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TFO - Tesi Filosofiche Online - Online Philosophical Theses<br />
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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI NAPOLI<br />
«FEDERICO II»<br />
FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA<br />
CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA<br />
TESI DI LAUREA<br />
IN<br />
STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE<br />
LA CATEGORIA TOTALITARISMO<br />
NELLA PROSPETTIVA DEL PENSIERO<br />
DI HANNAH ARENDT<br />
Relatore:<br />
Ch.mo prof.<br />
GIANFRANCO BORRELLI<br />
ANNO ACCADEMICO 1997-98<br />
Candidata:<br />
FILOMENA CASTALDO<br />
matr.: 04/9096
CAPITOLO PRIMO<br />
GENEALOGIA E TOPOLOGIA<br />
DI UN CONCETTO ATTRAVERSO<br />
LE INTERPRETAZIONI<br />
STORICO-FILOSOFICHE<br />
DAGLI ANNI ‘30 AGLI ANNI ‘50<br />
«Possiamo prendere tutti i termini,<br />
tutte le espressioni del nostro<br />
vocabolario politico,<br />
e aprirli;<br />
al loro interno troveremo<br />
il vuoto».<br />
(S. Weil)
3<br />
1. Il concetto ‘totalitarismo’<br />
A cosa rinvia la semantica totalitarismo? 1<br />
E’ una categoria politica nuova, tutta novecente-<br />
sca? Va considerata per la sua validità euristica oppu-<br />
re no? E qual è il quid novi che la caratterizza come<br />
forma politica che si è storicamente concretizzata e<br />
che Hannah Arendt profeticamente aveva individuato<br />
nei soli regimi di Hitler in Germania e di Stalin in<br />
Russia?<br />
Un punto dobbiamo tener ben fermo: il totalitari-<br />
smo non è autoritarismo. 2<br />
______________________________<br />
1 In termini generali si veda: M. Stoppino, Totalitarismo, in N. Bobbio,<br />
N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica, Torino, UTET, 1983;<br />
V. Dini, Totalitarismo e filosofia, un concetto tra descrizione e comprensione,<br />
in «Filosofia politica», a. XI, n. 1, aprile 1997; M. Tarchi, Il<br />
totalitarismo nel dibattito politologico, in «Filosofia politica», a. XI,<br />
cit., pp. 63-79.<br />
2 Sul piano lessicale, prima ancora che concettuale, si registra, in particolar<br />
modo nei testi di alcuni esponenti del mondo intellettuale tedesco<br />
degli anni ‘30, una certa confusione ed un uso spesso interscambiabile<br />
dei termini ‘autoritario’ e ‘totale’, pur avendo come obiettivo polemico<br />
comune la forma-Stato moderna. Così fa notare C. Galli: « Si può fin
4<br />
In generale, si considerano autoritari tutti quei<br />
regimi non democratici, caratterizzati dall’assenza del<br />
parlamento e delle elezioni popolari, o da una loro at-<br />
tività apparente, nonché dall’indiscusso predominio del<br />
vertice dell’esecutivo. E’ assente la libertà dei sottosi-<br />
stemi, sia formale che effettiva: l’opposizione politica<br />
è soppressa o imbavagliata; il pluralismo dei partiti è<br />
______________________________<br />
d’ora affermare che ‘totalità’ vale sempre per ‘corpo sociale integralmente<br />
politicizzato e integralmente conflittuale’, e, in parallelo, per<br />
‘estensione integrale della politica’; insomma, per la sua onnipervasività.<br />
E che ‘autorità’ è termine a minore capacità denotativa e di uso più<br />
generico, così da valere per ‘sovranità’, ‘potere’, ‘governo’; ma che in<br />
generale assume più spesso valenze di stabilizzazione politica. E’ così<br />
possibile rigorizzare, senza violentarne lo spirito, le diverse posizioni e<br />
sostenere che la locuzione ‘Stato totale’ pare più orientata a descrivere -<br />
al di là del valore che i singoli autori ne danno -una situazione che tendenzialmente<br />
supera o sfonda, o comunque confonde portandole all’estremo,<br />
le logiche e gli assetti politico-istituzionali dello Stato moderno;<br />
mentre l’espressione ‘Stato autoritario’ - differenziato da una forma politica<br />
obsoleta come il tradizionale Obrigkeitsstaat- si può intendere una<br />
strategia di rivitalizzazione, pur nelle mutate condizioni, del comando<br />
dello Stato sulla società, in una ritrovata distinzione e gerarchizzazione<br />
dei due ambiti in una rinnovata articolazione per ‘cerchie’ del corpo<br />
sociale». C. Galli, Strategie della totalità, in «Filosofia politica», cit.,<br />
pp. 27-61.
5<br />
vietato o ridotto a simulacro; l’autonomia degli altri<br />
gruppi è tollerata o distrutta, secondo l’interesse del<br />
capo o dell’élite al governo.<br />
E’ chiaro che, in questo senso molto generale, il<br />
concetto di autoritarismo può ricomprendere legitti-<br />
mamente quello di totalitarismo, svuotandolo, però,<br />
facendo del secondo un indicatore di intensità di certi<br />
tratti del contesto autoritario, privando, cioè, il con-<br />
cetto di totalitarismo di una specificità che pure va ri-<br />
conosciuta.<br />
Il sociologo politico Juan J. Linz, nel suo Totali-<br />
tarian and Authoritarian Regimes, 3 definisce i regimi<br />
autoritari come sistemi politici con un pluralismo li-<br />
mitato e non responsabile; senza una ideologia elabo-<br />
rata e propulsiva (ma con delle caratteristiche menta-<br />
lità); senza una mobilitazione politica intensa o vasta<br />
(eccetto che in taluni momenti del loro sviluppo); in<br />
______________________________<br />
3 J. J. Linz, Totalitarian and Authoritarian Regimes, Greenstein e Polsby<br />
(a cura di), Handbook of Political Science, Addison-Wesley, Reading<br />
(Mass.), 1975.
6<br />
cui un capo (talora un piccolo gruppo) esercita il pote-<br />
re entro limiti che sono formalmente mal definiti ma<br />
di fatto agevolmente prevedibili.<br />
Il totalitarismo è speculare ed opposto.<br />
Lo stesso Linz, precisando i limiti e i confini tra<br />
totalitarismo-democrazia e totalitarismo-autoritari-<br />
smo, presenta una teoria secondo cui gli elementi in-<br />
dispensabili per definire totalitario un sistema politi-<br />
co sono: 1) l’ideologia, fonte di legittimazione del<br />
potere e della prassi; 2) un partito unico di massa, stru-<br />
mento di pressione sulla popolazione; 3) una leader-<br />
ship, sia individuale che di una élite di dirigenti che<br />
operano senza limiti legali definiti.<br />
Riconosce, invece, come autoritari i regimi post-<br />
totalitari, rappresentati dai sistemi comunisti dopo<br />
il processo di destalinizzazione, risultato combinato<br />
da un pluralismo limitato e in conflitto, da una par-<br />
ziale depoliticizzazione delle masse, da un ruolo at-<br />
tenuato del partito unico e della ideologia, da un’ac-<br />
centuata burocratizzazione; ed un totalitarismo im-
7<br />
perfetto, che di solito è una fase transitoria di un si-<br />
stema politico il cui sviluppo verso il totalitarismo<br />
viene arrestato per poi trasformarsi in qualche altro<br />
regime autoritario.<br />
Con Roman Schnur, 4 possiamo aggiungere che un<br />
elemento fondamentale della distinzione tra autoritari-<br />
smo e totalitarismo è che se il primo tende a proporre<br />
una visione del potere sovrano come «qualcosa di este-<br />
riore, utilizzabile cioè per ottenere un’obbedienza este-<br />
riore, senza che con ciò venga mai toccata la loro inte-<br />
riorità, la coscienza», il secondo mira a piegare e di-<br />
struggere l’interiorità non solo perché non ci sia oppo-<br />
sizione, quanto per creare un uomo nuovo, una realtà<br />
nuova secondo un preciso scopo ideologico, secondo<br />
la volontà di chi detiene il potere.<br />
«Il regime totalitario nella sua fase iniziale deve<br />
comportarsi come una tirannide e radere al suolo i<br />
limiti posti dalle leggi umane. Ma esso non lascia<br />
______________________________<br />
4 R. Schnur, Individualismo e assolutismo, Milano, Giuffrè, 1979.
8<br />
dietro di sé l’illegalità arbitraria e non infierisce per<br />
imporre la volontà tirannica o il potere dispotico di<br />
un individuo su tutti gli altri e, men che meno, l’anar-<br />
chia di una guerra di tutti contro tutti.<br />
Sostituisce ai limiti e ai canali di comunicazione<br />
fra i singoli un vincolo di ferro, che li tiene così stret-<br />
tamente uniti da far sparire la loro pluralità in un uni-<br />
co uomo di dimensioni gigantesche.<br />
Abolire i confini delle leggi fra gli individui,<br />
come fa la tirannide, significa annullare le libertà<br />
umane, distruggere la libertà come realtà politica vi-<br />
vente; perché lo spazio fra gli individui, com’è cir-<br />
coscritto dalle leggi, è lo spazio vivo della libertà.<br />
Il terrore totale usa questo vecchio strumento del-<br />
la tirannide, ma distrugge allo stesso tempo quel de-<br />
serto, senza leggi e senza barriere, dominato dalla<br />
reciproca diffidenza, che è propriamente della tiran-<br />
nide.<br />
Questo deserto non era, certo, uno spazio vivo di<br />
libertà, ma lasciava ancora un po’ di posto ai movi-
9<br />
menti timorosi e alle caute azioni dei suoi abitanti». 5<br />
Se, cioè, sotto un governo autoritario e tirannico, ci<br />
sono margini perché si crei un’opposizione, perché le<br />
persone dissenzienti possano in qualche modo opera-<br />
re ed agire, con il totalitarismo siamo al grado zero<br />
della comunicazione e delle differenze, al conformi-<br />
smo come alienazione dalla politica e dal mondo, al<br />
dominio che permea le coscienze in modo totale.<br />
La Arendt utilizza l’immagine della cipolla per foca-<br />
lizzare il concetto di totalitarismo: al centro «quasi in uno<br />
spazio vuoto, si trova il capo. Quale che sia la funzione di<br />
questi (integrare il corpo sociale, come una gerarchia au-<br />
toritaria, o opprimere i sudditi, come un tiranno), egli la<br />
compie dall’interno non dall’esterno o dall’alto. Tutte le<br />
innumerevoli parti del movimento: le organizzazioni col-<br />
laterali extra-partitiche, le varie associazioni professiona-<br />
li, gli iscritti al partito, la burocrazia del partito, le forma-<br />
______________________________<br />
5 H. Arendt, The Origins of Totalitarianism, Harcourt, Brace &World,<br />
Inc., III ed. New York, 1966; trad. it. Le origini del totalitarismo, a cura<br />
di A. Guadagnin, Milano, Edizioni di Comunità, 1996.
10<br />
zioni di élite e i gruppi di polizia sono reciprocamente in<br />
una relazione tale da costituire, a seconda del punto di<br />
vista, la superficie o il centro della cipolla: cioè, rispetto a<br />
uno strato costituiscono il normale mondo esterno, men-<br />
tre rispetto ad un altro rappresentano il radicalismo più<br />
estremista. Il grande vantaggio del sistema è di fornire a<br />
ciascuno strato del movimento, nonostante il regime tota-<br />
litario, la finzione di una realtà normale, insieme, la con-<br />
vinzione di differenziarsene e di essere più radicale (...).<br />
La struttura a cipolla rende il sistema organizzativamente<br />
inattaccabile dall’urto della realtà effettiva». 6<br />
Tendenzialmente - tale è la proposta di B. R. Bar-<br />
ber 7 - nel definire il totalitarismo si fa riferimento a<br />
due approcci, l’uno essenzialista, che, «generalmente<br />
legato a spiegazioni monocausali, procede attraver-<br />
______________________________<br />
6 H. Arendt, What is Authority?, in Between Past and Future, London,<br />
Faber & Faber, 1961; trad. it. Che cos’è l’autorità? in Tra passato e<br />
futuro, Milano, Garzanti, 1991.<br />
7 B. R. Barber, Conceptual Foundations of Totalitarianism, in C. J. Friederich,<br />
M. Curtis, B. R. Barber, Totalitarianism im Perspective: Three<br />
Views, New York, Praeger, 1969.
11<br />
so ricostruzioni impressionistiche piuttosto che per<br />
riscontri empirici, e tende a sottolineare proprietà<br />
astratte e non misurabili, come gli scopi ultimi e i<br />
connotati ideologici, dei regimi che sono considera-<br />
ti totalitari»; 8 l’altro fenomenologico, che analizza<br />
«quegli stessi regimi in una prospettiva multifatto-<br />
riale empirica, cercando di isolarne gli attributi obiet-<br />
tivi, le caratteristiche formali e al limite misurabili,<br />
con la dichiarata intenzione di tracciare un modello<br />
di totalitarismo e gettare le basi di una teoria che<br />
possa spiegarne la genesi e gli sviluppi, stabilendo<br />
nel contempo precise frontiere del campo di appli-<br />
cazione della parola». 9<br />
Decisive sono le puntualizzazioni di L.<br />
Schapiro, 10 che insiste sul carattere analitico-descrit-<br />
tivo del termine in oggetto in relazione a regimi del<br />
______________________________<br />
8 M. Tarchi, Il totalitarismo nel dibattito politologico, in «Filosofia po-<br />
litica», cit., p. 67.<br />
9 Ibidem.<br />
10 L. Schapiro, Totalitarianism, Pall Mall, Londra, 197<strong>2.</strong>
12<br />
nostro tempo che sarebbero altrimenti analizzati con<br />
categorie anacronistiche e non esaustive.<br />
Già nel 1956 Carl J. Friederich e Zbigniew K.<br />
Brzezinski avevano colto la nuova portata politica del<br />
totalitarismo, fenomeno storicamente unico e sui ge-<br />
neris, riconoscendo questi caratteri: 1) esistenza di una<br />
ideologia ufficiale, riguardante tutti gli aspetti della<br />
esistenza e dell’attività dell’uomo; 2) partito unico di<br />
massa guidato da un dittatore e strutturato gerarchica-<br />
mente in modo da garantire capillarmente l’adesione<br />
all’ideologia e alla volontà del capo; 3) sistema terro-<br />
ristico poliziesco che controlla i nemici reali e poten-<br />
ziali, nonché il partito stesso; 4) monopolio tenden-<br />
zialmente assoluto dei media; 5) monopolio tenden-<br />
zialmente assoluto degli armamenti sulla base della<br />
tecnologia moderna; 6) direzione centralizzata del-<br />
l’economia.<br />
Definendo i regimi fascisti e comunisti «fonda-<br />
mentalmente simili», applicando l’etichetta di dittatu-<br />
re totalitarie anche alle democrazie popolari dell’Eu-
13<br />
ropa orientale e alla Cina maoista, gli autori di Totali-<br />
tarian Dictatorship and Autocracy 11 hanno descritto<br />
il totalitarismo come sindrome totalitaria, cioè come<br />
un insieme di caratteri interrelati che tipizza taluni si-<br />
stemi politici. Di tale modello, tuttavia, sono stati sot-<br />
tolineati spesso i punti deboli: essenzialmente si tratta<br />
di un modello statico, di natura monolitica, che non dà<br />
grande spazio al mutamento e alla dinamica interna<br />
del sistema.<br />
Ribadendo che «un concetto analitico rimane pa-<br />
trimonio conoscitivo anche se la realtà da esso richia-<br />
mata non è più presente», 12 Domenico Fisichella ac-<br />
coglie le tesi di Hannah Arendt in Le origini del tota-<br />
litarismo e assegna al concetto di totalitarismo, pur-<br />
ché corroborato in chiave di «analisi delle condizio-<br />
______________________________<br />
11 C. J. Friederich e Z. K. Brezinski, Totalitarian Dictatorschip and<br />
Autocracy, Harvard University Press, 1956. Tale testo, in merito, è considerato,<br />
parimenti a quello della Arendt, un classico di teoria politica.<br />
12 D. Fisichella, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo, Roma, NIS,<br />
1987, p. 20.
14<br />
ni», oltre che un ufficio di interpretazione storica, an-<br />
che la portata di una categoria predittiva.<br />
Egli non considera il totalitarismo in modo mo-<br />
nolitico, pur se l’ispirazione è monistica; ne riconosce<br />
la vocazione e la carica antipluralista.<br />
«Il regime totalitario, dunque, non è un sistema<br />
pluripartitico, rappresentativo-competitivo, pluralistico<br />
in senso liberale»; 13 è connotato «dall’assenza di strut-<br />
ture e controlli parlamentari, dalla presenza di un par-<br />
tito unico, dal rifiuto del pluralismo a pro dell’unitari-<br />
smo e dell’onnicomprensività». 14<br />
Un’attenzione particolare è assegnata all’ideolo-<br />
gia di chi detiene il potere, al terrore come principio<br />
politico, al disordine istituzionalizzato, il quale è, per<br />
così dire, il nucleo genetico e il perno della sua dina-<br />
micità.<br />
In questa considerazione idealtipica, l’analisi fe-<br />
______________________________<br />
13 Ibidem, p. 2<strong>2.</strong><br />
14 Ibidem, p. 15.
15<br />
nomenologico-descrittiva si arricchisce di contenuti<br />
empirici che non sono destinati comunque a genera-<br />
lizzazioni ed appiattimenti.<br />
Nel lessico storiografico, invece, le cose non sono<br />
considerate in modo sufficientemente chiaro: non è<br />
infrequente che gli storici replichino contro la univo-<br />
cità del concetto e quel metodo di reductio ad unum<br />
tipico delle scienze politologiche.<br />
Ne Il Secolo breve, Eric J. Hobsbawn scrive con<br />
una certa imprecisione: «Fino al 1945 il termine “tota-<br />
litarismo”, originariamente inventato per descrivere il<br />
fascismo italiano (e usato con questa funzione dai fa-<br />
scisti stessi), fu applicato soltanto ai regimi fascisti o<br />
filofascisti». 15<br />
E’ più semplice la ricezione nell’assunto politico<br />
piuttosto che la problematizzazione del concetto sotto<br />
il profilo storico. Pensiamo a quanto scrivono Franço-<br />
______________________________<br />
15 E. J. Hobsbawn, Age of Extremes. The Short Twentieth Century 1914-<br />
1991, 1994; trad. it. Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1995.
16<br />
is Furet, 16 Renzo De Felice, 17 Emilio Gentile 18 ed Enzo<br />
Collotti, 19 autori che ne marcano, comunque, la margi-<br />
nalità. Totalitarismo, nelle migliori delle ipotesi, è con-<br />
siderato un concetto polisemico, che si connota secon-<br />
do il contesto di applicazione, un parametro, cioè, con<br />
cui misurare la realtà storica senza peraltro estinguer-<br />
la in esso. L’obiezione fondamentale degli storici è<br />
non solo l’estensione del concetto a diverse espe-<br />
rienze storiche dall’antichità ad oggi, ma, soprattut-<br />
to, di aver accentuato le analogie piuttosto che le dif-<br />
ferenze di ideologia e di base sociale dei due eventi<br />
a cui sottendono l’esperienza nazionalsocialista e<br />
l’esperienza comunista. Differenze sostanziali ci sono,<br />
eccome!, con effetti rilevanti sulla stessa prassi totalitaria,<br />
______________________________<br />
16 F. Furet, Le passé d’une illusion, Paris, Editions Robert Laffont, 1995;<br />
trad. it. Il passato di un’ illusione, Milano, Mondadori, 1995.<br />
17 R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Roma - Bari, Laterza,<br />
1991.<br />
18 E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel<br />
regime fascista, Roma, NIS, 1995.<br />
19 E. Collotti, Fascismo, fascismi, Firenze, Sansoni, 1989.
17<br />
ma si potrebbe dire che queste obiezioni non sono perti-<br />
nenti a delegittimare l’uso del concetto di totalitarismo per-<br />
ché, pur se con contenuti diversi, si possono costruire prassi<br />
di dominio politico sostanzialmente analoghe, come è ac-<br />
caduto, appunto, per la Germania hitleriana e per la Rus-<br />
sia staliniana, più precisamente dopo il 1930. E’ d’obbli-<br />
go, tuttavia, che gli storici di professione comincino a mi-<br />
surarsi in sede critica con le esperienze storiche che sot-<br />
tendono alla nozione totalitarismo, al fine di evitare con-<br />
fusioni e pregiudizi che possano inficiare il modello inter-<br />
pretativo, in modo particolare oggi, in tempo di revisioni-<br />
smo storico, e promuovere ricerche comparate sui paesi<br />
definiti totalitari. 20<br />
______________________________<br />
20 Di questo avviso ci sembrano G. Ruocco e L. Scuccimarra, Totalitarismo<br />
e ricerca storica, in «Storica», a. II, n. 6/1996; B. Bongiovanni,<br />
Revisionismo e totalitarismo, in «Teoria politica», a. XIII, n. 1/1997. Di<br />
recente si è tenuto un convegno internazionale organizzato dalla città di<br />
Siena su «L’esperienza totalitaria nel XX secolo», Certosa di Pontignano,<br />
28 settembre - 1° ottobre 1997, i cui atti sono apparsi in forma meno<br />
elaborata in Aa. Vv., Nazismo, fascismo, comunismo. Totalitarismi a<br />
confronto, a cura di M. Flores, Milano, Edizioni Bruno Mondadori, 1998.
18<br />
<strong>2.</strong> Genealogia del termine ‘totalitarismo’<br />
1. Area italiana<br />
Il termine totalitarismo viene per la prima volta ado-<br />
perato in forma aggettivata e in un significato del tutto<br />
negativo dall’italiano Giovanni Amendola in un suo arti-<br />
colo del 22 maggio 1923, a proposito della manomissione<br />
generale da parte dei fascisti delle elezioni amministrati-<br />
ve: il partito dominante aveva presentato la lista di mag-<br />
gioranza e di minoranza, evitando con la forza e l’insinua-<br />
zione la formazione di una lista di opposizione ed ogni<br />
fisiologica dialettica politica.<br />
Amendola chiama questo modo di procedere «si-<br />
stema totalitario», cioè «promessa del dominio asso-<br />
luto e dello spadroneggiamento completo ed incon-<br />
trollato nel campo della vita politica ed amministra-<br />
tiva». 21<br />
______________________________<br />
21 G. Amendola, Maggioranza e minoranza, in «Il Mondo», 12 maggio<br />
1923 e in Id., La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924,<br />
Milano-Napoli, Ricciardi, 1960.
19<br />
La parola totalitario, sottolinea il Petersen, 22 è<br />
usata qui in senso quasi tecnico, indicando un nuovo<br />
sistema elettorale in sostituzione di quello maggio-<br />
ritario e minoritario, anche se l’opposizione aventi-<br />
niana mal riusciva a definire la sostituzione del si-<br />
stema parlamentare pluralistico con una dittatura<br />
unipartitica. Nell’articolo del 28 giugno 1923 Amen-<br />
dola applica questa sua interpretazione al dibattito<br />
sulla legge Acerbo: egli attaccava il tentativo fasci-<br />
sta di fare di Cavour «l’ispiratore divino della rifor-<br />
ma elettorale fascista e del sistema totalitario», si<br />
opponeva all’immagine «di un Cavour plasmatore<br />
elettorale di un gregge di ascari totalitari». 23<br />
La distruzione del sistema pluralistico e dello sta-<br />
to di diritto veniva sentito più profondamente in quei<br />
settori della società italiana dove andava maturando,<br />
______________________________<br />
22 J. Petersen, La nascita del concetto di “Stato totalitario” in Italia, in<br />
«Annali dell’ Istituto storico italo-germanico in Trento», I, 1975, pp.<br />
143-168.<br />
23 G. Amendola, Cavour e Pansoja, in «Il Mondo», 28 giugno 1923 e in<br />
Id., La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924, cit.
20<br />
talora con enfasi apocalittiche, l’idea di essere di fron-<br />
te a una trasformazione politica e istituzionale di tipo<br />
dittatoriale e totalitaria. Pensiamo all’opposizione anti-<br />
fascista liberale, democratica, socialista e cattolica.<br />
Pensiamo a Salvatorelli, a Ferrero, a Gobetti, a Turati,<br />
a Lelio Basso.<br />
Ad Amendola come a Sturzo, già alla fine del<br />
1923, la caratteristica propria del moto fascista appar-<br />
ve «lo spirito totalitario, il quale non consente all’av-<br />
venire di avere albe che non saranno salutate col gesto<br />
romano, come non consente al presente di nutrire ani-<br />
me che non siano piegate alla confessione: “credo”.<br />
Questa singolare “guerra di religione” che da oltre un<br />
anno imperversa in Italia non vi offre una fede (...) ma<br />
in compenso vi nega il diritto di avere una coscienza -<br />
la vostra e non l’altrui- e vi preclude con una plumbea<br />
ipoteca l’avvenire». 24<br />
______________________________<br />
24 G. Amendola, Un anno dopo, in «Il Mondo», 22 novembre 1923;<br />
anche in Id., La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924, cit.
21<br />
Nel gennaio del 1924, Monti scrisse ne «La Rivo-<br />
luzione Liberale» che il fascismo si accingeva a fare<br />
«dopo le elezioni totalitarie nei comuni e nelle provin-<br />
ce, l’elezione totalitaria per la Camera dei deputati».<br />
Sturzo descrisse la nuova concezione fascista di stato-<br />
partito tendente alla «trasformazione totalitaria di ogni<br />
e qualsiasi forza morale, culturale, politica, religiosa».<br />
Occupandosi delle elezioni parlamentari nella prima-<br />
vera del 1924, Gobetti parlò dei «piani governativi»<br />
che puntavano sul «gioco totalitario della demagogia<br />
fascista». Egli riteneva che Mussolini non sarebbe mai<br />
potuto diventare un tiranno, i suoi restavano «sogni<br />
totalitari».<br />
Anche il Giordani, sulle pagine del «Popolo», nel<br />
maggio del 1924, scrisse della «anima totalitaria» del<br />
fascismo e dei suoi «quadri dell’occupazione totalita-<br />
ria».<br />
Tra il giugno e il dicembre del 1924 sembra che il<br />
termine totalitario sparisca dal vocabolario dell’op-<br />
posizione, come se la questione morale dovesse esse-
22<br />
re combattuta non già sul piano del nascente novus<br />
ordo statale quanto su quello etico.<br />
Tenta di sostantivare l’aggettivo Lelio Basso, in un<br />
intervento pubblicato su «La Rivoluzione liberale» del 2<br />
gennaio 1925, accusando il primo ministro di voler im-<br />
porre l’egemonia di «un solo partito che si fa interprete<br />
dell’unanime volere, del totalitarismo indistinto». 25<br />
Nel discorso del 15 giugno 1925, alla chiusura<br />
del primo e ultimo congresso dell’Unione Nazionale,<br />
Amendola stigmatizza il fascismo per la sua feroce<br />
intransigenza, la sua «ansiosa volontà totalitaria». E<br />
Mussolini, nel suo discorso del 22 giugno 1925, ri-<br />
prende la citazione letterale del discorso amendoliano<br />
parlando della «nostra feroce volontà totalitaria» e di<br />
«fascistizzare la nazione» al cento per cento.<br />
Questo è certamente un punto d’incrocio, il mo-<br />
mento in cui il concetto totalitario come espressione<br />
______________________________<br />
25 Prometeo Filodemo (L. Basso), L’antistato, in «La Rivoluzione liberale»,<br />
2 gennaio 1925, ora in Le riviste di Pietro Gobetti, a cura di L.<br />
Basso e L. Anderlini, Milano, Feltrinelli, 1961.
23<br />
della tenace volontà di opposizione liberaldemocrati-<br />
ca antifascista viene usurpato dal fascismo stesso per<br />
una nuova valenza affatto positiva: «Totalitario espri-<br />
me (...) uno spirito fiero e la determinazione di una<br />
totale trasformazione della società, in parte attraverso<br />
una sorta di monismo religioso e in parte attraverso la<br />
sana ordalia della violenza- molto nello spirito dello<br />
squadrismo». 26 Mussolini sottolinea la nuova centra-<br />
lità dello Stato nel contesto della vita sociale, elabo-<br />
rando la formula «tutto nello Stato, niente al di fuori<br />
dello Stato, nulla contro lo Stato». 27<br />
Dichiara Forges Davanzati in un suo discorso al-<br />
l’Istituto di cultura a Firenze del 28 febbraio 1926:<br />
«Se gli avversari ci dicono che siamo totalitari, che<br />
siamo domenicani, che siamo intransigenti, che siamo<br />
tirannici, non vi spaventate di questi aggettivi.<br />
______________________________<br />
26 A. Gleason, Totalitarianism. The Inner History of the Cold War,<br />
NewYork- Oxford, Oxford University Press, 1995.<br />
27 B. Mussolini, Discorso del 28 ottobre 1925, in Id., Opera Omnia, a<br />
cura di E. e D. Susmel, Firenze, La Fenice, 1967, XXI, p. 425.
24<br />
Prendeteli con onore ed orgoglio... Sì, siamo tota-<br />
litari! Vogliamo essere tali, dal mattino alla sera,...<br />
vogliamo essere domenicani..., vogliamo essere tiran-<br />
nici!». 28<br />
Nella voce «Fascismo» della Enciclopedia Ita-<br />
liana, attribuita a Benito Mussolini e in parte anche a<br />
Giovanni Gentile, il filosofo che ha offerto il suo ma-<br />
gistero come sostrato ideologico di tale movimento,<br />
l’aggettivo totalitario è così formalizzato: «Antiindi-<br />
vidualistica, la concezione fascista è per lo stato; ed è<br />
per l’individuo in quanto esso coincide con lo stato,<br />
coscienza e volontà universale dell’uomo nella sua<br />
esistenza storica (...). E se la libertà deve essere l’attri-<br />
buto dell’uomo reale, e non di quell’astratto fantoccio<br />
a cui pensava il liberalismo individualistico, il fasci-<br />
smo è per la libertà. E per la sola libertà che possa<br />
essere una cosa seria, la libertà dello stato e dell’indi-<br />
viduo nello stato. Giacché per il fascista, tutto è nello<br />
______________________________<br />
28 R. Forges Davanzati, Fascismo e cultura, Firenze 1926, p. 39 e ss.
25<br />
stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno<br />
ha valore, fuori dello stato. In tal senso il fascismo è<br />
totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni<br />
valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del<br />
popolo». 29<br />
E’, dunque, forte la connotazione statalista del<br />
termine totalitario nel seno del regime fascista.<br />
Già in un corso di lezioni di filosofia del diritto svolto<br />
all’Università di Pisa, Gentile aveva contrapposto alla so-<br />
cietas inter homines una societas in interiore homine.<br />
Quando la sua dottrina dello stato sarà elevata a dottrina<br />
quasi ufficiale del regime fascista, nel primo Discorso di<br />
religione, fa la sua apparizione lo stato in interiore homi-<br />
ne, contrapposto allo stato esterno, esteriorizzato, del libe-<br />
ralismo individualistico.<br />
«Lo stato, come oggi dovremmo cominciare a sa-<br />
per bene tutti, non è inter homines, ma in interiore<br />
______________________________<br />
29 Voce Fascismo, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell’ Enci-<br />
clopedia Italiana, 1932, XIV, p. 847.
26<br />
homine. Non è quello che vediamo sopra di noi; ma<br />
quello che realizziamo dentro di noi, con l’opera no-<br />
stra, di tutti i giorni e di tutti gli istanti; non soltanto<br />
entrando in rapporto con gli altri, ma anche semplice-<br />
mente pensando, e creando col pensiero una realtà, un<br />
movimento spirituale, che prima o poi influirà sul-<br />
l’esterno, modificandolo». 30<br />
La stessa accezione positiva è nella rivendicazione<br />
fatta più tardi da Pio IX, in polemica concorrenza con il<br />
fascismo: «Così si dice un po’ dappertutto: tutto deve es-<br />
sere dello Stato, ed ecco lo Stato totalitario, come lo si<br />
chiama: nulla senza lo Stato, tutto allo Stato. Ma in ciò vi<br />
è una falsità così evidente, che fa meraviglia che uomini,<br />
del resto seri e dotati di talento, lo dicano e lo insegnino<br />
alle folle. Infatti come lo Stato potrebbe essere veramente<br />
totalitario, dare tutto all’individuo e chiedergli tutto; come<br />
potrebbe dare tutto all’individuo per la sua perfezione in-<br />
teriore - perché si tratta di cristiani - per la santificazione e<br />
______________________________<br />
30 G. Gentile, Discorsi di religione, Firenze, Sansoni, 1957, p. 25.
27<br />
la glorificazione delle anime? Perciò quante cose sfuggo-<br />
no alla possibilità dello Stato, nella vita presente e in vista<br />
della vita futura, eterna! E in questo caso ci sarebbe una<br />
grande usurpazione, perché se c’è un regime totalitario -<br />
totalitario di fatto e di diritto - è il regime della Chiesa,<br />
perché l’uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve<br />
appartenerle, dato che l’uomo è creatura del buon Dio,<br />
egli è il prezzo della redenzione divina, è il servitore di<br />
Dio, destinato a vivere quaggiù, e con Dio in cielo. E il<br />
rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio<br />
non è che la Chiesa. Allora la Chiesa ha veramente il dirit-<br />
to e il dovere di reclamare la totalità del suo potere sugli<br />
individui: ogni uomo, tutto intero, appartiene alla Chiesa,<br />
perché tutto intero appartiene a Dio. Non c’è dubbio su<br />
questo punto, per chi non voglia negare tutto». 31<br />
E’ la sindrome totalitaria.<br />
______________________________<br />
31 Pio XI, L’unico regime totalitario di fatto e di diritto è la Chiesa,<br />
discorso del 18 settembre 1938 riportato in E. Rossi, Il “Sillabo” e dopo,<br />
Roma, Editori Riuniti, 1964, pp. 87-88. Anche in D. Settembrini, La<br />
Chiesa nella politica italiana (1944-1963), Roma, Rizzoli, Milano 1977,<br />
p. 11<strong>2.</strong>
28<br />
Diversamente dall’opposizione antifascista, Antonio<br />
Gramsci conduce una riflessione molto più pregnante sul-<br />
la dimensione totalitaria della politica che mira ad «otte-<br />
nere che i membri di un determinato partito trovino in<br />
questo solo partito tutte le soddisfazioni che prima trova-<br />
vano in una molteplicità di organizzazioni, cioè a rompere<br />
tutti i fili che legano questi membri ad organismi culturali<br />
estranei» e «a distruggere tutte le altre organizzazioni o a<br />
incorporarle in un sistema di cui il partito sia il solo rego-<br />
latore. Ciò avviene: 1) quando il partito dato è portatore di<br />
una nuova cultura e si ha una fase progressiva; 2) quando<br />
il partito dato vuole impedire che un’altra forza, portatrice<br />
di una nuova cultura, diventi essa “totalitaria”; e si ha una<br />
fase regressiva e reazionaria, oggettivamente, anche se la<br />
reazione (come sempre avviene) non confessi se stessa e<br />
cerchi di sembrare essa portatrice di una nuova cultura». 32<br />
Gramsci, in contrapposizione a Gentile, non ridu-<br />
______________________________<br />
32 A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci,<br />
a cura di V. Gerretana, Torino, Einaudi, 1975, II, Quaderno 6 (VIII),<br />
par. 136, p. 800.
29<br />
ce lo Stato alla funzione di «dominio» e di «coercizio-<br />
ne», a mero momento della forza, a «guardiano not-<br />
turno» che impone, controlla e tutela l’ordine sociale,<br />
altrimenti «Stato = società politica + società civile, cioè<br />
egemonia corazzata di coercizione». 33<br />
<strong>2.</strong> Area tedesca<br />
In Germania il sedimento concettuale di totalitari-<br />
smo è nel dibattito politico sullo Stato totale, cioè sulla<br />
nuova posizione assunta dallo Stato nei rapporti sociali.<br />
E’ una direttiva alquanto diversa da quella italiana che<br />
abbiamo preso come riferimento iniziale: manca, del resto<br />
in Germania, negli anni venti, un soggetto politico forte<br />
che punti ad una profonda trasformazione sociale secon-<br />
do una feroce volontà di potenza.<br />
Stato totale o Stato totalitario è sinonimo di Stato<br />
autoritario, possibile categoria con cui definire la cri-<br />
si della forma-Stato e il tracollo dei soggetti politici.<br />
______________________________<br />
33 Ibidem.
30<br />
Classico è il riferimento al saggio di Ernst Jünger,<br />
del 1930, Die totale Mobilmachung, 34 dove sebbene si<br />
escluda ogni stabile collegamento con i regimi ditta-<br />
toriali già in fase di consolidamento, si individua la<br />
caratteristica qualificante dello Stato novecentesco:<br />
imporre ai cittadini una mobilitazione totale come se<br />
fossero minuscoli ingranaggi di un meccanismo che<br />
funziona incessantemente; i paesi diventano gigante-<br />
sche «officine metallurgiche» e «ciascuna singola vita<br />
si trasforma sempre più chiaramente nella vita di un<br />
lavoratore», di un «milite del lavoro» completamente<br />
trasformato in ogni sua cellula in Stato, in servizio dello<br />
Stato.<br />
In questa metamorfosi antropologica, Jünger in-<br />
dividua la disponibilità alla mobilitazione come ca-<br />
ratteristica dell’uomo contemporaneo, la cui vita sin-<br />
______________________________<br />
34 E. Jünger, Die totale Mobilmachung, in Sämtliche Werke, VII, Essays<br />
I: Betrachtungen zur Zeit, Klett-Cotta, Stuttgart 1980, p. 121 e ss. Cfr.<br />
M. Ghelardi, Alcune osservazioni su Carl Schmitt ed Ernst Jünger, in<br />
Ernst Jünger, un convegno internazionale, a cura di P. Chiarini, Napoli,<br />
Shakespeare & Company, 1987.
31<br />
gola è compromessa non già da una volontà totalitaria<br />
quanto dall’irrompere della tecnica. Essa «è realizzata<br />
molto meno di quanto essa stessa si realizzi, e in guer-<br />
ra e in pace è l’espressione della pretesa segreta e co-<br />
attiva a cui questa vita nell’epoca delle masse e delle<br />
macchine ci assoggetta». Tali intuizioni verranno pri-<br />
vate di ogni alone metafisico da Carl Schmitt e ricom-<br />
prese nell’analisi politica sulla crisi dello Stato libera-<br />
le del XIX secolo.<br />
Lo Stato diviene, per Schmitt, «l’auto-organizza-<br />
zione della società», di fatto non più separabile da essa.<br />
«Se la società stessa si organizza in Stato, Stato e<br />
società devono essere fondamentalmente identici, co-<br />
sicché tutti i problemi sociali ed economici diventano<br />
immediatamente problemi statali e non si può più di-<br />
stinguere fra ambiti statali-politici e sociali-non poli-<br />
tici. Tutte le contrapposizioni finora correnti, basate<br />
sul presupposto dello Stato neutrale, che appaiono in<br />
seguito alla distinzione di Stato e società e sono sol-<br />
tanto casi di applicazione e delimitazioni di questa di-
32<br />
stinzione, vengono ora a cessare (...). La società dive-<br />
nuta Stato è uno Stato dell’economia, della cultura,<br />
dell’assistenza, della beneficenza, della previdenza; lo<br />
Stato divenuto autorganizzazione della società, quin-<br />
di di fatto da essa non più separabile, abbraccia tutto il<br />
sociale, cioè tutto quanto concerne la convivenza uma-<br />
na. Non c’è più nessun settore rispetto al quale lo Sta-<br />
to possa osservare un’incondizionata neutralità nel<br />
senso del non-intervento (...). Nello Stato divenuto<br />
autorganizzazione della società non c’è più nulla che<br />
non sia almeno potenzialmente statale e politico». 35<br />
Si passa così dallo Stato neutrale del sec. XVIII<br />
ad uno Stato potenzialmente totale che «ha assunto<br />
una tale estensione da produrre non solo una crescita<br />
______________________________<br />
35 C. Schmitt, Il custode della costituzione, a cura di A. Caracciolo,<br />
Milano, Giuffré, 1981, p. 123. Anche Id., La dittatura. Dalle origini<br />
dell’idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria, Roma-<br />
Bari, Laterza, 1975. Sul pensiero di Schmitt, vedi N. Bobbio, Thomas<br />
Hobbes, Torino, Einaudi, 1989; C. Galli, Presentazione di C. Schmitt,<br />
Scritti su Thomas Hobbes, Milano, Giuffrè, 1986; G. Duso (a cura di),<br />
La politica oltre lo Stato: Carl Schmitt, Venezia, Arsenale, 1981
33<br />
quantitativa ma anche un cambiamento qualitativo, un<br />
“mutamento strutturale”, e da influenzare non solo gli<br />
affari propriamente finanziari ed economici, ma tutti<br />
quanti i settori della vita pubblica ». 36<br />
E’ un riferimento polemico alla Repubblica di<br />
Weimar, considerata un coacervo conflittuale di for-<br />
mazioni partitiche incapaci di realizzare un autentica<br />
unità politica.<br />
In un saggio del 1933, Schmitt scrive che lo Stato<br />
totale realizzato in Germania «è uno Stato che si intro-<br />
mette indifferentemente in tutti gli ambiti, in tutte le<br />
sfere dell’esistenza umana, che non riconosce più al-<br />
cuna sfera libera dallo Stato perché in generale non<br />
può distinguere più nulla. Esso è totale in un senso<br />
puramente quantitativo, nel senso del mero volume,<br />
non dell’intensità e dell’energia politica (...). Il suo<br />
volume è cresciuto in modo mostruoso. Esso intervie-<br />
ne in tutti i possibili affari e in tutti i campi dell’esi-<br />
______________________________<br />
36 Ibidem, p. 125.
34<br />
stenza umana, non solo nell’economia (...) bensì an-<br />
che nelle questioni culturali e sociali, che una volta si<br />
consideravano volentieri faccende “puramente priva-<br />
te” (...). Questa è naturalmente una totalità solo nel<br />
senso del mero volume e il contrario della potenza o<br />
della forza. L’odierno stato tedesco è totale a partire<br />
dalla debolezza e dall’incapacità di resistenza, dalla<br />
incapacità di opporsi all’assalto dei partiti e degli in-<br />
teressi organizzati. Esso deve dare a ognuno, accon-<br />
tentare ognuno, sovvenzionare ognuno ed essere nel-<br />
lo stesso momento a favore dei più diversi interessi.<br />
Come si è detto, la sua espansione è la conseguenza<br />
non della sua forma ma della sua debolezza». 37<br />
Le riflessioni schmittiane vengono sviluppate, con<br />
Hitler al potere, da teorici di regime come Rosenberg,<br />
Goebbels, Forsthoff e, ovviamente, dallo stesso Hitler<br />
______________________________<br />
37 C. Schmitt, Weiterentwicklungen des totalen Staat in Deutschland, in<br />
«Europäische Revue», IX, 1933, 2, ripubblicato in Id., Positionen und<br />
Begriffe im Kampf mit Weimar-Genf-Versailles 1923-1939, Hanseatische<br />
Verlagsanstalt, Hamburg-Wandsbek 1940.
35<br />
nei suoi discorsi del 1933, in cui sottolinea che la ter-<br />
za fase della rivoluzione deve essere la creazione del-<br />
lo Stato nella sua totalità secondo la concezione del<br />
movimento nazionalsocialista: lo Stato come deposi-<br />
tario dei suoi valori spirituali.<br />
In un articolo pubblicato sul numero del 1° gennaio<br />
1934 del «Völkischer Beobachter», scrive Artur Rosen-<br />
berg: «La rivoluzione del 30 gennaio 1933 non continua<br />
lo Stato assolutista sotto un nuovo nome, ma pone lo Stato<br />
in un nuovo rapporto col popolo (...) diverso da quello che<br />
era prevalso nel 1918 o nel 1871. Ciò che ha avuto luogo<br />
nel 1933 (...) non è l’instaurazione della totalità dello Sta-<br />
to bensì della totalità del movimento nazionalsocialista.<br />
Lo Stato non è più un’entità giustapposta al popolo e al<br />
movimento, non è più concepito come un apparato mec-<br />
canico e uno strumento di dominio; lo Stato è lo strumen-<br />
to della concezione nazionalsocialista della vita». 38<br />
In effetti la categoria totale/totalitario viene am-<br />
______________________________<br />
38 A. Rosemberg, Totaler Staat?, in « Vökischer Beobachter», 1° gen-<br />
naio 1934.
36<br />
pliata ai nuovi soggetti dell’ideologia nazionalsociali-<br />
sta, il movimento e il popolo, in una variante diversa<br />
da quella fascista, perché nella dualità liberale Stato-<br />
società si inserisce una terzo elemento, il partito, che<br />
se permane nella concezione dello Stato a tre membra<br />
tedesco, in quello fascista tende ad essere interamente<br />
assorbito nello Stato unitario e totalitario.<br />
Sul versante anti-nazista, Marcuse è tra i primi teorici<br />
marxisti a rendersi conto che il termine totalitär rimanda<br />
ad una nuova Weltanschauung politica che «è divenuta il<br />
bacino di raccolta di tutte quelle correnti che, dalla guerra<br />
mondiale in avanti, si sono rivolte contro la concezione<br />
«liberistica» dello stato e della società» 39 ed hanno accom-<br />
pagnato l’ascesa del nazionalsocialismo.<br />
______________________________<br />
39 H. Marcuse, Der Kampf gegen den Liberalismus in der totalitaren<br />
Staatsauffassung, in «Zeitschrift für Sozialforschung», 1934, 3, poi ripubblicato<br />
in Id., Kultur und Gesellschaft, Suhrkamp, Frankfurt a. M.<br />
1965; trad. it. La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria<br />
dello Stato, a cura di C. Ascheri, H. Ascheri Osterlow e F. Cerutti, in H.<br />
Marcuse, Cultura e società. Saggi di teoria critica 1933-1965, Torino,<br />
Einaudi, 1969.
37<br />
Lo Stato totalitario ed autoritario ha lo stesso back-<br />
ground dello Stato liberale, anzi, ne è il suo perfezio-<br />
namento, «fornisce l’organizzazione e la teoria della<br />
società che corrispondono allo Stadio monopolistico<br />
del capitalismo». 40<br />
Non a caso Marcuse parla di una forma di totalità<br />
organica intesa non come somma dei suoi componen-<br />
ti, ma «come unità unificatrice delle parti, in cui sol-<br />
tanto ogni parte si realizza e si compie». In modo in-<br />
quietante egli si pone l’interrogativo se non sia stata la<br />
cultura intellettuale stessa a preparare la sua liquida-<br />
zione. Totalitaria si può definire quella società indu-<br />
striale che opera secondo le pressioni degli oligopoli,<br />
secondo meccanismi manipolativi che comportano la<br />
monodimensionalità. «Il termine totalitario, infatti, non<br />
si applica soltanto ad una organizzazione politica ter-<br />
roristica della società, ma anche ad una organizzazio-<br />
ne economico-tecnica, non terroristica, che opera me-<br />
______________________________<br />
40 Ibidem, p. 19.
38<br />
diante la manipolazione dei bisogni da parte di inte-<br />
ressi costituiti. Essa preclude per tal via l’emergere di<br />
una opposizione efficace contro l’insieme del siste-<br />
ma. Non soltanto una forma specifica di governo o di<br />
dominio partitico producono il totalitarismo, ma pure<br />
un sistema specifico di produzione e di distribuzione,<br />
sistema che può essere benissimo compatibile con un<br />
“pluralismo” di partiti, di giornali, di “poteri controbi-<br />
lanciantisi”». 41<br />
Per Franz Neumann, che, secondo Collotti, rifiu-<br />
ta l’assunzione della società nello Stato ed è attento,<br />
piuttosto, alle modifiche del rapporto Stato-società, con<br />
occhio particolare alla tecnica di manipolazione delle<br />
masse, sotto l’apparenza totalitaria si celano ben quat-<br />
tro gruppi fondamentali, il partito, l’esercito, la buro-<br />
crazia e l’industria.<br />
Nella Germania nazista, tali forme di potere, che<br />
in una normale democrazia si avvalgono di rapporti<br />
______________________________<br />
41 H. Marcuse, L’uomo ad una dimensione. L’ideologia della società<br />
industriale avanzata, Torino, Einaudi, 1968.
39<br />
regolati da norme vincolanti universalmente, operano<br />
ciascuna in base al Führerprinzip, cioè all’obbedien-<br />
za assoluta alle decisioni del capo, secondo un potere<br />
legislativo, esecutivo e giudiziario autonomo e secon-<br />
do quei compromessi raggiunti dalle quattro dirigen-<br />
ze, la cui unificazione non è istituzionalizzata, quindi,<br />
ma personalizzata.<br />
Non c’è Stato, né in un’accezione ristretta, né in<br />
quella dualità riconosciuta da Ernst Fraenkel, 42 secon-<br />
do cui esiste uno stato in cui si contrappongono lo ‘Sta-<br />
to normativo’ e lo ‘Stato discrezionale’ , basato que-<br />
st’ultimo su prerogative individuali e irrazionali.<br />
«Direi che siamo di fronte a una forma di società<br />
in cui i gruppi dominanti controllano il resto della po-<br />
polazione in modo diretto, senza la mediazione di quel-<br />
l’apparato coercitivo ancorché razionale fino ad oggi<br />
conosciuto come lo stato. Questa nuova forma sociale<br />
non è ancora pienamente realizzata, ma esistono ten-<br />
______________________________<br />
42 E. Fraenkel, Il doppio Stato, Torino, Einaudi, 1983.
40<br />
denze che definiscono l’essenza stessa del regime». 43<br />
Le classi dominanti, fortemente antagoniste, sono<br />
cementate dalle logiche del profitto, dal potere e so-<br />
prattutto dalla paure delle masse.<br />
Neumann, che è prudente nell’uso del termine to-<br />
talitario, attribuisce un ruolo decisivo alla propagan-<br />
da e al terrore come due aspetti di un unico processo:<br />
«la trasformazione dell’uomo nella vittima passiva di<br />
una forza onnipresente che lo seduce e lo terrorizza,<br />
lo innalza e lo spedisce nei campi di concentramen-<br />
to». 44<br />
Ecco la metafora del Beemoth: lo stato totalita-<br />
rio, pur se respinto ideologicamente, è una forma di<br />
non-Stato, «un caos, una situazione di illegalità e di<br />
anarchia». 45<br />
______________________________<br />
43 F. Neumann, Beemoth.The structure and Practice of National Socialism,<br />
Oxford University Press, New York Inc., 1942; trad. it. di M. Baccianini,<br />
Beemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo. Milano,<br />
Feltrinelli, 1977.<br />
44 Ibidem, p. 209.<br />
45 Ibidem, p. 21.
41<br />
3. Area anglo-americana<br />
La traduzione inglese, nel maggio del 1926, di Ita-<br />
lia e fascismo di Luigi Sturzo, da parte di B. B. Carter,<br />
consegnerà gli italianismi totalitario e totalitarismo<br />
al vocabolario politico dei paesi anglofoni. Con una<br />
valenza negativa, essi connoteranno un fenomeno<br />
moderno e regressivo, plebiscitario e dittatoriale, inti-<br />
mamente contraddittorio, nonostante che, nel 1928, la<br />
rivista americana «Foreign Affairs» traduca uno scrit-<br />
to di Giovanni Gentile, The Philosophical Basis of<br />
Fascism, in cui, con toni altisonanti e apologetici, vie-<br />
ne definita totalitaria la dottrina fascista.<br />
Il «Times», nel 1929, accomuna in un fondo ano-<br />
nimo con il termine totalitarianism fascismo e bolsce-<br />
vismo, seguendo un percorso di riflessioni comparati-<br />
vistico, ampliando l’orizzonte di riferimento al regi-<br />
me monopartitico dell’Unione sovietica.<br />
Nel 1933, Victor Serge, comunista dissidente, in<br />
una lettera fatta pervenire clandestinamente in Fran-<br />
cia all’opposizione di sinistra, prima che venisse de-
42<br />
portato, definisce come «totalitario», «castocratico» ed<br />
«ebbro della propria potenza» il regime sovietico.<br />
Pur non conducendo analisi di tipo comparativo<br />
o socio-politologico, utilizza, tuttavia, lo stesso termi-<br />
ne con cui si è autodefinito il fascismo italiano.<br />
Lo stesso diranno altri menscevichi russi in esilio<br />
a Parigi. Anche Trotzki, nel volume La rivoluzione<br />
tradita, del 1938, stigmatizza come totalitaria la de-<br />
generazione autoritaria in atto nell’Unione Sovietica<br />
da parte di una classe che ha espropriato ed usurpato il<br />
proletariato.<br />
Le analisi comparativistiche americane tenderan-<br />
no a mettere in evidenza un comune nucleo strutturale<br />
tra i due sistemi politico-istituzionali, fascismo e co-<br />
munismo, dando più attenzione alle loro affinità piut-<br />
tosto che alle divergenze.<br />
In uno dei saggi raccolti in Dictatorship in the<br />
Modern World, pubblicato nel 1935 a cura di Guy Stan-<br />
ton Ford dell’Università del Minnesota, Max Lerner<br />
così intende il termine totalitarian : lo stato totalitario
43<br />
è uno stato caratterizzato dalla «organizzazione dei<br />
gruppi economici che competono per la distribuzione<br />
del reddito nazionale in associazioni o “corporazioni<br />
supervisionate dallo Stato” e da un governo che tiene<br />
rigidamente in pugno l’equilibrio del potere. Uno “Sta-<br />
to forte” nel quale tutti i conflitti aperti in forma di<br />
sciopero e serrata sono banditi e il movimento dei la-<br />
voratori è nazionalizzato».<br />
liana.<br />
E’ evidente la mutuazione dell’esperienza ita-<br />
«Comunismo e Fascismo sono sostanzialmente<br />
simili perché entrambi significano l’esaltazione della<br />
forza, che non sopporta alcuna opposizione e che su-<br />
bordina l’individuo alle richieste dello Stato». 46<br />
Lo storico del pensiero politico George Sabine<br />
considera, invece, il concetto totalitarismo come sino-<br />
nimo di unitary e, nella voce State della International<br />
______________________________<br />
46 «Christian Science Monitor», estate 1939, in A. Gleason, Totalitaria-<br />
nism, cit.
44<br />
Encyclopedia of the Social Sciences, lo applica a tutti<br />
i sistemi monopartitici, Urss inclusa. 47<br />
Particolare diffusione - e confusione concettuale<br />
- si ha durante le elezioni presidenziali del 1940. Sia<br />
da parte democratica che da parte repubblicana si usa<br />
il termine totalitarian in modo irresponsabile e poco<br />
scrupoloso. In un infiammato articolo sull’American<br />
Mercury, Herbert Hoover sottolinea dirette analogie -<br />
economiche, politiche e psicologiche- tra lo sviluppo<br />
dei regimi totalitari europei e la situazione degli Stati<br />
Uniti sotto il New Deal. Anzi, giunge a definire Roo-<br />
svelt e i suoi consiglieri come totalitarian liberals e lo<br />
stesso New Deal come un incipiente totalitarismo: sem-<br />
bra che lo confonda con socialistic. 48<br />
E di fatto, con la caduta dei regimi fascista e na-<br />
zionalsocialista, con il deterioramento dei rapporti so-<br />
vietico-americano, con la proclamazione della dottri-<br />
______________________________<br />
47 G. H. Sabine, voce State, in Encyclopedia of the Social Sciences,<br />
New York, Macmillan, 1934, vol. XIV, p. 330.<br />
48A. Gleason, Totalitarianism, cit., p. 52 e ss.
45<br />
na Truman, «il termine giocava un ruolo essenziale<br />
nel collegare l’antico alleato sovietico dell’America<br />
con la Germania Nazista. Forse l’apice di questo peri-<br />
odo si ebbe alla fine del 1950 quando il Mc Carran<br />
International Security Act sbarrò ai «totalitarian» - vale<br />
a dire ai comunisti - l’ingresso negli Stati Uniti. Du-<br />
rante questi cinque anni, l’idea che gli Stati Uniti do-<br />
vessero affrontare la sfida totalitaria tornò ad esercita-<br />
re una influenza indiscussa come la chiave del futuro<br />
americano ed ebbe la sua influenza più diretta sul pen-<br />
siero politico e sulla politica estera americana». 49<br />
Siamo alle soglie della Guerra Fredda, quando «il<br />
nemico totalitario sembrava a prima vista , trascende-<br />
re le tradizionali distinzioni tra destra e sinistra, che<br />
venivano senza dubbio operate negli anni ‘30. Molti<br />
di coloro che allora lo utilizzavano lo facevano in con-<br />
testi che suggerivano che al centro della discussione<br />
erano solo il nazismo o il fascismo. La sua rinascenza<br />
______________________________<br />
49 Ibidem, p. 61.
46<br />
nel 1945 servì a canalizzare il potente sentimento anti-<br />
tedesco nel nascente sentimento anti-comunistico e allo<br />
stesso tempo agevolò la formazione di nuove alleanze<br />
internazionali». 50<br />
______________________________<br />
50 Ibidem, pp. 61-6<strong>2.</strong> Segnaliamo anche gli studi, negli stessi anni, di J.<br />
L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, Bologna, Il Mulino,<br />
1967; R. C. Tucker, Towards a Comparative Politics of Movement-Regimes,<br />
in «American Political Science Rewiew», vol. LV, 1961; K. A.<br />
Wittfogel, Il dispotismo orientale, Firenze, Vallecchi, 1968.
CAPITOLO SECONDO<br />
«IO PROCEDO DA FATTI<br />
E DA AVVENIMENTI»<br />
L’INDAGINE CONTESTUALE<br />
DI HANNAH ARENDT<br />
PER COMPRENDERE L’EVENTO<br />
CHE CARATTERIZZA IL XX SECOLO:<br />
IL TOTALITARISMO.<br />
Siamo contemporanei fin<br />
dove arriva la nostra comprensione.<br />
Se vogliamo andare d’accordo<br />
con il mondo,<br />
foss’ anche a costo di essere d’accordo<br />
con questo secolo,<br />
dobbiamo partecipare<br />
al dialogo incessante con la sua essenza.<br />
(H. Arendt).
48<br />
1. Sentieri di ricerca: anno di svolta 1933<br />
1951. Hannah Arendt, ebrea tedesca emigrata ne-<br />
gli Stati Uniti nel maggio 1941 dopo un periodo di<br />
internamento nel campo francese di Gurs, pubblica<br />
un’opera dalla grande carica emotiva, Le origini del<br />
totalitarismo, che, nonostante le critiche, è considera-<br />
ta subito un classico di filosofia politica.<br />
E’ curioso sapere che il titolo provvisorio dell’ab-<br />
bozzo, risalente alle prime settimane del 1945, era Gli<br />
elementi della vergogna: antisemitismo, imperialismo<br />
e razzismo; anzi, a volte, la Arendt più enfaticamente<br />
lo chiamava I tre pilastri dell’inferno, pilastri, condi-<br />
zioni sine quibus non, che sorreggono, ma non in sen-<br />
so che determinano, la struttura totalitaria.<br />
Forte, per lei, era l’accusa contro l’Europa del XIX<br />
sec., perché quel secolo borghese aveva creato gli ele-<br />
menti da cui si sarebbe cristallizzato il totalitarismo in<br />
Germania e in Russia; forte, per lei, era l’incredulità<br />
per quanto stava avvenendo storicamente e politica-
49<br />
mente, non tanto per la svolta del suo paese nel 1933,<br />
quanto, soprattutto, per Auschwitz.<br />
«Da principio non ci credevamo. Anche se mio<br />
marito, e anch’io, avevamo sempre detto che da quel-<br />
la banda potevamo aspettarci di tutto. Ma questo non<br />
potevamo crederlo, perché era assolutamente contra-<br />
rio a ogni bisogno o necessità militare. Mio marito un<br />
tempo era uno storico militare, e di queste cose ne ca-<br />
piva abbastanza. E mi disse: “Non lasciarti mettere in<br />
testa queste storie! E’ una cosa che non possono fare.”<br />
Ma un mezzo anno più tardi, quando ci furono le pro-<br />
ve, dovemmo crederci. E fu davvero un brutto colpo.<br />
Prima si diceva: ma sì, tutti hanno dei nemici, è una<br />
cosa del tutto naturale, perché un popolo non dovreb-<br />
be avere nemici? Ma questo era qualcosa d’altro. Era<br />
davvero come se si fosse spalancato un abisso. Perché<br />
si è sempre avuta l’idea che in qualche modo tutto il<br />
resto possa tornare a posto, per esempio in politica tutto<br />
si può aggiustare. Ma questo no. Questo non sarebbe<br />
mai dovuto accadere. E non mi importa il numero del-
50<br />
le vittime. M’importa la produzione in massa dei ca-<br />
daveri e il resto (...) e non c’è bisogno che mi dilunghi<br />
oltre. Questo non doveva succedere. E’ successa una<br />
cosa per la quale nessuno di noi era preparato». 51<br />
Passarono altri sei anni prima che si arrivasse al<br />
titolo definitivo, Le origini del totalitarismo, che pure<br />
sembrava ricordare uno studio di genetica, come Le<br />
origini della specie di Darwin. Si trattava di un titolo<br />
fuorviante, molto più di quello scelto dall’editore in-<br />
glese, The Burden of Our Time (Il fardello del nostro<br />
tempo), perché non riusciva a tradurre lo spirito del-<br />
l’autrice: occorreva ‘riflettere’ il metodo di lavoro se-<br />
guito, non si cercavano origini nel senso di cause, non<br />
si cercavano giustificazioni, non si scriveva di storia.<br />
L’alternativa metodologica allo zelo dello storico<br />
______________________________<br />
51 Intervista concessa nel 1964 a Gunther Gaus, Was bleibt? Es bleibt<br />
die Mutterspräche, in G. Gaus, Zur Person: Portrats in Frage und Antwort,<br />
Feder, München, 1964; in E. Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-<br />
1975: per amore del mondo, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, p. 221;<br />
in H. Arendt, La lingua materna, a cura di Alessandro Dal Lago, Milano,<br />
Mimesis, 1993, p. 43.
51<br />
fu quella di «individuare gli elementi principali del<br />
nazismo, risalire alle loro origini e scoprire i problemi<br />
politici reali alla loro base (...). Scopo del libro non è<br />
dare risposte, bensì preparare il terreno». 52<br />
Per la Arendt gli eventi eccedono sempre le loro<br />
cause, non c’è deduzione, non c’è necessità ma solo<br />
caotiche verità di fatto il cui senso aspetta di essere<br />
dischiuso come in un remake narrativo.<br />
«Gli elementi del totalitarismo costituiscono le sue<br />
origini, purché per “origini” non si intenda “cause”.<br />
La causalità, cioè il fattore di determinazione di un<br />
processo di eventi in cui un evento sempre ne causa<br />
un altro e da esso può essere spiegato, è probabilmen-<br />
te una categoria totalmente estranea e aberrante nel<br />
regno delle scienze storiche e politiche. Probabilmen-<br />
te gli elementi in se stessi non causano mai alcunché.<br />
Essi divengono l’origine di un evento se e quando si<br />
cristallizzano in forme fisse e definite. Allora, e solo<br />
______________________________<br />
52 E. Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-1975: per amore del mondo,<br />
op. cit., p. 239.
52<br />
allora, sarà possibile seguire all’indietro la loro storia.<br />
L’evento illumina il suo passato ma non può essere<br />
dedotto da esso». 53<br />
Per la Arendt la parola origine si ricollega all’idea di<br />
quel principio casuale, contingente, che getta luce sul-<br />
l’evento che avviene ed esplicita la realtà su cui si fonda; a<br />
posteriori evoca quegli elementi della realtà che hanno<br />
acquisito pieno significato nella nuova esperienza, espe-<br />
rienza che resta possibile ed imprevista ai «problemi reali<br />
ed irrisolti» che erano dietro a quei «precedenti».<br />
«Dietro l’antisemitismo, la questione ebraica, dietro<br />
il decadimento dello stato nazionale, il problema irrisolto<br />
di una nuova concezione del genere umano, dietro l’espan-<br />
sionismo fine a se stesso, il problema irrisolto di riorga-<br />
nizzare un mondo che diventa sempre più piccolo». 54<br />
Bisogna, quindi, che si passi non già dalle origi-<br />
______________________________<br />
53 H. Arendt, The Nature of totalitarianism, conferenza inedita (1954),<br />
Congresso; in E. Young-Bruehl, Hannah Arendt, cit.<br />
54 Lettera a Mary Underwood, in E. Young-Bruehl, Hannah Arendt, cit.,<br />
p. 240.
53<br />
ni, questo oscuro materiale destinato a cristallizzarsi<br />
come un possibile esito, all’evento, bensì dall’evento<br />
verso quegli elementi del passato in cui possono bale-<br />
nare i tratti della cristallizzazione finale. In questo sen-<br />
so l’analisi più che storica diviene tipologica e socio-<br />
logica.<br />
Il totalitarismo, dunque, è l’evento e la sua origi-<br />
nalità terrificante consiste in atti che rompono con tut-<br />
ta la nostra tradizione, polverizzando letteralmente le<br />
nostre categorie politiche e i nostri criteri di giudizio<br />
morale. Obsoleti sono anche gli strumenti concettuali<br />
della nostra tradizione filosofica.<br />
A Voegelin, che nella recensione a Le origini del<br />
totalitarismo la accusava di perdere i contatti con la<br />
trascendenza, con la dimensione spirituale e ideologi-<br />
ca per cui «le origini del totalitarismo non andrebbero<br />
viste principalmente nel destino dello stato nazionale<br />
e nei seguenti cambiamenti sociali ed economici ini-<br />
ziati nel XVIII secolo (come fa la Arendt), ma piutto-<br />
sto nell’ascesa del settarismo immanentista dell’Alto
54<br />
Medioevo», 55 senza indugi, la Arendt replica: «Ciò che<br />
è senza precedenti nel totalitarismo non è primaria-<br />
mente il suo contenuto ideologico, ma l’evento stesso<br />
della dominazione totalitaria. Ciò si può chiaramente<br />
intendere se ammettiamo che le conseguenze delle sue<br />
politiche hanno fatto esplodere le categorie tradizio-<br />
nali del pensiero politico (il dominio totalitario è di-<br />
verso da tutte le forme di tirannia e di dispotismo che<br />
conosciamo) e i criteri del giudizio morale (i crimini<br />
totalitari sono descritti in modo del tutto inadeguato<br />
come “assassinii” e i crimini totalitari possono diffi-<br />
cilmente essere puniti come “assassinii”). Il signor Vo-<br />
egelin sembra pensare che il totalitarismo sia soltanto<br />
l’altra faccia del liberalismo, del positivismo e del prag-<br />
matismo. Ma si concordi o no col liberalismo (io pos-<br />
so dire qui con assoluta certezza di non essere né una<br />
______________________________<br />
55 Pubblicata, insieme alla risposta della Arendt e ad una sua conclusione,<br />
in «The Review of Politics», XV, n. 1, 1953; trad. it. in G. F. Lami (a<br />
cura di) Eric Voegelin. Un interprete del totalitarismo, Roma, 1978. Cfr.<br />
Filosofia politica e pratica del pensiero. E. Vögelin, L. Strauss e H.<br />
Arendt, a cura di G. Duso, Milano, 1988.
55<br />
liberale, né una positivista né una pragmatista), il punto<br />
è che i liberali non sono chiaramente dei totalitari.<br />
Spero di non insistere indebitamente su questo punto.<br />
Per me è importante perché credo che ciò che separa<br />
la mia impostazione da quella del signor Voegelin è<br />
che io procedo da fatti e avvenimenti invece che da<br />
affinità ed influenze spirituali.<br />
Ciò è forse un po’ difficile da scorgere perché io<br />
sono naturalmente molto interessata alle implicazio-<br />
ni e ai cambiamenti filosofici nell’ auto-interpreta-<br />
zione spirituale. Ma questo certo non significa che<br />
io abbia descritto “una rivelazione graduale dell’es-<br />
senza del totalitarismo dalle sue forme incipienti nel<br />
XVIII secolo a quelle pienamente sviluppate”, per-<br />
ché questa essenza non esiste prima di essere venuta<br />
alla luce.<br />
Perciò parlo di “elementi” rintracciabili nel XVIII<br />
secolo, altri forse ancora più indietro (benché io dubi-<br />
terei della teoria personale di Voegelin, secondo cui<br />
l’ascesa del settarismo immanentista del Medioevo si
56<br />
sarebbe conclusa alla fine del totalitarismo)». 56<br />
Pensare il totalitarismo come l’altra faccia del li-<br />
beralismo, del positivismo, del pragmatismo, lo prive-<br />
rebbe di ogni carattere di novità, di ogni significato<br />
fruttuoso per l’analisi del mondo moderno.<br />
La portata epocale del totalitarismo non è nel suo<br />
contenuto ideologico, ma nella sua eventualità, nella<br />
fattualità di un dominio realizzato con violenza e ter-<br />
rore attraverso la tragicità dei campi di sterminio. Que-<br />
sto è il fatto che interessa la Arendt.<br />
Questo procedimento ermeneutico spiega anche<br />
l’assimilazione del regime nazista con quello stalinia-<br />
no nella tipologia del totalitarismo, in quanto, pur se<br />
permeati da ideologie differenti, l’una basata sul domi-<br />
nio della razza, l’altra sul principio della lotta di classe,<br />
ambedue ricorrono al «culto della personalità», al ter-<br />
rore istituzionalizzato, ai campi di concentramento e<br />
all’abolizione delle libertà civili.<br />
______________________________<br />
56 Ibidem.
57<br />
E’ vero; solo marginalmente la Arendt si occupa<br />
dello stalinismo.<br />
L’opera doveva essere completata da uno studio<br />
adeguato sulle matrici totalitarie dell’ideologia marxi-<br />
sta e le differenze tra marxismo e nazismo.<br />
Il tentativo fu intrapreso, alcuni anni più tardi, a<br />
seguito di una conferenza nel 1953 57 in cui si sottoli-<br />
neavano le trasformazioni che il marxismo aveva su-<br />
bito prima nell’interpretazione di Lenin poi di Stalin.<br />
Ma The marxist elements of totalitarianism non fu mai<br />
completato, rimase una disamina critica della tradizione<br />
filosofica occidentale e un confronto con Marx, il cui<br />
pensiero pure aveva avuto rilievo nella formazione<br />
della Arendt. 58<br />
______________________________<br />
57 Conferenza inedita del 1953, Karl Marx and tradition of western political<br />
thought, presso la Library of Congress, Washington, Manuscripts<br />
Division, « The Papers of H. Arendt», box 64; trad.it. Karl Marx e la<br />
tradizione del pensiero occidentale, (scritto nel 1953), a cura di S. Forti,<br />
in «MicroMega», n.5, pp.35-108.<br />
58 Cfr. S. Forti, Vita della mente e tempo della polis, Milano, FrancoAn-<br />
geli, 1996.
58<br />
Nella prefazione del giugno 1966 a Le origini del<br />
totalitarismo, la Arendt fa riferimento al discorso di<br />
Kruscev, nel 1957, dinanzi al XX Congresso del parti-<br />
to, atto con cui si è aperto il processo di detotalitariz-<br />
zazione dell’ ex-Unione Sovietica.<br />
Secondo la Arendt, il più chiaro segno della detotali-<br />
tarizzazione sovietica non è stato tanto la liquidazione di<br />
buona parte del sistema poliziesco o la chiusura della mag-<br />
gior parte dei campi di concentramento, oppure il fatto<br />
che non sono state più promosse spettacolari epurazioni<br />
contro i nemici del partito, ora destituiti e allontanati da<br />
Mosca, quanto la ripresa feconda delle attività culturali,<br />
arte e letteratura in particolare.<br />
«Quando Stalin morì, i cassetti degli scrittori e degli<br />
artisti erano vuoti, oggi esiste tutta una letteratura che circo-<br />
la in manoscritti, e ogni via della pittura moderna viene<br />
tentata negli ateliers dei pittori e le loro opere vengono co-<br />
nosciute anche quando non sono esposte a una mostra». 59<br />
______________________________<br />
59 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., Prefazione, p. XLV.
59<br />
Da un sistema totalitario si è passati ad una dittatu-<br />
ra a partito unico.<br />
Utilizzando il termine totalitarismo con parsimo-<br />
nia e prudenza, la Arendt si chiede, tuttavia, se esso<br />
sia applicabile 60 anche alla Cina comunista, di cui al-<br />
l’epoca non si conosceva niente a causa dell’efficace<br />
isolamento dietro cui il paese si era trincerato. Rispet-<br />
to all’esempio tedesco e russo le differenze sono note-<br />
voli: dopo il periodo iniziale della dittatura contrasse-<br />
gnato dallo spargimento di sangue e da una decima-<br />
zione della popolazione, dopo la scomparsa dell’op-<br />
posizione, non si è verificato l’inasprirsi del terrore e<br />
del massacro, l’irrigidimento della burocrazia al pote-<br />
re, il sorgere di una categoria di ‘nemici oggettivi’,<br />
______________________________<br />
60 Per la Arendt il concetto «totalitarismo» non si applica neanche al<br />
fascismo italiano. Mussolini aveva creato uno stato corporativista, più<br />
che totalitario, in quanto aveva tentato di ‘statalizzare’ la società e lo<br />
stesso partito non si pose al di sopra dello stato ma si identificò con la<br />
massima autorità nazionale. Mussolini fu un dittatore, fu «il vero usurpatore<br />
nel senso della dottrina politica classica», in H. Arendt, Le origini<br />
del totalitarismo, cit., p. 360 e ss. Sul fascismo italiano vedi A. Aquarone,<br />
L’organizzazione dello stato totalitario, Einaudi, 1965.
60<br />
cioè il permanere di quei caratteri che per la Arendt<br />
tipizzano il totalitarismo.<br />
Indubbiamente riconosce una pretesa totalitaria nel<br />
programma ideologico del partito comunista cinese,<br />
ancor più manifeste in politica estera con l’inasprirsi<br />
dei rapporti cino-sovietici e con l’accusa alla Russia,<br />
che pure aveva sostenuto Pechino, di ‘deviazione re-<br />
visionista’ dopo la morte di Stalin e l’avvio di una<br />
politica di distensione.<br />
Pur denunciando la scarsità delle fonti, assumen-<br />
do una posizione piuttosto ambigua, la Arendt accen-<br />
na a quella forma di terrore e di controllo sociale che<br />
era «il modellamento e rimodellamento delle<br />
menti», 61 la pervadente ‘riforma della mente umana’<br />
che è il corrispettivo cinese della creazione dell’uomo<br />
nuovo tipico dello spirito totalitario.<br />
Un totalitarismo fondato sul consenso, direbbero<br />
oggi i critici.<br />
______________________________<br />
61 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., Prefazione, p. XXXI.
61<br />
Una osservazione, comunque, va fatta a proposito de<br />
Le origini del totalitarismo: c’è uno squilibrio tra le prime<br />
due parti, più storiche, più politiche, e la terza parte che<br />
punta sull’essenza del totalitarismo, sull’individuazione<br />
della sua tipicità. Potremmo dire che dallo «stare ai fatti»<br />
si passa meglio e volentieri ad un’analisi concettuale raffi-<br />
nata, ad una sintesi tipologica, in particolare nel capitolo<br />
dal titolo Ideologia e terrore.<br />
La domanda che ella si pone, in effetti, e che segna la<br />
portata del totalitarismo come evento -come sia potuto<br />
succedere?- filtra la domanda sull’eclissi del politico.<br />
Andrè Enégren scrive: «In un certo senso il tota-<br />
litarismo disegna in cavo tutto ciò che conferisce ri-<br />
lievo al politico arendtiano: alla chiusura radicale di<br />
un dominio senza incrinature, la Arendt oppone uno<br />
schema normativo senza governanti né governati al<br />
cui interno viene riconosciuto il diritto di ciascuno ad<br />
agire, giudicare e decidere in comune; al flusso totali-<br />
tario che sradica e livella, lei risponde con una rifles-<br />
sione incentrata sulla stabilità della legge che stabili-
62<br />
sce il potere, sull’autorità come memoria capace di fis-<br />
sare la politica nella permanenza di un mondo diffe-<br />
renziato. Mentre il totalitarismo si affida a una logica<br />
inflessibile sempre pronta a riassorbire gli eventi in<br />
un ordine superiore, essa dà la fiducia al visibile, al-<br />
l’opinione e al giudizio che, solo, consente di tenere<br />
testa alla dissoluzione della tradizione». 62<br />
La Arendt legge il fenomeno totalitario come assoluta<br />
eccezionalità, in qualche modo reso possibile, ma non ne-<br />
cessario, da tutti i rovesciamenti a catena, natura e società,<br />
politica e storia, che insieme oppongono e legano la moder-<br />
nità alla tradizione classica. Il totalitarismo nasce con la<br />
modernità, ma non come qualcosa di originariamente in-<br />
scritto nel suo patrimonio genetico, come esito predetermi-<br />
nato; piuttosto è il prodotto di una serie di opzioni soggetti-<br />
ve che convergono su di una contrazione ed uno schiaccia-<br />
mento del ‘politico’ su altre modalità del «fare»: il sistema<br />
totalitario è estraneo alla vita politica autentica.<br />
______________________________<br />
62 A. Enegrén, Il pensiero politico di Hannah Arendt, Roma, Edizioni<br />
Lavoro, 1987.
63<br />
<strong>2.</strong> L’ antisemitismo politico e la questione ebraica.<br />
Perché iniziare un’opera politica con un’analisi<br />
sull’antisemitismo, le sue origini, le sue sfaccettature,<br />
i suoi esiti, catastrofici, per un popolo, quello ebreo,<br />
che mai si è occupato di politica e che storicamente è<br />
stato considerato ‘apolide’?<br />
La Arendt considera l’antisemitismo come l’ideo-<br />
logia laica del sec. XIX e l’originale prospettiva con<br />
cui tale fenomeno è analizzato le permette di mettere<br />
alla prova ciò che va via via elaborando intorno alla<br />
autonomia e al primato dell’agire politico. Il popolo<br />
ebraico, caso storico concreto, diviene simbolo del-<br />
l’alienazione dell’uomo nel mondo moderno perché<br />
l’esperienza dell’esilio lo ha privato di uno spazio pub-<br />
blico per l’azione. E’ popolo senza governo, senza<br />
paese, senza lingua.<br />
La condizione ebraica porta a riflettere su quel-<br />
l’irriducibile unicità che è inerente alla condizione della<br />
nascita, unicità intesa come tradizione culturale, ap-
64<br />
partenenza etnica, fede religiosa, che deve poi con-<br />
durre a trascendere la propria singolarità nel conse-<br />
guimento di fini condivisi.<br />
E’ sottesa una ricerca filosofica che sarà presente<br />
in modo più evidente nelle opere della maturità, vale a<br />
dire l’individuazione di uno spazio politico che sia<br />
comune a tutti gli uomini, in cui le aspirazioni ebrai-<br />
che all’emancipazione possano integrarsi con l’aspi-<br />
razione di tutti i popoli all’autodeterminazione. Allo-<br />
ra l’ebraismo diviene simbolo della ribellione univer-<br />
sale nei confronti dell’oppressione.<br />
Nella biografia di Rahel Varnhagen, 63 i cui primi<br />
capitoli vennero scritti nel 1933, anno di fuga della<br />
______________________________<br />
63 H. Arendt, Rahel Varnhagen. The Life of a Jeweness, East and West<br />
Library (for the Leo Baeck Institut of a Jews from Germany), London<br />
1957; trad. it., Rahel Varnhagen. Storia di un’ebrea, a cura di L. Ritter<br />
Santini, Milano, Il Saggiatore, 1988. Il libro fu pubblicato nel 1957 in<br />
inglese su iniziativa del Leo Baeck Institut; nel 1959 uscì in edizione<br />
tedesca presso Piper. Il manoscritto, fatta eccezione per gli ultimi due<br />
capitoli, era già pronto nel 1933 quando la Arendt dovette lasciare la<br />
Germania. Nel 1938 venne completato per l’insistenza di Heinrich<br />
Blücher e Walter Benjamin.
65<br />
Arendt dalla Germania nazista, mentre gli ultimi tre<br />
verso il 1938, quando la Arendt si era rifugiata in Fran-<br />
cia, è presente un’acuta critica all’assimilazione per la<br />
difesa della tradizione e dell’autonomia di ciascun<br />
popolo, e non solo quello ebraico, sottolineando che<br />
in un mondo civile l’uguaglianza giuridica e politica<br />
dei gruppi non può che essere indiscutibile.<br />
La Arendt rifiuta l’assimilazione come possibili-<br />
tà di integrazione degli ebrei nel corpo della nazione.<br />
Essa ha indotto alla perdita della propria identità, dei<br />
valori religiosi, della tradizione.<br />
In Le origini del totalitarismo, mostra come l’an-<br />
tisemitismo, che non è un nazionalismo latente, per-<br />
ché la sua espansione coincide con la crisi dello Stato-<br />
nazione, sia stato il prodotto di un progetto storico e<br />
sociale determinato a cui ha contribuito il generale<br />
declino delle comunità ebraiche dell’Europa centro-<br />
occidentale ed anche quella perenne indecisione degli<br />
ebrei di essere un «elemento non nazionale in un si-<br />
stema di stati nazionali», di essere un parvenu piutto-
66<br />
sto che un libero pariah, di non trovare un equilibrio<br />
tra vita pubblica ed esperienza interiore.<br />
Già alla fine del Settecento 64 si distingueva una mas-<br />
sa di paria e piccole comunità ricche e privilegiate.<br />
Paria, secondo la Arendt, sono quell’insieme di<br />
gente che vive un’esclusione politica e sociale, senza<br />
per questo essere degradata sul piano morale come,<br />
invece, aveva sostenuto Nietzsche in Genealogia del-<br />
la morale, dove paria è l’individuo formato alla mora-<br />
le del risentimento e della ipocrisia. L’accettazione<br />
______________________________<br />
64 Sulla nascita della «questione ebraica» in epoca illuministica, cfr. H.<br />
Arendt, Aufklärung und Judenfrage, trad. it. Illuminismo e questione ebraica,<br />
in «Il Mulino», XXXV, 1986, n. 3, pp. 421-437. Cfr. A. Dal Lago, Introduzione<br />
ad H. Arendt, La vita della mente, Bologna, Il Mulino, 1987. Sullo<br />
sviluppo di una filosofia ebraica «che non sarebbe stata tale perché dovuta<br />
alla creatività di pensatori ebrei, ma perchè sarebbe stata rivolta a costruire i<br />
suoi edifici concettuali sulle fondamenta della tradizione ebraica e non avrebbe<br />
nascosto la sua intenzione di servirsi dei suoi concetti per ridefinire i<br />
lineamenti dell’identità ebraica» vedi G. Lissa, Filosofia ebraica oggi, in<br />
«Rivista di storia della filosofia», n. 4, 1994. Lissa, a partire dall’analisi<br />
della situazione ebraica fatta dalla Arendt in Le origini del totalitarismo,<br />
mette in evidenza come esista un rapporto imprescindibile tra la tradizione<br />
ebraica e la sua potenza dominante, la religione, rapporto su cui si gioca il<br />
destino stesso dell’identità ebraica.
67<br />
dell’ebreo era sul piano della ‘eccezione’, o per ric-<br />
chezza o per sapere, come persona ‘particolare’, giac-<br />
ché come popolo sarebbe stato disprezzato.<br />
L’ebreo di corte, ad esempio, era il finanziatore<br />
della corona, deteneva privilegi un tempo prerogativa<br />
solo della nobiltà. Poteva portare armi, scegliere la<br />
residenza, viaggiare e spostarsi secondo il proprio pia-<br />
cere, ovunque era protetto dalle autorità locali. Poteva<br />
contrarre matrimonio con la nobiltà, sebbene le eredi-<br />
tiere ebree con la loro dote non facevano che rimpin-<br />
guare il patrimonio dei nobili rampolli. Questo ruolo<br />
super partes, mediatore senza rappresentanza politi-<br />
ca, cominciò a vacillare quando, dopo il 1791, si ot-<br />
tenne la parità giuridica. Anzi, quanto più fu ricono-<br />
sciuta la parità giuridica tanto più aumentò la discri-<br />
minazione sociale.<br />
L’aristocrazia fu il primo gruppo sociale a diven-<br />
tare antisemita, considerando gli ebrei il prototipo del<br />
borghese egualitario e moderno. Ancora più radicale<br />
fu la posizione della borghesia che identificava l’ebreo
68<br />
con il banchiere, parassita della miseria e delle soffe-<br />
renze, in stretto rapporto con il potere centrale. La<br />
borghesia, inoltre, detestava la capacità degli ebrei di<br />
essere mediatori di pace e di intervenire di conseguenza<br />
nelle relazioni di politica internazionale. Il tedesco W.<br />
Rathenau, che aveva cercato di ottenere condizioni di<br />
pace, dopo la prima guerra mondiale, piuttosto favo-<br />
revoli per la Germania grazie al riconoscimento inter-<br />
nazionale delle sue capacità di statista, venne ucciso<br />
da un antisemita. Agli occhi dei borghesi antisemiti<br />
sembrava che gli ebrei governassero i troni di nasco-<br />
sto e che fossero i registi di una trama cospiratoria in-<br />
ternazionale.<br />
Tale teoria che era stata espressa nel testo La congiu-<br />
ra dei saggi di Sion, un falso a cui avevano creduto in<br />
molti e che venne usato da Hitler come ulteriore convali-<br />
da delle sue tesi sulla razza. Ogni volta che un gruppo<br />
nazionale o una classe entrava in conflitto con il potere<br />
centrale dello stato, invece di attaccare direttamente que-<br />
sto, aggrediva gli ebrei. Sfiorando il sociologico, la Aren-
69<br />
dt descrive l’antisemitismo del liberale austriaco Schoe-<br />
nerer, di Lueger, capo del partito cristiano-sociale, e del<br />
cappellano tedesco Stoecker, per indicare non solo che in<br />
Austria e in Germania si stava diffondendo l’antisemiti-<br />
smo più forte e virulento ma come in esso si confondesse<br />
nei conflitti di nazionalità sia da parte dei democratici che<br />
da parte dei liberali.<br />
In effetti, la spinta antisemita aveva travolto an-<br />
che partiti altrove più vigilanti, fatta eccezione dei<br />
partiti operai e di sinistra, che, presi dalla lotta di clas-<br />
se contro la borghesia, si disinteressavano di politica<br />
estera.<br />
La Arendt sottolinea che, oltre a cause strettamente<br />
politico-economiche, sociologiche e ideologiche, al-<br />
l’antisemitismo contribuiva anche quella considerazio-<br />
ne da parte degli ebrei di essere il popolo eletto, ipote-<br />
si che si fondava sull’idea che il Messia sarebbe venu-<br />
to per la salvezza di tutti i popoli. Tale tesi, tuttavia,<br />
nel corso storico, aveva perso ogni carattere universa-<br />
listico.
70<br />
Con la formazione degli stati nazionali nel XVI<br />
secolo, gli ebrei si erano definiti come gruppo con un<br />
forte senso di appartenenza e del privilegio. Ed in que-<br />
sto è consistito l’errore politico: 1) l’essersi conside-<br />
rati popolo superiore, non riuscendo, tuttavia, a coesi-<br />
stere con la propria identità, perché al di là di uno spa-<br />
ruto gruppo di privilegiati il resto era una massa di<br />
paria, 2) l’ essersi disinteressati della politica, soprat-<br />
tutto della rivendicazione dei propri diritti, creando un<br />
potere economico sul vuoto politico.<br />
La Arendt fa suo lo schema analitico di Tocqueville,<br />
che nell’opera L’Ancien Régime et la Révolution descrive<br />
la crisi della nobiltà alla fine dell’antico regime.<br />
I nobili furono attaccati ed odiati quando persero<br />
le loro funzioni, soprattutto quelle militari, erano ric-<br />
chi ma senza alcuna funzione sociale. Lo stesso era<br />
per gli ebrei: essi attiravano odio in particolare per il<br />
loro disinteresse politico.<br />
L’assenza di una rappresentanza di potere ricono-<br />
sciuta in seno allo stato, l’impotenza e la conseguente
71<br />
‘innocenza politica’ aveva impedito agli ebrei di capi-<br />
re come l’ostilità sociale sarebbe presto confluita in<br />
tragedia.<br />
Non aveva alcuna validità la tesi del capro espia-<br />
torio né l’antigiudaismo: il problema era essenzialmen-<br />
te politico.<br />
La differenza andava ‘protetta’; assumere la do-<br />
lorosa identità del paria era l’unica strada per confer-<br />
mare la propria presenza al mondo. E il politico anda-<br />
va distinto dal sociale.<br />
Il sociale avanza un’ipotesi di uniformità perché<br />
spinto da pulsioni privatistiche, concepisce il diverso<br />
come il nemico. L’uguaglianza politica non è l’ugua-<br />
glianza sociale, né si può dar luogo ad un suo perver-<br />
timento.<br />
«Le moderne società di massa offrono innumere-<br />
voli esempi della facilità con cui si scambia l’egua-<br />
glianza per una qualità innata di ciascun individuo,<br />
che viene definito “normale” quando è come gli altri e<br />
“anormale” quando se ne differenzia. Questo perver-
72<br />
timento di un concetto politico è particolarmente peri-<br />
coloso quando la società lascia alle differenze uno spa-<br />
zio relativamente esiguo, dando così luogo ad una<br />
quantità di conflitti». 65<br />
Analizzando il caso Dreyfus, ad esempio, la Aren-<br />
dt mette in rilievo come dal sociale si fosse presto pas-<br />
sati alla strumentazione politica. Contro l’ebreo spio-<br />
ne e traditore non solo si erano mobilitati i membri<br />
dell’esercito che rifiutavano un ebreo nello stato mag-<br />
giore, ma anche il clero, che mal tollerava la diversa<br />
confessione tra gli ufficiali.<br />
Sul piano politico nacque il conflitto: essere anti-<br />
dreyfusardi significava essere antidemocratici e anti-<br />
repubblicani, contrari all’uguaglianza giuridica e po-<br />
litica che prima la rivoluzione francese poi la Terza<br />
Repubblica avevano consacrato. Gli ebrei, che cerca-<br />
vano di far prevalere la tesi dell’errore giudiziario,<br />
continuavano a non capire il terreno di scontro.<br />
______________________________<br />
65 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.
73<br />
In Francia e negli altri stati europei, per lungo tem-<br />
po si discusse del caso Dreyfus: da una parte erano<br />
schierate le forze progressiste, dall’altra quelle con-<br />
servatrici di estrema destra, antisemite e antidemocra-<br />
tiche. La xenofobia, di cui pure si alimentava l’antise-<br />
mitismo francese, resto qualcosa di inoffensivo. Solo<br />
Céline, che nel 1937 aveva pubblicato Bagattelles pour<br />
un massacre e nel 1938 L’école des cadavres, raggiun-<br />
se la paranoia incitando al massacro degli ebrei rite-<br />
nuti diabolicamente responsabili di ogni male. Comun-<br />
que, la conseguenza più importante dell’affare Dreyfus<br />
fu la nascita del movimento sionista ad opera del gior-<br />
nalista austriaco T. Herzl, «l’unica risposta politica che<br />
gli ebrei seppero trovare al movimento antisemitico e,<br />
insieme, l’unica loro ideologia che prese sul serio quel-<br />
l’ostilità che li avrebbe spinti al centro degli avveni-<br />
menti mondiali». 66<br />
______________________________<br />
66 Ibidem, p. 168.
74<br />
3. La nuova ideologia degli Stati-Nazione europei<br />
in crisi: l’imperialismo come preludio politico<br />
ai movimenti totalitari.<br />
La questione degli apolidi e il valore dei diritti umani.<br />
Le fila dell’opera sono tenute insieme da un uni-<br />
co tema centrale: la storia della dissoluzione dello Sta-<br />
to-nazione in aggregati di uomini «superflui».<br />
Antisemitismo e imperialismo, risultato di prati-<br />
che non democratiche, pur se delimitati in modo esclu-<br />
sivo, sono perciò intimamente connessi.<br />
Riassunto nello slogan «l’espansione per l’espan-<br />
sione», l’imperialismo è analizzato come una nuova<br />
forma di colonialismo, ben diverso dal precedente<br />
(1500-1700) che si limitava a trarre il massimo delle<br />
ricchezze dalle colonie. Esso fu essenzialmente una<br />
politica di potenza di matrice economica, che diede<br />
luogo ad un processo distruttivo delle società nazio-<br />
nali inarrestabile, preludio dei fenomeni totalitari del<br />
XX secolo.
75<br />
La Arendt associa al fenomeno ragioni di tipo eco-<br />
nomico, sostenendo che era stata la crisi economica<br />
degli anni ‘60 e ‘70 a spingere gli uomini di affari ad<br />
occuparsi di politica internazionale. Si era verificata<br />
«una sovrapproduzione di capitale che, non potendo<br />
più trovare un investimento produttivo entro i confini<br />
nazionali, costituiva una massa di denaro “superfluo”.<br />
Per la prima volta gli strumenti del potere politico,<br />
anziché aprire la via, seguirono supinamente il denaro<br />
esportato». 67<br />
Gli uomini dell’imperialismo erano persuasi che<br />
politica ed economia non erano disgiunte, anzi aveva-<br />
no posto la seconda al servizio della prima. Perché ci<br />
fosse espansione economica continua occorreva il so-<br />
stegno del potere politico. E la politica fu essenzial-<br />
mente politica economica.<br />
E’ in questo, secondo la Arendt, che si realizza<br />
l’emancipazione politica della borghesia, nel senso che<br />
______________________________<br />
67 Ibidem, p. 188.
76<br />
se fino ad allora l’interesse prioritario era la conquista<br />
economica senza aspirare al dominio politico, adesso<br />
la borghesia tentava di usare lo stato e i suoi strumenti<br />
di violenza per l’espansione dei suoi interessi econo-<br />
mici, indebolendo così la posizione dei finanzieri in<br />
genere, in particolare quelli ebrei.<br />
La Arendt, tuttavia, non tiene conto che già al-<br />
l’epoca del mercantilismo la classe borghese si era in-<br />
teressata della politica economica degli stati. Ciò che<br />
si ebbe nell’Ottocento, semmai, fu l’opinione che ef-<br />
fettivamente il potere politico potesse proteggere gli<br />
interessi economici di uno stato, in modo particolare<br />
nelle colonie.<br />
La definizione che la Arendt tenta di dare dell’im-<br />
perialismo si rifà alle tesi della sinistra marxista, Rosa<br />
Luxemburg in particolare, la quale, secondo la teoria<br />
del sottoconsumo, riteneva che, per essere assorbita la<br />
produzione corrente in modo integrale, poiché la clas-<br />
se lavoratrice non poteva avere un alto potere di ac-<br />
quisto per le sue miserevoli condizioni, occorreva una
77<br />
«terza persona», un compratore esterno al sistema ca-<br />
pitalistico. A fianco, cioè, del mondo capitalistico, era<br />
necessaria l’esistenza di un mondo non capitalistico<br />
perché il sistema del primo non si inceppasse. 68<br />
E’ la logica degli sviluppi ineguali di cui aveva<br />
parlato anche Lenin in modo più complesso e critico.<br />
Un contributo sicuramente decisivo, tuttavia, per<br />
la Arendt, sono state le analisi del liberaldemocratico<br />
Hobson e del socialdemocratico Hilferding: quest’ul-<br />
timo, con il quale converge anche Kautsky, considera-<br />
va il fenomeno come una politica del capitalismo.<br />
Nel segno di una apparente razionalità, l’imperia-<br />
lismo aveva promosso l’espansione geografica secon-<br />
do una crescita economica che era l’immediato rifles-<br />
so dell’accumulazione capitalista illimitata.<br />
«Annetterei i pianeti, se potessi» era solito dire<br />
Cecil Rhodes, quasi a suggello della nuova politica<br />
mondiale.<br />
______________________________<br />
68 R. Luxemburg, Die Akkumulation des Kapitals, Berlin, Singer, 1913;<br />
trad. it. L’accumulazione del capitale, Milano, Feltrinelli, 1976.
78<br />
Espansione acquisiva il significato di continuo<br />
ampliamento della produzione industriale e delle tran-<br />
sazioni economiche. 69<br />
Si trattava di un concetto non politico, tanto è<br />
vero che l’obiettivo degli imperialisti era quello di<br />
ampliare la sfera di potere, potere economico in pri-<br />
mo luogo, senza creare un corrispondente corpo po-<br />
litico.<br />
Era il caso, ad esempio, dei francesi che trattaro-<br />
no l’Algeria come una provincia del territorio metro-<br />
politano senza imporre le loro leggi alla popolazione<br />
araba, creando un ibrido per cui il territorio era nomi-<br />
nalmente francese, giuridicamente parte integrante<br />
della Francia, uno dei suoi dipartimenti, ma gli abitan-<br />
ti non erano cittadini francesi, anzi, vennero conside-<br />
rati quella «force noire» che doveva proteggere la Fran-<br />
cia, o, per dirla con il Poincaré, era «carne da canno-<br />
ne, ottenuta con metodi di produzione di massa». 70<br />
______________________________<br />
69 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 175.<br />
70 Ibidem, p. 180.
79<br />
Anche l’Inghilterra, per il fatto di essere uno stato<br />
nazionale, non creò mai un «Commonwealth of Na-<br />
tions» nel senso dell’assimilazione e incorporazione<br />
dei popoli sottomessi, ma «una nazione sparsa nelle<br />
varie parti del mondo». 71<br />
L’esempio irlandese decretò il fallimento della<br />
politica estera inglese perché con il riconoscimento<br />
dello status di dominion si era ravvivato lo spirito di<br />
resistenza nazionale dell’Irlanda.<br />
L’imperialismo, quindi, creò una pericolosa con-<br />
traddizione tra la struttura dello stato nazionale e la<br />
politica di conquista, perché «dovunque si è presenta-<br />
to nella veste di conquistatore, ha infatti destato la<br />
coscienza nazionale e la volontà d’indipendenza del<br />
popolo vinto, mandando a monte il tentativo di co-<br />
struzione di un impero duraturo». 72<br />
Diversamente accadde nell’antica Roma, per la<br />
quale la Arendt esprime la sua ammirazione: tipica-<br />
______________________________<br />
71 Ibidem, p. 178.<br />
72 Ibidem, p. 177.
80<br />
mente romana era quella capacità di esportare il dirit-<br />
to, collante tra popoli diversi ma egualmente ricono-<br />
scentisi come cittadini romani, nonché perno della cre-<br />
azione di un impero stabile e duraturo.<br />
L’imposizione di una legge comune permetteva<br />
l’uguaglianza giuridica e il diritto alla cittadinanza di<br />
popoli eterogenei, favorendo l’integrazione, laddove<br />
lo stato nazionale, che si basava sul consenso attivo di<br />
una popolazione omogenea, in caso di conquista, im-<br />
poneva il consenso cercando di assimilare, degeneran-<br />
do talora molto velocemente in tirannide.<br />
Gli imperialisti non avevano, quindi, esportato la<br />
legge, bensì il dominio.<br />
La prima conseguenza fu l’esportazione del rule<br />
by force, il governo mediante la forza, che sostituì la<br />
fondazione del corpo politico.<br />
«Violenza, la polizia e le forze armate, che nel-<br />
l’ambito della nazione erano soggette al controllo del-<br />
le autorità civili, si arrogarono le prerogative di rap-<br />
presentanti nazionali nelle colonie, dove erano state
81<br />
dislocate come custodi del capitale investito. Qui in<br />
regioni arretrate senza industrie e organizzazione po-<br />
litica, dove la violenza aveva più libertà d’azione che<br />
in qualsiasi paese occidentale, si consentì alle cosid-<br />
dette leggi del capitalismo di diventare realtà». 73<br />
Lontano dal potere delle leggi, lontano da quella<br />
funzione costituzionale che è loro propria, l’esercito e<br />
la polizia diventano strumenti di violenza dalla forza<br />
incontrollabile. Si era violato uno dei principi fonda-<br />
mentali dello stato costituzionale.<br />
Scambiando espansione per conquista, inoltre, gli<br />
imperialisti governavano, piuttosto che per leggi, per<br />
ordinanze e decreti.<br />
La confusione tra potere esecutivo e legislativo -<br />
in effetti le ordinanze e i decreti erano atti del potere<br />
esecutivo- dava luogo nelle colonie all’arbitrarietà e<br />
all’arroganza dei funzionari, i quali preferivano che<br />
«l’africano restasse africano» 74 per salvaguardare i<br />
______________________________<br />
73 Ibidem, p. 190.<br />
74 Ibidem, p. 18<strong>2.</strong>
82<br />
propri affari laddove le leggi, invece, avrebbero ga-<br />
rantito la legittimità del riconoscimento paritario tra<br />
coloro che erano sottomessi al medesimo governo.<br />
Pertanto le istituzioni democratiche esistenti erano<br />
pericolose perché, come si legge da un discorso di Lord<br />
Cromer in parlamento, non si poteva governare «un<br />
popolo per mezzo di un altro popolo, il popolo india-<br />
no per mezzo del popolo inglese». 75<br />
«La burocrazia era un governo di tecnici, una<br />
“minoranza esperta”, che doveva resistere alla costan-<br />
te pressione della “maggioranza inesperta”», 76 il po-<br />
polo, a cui non era possibile affidare la cura dell’am-<br />
ministrazione delle colonie.<br />
I funzionari erano abilmente manipolati dagli uo-<br />
mini di affari, non avevano idee politiche generali né<br />
erano eccessivamente patriottici, anzi, le loro qualità<br />
erano la segretezza, l’anonimato, il potere da eminen-<br />
za grigia.<br />
______________________________<br />
75 Ibidem, p. 298.<br />
76 Ibidem, p. 298.
83<br />
Gli uomini dell’imperialismo erano individui ‘de-<br />
classati’, senza un’effettiva funzione sociale, alienati<br />
dal corpo sociale, parassiti senza identità che si appas-<br />
sionarono all’avventura imperialista pensando di po-<br />
ter gestire un potere assoluto o segreto. «L’alleanza<br />
plebe e capitale è all’origine di ogni coerente politica<br />
imperialista». 77<br />
La Arendt chiarisce che non bisogna confondere<br />
la plebe né con il proletariato industriale, né con il<br />
popolo nel suo insieme: essa è formata dagli scarti di<br />
tutte le classi sociali, è «una massa di persone priva di<br />
qualsiasi principio e numericamente così forte da su-<br />
perare la capacità dello stato di occuparsene». 78<br />
Direttamente prodotta dalla borghesia, con que-<br />
sta rivela una profonda affinità sul piano politico,<br />
lontana da ipocrisie e falsi valori e fortemente en-<br />
tuasiasta delle teorie razziali che escludevano in li-<br />
nea di principio l’idea di umanità e ogni possibile<br />
______________________________<br />
77 Ibidem, p. 216.<br />
78 Ibidem, p. 219.
84<br />
relazione con il diverso, il selvaggio, che non fosse<br />
di mera sudditanza.<br />
Per dare meglio un quadro degli uomini dell’im-<br />
perialismo, la Arendt cita alcuni esempi, da Lawrence<br />
d’Arabia a Lord Cromer fino ai personaggi dei romanzi<br />
di Kipling e di Cuore di tenebra di Conrad.<br />
Quello che le preme sottolineare, in effetti, è che<br />
erano uomini annoiati o falliti nel loro paese di origi-<br />
ne di cui avevano rifiutato i valori e pronti a tutto nelle<br />
colonie per conquistare un’identità e condizioni di vita<br />
soddisfacenti.<br />
I tratti distintivi dell’imperialismo, dunque, sono<br />
1) le teorie razziste, che sostituirono la razza alla na-<br />
zione come base della struttura politica, e 2) l’orga-<br />
nizzazione burocratica, che ne fu lo strumento.<br />
Il razzismo come strumento di dominio venne usa-<br />
to, ancor prima che l’imperialismo lo definisse come<br />
idea politica, dai boeri nel Sudafrica, i quali, emigrati<br />
intorno al XVII secolo dall’Olanda, ripudiarono l’ethos<br />
europeo e, vivendo in un ambiente che non erano in
85<br />
grado di trasformare, non trovarono altro valore più<br />
alto che in se stessi. Essi si considerarono individui<br />
più che umani, scelti da Dio per essere gli dei del po-<br />
polo nero, inferiore non tanto per il colore della pelle<br />
quanto per ragioni economiche: a stretto contatto con<br />
la natura, gli indigeni non avevano creato né modifi-<br />
cato il mondo e la realtà umana. Con la scoperta di<br />
giacimenti auriferi e diamantiferi, il Sudafrica fu terra<br />
di investimento per i finanzieri ebrei, i quali divenne-<br />
ro immediatamente bersaglio di odio antisemita da<br />
parte dei boeri per il pericolo di innovazioni nella loro<br />
società razziale. Essi erano potenziali elementi desta-<br />
bilizzanti presso una comunità che temeva fanatica-<br />
mente l’industrializzazione del paese.<br />
Il Sudafrica ebbe una particolare influenza sui<br />
popoli europei: «insegnò alla plebe quel che essa ave-<br />
va vagamente presentito, che bastava la mera violenza<br />
per creare a piacimento strati inferiori o sfruttati, che a<br />
tale scopo non occorreva neppure una rivoluzione, ma<br />
si poteva contare sull’aiuto di certi gruppi delle classi
86<br />
dominanti, e infine che i popoli stranieri o arretrati<br />
offrivano la migliore occasione per l’ascesa nella so-<br />
cietà». 79<br />
Se Hobbes poteva essere ritenuto il teorico ante-<br />
signano della politica imperialista, alcuni nobili fran-<br />
cesi del Settecento avevano creato i prodromi per le<br />
teorie razziste che vennero messe in atto nel corso del<br />
Novecento. Il conte de Boulainvilliers, ad esempio,<br />
aveva sostenuto che la nobiltà francese era di origine<br />
germanica e che aveva conquistato la terra di Francia,<br />
ora depredata da quell’alleanza della monarchia con il<br />
terzo stato.<br />
Nessuno avrebbe mai sospettato che si preparava<br />
la guerra civile, quella rivoluzione che rivendicava<br />
eguali diritti civili per i cittadini di tutta la nazione<br />
francese. L’aristocrazia, in effetti, affermava la sua<br />
superiorità per un’azione di conquista e non già per<br />
fattori biologici.<br />
______________________________<br />
79 Ibidem, pp. 287-288.
87<br />
Diversamente fu per la Germania.<br />
Il pensiero razzista tedesco nacque, secondo la<br />
Arendt, dopo la disfatta dei prussiani da parte di Na-<br />
poleone. Si cercò di fare appello ad un generico senti-<br />
mento di nazione per rafforzare l’unità interna di un<br />
popolo che si riconosceva dapprima nell’unità lingui-<br />
stica, poi nelle teorie fondate sulla razza, poiché man-<br />
cava sia l’unità territoriale sia la memoria storica. Fu-<br />
rono i razzisti tedeschi che identificarono il popolo<br />
con la razza, idealizzando sulla scia romantica il Me-<br />
dioevo e il Sacro Romano Impero.<br />
Accanto a queste analisi storico-comparative, di<br />
cui marcato è il tono sociologico, la Arendt menziona<br />
anche la portata delle teorie eugenetiche e del darwini-<br />
smo sociale, con cui si negava l’origine unica e bibli-<br />
ca dell’uomo.<br />
Se l’imperialismo coloniale, comunque, aveva<br />
minato la stabilità della politica estera degli Stati eu-<br />
ropei, creando una dicotomia tra governo metropoli-<br />
tano e colonie, è l’imperialismo continentale, soste-
88<br />
nuto dai movimenti panslavisti e pangermanisti, che<br />
disintegrerà internamente la struttura dello Stato-na-<br />
zione.<br />
L’imperialismo continentale fu proprio dell’area<br />
orientale dell’Europa, di quegli Stati che non avevano<br />
partecipato all’espansione geografica d’oltremare e<br />
che, secondo una soluzione di continuità geografica,<br />
pretendevano di creare colonie sul continente.<br />
«L’imperialismo continentale ebbe realmente ini-<br />
zio in patria». 80<br />
Esso esprimeva esigenze nazionali, contrapponen-<br />
do all’economia «un’ “ampliata coscienza etnica” che<br />
si supponeva unisse tutte le persone della stessa origi-<br />
ne etnica, indipendentemente dalla storia, dalla lingua<br />
e dal luogo di residenza». 81<br />
Questa sorta di nazionalismo tribale, come spre-<br />
giativamente è definito dalla Arendt, aveva in comune<br />
con l’imperialismo coloniale il razzismo, inteso come<br />
______________________________<br />
80 Ibidem, p. 31<strong>2.</strong><br />
81 Ibidem, p. 31<strong>2.</strong>
89<br />
rifiuto del diverso, inferiore e sottoposto, e la burocra-<br />
zia, ampiamente descritta da Kafka nei suoi romanzi.<br />
Esso aveva fatto sue le teorie razziali distinguen-<br />
do non più tra pelle bianca o bruna, bensì tra anima<br />
ariana e non ariana; aveva fatto della nazionalità una<br />
qualità permanente proclamando l’origine divina del<br />
proprio popolo; si era proclamato indipendente dal ter-<br />
ritorio osteggiando tutti gli organismi statali esistenti<br />
e identificando il cittadino con il membro del gruppo<br />
nazionale.<br />
Pur mancando di un preciso programma politico,<br />
centrale nella sua ideologia divenne l’antisemitismo<br />
come se fosse una visione generale del mondo, isolan-<br />
do così l’odio ebraico da ogni concreta esperienza<br />
politica, sociale ed economica.<br />
Il nazionalismo tribale nacque in un’atmosfera di<br />
profondo sradicamento.<br />
Panslavisti e pangermanisti si riconoscevano non<br />
già per avere una patria territorialmente e giuridica-<br />
mente definita, bensì come ‘tribù’.
90<br />
In questo senso, sottolinea la Arendt, il popolo si<br />
riconosce in quanto massa, orda in movimento, e la<br />
sua forma di rappresentanza non poteva più essere il<br />
partito ma il movimento stesso.<br />
I partiti, in effetti, mediavano nella vita politica di<br />
un paese, ma non si era dimostrati efficaci, poiché,<br />
molto più legati al potere che a ideali democratici e<br />
parlamentari, si erano macchiati di abusi e corruzione<br />
escogitando giustificazioni ideologiche che facevano<br />
coincidere interessi privati con quelli più generali del-<br />
l’umanità. Il risultato fu il progressivo allontanamen-<br />
to dal governo delle masse, sempre più antiparlamen-<br />
tari e antidemocratiche, anzi, proprio per il clima di<br />
sfiducia che si era venuto a creare veniva richiesta la<br />
presenza di un dittatore come guida del paese.<br />
La Arendt affronta su un piano comparativistico<br />
la questione della disgregazione dei partiti, che è, in<br />
fondo, la disgregazione dello Stato-nazione nel senso<br />
della perdita dei valori democratici e parlamentari,<br />
nonché del diritto alla cittadinanza.
91<br />
Lo svolgimento è stato ben diverso nei paesi del-<br />
l’Europa occidentale rispetto a quella orientale. In In-<br />
ghilterra, ad esempio, il sistema rappresentativo era<br />
solido grazie al bipolarismo, all’alternanza dei due<br />
partiti al potere; mentre in Germania lo Stato «sviri-<br />
lizzava» 82 i partiti, nel senso che «il sistema tedesco<br />
faceva del parlamento un campo di battaglia di inte-<br />
ressi e di opinioni contrastanti, la cui funzione pratica<br />
per la direzione degli affari statali era estremamente<br />
discutibile». 83<br />
L’antagonismo stato-società venne poi spazzato<br />
via dai seguenti movimenti totalitari.<br />
La crisi interna allo Stato-nazione viene acuita<br />
dalla situazione degli ‘apolidi’, gli Heimatlose, grup-<br />
pi che con la guerra del 1914 erano emigrati da un<br />
paese ad un altro privati dei diritti umani garantititi<br />
dalla cittadinanza, condannati all’ apolidicità come<br />
‘schiuma della terra’.<br />
______________________________<br />
82 Ibidem, p. 357.<br />
83 Ibidem, p. 357.
92<br />
Cechi, sloveni, ebrei, russi bianchi e altre mino-<br />
ranze costrette allo spostamento territoriale per la ca-<br />
duta dell’Impero russo, austro-ungarico e ottomano,<br />
erano unicamente tutelati per una serie di trattati inter-<br />
nazionali, i Minority Traties, spesso rimasti pura enti-<br />
tà astratta.<br />
In molti Stati europei, inoltre, erano state intro-<br />
dotte leggi che permettevano la denazionalizzazione e<br />
la denaturalizzazione; il primo provvedimento venne<br />
preso in Francia già nel 1915 in relazione ai cittadini<br />
naturalizzati provenienti da un paese nemico; poi nel<br />
1922 il Belgio annullava la naturalizzazione delle per-<br />
sone che avevano commesso atti antinazionali duran-<br />
te la guerra; nel 1926 in Italia il regime di Mussolini<br />
emanò una legge analoga per quei cittadini che si era-<br />
no mostrati «indegni della cittadinanza italiana o rap-<br />
presentavano una minaccia per l’ordine pubblico»;<br />
l’Austria nel 1933 per chi avesse commesso azioni<br />
ostili nei suoi confronti e via via fino al 1935 quando<br />
con le leggi di Norimberga la Germania distinse i te-
93<br />
deschi in cittadini a pieno titolo e cittadini senza diritti<br />
politici. 84<br />
La Arendt, considerando l’apolidicità un fenome-<br />
no di massa tutto contemporaneo, tiene a precisare la<br />
differenza tra minoranze e apolidi.<br />
«Le minoranze erano senza stato solo a metà; al-<br />
meno de jure appartenevano a un organismo statale,<br />
anche se avevano bisogno di una protezione supple-<br />
mentare e di speciali garanzie per godere di certi dirit-<br />
ti. (...) Le minoranze potevano essere considerate come<br />
un fenomeno eccezionale, proprio di determinati ter-<br />
ritori che deviavano dalla norma». 85<br />
E i trattati sulle minoranze dicevano quello che<br />
già era implicito nel sistema degli stati nazionali, cioè<br />
che solo l’appartenenza alla nazione dominante dava<br />
veramente diritto alla cittadinanza e alla protezione<br />
giuridica, per cui i ‘gruppi allogeni’ erano soggetti solo<br />
______________________________<br />
84 Ibidem, nota p. 387 e ss. Cfr. anche G. Agamben, Mezzi senza fini.<br />
Note sulla politica. Torino, Bollati Boringhieri, 1996.<br />
85 Ibidem, p. 384.
94<br />
a leggi eccezionali fino a quando non si compiva l’as-<br />
similazione. A tutela era stata creata la Lega delle na-<br />
zioni.<br />
Gli apolidi, invece, erano stati privati della citta-<br />
dinanza, nel senso che «essa presupponeva una strut-<br />
tura statale che, se non ancora completamente totalita-<br />
ria, non tollerava alcuna opposizione e preferiva per-<br />
dere dei cittadini piuttosto che albergare nel suo seno<br />
dei dissenzienti». 86<br />
Quanto fosse perverso questo meccanismo e quan-<br />
to sia attuale, viene sottolineato dalla Arendt investen-<br />
do della sua critica anche il paese democratico per<br />
antonomasia, gli Stati Uniti, allorquando si era creata<br />
la possibilità, durante il periodo maccartista, di priva-<br />
re della cittadinanza gli americani comunisti.<br />
La perdita della cittadinanza è quanto di più of-<br />
fensivo si possa fare ad un uomo, agli uomini, perché<br />
significa la privazione di uno spazio pubblico di rico-<br />
______________________________<br />
86 Ibidem, p. 387.
95<br />
noscimento, di un agire politico di concerto che dia<br />
peso alle opinioni e alle azioni e che, secondo la Aren-<br />
dt, può realizzare quella dignità di essere-uomini.<br />
In questo senso vengono messi in questione gli<br />
stessi diritti dell’uomo ritenuti inalienabili dalla Di-<br />
chiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del<br />
1789, con cui, per l’appunto, si è creata la perfetta coin-<br />
cidenza di uomo e cittadino.<br />
L’apolide segna la crisi di questo rapporto e, di<br />
riflesso, anche la crisi dello Stato-nazione perché vie-<br />
ne meno quella triade Stato-nazione-territorio, quindi<br />
lo stesso concetto di sovranità.<br />
Rimedi furono considerati il diritto all’asilo, il rim-<br />
patrio e la naturalizzazione, ma nessuno di questi fu<br />
storicamente e politicamente adeguato.<br />
Gli apolidi furono costretti, infatti, ad un’esisten-<br />
za crepuscolare.<br />
La Arendt prende così una posizione netta e pre-<br />
cisa anche rispetto al problema palestinese, quando,<br />
cioè, venne creato in Palestina lo Stato d’Israele.
96<br />
Sembrava, infatti, che la questione ebraica non<br />
dovesse avere una risoluzione, eppure venne affronta-<br />
ta con la colonizzazione e la conquista di un territorio,<br />
producendo, non a caso, una nuova categoria di apoli-<br />
di, i profughi arabi.<br />
Quella degli apolidi è una nuova categoria da cui<br />
ripensare la comunità politica e la stessa figura di po-<br />
polo. E’ come una maledizione che accompagna «il<br />
sorgere di nuovi stati, fondati sulla falsariga dello sta-<br />
to nazionale. Questa maledizione contiene i germi di<br />
una malattia mortale per i nuovi organismi. Perché lo<br />
stato nazionale non può esistere una volta infranto il<br />
principio di uguaglianza di tutti di fronte alla legge.<br />
Senza questa uguaglianza, che in origine era destinata<br />
a sostituire i vecchi ordinamenti della società feudale,<br />
esso si dissolve in una massa anarchica di privilegiati<br />
e di diseredati. Le leggi che non sono uguali per tutti<br />
danno luogo a privilegi, qualcosa che contrasta con la<br />
stessa natura dello stato nazionale. Quando questo non<br />
è in grado di trattare gli apolidi come soggetti politici
97<br />
e lascia ampio campo d’azione all’arbitrio delle misu-<br />
re poliziesche difficilmente resiste alla tentazione di<br />
privare tutti i cittadini del loro status e di governarli<br />
con una polizia onnipotente». 87<br />
Secondo tale prospettiva, potremmo dire che sia il<br />
capitolo sull’Antisemitismo che quello sull’Imperialismo<br />
altro non sono che una continua ricerca, da parte della<br />
Arendt, delle ragioni della perdita dell’identità individua-<br />
le e collettiva da parte della comunità politica occidentale.<br />
L’errore è stato quello di non aver trovato nulla di<br />
sacro nell’astratta nudità dell’essere nient’altro-che-<br />
uomo. 88<br />
«La nostra vita politica si fonda sul presupposto<br />
che possiamo instaurare l’eguaglianza attraverso l’or-<br />
ganizzazione, perché l’uomo può trasformare il mon-<br />
do e crearne uno di comune, insieme coi suoi pari e<br />
soltanto con essi». 89<br />
______________________________<br />
87 Ibidem, p. 40<strong>2.</strong><br />
88 Ibidem, p. 415.<br />
89 Ibidem, p. 417.
98<br />
La messa la bando e la riduzione dell’uomo a mera<br />
esistenza ha strappato ogni legame del singolo con<br />
l’umanità, ha impedito il rispetto della pluralità e il<br />
riconoscimento che l’uguaglianza dei popoli è solo, e<br />
non può essere che solo giuridica, «risultato dell’or-<br />
ganizzazione umana nella misura in cui si fa guidare<br />
dal principio di giustizia. Non si nasce uguali; si di-<br />
venta uguali come membri di un gruppo in virtù della<br />
decisione di garantirsi reciprocamente eguali diritti». 90<br />
Ciò che è andato storto nella politica, e che ha<br />
dato corpo all’evento totalitarismo, è stato la confu-<br />
sione tra sfera pubblica e sfera privata, lo schiaccia-<br />
mento del politico sul sociale, la perdita dello spazio<br />
pubblico dell’azione.<br />
______________________________<br />
90 Ibidem, p. 417 e ss.
CAPITOLO TERZO<br />
LA CATEGORIA ‘TOTALITARISMO’<br />
«Indietro, via di qui, gente sommersa,<br />
Andate. Non ho soppiantato nessuno,<br />
Non ho usurpato il pane di nessuno,<br />
Nessuno è morto in vece mia. Nessuno.<br />
Ritornate alla vostra nebbia.<br />
Non è mia colpa se vivo e respiro<br />
e mangio e bevo e dormo e vesto panni».<br />
(Levi, Il superstite, 1984)<br />
Che cosa resta? Resta la lingua materna.<br />
(H. Arendt)
100<br />
1. Il mutato sfondo socio-politico tra i due secoli:<br />
la nuova società di massa<br />
Rompendo quella linea di continuità causa ed<br />
effetto, in alternativa, quindi, al metodo ‘continui-<br />
sta’ dello storico, 91 la Arendt rintraccia nella crisi di<br />
valori e nella rottura della tradizione dell’ Europa<br />
occidentale i germi da cui prenderà corpo il totalita-<br />
rismo. Antisemitismo, imperialismo, crisi dello Sta-<br />
to-nazione, atomizzazione della società rappresen-<br />
tavano il collasso della società illuministica e ven-<br />
gono puntualmente esaminati sul piano storico, po-<br />
litico, sociologico e psicologico, dalla Arendt, per-<br />
ché fenomeni nuovi, che mettono in discussione il<br />
______________________________<br />
91 Circa il rapporto H. Arendt-metodo storico, cfr. in particolare: M.<br />
Salvati, Hannah Arendt e la storia del novecento, in Aa. Vv., Nazismo,<br />
fascismo, comunismo, Totalitarismi a confronto, a cura di M. Flores,<br />
Milano, Bruno Mondadori, 1998; V. Marchetti, Resistenza ebraica,<br />
antisemitismo, totalitarismo, in Aa. Vv., Nazismo, op. cit.; A. Enégren,<br />
op. cit.; G. Even-Gramboulan, Hannah Arendt face à l’histoire, in Aa.<br />
Vv., Hannah Arendt et la modernité, a cura di A. M. Roviello, Vrin,<br />
199<strong>2.</strong>
101<br />
lessico politico e filosofico e impongono nuove mo-<br />
dalità di comprensione.<br />
Che cosa sia il totalitarismo e che cosa abbia si-<br />
gnificato per quella sua carica dirompente nella vita<br />
della comunità politica è analizzato nella terza parte<br />
de Le origini del totalitarismo in modo meno schema-<br />
tico, ma con altrettanta intensità, a partire dal tramon-<br />
to della società classista e da quel processo di massifi-<br />
cazione a cui hanno rivolto la loro attenzione filosofi<br />
e storici come T. W. Adorno, W. Reich, E. Canetti, E.<br />
Broch, G. Mosse. 92<br />
Maggiore influenza per la Arendt ha avuto State<br />
of the Masses di E. Lederer, in cui l’autore contrappo-<br />
ne alla società dell’opinione pubblica la minaccia di<br />
una società senza classi. Lederer ha studiato il rappor-<br />
______________________________<br />
92 Sull’opera di W. Reich circa la psicologia delle masse e il fascismo e<br />
sugli accenni fatto da Adorno sullo stesso argomento, cfr. S. Moscovici,<br />
L’âge des foules, Paris, Complexe, 1985; E. Canetti, Masse und macht,<br />
Hamburg, Classen, 1960, trad. it. Masse e potere, Milano, Rizzoli, 1973;<br />
H. Broch, Massenpsycologie, Zürich, Rhein, 1959; G. Mosse, L’uomo e<br />
le masse nelle ideologie nazionaliste, Bari, Laterza, 1995.
102<br />
to privilegiato della massa con il capo totalitario e ha<br />
definito lo stato dittatoriale come fondato sul terrore<br />
«distruggendo i gruppi sociali di ogni tipo, sradicando<br />
la ragione, consegnando l’uomo alle sue emozioni» e<br />
istituzionalizzando inevitabilmente le masse. 93<br />
Nella bibliografia de Le origini del totalitarismo,<br />
si fa riferimento anche al testo di Ortega y Gasset, La<br />
ribellione delle masse, 94 di cui la Arendt non condivi-<br />
de l’ipotesi ‘deterministica’ secondo cui è meccanico<br />
ed inevitabile che la società moderna arrivi alla massi-<br />
ficazione, giacché essa è fondata su individui isolati,<br />
privi di interessi e responsabilità.<br />
In questo senso la Arendt è molto più prossima a Toc-<br />
queville e al pessimismo di Burckhardt, che pure avevano<br />
sottolineato i rischi di un’attrazione a dir poco naturale e<br />
______________________________<br />
93 E. Lederer, The State of masses. The Treat of the Classless Society,<br />
New York, W. W. Norton, 1940, trad. it. parziale, Lo Stato delle masse,<br />
in M. Salvati, Da Berlino a New York, Bologna, Cappelli, 1989.<br />
94 J.Ortega y Gasset, La rebelion de las masas, Madrid, «Revista de<br />
Ocidente», 1929; trad. it. La ribellione delle masse, Bologna, Il Mulino,<br />
196<strong>2.</strong>
103<br />
spontanea verso sistemi dispotici e autoritari di individui<br />
completamente deresponsabilizzati e «superflui», appar-<br />
tenenti peraltro a tutte le classi sociali.<br />
«Il termine “massa” si riferisce soltanto a gruppi<br />
che, per l’entità numerica o per indifferenza verso gli<br />
affari pubblici o per entrambe le ragioni, non possono<br />
inserirsi in un’organizzazione basata sulla comunanza<br />
di interessi, in un partito politico, in un’ amministra-<br />
zione locale, in un’associazione professionale o in un<br />
sindacato. Potenzialmente, essa esiste in ogni paese e<br />
forma la maggioranza della folta schiera di persone<br />
politicamente neutrali che non aderiscono mai ad un<br />
partito e fanno fatica a recarsi alle urne». 95<br />
La Arendt non riconosce alcuna capacità di azio-<br />
ne alla ‘massa’, che è soggetto passivo, facilmente<br />
manipolabile, diversamente dall’interpretazione della<br />
critica socialista e marxiana che ne dà una valenza<br />
positiva. 96<br />
______________________________<br />
95 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 431.<br />
96 R. Williams, Cultura e rivoluzione industriale, Torino, Einaudi, 1968.
104<br />
Indubbiamente ella rimarca che le masse sono il<br />
portato della degenerazione dell’individualismo bor-<br />
ghese e di una società atomizzata in cui la competiti-<br />
vità e il senso di solitudine dell’individuo erano state<br />
contenute dall’appartenenza ad una classe, tant’è che<br />
la peculiarità dell’uomo di massa era l’isolamento e la<br />
mancanza di relazioni sociali, piuttosto che la brutali-<br />
tà e la rozzezza. Potremmo dire con il Kornhauser che<br />
«sotto il profilo oggettivo è società atomizzata, sotto<br />
il profilo soggettivo è popolazione alienata». 97<br />
«Il crollo della muraglia protettiva classiste tra-<br />
sformò le maggioranze addormentate, fino ad allora a<br />
rimorchio dei partiti, in una grande massa, disorganiz-<br />
zata ed amorfa, di individui pieni di odio che non ave-<br />
vano nulla in comune tranne la vaga idea che le spe-<br />
ranze degli esponenti politici in un ritorno dei bei tempi<br />
andati fossero campate in aria e che quindi i rappre-<br />
sentanti della comunità rispettati come i suoi membri<br />
______________________________<br />
97 W. Kornhauser, The Politics of Mass Society, Free Press, Glencoe,<br />
1959.
105<br />
più preparati e perspicaci fossero in verità dei folli,<br />
alleatisi con le potenze dominanti per portare, nella<br />
loro stupidità o bassezza fraudolenta, tutti gli altri alla<br />
rovina». 98<br />
E’ una massa di uomini disperati e insoddisfatti,<br />
come i deracinés dei salotti borghesi del tardo Otto-<br />
cento e i parassiti e gli avventurieri dell’imperialismo.<br />
Sono la «generazione del fronte», totalmente spo-<br />
liticizzata, educata alla guerra e alla vita di trincea, ad<br />
un attivismo e ad una esaltazione del proprio io che si<br />
riduceva ad un «fare qualcosa, di eroico o di crimina-<br />
le, che fosse imprevedibile e indeterminato da altri». 99<br />
Il terrorismo di cui si vantavano esprimeva la fru-<br />
strazione e l’odio di quanti consideravano la guerra,<br />
con la sua implacabile arbitrarietà, simbolo della mor-<br />
te e legge dell’universo nonché origine di un nuovo<br />
ordine mondiale.<br />
______________________________<br />
98 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 436.<br />
99 Ibidem, p. 459.
106<br />
Il processo di ‘massificazione’ rifletteva la disso-<br />
luzione dei legami sociali, l’appiattimento della pira-<br />
mide sociale, l’annullamento delle differenziazioni<br />
individuali e di quelle strutture che garantiscono il plu-<br />
ralismo in un istituzione democratica.<br />
Più specificamente la società di massa è una con-<br />
dizione necessaria, ma non sufficiente, per l’instaura-<br />
zione di un regime totalitario.<br />
La Arendt osserva che «per trasformare la dittatu-<br />
ra rivoluzionaria di Lenin in un regime totalitario, Sta-<br />
lin dovette prima creare artificialmente quella società<br />
atomizzata che in Germania per i nazisti era stata pre-<br />
parata dagli avvenimenti storici». 100 Fu necessario,<br />
cioè, distruggere quegli antichi rapporti di classe, fa-<br />
miglia e villaggio molto radicati in Russia fin dal Me-<br />
dioevo; annientare le vecchie classi; cancellare le me-<br />
morie del passato; operare quello sradicamento che<br />
nell’Europa occidentale si era venuto svolgendo già<br />
______________________________<br />
100 Ibidem, p. 441.
107<br />
da tempo. La destrutturazione della società era fina-<br />
lizzata alla edificanda società totalitaria, al «nuovo<br />
ordine» in cui, tuttavia, occorreva mantenere la mobi-<br />
litazione, i fattori disgreganti e le spinte massificanti,<br />
in modo da impedire la stabilità e il dimensionamento<br />
in dittatura monopartitica.<br />
Aclassista, antipluralista, il totalitarismo, che pure<br />
si basa sulla ‘disponibilità’ 101 di base della società di<br />
massa, crea «il dominio permanente di ogni singolo<br />
individuo in qualsiasi aspetto della vita». 102<br />
In questo sfacelo generale di valori e di aspirazio-<br />
ni, sia la plebe che l’élite intellettuale erano attratte<br />
dall’impeto dei movimenti totalitari.<br />
Il culto della violenza e il gangsterismo sembra-<br />
vano smascherare l’ipocrisia della borghesia. La «mo-<br />
rale a doppio uso» era bersaglio di aspri attacchi da<br />
______________________________<br />
101 S. Neumann, Permanent Revolution, Harper, New York 1942; D.<br />
Fisichella, Elezioni e democrazia. Un’analisi comparata, Bologna, Il<br />
Mulino, 1983.<br />
102 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 451
108<br />
parte degli artisti e degli intellettuali, sia dell’arte del-<br />
le avanguardie che della letteratura e del teatro. Parti-<br />
colarmente significativa, a proposito, fu la calda acco-<br />
glienza della ironica Dreigrischenoper di Brecht nella<br />
Germania prehitleriana, dramma che identificava i<br />
gangsters come rispettabili affaristi e gli affaristi come<br />
rispettabili gangsters.<br />
«La plebe applaudiva perché prendeva l’afferma-<br />
zione alla lettera; la borghesia, perché era stata così a<br />
lungo ingannata dalla sua stessa ipocrisia da essere<br />
stanca della tensione e da trovare una profonda sag-<br />
gezza nell’espressione della banalità con cui viveva;<br />
l’élite, perché lo smascheramento dell’ipocrisia era un<br />
divertimento meraviglioso.<br />
L’effetto era l’opposto di quello che si era prefis-<br />
sato Brecht». 103<br />
Questa distorta alleanza fra plebe ed élite era ba-<br />
sata su un equivoco accidentale: la plebe, in quanto<br />
______________________________<br />
103 Ibidem, p. 464.
109<br />
scarto della borghesia, pensava che grazie alle masse<br />
avrebbe potuto ottenere il potere e rimpiazzare i vec-<br />
chi strati della società borghese; l’élite, affascinata dal<br />
radicalismo totalitario, riusciva grazie ad un certo fa-<br />
natismo rivoluzionario, a manipolare e mobilitare le<br />
masse, escludendole dai centri vitali del potere.<br />
In ogni caso era necessario imbrigliare e allineare la<br />
massa di filistei, in cui si identificava «il borghesuccio gret-<br />
to che in mezzo alle rovine del suo mondo aveva a cuore<br />
soltanto la sicurezza personale ed era pronto a sacrificare<br />
ogni cosa -fede, onore, dignità- al minimo pericolo.<br />
Nulla si rivelò più facilmente distruttibile dell’in-<br />
timità e della moralità privata di gente che pensava<br />
unicamente a salvaguardare l’ininterrotta normalità<br />
della propria vita». 104<br />
______________________________<br />
104 Ibidem, p.469. Ancora più incisiva è la Arendt quando individua nel<br />
buon padre di famiglia il tipo dell’uomo-massa: «Credo sia stato Péguy a<br />
chiamare il padre di famiglia “grand aventurier du 20° siècle”, ma è morto<br />
troppo presto per imparare che quel tipo d’uomo era anche il grande criminale<br />
del secolo. Eravamo talmente abituati ad ammirare o a canzonare garbatamante<br />
il padre di famiglia per le sue affettuose premure e la sua assidua
110<br />
E saranno proprio costoro a macchiarsi dei più<br />
nefandi crimini, dopo anni di livellamento per mezzo<br />
di una propaganda menzognera e una capillare orga-<br />
nizzazione di potere.<br />
______________________________<br />
dedizione al benessere della famiglia, per la sua solenne determinazione ad<br />
assicurare alla moglie e ai figli una vita agiata, che non ci siamo accorti di<br />
quanto il devoto paterfamilias, la cui preoccupazione principale era la propria<br />
sicurezza, si fosse involontariamente trasformato, sotto la spinta della<br />
caotica situazione economica del nostro tempo, in un avventuriero, al quale<br />
non bastava una grande industriosità ed accortezza per essere certo di quello<br />
che il giorno sucessivo gli avrebbe riservato. (...) Ci voleva solo il genio<br />
satanico di Himmler per scoprire che, dopo una simile degradazione, quest’uomo<br />
sarebbe stato completamente disposto a fare letteralmente di tutto<br />
quando la posta si fosse alzata e la piatta esistenza della sua famiglia fosse<br />
minacciata. (...) Così oggi può accadere che quella stessa persona, il tedesco<br />
medio, che anni di propaganda nazista non erano riusciti a convincere ad<br />
uccidere un ebreo (neppure quando divenne abbastanza chiaro che un siffatto<br />
omicidio sarebbe rimasto impunito), accetti senza opporsi di mettersi al<br />
servizio della macchina della distruzione. (...) Diversamente dalle prime<br />
unità delle SS e della Gestapo, l’organizzazione totale di Himmler non conta<br />
sui fanatici, né sugli assassini per natura, né sui sadici; essa fa interamente<br />
assegnamento sulla normalità dei lavoratori e dei padri di famiglia», in Colpa<br />
organizzata e responsabilità universale, articolo del gennaio 1945, ora in<br />
Ebraismo e modernità, a cura di G. Bettini, Milano, Feltrinelli, 1993. La<br />
Arendt rimarca questo carattere della ‘normalità’ anche quando ritrae Eichmann<br />
in La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli,<br />
1993.
111<br />
<strong>2.</strong> Gli strumenti del totalitarismo:<br />
propaganda, polizia segreta e burocrazia.<br />
L’ideologia come «logica di un’idea».<br />
La Arendt ritiene che la propaganda sia lo stru-<br />
mento di cui il movimento totalitario si serva, almeno<br />
in un momento iniziale, perché sia possibile «trasfor-<br />
mare la natura dell’uomo».<br />
Essa è rivolta in particolare alla sfera esterna, cioè<br />
agli strati non totalitari della popolazione o ai paesi stra-<br />
nieri perché evitassero qualsiasi ingerenza interna.<br />
La propaganda utilizzava la menzogna e la falsi-<br />
ficazione, che erano sì accorgimenti potestativi ma con<br />
la subdola finalità di sommergere le masse in un mon-<br />
do irreale di modo che fossero incapaci di lottare per i<br />
propri interessi concreti, si sentissero profondamente<br />
sradicate dal tessuto economico-sociale e aderissero<br />
pienamente alle astrazioni dell’ideologia totalitaria.<br />
La specificità tecnica della propaganda totalitaria<br />
è quella di investire gli uomini fin nella profondità
112<br />
psichica usando come espediente il terrore. Pertanto,<br />
oltre a forme di propaganda diretta, vi erano altrettan-<br />
te forme di propaganda indiretta, miranti a sostenere<br />
la mobilitazione totale, la guerra di una popolazione<br />
contro se stessa.<br />
Ma cosa veniva propagandato?<br />
«Nessuna propaganda basata sull’interesse puro<br />
e semplice può avere effetto fra masse che essendo<br />
caratterizzate principalmente dall’estraneità a qualsi-<br />
asi corpo sociale e politico, presentano un vero caos<br />
di interessi individuali.<br />
Il fanatismo dei militanti dei movimenti totalitari,<br />
così diverso qualitativamente dall’attaccamento dei<br />
membri dei partiti normali, è prodotto dalla mancanza<br />
di un interesse egoistico delle masse, che sono pronte<br />
a sacrificarsi.<br />
I nazisti hanno dimostrato che si può condurre in<br />
guerra un intero popolo con lo slogan «vittoria o di-<br />
struzione» (qualcosa che la propaganda bellicista del<br />
1914 avrebbe accuratamente evitato), e ciò non in un
113<br />
periodo di miseria, disoccupazione o ambizioni nazio-<br />
nali deluse». 105<br />
I movimenti totalitari, secondo la Arendt, svuotano<br />
di ogni contenuto utilitaristico i propri fondamenti dottri-<br />
nari e annunciano le loro finalità politiche attraverso for-<br />
me di predizione infallibile. In questo senso fanno dichia-<br />
razioni legate al futuro piuttosto che richiamandosi al glo-<br />
rioso passato, pensano nei termini del ‘millennio’ a veni-<br />
re, alimentano la fuga dalla realtà delle masse.<br />
«Prima di tirare intorno a sé una cortina di ferro<br />
per impedire che il più lieve rumore esterno turbi la<br />
spaventosa quiete di un mondo interamente immagi-<br />
nario, essi possiedono già, grazie alla loro propagan-<br />
da, la forza di segregare le masse del mondo reale». 106<br />
La finalità della propaganda, inoltre, non è tanto la<br />
persuasione quanto l’organizzazione, «l’arte di accumu-<br />
lare il potere senza possedere gli strumenti di potere».<br />
______________________________<br />
105 Ibidem, p.481. Cfr. G. Sartori, Cosa è “propaganda” ?, in «Rasse-<br />
gna italiana di sociologia», IV, 196<strong>2.</strong><br />
106 Ibidem, p.488.
114<br />
Per avere un’idea di come si strutturi l’organizzazio-<br />
ne totalitaria, la Arendt, in Che cos’è l’autorità, 107 la de-<br />
scrive in modo molto più semplice come una cipolla: «nel<br />
centro della quale, quasi in uno spazio vuoto, si trova il<br />
capo (...). Tra le innumerevoli parti del movimento: le or-<br />
ganizzazioni collaterali extrapartitiche, le varie associa-<br />
zioni professionali, gli iscritti al partito, la burocrazia del<br />
partito, le formazioni di élite e i gruppi paramilitari sono<br />
reciprocamente in una relazione tale da costituire, a se-<br />
conda del punto di vista, la superficie o il centro della ci-<br />
polla: cioè, rispetto a uno strato costituiscono il normale<br />
mondo esterno, mentre rispetto ad un altro rappresentano<br />
il radicalismo più estremista. Il grande vantaggio del si-<br />
stema è di fornire a ciascuno strato del movimento, nono-<br />
stante il regime totalitario, la finzione di una realtà norma-<br />
le e, insieme, la convinzione di differenziarsene e di esse-<br />
re più radicale».<br />
______________________________<br />
107 H. Arendt, Between Past and Future: Six Exercices in Political Thought,<br />
London, Faber and Faber, 1961; trad. it. Tra passato e futuro, Milano,<br />
Garzanti, 1991
115<br />
In questo modo, ritenendo che ci sia solo una dif-<br />
ferenza quantitativa tra ciascuno degli strati, nessuno<br />
è a conoscenza dell’ abisso che si è venuto a creare tra<br />
il mondo artificiale in cui vive e quello reale che lo<br />
circonda.<br />
Attraverso le organizzazioni frontiste e dei sim-<br />
patizzanti viene creata una nebbia di normalità e ri-<br />
spettabilità che inganna sui veri caratteri dell’ideolo-<br />
gia del movimento totalitario. Nell’isolamento dalle<br />
realtà, il capo totalitario prende le decisioni dall’inter-<br />
no della struttura stessa, né dall’esterno né dall’alto: il<br />
suo compito è «fare da magica difesa contro il mondo<br />
esterno e insieme da ponte con esso». 108<br />
La figura del capo come leader del movimento<br />
non è, comunque, la conditio sine qua non dell’instau-<br />
razione del regime totalitario, anche se il Führerprin-<br />
______________________________<br />
108 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 516. Sulla figura del<br />
‘capo’: L. Cavalli, Il capo carismatico, Bologna, Il Mulino, 1981; M.<br />
Stoppino, Totalitarismo, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario<br />
di politica, cit.
116<br />
zip e il culto della personalità non sono poi irrilevanti.<br />
La Arendt, infatti, chiarisce che «il principio del capo»<br />
non è di per sé totalitario ma ha colto elementi dal-<br />
l’autoritarismo e dalla dittatura militare.<br />
Il Führerprinzip poteva collegarsi ad una forte tra-<br />
dizione tedesca, ancor più sentita durante gli anni del<br />
sistema presidenziale della repubblica di Weimar, con<br />
la reggenza di Hidemburg, e presente nelle forme mi-<br />
litarizzanti delle associazioni giovanili e d’arma, nel<br />
diffuso atteggiamento antidemocratico, nelle ideolo-<br />
gie dominanti nella burocrazia e nell’esercito.<br />
Le crisi del 1923 e del 1930 avevano dato nuovo<br />
slancio all’appello verso l’uomo forte, un capo cari-<br />
smatico, attraverso cui il Führerprinzip diventava una<br />
sintesi di idee di ordine autoritario e militaresco con<br />
forme di legittimazione pseudodemocratico-plebisci-<br />
taria, manipolate attraverso la propaganda di massa.<br />
E’ la «volontà del Führer» che diventa legge suprema<br />
in uno stato totalitario e non i suoi ordini che defini-<br />
rebbero una struttura gerarchica.
117<br />
«L’autorità non filtra dal vertice agli strati inter-<br />
medi fino alla base del corpo politico come nel caso<br />
dei regimi autoritari. La ragione effettiva è che non<br />
c’è gerarchia senza autorità e che, malgrado i numero-<br />
si equivoci sulla cosiddetta “personalità autoritaria”,<br />
il principio di autorità è, in tutti gli aspetti importanti,<br />
diametralmente opposto a quello del dominio totalita-<br />
rio. A prescindere dalla sua origine nella storia roma-<br />
na, l’autorità in qualunque sua forma è sempre desti-<br />
nata a ridurre o limitare la libertà, ma mai ad abolirla.<br />
Il dominio totalitario, invece, mira a distruggerla, ad<br />
eliminare la spontaneità in genere, e non si accontenta<br />
affatto di una sua riduzione, per quanto tirannica». 109<br />
Tutto deve convergere alla costruzione di un mon-<br />
do fittizio: il mondo viene spogliato di quella multi-<br />
formità, di quel pluralismo che è elemento di disorien-<br />
tamento e disintegrazione per le masse.<br />
La Arendt tende a sfatare così un luogo comune<br />
______________________________<br />
109 Ibidem, p. 555.
118<br />
dei regimi totalitari, che essi siano garanti dell’ordine<br />
e della stabilità. Hitler e Stalin si servirono delle pro-<br />
messe di stabilità per nascondere la loro intenzione di<br />
creare uno stato di instabilità permanente.<br />
«Per un movimento totalitario entrambi i pericoli<br />
sono mortali: l’evoluzione verso l’assolutismo mette-<br />
rebbe fine al suo impeto interno, e un’evoluzione ver-<br />
so il nazionalismo impedirebbe l’espansione esterna,<br />
senza la quale non può sopravvivere. Esso deve ricor-<br />
rere a quella che, con Trotsky, si potrebbe chiamare<br />
“rivoluzione permanente”». 110 La rivoluzione totali-<br />
taria, dunque, è «rivoluzione permanente» in quanto<br />
risponde necessariamente a quella logica di perpetua-<br />
zione della guerra civile che l’ha originata.<br />
______________________________<br />
110 Ibidem, p. 536. Il termine ‘rivoluzione permanente’ compare già in<br />
Trotsky nel 1905 a proposito del fallimento dell’esperienza dei soviet di<br />
Pietrogrado e, in seguito, in polemica contro la cristallizzazione teorica<br />
fatta da Stalin del socialismo in un solo paese. Vedi R. Schnur, Rivoluzione<br />
e guerra civile, a cura di P.P. Portinaro, Milano, Giuffrè, 1986; L.<br />
Pellicani, Dinamica delle rivoluzioni, Milano, Sugarco,1974. Cfr. anche<br />
H. Arendt, On revolution, Viking Press, New York, 1963; trad. it. a cura<br />
di M. Magrini, Sulla rivoluzione, Milano, Edizioni Comunità 1996.
119<br />
All’ instabilità permanente fa da contrappeso la<br />
completa assenza di struttura: lo stato totalitario non è<br />
monolitico, anzi, come sistema monopartitico, esso,<br />
in concreto, si caratterizza secondo il dualismo Stato-<br />
partito o, per alcuni critici, secondo la divisione tra<br />
potere reale e potere apparente. 111<br />
La Arendt sostiene che «se si considera lo stato<br />
totalitario esclusivamente come uno strumento di po-<br />
tere lasciando da parte l’efficienza amministrativa, in-<br />
dustriale ed economica, la sua “mancanza di struttu-<br />
ra” appare il mezzo ideale per l’attuazione di quello<br />
che i nazisti chiamavano il principio del capo. La con-<br />
tinua concorrenza fra gli uffici che, oltre a sconfinare<br />
______________________________<br />
111cfr. F. Neumann, Behemoth. The Structure and Practice of National<br />
Socialism, Harper & Row, New York 1966. Neumann afferma che il<br />
regime nazional-socialista si caratterizzava attraverso quattro centri di<br />
potere fondamentali, ciascuno con il proprio esecutivo, legislativo e giudiziario.<br />
Fraenkel, ne Il doppio Stato, cit., teorizza, invece, la compresenza<br />
di uno Stato «normativo», non sospeso del tutto, che regola la<br />
produzione, ed uno Stato « discrezionale», in cui si esprimono gli obiettivi<br />
programmatici del nazismo, obiettivi accettati dal capitalismo tedesco<br />
purché gli sia riconosciuto il predominio nella sfera produttiva.
120<br />
con l’esercizio delle proprie funzioni nei settori altrui<br />
sono incaricati di compiti identici, rende pressoché<br />
impossibili l’opposizione e il sabotaggio». 112<br />
Il segno più evidente della mancanza di una ge-<br />
rarchia è la moltiplicazione dell’apparato burocrati-<br />
co, tant’è che «il cittadino del Terzo Reich era co-<br />
stretto a vivere sotto l’autorità simultanea e spesso<br />
contrastante di poteri concorrenti, come l’ammini-<br />
strazione statale, il partito, la SA e le SS; e non sape-<br />
va mai, perché nessuno glielo diceva esplicitamente,<br />
quale di queste istanze possedeva un’autorità mag-<br />
giore. Egli doveva sviluppare una specie di sesto<br />
senso per capire a un dato momento a chi obbedire e<br />
chi ignorare». 113<br />
Lo stesso accadde in Russia, dove «il regime era<br />
ricorso in misura ancora maggiore alla continua crea-<br />
zione di nuovi uffici per relegare nell’ombra i vecchi<br />
centri di potere. Solo che il gigantesco sviluppo buro-<br />
______________________________<br />
112 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit, p. 554.<br />
113 Ibidem, p. 548.
121<br />
cratico, inerente a questo metodo, veniva frenato dalle<br />
ripetute epurazioni». 114<br />
La differenza sostanziale, secondo la Arendt, tra i<br />
due sistemi, nazional-socialista e sovietico, era che<br />
«Stalin, ogni qual volta trasferiva il potere da un ap-<br />
parato all’altro, tendeva a liquidare insieme con l’ap-<br />
parato declassato il suo personale, mentre Hitler, mal-<br />
grado lo sprezzante giudizio sulle persone “incapaci<br />
di saltare al di là della propria ombra”, era perfetta-<br />
mente disposto ad utilizzare tali ombre anche in se-<br />
guito, magari in un’altra funzione». 115<br />
Lo Stato funge da facciata, rappresentando il pae-<br />
se per interessi di politica estera; in realtà il vero cen-<br />
tro di potere è la polizia segreta, le cui agenzie sono le<br />
«cinghie di trasmissione» che danno dinamismo al-<br />
l’azione dello stato totalitario.<br />
La polizia segreta è completamente soggetta alla<br />
volontà di chi detiene il potere, è «interamente alla<br />
______________________________<br />
114 Ibidem, p. 553.<br />
115 Ibidem, pp. 550-1.
122<br />
mercé delle massime autorità per la conservazione del<br />
suo lavoro. Al pari dell’esercito in uno stato non tota-<br />
litario, si limita ad eseguire la politica decisa da altri,<br />
avendo perso tutte le prerogative godute nelle buro-<br />
crazie dispotiche». 116<br />
La sua caratteristica, dunque, è ridotta ad un pia-<br />
no meramente esecutivo e «una delle ragioni della<br />
moltiplicazione dei servizi segreti, i cui agenti non si<br />
conoscono, è l’esigenza di una estrema flessibilità. Per<br />
usare il nostro esempio, poteva darsi che le massime<br />
gerarchie, al momento della comunicazione del loro<br />
ordine, fossero ancora indecise fra una maggiore prov-<br />
vista di tubi e un’epurazione. La moltiplicazione con-<br />
sentiva i mutamenti all’ultimo momento: era così pos-<br />
sibile che, mentre gli agenti di un servizio preparava-<br />
no la concessione dell’ordine di Lenin al direttore del-<br />
la fabbrica, quelli dell’altro servizio si apprestassero<br />
ad arrestarlo. L’efficienza della polizia consisteva nel<br />
______________________________<br />
116 Ibidem, p. 585.
123<br />
fatto di poter preparare simultaneamente l’esecuzione<br />
di incarichi così contraddittori». 117 La polizia segreta,<br />
che è uno strumento di repressione terroristica, «non<br />
ha il compito di scoprire gli autori di delitti, ma quello<br />
di essere pronta quando il governo decide di arrestare<br />
una certa categoria della popolazione. La sua unica<br />
distinzione è di essere la sola a godere la fiducia della<br />
massima autorità e a sapere quale linea politica sarà<br />
attuata». 118 Attraverso la provocazione, i processi e le<br />
epurazioni, gli agenti segreti hanno il compito di sta-<br />
nare l’opposizione. Cosa significa?<br />
Ogni forma di governo ha degli oppositori; anzi,<br />
in via analitica, possiamo distinguere tra: 1) nemici<br />
reali, 2) nemici potenziali, 3) nemici oggettivi, 4) «au-<br />
tori» di delitti possibili, 5) innocenti, 6) amici e se-<br />
guaci.<br />
Ma ciò che caratterizza il totalitarismo è il perse-<br />
guitare in particolar modo persone e gruppi ricompre-<br />
______________________________<br />
117 Ibidem, p.583.<br />
118 Ibidem, p.583.
124<br />
si sotto il cliché di «nemico oggettivo» e definiti tali<br />
ideologicamente già prima di conquistare il potere.<br />
A sua discrezione, il gruppo di potere individua e<br />
persegue un «portatore di tendenze» 119 che in futuro<br />
potrebbe risultare oggettivamente ostile, una catego-<br />
ria di persone la cui inimicizia può apparire plausibile<br />
ideologicamente, soprattutto all’estero.<br />
E’ il «nemico oggettivo», che differisce dal sospetto,<br />
individuato dalle polizie segrete, in quanto la sua identità<br />
è determinata dall’orientamento politico del governo, non<br />
dalla attività sovversiva di cui è autore.<br />
Per questo, riflettendo quel dinamismo intrinseco<br />
al movimento totalitario stesso, esaurita una catego-<br />
ria, si dichiara guerra ad un’altra, procedendo così alla<br />
tassonomia dei subumani. Ogni operazione contro il<br />
«nemico oggettivo» di turno -il che ci induce a pensa-<br />
re che l’unico ‘innocente’ è solo chi detiene il potere-<br />
viene legittimata sul piano ideologico, secondo la ‘raz-<br />
______________________________<br />
119 Ibidem.
125<br />
za’ per i nazionalsocialisti, come ‘nemico della classe<br />
operaia’ per i comunisti.<br />
L’esasperazione del «nemico oggettivo» conduce<br />
alla nozione di «delitto possibile», cioè la presunzio-<br />
ne che il crimine possa essere costruito in anticipo su<br />
basi ritenute oggettivamente attendibili, anche se in<br />
concreto assolutamente improbabili. In questo modo<br />
il governo totalitario ammanta con proprie giustifica-<br />
zioni le misure terroristiche adottate.<br />
La Arendt, tuttavia, è dell’avviso che con la com-<br />
pleta realizzazione del terrore totalitario, vengono ab-<br />
bandonati i concetti di «nemico oggettivo» e «delitto<br />
logicamente possibile» per una coerente arbitrarietà:<br />
le vittime, innocenti, verranno scelte a caso, senza al-<br />
cuna accusa, solo perché dichiarate indegne di vivere.<br />
E’ il modo più efficace di negare la libertà umana.<br />
Principio d’azione, allora, è l’ideologia, che la<br />
Arendt definisce «come logica di un’idea». 120<br />
______________________________<br />
120 Nessun termine presenta una vasta gamma di significati così disparati<br />
quanto il termine ‘ideologia’. N. Bobbio distingue un significato
126<br />
«La sua materia è la storia, a cui la “idea” è applicata;<br />
il risultato di tale applicazione non è un complesso di af-<br />
fermazioni su qualcosa che è, bensì lo svolgimento di un<br />
processo che muta di continuo. L’ideologia tratta il corso<br />
degli avvenimenti come se seguisse la stessa “legge” del-<br />
l’esposizione logica della sua “idea”.(...) Le ideologie non<br />
si interessano mai del miracolo dell’essere». 121<br />
______________________________<br />
«debole» da uno «forte». Nel significato «debole» designa un’insieme di<br />
idee e valori che riguardano l’ordine politico e hanno la funzione di<br />
guidare i comportamenti politici collettivi. Per il significato «forte» fa<br />
riferimento a Marx che considera l’ideologia una credenza falsa, la falsa<br />
coscienza dei rapporti di dominazione tra le classi. Nella scienza e nella<br />
sociologia politica contemporanea prevale il primo significato, ideologia<br />
come concetto neutro, quindi, contrapposto in modo esplicito o implicito<br />
a ciò che è «pragmatico» e arricchito di certi elementi tipici come<br />
il dottrinarismo, il dogmatismo, una forte componente passionale e via<br />
dicendo. L’ideologia è lo strumento fondamentale che le élites politiche<br />
hanno a disposizione per operare la mobilitazione politica delle masse e<br />
per portare ad un grado massimo la loro manipolazione. Cfr. M. Stoppino,<br />
Ideologia, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di<br />
politica, cit. Per il nesso ideologia-simulazione, E. Voccia, L’ideologia<br />
della provocazione, in «Porta di Massa. Laboratorio Autogestito di Filosofia<br />
- Simulazione», Napoli, primavera-estate 1996, pp. 6-1<strong>2.</strong><br />
121 Ibidem, p. 64<strong>2.</strong> Tre anni prima nel lavoro della Arendt, così Orwell<br />
scriveva: « Tu credi che la realtà sia qualcosa di oggettivo, di esterno,<br />
che esiste per proprio conto. E credi che anche la natura stessa della
127<br />
Con certezza assoluta, l’ideologia pretende di spie-<br />
gare, indipendentemente da ogni esperienza ed accer-<br />
tamento fattuale, la storia, di obiettivare l’intero corso<br />
storico, di ‘produrre’ e dimostrare come eliminabile il<br />
nemico, non in quanto oppositore ma come simbolo<br />
dell’alterità. E’ il diverso che, necessariamente, dev’es-<br />
sere ricompreso nella totalità dell’esistente e annien-<br />
tato perché non riconosciuto.<br />
L’ideologia suggella la totale non appartenenza<br />
al mondo degli uomini, la loro «superfluità», perché<br />
trasforma l’isolamento e la solitudine in estraneazio-<br />
ne, in perdita non solo dello spazio pubblico ma, so-<br />
prattutto, del proprio io.<br />
______________________________<br />
realtà sia evidente per se stessa. Se ti persuadi che stai pensando qualcosa,<br />
credi che tutti gli altri vedano quella stessa cosa. Ma io ti dico, Winston,<br />
che la realtà non è esterna. La realtà esiste nella mente degli uomini,<br />
e in nessun altro luogo. Non nelle menti individuali, e cioè in questa<br />
o in quella, che invece possono commettere errori, e che in ogni caso è<br />
destinata a svanire prima o poi: ma solo nella mente del Partito, che è<br />
collettiva e immortale. Qualsiasi cosa il Partito ritiene sia vera, è vera.<br />
E’ impossibile vedere la realtà se non attraverso gli occhi del Partito», in<br />
G. Orwell, 1984, Milano, Mondadori, 1973.
128<br />
E il totalitarismo, abolendo l’umanità che è in ogni<br />
uomo, disprezzando la realtà e la fattualità, attua quel<br />
supersenso ideologico che può essere definito come<br />
l’eccedenza di senso su cui fa perno la stessa ideolo-<br />
gia, una logica coerente che fa apparire degno di sen-<br />
so ogni atto arbitrario, ribaltando la situazione-limite<br />
in quotidianità, l’illegale nel legale, l’insensato nel<br />
sensato.<br />
«La società dei morenti, in cui la punizione viene<br />
inflitta senza alcuna relazione con un reato, lo sfrutta-<br />
mento praticato senza un profitto e il lavoro compiuto<br />
senza prodotto, è un luogo dove quotidianamente si<br />
crea l’insensatezza. Eppure, nel contesto dell’ideolo-<br />
gia totalitaria nulla potrebbe essere più sensato e logi-<br />
co: se gli internati sono dei parassiti, è logico che ven-<br />
gano uccisi col gas; se sono dei degenerati, non si deve<br />
permettere che contamino la popolazione; se hanno<br />
un’ “anima da schiavi” (Himmler), non è il caso di<br />
sprecare il proprio tempo per cercare di rieducarli. Vi-<br />
sti attraverso le lenti dell’ideologia, i campi hanno quasi
129<br />
il difetto di aver troppo senso, di attuare la dottrina<br />
con troppa coerenza». 122<br />
Il supersenso ideologico ritiene di aver scoperto<br />
la chiave della storia o la soluzione degli enigmi del-<br />
l’universo, senza tener conto della fattualità, anzi, di-<br />
sprezzandola, e, attraverso una logica deduttiva e co-<br />
ercitiva, edificando il suo artificioso sistema.<br />
L’antiutilità, l’antieconomicità e l’insensatezza 123<br />
sono caratteri dominanti per la preservazione del po-<br />
tere totalitario.<br />
«Totalitaria non è la pretesa della Russia rivolu-<br />
______________________________<br />
122 Ibidem, p. 626.<br />
123 Sul carattere irrazionale del totalitarismo, inteso nell’assoluta incongruenza<br />
tra fini da perseguire e mezzi impiegati per perseguirli, cfr. Barrington<br />
Moore jr., Le origini sociali della dittatura e della democrazia,<br />
Torino, Einaudi, 1971; R. Conquest, Il grande terrore, Milano, Mondadori,<br />
1970; M. Curtis, Retrat from Totalitarianism, in C. J. Friedrich, M.<br />
Curtis, B. R. Barber, Totalitarianism in Perspective: Three Views, Praeger,<br />
New York 1969; A. B. Ulam, Lenin e il suo tempo, Firenze, Vallecchi,<br />
1967. Contestano questa interpretazione, a favore di una razionalità<br />
intrinseca al totalitarismo, R. A. Nisbet, La comunità e lo Stato, Milano,<br />
Comunità 1957; J. G. Gliksman, Social Prophilaxis as a From of Soviet<br />
Terror, in C. J. Friedrich, Totalitarianism, cit.
130<br />
zionaria che nelle condizione esistenti la dittatura del<br />
proletariato sia la miglior forma di governo, bensì la<br />
catena di deduzioni, tratta soltanto dal dittatore totali-<br />
tario, in base alla quale risulta logicamente che senza<br />
tale sistema non si può costruire una metropolitana,<br />
che chiunque sa dell’esistenza della metropolitana di<br />
Parigi è sospetto perché potrebbe dubitare della prima<br />
deduzione e che, quindi, se fosse possibile, bisogne-<br />
rebbe distruggere questa metropolitana, che invero non<br />
sarebbe mai dovuta esistere». 124<br />
______________________________<br />
124 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit, p. 627.
131<br />
3. Terrore e campo di concentramento.<br />
La società dei morenti e il male radicale.<br />
La Arendt sottolinea marcatamente che il terrore<br />
è l’essenza del potere totalitario e il campo di concen-<br />
tramento è la sua istituzione centrale.<br />
Possono considerarsi questi tratti distintivi del<br />
regime totalitario?<br />
1. Il terrore totalitario<br />
Il terrore è, secondo una definizione da diziona-<br />
rio, lo strumento di emergenza cui un governo ricor-<br />
re per mantenersi al potere: l’esempio più noto è<br />
quello del periodo della dittatura del Comitato di<br />
salute pubblica guidato da Robespierre e da Saint-<br />
Just durante la Rivoluzione francese (1793-1794).<br />
Potremmo riecheggiare Machiavelli, che già tre se-<br />
coli prima ricordava che per «ripigliare lo stato», per<br />
conservare il potere, era necessario periodicamente<br />
spargere terrore e paura; anche Montesquieu ed
132<br />
Hobbes, 125 che riconoscono il terrore l’uno come ele-<br />
mento qualificante di comparazione fra gli Stati, l’al-<br />
tro come concausa del sorgere del Leviatano sovra-<br />
no.<br />
Il terrore totalitario è ben di più: è qualcosa di<br />
pervasivo che si insinua generando un clima di repres-<br />
sione e colpa; è una violenza imprevedibile intesa come<br />
minaccia generica fissa contro l’individuo; è un timo-<br />
re paralizzante, che si instilla anche in quelli che po-<br />
trebbero opporsi attivamente all’oppressione.<br />
Attraverso la lettura psicoanalitica di Franz Neu-<br />
mann, potremmo dire che ogni sistema politico si fon-<br />
da su una angoscia nevrotica, che, pur avendo una base<br />
reale, allontanare la minaccia di un pericolo, è prodot-<br />
ta interiormente attraverso l’Io. 126<br />
Per il grado di alienazione dell’uomo moderno,<br />
______________________________<br />
125 Cfr. Ch. de Secondat de Montesquieu, Lo spirito delle leggi, a cura di<br />
S. Cotta, Torino, UTET, 1952; N. Machiavelli, Il Principe, Milano, Feltrinelli,1995;<br />
Th. Hobbes, Leviatano, Bari, Laterza, 1974.<br />
126 F. Neumann, Lo stato democratico e lo stato autoritario, Bologna, Il<br />
Mulino, 1973.
133<br />
soprattutto per l’alienazione politica che permette una<br />
totale obliterazione dell’Io, cioè l’identificazione del-<br />
le masse con un leader abile nel manipolare le co-<br />
scienze attraverso teorie cospiratorie, viene a crear-<br />
si un contesto fittizio in cui si verificano le seguenti<br />
condizioni: «che le masse si trovino in una situazio-<br />
ne di pericolo oggettivo, che siano incapaci di capi-<br />
re il processo storico e che l’angoscia attivata dal<br />
pericolo venga trasformata, attraverso la manipola-<br />
zione operata da altri, in angoscia nevrotica perse-<br />
cutoria (aggressiva)». 127 Se l’angoscia reale sembra<br />
propria nei regimi di tipo liberale, l’angoscia nevro-<br />
tica è istituzionalizzata in un sistema totalmente re-<br />
pressivo. Il terrore, per Neumann, allora, è l’incal-<br />
colabilità delle sanzioni: l’assenza di una certezza<br />
giuridica genera quell’angoscia nevrotica persecu-<br />
toria di cui si avvantaggia il leader o l’élite per il<br />
mantenimento del potere.<br />
______________________________<br />
127 Ibidem.
134<br />
Così la Arendt, in Le origini del totalitarismo,<br />
scrive: «Il terrore estremamente sanguinoso dello sta-<br />
to iniziale del regime totalitario serve invero soltan-<br />
to a sbaragliare gli avversari e a rendere impossibile<br />
ogni ulteriore opposizione; ma il terrore totale si sca-<br />
tena solo quando, superato questo stadio, il regime<br />
non ha più nulla da temere dagli oppositori.<br />
In proposito si è spesso osservato che in tal caso<br />
il mezzo è diventato il fine, ma ciò dopotutto equi-<br />
vale semplicemente ad ammettere, in maniera para-<br />
dossale, che la categoria mezzo-fine non è più vali-<br />
da, che il terrore non è più lo strumento per incutere<br />
paura alla gente». 128<br />
<strong>2.</strong> Il campo di concentramento<br />
Il terrore totalitario, che si nutre del «nemico og-<br />
gettivo», si attua, sostiene la Arendt, nella creazione<br />
______________________________<br />
128 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit. Cfr. R. Conquest, Il grande<br />
terrore, cit. ; A. Devoto, La tirrannia psicologica, Firenze, Sansoni,<br />
1960.
135<br />
di un universo concentrazionario. 129<br />
I lager sono l’istituzione centrale del potere tota-<br />
litario. Perché?<br />
«I campi di concentramento e di sterminio servono al<br />
regime totalitario come laboratori per la verifica della sua<br />
pretesa di dominio assoluto sull’uomo.(...) Il dominio to-<br />
tale, che mira ad organizzare gli uomini nella loro infinità,<br />
pluralità e diversità come se tutti insieme costituissero un<br />
unico individuo, è possibile soltanto se ogni persona vie-<br />
ne ridotta ad un’immutabile identità di reazioni, in modo<br />
che ciascuno di questi fasci di reazioni possa essere scam-<br />
biato con qualsiasi altro. Si tratta di fabbricare qualcosa<br />
che non esiste, cioè un tipo umano simile agli animali, la<br />
cui unica “libertà” consisterebbe di “preservare la specie”.<br />
Tale fine viene perseguito sia con l’indottrinamento ideo-<br />
logico delle formazioni di élite sia col terrore assoluto dei<br />
Lager.(...) I Lager servono, oltre che a sterminare e a de-<br />
gradare gli individui, a compiere l’orrendo esperimento di<br />
______________________________<br />
129 D. Rousset, L’universo concentrazionario, Milano, Baldini & Ca-<br />
stoldi, 1997.
136<br />
eliminare, in condizioni scientificamente controllate, la<br />
spontaneità stessa come espressione del comportamento<br />
umano e di trasformare l’uomo in un oggetto, in qualcosa<br />
che neppure gli animali sono. (..) In circostanze normali<br />
ciò non può essere ottenuto, perché la spontaneità non può<br />
mai essere interamente soffocata, connessa com’è non solo<br />
alla libertà umana, ma alla vita stessa in quanto semplice<br />
rimaner vivo». 130<br />
Il campo di concentramento è il paradigma na-<br />
scosto dello spazio politico della modernità; la sua<br />
essenza consiste nella materializzazione dello stato di<br />
eccezione e nella creazione di uno spazio in cui diritto<br />
e fatto, norma e applicazione diventano indiscernibili.<br />
Solo in questo senso possiamo comprendere per-<br />
ché esso è lo spazio del «tutto è possibile», quel prin-<br />
cipio nichilista in cui si cristallizzano la vita e i metodi<br />
del campo tanto da apparire come un contenitore er-<br />
meticamente chiuso agli occhi del mondo dei vivi.<br />
______________________________<br />
130 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.
137<br />
Per il senso comune, infatti, tutto è avvolto in una<br />
nube fumogena di insensatezza e le condizioni di inintel-<br />
legibilità paradossalmente superano ogni cortina di credi-<br />
bilità. Anzi, dice la Arendt, «chi parla o scrive sui campi<br />
di concentramento è ancora considerato con sospetto; e se<br />
è decisamente ritornato al mondo dei vivi, egli stesso è<br />
talvolta assalito dai dubbi sulla sua veridicità, come se aves-<br />
se scambiato un incubo per realtà». 131<br />
Solo l’ «indugio sugli orrori» potrebbe aiutare a com-<br />
prendere quanto è avvenuto, anche se le memorie quanto<br />
le testimonianze oculari restano prive di comunicativa. 132<br />
______________________________<br />
131 Ibidem, p. 601. Cfr. A. Camus, L’uomo in rivolta, Milano, Bompiani, 1958.<br />
132 Sull’inenarrabilità di quanto è accaduto e la testimonianza da affidare alla<br />
memoria vedi: P. Levi, Se questo è un uomo. La tregua, Torino, Einaudi, 1963<br />
e I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1986; H. Langbein, Menschen in<br />
Auschwitz, Europa Verlag, Wien 1972, trad. it. Uomini ad Auschwitz, Milano,<br />
Mursia, 1984; B. Bettelheim, Surviving and Other Essay, Knopf, New York,<br />
1979, trad. it. Sopravvivere, Milano, Feltrinelli 1991; J. Améry, Jenseits von<br />
Schuld und Sühne. Bewältigungsversuche eines Überwältigten, F. Klett, Stuttgart,<br />
1977, trad. it. Un intellettuale a Auschwitz, Torino, Bollati Boringhieri,<br />
1987; R. Antelme, L’Espèce humaine, Paris, 1947, trad. it. La specie umana,<br />
Torino, Einaudi, 1976. Per una riflessione cfr. G. Agamben, Quel che resta di<br />
Auschwitz. L’archivio e il testimone, Torino, Bollati Boringhieri, 1998.
138<br />
E’ vero che né i campi di concentramento né i campi<br />
di lavoro forzato sono un’invenzione totalitaria.<br />
Le fonti 133 sono alquanto scarse; si ritiene che i<br />
primi sono stati costruiti dagli spagnoli a Cuba nel 1896<br />
per internare ben 400.000 persone tra vecchi, donne e<br />
bambini, senza per questo conoscere il numero totale<br />
delle vittime della repressione del generale spagnolo<br />
Valeriano Weiler y Nicolau, inventore dei campi di<br />
concentramento. Furono organizzati dagli americani<br />
nelle Filippine nel 1898 per lo scoppio di un’insurre-<br />
zione e nel 1900 dai britannici in Sudafrica contro la<br />
guerriglia dei boeri, in particolare quelli del libero Stato<br />
di Oranje. Si ebbero accese manifestazioni di protesta<br />
______________________________<br />
133 Gli studi sui campi di concentramento e sulla loro organizzazione<br />
non sono numerosi. Segnaliamo A. J. Kaminski, Konzentrationslager<br />
1896 bis heute. Geschichte, Funktion, Typologie, Münich, Piper, 1982;<br />
trad. it. I campi di concentramento dal 1986 ad oggi. Storia, funzioni,<br />
tipologia. Torino, Bollati Boringhieri, 1997. K. Hueser, Wewelsburg 1933<br />
bis 1945. Kultund Terrorstatte der SS, Paderborn, Verlag Bonifatius-<br />
Druckerei Paderborn, 1982; M. Broszat, «Nationalsozialistiche Konzentrationslager<br />
1933-1945», in Anatomie des SS-Staates (Band 2), Munich,<br />
Deutsche Taschenbuch Verlag, 1967.
139<br />
da parte dell’opinione pubblica, grazie alla filantropa<br />
Emily Hobhouse che denunciò la disumanità e l’in-<br />
fanticidio del sistema dei campi, colpe infamanti che<br />
macchiavano la classe politica inglese. E un ritorno<br />
positivo non si fece attendere: i campi vennero chiusi.<br />
Non esistono, invece, testimonianze sui campi di<br />
concentramento eretti dal regime clerico-fascista au-<br />
striaco prima del 1938. Poco dettagliate sono anche le<br />
informazioni relative alle condizioni vigenti in Russia<br />
prima del 1917: all’epoca zarista furono circa trenta-<br />
duemila i condannati alla katorga, originariamente la<br />
galera, poi pesante pena detentiva comportante i lavo-<br />
ri forzati.<br />
Si è cercato di schiacciare i campi nazionalsocialisti<br />
su quelli inglesi ed ispano-coloniali, supposti modelli, ma<br />
è questa una falsa opinione perché i secondi vennero uti-<br />
lizzati nel contesto di guerre coloniali, furono ‘campi per<br />
ostaggi’, mentre i primi furono creati in tempi di pace e<br />
all’interno del territorio nazionale allo scopo di segregar-<br />
vi gli avversari ideologici, con un eccessivo zelo per di-
140<br />
stogliere l’attenzione da quanto stava accadendo. Per<br />
l’esperienza sovietica, si è utilizzato l’acronimo gulag<br />
(Glavnoye upravleniye lagerej) che sta per «Amministra-<br />
zione generale dei campi di lavoro», meglio noti come<br />
«campi di concentramento», generando qualche confusio-<br />
ne concettuale.<br />
«Specialmente nel regime staliniano, i cui campi<br />
di concentramento erano per lo più descritti come cam-<br />
pi di lavoro coatto perché la burocrazia aveva voluto<br />
nobilitarli con tale nome, era chiaro che non si trattava<br />
di questo; il lavoro coatto era la condizione normale<br />
di tutti i lavoratori russi, che non avevano libertà di<br />
spostamento e ad ogni istante potevano essere arbitra-<br />
riamente mobilitati per l’invio in qualsiasi luogo». 134<br />
L’inserimento dei campi di concentramento nella<br />
società sovietica veniva “giustificato” negli anni ven-<br />
ti come conseguenza della pianificazione generale del-<br />
l’economia.<br />
______________________________<br />
134Andrzej J. Kaminski, I campi di concentramento dal 1986 ad oggi.<br />
Storia, funzioni, tipologia. Torino, Bollati Boringhieri, 1997.
141<br />
Il dubbio sull’opportunità di parlare di “campi di<br />
concentramento” o meno nell’ Unione Sovietica na-<br />
sce dal fatto che la maggioranza dei detenuti veniva<br />
deportata - ricordiamo che i campi sovietici sono stati<br />
aboliti da M. S. Gorbacev- per un periodo stabilito in<br />
base ad una sorta di sentenza che richiamava talune<br />
leggi penali, e, quindi, da una prospettiva giuridico-<br />
formale i gulag dovrebbero essere equiparati non già<br />
ai campi di concentramento, bensì ai “campi di puni-<br />
zione” nazionalsocialisti.<br />
Un aspetto significativo dei campi di concentra-<br />
mento sovietico consisterebbe nella legalizzazione<br />
dell’arbitrario.<br />
Gunther Specovius sostiene che «a differenza del-<br />
lo Stato nazionalsocialista, l’Unione sovietica cono-<br />
sce “soltanto” campi di punizione o le odierne colonie<br />
di lavoro correzionale, per i quali è prevista una con-<br />
danna a tempo determinato, mentre la condanna a cam-<br />
pi di concentramento, come quelli istituiti dai nazisti,<br />
prevedeva la detenzione a tempo indeterminato.
142<br />
Le condanne a vita erano e sono estranee al dirit-<br />
to penale sovietico». 135<br />
Si sa, tuttavia, che soprattutto durante il periodo<br />
delle purghe staliniane, i processi e le pene detentive<br />
sono state delle farse e che i campi sono stati strumen-<br />
ti arbitrari della polizia finalizzati alla conservazione<br />
di un potere politico totalitario. In particolare, nella<br />
realizzazione unitaria di una società senza divisioni<br />
interne, compatta, interamente votata ad uno scopo<br />
comune attraverso le varie attività, attenta, quindi, ad<br />
eliminare i parassiti, gli elementi nocivi ed i rifiuti, si<br />
poteva essere condannati in base all’ art. 58 del Codi-<br />
ce penale, consistente, nel capitolo dei «delitti contro<br />
lo Stato», di 14 punti in cui si viene dichiarati «nemi-<br />
co del popolo». Si trattava di un autentico minestrone<br />
perché era molto semplice affossare un uomo, soprat-<br />
tutto per due punti, talmente vaghi da poter essere ap-<br />
plicati a chiunque, il punto 10: propaganda antirivo-<br />
______________________________<br />
135 Ibidem.
143<br />
luzionaria, ribattezzata antisovietica; e il punto 12:<br />
mancata delazione.<br />
La delazione è uno degli strumenti in uso del to-<br />
talitarismo, necessaria per creare quella fitta trama di<br />
sospetto che rende il popolo nemico di se stesso, così<br />
come la tortura e la presenza e l’attività della polizia<br />
segreta, interamente alla mercé di chi detiene il pote-<br />
re. Si tratta, tuttavia, di caratteri comuni anche a for-<br />
me di governo autoritari, non rappresentano caratteri<br />
distintivi del totalitarismo quanto il terrore e l’istitu-<br />
zione dei campi di concentramento.<br />
La domanda inquietante è: in questo spazio, che<br />
non è esterno, eppure è posto fuori dell’ordinamento<br />
giuridico riconosciuto -il campo di concentramento è<br />
escluso ed incluso nello stesso tempo nel territorio<br />
nazionale-, quale diritto, quale norma è riconosciuta?<br />
Dovremmo identificare il campo come quello stato<br />
di eccezione di cui parla Schmitt, in cui la norma è<br />
sospesa e la decisione, in virtù dell’articolo 48 della<br />
Costituzione di Weimar, è solo del capo dello Stato.
144<br />
Dovremmo, anzi, sostenere che lo stato di ecce-<br />
zione è ‘voluto’, cioè per esso «il sovrano non si limi-<br />
ta più a decidere sull’eccezione, com’era nello spirito<br />
della costituzione di Weimar, sulla base del riconosci-<br />
mento di una data situazione fattizia (il pericolo della<br />
sicurezza pubblica): esibendo a nudo l’intima struttu-<br />
ra di bando che caratterizza il suo potere, egli produce<br />
ora la situazione di fatto come conseguenza della de-<br />
cisione sull’eccezione». 136 E dovremmo aggiungere<br />
che nella parvenza di un diritto totalitario viene ma-<br />
scherato il disordine, il caos, la violenza, anche la<br />
mancanza di un conflitto in quanto si nega la diversi-<br />
tà, l’esistenza dell’altro.<br />
Colui che viene messo al bando non solo è messo<br />
al di fuori della legge ed è indifferente a questa, ma è<br />
abbandonato da essa, è esposto ad una soglia dove<br />
vita e diritto, esterno ed interno si confondono.<br />
«Il sistema dei campi era un mondo in cui non<br />
______________________________<br />
136 G. Agamben, Homo Sacer, Torino, Einaudi, 1995.
145<br />
valevano le regole e i costumi morali che reggevano<br />
la “normale” società tedesca. In quel nuovo mondo il<br />
tedesco o la tedesca nazisti potevano trattare i tede-<br />
schi così come pareva loro giusto, in base alla conce-<br />
zione ideologica che avevano delle vittime, e ai più<br />
bassi e profondi impulsi personali. Il nazismo, nel<br />
mondo dei campi, lasciava loro mano libera». 137<br />
Del resto se partiamo dal presupposto che l’inter-<br />
nato vive «una vita indegna di essere vissuta», è chia-<br />
ro che ciò che il totalitarismo tende a creare è una so-<br />
cietà di morti viventi, interamente piegati, liquidati di<br />
______________________________<br />
137 D. J. Goldhagen, I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e<br />
l’Olocausto, Milano, Mondadori, 1997. Lo storico ebreo, contrariamente<br />
alla maggior parte delle ricerche sull’Olocausto, sostiene l’idea della<br />
responsabilità individuale dei tedeschi: «è l’opposto della colpevolezza<br />
collettiva». In questo modo, passando da un’imputazione collettiva e<br />
morale ad una personale, si eviterebbe la difficoltà implicita nel processare<br />
e nel condannare i criminali nazisti, la trasferibilità sul piano giudiziario.<br />
La Arendt non sarebbe d’accordo perché verrebbe meno un carattere<br />
del totalitarismo, la negazione di ogni filtro tra responsabilità<br />
individuale e responsabilità collettiva. In un sistema totalitario, «colpevolezza<br />
e innocenza diventano concetti senza senso» cosicchè «ci sono<br />
crimini che gli uomini non possono né punire né perdonare», in H. Arendt,<br />
Le origini del totalitarismo, cit., p. 628.
146<br />
ogni carattere umano, incapaci soprattutto di opporsi.<br />
La Arendt li eguaglia al cane di Pavlov che è «l’esem-<br />
plare umano ridotto alle reazioni più elementari, elimina-<br />
bile o sostituibile in qualsiasi momento con altri fasci di<br />
reazioni che si comportano in modo identico, è il cittadino<br />
modello di uno stato totalitario, un cittadino che può esse-<br />
re prodotto solo imperfettamente fuori dei campi». 138<br />
E’ solo in questo senso che può realizzarsi quell’ide-<br />
ale -che ogni buon senso ritiene un’utopia irrealizzabile-<br />
di società totalitaria, in cui è possibile impadronirsi inte-<br />
ramente dell’uomo per trasformarlo in cittadino modello.<br />
La «fabbricazione massiva e demenziale di cadave-<br />
ri» non è che l’ultimo episodio di una pièce in tre atti di cui<br />
il titolo potrebbe essere: «la preparazione storicamente e<br />
politicamente intelligibile dei cadaveri viventi». 139<br />
______________________________<br />
138 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 624.<br />
139 Ibidem, p. 61<strong>2.</strong> E’ la «fabbricazione in massa» dei cadaveri, riflesso<br />
di un meccanismo di produzione, la peculiarità del genocidio dei regimi<br />
totalitari: la morte viene privata di ogni sacertà e l’individuo è interamente<br />
assoggettato al potere perché cadavere-vivente. Cfr. T. W. Adorno,<br />
Minima moralia, Torino, Einaudi, 1997; M. Foucault, Il faut défendre<br />
la société, Gallimard-Seuil, Paris, 1997.
147<br />
Il primo passo avviene uccidendo il soggetto di<br />
diritto che è nell’uomo, attraverso la snazionalizza-<br />
zione e ponendo il Lager al di fuori del sistema penale<br />
ordinario; poi si procede attraverso l’uccisione della<br />
personalità giuridica; infine, con la soppressione della<br />
personalità morale, trionfo dell’ideologia totalitaria,<br />
per cui la coscienza non è più sufficiente e decidere<br />
cosa sia bene e cosa sia male è come valutare assassi-<br />
nio e assassinio.<br />
«Chi potrebbe risolvere il dilemma morale della<br />
madre greca a cui i nazisti concessero di scegliere quale<br />
dei suoi tre figli doveva essere ucciso?». 140<br />
Al fine di trasformare gli uomini in morti viventi,<br />
l’atto conclusivo era l’annientamento della loro peculia-<br />
re identità, la soppressione di quella spontanea unicità<br />
«la quale è foggiata in parti uguali dalla natura, dalla vo-<br />
lontà e dal destino, ed è diventata una premessa così evi-<br />
dente che persino gemelli identici ispirano un certo disa-<br />
______________________________<br />
140 Ibidem, p. 619.
148<br />
gio, suscita un orrore che mette in ombra lo sdegno della<br />
persona giuridico-politica e la disperazione della perso-<br />
na morale. E’ questo orrore che dà luogo alle generaliz-<br />
zazioni nichilistiche, le quali sostengono, abbastanza plau-<br />
sibilmente, che in fondo tutti gli uomini indistintamente<br />
sono bestie. In verità, l’esperienza dei campi di concen-<br />
tramento dimostra che gli uomini possono essere trasfor-<br />
mati in esemplari dell’animale umano, e che la natura è<br />
umana soltanto nella misura in cui schiude all’uomo la<br />
possibilità di diventare qualcosa di estremamente innatu-<br />
rale, cioè un uomo». 141<br />
Se nel campo criminali e politici potevano ancora<br />
rivendicare un brandello di capacità di riconoscimento<br />
di se stessi e dei propri simili, «un ultimo autentico re-<br />
siduo della loro personalita giuridica» 142 in quanto ap-<br />
partenevano ad una precisa categoria, avevano fatto<br />
qualcosa, coloro che venivano del tutto annientati era-<br />
no gli ‘innocenti’, vittime confuse di arresti arbitrari.<br />
______________________________<br />
141 Ibidem, pp. 623-624.<br />
142 Ibidem, p. 616.
149<br />
La Arendt ha osservato che l’arresto arbitrario<br />
come pratica terroristica e strumento ideologico «di-<br />
strugge la validità del libero consenso come la tortura<br />
distrugge la possibilità dell’opposizione». 143<br />
L’arbitrarietà nella selezione del «nemico oggettivo»<br />
è la linfa del sistema concentrazionario. Poiché il fine era<br />
di avere una popolazione dei campi composta da innocen-<br />
ti, esso veniva a negare la libertà umana più efficacemente<br />
che qualsiasi tirannide. In una tirannide, infatti, bisognava<br />
essere un avversario per essere punito, essere all’opposi-<br />
zione e osare la libertà di opinione. Teoricamente, anche<br />
in un regime totalitario si poteva scegliere di stare all’op-<br />
posizione, ma siffatta libertà cessava nel momento in cui<br />
si profilava la possibilità di appartenere a quella moltitu-<br />
dine scelta arbitrariamente perché ideologicamente inde-<br />
siderabile per il regime.<br />
«La libertà in questo sistema non solo è ridotta alla<br />
sua ultima garanzia, palesemente indistruttibile, la possi-<br />
______________________________<br />
143 Ibidem, p. 617.
150<br />
bilità del suicidio, ma ha anche perso il suo carattere di-<br />
stintivo, perché le conseguenze del suo esercizio sono<br />
condivise con persone completamente innocenti». 144<br />
La spoliazione dell’individualità, inoltre, privava<br />
l’uomo della sua stessa morte: niente più gli apparte-<br />
neva ed egli non apparteneva più a nessuno, come se<br />
non fosse mai esistito.<br />
«Nei paesi totalitari le prigioni e i lager sono organiz-<br />
zati come veri e propri antri dell’oblio in cui chiunque può<br />
andare a finire senza lasciare neppure le usuali tracce del-<br />
l’esistenza di una persona, un cadavere e una tomba. In<br />
confronto di questa modernissima invenzione per elimi-<br />
nare la gente il vecchio metodo dell’assassinio, politico o<br />
comune, appare davvero inefficiente e primitivo.<br />
L’assassino lascia dietro di sé un cadavere e, ben-<br />
ché si sforzi di fare sparire le tracce della propria iden-<br />
tità, non ha alcun potere di cancellare l’identità della<br />
vittima dalla memoria dei viventi.<br />
______________________________<br />
144 Ibidem, p. 59<strong>2.</strong>
151<br />
L’azione della polizia segreta, al contrario, riesce mi-<br />
racolosamente a far sì che la vittima non sia mai esistita». 145<br />
E’ l’irruzione del male radicale, quel male che la<br />
teologia cristiana e la tradizione filosofica, in partico-<br />
lare Kant, non ha mai potuto definire se non in negati-<br />
vo, come deficienza dell’essere.<br />
«Quando l’impossibile è stato reso possibile, è di-<br />
ventato il male assoluto, impunibile e imperdonabile, che<br />
non poteva più essere compreso e spiegato con i malvagi<br />
motivi dell’interesse egoistico dell’avidità dell’invidia, del<br />
risentimento, della smania del potere, della vigliaccheria;<br />
e quindi la collera non poteva vendicare, la carità soppor-<br />
tare, l’amicizia perdonare, la legge punire». 146<br />
______________________________<br />
145 Ibidem.<br />
146 Ibidem, p. 628. Sul male radicale cfr. La banalità del male. Eichmann a<br />
Gerusalemme, cit. Per un commento critico: Il male, in R. Esposito, Nove<br />
pensieri sulla politica, Bologna, Il Mulino,1993; P. Amodio, Il problema<br />
del male nella riflessione di Hannah Arendt, estratto dagli «Atti dell’Accademia<br />
di Scienze morali e politiche», vol. C- 1989. In particolare R. Esposito,<br />
associando il male con la libertà e la legge, scrive: «Il male in politica è<br />
l’autosoppressione della libertà nella forma dell’eliminazione violenta del<br />
suo stesso presupposto. E’ per questo che è portato al livello di massima<br />
radicalità nell’esperienza totalitaria. E tuttavia ciò non significa che coinci-
152<br />
Il male di cui parla la Arendt e che rende l’esperienza<br />
di Auschwitz, inteso come la metafora del campo totalita-<br />
rio, del tutto singolare, è lo strappo della nostra realtà, la<br />
lacerazione della nostra esperienza, il trauma del nostro<br />
pensare.<br />
Esso è il trionfo di un «sistema in cui tutti gli uomini<br />
sono divenuti egualmente superflui», è l’acme di quel non-<br />
pensiero proprio dell’uomo-massa che ha eliminato ogni<br />
possibilità di senso comune e spazio politico. 147<br />
______________________________<br />
da con essa. Diciamo che il totalitarismo è il suo esito estremo, il suo compimento<br />
assoluto. Ma non la sua origine. Altrimenti verrebbe meno la contraddittoria<br />
compresenza di male e libertà. Perchè essa sia tenuta ferma è<br />
necessario ipotizzare che quello stesso male che ha raggiunto il proprio culmine<br />
nel campo totalitario nasca all’infuori -e prima- di esso. Che anzi il suo<br />
seme spunti all’origine della nostra concezione della politica e sia latente<br />
addirittura in quell’evento che al totalitarismo paradigmaticamente si oppone<br />
come la genesi medesima della libertà.<br />
147 Il problema del male rinvia a quello della responsabilità. Era possibile<br />
non appoggiare i crimini politici legalizzati dal sistema? Sarebbe stato possibile<br />
evitare la responsabilità giuridica e morale? L’accettazione di un male<br />
minore, come taluno ha sostenuto, è discusso insieme alla tematica della<br />
responsabilità dalla Arendt nel saggio pubblicato su «MicroMega», 4, 1991,<br />
pp. 185-206 dal titolo Responsabilità, ora anche in Aa. Vv., Oltre la politica.<br />
Antologia del pensiero «impolitico», a cura di R. Esposito, Milano, Bruno<br />
Mondadori, 1996.
CAPITOLO QUARTO<br />
IL TOTALITARISMO A CONFRONTO<br />
CON LA MODERNITÀ POLITICA<br />
L’inizio,<br />
prima di diventare avvenimento storico,<br />
è la suprema capacità dell’uomo;<br />
politicamente si identifica con la libertà umana.<br />
Initio ut esset creatus est homo<br />
(affinché ci fosse un inizio fu creato l’uomo),<br />
dice Agostino.<br />
Quest’inizio è garantito da ogni nuova nascita,<br />
è in verità ogni uomo.<br />
(H. Arendt)
154<br />
1. Definizione del regime totalitario<br />
Il totalitarismo è l’evento con cui necessariamen-<br />
te e costantemente dobbiamo confrontarci per com-<br />
prendere il nostro presente.<br />
Non possiamo spiegare quanto è accaduto dopo<br />
Auschwitz o Kolyma se non teniamo conto della frat-<br />
tura che il totalitarismo, nella sua dimensione empiri-<br />
ca, ha imposto al pensiero e all’esperienza democrati-<br />
ca occidentale.<br />
«Comprendere non significa negare l’atroce, de-<br />
durre il fatto inaudito da precedenti, o spiegare i feno-<br />
meni con analogie e affermazioni generali in cui non<br />
si avverte più l’urto della realtà e dell’esperienza. Si-<br />
gnifica piuttosto esaminare e portare coscientemente<br />
il fardello che il nostro secolo ci ha posto sulle spalle,<br />
non negarne l’esistenza, non sottomettersi supinamente<br />
al suo peso.<br />
Comprendere significa insomma affrontare spre-<br />
giudicatamente, attentamente, la realtà, qualunque essa
155<br />
sia». 148 E’ la riflessione, poi, che, in sede teorica, ci<br />
consegna quell’idealtipo con cui operare la verifica,<br />
chiudendo così il cerchio: noi partiamo dalla singola-<br />
rità dell’evento per analizzarlo con strumenti concet-<br />
tuali nuovi e andarlo a verificare concretamente, te-<br />
nendo conto delle analogie e differenze, variabili che<br />
obbligatoriamente devono rientrare nell’analisi, una<br />
volta che il modello euristico ha individuato le grandi<br />
direttrici.<br />
La Arendt non sarebbe d’accordo ad una esten-<br />
sione del totalitarismo ad altre forme che non siano i<br />
regimi di Hitler e di Stalin. In questo è stata molto<br />
chiara. Il totalitarismo nasce per la crisi della società<br />
borghese, anche laddove, in Russia ad esempio, ne<br />
arriva solo l’esperienza. Nasce per la crisi dei grandi<br />
valori democratici; antisemitismo, imperialismo e per-<br />
______________________________<br />
148 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. XXXIV. Vedi anche<br />
Understanding and Politics, in «Partisan Rewiew», XX, IV, !953; trad.<br />
it. Comprensione e politica. in La disobbedienza civile, Milano, Giuffrè,<br />
1985.
156<br />
dita dei diritti umani ne sono gli elementi denotativi.<br />
Nasce per la crisi dello Stato-nazione e la perdita del-<br />
lo spazio e del pluralismo politico.<br />
Totalitario, dunque, è quel regime che presenta i<br />
seguenti caratteri:<br />
· atomizzazione della società ed estraneazione degli<br />
individui;<br />
· movimento rivoluzionario recante una ideologica vi-<br />
sione del mondo;<br />
· assenza di struttura per l’intrinseca capacità di mo-<br />
bilitazione;<br />
· istituzionalizzazione del caos;<br />
· terrore organizzato al fine di privare gli uomini di<br />
ogni spontaneità;<br />
· sistema dei lager e dei campi di concentramento.<br />
E’ in questo senso che per la Arendt noi non pos-<br />
siamo confondere il totalitarismo né con le dittature a<br />
partito unico né coi regimi autoritari.<br />
Che il totalitarismo possa nuovamente accadere,<br />
non è possibile prevederlo aprioristicamente.
157<br />
Gli storici sono alquanto scettici, poiché concre-<br />
tamente di esso non se ne è mai data una realizzazione<br />
completa, né secondo un modello di società né tramite<br />
la creazione di ‘uomo nuovo’.<br />
Il totalitarismo, in effetti, porta con sé i germi del-<br />
la propria autodistruzione.<br />
E anche in questo senso la Arendt è stata profetica.<br />
Scrive, infatti, nelle pagine conclusive de Le ori-<br />
gini del totalitarismo: «Le soluzioni totalitarie potreb-<br />
bero sopravvivere alla caduta dei loro regimi sotto for-<br />
ma di tentazioni destinate a ripresentarsi ogni qual-<br />
volta appare impossibile alleviare la miseria politica,<br />
sociale od economica in maniera degna dell’uomo». 149<br />
Ma che senso ha parlare di tentazioni totalitarie? 150<br />
______________________________<br />
149 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 429.<br />
150 Secondo Habermas, la Arendt ha messo correttamente in evidenza<br />
l’importanza del potere comunicativo nelle strutture della sfera pubblica,<br />
la cui mancanza o soppressione dà luogo ai movimenti di massa che<br />
sottendono al regime totalitario. Parlare oggi di «tentazioni totalitarie»,<br />
in un epoca post-totalitaria, dovrebbe farci pensare alla nuova forma di<br />
massificazione imposta dai media, per i quali gli spettatori «elettronicamente<br />
irretiti» solo apparentemente «prendono posizione», nel senso che
158<br />
Forse che esso può essere una deviazione della demo-<br />
crazia occidentale, qualora si diano particolari contin-<br />
genze storiche? Cos’è che viene meno?<br />
Se il totalitarismo rappresenta l’eclissi del politi-<br />
co nel XX sec., allora è proprio il politico che va ri-<br />
pensato attraverso un nuovo criterio: la libertà.<br />
Non è un caso che la Arendt sostenga che «ciò<br />
che è andato storto è la politica». 151<br />
Se per la modernità la politica -o il politico- si è<br />
identificata con lo Stato, se è vero che la crisi dello<br />
Stato-nazione ha contribuito all’accadere del totalita-<br />
rismo, se è anche vero che con esso si è dato scacco al<br />
pensiero occidentale, di cui già era stata preconizzato<br />
______________________________<br />
«permangono strutture che bloccano lo scambio orizzontale di spontanee<br />
prese di posizione (ossia l’uso delle libertà comunicative), e che<br />
inducono gli isolati e privatizzati spettatori a collettivizzare in maniera<br />
scoraggiante le loro idee». J. Habermas, Colloquio su alcuni problemi di<br />
teoria politica. Un’intervista di M. Carleheden e R. Gabriels, in «Informazione<br />
filosofica», n. 28, maggio 1995, pp.21-2<strong>2.</strong><br />
151 H. Arendt, Was ist Politik?, R. Piper GmbH & Co KG, München,<br />
1993; trad. it. a cura di M. Bistolfi, Che cos’è la politica?, Milano, Edizioni<br />
Comunità, 1995.
159<br />
il tramonto, allora occorre operare dei distinguo nel-<br />
l’ordine del lessico politico, creare nuovi paradigmi<br />
con cui decifrare la complessità dell’esistente: torna-<br />
re, quindi, alle origini dell’esperienza umana, al di fuori<br />
di ogni incrostazione metafisica, al di là di ogni con-<br />
fusione concettuale.
160<br />
<strong>2.</strong> Lo Stato-Leviatano di Hobbes e lo Stato<br />
totalitario. Confronto legittimo?<br />
In Le origini del totalitarismo, la polemica della<br />
Arendt è non solo diretta alla grande scuola del diritto<br />
degli anni ‘30, di cui Schmitt ne era il portavoce più<br />
influente, ma anche ai teorici del pensiero borghese,<br />
Hobbes e Rousseau, teorici della sovranità ovvero di<br />
quella capacità dello Stato di essere un unico centro di<br />
potere e il soggetto esclusivo della politica.<br />
Il monismo statuale, inteso come reductio ad unum<br />
della pluralità dell’azione umana, è uno dei caratteri<br />
della modernità che ha contribuito alla formazione della<br />
mentalità totalitaria. Con ciò, tuttavia, la Arendt non<br />
vuol sostenere che Hobbes o Rousseau siano i padri<br />
del totalitarismo.<br />
Scrive la Arendt che Hobbes è l’unico grande fi-<br />
losofo della borghesia perché la sua concezione del-<br />
l’individuo è «un ritratto quasi completo, non dell’Uo-<br />
mo in quanto tale, ma dell’uomo borghese, un analisi
161<br />
che in trecento anni non ha perso d’attualità né è stata<br />
superata». 152<br />
L’uomo borghese è una funzione della società e<br />
la volontà di potenza è la sua passione fondamentale.<br />
La relazione tra gli uomini che dovrebbe fondare il<br />
corpo politico è, secondo la visione che la Arendt ha<br />
della teoria politica hobbesiana, connessa esclusiva-<br />
mente all’interesse privato, senza, quindi, vincoli per-<br />
manenti, né responsabilità e solidarietà.<br />
In Hobbes l’uomo è sempre solo, le sue azioni<br />
hanno carattere privato e lo stesso Commonwealth,<br />
basato sulla delegazione dei poteri, in realtà, qualora<br />
venissero meno i presupposti del patto, manifesta la<br />
sua fragilità perché, non essendovi una comunità ge-<br />
nuina, ognuno proteggerebbe se stesso. «Il “Com-<br />
monwealth” di Hobbes è una struttura vacillante che<br />
deve procurarsi sempre nuovi puntelli dall’esterno;<br />
______________________________<br />
152 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, op. cit., p. 196. Th. Hobbes,<br />
Leviatano, Roma-Bari, Laterza, 1989. Per una lettura del pensiero hobbesiano:<br />
G. Borrelli, Ragion di Stato e Leviatano, Bologna, Il Mulino, 1993.
162<br />
altrimenti precipiterebbe di colpo nell’insensato assur-<br />
do caos degli interessi privati da cui è scaturito». 153<br />
Il privato, il sociale, si è confuso con la sfera pub-<br />
blica; il potere e la necessità hanno avuto il monopo-<br />
lio sui diritti e la libertà.<br />
Lo Stato-Leviatano di Hobbes precorre sul piano<br />
ideale lo stato totalitario?<br />
Sarebbe impossibile non pensarlo se tenessimo<br />
solo conto dell’incisione a mo’ di frontespizio dell’ope-<br />
ra hobbesiana: questo ‘sovrano’ mostruosamente gran-<br />
de che sovrasta il mondo reggendo la spada e il pasto-<br />
rale, simboli del potere temporale e religioso, il cui<br />
corpo è formato da tanti minuscoli sudditi, i ‘molti’,<br />
da cui esso prende vita e potere.<br />
La Arendt mette in evidenza come la concezione uni-<br />
taria dello Stato in Hobbes ha sacrificato la pluralità e ha<br />
distrutto lo spazio politico: l’unità si è realizzata nel ‘do-<br />
minio’. E il dominio distrugge lo spazio politico.<br />
______________________________<br />
153 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 198.
163<br />
La ragion d’essere dello Stato hobbesiano è nel<br />
bisogno di sicurezza dell’individuo che si sente mi-<br />
nacciato dai suoi simili e l’uguaglianza tra i sudditi<br />
non è l’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla<br />
legge perché hanno uguali diritti e uguale dignità,<br />
bensì è un’uguaglianza che poggia le sue fragili basi<br />
sulla concezione della forza nella lotta per il potere.<br />
L’interesse privato, dunque, è il bene comune, il po-<br />
tere è la forza e ad una accumulazione illimitata di<br />
beni corrisponde un’accumulazione illimitata di po-<br />
tere: da qui l’intrinseca instabilità del Commonwe-<br />
alth, basato, appunto, su una delegazione di potere<br />
piuttosto che di diritti.<br />
La versione verticale del potere che si trova in<br />
Hobbes, in virtù del patto di soggezione, comporta<br />
che ciascun individuo dia il suo consenso «ad essere<br />
sottoposto ad un governo, il cui potere consiste nella<br />
somma totale delle forze che tutti i singoli individui<br />
hanno incanalato in esso, e che vengono monopoliz-<br />
zate dal governo per il preteso beneficio di tutti i
164<br />
sudditi». 154 L’azione dei pattuenti, cioè, è vincolata<br />
alla rinuncia di uno spazio politico, quindi all’azione<br />
interrelata, e ciò che ne deriva è l’isolamento, l’ato-<br />
mizzazione degli individui. «L’azione -dice la Aren-<br />
dt- non è mai possibile nell’isolamento; essere isolati<br />
significa essere privati della facoltà di agire». 155<br />
Più che come autore di una possibile Weltaschau-<br />
ung totalitaria, tuttavia, per la Arendt, Hobbes contri-<br />
buisce a quella ideologia ‘progressista’ del tardo XIX<br />
sec. che preannuncia l’ascesa dell’imperialismo.<br />
Lo stessa critica, potremmo dire, traspare nella<br />
valutazione della volontà generale in Rousseau, che<br />
pure è considerato padre dei giacobini e teorico della<br />
democrazia diretta. La Arendt mette in evidenza che<br />
anch’egli opera quella reductio ad unum dello Stato<br />
che azzera il pluralismo come singolare capacità<br />
______________________________<br />
154 H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit. L’opera, pubblicata dalla Arendt<br />
nel 1963, è stata riedita nel 1965 con alcune «piccole ma importanti<br />
modifiche».<br />
155 H. Arendt, The Human Condition, Chicago, The University of Chicago<br />
Press, 1959; trad. it. Vita Activa, Milano, Bompiani, 1964, p. 137.
165<br />
d’azione degli individui e fa coincidere la volontà ge-<br />
nerale con la sovranità unica e indivisibile.<br />
Secondo la Arendt la sovranità non può essere<br />
confusa con l’autorità.<br />
Tale identificazione darebbe luogo a deviazioni<br />
dittatoriali perché da una stessa matrice,<br />
sovranità=autorità, deriverebbero il potere e l’autori-<br />
tà, la legalità e la legittimità, istanze che, invece, do-<br />
vrebbero restare separate per il corretto funzionamen-<br />
to delle istituzioni democratiche.<br />
Ciò che ha a cuore la Arendt, in effetti, è capire come<br />
sia possibile che le democrazie possano deviare in dittatu-<br />
re e totalitarismo, se sono già in esse i germi di questa<br />
devianza e quale è la condizione ottimale, se esiste, per-<br />
ché questa deviazione verso il terrore o verso il dominio<br />
totalitario di una maggioranza non accada.<br />
Il suo approccio ermeneutico consiste nello stu-<br />
diare l’origine delle democrazie moderne, la fonda-<br />
zione di queste come fondazione del nuovo, la crea-<br />
zione, nel senso romano del termine, di una tradizione
166<br />
e di una autorità. Ella si pone, cioè, questo interrogati-<br />
vo: è stata possibile la fondazione di un nuovo corpo<br />
politico in cui ogni singolo ha potuto partecipare alla<br />
vita politica? E come? Cosa ha significato fondare un<br />
corpo politico sulla libertà? Che cosa è storicamente<br />
avvenuto?
167<br />
3. L’inedito nella storia: le rivoluzioni.<br />
‘Liberazione da’ o ‘libertà di’:<br />
qual è il fondamento del nuovo corpo politico?<br />
La politica come natalità.<br />
La Arendt individua nella rivoluzione il momen-<br />
to in cui è possibile l’affermazione, nell’età moderna,<br />
di una politica autentica, intendendo per ‘età moder-<br />
na’ quel periodo di tempo in cui sembra che l’azione<br />
politica progressivamente vada scomparendo fino ad<br />
estinguersi del tutto con il totalitarismo.<br />
La rivoluzione, anzi la storia delle rivoluzioni, quella<br />
americana del 1776, quella francese del 1789, infine quel-<br />
la ungherese del 1956, diventano, quindi, la chiave inter-<br />
pretativa dei fenomeni storici moderni. 156<br />
______________________________<br />
156 Alcune critiche sono state mosse a riguardo: 1) Habermas sostiene<br />
che la Arendt abbia distinto e contrapposto una ‘buona’ ed una ‘cattiva’<br />
rivoluzione, l’una politica, la rivoluzione americana, l’altra sociale, quella<br />
francese. Si potrebbe obiettare che la Arendt comunque sottolinea che la<br />
rivoluzione americana fallisce nei suoi effetti perché i cittadini poi intendono<br />
la libertà come libertà della sfera privata contro il mondo politico.<br />
2) Lo storico Hobsbawm ritiene che la Arendt avrebbe dovuto te-
168<br />
Che cosa s’intende per rivoluzione? 157<br />
La Arendt cerca di recuperare il significato au-<br />
tentico della nozione in relazione con i concetti di li-<br />
bertà e potere, anch’essi sclerotizzati da schemi e teo-<br />
______________________________<br />
nere in debito conto anche la prima rivoluzione inglese. Questo non è<br />
possibile perché la Arendt è stata molto più attenta a quelle rivoluzioni<br />
che sul piano delle istituzioni hanno dato luogo a delle reali modifiche:<br />
la rivoluzione dei livellatori è stata una rivoluzione mancata, sebbene<br />
abbia aperto la strada alla monarchia costituzionale. 3) Per Nisbet la<br />
Arendt ha minimizzato la questione sociale presente in America. Questa<br />
obiezione non tiene conto, tuttavia, che non c’era la stessa pressione sul<br />
governo americano come dei sanculotti sui giacobini, né le stesse vertenze<br />
economiche.<br />
157 «La rivoluzione è il tentativo accompagnato dall’uso della violenza<br />
di rovesciare le autorità politiche esistenti e di sostituirle al fine di effettuare<br />
profondi mutamenti nei rapporti politici, nell’ordinamento giuridico-costituzionale<br />
e nella sfera socio-economica. (...) La necessità dell’impiego<br />
della violenza come elemento costitutivo di una rivoluzione<br />
può essere teorizzato in astratto, ma senza fondamenta storiche, rilevando<br />
come le classi dirigenti non cedano il loro potere spontaneamente e<br />
senza opporre resistenza e come quindi i rivoluzionari siano costretti a<br />
strapparlo loro con la forza, e sottolineando inoltre che i mutamenti introdotti<br />
dalla rivoluzione non possono essere accettati pacificamente,<br />
poiché significano perdita di potere, status e ricchezza per tutte le classi<br />
colpite. (...) ...in taluni casi le rivoluzioni sono forzature della storia,<br />
forse inevitabili ma pur sempre forzature». G. Pasquino, Rivoluzione, in<br />
N. Bobbio, N. Metteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica, op. cit.
169<br />
rie reciprocamente escludentisi. Ella sostiene che non<br />
esiste il mito della violenza rivoluzionaria creatrice,<br />
né che la rivoluzione vada interpretata come una ‘fi-<br />
gura’ del progressivo avanzare dello spirito assoluto<br />
oppure come lo sbocco necessitato delle contraddizioni<br />
economico-sociali.<br />
Lontano dalla prospettiva hegeliana e marxista,<br />
la Arendt opera un distinguo tra libertà e liberazione:<br />
«la liberazione può essere una condizione della liber-<br />
tà, ma è assolutamente da escludere che vi conduca<br />
automaticamente; (...) il concetto di libertà implicito<br />
nella liberazione può essere solo negativo, e quindi<br />
l’intenzione di liberare non si identifica col desiderio<br />
di libertà». 158<br />
La libertà non può essere ‘liberazione da’ così come<br />
l’evento rivoluzionario non può essere necessitato o de-<br />
terminato da forze storiche. Esso, anzi, si sostanzia della<br />
libertà che è ciò che appare nella relazione plurale tra gli<br />
______________________________<br />
158 H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit.
170<br />
uomini che partecipano alla vita pubblica, è capacità cora-<br />
le di dare vita e partecipare al nuovo assetto politico.<br />
Libertà non è necessità né atto di volontà.<br />
La rivoluzione, dice la Arendt, «si decide da sola»,<br />
sulla base di fatti ed avvenimenti per i quali gli uomini<br />
sono attori-spettatori e non autori.<br />
Vicina alla teoria di Rosa Luxemburg, ella ritiene<br />
che «una buona organizzazione dell’azione rivoluzio-<br />
naria può e deve essere appresa nel corso stesso della<br />
rivoluzione, allo stesso modo in cui si impara a nuota-<br />
re soltanto nell’acqua. (...) Le rivoluzioni non sono<br />
“fatte” da nessuno, ma erompono spontaneamente». 159<br />
Le rivoluzioni sono gli eventi che irrompono nel-<br />
la routine della storia e ne cambiano il volto; sono atti<br />
inaugurali di un nuovo inizio, la cui conoscenza, da<br />
parte dei protagonisti, emerge solo «dopo che essi erano<br />
giunti, in gran parte contro la loro volontà, ad un pun-<br />
to da cui non si poteva tornare più indietro». 160<br />
______________________________<br />
159 Ibidem.<br />
160 Ibidem.
171<br />
Il termine rivoluzione venne mutuato dall’astro-<br />
nomia e solo nel 1660 venne utilizzato per designare<br />
un cambiamento politico, la restaurazione della mo-<br />
narchia in Inghilterra.<br />
La rivoluzione era essenzialmente ‘rivoluzione<br />
conservatrice’.<br />
Chi era entrato nel gioco rivoluzionario credeva di<br />
poter restaurare un antico ordine di cose, cose appartenen-<br />
ti al passato, e, solo nel corso stesso della rivoluzione, si<br />
rese conto che ciò era impossibile. Si trattava di una im-<br />
presa totalmente nuova, una novità assoluta.<br />
«Ciò che essi avevano concepito come una restau-<br />
razione, un recupero delle loro antiche libertà, diven-<br />
ne invece una rivoluzione».<br />
Gli uomini della rivoluzione si resero conto solo<br />
dopo che avevano la possibilità non già di ripristinare<br />
una tradizione consumata bensì creare un nuovo ordi-<br />
ne politico, la repubblica, un novus ordo saeclorum.<br />
E’ questo il significato autentico di rivoluzione,<br />
la cui idea centrale «è l’instaurazione della libertà, os-
172<br />
sia la fondazione di uno stato che garantisca lo spazio<br />
in cui la libertà può manifestarsi». 161<br />
L’analisi comparativistica delle due importanti ri-<br />
voluzioni dell’età moderna, quella americana e quella<br />
francese, pur presentando delle limitazioni, tenta un<br />
discorso che non si riduca all’astrattezza, che resti, cioè,<br />
puramente teorico, anche se per gli specialisti questo<br />
è un aspetto spesso insoddisfacente.<br />
Il disegno della Arendt è seguire la tradizione de-<br />
mocratica per raccontarne la fondazione e capire come<br />
mai la tradizione filosofica, sia da Hobbes a Schmitt<br />
che da Rousseau agli eredi dei giacobini, non è riusci-<br />
ta ad impedire il totalitarismo.<br />
«In termini generali possiamo dire che nessuna<br />
rivoluzione è addirittura possibile là dove l’autorità<br />
dello Stato è veramente intatta (...). Le rivoluzioni<br />
sembrano sempre riuscire con straordinaria facilità<br />
nella loro fase iniziale e la ragione è che i loro arte-<br />
______________________________<br />
161 Ibidem.
173<br />
fici all’inizio non fanno che strappare il potere ad un<br />
regime in piena disgregazione.<br />
Sono insomma la conseguenza non la causa del<br />
crollo dell’autorità politica». 162<br />
Dovremmo pensare che l’avvento del nazional-<br />
socialismo è stato conseguenza della crisi della Re-<br />
pubblica di Weimar: la vulnerabilità delle istituzioni<br />
e il malcontento sociale hanno favorito il partito na-<br />
zionalsocialista e la violenza adottata per giustifica-<br />
re la trasformazione radicale del ‘vecchio ordine’.<br />
La presa di potere di Hitler in Germania era sa-<br />
lutata dai nazionalsocialisti come «rivoluzione na-<br />
zionale» 163 : in realtà, sebbene «nei primi anni del loro<br />
______________________________<br />
162 Ibidem.<br />
163Cfr. Bracher, che sostiene «Propagandisti, politici e giuristi nazionalsocialisti<br />
fin da principio si preoccuparono particolarmente di sottolineare che<br />
il governo hitleriano avrebbe significato l’inizio di una rivoluzione, di un<br />
profondo mutamento di tutte le cose, ma che si trattava di un processo legale,<br />
svolgentesi nell’ambito del diritto e della costituzione. Mediante il concetto<br />
paradossale di rivoluzione legale vennero uniti artificiosamente due<br />
assiomi della azione politica che si contraddicevano reciprocamente». K. D.<br />
Bracher, La dittatura tedesca. Origini, strutture, conseguenze del nazional-
174<br />
regime i nazisti riversarono sul paese una valanga di<br />
leggi e decreti», 164 non venne mai abrogata la carta<br />
costituzionale di Weimar, tant’è che essa era formal-<br />
mente in vigore ancora al momento della dissoluzio-<br />
ne della Germania e della morte del Führer.<br />
La rivoluzione in quanto tale non può non condur-<br />
re, secondo l’accezione arendtiana, ad una nuova co-<br />
stituzione, segno tangibile della fondazione del nuovo<br />
corpo politico. 165<br />
Nonostante la dichiarazione di voler attuare una<br />
______________________________<br />
socialismo, Bologna, Il Mulino, 1973. Anche Nolte scrive che in Germania<br />
«si compì una rivoluzione senza alcuna violazione rivoluzionaria della legalità<br />
vigente (e insieme senz’ombra di rispetto per essa) ». E. Nolte, I tre<br />
volti del fascismo, Milano, Mondadori, 1971.<br />
164 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit. , p. 541.<br />
165 La costituzione è la struttura stessa di una comunità politica organizzata.<br />
L’esigenza di una costituzione scritta fu per la prima volta avvertita<br />
in Inghilterra durante il periodo delle guerre civili, sebbene questa restasse<br />
poi fedele alla costituzione consuetudinaria. La prima costituzione<br />
scritta fu quella della Virginia nel 1776, a cui seguirono altri stati<br />
americani, fino a che, nel 1788, venne portato a termine il processo costituente<br />
con la ratifica, da parte della maggioranza degli stati, della costituzione<br />
degli Stati Uniti d’America, stesa alla Convenzione di Filadelfia,<br />
costituzione da allora ancora vigente.
175<br />
«rivoluzione permanente», 166 con il nazionalsociali-<br />
smo, invece, non si è avuto alcun ammodernamento<br />
delle istituzioni.<br />
In America, invece, con la rivoluzione del 1776,<br />
era accaduto proprio il contrario.<br />
La rivoluzione americana aveva avuto il pregio di<br />
mettere in evidenza la possibilità dell’agire politico<br />
autentico: nel nuovo mondo, il patto sottoscritto l’11<br />
novembre del 1620 sul Mayflower dai Padri Fondato-<br />
ri aveva coniugato potere politico e libertà, felicità e<br />
vita pubblica grazie ad una nuova concezione del po-<br />
litico come «pratica di libertà». «Ciò che in realtà fece<br />
la rivoluzione americana fu di portare alla ribalta la<br />
nuova esperienza ed il nuovo concetto di potere ame-<br />
ricano. Come la prosperità e l’uguaglianza di condi-<br />
zioni questo nuovo potere era più antico della rivolu-<br />
______________________________<br />
166 La nozione di ‘rivoluzione permanente’ rinvia al carattere di movimento<br />
incessante, di mobilitazione che doveva impedire la stabilità del<br />
governo. Per questo l’hitlerismo mette in atto una selezione razziale incessante<br />
affinché si prevenga l’anchilosi del Volk, mentre lo stalinismo<br />
attua una lunga serie di epurazioni e trasferimenti della popolazione.
176<br />
zione, ma non sarebbe sopravvissuto senza la fonda-<br />
zione di un organismo politico, destinato esplicitamen-<br />
te a difenderlo e a conservarlo; senza rivoluzione, in<br />
altre parole, quel nuovo principio di potere sarebbe<br />
rimasto nascosto». 167<br />
Diversamente era stato per la rivoluzione france-<br />
se, il cui esito fu fallimentare, da una parte perché si<br />
rivelò più astratta, progettata da intellettuali interessa-<br />
ti ad elaborare idee e teorie piuttosto che pratica poli-<br />
tica, dall’altra per l’emergenza della questione socia-<br />
le, per cui la libertà veniva ad identificarsi con la libe-<br />
razione dal bisogno.<br />
Non la libertà pubblica era lo scopo dei rivoluzio-<br />
nari, bensì il benessere del popolo.<br />
In concreto, «quando si scatenò questa forza, quan-<br />
do ognuno fu convinto che solo l’interesse nudo e il<br />
______________________________<br />
167 H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit. Peraltro, il patto dei Padri Pellegrini,<br />
che erano giunti sulle desolate spiagge di Cape Cod, servì a fondare<br />
la comunità politica di Plymouth: fu il punto di avvio di altrettanti covenants<br />
ed agreements da cui, nel New England, nacquero numerose comunità.
177<br />
bisogno erano senza ipocrisia, i malheureux si cam-<br />
biarono in enragés, perché la rabbia è in realtà l’unica<br />
forma in cui la miseria può diventare attiva». 168<br />
Per la Arendt viene a confondersi ciò che è neces-<br />
sariamente legato alla natura dell’uomo e ciò che gli<br />
conferisce identità e dignità, poiché con la rivoluzio-<br />
ne francese la politica viene subordinata alla questio-<br />
ne sociale, ergo all’economico.<br />
Tale confusione è particolarmente evidente nella<br />
nozione di popolo.<br />
«La definizione stessa del termine era nata dalla<br />
compassione e la parola divenne sinonimo di sfortuna<br />
e infelicità -le peuple, les malheurex m’applaudissent,<br />
soleva dire Robespierre; le peuple toujours malheu-<br />
rex, come si esprimeva perfino Sieyès, una delle figu-<br />
re meno sentimentali e più lucide della Rivoluzione». 169<br />
Il termine popolo rinvia tanto al soggetto politico<br />
costitutivo quanto alla classe che di fatto é esclusa dalla<br />
______________________________<br />
168 H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit.<br />
169 Ibidem.
178<br />
politica. Sia nell’italiano popolo che nel francese peu-<br />
ple o lo spagnolo pueblo, con i connessi aggettivi, è<br />
presente questa ambiguità semantica; lo stesso per l’in-<br />
glese people, che conserva, anzi, un ordinary people<br />
in opposizione alla nobiltà. 170<br />
Popolo e popolo, quindi, una frattura che ha de-<br />
viato l’azione politica in Europa fin dalla Rivoluzione<br />
francese.<br />
In Le origini del totalitarismo, la Arendt aveva<br />
rimarcato che nel momento in cui il popolo tedesco si<br />
era riconosciuto nella razza ariana era Volks per il di-<br />
ritto, corpo politico integrale, e sanciva così l’esclu-<br />
______________________________<br />
170 «Nella costituzione americana si legge, senza distinzioni di sorta,<br />
“We, the people of the United States...”; ma quando Lincoln, nel discorso<br />
di Gettisburgh, invoca un “Governement of the people by the people<br />
for the people”, la ripetizione contrappone implicitamente al primo popolo<br />
un altro», da G. Agamben, Mezzi senza fini, op. cit., p.30. L’abate<br />
Sieyès, autore del famoso Qu’est-ce que le Tiers Etat? (1789) aveva<br />
parlato della ‘nazione’ come se intendesse l’intero popolo francese. In<br />
realtà il riferimento era per la borghesia: la ‘nazione’ borghese era un’unità<br />
compatta esprimente non l’empirica volontà generale, bensì l’assoluta<br />
volontà generale per cui si condannavano i partiti e le fazioni. Anche<br />
in questo caso il termine popolo risulta equivoco.
179<br />
sione dai diritti il cittadinanza degli ebrei e di quanti<br />
identificava con la categoria di «nemico oggettivo». 171<br />
Una legge di natura, dunque, aveva finito per per-<br />
meare il diritto rendendo ancor più catastrofica la frat-<br />
tura Popolo e popolo.<br />
L’equivoco, dunque, che compromise il buon esi-<br />
to della rivoluzione francese fu il voler «emancipare<br />
la natura», voler porre una soluzione ai bisogni natu-<br />
rali: «La necessità invase così il campo del politico,<br />
l’unico in cui gli uomini possono essere liberi». 172<br />
In America esistevano delle precondizioni, la relati-<br />
va eguaglianza e la mancanza di una radicale questione<br />
sociale, le quali permisero che il sociale, il privato, non<br />
inficiasse la politica. La felicità era ‘felicità pubblica’, il<br />
consenso era ‘scambio di opinioni tra eguali’, la sovranità<br />
del popolo non era concezione assoluta.<br />
______________________________<br />
171 Con la ‘soluzione finale’, i nazisti tentarono di eliminare dalla scena<br />
politica gli ‘indesiderabili’, compito che essi ostinatamente andavano<br />
ad assolvere anche per gli altri popoli europei.<br />
172 H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit.
180<br />
La pratica politica del Mayflower Compact, mai<br />
interrotta dalla posterità dei Padri Fondatori, aveva<br />
portato in risalto che la capacità umana di costituire il<br />
mondo avrebbe di per sé garantito e tutelato gli uomi-<br />
ni dalle pulsioni naturali.<br />
Nessun ricorso, quindi, a finzioni circa la natura<br />
dell’uomo, come volevano le classiche teorie contrat-<br />
tualistiche, né alcun ricorso all’Assoluto - Robespierre<br />
aveva reclamato l’ «Essere Supremo» come garanzia<br />
della stabilità della repubblica laddove nel contesto re-<br />
ligioso, tipicamente europeo, si faceva ancora appello<br />
al «Dio Onnipotente» che aveva dotato gli uomini di<br />
«diritti inalienabili».<br />
La rivoluzione francese non aveva fatto altro che<br />
sostituire la volontà del popolo, che si rivela come<br />
dispotismo della maggioranza, sul dominio dell’uomo<br />
sull’uomo e riconoscere la sottomissione dell’uomo<br />
alla legge divina o morale, mantenendo ben ferma la<br />
confusione tra potere e dominio.<br />
E per la Arendt il dominio è una interpretazione
181<br />
falsificata e falsificante del potere. 173 Non solo. Il buon<br />
esito della rivoluzione francese sarebbe stato deviato<br />
dal terrore.<br />
La considerazione che il terrore sia lo strumento<br />
che permetta la conservazione del potere e che la vio-<br />
lenza sia necessaria per la creazione di un corpo po-<br />
litico viene confutata dalla Arendt facendo riferimen-<br />
to al racconto di Melville, Billy Budd, e all’episodio<br />
del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov di Do-<br />
stoevskij.<br />
Ella si serve di queste due opere letterarie per<br />
mostrare come, nella storia, chiunque, sia esso popo-<br />
lo, classe o individuo, si ponga come depositario del<br />
bene assoluto risponda poi con la violenza all’ingiu-<br />
stizia. Non esiste nessuna violenza necessaria, anzi essa<br />
testimonia di un vuoto del diritto e, quindi, di un vuo-<br />
______________________________<br />
173 Illuminante è il saggio di P. Ricoeur «Pouvoir et violence», in Politique<br />
et pensée. Colloque Hannah Arendt, Éditions Payot & Rivages, Paris,<br />
1996. Questa raccolta di saggi è apparsa per la prima volta con il<br />
titolo Ontologie et politique. Hannah Arendt, presso le edizioni Tierce,<br />
1989.
182<br />
to della giustizia. Lo stesso deve dirsi per il terrore<br />
totalitario.<br />
Durante la rivoluzione, in Francia, la compassione<br />
dei miserabili si era impadronita degli animi più elevati e<br />
li aveva spinti ad azioni non pertinenti alla politica. Il loro<br />
obiettivo divenne lo smascheramento dell’ipocrisia, del-<br />
l’inganno sociale, in un tempo, quello della monarchia as-<br />
soluta, in cui facilmente si violavano i giuramenti e si pas-<br />
sava all’intrigo. Già per Rousseau il male principale della<br />
società era l’ipocrisia, cioè la mancanza di promesse, non<br />
mantenute dal potere centrale, verso il popolo. Se per So-<br />
crate l’ipocrita era il falso testimone di se stesso, il peggio-<br />
re degli uomini quindi, per Machiavelli, con cui la Arendt<br />
è d’accordo, l’ipocrita è colui che appare quale vuole es-<br />
sere stimato. 174<br />
______________________________<br />
174 Simulazione e dissimulazione sono termini chiave per il discorso sul<br />
politico. Simulazione è mostrare di essere ciò che non si è ed ha uno<br />
spettro di comportamenti ben più ampio, in campo politico, della dissimulazione,<br />
che, in quanto è nascondere ciò che si è realmente, si limita<br />
alla sola sfera dell’inganno più o meno cosciente. cfr. N. Machiavelli, Il<br />
Principe, Milano, Feltrinelli, 1995.
183<br />
Nel campo delle relazioni umane, infatti, là dove c’è<br />
apparenza di virtù, ci sono anche gli effetti della virtù e<br />
poco importa se qualcosa di imperscrutabile vi si nasconda.<br />
La deviazione verso il terrore per la rivoluzione fran-<br />
cese deriva dal fatto che elementi moralistici erano, come<br />
la compassione e lo smascheramento dell’ipocrisia erano<br />
entrati nella pratica politica, scatenando furori e annullan-<br />
do il regno del diritto che garantisce e tutela tutti.<br />
Lo stesso Robespierre, che pretendeva di essere il<br />
depositario della virtù, era diventato l’uomo del terro-<br />
re. Nel clima di sospetto che circondava i rivoluziona-<br />
ri, chiunque poteva essere sospettato di ipocrisia e di<br />
essere nemico del popolo.<br />
La Arendt, per questo motivo, sostiene la teoria<br />
di Montesquieu, 175 che, peraltro, contrappone a Rous-<br />
______________________________<br />
175 Montesquieu, fedele all’antica iurisdictio, teneva soprattutto all’indipendenza<br />
della funzione giudiziaria dal politico e al governo misto,<br />
visto in funzione dei checs and balances, dei pesi e dei contrappesi per<br />
realizzare un equilibrio costituzionale. Era, dunque, necessaria la separazione<br />
di «questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le<br />
risoluzioni pubbliche e quello di punire i delitti o giudicare le controversie<br />
dei privati».
184<br />
seau. Secondo l’autore dell’ Esprit des lois la virtù non<br />
è un assoluto, deve essere moderata e non deve entra-<br />
re nella politica. Il teorico del costituzionalismo rite-<br />
neva che la garanzia della pluralità risiedeva nella ri-<br />
partizione del potere, in modo tale da mediare le ten-<br />
sioni e i rapporti di forza.<br />
Riproporre Montesquieu e il contrattualismo an-<br />
glosassone come riflessione sul patto e sulle istituzio-<br />
ni realmente esistenti, conduce la Arendt a riflettere<br />
anche sulle modalità della rappresentanza.<br />
La pluralità non può essere rappresentata, innan-<br />
zitutto perché è l’unicità degli esseri che la esclude,<br />
poi perché il concetto di rappresentanza implica l’as-<br />
senza dei rappresentati, quindi la spoliticizzazione della<br />
politica. La rappresentanza si definisce, dunque, come<br />
rapporto di dominio di alcuni uomini su altri, come<br />
organizzazione della forza dei governanti, come di-<br />
sciplinamento centralizzato della decisione. Non c’è<br />
alcunché in comune se non uno spazio.<br />
Alla constitutio libertatis, dunque, cosa occorre?
185<br />
Storicamente in tutte le rivoluzioni si è attuata l’orga-<br />
nizzazione spontanea dei consigli: in quella americana di<br />
Jefferson, nella Comune di Parigi, nei Soviet, persino nel-<br />
la rivoluzione ungherese del 1956. Essi sono la manife-<br />
stazione della vera democrazia perché si dà a tutto il po-<br />
polo la possibilità di agire e di essere responsabili delle<br />
proprie azioni e dell’andamento egli eventi.<br />
E’ garantita l’imprevedibilità, la pluralità, la par-<br />
tecipazione diretta. Nella tradizione occidentale que-<br />
sti sono caratteri a cui si è pensato sempre di porre<br />
rimedio, ad esempio con la formazione dei partiti.<br />
Ne Le origini del totalitarismo, la Arendt aveva già<br />
espresso un giudizio secco e negativo sull’attività dei par-<br />
titi. Questi funzionavano come cinghia di trasmissione<br />
dell’interesse individuale nell’interesse collettivo, come<br />
gruppo di interesse senza riuscire a garantire la singolarità<br />
che si manifesta nella relazione plurale.<br />
Sono esposti alla corruzione e all’inefficienza;<br />
sono antidemocratici per il fatto che indicano i candi-<br />
dati che il cittadino-elettore andrà a votare.
186<br />
Nei consigli, invece, il popolo poteva gestire gli<br />
affari politici direttamente; ogni consiglio avrebbe elet-<br />
to i rappresentanti da inviare ai consigli superiori, se-<br />
condo una piramide che avrebbe formato una élite af-<br />
fettivamente democratica.<br />
Pur proponendo l’abolizione del suffragio univer-<br />
sale, la Arendt ritiene che il metodo dell’alternanza di<br />
due soli partiti possa preservare il sistema da eventua-<br />
li blocchi e pericoli: l’opposizione di un periodo sarà<br />
al potere in un altro momento, senza per questo perde-<br />
re la responsabilità dell’azione politica. Una respon-<br />
sabilità che manca nel caso di più partiti al potere e del<br />
tutto assente sia nella società di massa, in cui i singoli<br />
sono deresponsabilizzati alla politica, sia nel totalita-<br />
rismo, ove tutto è nelle mani del capo.<br />
E’ chiaro che istituzioni e leggi sono il perno fon-<br />
damentale per il corretto funzionamento della demo-<br />
crazia, quanto il consenso.<br />
Quanto, però, i consigli, contrari all’isolamento del<br />
singolo e luogo privilegiato della pluralità irrapresen-
187<br />
tabile e dell’azione intesa come nuovo inizio, sono pra-<br />
ticabili? L’orientamento della Arendt resta un’alterna-<br />
tiva utopica o, quantomeno, non realistica?
CONCLUSIONI
189<br />
In Le origini del totalitarismo la Arendt sottoli-<br />
nea spesso come il totalitarismo distrugge il presup-<br />
posto di ogni libertà, annulla la capacità di agire di<br />
concerto, azzera quello spazio che esiste tra ciascun<br />
uomo libero estraniandolo.<br />
Abbiamo visto come i prodromi dell’ideologia<br />
totalitaria siano nella crisi dello Stato-nazione e nel<br />
contesto socio-culturale-politico in cui si attua l’anti-<br />
semitismo e l’imperialismo. Abbiamo visto come ai<br />
margini della tradizione egemone siano esistite poten-<br />
zialità politiche che si sono sottratte alla categoria del<br />
dominio: l’esperienza della rivoluzione americana e<br />
dei sistemi consiliari.<br />
Se è necessario ripensare la politica, cosa la Arendt<br />
intende per politica?<br />
Un punto è da tener ben presente: la deviazione della<br />
politica è stata evidente quando la sfera del privato si è<br />
confusa, anzi, si è identificata con la sfera pubblica; in<br />
altre parole, quando lo Stato si è aperto alla società o, se<br />
vogliamo, la società è permeata nello Stato. Sono venute
190<br />
meno le categorie tradizionali del pensiero politico: Stato,<br />
sovranità, autorità, potere ed altre.<br />
La Arendt non ha mai identificato il politico con<br />
lo Stato, semmai ne ha rivendicato l’autonomia sottra-<br />
endolo al dominio, lo strumento di coercizione con cui<br />
da Platone in poi si è pensato il potere politico. Anzi,<br />
nella tradizione del pensiero occidentale, il potere è<br />
stato sempre connesso alla violenza come qualcosa di<br />
inscindibile; invece, essi si escludono a vicenda.<br />
I Padri Fondatori americani erano riusciti a istituire<br />
uno spazio politico senza fare ricorso alla violenza, ser-<br />
vendosi solo di una costituzione, anche non erano riusciti<br />
a comunicare nel tempo a venire lo spirito della loro inno-<br />
vativa esperienza. E’ possibile una fondazione senza vio-<br />
lenza; è possibile esercitare il potere senza violenza.<br />
Nella tradizione occidentale, la Arendt rileva che<br />
molti attori rivoluzionari confondono l’atto plurale e<br />
politico della fondazione, da cui deriva l’autorità del<br />
nuovo corpo politico, con la violenza. Ricordando<br />
Machiavelli e Robespierre, dice che «il loro problema
191<br />
era, alla lettera, quello di come fare un’Italia unita o<br />
una repubblica francese, e la loro giustificazione della<br />
violenza nasceva e riceveva la sua intrinseca plausibi-<br />
lità dall’argomentazione sottesa: come non si può fare<br />
un tavolo senza abbattere degli alberi, o una frittata<br />
senza rompere le uova, neppure si può fare una Re-<br />
pubblica senza uccidere qualcuno». 176<br />
Così dovremmo giustificare anche il terrore totalitario?<br />
E’ indicibile il passaggio dal «tutto è permesso»<br />
al «tutto è possibile» dei campi di concentramento e<br />
della violenza psicologica che riduce gli uomini ad «un<br />
unico fascio di reazioni». 177<br />
«Il dominio per mezzo della pura violenza entra<br />
in gioco quando si sta perdendo il potere». 178<br />
______________________________<br />
176 H. Arendt, What is Authority?, in Between Past and Future, cit.; trad.<br />
it. Che cos’è l’autorità? , in Id., Tra passato e futuro, cit.<br />
177 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.<br />
178 H. Arendt, On Violence, Harcourt, Brace & World, 1970, poi in The<br />
Crisis of the Republic, San Diego- New York- London, Harcourt Brace<br />
Jovanovich, 1972; trad. it. Sulla violenza, in Politica e menzogna, Milano,<br />
SugarCo,1985, p. 201.
192<br />
E ancora: «La violenza può sempre distruggere il<br />
potere; dalla canna del fucile nasce l’ordine più effi-<br />
cace, che ha come risultato l’obbedienza più imme-<br />
diata e perfetta. Quello che non può mai uscire dalla<br />
canna di un fucile è il potere». 179<br />
Il potere è tale per l’essere-insieme degli uomini,<br />
non è rappresentabile né alienabile, né coincide sul-<br />
l’unanimità.<br />
La Arendt pensa il consenso nei termini di un ‘dis-<br />
sidio’ su cui si acconsente e si può continuare a dis-<br />
sentire. E’ rispetto delle differenze, riconoscimento<br />
della pluralità.<br />
Lo spazio in comune, che non è unicamente spa-<br />
zio fisico, territoriale, bensì è la possibilità dello sta-<br />
re-insieme avendo qualcosa in comune, è il mondo.<br />
Il ‘mondo’ è la ‘casa’ che ‘abitano’ gli uomini. E’<br />
lo spazio dell’apparenza, è il pubblico.<br />
«Il termine “pubblico” equivale al mondo stesso,<br />
______________________________<br />
179 Ibidem, p. 20<strong>2.</strong>
193<br />
in quanto è comune a tutti e distinto dallo spazio che<br />
ognuno di noi vi occupa privatamente. Questo mondo<br />
tuttavia non si identifica con la terra e con la natura,<br />
come spazio limitato che fa da sfondo al movimento<br />
degli uomini e alle condizioni generali della vita orga-<br />
nica. Esso è connesso, piuttosto, con l’elemento artifi-<br />
ciale, il prodotto delle mani dell’uomo, come pure con<br />
le relazioni che intercorrono tra coloro che insieme<br />
abitano il mondo fatto dall’uomo». 180<br />
La Arendt è preoccupata -e Le origini del totali-<br />
tarismo lo confermano- per la riduzione degli uomini<br />
in esemplari seriali nella ‘società di massa’, e, soprat-<br />
tutto, se si tratta di una società totalitaria.<br />
E’ come se la vita stessa, nella sua nudità, fosse<br />
entrata per necessità nel dominio pubblico creando<br />
uniformità e spersonalizzazione.<br />
«Il carattere monolitico di ogni tipo di società, il<br />
suo conformismo che concede un interesse solo e una<br />
______________________________<br />
180 H. Arendt, The Human Condition, op. cit.
194<br />
sola opinione, è in ultima analisi radicato nell’ essere-<br />
uno del genere umano». 181<br />
La società è così omogenea perché tutti gli indivi-<br />
dui hanno i medesimi bisogni materiali, la stessa ur-<br />
genza di provvedere alle necessità della vita. E se un<br />
tempo la distinzione era il contrassegno dell’azione<br />
politica, ora è la moda, l’atteggiamento stravagante,<br />
l’effimero.<br />
flette.<br />
Pertanto è la burocrazia che politicamente la ri-<br />
«Ciò che noi tradizionalmente chiamiamo Stato e<br />
governo lascia qui il posto alla pura amministrazione: a<br />
quello stato di affari che Marx giustamente prediceva come<br />
“l’estinzione dello Stato”, benché sbagliasse nel credere<br />
che solo una rivoluzione potesse causarla». 182<br />
Si concretizza «the rule of nobody».<br />
«Il governo di nessuno non è necessariamente un<br />
non-governo; esso può, anzi, in certe circostanze, pro-<br />
______________________________<br />
181 Ibidem, p. 34.<br />
182 Ibidem, p. 33.
195<br />
dursi in manifestazioni ancora più crudeli e tiranniche<br />
di quelle consuete». 183<br />
Il totalitarismo ne è il mostruoso esempio.<br />
Ich selber wirchen? nein, ich will<br />
verstehen. Und wenn andere menschen<br />
verstehen-im sselben Sinne, wie<br />
ich verstanden habe dann gibt mir<br />
das eine Befriedigung wie ein Heimatgefühl. 184<br />
______________________________<br />
183 Ibidem, p. 30.<br />
184 «Io esercitare un influsso? No, io voglio capire. E se altri poi capiscono<br />
-alla stessa maniera in cui ho capito io- mi dà un senso di soddisfazione<br />
come una patria comune».
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199<br />
1943<br />
We Refugees, in «Menorah Journal», XXXI, January 1943, pp. 69-77;<br />
ristampato in The Jew as Pariah, cit., pp. 55-66; trad. it. Noi profughi,<br />
in Ebraismo e modernità, cit., pp. 35-49.<br />
Why the Crémieux Decree Wa Abrogated, in «Contemporary Jewisch<br />
Record», VI, 1943, n. 2, pp. 115-123.<br />
Portrait of a Period, in «Menorah Journal», XXXI, October 1943, pp.<br />
307-314; recensione di S. Zweig, The World of Yesterday: An Autobiography,<br />
New York, The Viking Press, 1943; ristampato in<br />
The Jew as Pariah, cit., pp. 112-121; trad. it. Ritratto di un periodo,<br />
in Ebraismo e modernità, cit., pp. 51-6<strong>2.</strong><br />
1944<br />
Race-Thinking Before Racism, in «The Rewiw of Politics», VI, 1944, n.<br />
1, pp. 36-73.<br />
The Jew as Pariah: A Hidden Tradition, in «Jewish Social Studies», VI,<br />
1944, n. 2, pp. 99-122; ristampato in The Jew as Pariah, cit., pp.<br />
67-90; versione tedesca ampliata: Die verbogene Tradition, in H.<br />
Arendt, Sechs Essays, hrsg. von D. Sternberger, Heidelberg, L.<br />
Schneider, 1948; ristampata in H. Arendt, Die verbogene tradition.<br />
Acht Essays, cit., pp. 46-73; trad. it. parziale della versione<br />
tedesca, in frammenti con i segueni titoli: parte I, Heinrich Heine:<br />
Schlemihl e principe del mondo di sogno; parte III, Charlie Chaplin:<br />
il sospettato; parte IV, Franz Kafka: l’uomo di buona volontà, in<br />
H. Arendt, Il futuro alle spalle, a cura di L. Ritter Santini, Bologna,<br />
Il Mulino, 1981, pp. 63-71; 271-274; 73-84.<br />
Concerning Minorities, in «Contemporary Jewish Record», VII, 1944,<br />
n. 4, pp. 353-368.<br />
Our Foreign Language Groups, in «Chicago Jewish Forum», III, 1944,<br />
n. 1, pp. 23-34.<br />
Franz Kafka: a Revaluation. On the Occasion of the Twentieth Anniver-
200<br />
sary of his Death, in «Partisan Rewiw», XI, 1944, n. 4, pp. 412-<br />
422; versione tedesca ampliata: Franz Kafka, in H. Arendt, Sechs<br />
Essays, cit.; ristampata in H. Arendt, Die verbogene Tradition.<br />
Acht Essays, cit., pp. 88-107; trad. it. della versione tedesca: Franz<br />
Kafka: il costruttore di modelli, in H. Arendt, Il futuro alle spalle,<br />
cit., pp. 85-103.<br />
Das zeitweilige Büdnis Zwischen Mob una Élite, in «Hochland. Monatszeitschrift<br />
für alle Gebiete des Wissens», 1944, pp. 51-52, 511-<br />
524.<br />
1945<br />
Organized Guilt and Universal Responsability, in «Jewish Frontier», XIII,<br />
1945, n. 1, pp. 19-23; ristampato in R. Smith, (a cura di), Guilt:<br />
Man and Society, New York, Doubleday Anchor, 1971; ripubblicato<br />
in The Jew as Pariah, cit., pp. 222-236; trad. it. Colpa organizzata<br />
e responsabilità universale, in H. Arendt, Ebraismo e modernità,<br />
cit., pp. 63-76.<br />
Approaches to the German Problem, in «Partisan Rewiew», XII, 1945,<br />
n. 1, pp. 93-106.<br />
The Stateless People, in «Contemporary Jewish Record», VIII, 1945, n.<br />
2, pp. 137-153.<br />
The Assets of Personality, in «Contemporary Jewish Record», VIII, 1945,<br />
n. 2, pp. 214-216, recensione di M. W. Weisgal, (a cura di), Chaim<br />
Wiesmann.<br />
Nightmare and Flight, in «Partisan Rewiew», XII, 1945, n.2, pp. 159-<br />
260, recensione di D. de Rougemont, The Devil’s Share.<br />
Dilthey as a Philosopher and Historian, in «Partisan Rewiew», XII, 1945,<br />
n. 3, pp. 404-6; recensione di H. A. Hodges, Wilhelm Dilthey: An<br />
Introduction.<br />
Christanity and Revolution, in «The Nation», 22 settembre 1945, pp.<br />
288-89.
201<br />
The Seeds of a Fascist International, in «Jewish Frontier», giugno 1945,<br />
pp.12-16.<br />
Zionism Reconsidered, in «Menorah Journal», XXXIII, agosto 1945, pp.<br />
162-196; ristampato in M. Selzer, (a cura di), Zionism reconsidered,<br />
New York, Macmillan; ripubblicato in The Jew as Pariah,<br />
cit., pp. 131-163; versione tedesca Der Zionismus aus heutiger<br />
Sicht , in H. Arendt, Die Verbogene Tradition, 1976, pp. 127-168;<br />
trad. it. Ripensare il sionismo, in H. Arendt, Ebraismo e modernità,<br />
cit., pp. 77-116.<br />
Imperialism, Nazionalism, Chauvinism, in «The Rewiew of Politics»,<br />
VII, 1945, n. 4, pp. 441-463.<br />
Parties, Movements and Classes, in «Partisan Rewiew», XII, 1945, n. 4,<br />
pp. 504-51<strong>2.</strong><br />
Power, Politics, Triumphs, in «Commentary», I, 1945, n. 1, pp. 92-92,<br />
recensione di F. Gross, Crssroads of Two Continents.<br />
1946<br />
Über den Imperialismus, in «Die Wandlung», I, 1946, pp. 650-666; ristapato<br />
in H. Arendt, Sechs Essays, 1948; H. Arendt, Die Verbogene<br />
Tradition, 1976.<br />
Privileged Jews, in «Jewish Social Studies», VIII, 1946, n. 1, pp. 3- 30;<br />
ristampato in A: G. Duker e M. Ben-Horin, Emancipation and<br />
Counteremancipation, New York, KtavPublishing House, 1947;<br />
pubblicato in modo parzoale con il titolo The Moral of History, in<br />
H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp. 96-105, trad. it. parziale La<br />
morale nella storia, in H. Arendt, Ebraismo e modernità, cit., pp.<br />
117-12<strong>2.</strong><br />
The Nation, in «The Rewiew of Politics», VIII, 1946, n. 1, pp. 138-141;<br />
recensione di J. T. Delos, La Nation, Editions de l’Arbre, Mpntreal.<br />
Proof Positive, in «The Nation», 5 gennaio 1946, p. 22; recensione di V.<br />
Lange, Modern German Literature.
202<br />
The too Ambitious Reporter, in «Commentary», II, 1946, n.2, pp. 94-95;<br />
recensione di A. Koestler, Twilight Bar e The Yogi and Commisar.<br />
What is Existenz Philosophy?, in «Partisan Rewiew», XIII, 1946, n.1, pp.34-<br />
56; trad. ted. in Sechs Essays, 1948; trad. it. Che cos’è la filosofia<br />
dell’esistenza?, a cura di S. Maletta, Milano, Jaca Book, 1998.<br />
Imperialism: Road to Suicide, in «Commentary», II, 1946, n. 3, pp. 27-35.<br />
French Existenzialism, in «The Nation», 23 febbraio 1946, pp. 226-228.<br />
Tentative List of Jewish Cultural Treasure in Axis-Occupied Countries,<br />
in «Supplement to Jewish Social Studies, VIII, 1946, n.1; curato<br />
dal gruppo di ricerca «Commission on European Jewish Cultural<br />
Reconstruction» sotto la direzione di H. Arendt.<br />
Tentative List of Jewish Educational Istitutions in Axis-Occupied Countries,<br />
in «Supplement to Jewish Social Studies, VIII, 1946, n. 3;<br />
curato dal gruppo di ricerca «Commission on European Jewish<br />
Cultural Reconstruction» sotto la direzione di H. Arendt.<br />
The Street of Berlin, in «The Nation», 23 marzo 1946, pp.350-351; recensione<br />
di R. Gilbert, Meine Reime Deine Reime.<br />
The Jewish State: 50 Years After, Where Have Herzl’Politics Led?, in<br />
«Commentary», II 1946, n. 1, pp. 1-8; ristampato in Jew as Pariah,<br />
cit., pp. 164-177; trad. it. Lo stato ebraico: cinquant’anni<br />
dopo. Dove ha portato la politica di di Herzl?, in H. Arendt, Ebraismo<br />
e modernità, cit., pp. 123-137.<br />
The Image of Hell, in «Commentary», II, 1946, n. 3, pp. 291-95; recensione<br />
di The Black Book: The Nazi Crime Against the Jewish People, curato<br />
da World Jewish Congress, e a M. Weinreich, Hitler’s Professor.<br />
No Longer and not Yet, in «The Nation», 14 settembre 1946, pp. 300-<br />
302; recensione di H. Broch, The Death of Virgil.<br />
The Ivory Tower of Common Sense, in «The Nation», 19 ottobre 1946,<br />
pp. 447-49; recensione di J, Dewey, Problem of Men.<br />
Expansion and the Philosophy of Power, in «Sewanee Rewiew», LIV,<br />
1946, pp. 601-16.
203<br />
1947<br />
Creating a Cultural Atmosphere, in «Commentary», IV novembre 1947,<br />
pp. 424-426, ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp.<br />
91-95; trad. it. Creare un’atmosfera culturale, in H. Arendt, Ebraismo<br />
e modernità, cit., pp. 139-144.<br />
The Hole of Oblivion, in «Jewish Frontier», luglio 1947, pp. 23-26; recensione<br />
di Anonimo, The Dark Side of the Moon.<br />
1948<br />
Sechs Essays, Heidelberg, L. Schneider, ristampati in H. Arendt, Die<br />
Verbogene Tradition, 197<strong>2.</strong><br />
Jewish History Revised, in «Jewish Frontier», marzo 1948, pp. 34-38;<br />
ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp.96-105; trad.<br />
it. Una rilettura della storia ebraica, in H. Arendt, Ebaraismo e<br />
modernità, cit., pp. 145-156; recensione di G. Scholem, Major<br />
Trends in Jewish History, New York, 1946.<br />
Beyond Personal Frustation: The Poetry of Bertold Brecht, in «The<br />
Kenyon Rewiew, X, 1948, n.2, pp.304-312, recensione di B. Brecht,<br />
Selected Poems.<br />
To Save the Jewish Homeland: There is Still Time, in «Commentary», V,<br />
maggio 1948, pp.398-406; ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah,<br />
cit., pp.178-192; trad. it. Salvare la patria ebraica: c’è ancora<br />
tempo, in H. Arendt, Ebraismo e modernità, cit., pp. 157-173.<br />
The Concentration Camps, in «Partisan Rewiew», XV, 1948, n.7, pp.743-<br />
763; versione tedesca in «Die Wandlung», III, 1948, pp.309-330.<br />
The Mission of Bernadotte, in «The New Leader», XXXI, 23 ottobre<br />
1948, pp. 808-819.<br />
About Collaboration, in «Jewish Frontier», XV, Ottobre 1948, pp. 55-<br />
56; ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp. 175-178.<br />
cura del volume di B. Lazare, Job’s Dunheap, New York, Schocken<br />
Books, 1948.
204<br />
1949<br />
Hermann Broch und der moderne Roman, in «Der Monat», I, 1949, nn.<br />
8-9, pp. 147-151.<br />
Totalitarian terror, in «The Rewiew of Politics», XI, n.1, pp. 112-115;<br />
recensione di D. J. Dallin e B. I. Nicolaevsky, Forced labor in<br />
Soviet Russia.<br />
Single Track to Zion, in «Saturday Rewiew of Literature», XXXII, 1949,<br />
n. 5, pp. 22-23; recensione di C. Waizmann, Trial and Terror: The<br />
Autobiography of Chaim Waizmann.<br />
Parteien und Bewegung, in «Die Wandlung», IV, 1949, pp. 451-473.<br />
The rights of Man: What Are They?, in «Modern Rewiew», III, 1949, n.<br />
1, pp. 24-37.<br />
The Achievement of Hermann Broch, in «The Kenyon Rewiew», XI,<br />
1949, n. 3,pp. 476-483.<br />
1950<br />
Social Science Techniques and the Study of Concentration Camps, in<br />
«Jewish Social Studies», XII, 1950, n. 1, pp.49-64.<br />
Peace or Armistice in the Near East?, in «The Rewiew of Politics», XII,<br />
1950, n. 1, pp.56-82; ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah,<br />
cit., pp. 193-222; trad. it. Pace o armistizio nel Vicino Oriente?, in<br />
H. Arendt, Ebraismo e modernità, cit., pp179-213.<br />
Religion and the Intellectuals. A Symposium, in «Partisan Rewiew», XVII.<br />
1950, n. 1, pp. 113-116.<br />
Der Dichter Bertold Brecht, in «Die Neue Rundschau», LXI, 1950, pp.53-<br />
67; trad. it. Il poeta Bertold Brecht, in V. Santoli, (a cura di), Da<br />
Lessing a Brecht. I grandi scrittori nella grande crisi tedesca,<br />
Milano, Bompiani, 1968, pp. 573-589, poi in «aut aut», 1990, nn.<br />
239-240, pp.145-160.<br />
The Imperialist Character, in «The Rewiew of Politics», XIII, 1950, n.<br />
3, pp.303-320; versione tedesca Der imperialistische Charakter.
205<br />
Eine psychologisch-soziologische Studie, in «Der Monat», II, 1950,<br />
n. 4, pp. 509-52<strong>2.</strong><br />
The Aftermath of Nazi Rule. A Report from Germany, in «Commentary»,<br />
Iv, 1950, n. 10, pp.342-353.<br />
Mob and Elite, in «Partisan Rewiew», XVIII, 1950, n. 8, pp. 808-819.<br />
1951<br />
The Origins Of Totalitarianism, New York, Harcourt, Brace and Co, 1951;<br />
seconda edizione ampliata: New York, The Word Publishing Company,<br />
Meridian Books, 1958; terza edizione con nuove prefazioni:<br />
New York, Harcourt Brace and World, 1966; la versione inglese della<br />
prima edizione è apparsa con il titolo The Burden of Our Time, London,<br />
Secker and Warburg, 1951; la versione inglese della seconda<br />
edizione reca il titolo The Origins of Totalitarianism, London, Allen<br />
and Unwin, 1958; trad. it. Le origini del totalitarismo, Milano, Edizioni<br />
di Comunità, 1967; trad. ted. Elemente und Ursprünge totaler<br />
Herrschaft, Frankfurt, Europäische Verlangsanstalt, 1955.<br />
The Road to Dreyfus Affair, in «Commentary», XI, febbraio 1951, pp. 201-<br />
203; recensione di R. F. Byrnes, Antisemitism in Modern France.<br />
Totalitäre Propaganda. Ein Kapitel aus «Ursprünge des Totalitarismus»,<br />
in «Der Monat», III, 1951, n. 33, pp. 241-248.<br />
Totalitarian Movement, in «Twentieth Century», 1951, n.149, pp. 368-389.<br />
Bei Hitler zu Tisch, in «Der Monat», IV, 1951, n. 37, pp. 85-90.<br />
Die Geheimpolizei, in «Der Monat», IV, 1951, n. 38, pp. 370-388.<br />
1952<br />
The History of the Great Crime, in «Commentary», XIII, marzo 1952,<br />
pp. 300-304; recensione di Poliakov, Bréviare de la haine: le IIIème<br />
Reich et les Juifs.<br />
Magnes. The Coscience of the Jewish Peeople, in «Jewish Newsletter»,<br />
VIII, 1952, n. 25, p. <strong>2.</strong>
206<br />
1953<br />
Ideology amd Terror: a Novel Form of Government, in «The Review of<br />
politics», XV, 1953, n. 3, pp. 303-327; ristampato in H. Arendt,<br />
The Origins of Totalitarianism, Second Enlarged Edition, cit., 1958,<br />
pp. 460-479; pubblicato in versione tedesca in Offener Horizont.<br />
Festschrift für Karl Jaspers, München, Piper, 1953, pp. 229-254.<br />
Rejoinder to Eric Voegelin’s Review of «The Origins of Totalitarianism», in «The<br />
Review of politics», XV, 1953, n. 1, pp. 76-85; trad. it. in Eric Voegelin:<br />
un interprete del totalitarismo, Roma, Astra, 1978, pp. 73-87.<br />
The Ex-Communists, in «Commonweal», LVII, 1953, n. 24, pp. 595-599.<br />
Understanding and Politics, in «Partisan Review», XX, 1953, n. 4, pp. 377-<br />
392; trad. it. Comprensione e Politica, in H. Arendt, La disobbedienza<br />
civile ed altri saggi, Milano, Giuffrè, 1985, pp. 89-111.<br />
Religion and Politics, in «Confluence», II, 1953, n. 3, pp. 105-126; trad. it.<br />
Religione e politica, in G. A. Brioschi, L. Valiani, (a cura di), Totalitarismo<br />
e cultura, Milano, Edizioni di Comunità, 1957, pp. 285-304.<br />
Understanding Communism, in «Partisan Review», XX, 1953, n. 5, pp.<br />
580-583; recensione di W. Gurian, Bolshevism.<br />
1954<br />
Tradition and the Modern Age, in «Partisan Review», XXII, 1954, n. 1,<br />
pp. 53-75; ristampato in H. Arendt, Between past and future. Six<br />
Exercises in Political Thought, New York, Viking Press, 1961, pp.<br />
17-40; trad. it. La tradizione e l’età moderna, in H. Arendt, Tra<br />
passato e futuro, Milano, Garzanti, 1991, pp. 41-69.<br />
Europe and America: Dream and Nightmare, in «Commonweal», LX,<br />
1954, n. 23, pp. 551-554.<br />
Europe and the Atom Bomb , in «Commonweal», LX, 1954, n. 24, pp.<br />
578-580.<br />
Europe and America: the Threat of Conformism, in «Commonweal»,<br />
LX, 1954, n. 25, pp. 607-610.
207<br />
1955<br />
Dichten und Erkennen, Introduzione a H. Broch, Gesammelte Werke, a<br />
cura di H. Arendt, Zürich, Rheir, 1955; trad. it. Hermann Broch:<br />
poeta-scrittore contro la sua volontà, in H. Arendt, Il futuro alle<br />
spalle, cit., pp. 171-216.<br />
The personality of Waldemar Gurian, in «The Review of politics», XVII,<br />
1955, n. 1, pp. 33-42; ristampato in H. Arendt, Men in Dark Times,<br />
New York-London, Harcourt Brace Jovanovich, 1968, pp. 251-26<strong>2.</strong><br />
1956<br />
Was ist Autorität, in «Der Monat», VIII, 1956, n. 89, pp. 29-44; ristampato<br />
in H. Arendt, Fragwürdige Traditionsbestände im politischen<br />
Denken der Gegenwart. Vier Essays, Frankfurt a. M. , Europäische<br />
Verlagsanstalt, 1957.<br />
Authority in Twentieth Century, in «The Review of politics», XVIII, 1956,<br />
n. 4, pp. 403-417.<br />
1957<br />
Misstrauen gegen Kultur, in «Die Kultur», VI, 1957, n. 12, p. 10.<br />
Natur un Geschichte. Die Anfänge der griechischen Geschichtsschreibung,<br />
in «Deutsche Universitätszeitung», XII, n. 8, pp. 6-9, n. 9,<br />
pp. 9-14.<br />
Geschichte kann nicht gemacht werden. Die Entstehung des historischen-<br />
Bewusstseins, in «Deutsche Universitätszeitung», XII, 1957, n. 20,<br />
pp. 7-11; n. 21, pp. 10-14.<br />
History and Immortality, in «Partisan Review», XXIV, 1957, n. 1, pp. 11-53.<br />
Fragwürdige Traditionbestände im politischen Denken der Gegenwart,<br />
Vier Essays, Frankfurt a. M., Europäische Verlagsanstalt, 1957.<br />
Karl Jaspers as Citizen of the World, in P. A. Schlipp, (ed.), The Philosophy<br />
of Karl Jaspers, La Salle, Open Court, Pub. Co., 1957, pp. 539- 550;<br />
ristampato in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 81-94.
208<br />
1958<br />
The Human Condition, Chicago, University of Chicago Press, 1958; trad.<br />
it. Vita Activa, Milano, Bompiani, 1964, 1988; edizione tedesca<br />
rielaborata dall’autrice, Vita Activa oder von tätigen Leben, Stuttgart,<br />
Kohlhammer, 1960, München, Piper, 1967.<br />
Rahel Varnhagen: the Life of a Jewess, London, East and West Library,<br />
1958; ed. tedesca, Rahel Varnhagen, Lebensgeschichte einer deutschen<br />
Jüdin aus der Romantik, München, Piper, 1959; ed. americana<br />
Rahel Varnhagen: the Life of a Jewish Woman, New York,<br />
Harcourt Brace Jovanovich, 1974.<br />
Totalitarian Imperialism: Reflections on the Hungarian Revolution, in<br />
«The Journal of Politics», 1958, n. 1, pp. 5-43; ristampato in H.<br />
Arendt, The Origins of Totalitarianism, Second Enlarged Edition,<br />
cit., pp. 480-510; ed. ted. Die Ungarische Revolution und der Totalitäre<br />
Imperialismus, München, Piper,1958.<br />
Karl Jaspers. Reden zur Verleihung des Friedenspreises des deutschen<br />
Buchhandels, München, Piper,1958; trad. ingl. Karl Jaspers:<br />
A Laudatio, in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp.<br />
71-80.<br />
Kultur und Politik, in «Merkur», XII, 1958, n. 12, pp. 1122-1145; ristampato<br />
in Untergang oder Übergang. Erster Kulturkritikerkongress<br />
in München, München, Piper, 1959, pp. 35-66.<br />
The Modern Concept of History, «The Review of politics», XX; 1958, n.<br />
4, pp. 570-590.<br />
Totalitarianism, in «The Meridian», II, 1958, n. 2, p.1.<br />
The Crises in Education, in «Partisan Review», XXV, 1958, n. 4, pp.<br />
493-513; ristampato in H. Arendt Between Past and Future. Six<br />
Exercises in Political Thought, cit., pp. 173-196; trad. it. La crisi<br />
dell’ istruzione, in H. Arendt, Tra Passato e futuro, cit., pp. 228-<br />
255; versione tedesca Die Krise in der Erziehung, in «Der Monat»,<br />
XI, 1958-59, pp. 48-61.
209<br />
1959<br />
What Was Authority?, in C. Friederich, (ed.), Authority, Cambridge,<br />
Harward U. P., 1959.<br />
Reflections on Little Rock, in «Dissent», V, 1959, n. 1, pp. 45-56.<br />
1960<br />
Von der Menschlichkeit in finsteren Zeiten: Gedanken zu Lessing, München,<br />
Piper,1960; trad. ingl. On Humanity in Dark Times: Thoughts<br />
about Lessing, in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 3-31.<br />
Freedom and Politics: A Lecture, in «Chicago Review», XIV, 1960, n. 1, pp. 28-46.<br />
Society and Culture, in «Daedalus», LXXXII, 1960, n. 2, pp. 276-287.<br />
Der Mensch, ein gesellschaftliches oder ein politisches Lebewesen, in<br />
«Die deutsche Universitätszeitung», XV, ottobre 1960, pp. 38-47.<br />
Revolution and Pubblic Happiness, in «Commentary», XXX, novembre<br />
1960, pp. 413-42<strong>2.</strong><br />
1961<br />
Between Past and Future. Six Exercises in Political Thought, New York,<br />
The Viking Press, 1961; trad. it. Tra passato e futuro, Firenze,<br />
Vallecchi, 1970; Milano, Garzanti, 1991.<br />
Freedom and Revolution, New London, Connecticut College, 1961; ristampato<br />
in Zwei Welten: S. Moses zum 75. Geburstag, Tel Aviv,<br />
Bitaon, 196<strong>2.</strong><br />
1962<br />
Action and «The Pursuit of Happiness», in A. Dempf, H. Arendt, F.<br />
Engel-Janosi, (hrsg.), Politische Ordnung und Menschliche Existenz.<br />
Festgabe für Eric Voegelin, München, Beck, 1962, pp. 1-<br />
16; trad. it. in «Trimestre», XVIII, 1985, nn. 1-2, pp. 127-147.<br />
The Cold War and the West, in «Partisan Review», XXIX, 1962, n. 1, pp. 10-20.<br />
Cura del volume di Karl Jaspers, The Great Philosophers, New York,<br />
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210<br />
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1964<br />
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trad. it. Politica e crimine. Hannah Arendt e Hans Magnus Enzensberger,<br />
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1966<br />
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212<br />
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«Micromega», 1989, n. 3, trad. it. Elogio di Rosa Luxemburg, rivoluzionaria<br />
senza partito, in «Micromega», 1989, n. 3, pp. 43-<br />
60; versione tedesca Rosa Luxemburg, in «Der Monat», XX, 1966,<br />
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What is Permitted to Jove, «The New Yorker», 5 novembre 1966, pp.<br />
68-122; ristampato con il titolo Bertold Brecht. 1898-1956, in H.<br />
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Quod Licet Jovi… Reflections über den Dichter Bertold Brecht<br />
und sein Verhältniss zur Politik, in «Merkur», XXIII, 1969, n. 6,<br />
pp. 527-542 e n. 7, pp 625-642; versione ristampata in H. Arendt,<br />
Walter Benjamin, Bertold Brecht. Zwei Essays. München, Piper,<br />
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poeta ed il politico, in H. Arendt, Il futuro alle spalle. Bologna, Il<br />
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1967<br />
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1969<br />
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1970<br />
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1972; trad. it. H. Arendt, Sulla violenza, Milano, SugarCo,<br />
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1971<br />
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1972<br />
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1976<br />
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K. Bittermann, Berlin, Tiamat, 1989.<br />
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1954), in Arendt, Essays in Understanding 1930-1954. Uncollected<br />
and Unpublished Works by Hannah Arendt, a cura di J. Kohn,<br />
Harcourt Brace, New York.<br />
Philosophy and Politics: The Problem of Action and Thought after the French<br />
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La Nature du totalitarisme, Paris, Payot, ed. originale On the Nature of<br />
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219<br />
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1993. trad. it. Cos’è la politica, a cura di U. Ludz, Milano, ed.<br />
Comunità 1997<br />
La lingua materna. La condizione umana e il pensiero plurale, a cura di<br />
A. Dal Lago, Mimesis, Milano.<br />
Il pescatore di perle. Walter Benjamin 1892-1940, Milano, A. Mondadori,<br />
ed. parziale del saggio su Benjamin comparso nella traduzione<br />
italiana Arendt, Il futuro alle spalle, op. cit., pp.105-170.<br />
1994<br />
Essays in Understanding 1930-1954. Uncollected and Unpublished<br />
Works by Hannah Arendt, a cura di J. Kohn, Harcourt Brace, New<br />
York. L’opera contiene anche: 1) Rand School Lecture, scritto nel<br />
1948 o nel 1949; 2) The Eggs Speak Up, scritto nel 1950; 3)<br />
Heidegger the Fox, scritto nel 1953.<br />
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Between Friends. The Correspondence of Hannah Arendt and Mary<br />
McCarty, a cura di C. Brightman, New York, Harcourt Brace.<br />
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Karl Marx e la tradizione del pensiero occidentale, (scritto nel 1953), a<br />
cura di S. Forti, in «MicroMega», n.5, pp.35-108.<br />
Verità e politica, a cura di V. Sorrentino, Torino, Bollati Boringhieri.<br />
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presso Tierce nel 1989 con il titolo Ontologie et politique. Hannah<br />
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Lissa, Giuseppe<br />
Filosofia ebraica oggi, in «Rivista di storia della filosofia», n. 4,<br />
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A cura del Prof. Lissa e del Dott. Amodio sono in corso di pubblicazione,<br />
presso la casa editrice Vivarium, gli atti del convegno sulla<br />
Shoah, tenutosi a Napoli nel maggio del 1997.<br />
Young-Bruehl, Elisabeth<br />
Hannah Arendt. For love of the World, Yale University Press, New<br />
Haven and London 1982; trad. it. di D. Mezzacapa, Hannah Arendt,<br />
1906-1975. Per amore del mondo, Torino, Bollati Boringhieri,<br />
1990.
228<br />
FASCICOLI DEDICATI AD HANNAH ARENDT<br />
«Les Cahiers du Grif», n.33, Paris, Tierce, primavera 1986:<br />
1. Introduction, Actualité de Hannah Arendt<br />
<strong>2.</strong> M. McCarty, Pour dire au revoir à Hannah<br />
3. H. Arendt, Nathalie Serraute «Le Fruits d’Or»<br />
4. J. Taminiaux, La vie de quelqu’un<br />
5. E. Young-Breuehl, Les histoires de Hannah Arendt<br />
6. E. Young-Breuehl, Sur la biographie<br />
7. F. Collin: Du privé et du public<br />
8. H. Arendt, Le probleme de la femme dans le monde contemporain<br />
9. Th. Mann, Lettre à Hannah Arendt<br />
10. U. Johnson, Il me faut remarcier<br />
11. H. Arendt, Lettre à Wystan Auden<br />
1<strong>2.</strong> H. Arendt, Philosophie et politique<br />
13. R. Varnhagen, Lettres et penseés<br />
14. H. Plard, Illusions et pièges de l’assimilation<br />
15. K. Jaspers-H- Arendt: Correspondance à propos de Rahel<br />
Varnhagen<br />
16. B. Pelzer, Le vent du nord est mon plus grand ennemi<br />
«Études Phénomenologiques», n. 2, Bruxelles, Éditions OUSIA, 1985:<br />
1. H. Arendt, Travail, œuvre, action<br />
<strong>2.</strong> R. Legros, Hannah Arendt: une comprénsion phénoménologiques<br />
des droits de l’homme<br />
3. D. Lories, Sentir en commun et juger par soi-même<br />
4. B. Stevens, Action et narrativité chez Paul Ricœur et Hannah<br />
Arendt<br />
5. J. Taminiaux, Arendt, disciple de Heidegger?
229<br />
«Aut aut», n. 239-240, 1990.<br />
1. A. Dal Lago, Il pensiero plurale di Hannah Arendt<br />
<strong>2.</strong> H. Jonas, Agire, conoscere, pensare: spigolature dall’opera filosofica<br />
di Hannah Arendt<br />
3. J. Taminiaux, Arendt, discepola di Heidegger?<br />
4. L. Boella, Hannah Arendt «fenomenologa». Smantellamento<br />
della metafisica e critica dell’ontologia<br />
5. E. Greblo, Il poeta cieco. Hannah Arendt e il giudizio<br />
6. E. Heller, Hannah Arendt critico letterario<br />
7. S. Maletta, La salvezza come lode. Nota al saggio arendtiano<br />
del 1930 sulle «Elegie duinesi» di Rilke<br />
«Comunità», XXXV, n. 183, novembre 1981, ha pubblicato i seguenti<br />
articoli:<br />
1. J. Habermas: La concezione comunicativa del potere in Hannah<br />
Arendt
230<br />
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SUL «TOTALITARISMO»<br />
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Torino, Einaudi, 1987.<br />
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Un intellettuale a Auschwitz, Torino, Bollati Boringhieri, 1987.<br />
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<strong>2.</strong> Individualismo e assolutismo, Milano, Giuffrè editore, 1979.<br />
Solzenitsyn, Aleksandr I.<br />
Arcipelago Gulag, Milano, Mondadori, 1995.<br />
Stoppino, Mario<br />
Totalitarismo, in Dizionario politico, a cura di N. Bobbio, UTET.<br />
Talmon, J. L.<br />
Le origini della democrazia totalitaria, Bologna, Il Mulino, 1967.<br />
Tarchi, Marco<br />
Il totalitarismo nel dibattito politologico, «Filosofia politica», a.<br />
XI, n. 1, aprile 1997.<br />
Todorov, Tzvetan<br />
1. L’uomo spaesato, Roma, Donzelli, 1996.<br />
<strong>2.</strong> Di fronte all’estremo, Milano, Garzanti, 199<strong>2.</strong><br />
Tucker, R. C.<br />
Towards a Comparative Politics of Movement-Regimes, in «American<br />
Political Science Rewiew», vol. LV, 1961.
237<br />
Vander, Fabio<br />
Metafisica della guerra. Confronto tra la filosofia italiana e la<br />
filosofia tedesca del Novecento, Guerini Scientifica, 1995.<br />
Weil, Simone<br />
Sulla Germania totalitaria, Milano, Adelphi, 1990.<br />
Wittfogel, Karl A.<br />
Il dispotismo orientale, Firenze, Vallecchi, 1968.
INDICE
CAPITOLO PRIMO<br />
239<br />
GENEALOGIA E TOPOLOGIA DI UN CONCETTO<br />
A PARTIRE DALLE INTERPRETAZIONI<br />
STORICO-FILOSOFICHE DAGLI ANNI ‘30 AGLI ANNI ‘50<br />
1.1 - Il concetto ‘totalitarismo’ ............................................................. 3<br />
1.2 - Genealogia del termine ‘totalitarismo’ ....................................... 18<br />
CAPITOLO SECONDO<br />
«IO PROCEDO DA FATTI E DA AVVENIMENTI.»<br />
L’INDAGINE CONTESTUALE DI HANNAH ARENDT<br />
PER COMPRENDERE L’EVENTO CHE CARATTERIZZA<br />
IL XX SECOLO: IL TOTALITARISMO<br />
<strong>2.</strong>1 - Sentieri di ricerca: anno di svolta 1933 ....................................... 48<br />
<strong>2.</strong>2 - L’antisemitismo politico e la questione ebraica .......................... 63<br />
<strong>2.</strong>3 - La nuova ideologia degli Stati-Nazione europei in crisi:<br />
l’imperialismo come preludio politico ai movimenti totalitari.<br />
La questione degli apolidi e il valore dei diritti umani ................ 74<br />
CAPITOLO TERZO<br />
LA CATEGORIA «TOTALITARISMO»<br />
3.1 - Il mutato sfondo socio-politico tra i due secoli:<br />
la nuova società di massa ............................................................ 100<br />
3.2 - Gli strumenti del totalitarismo: propaganda, polizia segreta<br />
e burocrazia. L’ideologia come «logica di un’idea» ................... 111<br />
3.3 - Terrore e campo di concentramento.<br />
La società dei morenti e il male radicale ................................... 131
CAPITOLO QUARTO<br />
240<br />
IL TOTALITARISMO A CONFRONTO<br />
CON LA MODERNITÀ POLITICA<br />
4.1 - Definizione del regime totalitario ............................................... 154<br />
4.2 - Lo Stato-Leviatano di Hobbes e lo Stato totalitario.<br />
Confronto legittimo? .................................................................... 160<br />
4.3 - L’inedito nella storia: le rivoluzioni. ‘Liberazione da’<br />
o ‘liberazione di’: qual è il fondamento del nuovo<br />
corpo politico? La politica come natalità .................................... 167<br />
CONCLUSIONI .................................................................................. 189<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
Scritti di Hannah Arendt ...................................................................... 197<br />
Bibliografia degli scritti di Hannah Arendt ......................................... 220<br />
Bibliografia dei saggi critici su Hannah Arendt ................................. 225<br />
Fascicoli dedicati ad Hannah Arendt ................................................... 228<br />
Bibliografia essenziale sul «totalitarismo» ........................................... 230<br />
INDICE ................................................................................................ 239