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nasciamo come uom<strong>in</strong>i, siamo persone <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itamente amate da Dio. Da Dio che dà la<br />
vita per noi che lo trafiggiamo.<br />
Su questa ferita bisogna sostare.<br />
È <strong>il</strong> luogo dal quale vediamo tutta la Bibbia, ormai, tutto <strong>il</strong> Vangelo, tutta la storia<br />
umana del Giusto trafitto, e tutta la vittoria dell’amore sul male del mondo. E da lì<br />
scaturisce sangue ed acqua. La grande promessa dei profeti, quello che aveva detto<br />
Gesù, <strong>il</strong> grande giorno, l’ultimo della festa di Pentecoste: “Chi ha sete venga a me e<br />
beva”. Basta accostare la bocca a questa roccia e la sete del mondo è dissetata.<br />
Qui è tutto <strong>il</strong> paradiso.<br />
Qui si vede l’amore estremo di Dio per l’uomo che va oltre ogni limite.<br />
Qui è <strong>il</strong> pr<strong>in</strong>cipio della vita. Come Eva nasce dal fianco di Adamo, così l’uomo<br />
nuovo nasce contemplando questa ferita, anzi addirittura entrandovi, perché si entra.<br />
Da qui noi entriamo <strong>in</strong> Dio e da qui Dio esce <strong>in</strong> noi. In questa ferita noi troviamo<br />
la nostra dimora, <strong>in</strong> questo amore noi stiamo di casa, troviamo la nostra identità. In<br />
questa dimora noi siamo <strong>in</strong> Dio e Dio è <strong>in</strong> noi.<br />
È qui che tutto si compie. Ed è qui <strong>il</strong> grande mistero dell’uomo nuovo e della vita<br />
nuova che è tutta <strong>in</strong> Dio nello Spirito, e che è comunione d’amore con l’universo. Su<br />
questo si potrebbe, si può e si deve sostare all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito, perché non c’è nulla di più da<br />
vedere che questa ferita e attraverso questo vedere tutto.<br />
Colpisce <strong>il</strong> riferimento alla vicenda del pio re Giosia, <strong>il</strong> migliore della serie dei re.<br />
Era giusto. Però si può dire anche, nonostante ciò, era giusto e fu trafitto.<br />
È un parallelo perfetto di quello che è Gesù: proprio perché è giusto viene trafitto,<br />
perché <strong>in</strong> lui si scarica <strong>il</strong> male, la violenza del male e però dalla ferita che <strong>il</strong> male produce,<br />
scaturisce la vita.<br />
Gesù è <strong>il</strong> Giusto e perciò viene ferito, viene ucciso. Ed è a questo che si capisce<br />
quel ritornello che dom<strong>in</strong>a <strong>in</strong> Giovanni, f<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio, dal primo dialogo con Gesù:<br />
bisogna che <strong>il</strong> Figlio dell’uomo sia <strong>in</strong>nalzato, perché chi lo guarda abbia la vita eterna.<br />
Bisogna che <strong>il</strong> Figlio dell’uomo sia <strong>in</strong>nalzato, così conoscerete IO-SONO. Lì<br />
conosciamo Dio.<br />
Bisogna che <strong>il</strong> Figlio dell’uomo sia <strong>in</strong>nalzato, così è espulso <strong>il</strong> capo di questo<br />
mondo, cioè lì è v<strong>in</strong>ta la menzogna che ci tiene schiavi, conosciamo la verità e siamo<br />
attirati a lui.<br />
successive.<br />
Questa è la contemplazione f<strong>in</strong>ale che poi dopo aprirà ad altre contemplazioni<br />
È proprio quel pertugio attraverso cui vediamo poi tutto, dove passa tutta la luce<br />
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passanti che, senza senso critico, ripetono le accuse <strong>in</strong>ventate da altri. E così via f<strong>in</strong>o<br />
alle ultime parole prima di morire, che più umane non potrebbero essere perché<br />
sembrano sancire la lontananza, anzi l’abbandono, di Dio. Eppure è proprio questo <strong>il</strong><br />
punto: nella passione di Gesù l’amore di Dio per gli uom<strong>in</strong>i penetra negli angoli più cupi,<br />
<strong>in</strong> quelli dove non vi è nulla di religioso, nessuna consolazione, nessuna speranza, nessun<br />
<strong>in</strong>tervento prodigioso. E’ questo, credo, <strong>il</strong> prodigio che lascia a bocca aperta.<br />
Nel bellissimo racconto “L’accostamento ad Almotasim” , J. L. Borges scorge la<br />
presenza della div<strong>in</strong>ità <strong>in</strong> un uomo che durante una discussione non ribatte i<br />
ragionamenti dell’avversario per non aver ragione su di lui <strong>in</strong> modo trionfale. Trovo la<br />
stessa caratteristica <strong>in</strong> Gesù, nel celebre episodio del “rendete a Cesare quello che è di<br />
Cesare”. Gli avversari farisei gli domandano se è lecito o no pagare la tassa all’imperatore,<br />
Gesù fa una richiesta: «Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi, <strong>in</strong>genuamente, gli<br />
presentano un denaro. In quel momento Gesù avrebbe potuto um<strong>il</strong>iarli. Era <strong>in</strong>fatti<br />
proibito portare monete all’<strong>in</strong>terno del tempio, dove si svolge la disputa. Gli ebrei non<br />
potevano usare monete con un’immag<strong>in</strong>e dell’uomo, tanto che all’<strong>in</strong>terno del tempio si<br />
usava una moneta apposita coniata ad hoc. Quei farisei si atteggiavano da “perfetti”,<br />
ma nell’uso dei soldi scendevano fac<strong>il</strong>mente a compromessi. Quello che mi colpisce è<br />
che Gesù non coglie l’occasione, non calca la mano, non li affonda. La risposta che darà<br />
li metterà a tacere, ma senza um<strong>il</strong>iazione.<br />
Quando leggo <strong>il</strong> vangelo vado alla ricerca di quelle frasi che non potrebbero essere<br />
state <strong>in</strong>ventate da nessuno. Mi testimoniano che la storia raccontata ha qualcosa che<br />
supera le possib<strong>il</strong>ità umane. Si tratta, a volte, di brevi espressioni. Ieri pensavo, per<br />
esempio, a quando Gesù si def<strong>in</strong>isce “Figlio dell’uomo”. Se io scrivessi un libro per<br />
conv<strong>in</strong>cere tutti che <strong>il</strong> protagonista è un essere div<strong>in</strong>o non gli farei dire di essere “Il figlio<br />
dell’uomo”, ma casomai <strong>il</strong> figlio di Dio, <strong>il</strong> superuomo, <strong>il</strong> figlio delle stelle o qualcosa di<br />
sim<strong>il</strong>e. Questa espressione mi dice che dietro c’è un’<strong>in</strong>telligenza non convenzionale. Per<br />
non parlare di quando Gesù muore esclamando: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai<br />
abbandonato?”. Non so immag<strong>in</strong>are una frase più impensab<strong>il</strong>e.<br />
Oggi nella messa si leggeva la parabola del padrone che non paga gli operai <strong>in</strong><br />
modo proporzionato al tempo di lavoro, ma con altri criteri, dando a tutti <strong>il</strong> denaro<br />
necessario per vivere. Anche qui trovo dietro una mano <strong>in</strong>spiegab<strong>il</strong>e. L’idea così umana<br />
di Dio che premia gli uom<strong>in</strong>i a seconda del loro impegno ne esce sconvolta.<br />
Non avevo mai dato importanza all’episodio di Simone di Cirene che viene<br />
costretto dai soldati romani ad aiutare Gesù a portare la croce verso la cima del Golgota.<br />
Il fatto che fosse un gesto compiuto per costrizione, probab<strong>il</strong>mente qu<strong>in</strong>di senza alcun<br />
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