderne, magari con un tocco sensualmente<br />
ambiguo come Marlene Dietrich e Greta Garbo, erano<br />
lontanissime dal modello corrente. Hollywood appariva<br />
un miraggio confuso quanto proibito e l’<strong>Italia</strong> restava un<br />
paese provinciale e soprattutto isolato nell’autarchia. Fioco<br />
o nullo arrivava il riverbero <strong>di</strong> ciò che Coco Chanel già<br />
molti anni prima aveva fatto per le donne, rivoluzionando<br />
il loro modo <strong>di</strong> vestire quando le liberò dalla schiavitù <strong>di</strong><br />
busti e corsetti.<br />
La stagione del dopoguerra e della ricostruzione portò<br />
una ventata <strong>di</strong> ottimismo: l’<strong>Italia</strong> si scopre povera ma bella.<br />
Le mo<strong>di</strong>ste copiano sui cartamodelli i sontuosi abiti <strong>di</strong><br />
Christian Dior e del suo New Look tutto francese: dopo<br />
tante privazioni finalmente l’abbondanza, metri e metri <strong>di</strong><br />
tessuti costosi, gonne gonfie, lunghe, ondeggianti. In <strong>Italia</strong><br />
tutto sembra più artigianale, improntato all’arte <strong>di</strong> arrangiarsi.<br />
Lucia Bosè si cuce da sola utilizzando la stoffa<br />
a fiori <strong>di</strong> un <strong>di</strong>vano il costume da bagno con cui sfila a<br />
Stresa, e anche Gina Lollobrigida, da Subiaco, e Sophia<br />
Scicolone (non ancora Loren), da Pozzuoli, si ingegneranno<br />
con abiti fatti in casa. Quello che conta è che la<br />
vita sia strizzata, i fianchi sottolineati, la scollatura bene in<br />
vista: l’apoteosi della maggiorata.<br />
“Roma? Venti minuti a San Pietro, venti minuti al Colosseo<br />
e almeno due giorni nell’atelier della Sorelle Fontana”,<br />
scrisse in pieni anni cinquanta un quoti<strong>di</strong>ano. Si avvicinavano<br />
i brivi<strong>di</strong> e le trasgressioni della Dolce Vita: le donne<br />
comuni seguivano sui rotocalchi e nei cinegiornali – come<br />
fosse un fotoromanzo a puntate - l’avvicendarsi, i capricci,<br />
gli amori <strong>di</strong> <strong>di</strong>ve e principesse che sembravano avere<br />
eletto Roma e via Veneto a passerella planetaria. L’alta<br />
moda italiana si consolidava grazie agli abiti sfoggiati da<br />
Linda Christian, da Ingrid Bergman, da Liz Taylor, da Anita<br />
Ekberg, dall’imperatrice Soraya sin dal primo dei suoi esilii.<br />
Che anni, alla vigilia del boom economico, e che firme sui<br />
giornali: Oriana Fallaci intervista su “Epoca” Walter Chiari<br />
che annuncia: non sposerò Ava Gardner. Camilla Cederna<br />
racconta sull’ “Europeo” la lunga fila <strong>di</strong> attricette che<br />
vengono a Roma sognando la gloria e decreta: una su<br />
cinquemila sarà una stella. Giorgio Bocca su “Tempo illustrato”<br />
fa una grande intervista a Fellini titolata “Sono un<br />
peccatore anch’io”.<br />
La moda rispecchia l’opulenza <strong>di</strong> quegli anni, <strong>di</strong> quelle feste,<br />
<strong>di</strong> quei set lussuosi, anche se il fossato fra la sfavillante<br />
vita delle star e la grigia quoti<strong>di</strong>anità delle ragazze qualunque<br />
appare incolmabile. Si fa per sognare, altrimenti<br />
“Epoca” non avrebbe riprodotto, numerandoli, i figurini<br />
dell’imponente guardaroba con cui la Lollo si presenta a<br />
Hollywood: da uno a 264.<br />
Nei sessanta, il decennio delle gran<strong>di</strong> illusioni e dei bruschi<br />
risvegli, tutto precipitosamente cambia. Sono anni<br />
tumultuosi e affannati, carichi <strong>di</strong> fervore. Nel ‘64 compare<br />
il primo topless, più o meno in contemporanea con la<br />
minigonna lanciata da Mary Quant e con il <strong>di</strong>lagare della<br />
moda dettata dalla strada. Se al cinema continua a<br />
imperare come para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> seduzione Brigitte Bardot,<br />
nuovi modelli <strong>di</strong> femminilità sono alle porte. Spirano venti<br />
<strong>di</strong> libertà e la bellezza si “democratizza” <strong>di</strong>ventando<br />
accessibile. Certo: belle si nasce, ma in certi casi si può<br />
anche <strong>di</strong>ventare. Migliorarsi, truccarsi, curarsi, depilarsi,<br />
combattere la cellulite è un’opzione se non alla portata<br />
<strong>di</strong> tutte, <strong>di</strong> molte. Le adolescenti non copiano più le madri,<br />
non vogliono più somigliare a delle signore ma essere<br />
se stesse: cioè delle ragazze. Saranno le mamme, semmai,<br />
a vestirsi come le figlie. Già da varie stagioni Audrey<br />
Hepburn è <strong>di</strong>ventata la nuova icona <strong>di</strong> fascino e <strong>di</strong> eleganza.<br />
Si affermano modelle filiformi come Twiggy, Donyale<br />
Luna, Verushka quando la parola anoressia è ancora<br />
un termine sconosciuto. Le figlie del boom economico<br />
hanno fatto in tempo a giocare con Barbie e vogliono,<br />
anche esteticamente, essere padrone del loro destino.<br />
La rivoluzione femminista decreta il tramonto della donna<br />
oggetto. Ma è solo una <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> intenti, una delle<br />
utopie degli anni settanta. Le ragazze che partecipano<br />
ai concorsi <strong>di</strong> bellezza riven<strong>di</strong>cano il <strong>di</strong>ritto a capitalizzare<br />
sul loro aspetto fisico. Nessuno le sfrutta, <strong>di</strong>chiarano,<br />
semmai sono loro a sfruttare i concorsi e i meccanismi <strong>di</strong><br />
selezione. L’ingenuità impacciata <strong>di</strong> un tempo, i balbettii,<br />
i rossori cedono il passo alla determinazione. E la moda?<br />
Rispecchia il gusto incerto <strong>di</strong> quegli anni. Va tutto e il contrario<br />
<strong>di</strong> tutto: la gonnellona a fiori e gli hot pants, i pantaloni<br />
a zampa d’elefante e la salopette <strong>di</strong> jeans, gli zatteroni<br />
e gli stivali, lo scialle post romantico e la casacca hippy.<br />
E’ negli anni ottanta, velocemente archiviati come la decade<br />
dell’edonismo rampante e del <strong>di</strong>simpegno in cui la<br />
forma vince sulla sostanza, che si impone il culto del corpo:<br />
la donna tonica, sportiva e vitaminizzata, ventre piatto,<br />
gambe snelle, ore <strong>di</strong> aerobica e <strong>di</strong> palestra. La femminilità<br />
morbida e prosperosa <strong>di</strong> un’<strong>Italia</strong> “povera ma bella”<br />
è un modello retrò, da modernariato.<br />
Il nuovo sogno delle concorrenti non è più il cinema bensì<br />
la moda: vogliono tutte <strong>di</strong>ventare topmodel. Un’aspirazione<br />
<strong>di</strong> massa che va <strong>di</strong> pari passo con i trionfi del made in<br />
Italy: oggi spalle troppo imbottite, tailleur troppo iperbolici,<br />
stampe troppo rutilanti e urlate, spacchi troppo inguinali,<br />
much too much. Ma indosso a loro sembrava tutto perfetto.<br />
Quella generazione ineguagliata <strong>di</strong> bellissime, quella<br />
falange <strong>di</strong> amazzoni della passerella - Cindy Crawford,<br />
Clau<strong>di</strong>a Schiffer, Naomi Campbell, Linda Evangelista – è<br />
l’immagine <strong>di</strong> un miraggio collettivo. Un’immagine <strong>di</strong> femminilità<br />
forte, <strong>di</strong> glamour, eleganza, lusso & assertività.<br />
Il successo dell’eccesso. Sarà probabilmente una reazione<br />
a tanta ridondanza non soltanto il minimalismo, già<br />
vecchio, ma soprattutto l’autonomia nei confronti <strong>di</strong> ciò<br />
che gli stilisti continuano a proporci quattro volte l’anno.<br />
La moda, finalmente, ci risparmia le sue imposizioni. O<br />
forse siamo noi che non ci lasciamo influenzare più <strong>di</strong><br />
tanto. Si può fare tranquillamente <strong>di</strong> testa propria. Si può<br />
giocare con il vintage, si può inventare liberamente. La<br />
creatività personale viene finalmente premiata: si può e<br />
si deve rifiutare ogni forma <strong>di</strong> omologazione. Puntiamo a<br />
selezionare non corpi ma personalità, ha spiegato il patron<br />
del concorso Enzo Mirigliani.<br />
E, sfiorando il pianeta omologazioni, attenti al bisturi.<br />
Ognuno, e soprattutto ognuna, è artefice del proprio destino.<br />
Sul finire del millennio esplode (e impazza tuttora)<br />
la mania della chirurgia plastica: che faccio mi rifaccio?<br />
Regalo per i 18 anni è un naso nuovo, è un seno più<br />
abbondante, è una liposuzione, è un rimodellamento dei<br />
glutei per somigliare alle fanciulle che hanno successo<br />
in televisione. Gli esempi negativi si moltiplicano: se sei<br />
bella, o se riesci a sembrarlo, farai strada, non solo nello<br />
show business ma anche in parlamento e magari al<br />
governo. Ma <strong>Miss</strong> <strong>Italia</strong> è contraria alle contraffazioni e<br />
alle scorciatoie e Patrizia Mirigliani sente la necessità, due<br />
anni or sono, <strong>di</strong> stilare un decalogo in cui invita le concorrenti<br />
a evitare piercing, extensions, unghie ricostruite<br />
e soprattutto ritocchi – testualmente “rifacimenti fisici” -<br />
troppo vistosi. La bellezza è personalità e mal si concilia<br />
con gli eccessi e con gli artifici».<br />
Laura Laurenzi<br />
Giornalista e scrittrice