Medioevo: un pregiudizio secolare che perdura nel ... - Carducci
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<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
<strong>nel</strong> XIII secolo, 205 epoca <strong>nel</strong>la quale era – al contrario – nettamente<br />
dominante <strong>un</strong>a concezione ecclesiale sì dialettica, 206 ma<br />
an<strong>che</strong> fortemente <strong>un</strong>itaria; 207 c) l’affermazione di <strong>un</strong>a sorta di<br />
<strong>un</strong>ivocità del gruppo-Chiesa e la complementare obliterazione<br />
dell’esistenza di <strong>un</strong> pluralismo di culture e subculture ecclesiali,<br />
di cui la storiografia dà abbondante testimonianza; d) la perdita<br />
di concretezza storica dovuta al misconoscimento della<br />
microstoria e della storia locale, <strong>che</strong> – della crociata – offrono<br />
molte varianti contraddittorie rispetto alla «leggenda nera». 208<br />
205 TORTAROLO E., Laicismo, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 11-13.<br />
206 Cfr. REINHARD W., Storia dello stato moderno, Il Mulino, Bologna 2010 (2007),<br />
p. 58.<br />
207 Cfr. il concetto di «<strong>un</strong>ipolarità» del «corpo della Chiesa» (ULLMANN W., op.<br />
cit., p. 24).<br />
208 DEDIEU J.-P., op. cit., p. 6. Trattare a fondo la questione dell’Inquisizione e<br />
dei diritti umani (cfr. supra paragrafo 1.1.) non fa parte degli scopi di questo<br />
saggio, pertanto mi limito a <strong>un</strong>a brevissima serie di riferimenti forse indicativi<br />
di <strong>un</strong> certo uso della storia poi concretizzatosi <strong>nel</strong>la “leggenda nera”.<br />
Può essere interessante rilevare, ad esempio, la comminazione della condanna<br />
a morte al “solo” (non si tratta com<strong>un</strong>que di <strong>un</strong>a vittoria della civiltà…)<br />
1% degli imputati da parte del trib<strong>un</strong>ale dell’Inquisizione di Tolosa <strong>nel</strong>la<br />
seconda metà del Duecento (DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18); questo 1 % va ridotto<br />
ulteriormente, in quanto è certo <strong>che</strong> la condanna spesso si risolveva in <strong>un</strong><br />
pentimento dell’ultima ora davanti al patibolo. La «moderazione» degli inquisitori<br />
si concretizzava, inoltre, an<strong>che</strong> con la risoluzione pro reo in dubiis<br />
(CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 57), con <strong>un</strong>a pratica della tortura <strong>che</strong> –<br />
a differenza da quella esercitata dai poteri laici – non doveva portare alla<br />
morte (ivi, p. 61), né alle mutilazioni (ivi, p. 55), <strong>che</strong> era sottoposta a limitazioni<br />
e controlli (ivi, pp. 63 e 65), a sospensioni e annullamenti (ivi, p. 62). La<br />
tortura – ancora – praticata dagli Stati fino al XVIII secolo, secondo alc<strong>un</strong>i<br />
autori fu «forse» poco usata, «perché raramente documentata» [PAOLINI L., Il<br />
modello italiano <strong>nel</strong>la manualistica, in AA.VV., L’Inquisizione, Atti del Simposio<br />
internazionale (29-31 ottobre 1998) Città del Vaticano, Roma 2003, p. 101].<br />
Senza misconoscere l’esistenza di <strong>un</strong>a certa letteratura <strong>che</strong> tende a minimizzare<br />
la portata delle vicende delle Inquisizioni, Cardini ricorda <strong>che</strong> il confronto<br />
sulla tortura va fatto con i contemporanei [ivi, p. 64; cfr. an<strong>che</strong> LE<br />
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