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HEARTLINE HSM Genoa Cardiology Meeting - Aristea

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6<br />

ferenza di mortalità a favore di un trattamento precoce nei pazienti con ampia area di rischio<br />

all’ingresso: infatti quando lo STEMI interessava > derivazioni la mortalità risultava<br />

del .6% nel gruppo 1 e del 12% nel gruppo 2.<br />

Anche nei pazienti a rischio clinico elevato la mortalità a 0 giorni risultava più alta se il<br />

tempo di ischemia era superiore a 180’: nei pazienti ultrasettantacinquenni essa era del<br />

9.2% nel gruppo 1 e del 1 . % nel gruppo 2 . Minore era la differenza, ma pur sempre presente,<br />

nei pazienti più giovani (2.1% vs .8%). Anche nei pazienti con TIMI Risk Index più<br />

elevato, la mortalità risultava dell’8. % nel gruppo 1 e del 12% nel gruppo 2.<br />

Questi dati evidenziano il diverso outcome cui vanno incontro pazienti con caratteristiche<br />

cliniche analoghe, a seconda che la riperfusione avvenga in tempi differenti. E’ evidente che<br />

ogni sforzo organizzativo deve essere messo in atto per ridurre i ritardi cosiddetti di sistema,<br />

cioè quelli che si vericano una volta che il paziente ha avuto il primo contatto medico.<br />

Dall’analisi della letteratura non sembra che la prognosi possa essere migliorata da<br />

interventi farmacologici o strumentali. I farmaci che inibiscono il recettore piastrinico IIbIIIa<br />

sono efcaci infatti solo nei pazienti che vengano riperfusi rapidamente. Il recente studio<br />

CRISP AMI non ha inoltre mostrato un benecio dell’uso del contropulsatore in pazienti con<br />

infarto anteriore. In quello studio il tempo medio di ischemia era di 20 ’.<br />

Studi futuri dovranno vericare se differenti approcci di trattamento, basati ad esempio<br />

sulla terapia cellulare rigenerativa, possano migliorare la prognosi dei pazienti riperfusi<br />

tardivamente.

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