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Quinta Stazione Gesù aiutato da Simone di Cirene Presidente Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo. Tutti Perché con la tua santa croce hai redento il mondo. Tutti Onore e gloria al Signore crocifisso, fonte di grazia. Lettura Dal Vangelo di Luca (23, 26) Mentre conducevano via Gesù, presero un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù. Riflessione Forse oggi ho capito una cosa nuova del vangelo. Nella vita normale facciamo spesso, per non dire sempre, l’esperienza che le cose belle lasciano presto il posto ad altre tristi. La logica del vangelo è all’opposto: dalle situazioni tristi e negative scaturisce all’improvviso una possibilità del tutto inattesa. Non solo, ma più è profondo l’abisso e più il capovolgimento è possibile. E’ come se tra la morte totale e la vita totale ci fosse solo una piccola distanza da percorrere, solo una porta, un breve passaggio, che noi chiamiamo “Pasqua”. Accade allora che l’incredulità di Tommaso si tramuta nella più chiara espressione di fede di tutto il Nuovo Testamento (“Mio Signore e mio Dio”), la morte ingloriosa di un ladro diventa “oggi stesso” vita di paradiso, il rinnegamento di Pietro lo conduce di colpo a una missione di assoluta fiducia. Oggi nelle chiese si legge la passione di Gesù come è raccontata nel vangelo di Marco. Anche io l’ho letta. Una volta facendo la parte di Gesù e un’altra quella del narratore. C’era un fatto che mi colpiva, qualcosa che attraversa l’intero racconto: tutto è molto umano, apparentemente senza alcun elemento soprannaturale: la paura e angoscia di Gesù, la ricerca di sostegno negli apostoli che, non avendo compreso il suo stato d’animo, dormono. La solitudine, dunque. Pietro che lo segue da lontano, in un misto di paura e di affetto che gli impedisce di scappare del tutto. La stupidità dei 26 dell’universo. Il male è vinto dal bene proprio nel momento in cui il bene, in qualche modo si lascia vincere, sopraffare dal male. INVOCAZIONI preghiera. Presidente: A Cristo, che vive in eterno ed è soregente della nostra vita, eleviamo fiduciosi la nostra Tutti: Abbi pietàdi noi; Lettore: signore Gesù, che dalla croce ci insegni il perdono: Tutti Abbi pietà di noi; Lettore: signore Gesù, che hai dato te stesso per strapparci a questo mondo: Tutti: Abbi pietà di noi; Lettore: signore Gesù, che sei stato trafitto per i nostri delitti; Tutti: Abbi pietà di noi. Presidente: preghiamo. Padre di infinita bontà e tenerezza, che mai ti stanchi di sostenere i tuoi figli e di nutrirli con la tua mano, donaci di attingere dal Cuore di Cristo trafitto sulla croce la sublime conoscenza del tuo amore, perché rinnovati con la forza dello Spirito portiamo a tutti gli uomini le ricchezze della redenzione. con te. Per Cristo nostro Signore. Tutti: Amen Lettore: Di dolori quale abisso! Presso, o Madre, al Crocifisso, voglio piangere Tutti: Santa Madre, deh, voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore. 71
nasciamo come uomini, siamo persone infinitamente amate da Dio. Da Dio che dà la vita per noi che lo trafiggiamo. Su questa ferita bisogna sostare. È il luogo dal quale vediamo tutta la Bibbia, ormai, tutto il Vangelo, tutta la storia umana del Giusto trafitto, e tutta la vittoria dell’amore sul male del mondo. E da lì scaturisce sangue ed acqua. La grande promessa dei profeti, quello che aveva detto Gesù, il grande giorno, l’ultimo della festa di Pentecoste: “Chi ha sete venga a me e beva”. Basta accostare la bocca a questa roccia e la sete del mondo è dissetata. Qui è tutto il paradiso. Qui si vede l’amore estremo di Dio per l’uomo che va oltre ogni limite. Qui è il principio della vita. Come Eva nasce dal fianco di Adamo, così l’uomo nuovo nasce contemplando questa ferita, anzi addirittura entrandovi, perché si entra. Da qui noi entriamo in Dio e da qui Dio esce in noi. In questa ferita noi troviamo la nostra dimora, in questo amore noi stiamo di casa, troviamo la nostra identità. In questa dimora noi siamo in Dio e Dio è in noi. È qui che tutto si compie. Ed è qui il grande mistero dell’uomo nuovo e della vita nuova che è tutta in Dio nello Spirito, e che è comunione d’amore con l’universo. Su questo si potrebbe, si può e si deve sostare all’infinito, perché non c’è nulla di più da vedere che questa ferita e attraverso questo vedere tutto. Colpisce il riferimento alla vicenda del pio re Giosia, il migliore della serie dei re. Era giusto. Però si può dire anche, nonostante ciò, era giusto e fu trafitto. È un parallelo perfetto di quello che è Gesù: proprio perché è giusto viene trafitto, perché in lui si scarica il male, la violenza del male e però dalla ferita che il male produce, scaturisce la vita. Gesù è il Giusto e perciò viene ferito, viene ucciso. Ed è a questo che si capisce quel ritornello che domina in Giovanni, fin dall’inizio, dal primo dialogo con Gesù: bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, perché chi lo guarda abbia la vita eterna. Bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, così conoscerete IO-SONO. Lì conosciamo Dio. Bisogna che il Figlio dell’uomo sia innalzato, così è espulso il capo di questo mondo, cioè lì è vinta la menzogna che ci tiene schiavi, conosciamo la verità e siamo attirati a lui. successive. Questa è la contemplazione finale che poi dopo aprirà ad altre contemplazioni È proprio quel pertugio attraverso cui vediamo poi tutto, dove passa tutta la luce 70 passanti che, senza senso critico, ripetono le accuse inventate da altri. E così via fino alle ultime parole prima di morire, che più umane non potrebbero essere perché sembrano sancire la lontananza, anzi l’abbandono, di Dio. Eppure è proprio questo il punto: nella passione di Gesù l’amore di Dio per gli uomini penetra negli angoli più cupi, in quelli dove non vi è nulla di religioso, nessuna consolazione, nessuna speranza, nessun intervento prodigioso. E’ questo, credo, il prodigio che lascia a bocca aperta. Nel bellissimo racconto “L’accostamento ad Almotasim” , J. L. Borges scorge la presenza della divinità in un uomo che durante una discussione non ribatte i ragionamenti dell’avversario per non aver ragione su di lui in modo trionfale. Trovo la stessa caratteristica in Gesù, nel celebre episodio del “rendete a Cesare quello che è di Cesare”. Gli avversari farisei gli domandano se è lecito o no pagare la tassa all’imperatore, Gesù fa una richiesta: «Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi, ingenuamente, gli presentano un denaro. In quel momento Gesù avrebbe potuto umiliarli. Era infatti proibito portare monete all’interno del tempio, dove si svolge la disputa. Gli ebrei non potevano usare monete con un’immagine dell’uomo, tanto che all’interno del tempio si usava una moneta apposita coniata ad hoc. Quei farisei si atteggiavano da “perfetti”, ma nell’uso dei soldi scendevano facilmente a compromessi. Quello che mi colpisce è che Gesù non coglie l’occasione, non calca la mano, non li affonda. La risposta che darà li metterà a tacere, ma senza umiliazione. Quando leggo il vangelo vado alla ricerca di quelle frasi che non potrebbero essere state inventate da nessuno. Mi testimoniano che la storia raccontata ha qualcosa che supera le possibilità umane. Si tratta, a volte, di brevi espressioni. Ieri pensavo, per esempio, a quando Gesù si definisce “Figlio dell’uomo”. Se io scrivessi un libro per convincere tutti che il protagonista è un essere divino non gli farei dire di essere “Il figlio dell’uomo”, ma casomai il figlio di Dio, il superuomo, il figlio delle stelle o qualcosa di simile. Questa espressione mi dice che dietro c’è un’intelligenza non convenzionale. Per non parlare di quando Gesù muore esclamando: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Non so immaginare una frase più impensabile. Oggi nella messa si leggeva la parabola del padrone che non paga gli operai in modo proporzionato al tempo di lavoro, ma con altri criteri, dando a tutti il denaro necessario per vivere. Anche qui trovo dietro una mano inspiegabile. L’idea così umana di Dio che premia gli uomini a seconda del loro impegno ne esce sconvolta. Non avevo mai dato importanza all’episodio di Simone di Cirene che viene costretto dai soldati romani ad aiutare Gesù a portare la croce verso la cima del Golgota. Il fatto che fosse un gesto compiuto per costrizione, probabilmente quindi senza alcun 27
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