Veronica Franco, rime - Cristina Campo
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le delizie d'amor farò gustarvi,<br />
quand'egli è ben appreso al lato manco;<br />
e in ciò potrei tal diletto recarvi,<br />
che chiamar vi potreste pur contento,<br />
e d'avantaggio appresso innamorarvi:<br />
Così dolce e gustevole divento,<br />
quando mi trovo con persona in letto,<br />
da cui amata e gradita mi sento,<br />
che quel mio piacer vince ogni diletto…..”(vv.154 - 157, II, terze<br />
<strong>rime</strong>)<br />
“farvi signor vi può de la mia vita,<br />
che tanto amor mostrate, la virtute,<br />
che 'n voi per gran miracolo s'addita.<br />
Fate che sian da me di lei vedute<br />
quell'opre ch'io desio, chè poi saranno<br />
le mie dolcezze a pien da voi godute;<br />
e le vostre da me si goderanno<br />
per quel ch'un amor mutuo comporte,<br />
dove i diletti senza noie s'hanno ….” (vv.178 - 186, II, terze <strong>rime</strong>)<br />
Elena Urgnani nel suo saggio, intitolato “Tracce di dantismi in una scrittura femminile”, (9) esp<strong>rime</strong><br />
una lusinghiera valutazione dell'ars poetica della <strong>Franco</strong>, sottolineando l'originalità espressiva con<br />
cui la poetessa si discosta dal petrarchismo bembiano in voga nel '500, per avvicinarsi<br />
maggiormente alle terzine dantesche.<br />
Nei versi della <strong>Franco</strong> i dantismi sono più frequenti dei petrarchismi, non solo a livello metrico ma<br />
anche lessicale: è la prova evidente della genuinità della produzione della <strong>Franco</strong>, perché, se è<br />
vero che il Venier ne lesse i versi, ne rispettò anche l'impostazione e i moduli stilistici diversi dai<br />
propri; difatti, nella sua produzione poetica Domenico Venier risulta bembista e petrarchista.<br />
“Le terze <strong>rime</strong> di <strong>Veronica</strong> <strong>Franco</strong> non seguono dunque lo schema del sonetto petrarchesco -<br />
afferma con convinzione la Urgnani - …ma prendono a modello la terzina incatenata, di …<br />
ascendenza dantesca”.<br />
A riprova di ciò ella riporta i primi sei versi del secondo capitolo delle terze <strong>rime</strong>:<br />
1. “S'esser del vostro amor potessi certa A<br />
2. per quel che mostran le parole e il volto, B<br />
3. che spesso tengon varia alma coperta; A<br />
4. Se quel, che tien la mente in sé raccolto, B<br />
5. mostrasson le vestigie esterne in guisa C<br />
6. ch'altri non fosse spesso in frode colto, B…”<br />
Anche il Bianchi (10) sottolinea la spontaneità della <strong>Franco</strong> e ne apprezza il discostarsi dalle<br />
“iperboliche leziosità” e dal “petrarchismo stucchevole” per adottare un tono di “piana<br />
colloquialità, ispirato ad un pratico senso della misura e ad un'ammonitoria sentenziosità”<br />
attraverso “una personalissima riscrittura del linguaggio petrarchistico sotto il segno di un<br />
morbido ed ammiccante realismo”.<br />
Nelle <strong>rime</strong> della prima parte della silloge, dunque, Madonna <strong>Veronica</strong>, discostandosi sia nel<br />
9 () pubblicato in “The Canadian Journal of Italian Studies”, edito dal Prof. Stelio Cro, Hamilton, Canada, vol. 14, N. 42<br />
- 43, 1991, pp. 1 - 10<br />
10 () Bianchi S., <strong>Veronica</strong> <strong>Franco</strong>, Rime, Mursia, 1998, pag.7, 8<br />
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