HEARTLINE HSM Genoa Cardiology Meeting - Aristea
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116 Fibrillazione Atriale: nuovi scenari terapeutici e conseguenti implicazioni gestionali Giuseppe Di Pasquale, Letizia Riva, Gloria Coutsoumbas Unità Operativa di Cardiologia, Ospedale Maggiore, Azienda USL di Bologna, Bologna Indirizzo per corrispondenza: Dr. Giuseppe Di Pasquale Unità Operativa di Cardiologia - Ospedale Maggiore Largo Bartolo Nigrisoli, 2 - 40133 Bologna Tel. 051-6478202 - Fax 051-6478635 - e-mail: giuseppe.dipasquale@ausl.bo.it La terapia anticoagulante orale (TAO) con gli inibitori della vitamina K, ed in particolare il warfarin, da oltre 0 anni costituisce la terapia di provata efcacia per la prolassi cardioembolica nei pazienti affetti da brillazione atriale (FA), mediante l’inibizione di multipli fattori della coagulazione vitamina K dipendenti (II, VII, IX e X). A fronte di un’elevata efcacia il warfarin presenta tuttavia numerose limitazioni secondarie ai suoi non prevedibili effetti farmacocinetici e farmacodinamici. Ha un lento inizio di azione, richiedendo diversi giorni per raggiungere i livelli terapeutici e presenta una variabilità interindividuale nel metabolismo legata ai polimorsmi genetici del citocromo P 0 2C9 (CYP2C9). Inoltre esistono molteplici interazioni con la dieta e con altri farmaci, con la conseguente necessità di frequenti aggiustamenti della dose per mantenere i livelli terapeutici. La risposta non prevedibile, la necessità di un monitoraggio routinario dei fattori della coagulazione e la stretta nestra terapeutica rendono pertanto difcoltoso l’impiego del warfarin nella pratica clinica, con il risultato che molti pazienti affetti da brillazione atriale (FA) non sono anticoagulati ed in quelli trattati la qualità dell’anticoagulazione è spesso insoddisfacente. In considerazione degli importanti limiti della terapia anticoagulante orale con warfarin, la ricerca clinica degli ultimi 1 anni si è indirizzata a valutare l’efcacia e la sicurezza di nuove strategie antitrombotiche, in particolare degli inibitori diretti della trombina e degli inibitori diretti del fattore X attivato. I nuovi anticoagulanti orali sono stati dapprima testati nella prevenzione della trombosi venosa profonda e dell’ embolia polmonare in pazienti sottoposti a chirurgia elettiva dell’anca o del ginocchio. Tale approccio è particolarmente vantaggioso per lo sviluppo dei nuovi anticoagulanti dal momento che in questa popolazione di pazienti ortopedici l’incidenza di eventi trombotici è particolarmente elevata ed esiste la possibilità di monitorare gli eventi emorragici in ambiente di ricovero ospedaliero. Successivamente sono stati testati nei pazienti affetti da FA per la prevenzione dello stroke e delle embolie sistemiche (1) .
Inibitori diretti orali della trombina Gli inibitori diretti orali della trombina hanno effetti plurimi sulla coagulazione, inibendo la formazione di brina, l’attivazione trombina-mediata dei fattori V, VIII, XI e XIII e l’aggregazione piastrinica trombina-mediata. Inoltre riducono la generazione di trombina indotta dal tissue factor. Gli inibitori diretti della trombina sviluppati per uso orale, monovalenti, sono rappresentati dallo ximelagatran, dal dabigatran e dall’ AZD-08 7. Lo ximelagatran, inibitore diretto orale della trombina, confrontato con il warfarin in due ampi studi, SPORTIF III (2) condotto in aperto e SPORTIF V ( ) condotto in doppio cieco, ha dimostrato una non inferiorità rispetto al warfarin. Purtroppo i problemi di epatotossicità hanno portato all’interruzione dei programmi di sviluppo del farmaco. Il dabigatran è un inibitore diretto reversibile della trombina. Il suo profarmaco dabigatran etexilato, che è convertito dalle esterasi plasmatiche a dabigatran, ha una biodisponibilità del 6. %, un’emivita di 12-17 ore ed ha per l’80% un’eliminazione renale. Non richiede un monitoraggio della coagulazione, tuttavia il livello di anticoagulazione può essere valutato misurando il trombin clotting time o l’ecarin clotting time, determinazioni di possibile utilità in caso di emorragie. Analogamente l’aPTT può essere utile per identicare una eccessiva anticoagulazione in situazioni di emergenza. L’efcacia e la sicurezza del dabigatran nella prevenzione dello stroke nella FA non valvolare sono state testate nell’ampio studio di fase III RE-LY che ha incluso 18.11 pazienti con FA ( , ) . Nel RE-LY i pazienti sono stati randomizzati a ricevere in aperto warfarin oppure in doppia cecità due dosi sse di dabigatran 110 mg bid oppure 1 0 mg bid. L’outcome primario di stroke ed embolia sistemica in un follow-up mediano di due anni ha avuto un’incidenza simile nei pazienti trattati con dabigatran 110 mg rispetto al warfarin (1. % vs 1.71%) ed un’incidenza minore del %, statisticamente signicativa (p
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Unità Operativa di Cardiologia, Ospedale Maggiore, Azienda USL di Bologna, Bologna<br />
Indirizzo per corrispondenza:<br />
Dr. Giuseppe Di Pasquale<br />
Unità Operativa di Cardiologia - Ospedale Maggiore<br />
Largo Bartolo Nigrisoli, 2 - 40133 Bologna<br />
Tel. 051-6478202 - Fax 051-6478635 - e-mail: giuseppe.dipasquale@ausl.bo.it<br />
La terapia anticoagulante orale (TAO) con gli inibitori della vitamina K, ed in particolare il<br />
warfarin, da oltre 0 anni costituisce la terapia di provata efcacia per la prolassi cardioembolica<br />
nei pazienti affetti da brillazione atriale (FA), mediante l’inibizione di multipli fattori<br />
della coagulazione vitamina K dipendenti (II, VII, IX e X). A fronte di un’elevata efcacia<br />
il warfarin presenta tuttavia numerose limitazioni secondarie ai suoi non prevedibili effetti<br />
farmacocinetici e farmacodinamici. Ha un lento inizio di azione, richiedendo diversi giorni<br />
per raggiungere i livelli terapeutici e presenta una variabilità interindividuale nel metabolismo<br />
legata ai polimorsmi genetici del citocromo P 0 2C9 (CYP2C9). Inoltre esistono<br />
molteplici interazioni con la dieta e con altri farmaci, con la conseguente necessità di frequenti<br />
aggiustamenti della dose per mantenere i livelli terapeutici. La risposta non prevedibile,<br />
la necessità di un monitoraggio routinario dei fattori della coagulazione e la stretta<br />
nestra terapeutica rendono pertanto difcoltoso l’impiego del warfarin nella pratica clinica,<br />
con il risultato che molti pazienti affetti da brillazione atriale (FA) non sono anticoagulati<br />
ed in quelli trattati la qualità dell’anticoagulazione è spesso insoddisfacente.<br />
In considerazione degli importanti limiti della terapia anticoagulante orale con warfarin, la<br />
ricerca clinica degli ultimi 1 anni si è indirizzata a valutare l’efcacia e la sicurezza di<br />
nuove strategie antitrombotiche, in particolare degli inibitori diretti della trombina e degli<br />
inibitori diretti del fattore X attivato.<br />
I nuovi anticoagulanti orali sono stati dapprima testati nella prevenzione della trombosi venosa<br />
profonda e dell’ embolia polmonare in pazienti sottoposti a chirurgia elettiva dell’anca<br />
o del ginocchio. Tale approccio è particolarmente vantaggioso per lo sviluppo dei nuovi anticoagulanti<br />
dal momento che in questa popolazione di pazienti ortopedici l’incidenza di<br />
eventi trombotici è particolarmente elevata ed esiste la possibilità di monitorare gli eventi<br />
emorragici in ambiente di ricovero ospedaliero. Successivamente sono stati testati nei pazienti<br />
affetti da FA per la prevenzione dello stroke e delle embolie sistemiche (1) .