Inserto del n.80 - Comunitachersina

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FOGLIO DEI CHERSINI E DEI LORO AMICI COMUNITA’ HERSINA I Quaderni dell’Esodo AGGIUNTE 1) a r t i c o l o sulla f u g a d i 13 c h e r s i n i n e l l’a p r i l e 1949 (Difesa Adriatica, aprile 1949) 2) s i è c o m p i u t o il s o g n o d i an i t a UNA FAMIGLIA DUE VOLTE ESULE 1) l’e s o d o d e l 1915 2) a l si l o s 3) in v i a g g i o v e r s o ... la da n i m a r c a di Annamaria Zennaro Marsi SFOLLATI E PROFUGHI 1) 1943-45 sfollati s u i m o n t i d e l l’i s o l a 2) io a d o l e s c e n t e p r o f u g o a 13 a n n i 3) u n simpatico d o c u m e n t o: la l e t t e r a d i u n a m i c o di Antonio Pugiotto supplemento n.9 di Comunità Chersina, dicembre 2008, n. 80

FOGLIO DEI CHERSINI E DEI LORO AMICI<br />

COMUNITA’<br />

HERSINA<br />

I Quaderni <strong>del</strong>l’Esodo<br />

AGGIUNTE<br />

1) a r t i c o l o sulla f u g a d i 13 c h e r s i n i n e l l’a p r i l e 1949<br />

(Difesa Adriatica, aprile 1949)<br />

2) s i è c o m p i u t o il s o g n o d i an i t a<br />

UNA FAMIGLIA DUE VOLTE ESULE<br />

1) l’e s o d o d e l 1915<br />

2) a l si l o s<br />

3) in v i a g g i o v e r s o ... la da n i m a r c a<br />

di Annamaria Zennaro Marsi<br />

SFOLLATI E PROFUGHI<br />

1) 1943-45 sfollati s u i m o n t i d e l l’i s o l a<br />

2) io a d o l e s c e n t e p r o f u g o a 13 a n n i<br />

3) u n simpatico d o c u m e n t o: la l e t t e r a d i u n a m i c o<br />

di Antonio Pugiotto<br />

supplemento n.9 di Comunità Chersina, dicembre 2008, n. 80


C OMUNITA’<br />

HERSINA


PRECISAZIONI E AGGIUNTE<br />

ARTICOLO SULLA FUGA DI 13 CHERSINI<br />

NELL’APRILE 1949<br />

Abbiamo trovato l’articolo col quale Difesa Adriatica nell’aprile 1949 ha dato notizia <strong>del</strong>la<br />

fuga dei 13 chersini raccontata da Andrea Fucci nel nostro Supplemento n°7 <strong>del</strong> dicembre 2007<br />

e poi anche da Daniele Velcich nel Supplemento n°8 <strong>del</strong>l’aprile 2008. Tutto coincide: nomi, data,<br />

tipo di barca ecc.<br />

Lo riproduciamo in copia fotostatica come utile documento storico.<br />

supplemento n.9 di Comunità Chersina, dicembre 2009, n. 80<br />

1


2<br />

CHERSINITà PRECISAZIONI SENZA E AGGIUNTE FRONTIERE<br />

Questa lettera completa l’articolo “Chersina di Vrana e d’Argentina” pubblicato su Comunità<br />

Chersina <strong>del</strong> dicembre 2006 e la “Storia di Anita” da noi pubblicato nel Supplemento n°7 di Comunità<br />

chersina n°78 <strong>del</strong> dicembre 2007.<br />

SI È COMPIUTO IL SOGNO DI ANITA<br />

Cari amici Chersini,<br />

l’8 settembre sono partita da Buenos Aires per l’Italia e sono arrivata a Trieste il giorno 9,<br />

dopo un bel viaggio, di cui mi è rimasto impresso soprattutto il volo Roma–Trieste... era una<br />

giornata splendida, nemmeno una nuvola, così ho potuto godere <strong>del</strong>la vista dall’alto <strong>del</strong>la mia<br />

bella Italia; prima, brevemente, la costa tirrenica e poi la costa <strong>del</strong> nostro Adriatico e la città di<br />

Venezia.<br />

Ero emozionatissima e non mi bastavano gli occhi per guardare tanta bellezza.<br />

Vorrei parlarvi <strong>del</strong> resto <strong>del</strong> mio viaggio: dove sono stata, con chi sono stata e come mi hanno<br />

ricevuto ma mi limito per ora a dirvi che tutto è stato un sogno inimmaginabile, e lo devo a voi<br />

<strong>del</strong>la Comunità Chersina.<br />

Voi siete stati l’elice di questo mio viaggio, vero regalo di Dio.<br />

Sento che vi voglio tanto bene, vi riunisco tutti in un abbraccio.<br />

Viva la Venezia Giuglia, Viva Trieste e Viva Cherso!<br />

Di tutto cuore vi dedico questa canzone che è la mia preferita e che vi parlerà di me.<br />

vostra Anita<br />

Italia baciami<br />

T’ho lasciato terra mia<br />

Per cercare più lontano la fortuna<br />

È finita l’avventura<br />

Son tant’anni che mi manchi<br />

E si fa sera<br />

Con la mamma, terra mia,<br />

Sei l’amore più profondo e più sincero<br />

Se la mamma è in Paradiso<br />

A donarmi il suo sorriso ci sei tu<br />

Italia bella baciami<br />

Con i raggi <strong>del</strong> tuo sole d’or<br />

Ritono per amor, più povero di un dì<br />

Ma ricco di un tesor e ricco di lacrime<br />

Italia baciami, ritorno per vedere ancor<br />

L’azzurro <strong>del</strong> tuo mar<br />

Che certamente non potrò scordar<br />

Fiori, sorrisi e musica divina<br />

Questo sarà per me la mia fortuna<br />

Italia bella baciami, con i raggi <strong>del</strong> tuo sole d’or<br />

Ritorno per amor, per non partire mai più<br />

E rimaner da te Italia bella.<br />

OMUNITA’<br />

CHERSINA<br />

(1)


(8)<br />

1:<br />

2:<br />

3:<br />

4:<br />

5:<br />

6:<br />

7:<br />

8:<br />

9:<br />

(2) (3)<br />

(4)<br />

(6)<br />

FOTO DEL VIAGGIO DI ANITA ...<br />

Anita tocca il suo lago!<br />

alla porta <strong>del</strong>l’Orfanotrofio oggi restaurato<br />

al Sacrario di Redipuglia<br />

ad Aquileia<br />

“...finalmente pizza”<br />

a Trieste, con Cesco, compagno di seconda<br />

Media<br />

Con i compagni davanti alla Chiesa di Vrana,<br />

dove fu battezzata e fece la 1º comunione.<br />

al Santuario di Tersatto, con cugini<br />

a San Giusto, Trieste, con Maria<br />

supplemento n.9 di Comunità Chersina, dicembre 2009, n. 80<br />

(5)<br />

(7)<br />

(9)<br />

3


4<br />

UNA FAMIGLIA DUE VOLTE ESULE<br />

Questo diario di famiglia, ricostruito da Annamaria Zennaro con i pochi dati essenziali arrivati<br />

alla sua conoscenza, viene a documentare con precisi riscontri quanto da noi pubblicato nel<br />

Supplemento n°2 di Comunità Chersina n°73, dal titolo “Prima <strong>del</strong> 1919 di Luigi Tomaz (Capitoletto<br />

“I Regnicoli internati ed espulsi” – pag. 25-27.<br />

C OMUNITA’<br />

HERSINA<br />

1) L’ESODO DEL 1915<br />

Molti "ciosoti" per lo più pescatori si erano sistemati a Cherso . Tra questi un mio trisavolo Zennaro<br />

che generò un figlio Francesco sposatosi a Cherso con Maria Zamblich; ebbero quattro figli tra cui mio<br />

padre Giuseppe e tre femmine: Erminia, Antonia ed Anna (1).<br />

Il nonno Francesco morì molto giovane, in mezzo al mare, nell'incendio provocato dallo scoppio di<br />

una" maona" mentre, con altri chersini, stava trasportando <strong>del</strong> pesce; il suo corpo non venne mai recuperato.<br />

La nonna Maria rimase vedova con quattro figli e, per sopravvivere, prelevò e gestì una botteguccia<br />

nel rione di S. Giorgio dove per ricavare qualche "petic" vendeva noccioline, fiepe (semi di zucca), citrato<br />

e caramelle.<br />

Quando l’Italia dichiarò guerra all’Austria ricevette dal governo austriaco il foglio di via perché vedova<br />

di un italiano e così, recuperato in dei fagotti tutto quello che pensava potesse servire, con quattro<br />

figli al seguito, fu costretta ad imbarcarsi sul piroscafo che li avrebbe portati in esilio in Italia, una terra<br />

a loro sconosciuta (2).<br />

All'alba sul molo molti Chersini vennero a salutare la loro partenza e anche quella di altri che subirono<br />

la stessa sorte ma, in mezzo a dispiaceri e lacrime, ci fu qualcuno che pensò bene di esprimere la<br />

propria soddisfazione per la cacciata di questi “aggettivi irripetibili”, "TALIANI sovversivi" che finalmente<br />

tornavano a casa loro.<br />

Cominciò un peregrinare da un luogo all'altro <strong>del</strong>la penisola. Stanchi, affamati, sporchi raggiunsero<br />

finalmente, dopo alcune settimane di sofferenze, quella che avrebbe dovuto essere la loro destinazione<br />

definitiva: Vallo <strong>del</strong>la Lucania nel Cilento un paese a 38O metri sul livello <strong>del</strong> mare <strong>del</strong>la provincia di<br />

Salerno (3).<br />

Non avevano la minima idea di dove fossero e non capivano il motivo di tanta cru<strong>del</strong>tà nei loro confronti.<br />

La madre ancor giovane (aveva poco più di quarant’anni) morì di stenti e di broncopolmonite e venne<br />

sepolta nel cimitero di quella località anonima ed inospitale <strong>del</strong> meridione mentre i figli, pieni di pidocchi<br />

e stremati dal dolore, ripercorsero nuovamente tutta la penisola per ritornare, ormai orfani e soli ,nel<br />

luogo da dove erano partiti.<br />

A Cherso Erminia, la maggiore, si sposò con Prospero Duda ed ebbero tre figlie: Mery, Fanny (nomi<br />

che rievocavano il periodo americano di Prospero) e Gioconda.<br />

Antonia incontrò un nocchiero di Pola. Si sposarono e, dopo un breve soggiorno in quella città, si<br />

trasferirono a Trieste e ci ospitarono per un breve periodo <strong>del</strong> nostro esilio <strong>del</strong> 1948.<br />

Anna venne ospitata a Chioggia da una lontana parente, rimase sempre molto debilitata dalle travagliate<br />

vicissitudini vissute, si sposò e morì di parto un anno dopo, lasciando la figlia Bruna orfana di<br />

madre (4).<br />

Giuseppe, mio padre e il minore dei figli, rimase con la sorella Erminia nella casa dei genitori e dopo<br />

pochissimo tempo s'imbarcò come mozzo su una nave che faceva rotta per Aden. Da quel momento<br />

alternò mesi di navigazione con ritorni a Cherso e nel 1921, a 21 anni, sposò mia madre Concetta Solis.<br />

Annamaria Zennaro<br />

NOTE<br />

(1) Questo cognome non risulta citato né prima né dopo e risulterebbe di recente arrivo dall’area orientale il che rende<br />

ancora più paradossale la cacciata che subirà la povera donna.<br />

(2) Il piroscafo li portò da Cherso a fiume da dove con i treni raggiunsero la Svizzera che, da stato neutrale li consegnò<br />

alle autorità confinarie italiane tramite la Croce Rossa Internazionale. Così hanno raccontato altre famiglie di “regnicoli” espulsi.<br />

(3) E’ molto probabile che, come alcune altre famiglie, fossero in un primo tempo collocati a Chioggia e che in seguito<br />

alla rovinosa ritirata italiana fino al Piave, fossero con l’ondata in fuga da tutta la regione trasferiti nel meridione.<br />

(4) Questa giovane rimasta a Chioggia prova la nostra supposizione che anche gli altri fratelli abbiamo fatto sosta a<br />

Chioggia, o con la mamma all’inizio, o da soli al ritorno. Sui “regnicoli” chioggiotti espulsi nel 1915, L.Tomaz ha approfondito il<br />

tema nella Rivista di Studi e Ricerche “Chioggia” (n°25 <strong>del</strong>l’aprile 2005)


E’ passata anche la seconda guerra mondiale e la famiglia di Giuseppe Zennaro è stata costretta<br />

dalle note circostanze ad esulare a Trieste nel 1948.<br />

Maggio 1949<br />

2) AL SILOS<br />

La situazione abitativa <strong>del</strong>la mia famiglia, composta da 4 persone, ospitate dopo l’esodo in casa<br />

<strong>del</strong>la zia, fu molto travagliata. Eravamo costretti in una stanzetta di forse 8 mq dove ci stavano a malapena<br />

un letto matrimoniale e una brandina. L’avvilimento maggiore era provocato dalla convivenza<br />

con la zia (sorella di mio padre e poco conosciuta da mia madre) che, dopo aver insistito per ospitarci<br />

nella sua casa di Roiano, non aveva previsto le difficoltà di una convivenza così’ stretta tra persone<br />

,tutto sommato, sconosciute, tranne mio padre, suo fratello, che, però, dopo pochissimo tempo, per<br />

mantenerci ,aveva accettato un imbarco su una petroliera che faceva rotta per Port Said, lasciandoci<br />

per molto tempo da sole.<br />

L’assegnazione di uno spazio al SILOS, dopo nove mesi di lunga attesa dolorosa, venne accettato<br />

come una liberazione, come la possibilità, per mia madre, distrutta psicologicamente e fisicamente, di<br />

riavere l’autonomia alla quale era stata da sempre abituata .<br />

Non potevamo immaginare, però, a quali ,se pur diverse angosce, andavamo incontro.<br />

Il SILOS era un grande magazzino per granaglie e altre merci, adibito quindi a rifugio di famiglie<br />

sfrattate, poi anche di famiglie sfollate durante la guerra e infine di famiglie profughe <strong>del</strong> dopoguerra.<br />

I box <strong>del</strong>imitati da tavole di legno, preparati per accogliere le numerose richieste e i continui arrivi di<br />

profughi e sfollati, erano insufficienti, per cui ci venne assegnato, provvisoriamente, uno spazio vuoto<br />

di circa 16 mq. buio, senza finestre, adiacente ad altre due famiglie, <strong>del</strong>imitato sul fondo da una parete<br />

e completamente aperto davanti, con la possibilità di appendere su una corda, già predisposta, <strong>del</strong>le<br />

coperte grigie per tutelare la nostra privacy..<br />

Una lampadina illuminava debolmente la “stanza” e un fornellino circolare, con una resistenza a serpentina,<br />

serviva a riscaldare il latte per la colazione <strong>del</strong> mattino e a bollire l’acqua per qualche brodino<br />

alla sera. Per il pimo mese il pranzo lo andavamo a prendere o a consumare alla mensa di via Gambini<br />

dove ci veniva servita un’ottima, per me, “pasta rossa.”<br />

Ogni mattina, da sola, dal Silos, con una passeggiata di mezz’ora, mi recavo a Roiano alla scuola<br />

elementare Tarabocchia per concludere l’anno scolastico nella stessa classe quarta, con le stesse<br />

compagne e con la stessa maestra sign. Albanese, esigente e severa, ma tanto comprensiva e umana,<br />

alla quale ero molto affezionata.<br />

Delle volte gironzolavo per Roiano fino alle 15 ,cioè fino a quando si apriva il ricreatorio Brunner di<br />

via Solitro, ,dove, al pomeriggio, oltre ad alcune piacevoli attività, mi offrivano una merenda ogni giorno<br />

diversa, e, al mercoledì, pure la crema pasticciera e la cioccolata calda.<br />

Al Silos i servizi igienici erano facilmente raggiungibili ,ma insufficienti per le persone che li dovevano<br />

usare e, spesso, nelle ore di punta, si doveva fare la fila per potersi “accomodare.”. L’acqua dei lavandini<br />

era gelida e non invitava a lavarsi spesso per cui l’igiene era scarsa, l’alimentazione mediocre,<br />

l’obbligata coabitazione e l’impossibilità di riscaldarsi e di ricevere un’po’ di aria e di luce naturale, influivano<br />

negativamente sullo sviluppo dei bambini, generando epidemie influenzali, malattie respiratorie<br />

e soprattutto le tanto temute “ ghiandole polmonari.” E, proprio per limitare i danni sulla salute di una<br />

comunità infantile tanto esposta ai malanni, intervenne la Croce Rossa Italiana ,che, dopo aver sottoposto<br />

tutti i bambini ad esami e vaccinazioni, presentò ai genitori alcune soluzioni per togliere i loro figli<br />

da quell’ambiente a rischio, con <strong>del</strong>le proposte che contemplavano la possibilità di soggiornare, durante<br />

l’estate, nei preventori montani per coloro che risultavano particolarmente debilitati e per gli altri, dai 10<br />

anni in su, l’opportunità di venir ospitati presso <strong>del</strong>le famiglie di altri paesi europei .<br />

supplemento n.9 di Comunità Chersina, dicembre 2009, n. 80<br />

5<br />

di Annamaria Zennaro Marsi


6<br />

UNA FAMIGLIA DUE VOLTE ESULE di Annamaria Zennaro Marsi<br />

Giugno 1949<br />

3) IN VIAGGIO VERSO LA … DANIMARCA<br />

Forse l’incoscienza o la disperazione spinse alcuni genitori a spedire, i propri figli, per lo più maschi, in un<br />

paese che non era certo dietro l’angolo, con la convinzione che avrebbero vissuto un periodo di insperato benessere,<br />

ritornando rinvigoriti e risanati.<br />

Così io, all’insaputa di mio padre, che non l’avrebbe mai permesso, mi trovai, a 9 anni e mezzo, assieme ad<br />

altre 5 bambine sconosciute, in uno scompartimento di un treno, in partenza verso un paese che avevo sì individuato<br />

sulla carta geografica, ma che, per tutti noi, rappresentava l’ignoto.<br />

Ero orgogliosa <strong>del</strong>la mia valigetta, nuova, di cartone, con dei minuscoli nodini bianchi e verdi che racchiudeva<br />

la biancheria di ricambio richiesta sul modulo <strong>del</strong>la Croce Rossa: un golfino, una saponetta e il necessario per<br />

l’igiene personale. Mia madre ci aggiunse una pacchetto di biscotti OSVEGO per la colazione <strong>del</strong> mattino.<br />

Essendo piccola e mingherlina, mi assegnarono, in treno, il posto più alto, sulla rete, dove mi sarei adagiata<br />

durante la notte (così capii che sul treno avrei anche dormito).<br />

Il viaggio, dopo l’iniziale eccitazione, si rivelò sempre più disagiato. Ad ogni fermata mi assaliva la nausea e il<br />

mezzo limone fornitomi dall’assistente non produsse alcun miglioramento. Le fermate erano lunghissime e noiose.<br />

Non avevo appetito e riuscivo a mangiare il panino che ci veniva consegnato, solo quando il treno era fermo.<br />

L’unico servizio era lontano e per raggiungerlo si passava davanti allo scompartimento dei maschi, dove scorsi,<br />

in mezzo a volti sconosciuti, un amico d’infanzia chersino, anche lui inconsapevole protagonista <strong>del</strong>l’incognita<br />

avventura.<br />

A Milano vennero accolti altri bambini provenienti da altri campi profughi, e, procedendo attraverso interminabili<br />

gallerie , estenuanti soste e notti sempre più turbolente, raggiungemmo la Svizzera. Dal finestrino, vicino al quale<br />

ero seduta , ammiravo estasiata il variegato panorama da cartolina.<br />

Passarono due giorni e altrettante notti e la meta sembrava ancora lontana. L’assistente ci rassicurava , però<br />

cominciavano a serpeggiare <strong>del</strong>le voci, provenienti dai più grandicelli, secondo cui i genitori ci avevano abbandonati<br />

per scaricarci chissà dove e con chi.<br />

La visione di una Germania disastrata fece aumentare la nostra tristezza. Scorrevano sotto i nostri occhi cumuli<br />

di macerie , case diroccate , strade dissestate, pietre dappertutto e, nell’attraversare i grossi fiumi, sembrò che il<br />

treno procedesse nel vuoto. I ponti distrutti erano stati ricostruiti velocemente solo per sostenere i binari e per permettere<br />

il lentissimo transito dei treni. Eravamo turbati, tutti affacciati ai finestrini, per seguire, con il fiato sospeso,<br />

l’ardito sorvolo sul torbido e impetuoso fiume Elba, che ci sembrò interminabile ed estremamente inquietante.<br />

Dopo 5 giorni di viaggio la resistenza stava scemando, alcuni di notte piangevano e altri non avevano l’energia<br />

sufficiente per lamentarsi .<br />

Giunti al confine, la Danimarca ci accolse con una pioggia battente che non ci abbandonò per parecchi giorni e<br />

una temperatura alla quale non eravamo abituati. Eravamo nel mese di giugno e pochi disponevano di un equipaggiamento<br />

idoneo ad affrontare il freddo. Venimmo sistemati in baracche dalle quali uscimmo solo per un controllo<br />

medico sulla regolarità <strong>del</strong>le vaccinazioni e dei documenti e poi di nuovo in treno verso il centro di raccolta.<br />

Dovevo essere gialla come il mezzo limone che quotidianamente mi consegnava l’accompagnatrice ,infreddolita<br />

ed esausta e credo che così mi videro quando, nella palestra, ad AARHUS ,con un cartellino al collo , allineata<br />

in riga con tutti gli altri bambini, vennero Nielsa con Nielsafar e Birte a prelevarmi. Mi fecero salire su un automobile<br />

nera, grossa,come un taxi inglese e con un viaggio di oltre 6 ore raggiunsi finalmente GRENAA, una graziosa<br />

cittadina sul mare di fronte alla Svezia.<br />

La mia mente era talmente confusa che non riuscivo a connettere, udivo a mala pena <strong>del</strong>le voci che parlavano<br />

una lingua incomprensibile, scorgevo <strong>del</strong>le facce sorridenti alle quali non riuscivo ad accennare un sorriso . Non<br />

vidi neanche la bella casa di Havnevej,48 con i mattoncini rossi nè il giardino fiorito, né gli altri familiari che mi<br />

accolsero gioiosi. Lessi a mala pena le domande <strong>del</strong> dizionaretto con i colori <strong>del</strong>la nostra bandiera, che si erano<br />

procurati per l’occasione , tentennando continuamente il capo per rispondere che no, non avevo fame, né sete,<br />

nè bisogni di alcun genere, finchè alla domanda: “Hai sonno”? sempre con il capo, assentii.<br />

Capirono e mi condussero in un vero bagno, bianco e profumato, con vasca e acqua calda e, dopo avermi<br />

sollecitato a lavarmi anche i denti, mi misero in un lettino con le sponde di legno, ai piedi <strong>del</strong> loro letto matrimoniale<br />

.<br />

L’indomani mi sarei accorta che non avevo vissuto un sogno turbolento, né partecipato ad un film angosciante,<br />

né rielaborato un racconto avventuroso, ma che mi trovavo totalmente immersa in una realtà che mi avrebbe<br />

richiesto ogni giorno un grosso sforzo di adattamento e di accettazione <strong>del</strong>le continue novità che il nuovo ambiente<br />

mi imponeva e dalle qualì non potevo sfuggire perché ero priva di qualsiasi ancora di salvataggio.<br />

Continua …<br />

(La continuazione nel prossimo <strong>Inserto</strong>)<br />

C OMUNITA’<br />

HERSINA


SFOLLATI E PROFUGHI<br />

1) 1943-45 SFOLLATI SUI MONTI DELL’ISOLA<br />

supplemento n.9 di Comunità Chersina, dicembre 2009, n. 80<br />

7<br />

di Antonio Pugiotto<br />

Un interessante ricordo <strong>del</strong>l’allora bambino Antonio Pugiotto che ripropone lo sfollamento dei<br />

chersini a causa dei bombardamenti – prima <strong>del</strong>l’Esodo.<br />

Leggendo l’articolo pubblicato sull’ultimo numero di Comunità Chersina “Due centenarie festeggiate<br />

nel Comune di Cherso” la mia mante ritorna in dietro di 65 anni.<br />

Mio zio Giovanni, fratello di mia nonna Regina, primo nostromo al Loid Triestino, residente a Trieste,<br />

vende il quartiere (appartamento) a Trieste, dove risiedeva in pensione, e viene a vivere a Cherso assieme<br />

alla zia Maria sua moglie.<br />

Acquista una casa in Piazzetta e compra diversi apprezzamenti di terreno oltre a quelli posseduti<br />

dalla famiglia. Così si diletta in campagna volendo passare una bella vecchiaia nella sua amata Cherso<br />

dopo moltissimi anni di navigazione in mare su tutte le rotte <strong>del</strong> mondo.<br />

Non avendo figli ed essendo io il pronipote più giovane (8 anni) si affezionò a me e moltissime volte<br />

mi portava con lui in campagna alla mattina di buon’ora durante tutte le feste e le domeniche. Ricordo<br />

le belle ciliegie raccolte in Pigna, i bei fichi raccolti in Grabar e così via in altre posizioni dove aveva gli<br />

appezzamenti di terra fertile.<br />

Nel 1944 in piena guerra, anche la mattina <strong>del</strong> Corpus Domini dovevamo andare in campagna per<br />

zariese cioè a raccogliere le ciliegie –.<br />

Ma alla mattina di buon’ora, siccome in cantiere era in allestimento una grossa barca l’”Attinia” di<br />

circa 500 tonnellate, aerei alleati sganciarano <strong>del</strong>le bombe sul cantiere sbagliando la mira ed una di<br />

queste ha colpito in pieno la casa di zio Giovanni, che era ancora a letto con la zia. Sono deceduti sul<br />

colpo nel sonno.<br />

Mio padre appena sentita la notizia, assieme ai pompieri, sono subito accorsi sul luogo <strong>del</strong> disastro,<br />

scavando tra le macerie per recuperare i poveri due corpi martoriati coperti di materiale crollato.<br />

La bomba aveva centrato in pieno il tetto perché evidentemente la casa si trovava in linea d’aria con<br />

il cantiere. I muri perimetrali rimasero in piedi. Essendo anch’io presente ho visto papà scavare con le<br />

mani e tra le macerie <strong>del</strong>la stanza da letto dove ha rinvenuto un sacchetto pieno di sterline d’oro, consegnandole<br />

subito a mia nonna Regina.<br />

Dopo un periodo nel quale ci siamo un po’ rincuorati, la nonna ha radunato a casa sua in Sant’Isidoro<br />

attorno al tavolo <strong>del</strong>la cucina, i figli e i nipoti distribuendo le monete d’oro ritrovate da papà. Monete che<br />

appena arrivati in Italia con l’esodo, mamma le ha subito cambiate per fronteggiare il primo periodo <strong>del</strong><br />

nostro esodo a Chioggia.<br />

Né i nipoti di prima generazione né i secondi che siamo noi abbiamo più avuto notizie <strong>del</strong>la fine dei<br />

beni <strong>del</strong>lo zio. Ormai tutti in Italia, nessuno si è più interessato, e chissà ora chi può godere di quei beni<br />

procurati da mio zio con tanto sudato lavoro di moltissimi anni.<br />

Dopo questo fatto che ha scosso la nostra famiglia, papà decise di portarci in qualche villaggio al sicuro<br />

mentre lui continuava a lavorare a Cherso. La scelta è stata STANIC vicino al lago di Vrana proprio<br />

in casa <strong>del</strong>la signora Anna Benvin che allora poteva avere 37 anni, con i figli Marianna, Silvio e il marito.<br />

Con Silvio e Marianna giocavamo sempre nei prati , anche andando dietro alle pecore.<br />

A Stanic’ era sfollato anche Paron Carlo e con lui assieme anche a Silvio, andavamo sul lago con la<br />

barca a pescare con il parangale. Non è che il pesce di lago mi piacesse tanto paragonandolo a quello<br />

di mare pescato da mio nonno Vincenzo, ma andavamo però tutti ghiotti per il bisato di lago spaccato<br />

e arrostito sui bronzi. Tanti nel villaggio lo seccavano per l’inverno.<br />

Mia zia Amelia con i miei cugini si erano trasferiti invece dal Turion a Sbicina sopra Vallon e qualche<br />

volta a piedi li siamo andati a trovare . ricordo ancora la casa Benvenuti, una grande cucina al piano<br />

terra con un enorme camino con le catene, dove c’erano alcune tinozze piene d’acqua dove la signora<br />

Anna assieme ai figli facevano il formaggio. Ricordo che mettevano le mani incrociate per raccogliere il<br />

formaggio che poi veniva messo negli stampi tondi e poi collocati attorno il camino per la stagionatura,<br />

e al mattino colazione con latte di pecora o capra e “scuta”, ovvero puina (ricotta fresca).<br />

Ricordo che una volta alla settimana facevano il pane: <strong>del</strong>le pagnotte grandi e tonde che poi si tagliavano<br />

a fette.<br />

Molto impresse mi sono rimaste le parole <strong>del</strong>la sign.ra Anna quando alla figlia gridava “ Marianna<br />

movise” che significa “fa più in fretta” perché la famiglia era molto attiva e bisognava darsi da fare.


8<br />

SFOLLATI E PROFUGHI<br />

Inoltre ricordo che al piano superiore, a letto c’era una signora anziana, penso sua madre, che con il<br />

bastone picchiava sul pavimento gridando quando doveva fare i suoi bisogni.<br />

Anche se sono passati molti anni questi ricordi rimangono nella memoria e ogni tanto riaffiorano nei<br />

miei pensieri.<br />

Se Iddio vorrà che anche quest’anno come gli anni scorsi potrò andare a Cherso a soggiornare a<br />

lungo, mi prometto di andare a San Martino a trovare la signora Anna centenaria.<br />

Questo è uno dei tanti episodi e fatti accaduti durante la mia infanzia a Cherso.<br />

Sono ricordi personali che però possono interessare a tutti i chersini in quanto, prima <strong>del</strong> grande<br />

esodo buona parte <strong>del</strong>le famiglie era sfollata nelle frazioni per paura dei bombardamenti.<br />

Anche questa è storia!<br />

C OMUNITA’<br />

HERSINA<br />

Tonin Pugiotto


2) IO ADOLESCENTE PROFUGO A 13 ANNI<br />

Il diario di Tonin Pugiotto continua con l’Esodo<br />

supplemento n.9 di Comunità Chersina, dicembre 2009, n. 80<br />

9<br />

di Antonio Pugiotto<br />

In età matura ci assalgono i ricordi <strong>del</strong>l’infanzia. Per me una infanzia tranquilla e felice, nella nostra<br />

bella Cherso, sino al 1945, data di entrata degli armati titini in tutta l’istria. Io avevo 10 anni.<br />

Della prima occupazione titina <strong>del</strong> Settembre-Ottobre 1943 non posso ricordare nulla perchè ero a<br />

Trieste con i genitori.<br />

Abitavo in una bella casa nella riva di Palada al 3° piano e dalle mie finestre si potevano scorgere<br />

quasi tutte e due le piazze. Il giorno <strong>del</strong>la invasione e <strong>del</strong>la battaglia, io da dietro le finestre ho assistito<br />

a varie scene di sparatorie, e poi il giorno dopo al passaggio dei carri che transitavano per la piazza<br />

carichi di cadaveri, spinti da miliziani titini, e poi seppi che erano diretti verso il cimitero, e che sono seppelliti<br />

in una fossa comune davanti il cancello <strong>del</strong> camposanto. Tutti sanno che ancora oggi si trovano<br />

là. La mano pietosa di un bravo chersino ha sistemato sul posto una croce e dei lumini che tutti hanno<br />

rispettato e rispettano in silenzio.<br />

Gli avvenimenti di quella giornata hanno scosso l’intera popolazione: ricordo in molo la mitragliera a<br />

4 canne con 2 tedeschi che sparavano, poi fatti prigionieri, fucilati e gettati in mare davanti il molo con<br />

una pietra al collo. successivamente noi ragazzini andavamo a vedere questi due cadaveri sul fondo,<br />

diventati mangime per pesci.<br />

Quali ragazzini curiosi, finita la battaglia, andavamo in giro per le calli e tutto il paese per vedere cosa<br />

stava succedendo: soldati dappertutto, in quanto poi si seppe che Cherso è stata la testa di ponte per<br />

l’inizio <strong>del</strong>l’invasione <strong>del</strong>l’Istria, poichè dovevano arrivare per primi a Trieste, partendo da 4 direzioni<br />

passando sotto Fiume che era ancora in mano ai tedeschi e ben fortificata. Tutto ciò per poi dettare le<br />

regole per la sparizione <strong>del</strong>l’Istria. Da quel giorno 20 aprile era iniziata la corsa per Trieste per poter<br />

arrivare prima degli Alleati, che arrivarono il giorno successivo.<br />

Io frequentavo la V classe elementare, per poi iscrivermi alla Scuola Media che si trovava in località<br />

“peschera” sopra il garage di Romano Padovan dove c’era il capolinea <strong>del</strong>le autocorriere <strong>del</strong>la linea<br />

Cherso-Lussino.<br />

Mio zio che era stato obbligato nell’ottobre 1943, come gli altri giovani, a combattere nell’esercito di<br />

Tito, era ritornato grande invalido, considerato eroe nazionale iugoslavo. Lui mi propose al comando<br />

titino quale portaordini, in slavo curir, e per qualche settimana feci il portalettere tra un ufficio e l’altro facendo<br />

una grande confusione, tanto che ben presto mi mandarono via quasi a calci. Mi avevano messo<br />

in testa una bustina militare che mi stava larga. I coetanei, vedendomi con la stella rossa mi chiamarono<br />

boraz per portarmi in giro. I titini chiamavano boraz i loro combattenti.<br />

L’inizio <strong>del</strong>l’anno scolastico alla Scuola Media è stato bellissimo in quanto eravamo classi miste non<br />

come alle elementari divise maschi/femmine, in questo clima si faceva di tutto fuorchè studiare: scherzi<br />

alle compagne e anche ai professori.<br />

Essendo una scuola italiana in una terra occupata dagli iugoslavi nell’insegnamento è stato incluso<br />

anche il serbo-croato. Ricordo molto bene la prof. Carletta che ci teneva questa lezioni. Sinceramente<br />

noi ragazzini non è che capivamo questa lingua anche se a Cherso qualche famiglia parlava un croato<br />

dialettale misto al nostro istro-veneto che gli jugoslavi stessi neanche capivano. Un bel giorno, dopo<br />

qualche mese ci fu dato da fare il compito in classe di croato. Alla fine <strong>del</strong>la lezione io ho consegnato il<br />

foglio in bianco, dicendo alla professoressa che a casa mia nessuna parlava in croato dai miei bisnonni<br />

ai nonni ai genitori, anche se le mie due nonne si chiamavano Pissarich e Francovich. Per questo<br />

mio comportamento la professoressa si è rivolta al preside, prof. Saverio Mitis, il quale, su richiesta<br />

<strong>del</strong>l’insegnante, è stato costretto ad emettere un decreto di espulsione, nel quale compariva che io non<br />

potevo più frequentare alcuna scuola <strong>del</strong>la Iugoslavia.<br />

Il preside che era amico di mio nonno lo ha caldamente raccomandato di tenermi d’occhio dal momento<br />

che ero troppo vivace, sbarazzino e ormai nel “libro nero”.<br />

Allora papà si è messo d’accordo con il nonno e mio zio Nino, fratello di papà che ogni giorno mi<br />

avrebbero portato a pesca in mare con la babela che già mio zio aveva chiamato RIBAR (pescatore)<br />

subito dopo l’occupazione, per paura.<br />

Io ero ugualmente contento e allegro a bordo con lo zio e i cugini Germano e Guido. Il mio compito


10<br />

SFOLLATI E PROFUGHI<br />

era quello di allontanare i <strong>del</strong>fini che sempre mangiavano il sacco, cioè la parte terminale <strong>del</strong>la coccia<br />

dove confluiva il pesce in quanto in quel periodo il golfo di Vallon ne era pieno.<br />

Allora mi mettevano in un caicio e mi mollavano con una lunga cima sopra la rete. Io dovevo, con<br />

un martello battere sopra un bossolo di cannone immerso nell’acqua che emetteva dei suoni facendo<br />

si’ che i <strong>del</strong>fini scappassero. Al rientro in porto con il caicio portavo le casse di pesce davanti il molo<br />

interno, detto <strong>del</strong>la pissariola, per poi portarle in pescheria sotto la loggia veneta (soto-loza) dove mia<br />

nonna Anna e zia Annetta aspettavano il pesce per la vendita. Quasi sempre le donne chersine erano<br />

in fila in attesa <strong>del</strong>la vendita.<br />

Ogni tre o quattro giorni mi lasciavano a terra per poter fare la nafta, allora mi recavo in zadruga (cooperativa<br />

di regime) dietro le scuole elementari a prelevare due fusti di nafta che io stesso piano piano<br />

rotolavo giù dalla via <strong>del</strong> Municipio per poi depositarli nel molo <strong>del</strong>la purpurela.<br />

Qualche volta andavo con mio padre a Fiume, tutta distrutta, dove prigionieri tedeschi sgomberavano<br />

le macerie dei bombardamenti anglo-americani. Papà era imbarcato su una barca veloce che si<br />

chiamava SISOL che fungeva da postale e passeggeri. Durante la traversata nel golfo di Fiume a prua<br />

c’erano sempre due marinai di vedetta per l’avvistamento <strong>del</strong>le mine vaganti che si staccavano dal<br />

fondo in quanto tutto il golfo era stato minato dai tedeschi e le mine andavano ad invadere il corridoio<br />

navigabile, che il comandante conosceva bene.<br />

Cosi’ il tempo passava e arrivò il 1947 con il trattato di pace di Parigi. Tutti gli avvenimenti precedenti<br />

hanno fatto sì che mio padre chiedesse il decreto di opzione per rientrare da italiani in Italia così che<br />

nel mese di Agosto 1948 fortunatamente è arrivato il famoso decreto. Mentre il passaporto provvisorio<br />

rilasciato dall’Ambasciata di Zagabria è arrivato il 5 Novembre <strong>del</strong> 1948. Così che in questo lasso di<br />

tempo dal decreto al passaporto, l’adolescente Tonin, si è messo in movimento con martelli, seghe e<br />

chiodi per imballare i mobili e tutto il resto con le aste di legno ricavate dall’ultimo albero <strong>del</strong> bragozzo<br />

<strong>del</strong> nonno.<br />

Non appena decisa la nostra destinazione: Chioggia, abbiamo avuto il nome dei magazzini dove<br />

inviare i mobili, ACOMIN SCOMENZERA VENEZIA. Allora con degli stampi e pittura nera ho scritto la<br />

destinazione e il numero dei colli.<br />

La nostra partenza da Cherso con grande angoscia è avvenuta il 16/12/1948. Abbiamo transitato<br />

per Sesana e Trieste in treno per poi raggiunto a Udine il Centro di smistamento profughi dove siamo<br />

arrivati l’8/1/1949 il quale poneva i vari visti e il giorno successivo eravamo a Chioggia.<br />

Intanto mia zia Amelia, sorella di mia madre, si trovava già a Chioggia, da oltre un anno, avendo lasciato<br />

tutto a Cherso. Abitava in una casa nel complesso <strong>del</strong> Vescovado ospite di Don Emilio, cugino di<br />

mio nonno Giusto Bellemo. Per un lungo periodo anche noi siamo stati in questa abitazione; ospiti <strong>del</strong>la<br />

grande generosità di don Emilio. Vescovo di allora era Mons. Giacinto Ambrosi capuccino goriziano che<br />

spesso ci faceva visita. Subito dopo io e mio padre con un burcio di marinanti (abitanti di Sottomarina) ci<br />

siamo recati a Venezia presso i magazzini Acomin Scomenzera a ritirare la nostra mobilia che abbiamo<br />

collocato in magazzino sempre all’interno <strong>del</strong> Vescovado.<br />

Così siamo ritornati nella terra dei nostri avi. A Chioggia oltre a Don Emilio, nonno Giusto, papà di<br />

mia madre aveva un altro cugino sacerdote il comm. Don Eugenio Bellemo Codugno il quale aveva<br />

grandi meriti nel campo <strong>del</strong>la pesca e oggi a suo nome si intitola una via e qualche cooperative di pesca.<br />

Sinceramente in quel periodo <strong>del</strong> dopoguerra c’era un po’ di crisi dappertutto e devo dire che a<br />

Chioggia non eravamo bene accolti pur essendo italiani e ritornando in patria, ma non da tutta la popolazione,<br />

in quanto al Comune a comandare c’erano i comunisti che ci tacciavano da fascisti che<br />

lasciavano il paradiso terrestre.<br />

Ma fortunatamente ci sono state le elezioni e anche con la presenza massiccia degli esuli istriani<br />

abbiamo anche contribuito allora alla vittoria <strong>del</strong>la Democrazia Cristiana.<br />

A Chioggia ci siamo trovati in molti paesani familiarizzando da subito , e pian piano ci siamo inseriti<br />

nel tessuto sociale ed economico tanto più che la maggior parte di noi avevano origini chioggiotte. I<br />

chersini e giuliano-dalmati avevano subito aperto <strong>del</strong>le attività: negozi di commestibili, pellami, legna<br />

e carbone, bar, torrefazioni di caffè, panifici, fiorerie, autocorriere, terraglie, pompe funebri, officine,<br />

barche da pesca ecc.<br />

Allora vedendo le nostre volontà i chioggiotti hanno cominciato a stimarci. Molti dei nostri erano medici,<br />

notai, ingegneri, professori, maestri, impiegati comunali, tra questi il Segretario Comunale dot. Fio-<br />

C OMUNITA’<br />

HERSINA


11<br />

di Antonio Pugiotto<br />

rentin ed il Capo <strong>del</strong>la ripartizione dei Lavori Pubblici ing. Valli. Da non dimenticare il caro zio Nicolò Tomaz<br />

ufficiale <strong>del</strong>lo stato civile il quale si è sempre prodigato per tutti noi chersini ed esuli in genere. Va ricordato<br />

che già nel 1956 l’amico Gigi Tomaz fu eletto consigliere e assessore comunale per essere poi eletto due<br />

volte Sindaco. Io stesso sono stato consigliere comunale.<br />

A Chioggia ho ripreso a studiare iscrivendomi alla scuola marittima per meccanici navali. Alcuni insegnanti<br />

provenivano dall’Istria e per noi avevano un occhio di riguardo e solidarietà. Anche il direttore era di<br />

Rovigo. Dopo la licenza subito mi sono imbarcato e dopo i 18 mesi di navigazione, alla Direzione Marittima<br />

di Venezia ho sostenuto l’esame per meccanico Navale di prima classe.<br />

Dopo aver navigato per circa 9 anni quale sottoufficiale di macchina e 3 come macchinista, un pensiero<br />

mio di gratitudine la devo al comm. Costantino Simeone direttore generale <strong>del</strong>la società Sidarma di Venezia<br />

il quale mi ha sempre aiutato, essendo proveniente da Fiume e proprietario <strong>del</strong>la Società Fiumana di navigazione.<br />

Assieme a tutto lo stato maggiore cercavano di aiutare negli imbarchi personale istriano anche<br />

perché preparato, disciplinato e vaccinato contro il disfattismo dei marittimi comunisti.<br />

Nel 1958 ho conosciuto un tesoro di ragazza: Antonietta che poi è diventata mia moglie nel 1963, nel<br />

frattempo avevo acquistato una porzione di terreno e poi fabbricato una casa, dopo il matrimonio ho lavorato<br />

a terra per ben 25 anni alla locale Concessionaria Fiat in qualità di capo sala e dopo il licenziamento da<br />

questa ho chiuso la mia attività lavorativa quale impiegato alla Regione Veneto.<br />

Cosi’ a Chioggia mi sono sposato e ho formato una famiglia. Antonietta, mia moglie, mi ha dato 6 figli, 3<br />

maschie 3 femmine, e la ringrazio sentitamente, così ora in vecchiaia ci godiamo i figli e i nipoti. Mia moglie<br />

ha sempre collaborato per il mantenimento <strong>del</strong>la famiglia come impiegato regionale, facendo anche<br />

studiare tutti i ragazzi, e infine per arrotondare le entrate famigliari abbiamo aperto a Sottomarina 2 negozi<br />

per poter soddisfare al meglio le nostre esigenze famigliari.<br />

È dal 2002 che abbiamo ceduto le nostre attività per poter vivere un po’ la nostra vecchiaia, goderci i<br />

nostri nipoti che sono tutti sempre entusiasti di venire a Cherso dalla nonna, e altrettanto noi che ora viviamo<br />

parecchi mesi <strong>del</strong>l’anno a Cherso avendo ereditato parte di una casa di mio nonno, il chioggiotto. Tutti i<br />

nostri antenati venuti a Cherso hanno avuto fortuna e altrettanto è stato di noi nel venire a Chioggia.<br />

Tonin Pugiotto<br />

supplemento n.9 di Comunità Chersina, dicembre 2009, n. 80


12<br />

SFOLLATI E PROFUGHI di Antonio Pugiotto<br />

Lettera ricevuta dopo l’Esodo da A. Pugiotto inviatagli dall’amico chersino Luigino Pavan in<br />

seguito esulato in Australia<br />

C OMUNITA’<br />

HERSINA<br />

3) UN SIMPATICO DOCUMENTO<br />

Carissimo amico,<br />

giorni fa ho ricevuto la tua cara lettera. Scusa se non ti ho risposto subito, perché<br />

ero a letto pochi giorni ammalato. Come mi fai sapere che hai passato l’esame di motorista<br />

navale ed ora come vedo aspetti di imbarcarti, e cosi’ per te sarà meglio, e te la<br />

passerai più facile.<br />

Io lavoro sempre col babbo, ma in cantiere, la nostra vecchia bottega è chiusa.<br />

Forse anche voi sapete il nostro cantiere è molto più grande, e più lavorato, abbiamo<br />

molte macchine, tutto a corrente elettrica 220, e ancora come dicono di slungarlo fino<br />

il torchio di Vizenzi, fino il magazzino nuovo e che là faranno una grande officina<br />

meccanica. Io stesso lavoro quattro ore al giorno e quattro vado a scuola, questo mi<br />

è il terzo anno che sono in squero e se passo la scuola andrò a fare la prova d’arte ,<br />

e per me sarà più facile, soltanto adesso la scuola è molto difficile perché in croato<br />

per me un po’ grave, ma tutto sarà facile.<br />

Caro Antonio siamo in carnevale, e pur come ti scrivi <strong>del</strong>le nostre mascherate, dei<br />

nostri bei divertimenti, e di qualche mangiata e bevuta, ma invece adesso più niente,<br />

tutto è sparito, bisogna pensare altro sempre hai qualcosa per testa abbiamo ogni<br />

tanto da marciare, per quattro cinque ora di fila, poi devi fare sempre altri lavori,<br />

adesso facciamo due nuove barche a vela, da regata, poi per il primo <strong>del</strong>l’anno abbiamo<br />

fatto diversi lavoretti per i bambini come doni, sempre da fare qualcosa. Come voi<br />

andare mascherarse, noi siamo ormai giovani, di qua due annetti andiamo a Srbja o<br />

in Bošnja militari e lì vedremo come sarà. Qui niente soltanto abbiamo cinema e balli,<br />

poi adesso che siamo in carnevale ogni sabato grandi balli fino a mattina e così ci<br />

divertiamo. Ragazze ci sono abbastanza ma tutte contadine che non capiscono niente<br />

poco civilizzate, le nostre più belle ragazze sono partite lontano, poveri noi soli, e<br />

cosa vuoi fare sempre allegria che il tempo passa. Poco fa ho ricevuto una lettera di<br />

Teo Sepcic, si trova in Africa Orientale (Somalia Italiana). Lo stesso mi ha mandato<br />

una fotografia nella quale Teo Sepcic, Aldo Negovetti, Sepini Teo, fotografati a<br />

Trieste mi scrive che si trova in un paesetto più piccolo di Cherso, e poco popolato, per<br />

poco tempo, quando ritorna a Trieste lui e Sepini compreranno la Vespa. Teo Sepcic<br />

mi scrive che mi manderà un (fotbal) pallone per calcio e io sono molto contento così<br />

andremo un poco a divertirci. Ti mando queste poche marche (francobolli) io non ho<br />

mai ingrumato, da chi vuoi che domando se non sanno neanche cosa è questo. Ora ti<br />

lascio, e ti mando i miei più cari baci e saluti, tuo amico Luigino. Salutami tutti i miei<br />

amici e amiche specialmente Dino Policek e Mariuccia. Così anch’io per te.<br />

Luigino


LISTA DEI SUPPLEMENTI GIA’ PUBBLICATI<br />

Supplemento n. 1 allegato al n. 72, dicembre 2004<br />

PADRE VITALE BOMMARCO<br />

(Cherso 21 settembre 1923– Valdobbiadene 16 luglio 2004)<br />

Supplemento n. 2 allegato al n. 73, aprile 2005<br />

GIULIANO-DALMATI NELLA STORIA DEL CONFINE ORIENTALE<br />

di Luigi Tomaz<br />

Supplemento n. 3 allegato al n. 74, dicembre 2005<br />

(1943-1945 ) CHERSO IN GUERRA<br />

di Luigi Tomaz<br />

Supplemento n. 4 allegato al n. 75, maggio 2006<br />

DIARIO DI UN CHERSINO IN GUERRA<br />

1943-1945<br />

di Nicolò Chersi<br />

CHERSINI IN FUGA<br />

La storia di una compagnia di chersini fuggiti con me<br />

di Giacomo Negovettich<br />

Supplemento n. 5 allegato al n. 76, dicembre 2006<br />

LE SOFFERTE AVVENTURE DI UN ... VOLONTARIO DEL 1943<br />

di Nicolò Spadoni<br />

DIARIO DI UNA FUGA, UNA CONDANNA, UN’ALTRA FUGA<br />

di Giacomo Sablich – “Balde”<br />

13<br />

supplemento n.9 di Comunità Chersina, dicembre 2009, n. 80


C<br />

Supplemento n. 6 allegato al n. 77, aprile 2007<br />

L’ESODO DI DON NICOLO’ BASILISCO<br />

(estate 1945)<br />

LE FUGHE E LE PRIGIONI DI FRANCESCO SABLICH<br />

Volevo vivere libero<br />

(1952-1956)<br />

DIARIO DI ELENA VERBAS<br />

Maestra di frontiera<br />

(esule dal 1946)<br />

Supplemento n. 7 allegato al n. 78, dicembre 2007<br />

LA ROCAMBOLESCA FUGA DI TREDICI CHERSINI<br />

(Aprile 1949)<br />

di Andrea Fucci<br />

UN’AVVENTURA - UN SOGNO - UNA REALTA’<br />

(1964)<br />

di Andreino Bunicci<br />

NICOLO’ (NICK) CHERSI SCRIVE DA NEW YORK<br />

un’aggiunta al suo diario<br />

LA STORIA DI ANITA<br />

di Anita Volarich (a cura di Delia Bommarco)<br />

A SESSANTA ANNI DAL DIKTAT<br />

(1947-2007)<br />

di Anna Maria Schlechter<br />

Supplemento n. 8 allegato al n. 79, aprile 2008<br />

UNA PRECISAZIONE DOVEROSA<br />

s u l diario <strong>del</strong>la m a e s t r a el e n a ve r b a s<br />

AGGIUNTA DI DANIELE VELCICH<br />

alla “r o c a m b o l e s c a f u g a d i t r e d i c i c h e r s i n i”<br />

(a p r i l e 1949) d i an d r e a fu c c i<br />

RAPIDI ED INVISIBILI ... I SOMMERGIBILI<br />

<strong>del</strong>la r o y a l i t a l i a n n a v y<br />

Sviluppi <strong>del</strong> Diario di Nicolo’- Nick-Sepcich<br />

GLI ARCHIVI STORICI DALMATI IN DEPOSITO A CHERSO<br />

Sviluppi di “1943-45 Cherso in guerra”

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