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TFO - Tesi Filosofiche Online - Online Philosophical Theses<br />

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI NAPOLI<br />

«FEDERICO II»<br />

FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA<br />

CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA<br />

TESI DI LAUREA<br />

IN<br />

STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE<br />

LA CATEGORIA TOTALITARISMO<br />

NELLA PROSPETTIVA DEL PENSIERO<br />

DI HANNAH ARENDT<br />

Relatore:<br />

Ch.mo prof.<br />

GIANFRANCO BORRELLI<br />

ANNO ACCADEMICO 1997-98<br />

Candidata:<br />

FILOMENA CASTALDO<br />

matr.: 04/9096


CAPITOLO PRIMO<br />

GENEALOGIA E TOPOLOGIA<br />

DI UN CONCETTO ATTRAVERSO<br />

LE INTERPRETAZIONI<br />

STORICO-FILOSOFICHE<br />

DAGLI ANNI ‘30 AGLI ANNI ‘50<br />

«Possiamo prendere tutti i termini,<br />

tutte le espressioni del nostro<br />

vocabolario politico,<br />

e aprirli;<br />

al loro interno troveremo<br />

il vuoto».<br />

(S. Weil)


3<br />

1. Il concetto ‘totalitarismo’<br />

A cosa rinvia la semantica totalitarismo? 1<br />

E’ una categoria politica nuova, tutta novecente-<br />

sca? Va considerata per la sua validità euristica oppu-<br />

re no? E qual è il quid novi che la caratterizza come<br />

forma politica che si è storicamente concretizzata e<br />

che Hannah Arendt profeticamente aveva individuato<br />

nei soli regimi di Hitler in Germania e di Stalin in<br />

Russia?<br />

Un punto dobbiamo tener ben fermo: il totalitari-<br />

smo non è autoritarismo. 2<br />

______________________________<br />

1 In termini generali si veda: M. Stoppino, Totalitarismo, in N. Bobbio,<br />

N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica, Torino, UTET, 1983;<br />

V. Dini, Totalitarismo e filosofia, un concetto tra descrizione e comprensione,<br />

in «Filosofia politica», a. XI, n. 1, aprile 1997; M. Tarchi, Il<br />

totalitarismo nel dibattito politologico, in «Filosofia politica», a. XI,<br />

cit., pp. 63-79.<br />

2 Sul piano lessicale, prima ancora che concettuale, si registra, in particolar<br />

modo nei testi di alcuni esponenti del mondo intellettuale tedesco<br />

degli anni ‘30, una certa confusione ed un uso spesso interscambiabile<br />

dei termini ‘autoritario’ e ‘totale’, pur avendo come obiettivo polemico<br />

comune la forma-Stato moderna. Così fa notare C. Galli: « Si può fin


4<br />

In generale, si considerano autoritari tutti quei<br />

regimi non democratici, caratterizzati dall’assenza del<br />

parlamento e delle elezioni popolari, o da una loro at-<br />

tività apparente, nonché dall’indiscusso predominio del<br />

vertice dell’esecutivo. E’ assente la libertà dei sottosi-<br />

stemi, sia formale che effettiva: l’opposizione politica<br />

è soppressa o imbavagliata; il pluralismo dei partiti è<br />

______________________________<br />

d’ora affermare che ‘totalità’ vale sempre per ‘corpo sociale integralmente<br />

politicizzato e integralmente conflittuale’, e, in parallelo, per<br />

‘estensione integrale della politica’; insomma, per la sua onnipervasività.<br />

E che ‘autorità’ è termine a minore capacità denotativa e di uso più<br />

generico, così da valere per ‘sovranità’, ‘potere’, ‘governo’; ma che in<br />

generale assume più spesso valenze di stabilizzazione politica. E’ così<br />

possibile rigorizzare, senza violentarne lo spirito, le diverse posizioni e<br />

sostenere che la locuzione ‘Stato totale’ pare più orientata a descrivere -<br />

al di là del valore che i singoli autori ne danno -una situazione che tendenzialmente<br />

supera o sfonda, o comunque confonde portandole all’estremo,<br />

le logiche e gli assetti politico-istituzionali dello Stato moderno;<br />

mentre l’espressione ‘Stato autoritario’ - differenziato da una forma politica<br />

obsoleta come il tradizionale Obrigkeitsstaat- si può intendere una<br />

strategia di rivitalizzazione, pur nelle mutate condizioni, del comando<br />

dello Stato sulla società, in una ritrovata distinzione e gerarchizzazione<br />

dei due ambiti in una rinnovata articolazione per ‘cerchie’ del corpo<br />

sociale». C. Galli, Strategie della totalità, in «Filosofia politica», cit.,<br />

pp. 27-61.


5<br />

vietato o ridotto a simulacro; l’autonomia degli altri<br />

gruppi è tollerata o distrutta, secondo l’interesse del<br />

capo o dell’élite al governo.<br />

E’ chiaro che, in questo senso molto generale, il<br />

concetto di autoritarismo può ricomprendere legitti-<br />

mamente quello di totalitarismo, svuotandolo, però,<br />

facendo del secondo un indicatore di intensità di certi<br />

tratti del contesto autoritario, privando, cioè, il con-<br />

cetto di totalitarismo di una specificità che pure va ri-<br />

conosciuta.<br />

Il sociologo politico Juan J. Linz, nel suo Totali-<br />

tarian and Authoritarian Regimes, 3 definisce i regimi<br />

autoritari come sistemi politici con un pluralismo li-<br />

mitato e non responsabile; senza una ideologia elabo-<br />

rata e propulsiva (ma con delle caratteristiche menta-<br />

lità); senza una mobilitazione politica intensa o vasta<br />

(eccetto che in taluni momenti del loro sviluppo); in<br />

______________________________<br />

3 J. J. Linz, Totalitarian and Authoritarian Regimes, Greenstein e Polsby<br />

(a cura di), Handbook of Political Science, Addison-Wesley, Reading<br />

(Mass.), 1975.


6<br />

cui un capo (talora un piccolo gruppo) esercita il pote-<br />

re entro limiti che sono formalmente mal definiti ma<br />

di fatto agevolmente prevedibili.<br />

Il totalitarismo è speculare ed opposto.<br />

Lo stesso Linz, precisando i limiti e i confini tra<br />

totalitarismo-democrazia e totalitarismo-autoritari-<br />

smo, presenta una teoria secondo cui gli elementi in-<br />

dispensabili per definire totalitario un sistema politi-<br />

co sono: 1) l’ideologia, fonte di legittimazione del<br />

potere e della prassi; 2) un partito unico di massa, stru-<br />

mento di pressione sulla popolazione; 3) una leader-<br />

ship, sia individuale che di una élite di dirigenti che<br />

operano senza limiti legali definiti.<br />

Riconosce, invece, come autoritari i regimi post-<br />

totalitari, rappresentati dai sistemi comunisti dopo<br />

il processo di destalinizzazione, risultato combinato<br />

da un pluralismo limitato e in conflitto, da una par-<br />

ziale depoliticizzazione delle masse, da un ruolo at-<br />

tenuato del partito unico e della ideologia, da un’ac-<br />

centuata burocratizzazione; ed un totalitarismo im-


7<br />

perfetto, che di solito è una fase transitoria di un si-<br />

stema politico il cui sviluppo verso il totalitarismo<br />

viene arrestato per poi trasformarsi in qualche altro<br />

regime autoritario.<br />

Con Roman Schnur, 4 possiamo aggiungere che un<br />

elemento fondamentale della distinzione tra autoritari-<br />

smo e totalitarismo è che se il primo tende a proporre<br />

una visione del potere sovrano come «qualcosa di este-<br />

riore, utilizzabile cioè per ottenere un’obbedienza este-<br />

riore, senza che con ciò venga mai toccata la loro inte-<br />

riorità, la coscienza», il secondo mira a piegare e di-<br />

struggere l’interiorità non solo perché non ci sia oppo-<br />

sizione, quanto per creare un uomo nuovo, una realtà<br />

nuova secondo un preciso scopo ideologico, secondo<br />

la volontà di chi detiene il potere.<br />

«Il regime totalitario nella sua fase iniziale deve<br />

comportarsi come una tirannide e radere al suolo i<br />

limiti posti dalle leggi umane. Ma esso non lascia<br />

______________________________<br />

4 R. Schnur, Individualismo e assolutismo, Milano, Giuffrè, 1979.


8<br />

dietro di sé l’illegalità arbitraria e non infierisce per<br />

imporre la volontà tirannica o il potere dispotico di<br />

un individuo su tutti gli altri e, men che meno, l’anar-<br />

chia di una guerra di tutti contro tutti.<br />

Sostituisce ai limiti e ai canali di comunicazione<br />

fra i singoli un vincolo di ferro, che li tiene così stret-<br />

tamente uniti da far sparire la loro pluralità in un uni-<br />

co uomo di dimensioni gigantesche.<br />

Abolire i confini delle leggi fra gli individui,<br />

come fa la tirannide, significa annullare le libertà<br />

umane, distruggere la libertà come realtà politica vi-<br />

vente; perché lo spazio fra gli individui, com’è cir-<br />

coscritto dalle leggi, è lo spazio vivo della libertà.<br />

Il terrore totale usa questo vecchio strumento del-<br />

la tirannide, ma distrugge allo stesso tempo quel de-<br />

serto, senza leggi e senza barriere, dominato dalla<br />

reciproca diffidenza, che è propriamente della tiran-<br />

nide.<br />

Questo deserto non era, certo, uno spazio vivo di<br />

libertà, ma lasciava ancora un po’ di posto ai movi-


9<br />

menti timorosi e alle caute azioni dei suoi abitanti». 5<br />

Se, cioè, sotto un governo autoritario e tirannico, ci<br />

sono margini perché si crei un’opposizione, perché le<br />

persone dissenzienti possano in qualche modo opera-<br />

re ed agire, con il totalitarismo siamo al grado zero<br />

della comunicazione e delle differenze, al conformi-<br />

smo come alienazione dalla politica e dal mondo, al<br />

dominio che permea le coscienze in modo totale.<br />

La Arendt utilizza l’immagine della cipolla per foca-<br />

lizzare il concetto di totalitarismo: al centro «quasi in uno<br />

spazio vuoto, si trova il capo. Quale che sia la funzione di<br />

questi (integrare il corpo sociale, come una gerarchia au-<br />

toritaria, o opprimere i sudditi, come un tiranno), egli la<br />

compie dall’interno non dall’esterno o dall’alto. Tutte le<br />

innumerevoli parti del movimento: le organizzazioni col-<br />

laterali extra-partitiche, le varie associazioni professiona-<br />

li, gli iscritti al partito, la burocrazia del partito, le forma-<br />

______________________________<br />

5 H. Arendt, The Origins of Totalitarianism, Harcourt, Brace &World,<br />

Inc., III ed. New York, 1966; trad. it. Le origini del totalitarismo, a cura<br />

di A. Guadagnin, Milano, Edizioni di Comunità, 1996.


10<br />

zioni di élite e i gruppi di polizia sono reciprocamente in<br />

una relazione tale da costituire, a seconda del punto di<br />

vista, la superficie o il centro della cipolla: cioè, rispetto a<br />

uno strato costituiscono il normale mondo esterno, men-<br />

tre rispetto ad un altro rappresentano il radicalismo più<br />

estremista. Il grande vantaggio del sistema è di fornire a<br />

ciascuno strato del movimento, nonostante il regime tota-<br />

litario, la finzione di una realtà normale, insieme, la con-<br />

vinzione di differenziarsene e di essere più radicale (...).<br />

La struttura a cipolla rende il sistema organizzativamente<br />

inattaccabile dall’urto della realtà effettiva». 6<br />

Tendenzialmente - tale è la proposta di B. R. Bar-<br />

ber 7 - nel definire il totalitarismo si fa riferimento a<br />

due approcci, l’uno essenzialista, che, «generalmente<br />

legato a spiegazioni monocausali, procede attraver-<br />

______________________________<br />

6 H. Arendt, What is Authority?, in Between Past and Future, London,<br />

Faber & Faber, 1961; trad. it. Che cos’è l’autorità? in Tra passato e<br />

futuro, Milano, Garzanti, 1991.<br />

7 B. R. Barber, Conceptual Foundations of Totalitarianism, in C. J. Friederich,<br />

M. Curtis, B. R. Barber, Totalitarianism im Perspective: Three<br />

Views, New York, Praeger, 1969.


11<br />

so ricostruzioni impressionistiche piuttosto che per<br />

riscontri empirici, e tende a sottolineare proprietà<br />

astratte e non misurabili, come gli scopi ultimi e i<br />

connotati ideologici, dei regimi che sono considera-<br />

ti totalitari»; 8 l’altro fenomenologico, che analizza<br />

«quegli stessi regimi in una prospettiva multifatto-<br />

riale empirica, cercando di isolarne gli attributi obiet-<br />

tivi, le caratteristiche formali e al limite misurabili,<br />

con la dichiarata intenzione di tracciare un modello<br />

di totalitarismo e gettare le basi di una teoria che<br />

possa spiegarne la genesi e gli sviluppi, stabilendo<br />

nel contempo precise frontiere del campo di appli-<br />

cazione della parola». 9<br />

Decisive sono le puntualizzazioni di L.<br />

Schapiro, 10 che insiste sul carattere analitico-descrit-<br />

tivo del termine in oggetto in relazione a regimi del<br />

______________________________<br />

8 M. Tarchi, Il totalitarismo nel dibattito politologico, in «Filosofia po-<br />

litica», cit., p. 67.<br />

9 Ibidem.<br />

10 L. Schapiro, Totalitarianism, Pall Mall, Londra, 197<strong>2.</strong>


12<br />

nostro tempo che sarebbero altrimenti analizzati con<br />

categorie anacronistiche e non esaustive.<br />

Già nel 1956 Carl J. Friederich e Zbigniew K.<br />

Brzezinski avevano colto la nuova portata politica del<br />

totalitarismo, fenomeno storicamente unico e sui ge-<br />

neris, riconoscendo questi caratteri: 1) esistenza di una<br />

ideologia ufficiale, riguardante tutti gli aspetti della<br />

esistenza e dell’attività dell’uomo; 2) partito unico di<br />

massa guidato da un dittatore e strutturato gerarchica-<br />

mente in modo da garantire capillarmente l’adesione<br />

all’ideologia e alla volontà del capo; 3) sistema terro-<br />

ristico poliziesco che controlla i nemici reali e poten-<br />

ziali, nonché il partito stesso; 4) monopolio tenden-<br />

zialmente assoluto dei media; 5) monopolio tenden-<br />

zialmente assoluto degli armamenti sulla base della<br />

tecnologia moderna; 6) direzione centralizzata del-<br />

l’economia.<br />

Definendo i regimi fascisti e comunisti «fonda-<br />

mentalmente simili», applicando l’etichetta di dittatu-<br />

re totalitarie anche alle democrazie popolari dell’Eu-


13<br />

ropa orientale e alla Cina maoista, gli autori di Totali-<br />

tarian Dictatorship and Autocracy 11 hanno descritto<br />

il totalitarismo come sindrome totalitaria, cioè come<br />

un insieme di caratteri interrelati che tipizza taluni si-<br />

stemi politici. Di tale modello, tuttavia, sono stati sot-<br />

tolineati spesso i punti deboli: essenzialmente si tratta<br />

di un modello statico, di natura monolitica, che non dà<br />

grande spazio al mutamento e alla dinamica interna<br />

del sistema.<br />

Ribadendo che «un concetto analitico rimane pa-<br />

trimonio conoscitivo anche se la realtà da esso richia-<br />

mata non è più presente», 12 Domenico Fisichella ac-<br />

coglie le tesi di Hannah Arendt in Le origini del tota-<br />

litarismo e assegna al concetto di totalitarismo, pur-<br />

ché corroborato in chiave di «analisi delle condizio-<br />

______________________________<br />

11 C. J. Friederich e Z. K. Brezinski, Totalitarian Dictatorschip and<br />

Autocracy, Harvard University Press, 1956. Tale testo, in merito, è considerato,<br />

parimenti a quello della Arendt, un classico di teoria politica.<br />

12 D. Fisichella, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo, Roma, NIS,<br />

1987, p. 20.


14<br />

ni», oltre che un ufficio di interpretazione storica, an-<br />

che la portata di una categoria predittiva.<br />

Egli non considera il totalitarismo in modo mo-<br />

nolitico, pur se l’ispirazione è monistica; ne riconosce<br />

la vocazione e la carica antipluralista.<br />

«Il regime totalitario, dunque, non è un sistema<br />

pluripartitico, rappresentativo-competitivo, pluralistico<br />

in senso liberale»; 13 è connotato «dall’assenza di strut-<br />

ture e controlli parlamentari, dalla presenza di un par-<br />

tito unico, dal rifiuto del pluralismo a pro dell’unitari-<br />

smo e dell’onnicomprensività». 14<br />

Un’attenzione particolare è assegnata all’ideolo-<br />

gia di chi detiene il potere, al terrore come principio<br />

politico, al disordine istituzionalizzato, il quale è, per<br />

così dire, il nucleo genetico e il perno della sua dina-<br />

micità.<br />

In questa considerazione idealtipica, l’analisi fe-<br />

______________________________<br />

13 Ibidem, p. 2<strong>2.</strong><br />

14 Ibidem, p. 15.


15<br />

nomenologico-descrittiva si arricchisce di contenuti<br />

empirici che non sono destinati comunque a genera-<br />

lizzazioni ed appiattimenti.<br />

Nel lessico storiografico, invece, le cose non sono<br />

considerate in modo sufficientemente chiaro: non è<br />

infrequente che gli storici replichino contro la univo-<br />

cità del concetto e quel metodo di reductio ad unum<br />

tipico delle scienze politologiche.<br />

Ne Il Secolo breve, Eric J. Hobsbawn scrive con<br />

una certa imprecisione: «Fino al 1945 il termine “tota-<br />

litarismo”, originariamente inventato per descrivere il<br />

fascismo italiano (e usato con questa funzione dai fa-<br />

scisti stessi), fu applicato soltanto ai regimi fascisti o<br />

filofascisti». 15<br />

E’ più semplice la ricezione nell’assunto politico<br />

piuttosto che la problematizzazione del concetto sotto<br />

il profilo storico. Pensiamo a quanto scrivono Franço-<br />

______________________________<br />

15 E. J. Hobsbawn, Age of Extremes. The Short Twentieth Century 1914-<br />

1991, 1994; trad. it. Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1995.


16<br />

is Furet, 16 Renzo De Felice, 17 Emilio Gentile 18 ed Enzo<br />

Collotti, 19 autori che ne marcano, comunque, la margi-<br />

nalità. Totalitarismo, nelle migliori delle ipotesi, è con-<br />

siderato un concetto polisemico, che si connota secon-<br />

do il contesto di applicazione, un parametro, cioè, con<br />

cui misurare la realtà storica senza peraltro estinguer-<br />

la in esso. L’obiezione fondamentale degli storici è<br />

non solo l’estensione del concetto a diverse espe-<br />

rienze storiche dall’antichità ad oggi, ma, soprattut-<br />

to, di aver accentuato le analogie piuttosto che le dif-<br />

ferenze di ideologia e di base sociale dei due eventi<br />

a cui sottendono l’esperienza nazionalsocialista e<br />

l’esperienza comunista. Differenze sostanziali ci sono,<br />

eccome!, con effetti rilevanti sulla stessa prassi totalitaria,<br />

______________________________<br />

16 F. Furet, Le passé d’une illusion, Paris, Editions Robert Laffont, 1995;<br />

trad. it. Il passato di un’ illusione, Milano, Mondadori, 1995.<br />

17 R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Roma - Bari, Laterza,<br />

1991.<br />

18 E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel<br />

regime fascista, Roma, NIS, 1995.<br />

19 E. Collotti, Fascismo, fascismi, Firenze, Sansoni, 1989.


17<br />

ma si potrebbe dire che queste obiezioni non sono perti-<br />

nenti a delegittimare l’uso del concetto di totalitarismo per-<br />

ché, pur se con contenuti diversi, si possono costruire prassi<br />

di dominio politico sostanzialmente analoghe, come è ac-<br />

caduto, appunto, per la Germania hitleriana e per la Rus-<br />

sia staliniana, più precisamente dopo il 1930. E’ d’obbli-<br />

go, tuttavia, che gli storici di professione comincino a mi-<br />

surarsi in sede critica con le esperienze storiche che sot-<br />

tendono alla nozione totalitarismo, al fine di evitare con-<br />

fusioni e pregiudizi che possano inficiare il modello inter-<br />

pretativo, in modo particolare oggi, in tempo di revisioni-<br />

smo storico, e promuovere ricerche comparate sui paesi<br />

definiti totalitari. 20<br />

______________________________<br />

20 Di questo avviso ci sembrano G. Ruocco e L. Scuccimarra, Totalitarismo<br />

e ricerca storica, in «Storica», a. II, n. 6/1996; B. Bongiovanni,<br />

Revisionismo e totalitarismo, in «Teoria politica», a. XIII, n. 1/1997. Di<br />

recente si è tenuto un convegno internazionale organizzato dalla città di<br />

Siena su «L’esperienza totalitaria nel XX secolo», Certosa di Pontignano,<br />

28 settembre - 1° ottobre 1997, i cui atti sono apparsi in forma meno<br />

elaborata in Aa. Vv., Nazismo, fascismo, comunismo. Totalitarismi a<br />

confronto, a cura di M. Flores, Milano, Edizioni Bruno Mondadori, 1998.


18<br />

<strong>2.</strong> Genealogia del termine ‘totalitarismo’<br />

1. Area italiana<br />

Il termine totalitarismo viene per la prima volta ado-<br />

perato in forma aggettivata e in un significato del tutto<br />

negativo dall’italiano Giovanni Amendola in un suo arti-<br />

colo del 22 maggio 1923, a proposito della manomissione<br />

generale da parte dei fascisti delle elezioni amministrati-<br />

ve: il partito dominante aveva presentato la lista di mag-<br />

gioranza e di minoranza, evitando con la forza e l’insinua-<br />

zione la formazione di una lista di opposizione ed ogni<br />

fisiologica dialettica politica.<br />

Amendola chiama questo modo di procedere «si-<br />

stema totalitario», cioè «promessa del dominio asso-<br />

luto e dello spadroneggiamento completo ed incon-<br />

trollato nel campo della vita politica ed amministra-<br />

tiva». 21<br />

______________________________<br />

21 G. Amendola, Maggioranza e minoranza, in «Il Mondo», 12 maggio<br />

1923 e in Id., La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924,<br />

Milano-Napoli, Ricciardi, 1960.


19<br />

La parola totalitario, sottolinea il Petersen, 22 è<br />

usata qui in senso quasi tecnico, indicando un nuovo<br />

sistema elettorale in sostituzione di quello maggio-<br />

ritario e minoritario, anche se l’opposizione aventi-<br />

niana mal riusciva a definire la sostituzione del si-<br />

stema parlamentare pluralistico con una dittatura<br />

unipartitica. Nell’articolo del 28 giugno 1923 Amen-<br />

dola applica questa sua interpretazione al dibattito<br />

sulla legge Acerbo: egli attaccava il tentativo fasci-<br />

sta di fare di Cavour «l’ispiratore divino della rifor-<br />

ma elettorale fascista e del sistema totalitario», si<br />

opponeva all’immagine «di un Cavour plasmatore<br />

elettorale di un gregge di ascari totalitari». 23<br />

La distruzione del sistema pluralistico e dello sta-<br />

to di diritto veniva sentito più profondamente in quei<br />

settori della società italiana dove andava maturando,<br />

______________________________<br />

22 J. Petersen, La nascita del concetto di “Stato totalitario” in Italia, in<br />

«Annali dell’ Istituto storico italo-germanico in Trento», I, 1975, pp.<br />

143-168.<br />

23 G. Amendola, Cavour e Pansoja, in «Il Mondo», 28 giugno 1923 e in<br />

Id., La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924, cit.


20<br />

talora con enfasi apocalittiche, l’idea di essere di fron-<br />

te a una trasformazione politica e istituzionale di tipo<br />

dittatoriale e totalitaria. Pensiamo all’opposizione anti-<br />

fascista liberale, democratica, socialista e cattolica.<br />

Pensiamo a Salvatorelli, a Ferrero, a Gobetti, a Turati,<br />

a Lelio Basso.<br />

Ad Amendola come a Sturzo, già alla fine del<br />

1923, la caratteristica propria del moto fascista appar-<br />

ve «lo spirito totalitario, il quale non consente all’av-<br />

venire di avere albe che non saranno salutate col gesto<br />

romano, come non consente al presente di nutrire ani-<br />

me che non siano piegate alla confessione: “credo”.<br />

Questa singolare “guerra di religione” che da oltre un<br />

anno imperversa in Italia non vi offre una fede (...) ma<br />

in compenso vi nega il diritto di avere una coscienza -<br />

la vostra e non l’altrui- e vi preclude con una plumbea<br />

ipoteca l’avvenire». 24<br />

______________________________<br />

24 G. Amendola, Un anno dopo, in «Il Mondo», 22 novembre 1923;<br />

anche in Id., La democrazia italiana contro il fascismo 1922-1924, cit.


21<br />

Nel gennaio del 1924, Monti scrisse ne «La Rivo-<br />

luzione Liberale» che il fascismo si accingeva a fare<br />

«dopo le elezioni totalitarie nei comuni e nelle provin-<br />

ce, l’elezione totalitaria per la Camera dei deputati».<br />

Sturzo descrisse la nuova concezione fascista di stato-<br />

partito tendente alla «trasformazione totalitaria di ogni<br />

e qualsiasi forza morale, culturale, politica, religiosa».<br />

Occupandosi delle elezioni parlamentari nella prima-<br />

vera del 1924, Gobetti parlò dei «piani governativi»<br />

che puntavano sul «gioco totalitario della demagogia<br />

fascista». Egli riteneva che Mussolini non sarebbe mai<br />

potuto diventare un tiranno, i suoi restavano «sogni<br />

totalitari».<br />

Anche il Giordani, sulle pagine del «Popolo», nel<br />

maggio del 1924, scrisse della «anima totalitaria» del<br />

fascismo e dei suoi «quadri dell’occupazione totalita-<br />

ria».<br />

Tra il giugno e il dicembre del 1924 sembra che il<br />

termine totalitario sparisca dal vocabolario dell’op-<br />

posizione, come se la questione morale dovesse esse-


22<br />

re combattuta non già sul piano del nascente novus<br />

ordo statale quanto su quello etico.<br />

Tenta di sostantivare l’aggettivo Lelio Basso, in un<br />

intervento pubblicato su «La Rivoluzione liberale» del 2<br />

gennaio 1925, accusando il primo ministro di voler im-<br />

porre l’egemonia di «un solo partito che si fa interprete<br />

dell’unanime volere, del totalitarismo indistinto». 25<br />

Nel discorso del 15 giugno 1925, alla chiusura<br />

del primo e ultimo congresso dell’Unione Nazionale,<br />

Amendola stigmatizza il fascismo per la sua feroce<br />

intransigenza, la sua «ansiosa volontà totalitaria». E<br />

Mussolini, nel suo discorso del 22 giugno 1925, ri-<br />

prende la citazione letterale del discorso amendoliano<br />

parlando della «nostra feroce volontà totalitaria» e di<br />

«fascistizzare la nazione» al cento per cento.<br />

Questo è certamente un punto d’incrocio, il mo-<br />

mento in cui il concetto totalitario come espressione<br />

______________________________<br />

25 Prometeo Filodemo (L. Basso), L’antistato, in «La Rivoluzione liberale»,<br />

2 gennaio 1925, ora in Le riviste di Pietro Gobetti, a cura di L.<br />

Basso e L. Anderlini, Milano, Feltrinelli, 1961.


23<br />

della tenace volontà di opposizione liberaldemocrati-<br />

ca antifascista viene usurpato dal fascismo stesso per<br />

una nuova valenza affatto positiva: «Totalitario espri-<br />

me (...) uno spirito fiero e la determinazione di una<br />

totale trasformazione della società, in parte attraverso<br />

una sorta di monismo religioso e in parte attraverso la<br />

sana ordalia della violenza- molto nello spirito dello<br />

squadrismo». 26 Mussolini sottolinea la nuova centra-<br />

lità dello Stato nel contesto della vita sociale, elabo-<br />

rando la formula «tutto nello Stato, niente al di fuori<br />

dello Stato, nulla contro lo Stato». 27<br />

Dichiara Forges Davanzati in un suo discorso al-<br />

l’Istituto di cultura a Firenze del 28 febbraio 1926:<br />

«Se gli avversari ci dicono che siamo totalitari, che<br />

siamo domenicani, che siamo intransigenti, che siamo<br />

tirannici, non vi spaventate di questi aggettivi.<br />

______________________________<br />

26 A. Gleason, Totalitarianism. The Inner History of the Cold War,<br />

NewYork- Oxford, Oxford University Press, 1995.<br />

27 B. Mussolini, Discorso del 28 ottobre 1925, in Id., Opera Omnia, a<br />

cura di E. e D. Susmel, Firenze, La Fenice, 1967, XXI, p. 425.


24<br />

Prendeteli con onore ed orgoglio... Sì, siamo tota-<br />

litari! Vogliamo essere tali, dal mattino alla sera,...<br />

vogliamo essere domenicani..., vogliamo essere tiran-<br />

nici!». 28<br />

Nella voce «Fascismo» della Enciclopedia Ita-<br />

liana, attribuita a Benito Mussolini e in parte anche a<br />

Giovanni Gentile, il filosofo che ha offerto il suo ma-<br />

gistero come sostrato ideologico di tale movimento,<br />

l’aggettivo totalitario è così formalizzato: «Antiindi-<br />

vidualistica, la concezione fascista è per lo stato; ed è<br />

per l’individuo in quanto esso coincide con lo stato,<br />

coscienza e volontà universale dell’uomo nella sua<br />

esistenza storica (...). E se la libertà deve essere l’attri-<br />

buto dell’uomo reale, e non di quell’astratto fantoccio<br />

a cui pensava il liberalismo individualistico, il fasci-<br />

smo è per la libertà. E per la sola libertà che possa<br />

essere una cosa seria, la libertà dello stato e dell’indi-<br />

viduo nello stato. Giacché per il fascista, tutto è nello<br />

______________________________<br />

28 R. Forges Davanzati, Fascismo e cultura, Firenze 1926, p. 39 e ss.


25<br />

stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno<br />

ha valore, fuori dello stato. In tal senso il fascismo è<br />

totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni<br />

valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del<br />

popolo». 29<br />

E’, dunque, forte la connotazione statalista del<br />

termine totalitario nel seno del regime fascista.<br />

Già in un corso di lezioni di filosofia del diritto svolto<br />

all’Università di Pisa, Gentile aveva contrapposto alla so-<br />

cietas inter homines una societas in interiore homine.<br />

Quando la sua dottrina dello stato sarà elevata a dottrina<br />

quasi ufficiale del regime fascista, nel primo Discorso di<br />

religione, fa la sua apparizione lo stato in interiore homi-<br />

ne, contrapposto allo stato esterno, esteriorizzato, del libe-<br />

ralismo individualistico.<br />

«Lo stato, come oggi dovremmo cominciare a sa-<br />

per bene tutti, non è inter homines, ma in interiore<br />

______________________________<br />

29 Voce Fascismo, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell’ Enci-<br />

clopedia Italiana, 1932, XIV, p. 847.


26<br />

homine. Non è quello che vediamo sopra di noi; ma<br />

quello che realizziamo dentro di noi, con l’opera no-<br />

stra, di tutti i giorni e di tutti gli istanti; non soltanto<br />

entrando in rapporto con gli altri, ma anche semplice-<br />

mente pensando, e creando col pensiero una realtà, un<br />

movimento spirituale, che prima o poi influirà sul-<br />

l’esterno, modificandolo». 30<br />

La stessa accezione positiva è nella rivendicazione<br />

fatta più tardi da Pio IX, in polemica concorrenza con il<br />

fascismo: «Così si dice un po’ dappertutto: tutto deve es-<br />

sere dello Stato, ed ecco lo Stato totalitario, come lo si<br />

chiama: nulla senza lo Stato, tutto allo Stato. Ma in ciò vi<br />

è una falsità così evidente, che fa meraviglia che uomini,<br />

del resto seri e dotati di talento, lo dicano e lo insegnino<br />

alle folle. Infatti come lo Stato potrebbe essere veramente<br />

totalitario, dare tutto all’individuo e chiedergli tutto; come<br />

potrebbe dare tutto all’individuo per la sua perfezione in-<br />

teriore - perché si tratta di cristiani - per la santificazione e<br />

______________________________<br />

30 G. Gentile, Discorsi di religione, Firenze, Sansoni, 1957, p. 25.


27<br />

la glorificazione delle anime? Perciò quante cose sfuggo-<br />

no alla possibilità dello Stato, nella vita presente e in vista<br />

della vita futura, eterna! E in questo caso ci sarebbe una<br />

grande usurpazione, perché se c’è un regime totalitario -<br />

totalitario di fatto e di diritto - è il regime della Chiesa,<br />

perché l’uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve<br />

appartenerle, dato che l’uomo è creatura del buon Dio,<br />

egli è il prezzo della redenzione divina, è il servitore di<br />

Dio, destinato a vivere quaggiù, e con Dio in cielo. E il<br />

rappresentante delle idee, dei pensieri e dei diritti di Dio<br />

non è che la Chiesa. Allora la Chiesa ha veramente il dirit-<br />

to e il dovere di reclamare la totalità del suo potere sugli<br />

individui: ogni uomo, tutto intero, appartiene alla Chiesa,<br />

perché tutto intero appartiene a Dio. Non c’è dubbio su<br />

questo punto, per chi non voglia negare tutto». 31<br />

E’ la sindrome totalitaria.<br />

______________________________<br />

31 Pio XI, L’unico regime totalitario di fatto e di diritto è la Chiesa,<br />

discorso del 18 settembre 1938 riportato in E. Rossi, Il “Sillabo” e dopo,<br />

Roma, Editori Riuniti, 1964, pp. 87-88. Anche in D. Settembrini, La<br />

Chiesa nella politica italiana (1944-1963), Roma, Rizzoli, Milano 1977,<br />

p. 11<strong>2.</strong>


28<br />

Diversamente dall’opposizione antifascista, Antonio<br />

Gramsci conduce una riflessione molto più pregnante sul-<br />

la dimensione totalitaria della politica che mira ad «otte-<br />

nere che i membri di un determinato partito trovino in<br />

questo solo partito tutte le soddisfazioni che prima trova-<br />

vano in una molteplicità di organizzazioni, cioè a rompere<br />

tutti i fili che legano questi membri ad organismi culturali<br />

estranei» e «a distruggere tutte le altre organizzazioni o a<br />

incorporarle in un sistema di cui il partito sia il solo rego-<br />

latore. Ciò avviene: 1) quando il partito dato è portatore di<br />

una nuova cultura e si ha una fase progressiva; 2) quando<br />

il partito dato vuole impedire che un’altra forza, portatrice<br />

di una nuova cultura, diventi essa “totalitaria”; e si ha una<br />

fase regressiva e reazionaria, oggettivamente, anche se la<br />

reazione (come sempre avviene) non confessi se stessa e<br />

cerchi di sembrare essa portatrice di una nuova cultura». 32<br />

Gramsci, in contrapposizione a Gentile, non ridu-<br />

______________________________<br />

32 A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci,<br />

a cura di V. Gerretana, Torino, Einaudi, 1975, II, Quaderno 6 (VIII),<br />

par. 136, p. 800.


29<br />

ce lo Stato alla funzione di «dominio» e di «coercizio-<br />

ne», a mero momento della forza, a «guardiano not-<br />

turno» che impone, controlla e tutela l’ordine sociale,<br />

altrimenti «Stato = società politica + società civile, cioè<br />

egemonia corazzata di coercizione». 33<br />

<strong>2.</strong> Area tedesca<br />

In Germania il sedimento concettuale di totalitari-<br />

smo è nel dibattito politico sullo Stato totale, cioè sulla<br />

nuova posizione assunta dallo Stato nei rapporti sociali.<br />

E’ una direttiva alquanto diversa da quella italiana che<br />

abbiamo preso come riferimento iniziale: manca, del resto<br />

in Germania, negli anni venti, un soggetto politico forte<br />

che punti ad una profonda trasformazione sociale secon-<br />

do una feroce volontà di potenza.<br />

Stato totale o Stato totalitario è sinonimo di Stato<br />

autoritario, possibile categoria con cui definire la cri-<br />

si della forma-Stato e il tracollo dei soggetti politici.<br />

______________________________<br />

33 Ibidem.


30<br />

Classico è il riferimento al saggio di Ernst Jünger,<br />

del 1930, Die totale Mobilmachung, 34 dove sebbene si<br />

escluda ogni stabile collegamento con i regimi ditta-<br />

toriali già in fase di consolidamento, si individua la<br />

caratteristica qualificante dello Stato novecentesco:<br />

imporre ai cittadini una mobilitazione totale come se<br />

fossero minuscoli ingranaggi di un meccanismo che<br />

funziona incessantemente; i paesi diventano gigante-<br />

sche «officine metallurgiche» e «ciascuna singola vita<br />

si trasforma sempre più chiaramente nella vita di un<br />

lavoratore», di un «milite del lavoro» completamente<br />

trasformato in ogni sua cellula in Stato, in servizio dello<br />

Stato.<br />

In questa metamorfosi antropologica, Jünger in-<br />

dividua la disponibilità alla mobilitazione come ca-<br />

ratteristica dell’uomo contemporaneo, la cui vita sin-<br />

______________________________<br />

34 E. Jünger, Die totale Mobilmachung, in Sämtliche Werke, VII, Essays<br />

I: Betrachtungen zur Zeit, Klett-Cotta, Stuttgart 1980, p. 121 e ss. Cfr.<br />

M. Ghelardi, Alcune osservazioni su Carl Schmitt ed Ernst Jünger, in<br />

Ernst Jünger, un convegno internazionale, a cura di P. Chiarini, Napoli,<br />

Shakespeare & Company, 1987.


31<br />

gola è compromessa non già da una volontà totalitaria<br />

quanto dall’irrompere della tecnica. Essa «è realizzata<br />

molto meno di quanto essa stessa si realizzi, e in guer-<br />

ra e in pace è l’espressione della pretesa segreta e co-<br />

attiva a cui questa vita nell’epoca delle masse e delle<br />

macchine ci assoggetta». Tali intuizioni verranno pri-<br />

vate di ogni alone metafisico da Carl Schmitt e ricom-<br />

prese nell’analisi politica sulla crisi dello Stato libera-<br />

le del XIX secolo.<br />

Lo Stato diviene, per Schmitt, «l’auto-organizza-<br />

zione della società», di fatto non più separabile da essa.<br />

«Se la società stessa si organizza in Stato, Stato e<br />

società devono essere fondamentalmente identici, co-<br />

sicché tutti i problemi sociali ed economici diventano<br />

immediatamente problemi statali e non si può più di-<br />

stinguere fra ambiti statali-politici e sociali-non poli-<br />

tici. Tutte le contrapposizioni finora correnti, basate<br />

sul presupposto dello Stato neutrale, che appaiono in<br />

seguito alla distinzione di Stato e società e sono sol-<br />

tanto casi di applicazione e delimitazioni di questa di-


32<br />

stinzione, vengono ora a cessare (...). La società dive-<br />

nuta Stato è uno Stato dell’economia, della cultura,<br />

dell’assistenza, della beneficenza, della previdenza; lo<br />

Stato divenuto autorganizzazione della società, quin-<br />

di di fatto da essa non più separabile, abbraccia tutto il<br />

sociale, cioè tutto quanto concerne la convivenza uma-<br />

na. Non c’è più nessun settore rispetto al quale lo Sta-<br />

to possa osservare un’incondizionata neutralità nel<br />

senso del non-intervento (...). Nello Stato divenuto<br />

autorganizzazione della società non c’è più nulla che<br />

non sia almeno potenzialmente statale e politico». 35<br />

Si passa così dallo Stato neutrale del sec. XVIII<br />

ad uno Stato potenzialmente totale che «ha assunto<br />

una tale estensione da produrre non solo una crescita<br />

______________________________<br />

35 C. Schmitt, Il custode della costituzione, a cura di A. Caracciolo,<br />

Milano, Giuffré, 1981, p. 123. Anche Id., La dittatura. Dalle origini<br />

dell’idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria, Roma-<br />

Bari, Laterza, 1975. Sul pensiero di Schmitt, vedi N. Bobbio, Thomas<br />

Hobbes, Torino, Einaudi, 1989; C. Galli, Presentazione di C. Schmitt,<br />

Scritti su Thomas Hobbes, Milano, Giuffrè, 1986; G. Duso (a cura di),<br />

La politica oltre lo Stato: Carl Schmitt, Venezia, Arsenale, 1981


33<br />

quantitativa ma anche un cambiamento qualitativo, un<br />

“mutamento strutturale”, e da influenzare non solo gli<br />

affari propriamente finanziari ed economici, ma tutti<br />

quanti i settori della vita pubblica ». 36<br />

E’ un riferimento polemico alla Repubblica di<br />

Weimar, considerata un coacervo conflittuale di for-<br />

mazioni partitiche incapaci di realizzare un autentica<br />

unità politica.<br />

In un saggio del 1933, Schmitt scrive che lo Stato<br />

totale realizzato in Germania «è uno Stato che si intro-<br />

mette indifferentemente in tutti gli ambiti, in tutte le<br />

sfere dell’esistenza umana, che non riconosce più al-<br />

cuna sfera libera dallo Stato perché in generale non<br />

può distinguere più nulla. Esso è totale in un senso<br />

puramente quantitativo, nel senso del mero volume,<br />

non dell’intensità e dell’energia politica (...). Il suo<br />

volume è cresciuto in modo mostruoso. Esso intervie-<br />

ne in tutti i possibili affari e in tutti i campi dell’esi-<br />

______________________________<br />

36 Ibidem, p. 125.


34<br />

stenza umana, non solo nell’economia (...) bensì an-<br />

che nelle questioni culturali e sociali, che una volta si<br />

consideravano volentieri faccende “puramente priva-<br />

te” (...). Questa è naturalmente una totalità solo nel<br />

senso del mero volume e il contrario della potenza o<br />

della forza. L’odierno stato tedesco è totale a partire<br />

dalla debolezza e dall’incapacità di resistenza, dalla<br />

incapacità di opporsi all’assalto dei partiti e degli in-<br />

teressi organizzati. Esso deve dare a ognuno, accon-<br />

tentare ognuno, sovvenzionare ognuno ed essere nel-<br />

lo stesso momento a favore dei più diversi interessi.<br />

Come si è detto, la sua espansione è la conseguenza<br />

non della sua forma ma della sua debolezza». 37<br />

Le riflessioni schmittiane vengono sviluppate, con<br />

Hitler al potere, da teorici di regime come Rosenberg,<br />

Goebbels, Forsthoff e, ovviamente, dallo stesso Hitler<br />

______________________________<br />

37 C. Schmitt, Weiterentwicklungen des totalen Staat in Deutschland, in<br />

«Europäische Revue», IX, 1933, 2, ripubblicato in Id., Positionen und<br />

Begriffe im Kampf mit Weimar-Genf-Versailles 1923-1939, Hanseatische<br />

Verlagsanstalt, Hamburg-Wandsbek 1940.


35<br />

nei suoi discorsi del 1933, in cui sottolinea che la ter-<br />

za fase della rivoluzione deve essere la creazione del-<br />

lo Stato nella sua totalità secondo la concezione del<br />

movimento nazionalsocialista: lo Stato come deposi-<br />

tario dei suoi valori spirituali.<br />

In un articolo pubblicato sul numero del 1° gennaio<br />

1934 del «Völkischer Beobachter», scrive Artur Rosen-<br />

berg: «La rivoluzione del 30 gennaio 1933 non continua<br />

lo Stato assolutista sotto un nuovo nome, ma pone lo Stato<br />

in un nuovo rapporto col popolo (...) diverso da quello che<br />

era prevalso nel 1918 o nel 1871. Ciò che ha avuto luogo<br />

nel 1933 (...) non è l’instaurazione della totalità dello Sta-<br />

to bensì della totalità del movimento nazionalsocialista.<br />

Lo Stato non è più un’entità giustapposta al popolo e al<br />

movimento, non è più concepito come un apparato mec-<br />

canico e uno strumento di dominio; lo Stato è lo strumen-<br />

to della concezione nazionalsocialista della vita». 38<br />

In effetti la categoria totale/totalitario viene am-<br />

______________________________<br />

38 A. Rosemberg, Totaler Staat?, in « Vökischer Beobachter», 1° gen-<br />

naio 1934.


36<br />

pliata ai nuovi soggetti dell’ideologia nazionalsociali-<br />

sta, il movimento e il popolo, in una variante diversa<br />

da quella fascista, perché nella dualità liberale Stato-<br />

società si inserisce una terzo elemento, il partito, che<br />

se permane nella concezione dello Stato a tre membra<br />

tedesco, in quello fascista tende ad essere interamente<br />

assorbito nello Stato unitario e totalitario.<br />

Sul versante anti-nazista, Marcuse è tra i primi teorici<br />

marxisti a rendersi conto che il termine totalitär rimanda<br />

ad una nuova Weltanschauung politica che «è divenuta il<br />

bacino di raccolta di tutte quelle correnti che, dalla guerra<br />

mondiale in avanti, si sono rivolte contro la concezione<br />

«liberistica» dello stato e della società» 39 ed hanno accom-<br />

pagnato l’ascesa del nazionalsocialismo.<br />

______________________________<br />

39 H. Marcuse, Der Kampf gegen den Liberalismus in der totalitaren<br />

Staatsauffassung, in «Zeitschrift für Sozialforschung», 1934, 3, poi ripubblicato<br />

in Id., Kultur und Gesellschaft, Suhrkamp, Frankfurt a. M.<br />

1965; trad. it. La lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria<br />

dello Stato, a cura di C. Ascheri, H. Ascheri Osterlow e F. Cerutti, in H.<br />

Marcuse, Cultura e società. Saggi di teoria critica 1933-1965, Torino,<br />

Einaudi, 1969.


37<br />

Lo Stato totalitario ed autoritario ha lo stesso back-<br />

ground dello Stato liberale, anzi, ne è il suo perfezio-<br />

namento, «fornisce l’organizzazione e la teoria della<br />

società che corrispondono allo Stadio monopolistico<br />

del capitalismo». 40<br />

Non a caso Marcuse parla di una forma di totalità<br />

organica intesa non come somma dei suoi componen-<br />

ti, ma «come unità unificatrice delle parti, in cui sol-<br />

tanto ogni parte si realizza e si compie». In modo in-<br />

quietante egli si pone l’interrogativo se non sia stata la<br />

cultura intellettuale stessa a preparare la sua liquida-<br />

zione. Totalitaria si può definire quella società indu-<br />

striale che opera secondo le pressioni degli oligopoli,<br />

secondo meccanismi manipolativi che comportano la<br />

monodimensionalità. «Il termine totalitario, infatti, non<br />

si applica soltanto ad una organizzazione politica ter-<br />

roristica della società, ma anche ad una organizzazio-<br />

ne economico-tecnica, non terroristica, che opera me-<br />

______________________________<br />

40 Ibidem, p. 19.


38<br />

diante la manipolazione dei bisogni da parte di inte-<br />

ressi costituiti. Essa preclude per tal via l’emergere di<br />

una opposizione efficace contro l’insieme del siste-<br />

ma. Non soltanto una forma specifica di governo o di<br />

dominio partitico producono il totalitarismo, ma pure<br />

un sistema specifico di produzione e di distribuzione,<br />

sistema che può essere benissimo compatibile con un<br />

“pluralismo” di partiti, di giornali, di “poteri controbi-<br />

lanciantisi”». 41<br />

Per Franz Neumann, che, secondo Collotti, rifiu-<br />

ta l’assunzione della società nello Stato ed è attento,<br />

piuttosto, alle modifiche del rapporto Stato-società, con<br />

occhio particolare alla tecnica di manipolazione delle<br />

masse, sotto l’apparenza totalitaria si celano ben quat-<br />

tro gruppi fondamentali, il partito, l’esercito, la buro-<br />

crazia e l’industria.<br />

Nella Germania nazista, tali forme di potere, che<br />

in una normale democrazia si avvalgono di rapporti<br />

______________________________<br />

41 H. Marcuse, L’uomo ad una dimensione. L’ideologia della società<br />

industriale avanzata, Torino, Einaudi, 1968.


39<br />

regolati da norme vincolanti universalmente, operano<br />

ciascuna in base al Führerprinzip, cioè all’obbedien-<br />

za assoluta alle decisioni del capo, secondo un potere<br />

legislativo, esecutivo e giudiziario autonomo e secon-<br />

do quei compromessi raggiunti dalle quattro dirigen-<br />

ze, la cui unificazione non è istituzionalizzata, quindi,<br />

ma personalizzata.<br />

Non c’è Stato, né in un’accezione ristretta, né in<br />

quella dualità riconosciuta da Ernst Fraenkel, 42 secon-<br />

do cui esiste uno stato in cui si contrappongono lo ‘Sta-<br />

to normativo’ e lo ‘Stato discrezionale’ , basato que-<br />

st’ultimo su prerogative individuali e irrazionali.<br />

«Direi che siamo di fronte a una forma di società<br />

in cui i gruppi dominanti controllano il resto della po-<br />

polazione in modo diretto, senza la mediazione di quel-<br />

l’apparato coercitivo ancorché razionale fino ad oggi<br />

conosciuto come lo stato. Questa nuova forma sociale<br />

non è ancora pienamente realizzata, ma esistono ten-<br />

______________________________<br />

42 E. Fraenkel, Il doppio Stato, Torino, Einaudi, 1983.


40<br />

denze che definiscono l’essenza stessa del regime». 43<br />

Le classi dominanti, fortemente antagoniste, sono<br />

cementate dalle logiche del profitto, dal potere e so-<br />

prattutto dalla paure delle masse.<br />

Neumann, che è prudente nell’uso del termine to-<br />

talitario, attribuisce un ruolo decisivo alla propagan-<br />

da e al terrore come due aspetti di un unico processo:<br />

«la trasformazione dell’uomo nella vittima passiva di<br />

una forza onnipresente che lo seduce e lo terrorizza,<br />

lo innalza e lo spedisce nei campi di concentramen-<br />

to». 44<br />

Ecco la metafora del Beemoth: lo stato totalita-<br />

rio, pur se respinto ideologicamente, è una forma di<br />

non-Stato, «un caos, una situazione di illegalità e di<br />

anarchia». 45<br />

______________________________<br />

43 F. Neumann, Beemoth.The structure and Practice of National Socialism,<br />

Oxford University Press, New York Inc., 1942; trad. it. di M. Baccianini,<br />

Beemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo. Milano,<br />

Feltrinelli, 1977.<br />

44 Ibidem, p. 209.<br />

45 Ibidem, p. 21.


41<br />

3. Area anglo-americana<br />

La traduzione inglese, nel maggio del 1926, di Ita-<br />

lia e fascismo di Luigi Sturzo, da parte di B. B. Carter,<br />

consegnerà gli italianismi totalitario e totalitarismo<br />

al vocabolario politico dei paesi anglofoni. Con una<br />

valenza negativa, essi connoteranno un fenomeno<br />

moderno e regressivo, plebiscitario e dittatoriale, inti-<br />

mamente contraddittorio, nonostante che, nel 1928, la<br />

rivista americana «Foreign Affairs» traduca uno scrit-<br />

to di Giovanni Gentile, The Philosophical Basis of<br />

Fascism, in cui, con toni altisonanti e apologetici, vie-<br />

ne definita totalitaria la dottrina fascista.<br />

Il «Times», nel 1929, accomuna in un fondo ano-<br />

nimo con il termine totalitarianism fascismo e bolsce-<br />

vismo, seguendo un percorso di riflessioni comparati-<br />

vistico, ampliando l’orizzonte di riferimento al regi-<br />

me monopartitico dell’Unione sovietica.<br />

Nel 1933, Victor Serge, comunista dissidente, in<br />

una lettera fatta pervenire clandestinamente in Fran-<br />

cia all’opposizione di sinistra, prima che venisse de-


42<br />

portato, definisce come «totalitario», «castocratico» ed<br />

«ebbro della propria potenza» il regime sovietico.<br />

Pur non conducendo analisi di tipo comparativo<br />

o socio-politologico, utilizza, tuttavia, lo stesso termi-<br />

ne con cui si è autodefinito il fascismo italiano.<br />

Lo stesso diranno altri menscevichi russi in esilio<br />

a Parigi. Anche Trotzki, nel volume La rivoluzione<br />

tradita, del 1938, stigmatizza come totalitaria la de-<br />

generazione autoritaria in atto nell’Unione Sovietica<br />

da parte di una classe che ha espropriato ed usurpato il<br />

proletariato.<br />

Le analisi comparativistiche americane tenderan-<br />

no a mettere in evidenza un comune nucleo strutturale<br />

tra i due sistemi politico-istituzionali, fascismo e co-<br />

munismo, dando più attenzione alle loro affinità piut-<br />

tosto che alle divergenze.<br />

In uno dei saggi raccolti in Dictatorship in the<br />

Modern World, pubblicato nel 1935 a cura di Guy Stan-<br />

ton Ford dell’Università del Minnesota, Max Lerner<br />

così intende il termine totalitarian : lo stato totalitario


43<br />

è uno stato caratterizzato dalla «organizzazione dei<br />

gruppi economici che competono per la distribuzione<br />

del reddito nazionale in associazioni o “corporazioni<br />

supervisionate dallo Stato” e da un governo che tiene<br />

rigidamente in pugno l’equilibrio del potere. Uno “Sta-<br />

to forte” nel quale tutti i conflitti aperti in forma di<br />

sciopero e serrata sono banditi e il movimento dei la-<br />

voratori è nazionalizzato».<br />

liana.<br />

E’ evidente la mutuazione dell’esperienza ita-<br />

«Comunismo e Fascismo sono sostanzialmente<br />

simili perché entrambi significano l’esaltazione della<br />

forza, che non sopporta alcuna opposizione e che su-<br />

bordina l’individuo alle richieste dello Stato». 46<br />

Lo storico del pensiero politico George Sabine<br />

considera, invece, il concetto totalitarismo come sino-<br />

nimo di unitary e, nella voce State della International<br />

______________________________<br />

46 «Christian Science Monitor», estate 1939, in A. Gleason, Totalitaria-<br />

nism, cit.


44<br />

Encyclopedia of the Social Sciences, lo applica a tutti<br />

i sistemi monopartitici, Urss inclusa. 47<br />

Particolare diffusione - e confusione concettuale<br />

- si ha durante le elezioni presidenziali del 1940. Sia<br />

da parte democratica che da parte repubblicana si usa<br />

il termine totalitarian in modo irresponsabile e poco<br />

scrupoloso. In un infiammato articolo sull’American<br />

Mercury, Herbert Hoover sottolinea dirette analogie -<br />

economiche, politiche e psicologiche- tra lo sviluppo<br />

dei regimi totalitari europei e la situazione degli Stati<br />

Uniti sotto il New Deal. Anzi, giunge a definire Roo-<br />

svelt e i suoi consiglieri come totalitarian liberals e lo<br />

stesso New Deal come un incipiente totalitarismo: sem-<br />

bra che lo confonda con socialistic. 48<br />

E di fatto, con la caduta dei regimi fascista e na-<br />

zionalsocialista, con il deterioramento dei rapporti so-<br />

vietico-americano, con la proclamazione della dottri-<br />

______________________________<br />

47 G. H. Sabine, voce State, in Encyclopedia of the Social Sciences,<br />

New York, Macmillan, 1934, vol. XIV, p. 330.<br />

48A. Gleason, Totalitarianism, cit., p. 52 e ss.


45<br />

na Truman, «il termine giocava un ruolo essenziale<br />

nel collegare l’antico alleato sovietico dell’America<br />

con la Germania Nazista. Forse l’apice di questo peri-<br />

odo si ebbe alla fine del 1950 quando il Mc Carran<br />

International Security Act sbarrò ai «totalitarian» - vale<br />

a dire ai comunisti - l’ingresso negli Stati Uniti. Du-<br />

rante questi cinque anni, l’idea che gli Stati Uniti do-<br />

vessero affrontare la sfida totalitaria tornò ad esercita-<br />

re una influenza indiscussa come la chiave del futuro<br />

americano ed ebbe la sua influenza più diretta sul pen-<br />

siero politico e sulla politica estera americana». 49<br />

Siamo alle soglie della Guerra Fredda, quando «il<br />

nemico totalitario sembrava a prima vista , trascende-<br />

re le tradizionali distinzioni tra destra e sinistra, che<br />

venivano senza dubbio operate negli anni ‘30. Molti<br />

di coloro che allora lo utilizzavano lo facevano in con-<br />

testi che suggerivano che al centro della discussione<br />

erano solo il nazismo o il fascismo. La sua rinascenza<br />

______________________________<br />

49 Ibidem, p. 61.


46<br />

nel 1945 servì a canalizzare il potente sentimento anti-<br />

tedesco nel nascente sentimento anti-comunistico e allo<br />

stesso tempo agevolò la formazione di nuove alleanze<br />

internazionali». 50<br />

______________________________<br />

50 Ibidem, pp. 61-6<strong>2.</strong> Segnaliamo anche gli studi, negli stessi anni, di J.<br />

L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, Bologna, Il Mulino,<br />

1967; R. C. Tucker, Towards a Comparative Politics of Movement-Regimes,<br />

in «American Political Science Rewiew», vol. LV, 1961; K. A.<br />

Wittfogel, Il dispotismo orientale, Firenze, Vallecchi, 1968.


CAPITOLO SECONDO<br />

«IO PROCEDO DA FATTI<br />

E DA AVVENIMENTI»<br />

L’INDAGINE CONTESTUALE<br />

DI HANNAH ARENDT<br />

PER COMPRENDERE L’EVENTO<br />

CHE CARATTERIZZA IL XX SECOLO:<br />

IL TOTALITARISMO.<br />

Siamo contemporanei fin<br />

dove arriva la nostra comprensione.<br />

Se vogliamo andare d’accordo<br />

con il mondo,<br />

foss’ anche a costo di essere d’accordo<br />

con questo secolo,<br />

dobbiamo partecipare<br />

al dialogo incessante con la sua essenza.<br />

(H. Arendt).


48<br />

1. Sentieri di ricerca: anno di svolta 1933<br />

1951. Hannah Arendt, ebrea tedesca emigrata ne-<br />

gli Stati Uniti nel maggio 1941 dopo un periodo di<br />

internamento nel campo francese di Gurs, pubblica<br />

un’opera dalla grande carica emotiva, Le origini del<br />

totalitarismo, che, nonostante le critiche, è considera-<br />

ta subito un classico di filosofia politica.<br />

E’ curioso sapere che il titolo provvisorio dell’ab-<br />

bozzo, risalente alle prime settimane del 1945, era Gli<br />

elementi della vergogna: antisemitismo, imperialismo<br />

e razzismo; anzi, a volte, la Arendt più enfaticamente<br />

lo chiamava I tre pilastri dell’inferno, pilastri, condi-<br />

zioni sine quibus non, che sorreggono, ma non in sen-<br />

so che determinano, la struttura totalitaria.<br />

Forte, per lei, era l’accusa contro l’Europa del XIX<br />

sec., perché quel secolo borghese aveva creato gli ele-<br />

menti da cui si sarebbe cristallizzato il totalitarismo in<br />

Germania e in Russia; forte, per lei, era l’incredulità<br />

per quanto stava avvenendo storicamente e politica-


49<br />

mente, non tanto per la svolta del suo paese nel 1933,<br />

quanto, soprattutto, per Auschwitz.<br />

«Da principio non ci credevamo. Anche se mio<br />

marito, e anch’io, avevamo sempre detto che da quel-<br />

la banda potevamo aspettarci di tutto. Ma questo non<br />

potevamo crederlo, perché era assolutamente contra-<br />

rio a ogni bisogno o necessità militare. Mio marito un<br />

tempo era uno storico militare, e di queste cose ne ca-<br />

piva abbastanza. E mi disse: “Non lasciarti mettere in<br />

testa queste storie! E’ una cosa che non possono fare.”<br />

Ma un mezzo anno più tardi, quando ci furono le pro-<br />

ve, dovemmo crederci. E fu davvero un brutto colpo.<br />

Prima si diceva: ma sì, tutti hanno dei nemici, è una<br />

cosa del tutto naturale, perché un popolo non dovreb-<br />

be avere nemici? Ma questo era qualcosa d’altro. Era<br />

davvero come se si fosse spalancato un abisso. Perché<br />

si è sempre avuta l’idea che in qualche modo tutto il<br />

resto possa tornare a posto, per esempio in politica tutto<br />

si può aggiustare. Ma questo no. Questo non sarebbe<br />

mai dovuto accadere. E non mi importa il numero del-


50<br />

le vittime. M’importa la produzione in massa dei ca-<br />

daveri e il resto (...) e non c’è bisogno che mi dilunghi<br />

oltre. Questo non doveva succedere. E’ successa una<br />

cosa per la quale nessuno di noi era preparato». 51<br />

Passarono altri sei anni prima che si arrivasse al<br />

titolo definitivo, Le origini del totalitarismo, che pure<br />

sembrava ricordare uno studio di genetica, come Le<br />

origini della specie di Darwin. Si trattava di un titolo<br />

fuorviante, molto più di quello scelto dall’editore in-<br />

glese, The Burden of Our Time (Il fardello del nostro<br />

tempo), perché non riusciva a tradurre lo spirito del-<br />

l’autrice: occorreva ‘riflettere’ il metodo di lavoro se-<br />

guito, non si cercavano origini nel senso di cause, non<br />

si cercavano giustificazioni, non si scriveva di storia.<br />

L’alternativa metodologica allo zelo dello storico<br />

______________________________<br />

51 Intervista concessa nel 1964 a Gunther Gaus, Was bleibt? Es bleibt<br />

die Mutterspräche, in G. Gaus, Zur Person: Portrats in Frage und Antwort,<br />

Feder, München, 1964; in E. Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-<br />

1975: per amore del mondo, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, p. 221;<br />

in H. Arendt, La lingua materna, a cura di Alessandro Dal Lago, Milano,<br />

Mimesis, 1993, p. 43.


51<br />

fu quella di «individuare gli elementi principali del<br />

nazismo, risalire alle loro origini e scoprire i problemi<br />

politici reali alla loro base (...). Scopo del libro non è<br />

dare risposte, bensì preparare il terreno». 52<br />

Per la Arendt gli eventi eccedono sempre le loro<br />

cause, non c’è deduzione, non c’è necessità ma solo<br />

caotiche verità di fatto il cui senso aspetta di essere<br />

dischiuso come in un remake narrativo.<br />

«Gli elementi del totalitarismo costituiscono le sue<br />

origini, purché per “origini” non si intenda “cause”.<br />

La causalità, cioè il fattore di determinazione di un<br />

processo di eventi in cui un evento sempre ne causa<br />

un altro e da esso può essere spiegato, è probabilmen-<br />

te una categoria totalmente estranea e aberrante nel<br />

regno delle scienze storiche e politiche. Probabilmen-<br />

te gli elementi in se stessi non causano mai alcunché.<br />

Essi divengono l’origine di un evento se e quando si<br />

cristallizzano in forme fisse e definite. Allora, e solo<br />

______________________________<br />

52 E. Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-1975: per amore del mondo,<br />

op. cit., p. 239.


52<br />

allora, sarà possibile seguire all’indietro la loro storia.<br />

L’evento illumina il suo passato ma non può essere<br />

dedotto da esso». 53<br />

Per la Arendt la parola origine si ricollega all’idea di<br />

quel principio casuale, contingente, che getta luce sul-<br />

l’evento che avviene ed esplicita la realtà su cui si fonda; a<br />

posteriori evoca quegli elementi della realtà che hanno<br />

acquisito pieno significato nella nuova esperienza, espe-<br />

rienza che resta possibile ed imprevista ai «problemi reali<br />

ed irrisolti» che erano dietro a quei «precedenti».<br />

«Dietro l’antisemitismo, la questione ebraica, dietro<br />

il decadimento dello stato nazionale, il problema irrisolto<br />

di una nuova concezione del genere umano, dietro l’espan-<br />

sionismo fine a se stesso, il problema irrisolto di riorga-<br />

nizzare un mondo che diventa sempre più piccolo». 54<br />

Bisogna, quindi, che si passi non già dalle origi-<br />

______________________________<br />

53 H. Arendt, The Nature of totalitarianism, conferenza inedita (1954),<br />

Congresso; in E. Young-Bruehl, Hannah Arendt, cit.<br />

54 Lettera a Mary Underwood, in E. Young-Bruehl, Hannah Arendt, cit.,<br />

p. 240.


53<br />

ni, questo oscuro materiale destinato a cristallizzarsi<br />

come un possibile esito, all’evento, bensì dall’evento<br />

verso quegli elementi del passato in cui possono bale-<br />

nare i tratti della cristallizzazione finale. In questo sen-<br />

so l’analisi più che storica diviene tipologica e socio-<br />

logica.<br />

Il totalitarismo, dunque, è l’evento e la sua origi-<br />

nalità terrificante consiste in atti che rompono con tut-<br />

ta la nostra tradizione, polverizzando letteralmente le<br />

nostre categorie politiche e i nostri criteri di giudizio<br />

morale. Obsoleti sono anche gli strumenti concettuali<br />

della nostra tradizione filosofica.<br />

A Voegelin, che nella recensione a Le origini del<br />

totalitarismo la accusava di perdere i contatti con la<br />

trascendenza, con la dimensione spirituale e ideologi-<br />

ca per cui «le origini del totalitarismo non andrebbero<br />

viste principalmente nel destino dello stato nazionale<br />

e nei seguenti cambiamenti sociali ed economici ini-<br />

ziati nel XVIII secolo (come fa la Arendt), ma piutto-<br />

sto nell’ascesa del settarismo immanentista dell’Alto


54<br />

Medioevo», 55 senza indugi, la Arendt replica: «Ciò che<br />

è senza precedenti nel totalitarismo non è primaria-<br />

mente il suo contenuto ideologico, ma l’evento stesso<br />

della dominazione totalitaria. Ciò si può chiaramente<br />

intendere se ammettiamo che le conseguenze delle sue<br />

politiche hanno fatto esplodere le categorie tradizio-<br />

nali del pensiero politico (il dominio totalitario è di-<br />

verso da tutte le forme di tirannia e di dispotismo che<br />

conosciamo) e i criteri del giudizio morale (i crimini<br />

totalitari sono descritti in modo del tutto inadeguato<br />

come “assassinii” e i crimini totalitari possono diffi-<br />

cilmente essere puniti come “assassinii”). Il signor Vo-<br />

egelin sembra pensare che il totalitarismo sia soltanto<br />

l’altra faccia del liberalismo, del positivismo e del prag-<br />

matismo. Ma si concordi o no col liberalismo (io pos-<br />

so dire qui con assoluta certezza di non essere né una<br />

______________________________<br />

55 Pubblicata, insieme alla risposta della Arendt e ad una sua conclusione,<br />

in «The Review of Politics», XV, n. 1, 1953; trad. it. in G. F. Lami (a<br />

cura di) Eric Voegelin. Un interprete del totalitarismo, Roma, 1978. Cfr.<br />

Filosofia politica e pratica del pensiero. E. Vögelin, L. Strauss e H.<br />

Arendt, a cura di G. Duso, Milano, 1988.


55<br />

liberale, né una positivista né una pragmatista), il punto<br />

è che i liberali non sono chiaramente dei totalitari.<br />

Spero di non insistere indebitamente su questo punto.<br />

Per me è importante perché credo che ciò che separa<br />

la mia impostazione da quella del signor Voegelin è<br />

che io procedo da fatti e avvenimenti invece che da<br />

affinità ed influenze spirituali.<br />

Ciò è forse un po’ difficile da scorgere perché io<br />

sono naturalmente molto interessata alle implicazio-<br />

ni e ai cambiamenti filosofici nell’ auto-interpreta-<br />

zione spirituale. Ma questo certo non significa che<br />

io abbia descritto “una rivelazione graduale dell’es-<br />

senza del totalitarismo dalle sue forme incipienti nel<br />

XVIII secolo a quelle pienamente sviluppate”, per-<br />

ché questa essenza non esiste prima di essere venuta<br />

alla luce.<br />

Perciò parlo di “elementi” rintracciabili nel XVIII<br />

secolo, altri forse ancora più indietro (benché io dubi-<br />

terei della teoria personale di Voegelin, secondo cui<br />

l’ascesa del settarismo immanentista del Medioevo si


56<br />

sarebbe conclusa alla fine del totalitarismo)». 56<br />

Pensare il totalitarismo come l’altra faccia del li-<br />

beralismo, del positivismo, del pragmatismo, lo prive-<br />

rebbe di ogni carattere di novità, di ogni significato<br />

fruttuoso per l’analisi del mondo moderno.<br />

La portata epocale del totalitarismo non è nel suo<br />

contenuto ideologico, ma nella sua eventualità, nella<br />

fattualità di un dominio realizzato con violenza e ter-<br />

rore attraverso la tragicità dei campi di sterminio. Que-<br />

sto è il fatto che interessa la Arendt.<br />

Questo procedimento ermeneutico spiega anche<br />

l’assimilazione del regime nazista con quello stalinia-<br />

no nella tipologia del totalitarismo, in quanto, pur se<br />

permeati da ideologie differenti, l’una basata sul domi-<br />

nio della razza, l’altra sul principio della lotta di classe,<br />

ambedue ricorrono al «culto della personalità», al ter-<br />

rore istituzionalizzato, ai campi di concentramento e<br />

all’abolizione delle libertà civili.<br />

______________________________<br />

56 Ibidem.


57<br />

E’ vero; solo marginalmente la Arendt si occupa<br />

dello stalinismo.<br />

L’opera doveva essere completata da uno studio<br />

adeguato sulle matrici totalitarie dell’ideologia marxi-<br />

sta e le differenze tra marxismo e nazismo.<br />

Il tentativo fu intrapreso, alcuni anni più tardi, a<br />

seguito di una conferenza nel 1953 57 in cui si sottoli-<br />

neavano le trasformazioni che il marxismo aveva su-<br />

bito prima nell’interpretazione di Lenin poi di Stalin.<br />

Ma The marxist elements of totalitarianism non fu mai<br />

completato, rimase una disamina critica della tradizione<br />

filosofica occidentale e un confronto con Marx, il cui<br />

pensiero pure aveva avuto rilievo nella formazione<br />

della Arendt. 58<br />

______________________________<br />

57 Conferenza inedita del 1953, Karl Marx and tradition of western political<br />

thought, presso la Library of Congress, Washington, Manuscripts<br />

Division, « The Papers of H. Arendt», box 64; trad.it. Karl Marx e la<br />

tradizione del pensiero occidentale, (scritto nel 1953), a cura di S. Forti,<br />

in «MicroMega», n.5, pp.35-108.<br />

58 Cfr. S. Forti, Vita della mente e tempo della polis, Milano, FrancoAn-<br />

geli, 1996.


58<br />

Nella prefazione del giugno 1966 a Le origini del<br />

totalitarismo, la Arendt fa riferimento al discorso di<br />

Kruscev, nel 1957, dinanzi al XX Congresso del parti-<br />

to, atto con cui si è aperto il processo di detotalitariz-<br />

zazione dell’ ex-Unione Sovietica.<br />

Secondo la Arendt, il più chiaro segno della detotali-<br />

tarizzazione sovietica non è stato tanto la liquidazione di<br />

buona parte del sistema poliziesco o la chiusura della mag-<br />

gior parte dei campi di concentramento, oppure il fatto<br />

che non sono state più promosse spettacolari epurazioni<br />

contro i nemici del partito, ora destituiti e allontanati da<br />

Mosca, quanto la ripresa feconda delle attività culturali,<br />

arte e letteratura in particolare.<br />

«Quando Stalin morì, i cassetti degli scrittori e degli<br />

artisti erano vuoti, oggi esiste tutta una letteratura che circo-<br />

la in manoscritti, e ogni via della pittura moderna viene<br />

tentata negli ateliers dei pittori e le loro opere vengono co-<br />

nosciute anche quando non sono esposte a una mostra». 59<br />

______________________________<br />

59 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., Prefazione, p. XLV.


59<br />

Da un sistema totalitario si è passati ad una dittatu-<br />

ra a partito unico.<br />

Utilizzando il termine totalitarismo con parsimo-<br />

nia e prudenza, la Arendt si chiede, tuttavia, se esso<br />

sia applicabile 60 anche alla Cina comunista, di cui al-<br />

l’epoca non si conosceva niente a causa dell’efficace<br />

isolamento dietro cui il paese si era trincerato. Rispet-<br />

to all’esempio tedesco e russo le differenze sono note-<br />

voli: dopo il periodo iniziale della dittatura contrasse-<br />

gnato dallo spargimento di sangue e da una decima-<br />

zione della popolazione, dopo la scomparsa dell’op-<br />

posizione, non si è verificato l’inasprirsi del terrore e<br />

del massacro, l’irrigidimento della burocrazia al pote-<br />

re, il sorgere di una categoria di ‘nemici oggettivi’,<br />

______________________________<br />

60 Per la Arendt il concetto «totalitarismo» non si applica neanche al<br />

fascismo italiano. Mussolini aveva creato uno stato corporativista, più<br />

che totalitario, in quanto aveva tentato di ‘statalizzare’ la società e lo<br />

stesso partito non si pose al di sopra dello stato ma si identificò con la<br />

massima autorità nazionale. Mussolini fu un dittatore, fu «il vero usurpatore<br />

nel senso della dottrina politica classica», in H. Arendt, Le origini<br />

del totalitarismo, cit., p. 360 e ss. Sul fascismo italiano vedi A. Aquarone,<br />

L’organizzazione dello stato totalitario, Einaudi, 1965.


60<br />

cioè il permanere di quei caratteri che per la Arendt<br />

tipizzano il totalitarismo.<br />

Indubbiamente riconosce una pretesa totalitaria nel<br />

programma ideologico del partito comunista cinese,<br />

ancor più manifeste in politica estera con l’inasprirsi<br />

dei rapporti cino-sovietici e con l’accusa alla Russia,<br />

che pure aveva sostenuto Pechino, di ‘deviazione re-<br />

visionista’ dopo la morte di Stalin e l’avvio di una<br />

politica di distensione.<br />

Pur denunciando la scarsità delle fonti, assumen-<br />

do una posizione piuttosto ambigua, la Arendt accen-<br />

na a quella forma di terrore e di controllo sociale che<br />

era «il modellamento e rimodellamento delle<br />

menti», 61 la pervadente ‘riforma della mente umana’<br />

che è il corrispettivo cinese della creazione dell’uomo<br />

nuovo tipico dello spirito totalitario.<br />

Un totalitarismo fondato sul consenso, direbbero<br />

oggi i critici.<br />

______________________________<br />

61 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., Prefazione, p. XXXI.


61<br />

Una osservazione, comunque, va fatta a proposito de<br />

Le origini del totalitarismo: c’è uno squilibrio tra le prime<br />

due parti, più storiche, più politiche, e la terza parte che<br />

punta sull’essenza del totalitarismo, sull’individuazione<br />

della sua tipicità. Potremmo dire che dallo «stare ai fatti»<br />

si passa meglio e volentieri ad un’analisi concettuale raffi-<br />

nata, ad una sintesi tipologica, in particolare nel capitolo<br />

dal titolo Ideologia e terrore.<br />

La domanda che ella si pone, in effetti, e che segna la<br />

portata del totalitarismo come evento -come sia potuto<br />

succedere?- filtra la domanda sull’eclissi del politico.<br />

Andrè Enégren scrive: «In un certo senso il tota-<br />

litarismo disegna in cavo tutto ciò che conferisce ri-<br />

lievo al politico arendtiano: alla chiusura radicale di<br />

un dominio senza incrinature, la Arendt oppone uno<br />

schema normativo senza governanti né governati al<br />

cui interno viene riconosciuto il diritto di ciascuno ad<br />

agire, giudicare e decidere in comune; al flusso totali-<br />

tario che sradica e livella, lei risponde con una rifles-<br />

sione incentrata sulla stabilità della legge che stabili-


62<br />

sce il potere, sull’autorità come memoria capace di fis-<br />

sare la politica nella permanenza di un mondo diffe-<br />

renziato. Mentre il totalitarismo si affida a una logica<br />

inflessibile sempre pronta a riassorbire gli eventi in<br />

un ordine superiore, essa dà la fiducia al visibile, al-<br />

l’opinione e al giudizio che, solo, consente di tenere<br />

testa alla dissoluzione della tradizione». 62<br />

La Arendt legge il fenomeno totalitario come assoluta<br />

eccezionalità, in qualche modo reso possibile, ma non ne-<br />

cessario, da tutti i rovesciamenti a catena, natura e società,<br />

politica e storia, che insieme oppongono e legano la moder-<br />

nità alla tradizione classica. Il totalitarismo nasce con la<br />

modernità, ma non come qualcosa di originariamente in-<br />

scritto nel suo patrimonio genetico, come esito predetermi-<br />

nato; piuttosto è il prodotto di una serie di opzioni soggetti-<br />

ve che convergono su di una contrazione ed uno schiaccia-<br />

mento del ‘politico’ su altre modalità del «fare»: il sistema<br />

totalitario è estraneo alla vita politica autentica.<br />

______________________________<br />

62 A. Enegrén, Il pensiero politico di Hannah Arendt, Roma, Edizioni<br />

Lavoro, 1987.


63<br />

<strong>2.</strong> L’ antisemitismo politico e la questione ebraica.<br />

Perché iniziare un’opera politica con un’analisi<br />

sull’antisemitismo, le sue origini, le sue sfaccettature,<br />

i suoi esiti, catastrofici, per un popolo, quello ebreo,<br />

che mai si è occupato di politica e che storicamente è<br />

stato considerato ‘apolide’?<br />

La Arendt considera l’antisemitismo come l’ideo-<br />

logia laica del sec. XIX e l’originale prospettiva con<br />

cui tale fenomeno è analizzato le permette di mettere<br />

alla prova ciò che va via via elaborando intorno alla<br />

autonomia e al primato dell’agire politico. Il popolo<br />

ebraico, caso storico concreto, diviene simbolo del-<br />

l’alienazione dell’uomo nel mondo moderno perché<br />

l’esperienza dell’esilio lo ha privato di uno spazio pub-<br />

blico per l’azione. E’ popolo senza governo, senza<br />

paese, senza lingua.<br />

La condizione ebraica porta a riflettere su quel-<br />

l’irriducibile unicità che è inerente alla condizione della<br />

nascita, unicità intesa come tradizione culturale, ap-


64<br />

partenenza etnica, fede religiosa, che deve poi con-<br />

durre a trascendere la propria singolarità nel conse-<br />

guimento di fini condivisi.<br />

E’ sottesa una ricerca filosofica che sarà presente<br />

in modo più evidente nelle opere della maturità, vale a<br />

dire l’individuazione di uno spazio politico che sia<br />

comune a tutti gli uomini, in cui le aspirazioni ebrai-<br />

che all’emancipazione possano integrarsi con l’aspi-<br />

razione di tutti i popoli all’autodeterminazione. Allo-<br />

ra l’ebraismo diviene simbolo della ribellione univer-<br />

sale nei confronti dell’oppressione.<br />

Nella biografia di Rahel Varnhagen, 63 i cui primi<br />

capitoli vennero scritti nel 1933, anno di fuga della<br />

______________________________<br />

63 H. Arendt, Rahel Varnhagen. The Life of a Jeweness, East and West<br />

Library (for the Leo Baeck Institut of a Jews from Germany), London<br />

1957; trad. it., Rahel Varnhagen. Storia di un’ebrea, a cura di L. Ritter<br />

Santini, Milano, Il Saggiatore, 1988. Il libro fu pubblicato nel 1957 in<br />

inglese su iniziativa del Leo Baeck Institut; nel 1959 uscì in edizione<br />

tedesca presso Piper. Il manoscritto, fatta eccezione per gli ultimi due<br />

capitoli, era già pronto nel 1933 quando la Arendt dovette lasciare la<br />

Germania. Nel 1938 venne completato per l’insistenza di Heinrich<br />

Blücher e Walter Benjamin.


65<br />

Arendt dalla Germania nazista, mentre gli ultimi tre<br />

verso il 1938, quando la Arendt si era rifugiata in Fran-<br />

cia, è presente un’acuta critica all’assimilazione per la<br />

difesa della tradizione e dell’autonomia di ciascun<br />

popolo, e non solo quello ebraico, sottolineando che<br />

in un mondo civile l’uguaglianza giuridica e politica<br />

dei gruppi non può che essere indiscutibile.<br />

La Arendt rifiuta l’assimilazione come possibili-<br />

tà di integrazione degli ebrei nel corpo della nazione.<br />

Essa ha indotto alla perdita della propria identità, dei<br />

valori religiosi, della tradizione.<br />

In Le origini del totalitarismo, mostra come l’an-<br />

tisemitismo, che non è un nazionalismo latente, per-<br />

ché la sua espansione coincide con la crisi dello Stato-<br />

nazione, sia stato il prodotto di un progetto storico e<br />

sociale determinato a cui ha contribuito il generale<br />

declino delle comunità ebraiche dell’Europa centro-<br />

occidentale ed anche quella perenne indecisione degli<br />

ebrei di essere un «elemento non nazionale in un si-<br />

stema di stati nazionali», di essere un parvenu piutto-


66<br />

sto che un libero pariah, di non trovare un equilibrio<br />

tra vita pubblica ed esperienza interiore.<br />

Già alla fine del Settecento 64 si distingueva una mas-<br />

sa di paria e piccole comunità ricche e privilegiate.<br />

Paria, secondo la Arendt, sono quell’insieme di<br />

gente che vive un’esclusione politica e sociale, senza<br />

per questo essere degradata sul piano morale come,<br />

invece, aveva sostenuto Nietzsche in Genealogia del-<br />

la morale, dove paria è l’individuo formato alla mora-<br />

le del risentimento e della ipocrisia. L’accettazione<br />

______________________________<br />

64 Sulla nascita della «questione ebraica» in epoca illuministica, cfr. H.<br />

Arendt, Aufklärung und Judenfrage, trad. it. Illuminismo e questione ebraica,<br />

in «Il Mulino», XXXV, 1986, n. 3, pp. 421-437. Cfr. A. Dal Lago, Introduzione<br />

ad H. Arendt, La vita della mente, Bologna, Il Mulino, 1987. Sullo<br />

sviluppo di una filosofia ebraica «che non sarebbe stata tale perché dovuta<br />

alla creatività di pensatori ebrei, ma perchè sarebbe stata rivolta a costruire i<br />

suoi edifici concettuali sulle fondamenta della tradizione ebraica e non avrebbe<br />

nascosto la sua intenzione di servirsi dei suoi concetti per ridefinire i<br />

lineamenti dell’identità ebraica» vedi G. Lissa, Filosofia ebraica oggi, in<br />

«Rivista di storia della filosofia», n. 4, 1994. Lissa, a partire dall’analisi<br />

della situazione ebraica fatta dalla Arendt in Le origini del totalitarismo,<br />

mette in evidenza come esista un rapporto imprescindibile tra la tradizione<br />

ebraica e la sua potenza dominante, la religione, rapporto su cui si gioca il<br />

destino stesso dell’identità ebraica.


67<br />

dell’ebreo era sul piano della ‘eccezione’, o per ric-<br />

chezza o per sapere, come persona ‘particolare’, giac-<br />

ché come popolo sarebbe stato disprezzato.<br />

L’ebreo di corte, ad esempio, era il finanziatore<br />

della corona, deteneva privilegi un tempo prerogativa<br />

solo della nobiltà. Poteva portare armi, scegliere la<br />

residenza, viaggiare e spostarsi secondo il proprio pia-<br />

cere, ovunque era protetto dalle autorità locali. Poteva<br />

contrarre matrimonio con la nobiltà, sebbene le eredi-<br />

tiere ebree con la loro dote non facevano che rimpin-<br />

guare il patrimonio dei nobili rampolli. Questo ruolo<br />

super partes, mediatore senza rappresentanza politi-<br />

ca, cominciò a vacillare quando, dopo il 1791, si ot-<br />

tenne la parità giuridica. Anzi, quanto più fu ricono-<br />

sciuta la parità giuridica tanto più aumentò la discri-<br />

minazione sociale.<br />

L’aristocrazia fu il primo gruppo sociale a diven-<br />

tare antisemita, considerando gli ebrei il prototipo del<br />

borghese egualitario e moderno. Ancora più radicale<br />

fu la posizione della borghesia che identificava l’ebreo


68<br />

con il banchiere, parassita della miseria e delle soffe-<br />

renze, in stretto rapporto con il potere centrale. La<br />

borghesia, inoltre, detestava la capacità degli ebrei di<br />

essere mediatori di pace e di intervenire di conseguenza<br />

nelle relazioni di politica internazionale. Il tedesco W.<br />

Rathenau, che aveva cercato di ottenere condizioni di<br />

pace, dopo la prima guerra mondiale, piuttosto favo-<br />

revoli per la Germania grazie al riconoscimento inter-<br />

nazionale delle sue capacità di statista, venne ucciso<br />

da un antisemita. Agli occhi dei borghesi antisemiti<br />

sembrava che gli ebrei governassero i troni di nasco-<br />

sto e che fossero i registi di una trama cospiratoria in-<br />

ternazionale.<br />

Tale teoria che era stata espressa nel testo La congiu-<br />

ra dei saggi di Sion, un falso a cui avevano creduto in<br />

molti e che venne usato da Hitler come ulteriore convali-<br />

da delle sue tesi sulla razza. Ogni volta che un gruppo<br />

nazionale o una classe entrava in conflitto con il potere<br />

centrale dello stato, invece di attaccare direttamente que-<br />

sto, aggrediva gli ebrei. Sfiorando il sociologico, la Aren-


69<br />

dt descrive l’antisemitismo del liberale austriaco Schoe-<br />

nerer, di Lueger, capo del partito cristiano-sociale, e del<br />

cappellano tedesco Stoecker, per indicare non solo che in<br />

Austria e in Germania si stava diffondendo l’antisemiti-<br />

smo più forte e virulento ma come in esso si confondesse<br />

nei conflitti di nazionalità sia da parte dei democratici che<br />

da parte dei liberali.<br />

In effetti, la spinta antisemita aveva travolto an-<br />

che partiti altrove più vigilanti, fatta eccezione dei<br />

partiti operai e di sinistra, che, presi dalla lotta di clas-<br />

se contro la borghesia, si disinteressavano di politica<br />

estera.<br />

La Arendt sottolinea che, oltre a cause strettamente<br />

politico-economiche, sociologiche e ideologiche, al-<br />

l’antisemitismo contribuiva anche quella considerazio-<br />

ne da parte degli ebrei di essere il popolo eletto, ipote-<br />

si che si fondava sull’idea che il Messia sarebbe venu-<br />

to per la salvezza di tutti i popoli. Tale tesi, tuttavia,<br />

nel corso storico, aveva perso ogni carattere universa-<br />

listico.


70<br />

Con la formazione degli stati nazionali nel XVI<br />

secolo, gli ebrei si erano definiti come gruppo con un<br />

forte senso di appartenenza e del privilegio. Ed in que-<br />

sto è consistito l’errore politico: 1) l’essersi conside-<br />

rati popolo superiore, non riuscendo, tuttavia, a coesi-<br />

stere con la propria identità, perché al di là di uno spa-<br />

ruto gruppo di privilegiati il resto era una massa di<br />

paria, 2) l’ essersi disinteressati della politica, soprat-<br />

tutto della rivendicazione dei propri diritti, creando un<br />

potere economico sul vuoto politico.<br />

La Arendt fa suo lo schema analitico di Tocqueville,<br />

che nell’opera L’Ancien Régime et la Révolution descrive<br />

la crisi della nobiltà alla fine dell’antico regime.<br />

I nobili furono attaccati ed odiati quando persero<br />

le loro funzioni, soprattutto quelle militari, erano ric-<br />

chi ma senza alcuna funzione sociale. Lo stesso era<br />

per gli ebrei: essi attiravano odio in particolare per il<br />

loro disinteresse politico.<br />

L’assenza di una rappresentanza di potere ricono-<br />

sciuta in seno allo stato, l’impotenza e la conseguente


71<br />

‘innocenza politica’ aveva impedito agli ebrei di capi-<br />

re come l’ostilità sociale sarebbe presto confluita in<br />

tragedia.<br />

Non aveva alcuna validità la tesi del capro espia-<br />

torio né l’antigiudaismo: il problema era essenzialmen-<br />

te politico.<br />

La differenza andava ‘protetta’; assumere la do-<br />

lorosa identità del paria era l’unica strada per confer-<br />

mare la propria presenza al mondo. E il politico anda-<br />

va distinto dal sociale.<br />

Il sociale avanza un’ipotesi di uniformità perché<br />

spinto da pulsioni privatistiche, concepisce il diverso<br />

come il nemico. L’uguaglianza politica non è l’ugua-<br />

glianza sociale, né si può dar luogo ad un suo perver-<br />

timento.<br />

«Le moderne società di massa offrono innumere-<br />

voli esempi della facilità con cui si scambia l’egua-<br />

glianza per una qualità innata di ciascun individuo,<br />

che viene definito “normale” quando è come gli altri e<br />

“anormale” quando se ne differenzia. Questo perver-


72<br />

timento di un concetto politico è particolarmente peri-<br />

coloso quando la società lascia alle differenze uno spa-<br />

zio relativamente esiguo, dando così luogo ad una<br />

quantità di conflitti». 65<br />

Analizzando il caso Dreyfus, ad esempio, la Aren-<br />

dt mette in rilievo come dal sociale si fosse presto pas-<br />

sati alla strumentazione politica. Contro l’ebreo spio-<br />

ne e traditore non solo si erano mobilitati i membri<br />

dell’esercito che rifiutavano un ebreo nello stato mag-<br />

giore, ma anche il clero, che mal tollerava la diversa<br />

confessione tra gli ufficiali.<br />

Sul piano politico nacque il conflitto: essere anti-<br />

dreyfusardi significava essere antidemocratici e anti-<br />

repubblicani, contrari all’uguaglianza giuridica e po-<br />

litica che prima la rivoluzione francese poi la Terza<br />

Repubblica avevano consacrato. Gli ebrei, che cerca-<br />

vano di far prevalere la tesi dell’errore giudiziario,<br />

continuavano a non capire il terreno di scontro.<br />

______________________________<br />

65 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.


73<br />

In Francia e negli altri stati europei, per lungo tem-<br />

po si discusse del caso Dreyfus: da una parte erano<br />

schierate le forze progressiste, dall’altra quelle con-<br />

servatrici di estrema destra, antisemite e antidemocra-<br />

tiche. La xenofobia, di cui pure si alimentava l’antise-<br />

mitismo francese, resto qualcosa di inoffensivo. Solo<br />

Céline, che nel 1937 aveva pubblicato Bagattelles pour<br />

un massacre e nel 1938 L’école des cadavres, raggiun-<br />

se la paranoia incitando al massacro degli ebrei rite-<br />

nuti diabolicamente responsabili di ogni male. Comun-<br />

que, la conseguenza più importante dell’affare Dreyfus<br />

fu la nascita del movimento sionista ad opera del gior-<br />

nalista austriaco T. Herzl, «l’unica risposta politica che<br />

gli ebrei seppero trovare al movimento antisemitico e,<br />

insieme, l’unica loro ideologia che prese sul serio quel-<br />

l’ostilità che li avrebbe spinti al centro degli avveni-<br />

menti mondiali». 66<br />

______________________________<br />

66 Ibidem, p. 168.


74<br />

3. La nuova ideologia degli Stati-Nazione europei<br />

in crisi: l’imperialismo come preludio politico<br />

ai movimenti totalitari.<br />

La questione degli apolidi e il valore dei diritti umani.<br />

Le fila dell’opera sono tenute insieme da un uni-<br />

co tema centrale: la storia della dissoluzione dello Sta-<br />

to-nazione in aggregati di uomini «superflui».<br />

Antisemitismo e imperialismo, risultato di prati-<br />

che non democratiche, pur se delimitati in modo esclu-<br />

sivo, sono perciò intimamente connessi.<br />

Riassunto nello slogan «l’espansione per l’espan-<br />

sione», l’imperialismo è analizzato come una nuova<br />

forma di colonialismo, ben diverso dal precedente<br />

(1500-1700) che si limitava a trarre il massimo delle<br />

ricchezze dalle colonie. Esso fu essenzialmente una<br />

politica di potenza di matrice economica, che diede<br />

luogo ad un processo distruttivo delle società nazio-<br />

nali inarrestabile, preludio dei fenomeni totalitari del<br />

XX secolo.


75<br />

La Arendt associa al fenomeno ragioni di tipo eco-<br />

nomico, sostenendo che era stata la crisi economica<br />

degli anni ‘60 e ‘70 a spingere gli uomini di affari ad<br />

occuparsi di politica internazionale. Si era verificata<br />

«una sovrapproduzione di capitale che, non potendo<br />

più trovare un investimento produttivo entro i confini<br />

nazionali, costituiva una massa di denaro “superfluo”.<br />

Per la prima volta gli strumenti del potere politico,<br />

anziché aprire la via, seguirono supinamente il denaro<br />

esportato». 67<br />

Gli uomini dell’imperialismo erano persuasi che<br />

politica ed economia non erano disgiunte, anzi aveva-<br />

no posto la seconda al servizio della prima. Perché ci<br />

fosse espansione economica continua occorreva il so-<br />

stegno del potere politico. E la politica fu essenzial-<br />

mente politica economica.<br />

E’ in questo, secondo la Arendt, che si realizza<br />

l’emancipazione politica della borghesia, nel senso che<br />

______________________________<br />

67 Ibidem, p. 188.


76<br />

se fino ad allora l’interesse prioritario era la conquista<br />

economica senza aspirare al dominio politico, adesso<br />

la borghesia tentava di usare lo stato e i suoi strumenti<br />

di violenza per l’espansione dei suoi interessi econo-<br />

mici, indebolendo così la posizione dei finanzieri in<br />

genere, in particolare quelli ebrei.<br />

La Arendt, tuttavia, non tiene conto che già al-<br />

l’epoca del mercantilismo la classe borghese si era in-<br />

teressata della politica economica degli stati. Ciò che<br />

si ebbe nell’Ottocento, semmai, fu l’opinione che ef-<br />

fettivamente il potere politico potesse proteggere gli<br />

interessi economici di uno stato, in modo particolare<br />

nelle colonie.<br />

La definizione che la Arendt tenta di dare dell’im-<br />

perialismo si rifà alle tesi della sinistra marxista, Rosa<br />

Luxemburg in particolare, la quale, secondo la teoria<br />

del sottoconsumo, riteneva che, per essere assorbita la<br />

produzione corrente in modo integrale, poiché la clas-<br />

se lavoratrice non poteva avere un alto potere di ac-<br />

quisto per le sue miserevoli condizioni, occorreva una


77<br />

«terza persona», un compratore esterno al sistema ca-<br />

pitalistico. A fianco, cioè, del mondo capitalistico, era<br />

necessaria l’esistenza di un mondo non capitalistico<br />

perché il sistema del primo non si inceppasse. 68<br />

E’ la logica degli sviluppi ineguali di cui aveva<br />

parlato anche Lenin in modo più complesso e critico.<br />

Un contributo sicuramente decisivo, tuttavia, per<br />

la Arendt, sono state le analisi del liberaldemocratico<br />

Hobson e del socialdemocratico Hilferding: quest’ul-<br />

timo, con il quale converge anche Kautsky, considera-<br />

va il fenomeno come una politica del capitalismo.<br />

Nel segno di una apparente razionalità, l’imperia-<br />

lismo aveva promosso l’espansione geografica secon-<br />

do una crescita economica che era l’immediato rifles-<br />

so dell’accumulazione capitalista illimitata.<br />

«Annetterei i pianeti, se potessi» era solito dire<br />

Cecil Rhodes, quasi a suggello della nuova politica<br />

mondiale.<br />

______________________________<br />

68 R. Luxemburg, Die Akkumulation des Kapitals, Berlin, Singer, 1913;<br />

trad. it. L’accumulazione del capitale, Milano, Feltrinelli, 1976.


78<br />

Espansione acquisiva il significato di continuo<br />

ampliamento della produzione industriale e delle tran-<br />

sazioni economiche. 69<br />

Si trattava di un concetto non politico, tanto è<br />

vero che l’obiettivo degli imperialisti era quello di<br />

ampliare la sfera di potere, potere economico in pri-<br />

mo luogo, senza creare un corrispondente corpo po-<br />

litico.<br />

Era il caso, ad esempio, dei francesi che trattaro-<br />

no l’Algeria come una provincia del territorio metro-<br />

politano senza imporre le loro leggi alla popolazione<br />

araba, creando un ibrido per cui il territorio era nomi-<br />

nalmente francese, giuridicamente parte integrante<br />

della Francia, uno dei suoi dipartimenti, ma gli abitan-<br />

ti non erano cittadini francesi, anzi, vennero conside-<br />

rati quella «force noire» che doveva proteggere la Fran-<br />

cia, o, per dirla con il Poincaré, era «carne da canno-<br />

ne, ottenuta con metodi di produzione di massa». 70<br />

______________________________<br />

69 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 175.<br />

70 Ibidem, p. 180.


79<br />

Anche l’Inghilterra, per il fatto di essere uno stato<br />

nazionale, non creò mai un «Commonwealth of Na-<br />

tions» nel senso dell’assimilazione e incorporazione<br />

dei popoli sottomessi, ma «una nazione sparsa nelle<br />

varie parti del mondo». 71<br />

L’esempio irlandese decretò il fallimento della<br />

politica estera inglese perché con il riconoscimento<br />

dello status di dominion si era ravvivato lo spirito di<br />

resistenza nazionale dell’Irlanda.<br />

L’imperialismo, quindi, creò una pericolosa con-<br />

traddizione tra la struttura dello stato nazionale e la<br />

politica di conquista, perché «dovunque si è presenta-<br />

to nella veste di conquistatore, ha infatti destato la<br />

coscienza nazionale e la volontà d’indipendenza del<br />

popolo vinto, mandando a monte il tentativo di co-<br />

struzione di un impero duraturo». 72<br />

Diversamente accadde nell’antica Roma, per la<br />

quale la Arendt esprime la sua ammirazione: tipica-<br />

______________________________<br />

71 Ibidem, p. 178.<br />

72 Ibidem, p. 177.


80<br />

mente romana era quella capacità di esportare il dirit-<br />

to, collante tra popoli diversi ma egualmente ricono-<br />

scentisi come cittadini romani, nonché perno della cre-<br />

azione di un impero stabile e duraturo.<br />

L’imposizione di una legge comune permetteva<br />

l’uguaglianza giuridica e il diritto alla cittadinanza di<br />

popoli eterogenei, favorendo l’integrazione, laddove<br />

lo stato nazionale, che si basava sul consenso attivo di<br />

una popolazione omogenea, in caso di conquista, im-<br />

poneva il consenso cercando di assimilare, degeneran-<br />

do talora molto velocemente in tirannide.<br />

Gli imperialisti non avevano, quindi, esportato la<br />

legge, bensì il dominio.<br />

La prima conseguenza fu l’esportazione del rule<br />

by force, il governo mediante la forza, che sostituì la<br />

fondazione del corpo politico.<br />

«Violenza, la polizia e le forze armate, che nel-<br />

l’ambito della nazione erano soggette al controllo del-<br />

le autorità civili, si arrogarono le prerogative di rap-<br />

presentanti nazionali nelle colonie, dove erano state


81<br />

dislocate come custodi del capitale investito. Qui in<br />

regioni arretrate senza industrie e organizzazione po-<br />

litica, dove la violenza aveva più libertà d’azione che<br />

in qualsiasi paese occidentale, si consentì alle cosid-<br />

dette leggi del capitalismo di diventare realtà». 73<br />

Lontano dal potere delle leggi, lontano da quella<br />

funzione costituzionale che è loro propria, l’esercito e<br />

la polizia diventano strumenti di violenza dalla forza<br />

incontrollabile. Si era violato uno dei principi fonda-<br />

mentali dello stato costituzionale.<br />

Scambiando espansione per conquista, inoltre, gli<br />

imperialisti governavano, piuttosto che per leggi, per<br />

ordinanze e decreti.<br />

La confusione tra potere esecutivo e legislativo -<br />

in effetti le ordinanze e i decreti erano atti del potere<br />

esecutivo- dava luogo nelle colonie all’arbitrarietà e<br />

all’arroganza dei funzionari, i quali preferivano che<br />

«l’africano restasse africano» 74 per salvaguardare i<br />

______________________________<br />

73 Ibidem, p. 190.<br />

74 Ibidem, p. 18<strong>2.</strong>


82<br />

propri affari laddove le leggi, invece, avrebbero ga-<br />

rantito la legittimità del riconoscimento paritario tra<br />

coloro che erano sottomessi al medesimo governo.<br />

Pertanto le istituzioni democratiche esistenti erano<br />

pericolose perché, come si legge da un discorso di Lord<br />

Cromer in parlamento, non si poteva governare «un<br />

popolo per mezzo di un altro popolo, il popolo india-<br />

no per mezzo del popolo inglese». 75<br />

«La burocrazia era un governo di tecnici, una<br />

“minoranza esperta”, che doveva resistere alla costan-<br />

te pressione della “maggioranza inesperta”», 76 il po-<br />

polo, a cui non era possibile affidare la cura dell’am-<br />

ministrazione delle colonie.<br />

I funzionari erano abilmente manipolati dagli uo-<br />

mini di affari, non avevano idee politiche generali né<br />

erano eccessivamente patriottici, anzi, le loro qualità<br />

erano la segretezza, l’anonimato, il potere da eminen-<br />

za grigia.<br />

______________________________<br />

75 Ibidem, p. 298.<br />

76 Ibidem, p. 298.


83<br />

Gli uomini dell’imperialismo erano individui ‘de-<br />

classati’, senza un’effettiva funzione sociale, alienati<br />

dal corpo sociale, parassiti senza identità che si appas-<br />

sionarono all’avventura imperialista pensando di po-<br />

ter gestire un potere assoluto o segreto. «L’alleanza<br />

plebe e capitale è all’origine di ogni coerente politica<br />

imperialista». 77<br />

La Arendt chiarisce che non bisogna confondere<br />

la plebe né con il proletariato industriale, né con il<br />

popolo nel suo insieme: essa è formata dagli scarti di<br />

tutte le classi sociali, è «una massa di persone priva di<br />

qualsiasi principio e numericamente così forte da su-<br />

perare la capacità dello stato di occuparsene». 78<br />

Direttamente prodotta dalla borghesia, con que-<br />

sta rivela una profonda affinità sul piano politico,<br />

lontana da ipocrisie e falsi valori e fortemente en-<br />

tuasiasta delle teorie razziali che escludevano in li-<br />

nea di principio l’idea di umanità e ogni possibile<br />

______________________________<br />

77 Ibidem, p. 216.<br />

78 Ibidem, p. 219.


84<br />

relazione con il diverso, il selvaggio, che non fosse<br />

di mera sudditanza.<br />

Per dare meglio un quadro degli uomini dell’im-<br />

perialismo, la Arendt cita alcuni esempi, da Lawrence<br />

d’Arabia a Lord Cromer fino ai personaggi dei romanzi<br />

di Kipling e di Cuore di tenebra di Conrad.<br />

Quello che le preme sottolineare, in effetti, è che<br />

erano uomini annoiati o falliti nel loro paese di origi-<br />

ne di cui avevano rifiutato i valori e pronti a tutto nelle<br />

colonie per conquistare un’identità e condizioni di vita<br />

soddisfacenti.<br />

I tratti distintivi dell’imperialismo, dunque, sono<br />

1) le teorie razziste, che sostituirono la razza alla na-<br />

zione come base della struttura politica, e 2) l’orga-<br />

nizzazione burocratica, che ne fu lo strumento.<br />

Il razzismo come strumento di dominio venne usa-<br />

to, ancor prima che l’imperialismo lo definisse come<br />

idea politica, dai boeri nel Sudafrica, i quali, emigrati<br />

intorno al XVII secolo dall’Olanda, ripudiarono l’ethos<br />

europeo e, vivendo in un ambiente che non erano in


85<br />

grado di trasformare, non trovarono altro valore più<br />

alto che in se stessi. Essi si considerarono individui<br />

più che umani, scelti da Dio per essere gli dei del po-<br />

polo nero, inferiore non tanto per il colore della pelle<br />

quanto per ragioni economiche: a stretto contatto con<br />

la natura, gli indigeni non avevano creato né modifi-<br />

cato il mondo e la realtà umana. Con la scoperta di<br />

giacimenti auriferi e diamantiferi, il Sudafrica fu terra<br />

di investimento per i finanzieri ebrei, i quali divenne-<br />

ro immediatamente bersaglio di odio antisemita da<br />

parte dei boeri per il pericolo di innovazioni nella loro<br />

società razziale. Essi erano potenziali elementi desta-<br />

bilizzanti presso una comunità che temeva fanatica-<br />

mente l’industrializzazione del paese.<br />

Il Sudafrica ebbe una particolare influenza sui<br />

popoli europei: «insegnò alla plebe quel che essa ave-<br />

va vagamente presentito, che bastava la mera violenza<br />

per creare a piacimento strati inferiori o sfruttati, che a<br />

tale scopo non occorreva neppure una rivoluzione, ma<br />

si poteva contare sull’aiuto di certi gruppi delle classi


86<br />

dominanti, e infine che i popoli stranieri o arretrati<br />

offrivano la migliore occasione per l’ascesa nella so-<br />

cietà». 79<br />

Se Hobbes poteva essere ritenuto il teorico ante-<br />

signano della politica imperialista, alcuni nobili fran-<br />

cesi del Settecento avevano creato i prodromi per le<br />

teorie razziste che vennero messe in atto nel corso del<br />

Novecento. Il conte de Boulainvilliers, ad esempio,<br />

aveva sostenuto che la nobiltà francese era di origine<br />

germanica e che aveva conquistato la terra di Francia,<br />

ora depredata da quell’alleanza della monarchia con il<br />

terzo stato.<br />

Nessuno avrebbe mai sospettato che si preparava<br />

la guerra civile, quella rivoluzione che rivendicava<br />

eguali diritti civili per i cittadini di tutta la nazione<br />

francese. L’aristocrazia, in effetti, affermava la sua<br />

superiorità per un’azione di conquista e non già per<br />

fattori biologici.<br />

______________________________<br />

79 Ibidem, pp. 287-288.


87<br />

Diversamente fu per la Germania.<br />

Il pensiero razzista tedesco nacque, secondo la<br />

Arendt, dopo la disfatta dei prussiani da parte di Na-<br />

poleone. Si cercò di fare appello ad un generico senti-<br />

mento di nazione per rafforzare l’unità interna di un<br />

popolo che si riconosceva dapprima nell’unità lingui-<br />

stica, poi nelle teorie fondate sulla razza, poiché man-<br />

cava sia l’unità territoriale sia la memoria storica. Fu-<br />

rono i razzisti tedeschi che identificarono il popolo<br />

con la razza, idealizzando sulla scia romantica il Me-<br />

dioevo e il Sacro Romano Impero.<br />

Accanto a queste analisi storico-comparative, di<br />

cui marcato è il tono sociologico, la Arendt menziona<br />

anche la portata delle teorie eugenetiche e del darwini-<br />

smo sociale, con cui si negava l’origine unica e bibli-<br />

ca dell’uomo.<br />

Se l’imperialismo coloniale, comunque, aveva<br />

minato la stabilità della politica estera degli Stati eu-<br />

ropei, creando una dicotomia tra governo metropoli-<br />

tano e colonie, è l’imperialismo continentale, soste-


88<br />

nuto dai movimenti panslavisti e pangermanisti, che<br />

disintegrerà internamente la struttura dello Stato-na-<br />

zione.<br />

L’imperialismo continentale fu proprio dell’area<br />

orientale dell’Europa, di quegli Stati che non avevano<br />

partecipato all’espansione geografica d’oltremare e<br />

che, secondo una soluzione di continuità geografica,<br />

pretendevano di creare colonie sul continente.<br />

«L’imperialismo continentale ebbe realmente ini-<br />

zio in patria». 80<br />

Esso esprimeva esigenze nazionali, contrapponen-<br />

do all’economia «un’ “ampliata coscienza etnica” che<br />

si supponeva unisse tutte le persone della stessa origi-<br />

ne etnica, indipendentemente dalla storia, dalla lingua<br />

e dal luogo di residenza». 81<br />

Questa sorta di nazionalismo tribale, come spre-<br />

giativamente è definito dalla Arendt, aveva in comune<br />

con l’imperialismo coloniale il razzismo, inteso come<br />

______________________________<br />

80 Ibidem, p. 31<strong>2.</strong><br />

81 Ibidem, p. 31<strong>2.</strong>


89<br />

rifiuto del diverso, inferiore e sottoposto, e la burocra-<br />

zia, ampiamente descritta da Kafka nei suoi romanzi.<br />

Esso aveva fatto sue le teorie razziali distinguen-<br />

do non più tra pelle bianca o bruna, bensì tra anima<br />

ariana e non ariana; aveva fatto della nazionalità una<br />

qualità permanente proclamando l’origine divina del<br />

proprio popolo; si era proclamato indipendente dal ter-<br />

ritorio osteggiando tutti gli organismi statali esistenti<br />

e identificando il cittadino con il membro del gruppo<br />

nazionale.<br />

Pur mancando di un preciso programma politico,<br />

centrale nella sua ideologia divenne l’antisemitismo<br />

come se fosse una visione generale del mondo, isolan-<br />

do così l’odio ebraico da ogni concreta esperienza<br />

politica, sociale ed economica.<br />

Il nazionalismo tribale nacque in un’atmosfera di<br />

profondo sradicamento.<br />

Panslavisti e pangermanisti si riconoscevano non<br />

già per avere una patria territorialmente e giuridica-<br />

mente definita, bensì come ‘tribù’.


90<br />

In questo senso, sottolinea la Arendt, il popolo si<br />

riconosce in quanto massa, orda in movimento, e la<br />

sua forma di rappresentanza non poteva più essere il<br />

partito ma il movimento stesso.<br />

I partiti, in effetti, mediavano nella vita politica di<br />

un paese, ma non si era dimostrati efficaci, poiché,<br />

molto più legati al potere che a ideali democratici e<br />

parlamentari, si erano macchiati di abusi e corruzione<br />

escogitando giustificazioni ideologiche che facevano<br />

coincidere interessi privati con quelli più generali del-<br />

l’umanità. Il risultato fu il progressivo allontanamen-<br />

to dal governo delle masse, sempre più antiparlamen-<br />

tari e antidemocratiche, anzi, proprio per il clima di<br />

sfiducia che si era venuto a creare veniva richiesta la<br />

presenza di un dittatore come guida del paese.<br />

La Arendt affronta su un piano comparativistico<br />

la questione della disgregazione dei partiti, che è, in<br />

fondo, la disgregazione dello Stato-nazione nel senso<br />

della perdita dei valori democratici e parlamentari,<br />

nonché del diritto alla cittadinanza.


91<br />

Lo svolgimento è stato ben diverso nei paesi del-<br />

l’Europa occidentale rispetto a quella orientale. In In-<br />

ghilterra, ad esempio, il sistema rappresentativo era<br />

solido grazie al bipolarismo, all’alternanza dei due<br />

partiti al potere; mentre in Germania lo Stato «sviri-<br />

lizzava» 82 i partiti, nel senso che «il sistema tedesco<br />

faceva del parlamento un campo di battaglia di inte-<br />

ressi e di opinioni contrastanti, la cui funzione pratica<br />

per la direzione degli affari statali era estremamente<br />

discutibile». 83<br />

L’antagonismo stato-società venne poi spazzato<br />

via dai seguenti movimenti totalitari.<br />

La crisi interna allo Stato-nazione viene acuita<br />

dalla situazione degli ‘apolidi’, gli Heimatlose, grup-<br />

pi che con la guerra del 1914 erano emigrati da un<br />

paese ad un altro privati dei diritti umani garantititi<br />

dalla cittadinanza, condannati all’ apolidicità come<br />

‘schiuma della terra’.<br />

______________________________<br />

82 Ibidem, p. 357.<br />

83 Ibidem, p. 357.


92<br />

Cechi, sloveni, ebrei, russi bianchi e altre mino-<br />

ranze costrette allo spostamento territoriale per la ca-<br />

duta dell’Impero russo, austro-ungarico e ottomano,<br />

erano unicamente tutelati per una serie di trattati inter-<br />

nazionali, i Minority Traties, spesso rimasti pura enti-<br />

tà astratta.<br />

In molti Stati europei, inoltre, erano state intro-<br />

dotte leggi che permettevano la denazionalizzazione e<br />

la denaturalizzazione; il primo provvedimento venne<br />

preso in Francia già nel 1915 in relazione ai cittadini<br />

naturalizzati provenienti da un paese nemico; poi nel<br />

1922 il Belgio annullava la naturalizzazione delle per-<br />

sone che avevano commesso atti antinazionali duran-<br />

te la guerra; nel 1926 in Italia il regime di Mussolini<br />

emanò una legge analoga per quei cittadini che si era-<br />

no mostrati «indegni della cittadinanza italiana o rap-<br />

presentavano una minaccia per l’ordine pubblico»;<br />

l’Austria nel 1933 per chi avesse commesso azioni<br />

ostili nei suoi confronti e via via fino al 1935 quando<br />

con le leggi di Norimberga la Germania distinse i te-


93<br />

deschi in cittadini a pieno titolo e cittadini senza diritti<br />

politici. 84<br />

La Arendt, considerando l’apolidicità un fenome-<br />

no di massa tutto contemporaneo, tiene a precisare la<br />

differenza tra minoranze e apolidi.<br />

«Le minoranze erano senza stato solo a metà; al-<br />

meno de jure appartenevano a un organismo statale,<br />

anche se avevano bisogno di una protezione supple-<br />

mentare e di speciali garanzie per godere di certi dirit-<br />

ti. (...) Le minoranze potevano essere considerate come<br />

un fenomeno eccezionale, proprio di determinati ter-<br />

ritori che deviavano dalla norma». 85<br />

E i trattati sulle minoranze dicevano quello che<br />

già era implicito nel sistema degli stati nazionali, cioè<br />

che solo l’appartenenza alla nazione dominante dava<br />

veramente diritto alla cittadinanza e alla protezione<br />

giuridica, per cui i ‘gruppi allogeni’ erano soggetti solo<br />

______________________________<br />

84 Ibidem, nota p. 387 e ss. Cfr. anche G. Agamben, Mezzi senza fini.<br />

Note sulla politica. Torino, Bollati Boringhieri, 1996.<br />

85 Ibidem, p. 384.


94<br />

a leggi eccezionali fino a quando non si compiva l’as-<br />

similazione. A tutela era stata creata la Lega delle na-<br />

zioni.<br />

Gli apolidi, invece, erano stati privati della citta-<br />

dinanza, nel senso che «essa presupponeva una strut-<br />

tura statale che, se non ancora completamente totalita-<br />

ria, non tollerava alcuna opposizione e preferiva per-<br />

dere dei cittadini piuttosto che albergare nel suo seno<br />

dei dissenzienti». 86<br />

Quanto fosse perverso questo meccanismo e quan-<br />

to sia attuale, viene sottolineato dalla Arendt investen-<br />

do della sua critica anche il paese democratico per<br />

antonomasia, gli Stati Uniti, allorquando si era creata<br />

la possibilità, durante il periodo maccartista, di priva-<br />

re della cittadinanza gli americani comunisti.<br />

La perdita della cittadinanza è quanto di più of-<br />

fensivo si possa fare ad un uomo, agli uomini, perché<br />

significa la privazione di uno spazio pubblico di rico-<br />

______________________________<br />

86 Ibidem, p. 387.


95<br />

noscimento, di un agire politico di concerto che dia<br />

peso alle opinioni e alle azioni e che, secondo la Aren-<br />

dt, può realizzare quella dignità di essere-uomini.<br />

In questo senso vengono messi in questione gli<br />

stessi diritti dell’uomo ritenuti inalienabili dalla Di-<br />

chiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del<br />

1789, con cui, per l’appunto, si è creata la perfetta coin-<br />

cidenza di uomo e cittadino.<br />

L’apolide segna la crisi di questo rapporto e, di<br />

riflesso, anche la crisi dello Stato-nazione perché vie-<br />

ne meno quella triade Stato-nazione-territorio, quindi<br />

lo stesso concetto di sovranità.<br />

Rimedi furono considerati il diritto all’asilo, il rim-<br />

patrio e la naturalizzazione, ma nessuno di questi fu<br />

storicamente e politicamente adeguato.<br />

Gli apolidi furono costretti, infatti, ad un’esisten-<br />

za crepuscolare.<br />

La Arendt prende così una posizione netta e pre-<br />

cisa anche rispetto al problema palestinese, quando,<br />

cioè, venne creato in Palestina lo Stato d’Israele.


96<br />

Sembrava, infatti, che la questione ebraica non<br />

dovesse avere una risoluzione, eppure venne affronta-<br />

ta con la colonizzazione e la conquista di un territorio,<br />

producendo, non a caso, una nuova categoria di apoli-<br />

di, i profughi arabi.<br />

Quella degli apolidi è una nuova categoria da cui<br />

ripensare la comunità politica e la stessa figura di po-<br />

polo. E’ come una maledizione che accompagna «il<br />

sorgere di nuovi stati, fondati sulla falsariga dello sta-<br />

to nazionale. Questa maledizione contiene i germi di<br />

una malattia mortale per i nuovi organismi. Perché lo<br />

stato nazionale non può esistere una volta infranto il<br />

principio di uguaglianza di tutti di fronte alla legge.<br />

Senza questa uguaglianza, che in origine era destinata<br />

a sostituire i vecchi ordinamenti della società feudale,<br />

esso si dissolve in una massa anarchica di privilegiati<br />

e di diseredati. Le leggi che non sono uguali per tutti<br />

danno luogo a privilegi, qualcosa che contrasta con la<br />

stessa natura dello stato nazionale. Quando questo non<br />

è in grado di trattare gli apolidi come soggetti politici


97<br />

e lascia ampio campo d’azione all’arbitrio delle misu-<br />

re poliziesche difficilmente resiste alla tentazione di<br />

privare tutti i cittadini del loro status e di governarli<br />

con una polizia onnipotente». 87<br />

Secondo tale prospettiva, potremmo dire che sia il<br />

capitolo sull’Antisemitismo che quello sull’Imperialismo<br />

altro non sono che una continua ricerca, da parte della<br />

Arendt, delle ragioni della perdita dell’identità individua-<br />

le e collettiva da parte della comunità politica occidentale.<br />

L’errore è stato quello di non aver trovato nulla di<br />

sacro nell’astratta nudità dell’essere nient’altro-che-<br />

uomo. 88<br />

«La nostra vita politica si fonda sul presupposto<br />

che possiamo instaurare l’eguaglianza attraverso l’or-<br />

ganizzazione, perché l’uomo può trasformare il mon-<br />

do e crearne uno di comune, insieme coi suoi pari e<br />

soltanto con essi». 89<br />

______________________________<br />

87 Ibidem, p. 40<strong>2.</strong><br />

88 Ibidem, p. 415.<br />

89 Ibidem, p. 417.


98<br />

La messa la bando e la riduzione dell’uomo a mera<br />

esistenza ha strappato ogni legame del singolo con<br />

l’umanità, ha impedito il rispetto della pluralità e il<br />

riconoscimento che l’uguaglianza dei popoli è solo, e<br />

non può essere che solo giuridica, «risultato dell’or-<br />

ganizzazione umana nella misura in cui si fa guidare<br />

dal principio di giustizia. Non si nasce uguali; si di-<br />

venta uguali come membri di un gruppo in virtù della<br />

decisione di garantirsi reciprocamente eguali diritti». 90<br />

Ciò che è andato storto nella politica, e che ha<br />

dato corpo all’evento totalitarismo, è stato la confu-<br />

sione tra sfera pubblica e sfera privata, lo schiaccia-<br />

mento del politico sul sociale, la perdita dello spazio<br />

pubblico dell’azione.<br />

______________________________<br />

90 Ibidem, p. 417 e ss.


CAPITOLO TERZO<br />

LA CATEGORIA ‘TOTALITARISMO’<br />

«Indietro, via di qui, gente sommersa,<br />

Andate. Non ho soppiantato nessuno,<br />

Non ho usurpato il pane di nessuno,<br />

Nessuno è morto in vece mia. Nessuno.<br />

Ritornate alla vostra nebbia.<br />

Non è mia colpa se vivo e respiro<br />

e mangio e bevo e dormo e vesto panni».<br />

(Levi, Il superstite, 1984)<br />

Che cosa resta? Resta la lingua materna.<br />

(H. Arendt)


100<br />

1. Il mutato sfondo socio-politico tra i due secoli:<br />

la nuova società di massa<br />

Rompendo quella linea di continuità causa ed<br />

effetto, in alternativa, quindi, al metodo ‘continui-<br />

sta’ dello storico, 91 la Arendt rintraccia nella crisi di<br />

valori e nella rottura della tradizione dell’ Europa<br />

occidentale i germi da cui prenderà corpo il totalita-<br />

rismo. Antisemitismo, imperialismo, crisi dello Sta-<br />

to-nazione, atomizzazione della società rappresen-<br />

tavano il collasso della società illuministica e ven-<br />

gono puntualmente esaminati sul piano storico, po-<br />

litico, sociologico e psicologico, dalla Arendt, per-<br />

ché fenomeni nuovi, che mettono in discussione il<br />

______________________________<br />

91 Circa il rapporto H. Arendt-metodo storico, cfr. in particolare: M.<br />

Salvati, Hannah Arendt e la storia del novecento, in Aa. Vv., Nazismo,<br />

fascismo, comunismo, Totalitarismi a confronto, a cura di M. Flores,<br />

Milano, Bruno Mondadori, 1998; V. Marchetti, Resistenza ebraica,<br />

antisemitismo, totalitarismo, in Aa. Vv., Nazismo, op. cit.; A. Enégren,<br />

op. cit.; G. Even-Gramboulan, Hannah Arendt face à l’histoire, in Aa.<br />

Vv., Hannah Arendt et la modernité, a cura di A. M. Roviello, Vrin,<br />

199<strong>2.</strong>


101<br />

lessico politico e filosofico e impongono nuove mo-<br />

dalità di comprensione.<br />

Che cosa sia il totalitarismo e che cosa abbia si-<br />

gnificato per quella sua carica dirompente nella vita<br />

della comunità politica è analizzato nella terza parte<br />

de Le origini del totalitarismo in modo meno schema-<br />

tico, ma con altrettanta intensità, a partire dal tramon-<br />

to della società classista e da quel processo di massifi-<br />

cazione a cui hanno rivolto la loro attenzione filosofi<br />

e storici come T. W. Adorno, W. Reich, E. Canetti, E.<br />

Broch, G. Mosse. 92<br />

Maggiore influenza per la Arendt ha avuto State<br />

of the Masses di E. Lederer, in cui l’autore contrappo-<br />

ne alla società dell’opinione pubblica la minaccia di<br />

una società senza classi. Lederer ha studiato il rappor-<br />

______________________________<br />

92 Sull’opera di W. Reich circa la psicologia delle masse e il fascismo e<br />

sugli accenni fatto da Adorno sullo stesso argomento, cfr. S. Moscovici,<br />

L’âge des foules, Paris, Complexe, 1985; E. Canetti, Masse und macht,<br />

Hamburg, Classen, 1960, trad. it. Masse e potere, Milano, Rizzoli, 1973;<br />

H. Broch, Massenpsycologie, Zürich, Rhein, 1959; G. Mosse, L’uomo e<br />

le masse nelle ideologie nazionaliste, Bari, Laterza, 1995.


102<br />

to privilegiato della massa con il capo totalitario e ha<br />

definito lo stato dittatoriale come fondato sul terrore<br />

«distruggendo i gruppi sociali di ogni tipo, sradicando<br />

la ragione, consegnando l’uomo alle sue emozioni» e<br />

istituzionalizzando inevitabilmente le masse. 93<br />

Nella bibliografia de Le origini del totalitarismo,<br />

si fa riferimento anche al testo di Ortega y Gasset, La<br />

ribellione delle masse, 94 di cui la Arendt non condivi-<br />

de l’ipotesi ‘deterministica’ secondo cui è meccanico<br />

ed inevitabile che la società moderna arrivi alla massi-<br />

ficazione, giacché essa è fondata su individui isolati,<br />

privi di interessi e responsabilità.<br />

In questo senso la Arendt è molto più prossima a Toc-<br />

queville e al pessimismo di Burckhardt, che pure avevano<br />

sottolineato i rischi di un’attrazione a dir poco naturale e<br />

______________________________<br />

93 E. Lederer, The State of masses. The Treat of the Classless Society,<br />

New York, W. W. Norton, 1940, trad. it. parziale, Lo Stato delle masse,<br />

in M. Salvati, Da Berlino a New York, Bologna, Cappelli, 1989.<br />

94 J.Ortega y Gasset, La rebelion de las masas, Madrid, «Revista de<br />

Ocidente», 1929; trad. it. La ribellione delle masse, Bologna, Il Mulino,<br />

196<strong>2.</strong>


103<br />

spontanea verso sistemi dispotici e autoritari di individui<br />

completamente deresponsabilizzati e «superflui», appar-<br />

tenenti peraltro a tutte le classi sociali.<br />

«Il termine “massa” si riferisce soltanto a gruppi<br />

che, per l’entità numerica o per indifferenza verso gli<br />

affari pubblici o per entrambe le ragioni, non possono<br />

inserirsi in un’organizzazione basata sulla comunanza<br />

di interessi, in un partito politico, in un’ amministra-<br />

zione locale, in un’associazione professionale o in un<br />

sindacato. Potenzialmente, essa esiste in ogni paese e<br />

forma la maggioranza della folta schiera di persone<br />

politicamente neutrali che non aderiscono mai ad un<br />

partito e fanno fatica a recarsi alle urne». 95<br />

La Arendt non riconosce alcuna capacità di azio-<br />

ne alla ‘massa’, che è soggetto passivo, facilmente<br />

manipolabile, diversamente dall’interpretazione della<br />

critica socialista e marxiana che ne dà una valenza<br />

positiva. 96<br />

______________________________<br />

95 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 431.<br />

96 R. Williams, Cultura e rivoluzione industriale, Torino, Einaudi, 1968.


104<br />

Indubbiamente ella rimarca che le masse sono il<br />

portato della degenerazione dell’individualismo bor-<br />

ghese e di una società atomizzata in cui la competiti-<br />

vità e il senso di solitudine dell’individuo erano state<br />

contenute dall’appartenenza ad una classe, tant’è che<br />

la peculiarità dell’uomo di massa era l’isolamento e la<br />

mancanza di relazioni sociali, piuttosto che la brutali-<br />

tà e la rozzezza. Potremmo dire con il Kornhauser che<br />

«sotto il profilo oggettivo è società atomizzata, sotto<br />

il profilo soggettivo è popolazione alienata». 97<br />

«Il crollo della muraglia protettiva classiste tra-<br />

sformò le maggioranze addormentate, fino ad allora a<br />

rimorchio dei partiti, in una grande massa, disorganiz-<br />

zata ed amorfa, di individui pieni di odio che non ave-<br />

vano nulla in comune tranne la vaga idea che le spe-<br />

ranze degli esponenti politici in un ritorno dei bei tempi<br />

andati fossero campate in aria e che quindi i rappre-<br />

sentanti della comunità rispettati come i suoi membri<br />

______________________________<br />

97 W. Kornhauser, The Politics of Mass Society, Free Press, Glencoe,<br />

1959.


105<br />

più preparati e perspicaci fossero in verità dei folli,<br />

alleatisi con le potenze dominanti per portare, nella<br />

loro stupidità o bassezza fraudolenta, tutti gli altri alla<br />

rovina». 98<br />

E’ una massa di uomini disperati e insoddisfatti,<br />

come i deracinés dei salotti borghesi del tardo Otto-<br />

cento e i parassiti e gli avventurieri dell’imperialismo.<br />

Sono la «generazione del fronte», totalmente spo-<br />

liticizzata, educata alla guerra e alla vita di trincea, ad<br />

un attivismo e ad una esaltazione del proprio io che si<br />

riduceva ad un «fare qualcosa, di eroico o di crimina-<br />

le, che fosse imprevedibile e indeterminato da altri». 99<br />

Il terrorismo di cui si vantavano esprimeva la fru-<br />

strazione e l’odio di quanti consideravano la guerra,<br />

con la sua implacabile arbitrarietà, simbolo della mor-<br />

te e legge dell’universo nonché origine di un nuovo<br />

ordine mondiale.<br />

______________________________<br />

98 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 436.<br />

99 Ibidem, p. 459.


106<br />

Il processo di ‘massificazione’ rifletteva la disso-<br />

luzione dei legami sociali, l’appiattimento della pira-<br />

mide sociale, l’annullamento delle differenziazioni<br />

individuali e di quelle strutture che garantiscono il plu-<br />

ralismo in un istituzione democratica.<br />

Più specificamente la società di massa è una con-<br />

dizione necessaria, ma non sufficiente, per l’instaura-<br />

zione di un regime totalitario.<br />

La Arendt osserva che «per trasformare la dittatu-<br />

ra rivoluzionaria di Lenin in un regime totalitario, Sta-<br />

lin dovette prima creare artificialmente quella società<br />

atomizzata che in Germania per i nazisti era stata pre-<br />

parata dagli avvenimenti storici». 100 Fu necessario,<br />

cioè, distruggere quegli antichi rapporti di classe, fa-<br />

miglia e villaggio molto radicati in Russia fin dal Me-<br />

dioevo; annientare le vecchie classi; cancellare le me-<br />

morie del passato; operare quello sradicamento che<br />

nell’Europa occidentale si era venuto svolgendo già<br />

______________________________<br />

100 Ibidem, p. 441.


107<br />

da tempo. La destrutturazione della società era fina-<br />

lizzata alla edificanda società totalitaria, al «nuovo<br />

ordine» in cui, tuttavia, occorreva mantenere la mobi-<br />

litazione, i fattori disgreganti e le spinte massificanti,<br />

in modo da impedire la stabilità e il dimensionamento<br />

in dittatura monopartitica.<br />

Aclassista, antipluralista, il totalitarismo, che pure<br />

si basa sulla ‘disponibilità’ 101 di base della società di<br />

massa, crea «il dominio permanente di ogni singolo<br />

individuo in qualsiasi aspetto della vita». 102<br />

In questo sfacelo generale di valori e di aspirazio-<br />

ni, sia la plebe che l’élite intellettuale erano attratte<br />

dall’impeto dei movimenti totalitari.<br />

Il culto della violenza e il gangsterismo sembra-<br />

vano smascherare l’ipocrisia della borghesia. La «mo-<br />

rale a doppio uso» era bersaglio di aspri attacchi da<br />

______________________________<br />

101 S. Neumann, Permanent Revolution, Harper, New York 1942; D.<br />

Fisichella, Elezioni e democrazia. Un’analisi comparata, Bologna, Il<br />

Mulino, 1983.<br />

102 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 451


108<br />

parte degli artisti e degli intellettuali, sia dell’arte del-<br />

le avanguardie che della letteratura e del teatro. Parti-<br />

colarmente significativa, a proposito, fu la calda acco-<br />

glienza della ironica Dreigrischenoper di Brecht nella<br />

Germania prehitleriana, dramma che identificava i<br />

gangsters come rispettabili affaristi e gli affaristi come<br />

rispettabili gangsters.<br />

«La plebe applaudiva perché prendeva l’afferma-<br />

zione alla lettera; la borghesia, perché era stata così a<br />

lungo ingannata dalla sua stessa ipocrisia da essere<br />

stanca della tensione e da trovare una profonda sag-<br />

gezza nell’espressione della banalità con cui viveva;<br />

l’élite, perché lo smascheramento dell’ipocrisia era un<br />

divertimento meraviglioso.<br />

L’effetto era l’opposto di quello che si era prefis-<br />

sato Brecht». 103<br />

Questa distorta alleanza fra plebe ed élite era ba-<br />

sata su un equivoco accidentale: la plebe, in quanto<br />

______________________________<br />

103 Ibidem, p. 464.


109<br />

scarto della borghesia, pensava che grazie alle masse<br />

avrebbe potuto ottenere il potere e rimpiazzare i vec-<br />

chi strati della società borghese; l’élite, affascinata dal<br />

radicalismo totalitario, riusciva grazie ad un certo fa-<br />

natismo rivoluzionario, a manipolare e mobilitare le<br />

masse, escludendole dai centri vitali del potere.<br />

In ogni caso era necessario imbrigliare e allineare la<br />

massa di filistei, in cui si identificava «il borghesuccio gret-<br />

to che in mezzo alle rovine del suo mondo aveva a cuore<br />

soltanto la sicurezza personale ed era pronto a sacrificare<br />

ogni cosa -fede, onore, dignità- al minimo pericolo.<br />

Nulla si rivelò più facilmente distruttibile dell’in-<br />

timità e della moralità privata di gente che pensava<br />

unicamente a salvaguardare l’ininterrotta normalità<br />

della propria vita». 104<br />

______________________________<br />

104 Ibidem, p.469. Ancora più incisiva è la Arendt quando individua nel<br />

buon padre di famiglia il tipo dell’uomo-massa: «Credo sia stato Péguy a<br />

chiamare il padre di famiglia “grand aventurier du 20° siècle”, ma è morto<br />

troppo presto per imparare che quel tipo d’uomo era anche il grande criminale<br />

del secolo. Eravamo talmente abituati ad ammirare o a canzonare garbatamante<br />

il padre di famiglia per le sue affettuose premure e la sua assidua


110<br />

E saranno proprio costoro a macchiarsi dei più<br />

nefandi crimini, dopo anni di livellamento per mezzo<br />

di una propaganda menzognera e una capillare orga-<br />

nizzazione di potere.<br />

______________________________<br />

dedizione al benessere della famiglia, per la sua solenne determinazione ad<br />

assicurare alla moglie e ai figli una vita agiata, che non ci siamo accorti di<br />

quanto il devoto paterfamilias, la cui preoccupazione principale era la propria<br />

sicurezza, si fosse involontariamente trasformato, sotto la spinta della<br />

caotica situazione economica del nostro tempo, in un avventuriero, al quale<br />

non bastava una grande industriosità ed accortezza per essere certo di quello<br />

che il giorno sucessivo gli avrebbe riservato. (...) Ci voleva solo il genio<br />

satanico di Himmler per scoprire che, dopo una simile degradazione, quest’uomo<br />

sarebbe stato completamente disposto a fare letteralmente di tutto<br />

quando la posta si fosse alzata e la piatta esistenza della sua famiglia fosse<br />

minacciata. (...) Così oggi può accadere che quella stessa persona, il tedesco<br />

medio, che anni di propaganda nazista non erano riusciti a convincere ad<br />

uccidere un ebreo (neppure quando divenne abbastanza chiaro che un siffatto<br />

omicidio sarebbe rimasto impunito), accetti senza opporsi di mettersi al<br />

servizio della macchina della distruzione. (...) Diversamente dalle prime<br />

unità delle SS e della Gestapo, l’organizzazione totale di Himmler non conta<br />

sui fanatici, né sugli assassini per natura, né sui sadici; essa fa interamente<br />

assegnamento sulla normalità dei lavoratori e dei padri di famiglia», in Colpa<br />

organizzata e responsabilità universale, articolo del gennaio 1945, ora in<br />

Ebraismo e modernità, a cura di G. Bettini, Milano, Feltrinelli, 1993. La<br />

Arendt rimarca questo carattere della ‘normalità’ anche quando ritrae Eichmann<br />

in La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli,<br />

1993.


111<br />

<strong>2.</strong> Gli strumenti del totalitarismo:<br />

propaganda, polizia segreta e burocrazia.<br />

L’ideologia come «logica di un’idea».<br />

La Arendt ritiene che la propaganda sia lo stru-<br />

mento di cui il movimento totalitario si serva, almeno<br />

in un momento iniziale, perché sia possibile «trasfor-<br />

mare la natura dell’uomo».<br />

Essa è rivolta in particolare alla sfera esterna, cioè<br />

agli strati non totalitari della popolazione o ai paesi stra-<br />

nieri perché evitassero qualsiasi ingerenza interna.<br />

La propaganda utilizzava la menzogna e la falsi-<br />

ficazione, che erano sì accorgimenti potestativi ma con<br />

la subdola finalità di sommergere le masse in un mon-<br />

do irreale di modo che fossero incapaci di lottare per i<br />

propri interessi concreti, si sentissero profondamente<br />

sradicate dal tessuto economico-sociale e aderissero<br />

pienamente alle astrazioni dell’ideologia totalitaria.<br />

La specificità tecnica della propaganda totalitaria<br />

è quella di investire gli uomini fin nella profondità


112<br />

psichica usando come espediente il terrore. Pertanto,<br />

oltre a forme di propaganda diretta, vi erano altrettan-<br />

te forme di propaganda indiretta, miranti a sostenere<br />

la mobilitazione totale, la guerra di una popolazione<br />

contro se stessa.<br />

Ma cosa veniva propagandato?<br />

«Nessuna propaganda basata sull’interesse puro<br />

e semplice può avere effetto fra masse che essendo<br />

caratterizzate principalmente dall’estraneità a qualsi-<br />

asi corpo sociale e politico, presentano un vero caos<br />

di interessi individuali.<br />

Il fanatismo dei militanti dei movimenti totalitari,<br />

così diverso qualitativamente dall’attaccamento dei<br />

membri dei partiti normali, è prodotto dalla mancanza<br />

di un interesse egoistico delle masse, che sono pronte<br />

a sacrificarsi.<br />

I nazisti hanno dimostrato che si può condurre in<br />

guerra un intero popolo con lo slogan «vittoria o di-<br />

struzione» (qualcosa che la propaganda bellicista del<br />

1914 avrebbe accuratamente evitato), e ciò non in un


113<br />

periodo di miseria, disoccupazione o ambizioni nazio-<br />

nali deluse». 105<br />

I movimenti totalitari, secondo la Arendt, svuotano<br />

di ogni contenuto utilitaristico i propri fondamenti dottri-<br />

nari e annunciano le loro finalità politiche attraverso for-<br />

me di predizione infallibile. In questo senso fanno dichia-<br />

razioni legate al futuro piuttosto che richiamandosi al glo-<br />

rioso passato, pensano nei termini del ‘millennio’ a veni-<br />

re, alimentano la fuga dalla realtà delle masse.<br />

«Prima di tirare intorno a sé una cortina di ferro<br />

per impedire che il più lieve rumore esterno turbi la<br />

spaventosa quiete di un mondo interamente immagi-<br />

nario, essi possiedono già, grazie alla loro propagan-<br />

da, la forza di segregare le masse del mondo reale». 106<br />

La finalità della propaganda, inoltre, non è tanto la<br />

persuasione quanto l’organizzazione, «l’arte di accumu-<br />

lare il potere senza possedere gli strumenti di potere».<br />

______________________________<br />

105 Ibidem, p.481. Cfr. G. Sartori, Cosa è “propaganda” ?, in «Rasse-<br />

gna italiana di sociologia», IV, 196<strong>2.</strong><br />

106 Ibidem, p.488.


114<br />

Per avere un’idea di come si strutturi l’organizzazio-<br />

ne totalitaria, la Arendt, in Che cos’è l’autorità, 107 la de-<br />

scrive in modo molto più semplice come una cipolla: «nel<br />

centro della quale, quasi in uno spazio vuoto, si trova il<br />

capo (...). Tra le innumerevoli parti del movimento: le or-<br />

ganizzazioni collaterali extrapartitiche, le varie associa-<br />

zioni professionali, gli iscritti al partito, la burocrazia del<br />

partito, le formazioni di élite e i gruppi paramilitari sono<br />

reciprocamente in una relazione tale da costituire, a se-<br />

conda del punto di vista, la superficie o il centro della ci-<br />

polla: cioè, rispetto a uno strato costituiscono il normale<br />

mondo esterno, mentre rispetto ad un altro rappresentano<br />

il radicalismo più estremista. Il grande vantaggio del si-<br />

stema è di fornire a ciascuno strato del movimento, nono-<br />

stante il regime totalitario, la finzione di una realtà norma-<br />

le e, insieme, la convinzione di differenziarsene e di esse-<br />

re più radicale».<br />

______________________________<br />

107 H. Arendt, Between Past and Future: Six Exercices in Political Thought,<br />

London, Faber and Faber, 1961; trad. it. Tra passato e futuro, Milano,<br />

Garzanti, 1991


115<br />

In questo modo, ritenendo che ci sia solo una dif-<br />

ferenza quantitativa tra ciascuno degli strati, nessuno<br />

è a conoscenza dell’ abisso che si è venuto a creare tra<br />

il mondo artificiale in cui vive e quello reale che lo<br />

circonda.<br />

Attraverso le organizzazioni frontiste e dei sim-<br />

patizzanti viene creata una nebbia di normalità e ri-<br />

spettabilità che inganna sui veri caratteri dell’ideolo-<br />

gia del movimento totalitario. Nell’isolamento dalle<br />

realtà, il capo totalitario prende le decisioni dall’inter-<br />

no della struttura stessa, né dall’esterno né dall’alto: il<br />

suo compito è «fare da magica difesa contro il mondo<br />

esterno e insieme da ponte con esso». 108<br />

La figura del capo come leader del movimento<br />

non è, comunque, la conditio sine qua non dell’instau-<br />

razione del regime totalitario, anche se il Führerprin-<br />

______________________________<br />

108 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 516. Sulla figura del<br />

‘capo’: L. Cavalli, Il capo carismatico, Bologna, Il Mulino, 1981; M.<br />

Stoppino, Totalitarismo, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario<br />

di politica, cit.


116<br />

zip e il culto della personalità non sono poi irrilevanti.<br />

La Arendt, infatti, chiarisce che «il principio del capo»<br />

non è di per sé totalitario ma ha colto elementi dal-<br />

l’autoritarismo e dalla dittatura militare.<br />

Il Führerprinzip poteva collegarsi ad una forte tra-<br />

dizione tedesca, ancor più sentita durante gli anni del<br />

sistema presidenziale della repubblica di Weimar, con<br />

la reggenza di Hidemburg, e presente nelle forme mi-<br />

litarizzanti delle associazioni giovanili e d’arma, nel<br />

diffuso atteggiamento antidemocratico, nelle ideolo-<br />

gie dominanti nella burocrazia e nell’esercito.<br />

Le crisi del 1923 e del 1930 avevano dato nuovo<br />

slancio all’appello verso l’uomo forte, un capo cari-<br />

smatico, attraverso cui il Führerprinzip diventava una<br />

sintesi di idee di ordine autoritario e militaresco con<br />

forme di legittimazione pseudodemocratico-plebisci-<br />

taria, manipolate attraverso la propaganda di massa.<br />

E’ la «volontà del Führer» che diventa legge suprema<br />

in uno stato totalitario e non i suoi ordini che defini-<br />

rebbero una struttura gerarchica.


117<br />

«L’autorità non filtra dal vertice agli strati inter-<br />

medi fino alla base del corpo politico come nel caso<br />

dei regimi autoritari. La ragione effettiva è che non<br />

c’è gerarchia senza autorità e che, malgrado i numero-<br />

si equivoci sulla cosiddetta “personalità autoritaria”,<br />

il principio di autorità è, in tutti gli aspetti importanti,<br />

diametralmente opposto a quello del dominio totalita-<br />

rio. A prescindere dalla sua origine nella storia roma-<br />

na, l’autorità in qualunque sua forma è sempre desti-<br />

nata a ridurre o limitare la libertà, ma mai ad abolirla.<br />

Il dominio totalitario, invece, mira a distruggerla, ad<br />

eliminare la spontaneità in genere, e non si accontenta<br />

affatto di una sua riduzione, per quanto tirannica». 109<br />

Tutto deve convergere alla costruzione di un mon-<br />

do fittizio: il mondo viene spogliato di quella multi-<br />

formità, di quel pluralismo che è elemento di disorien-<br />

tamento e disintegrazione per le masse.<br />

La Arendt tende a sfatare così un luogo comune<br />

______________________________<br />

109 Ibidem, p. 555.


118<br />

dei regimi totalitari, che essi siano garanti dell’ordine<br />

e della stabilità. Hitler e Stalin si servirono delle pro-<br />

messe di stabilità per nascondere la loro intenzione di<br />

creare uno stato di instabilità permanente.<br />

«Per un movimento totalitario entrambi i pericoli<br />

sono mortali: l’evoluzione verso l’assolutismo mette-<br />

rebbe fine al suo impeto interno, e un’evoluzione ver-<br />

so il nazionalismo impedirebbe l’espansione esterna,<br />

senza la quale non può sopravvivere. Esso deve ricor-<br />

rere a quella che, con Trotsky, si potrebbe chiamare<br />

“rivoluzione permanente”». 110 La rivoluzione totali-<br />

taria, dunque, è «rivoluzione permanente» in quanto<br />

risponde necessariamente a quella logica di perpetua-<br />

zione della guerra civile che l’ha originata.<br />

______________________________<br />

110 Ibidem, p. 536. Il termine ‘rivoluzione permanente’ compare già in<br />

Trotsky nel 1905 a proposito del fallimento dell’esperienza dei soviet di<br />

Pietrogrado e, in seguito, in polemica contro la cristallizzazione teorica<br />

fatta da Stalin del socialismo in un solo paese. Vedi R. Schnur, Rivoluzione<br />

e guerra civile, a cura di P.P. Portinaro, Milano, Giuffrè, 1986; L.<br />

Pellicani, Dinamica delle rivoluzioni, Milano, Sugarco,1974. Cfr. anche<br />

H. Arendt, On revolution, Viking Press, New York, 1963; trad. it. a cura<br />

di M. Magrini, Sulla rivoluzione, Milano, Edizioni Comunità 1996.


119<br />

All’ instabilità permanente fa da contrappeso la<br />

completa assenza di struttura: lo stato totalitario non è<br />

monolitico, anzi, come sistema monopartitico, esso,<br />

in concreto, si caratterizza secondo il dualismo Stato-<br />

partito o, per alcuni critici, secondo la divisione tra<br />

potere reale e potere apparente. 111<br />

La Arendt sostiene che «se si considera lo stato<br />

totalitario esclusivamente come uno strumento di po-<br />

tere lasciando da parte l’efficienza amministrativa, in-<br />

dustriale ed economica, la sua “mancanza di struttu-<br />

ra” appare il mezzo ideale per l’attuazione di quello<br />

che i nazisti chiamavano il principio del capo. La con-<br />

tinua concorrenza fra gli uffici che, oltre a sconfinare<br />

______________________________<br />

111cfr. F. Neumann, Behemoth. The Structure and Practice of National<br />

Socialism, Harper & Row, New York 1966. Neumann afferma che il<br />

regime nazional-socialista si caratterizzava attraverso quattro centri di<br />

potere fondamentali, ciascuno con il proprio esecutivo, legislativo e giudiziario.<br />

Fraenkel, ne Il doppio Stato, cit., teorizza, invece, la compresenza<br />

di uno Stato «normativo», non sospeso del tutto, che regola la<br />

produzione, ed uno Stato « discrezionale», in cui si esprimono gli obiettivi<br />

programmatici del nazismo, obiettivi accettati dal capitalismo tedesco<br />

purché gli sia riconosciuto il predominio nella sfera produttiva.


120<br />

con l’esercizio delle proprie funzioni nei settori altrui<br />

sono incaricati di compiti identici, rende pressoché<br />

impossibili l’opposizione e il sabotaggio». 112<br />

Il segno più evidente della mancanza di una ge-<br />

rarchia è la moltiplicazione dell’apparato burocrati-<br />

co, tant’è che «il cittadino del Terzo Reich era co-<br />

stretto a vivere sotto l’autorità simultanea e spesso<br />

contrastante di poteri concorrenti, come l’ammini-<br />

strazione statale, il partito, la SA e le SS; e non sape-<br />

va mai, perché nessuno glielo diceva esplicitamente,<br />

quale di queste istanze possedeva un’autorità mag-<br />

giore. Egli doveva sviluppare una specie di sesto<br />

senso per capire a un dato momento a chi obbedire e<br />

chi ignorare». 113<br />

Lo stesso accadde in Russia, dove «il regime era<br />

ricorso in misura ancora maggiore alla continua crea-<br />

zione di nuovi uffici per relegare nell’ombra i vecchi<br />

centri di potere. Solo che il gigantesco sviluppo buro-<br />

______________________________<br />

112 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit, p. 554.<br />

113 Ibidem, p. 548.


121<br />

cratico, inerente a questo metodo, veniva frenato dalle<br />

ripetute epurazioni». 114<br />

La differenza sostanziale, secondo la Arendt, tra i<br />

due sistemi, nazional-socialista e sovietico, era che<br />

«Stalin, ogni qual volta trasferiva il potere da un ap-<br />

parato all’altro, tendeva a liquidare insieme con l’ap-<br />

parato declassato il suo personale, mentre Hitler, mal-<br />

grado lo sprezzante giudizio sulle persone “incapaci<br />

di saltare al di là della propria ombra”, era perfetta-<br />

mente disposto ad utilizzare tali ombre anche in se-<br />

guito, magari in un’altra funzione». 115<br />

Lo Stato funge da facciata, rappresentando il pae-<br />

se per interessi di politica estera; in realtà il vero cen-<br />

tro di potere è la polizia segreta, le cui agenzie sono le<br />

«cinghie di trasmissione» che danno dinamismo al-<br />

l’azione dello stato totalitario.<br />

La polizia segreta è completamente soggetta alla<br />

volontà di chi detiene il potere, è «interamente alla<br />

______________________________<br />

114 Ibidem, p. 553.<br />

115 Ibidem, pp. 550-1.


122<br />

mercé delle massime autorità per la conservazione del<br />

suo lavoro. Al pari dell’esercito in uno stato non tota-<br />

litario, si limita ad eseguire la politica decisa da altri,<br />

avendo perso tutte le prerogative godute nelle buro-<br />

crazie dispotiche». 116<br />

La sua caratteristica, dunque, è ridotta ad un pia-<br />

no meramente esecutivo e «una delle ragioni della<br />

moltiplicazione dei servizi segreti, i cui agenti non si<br />

conoscono, è l’esigenza di una estrema flessibilità. Per<br />

usare il nostro esempio, poteva darsi che le massime<br />

gerarchie, al momento della comunicazione del loro<br />

ordine, fossero ancora indecise fra una maggiore prov-<br />

vista di tubi e un’epurazione. La moltiplicazione con-<br />

sentiva i mutamenti all’ultimo momento: era così pos-<br />

sibile che, mentre gli agenti di un servizio preparava-<br />

no la concessione dell’ordine di Lenin al direttore del-<br />

la fabbrica, quelli dell’altro servizio si apprestassero<br />

ad arrestarlo. L’efficienza della polizia consisteva nel<br />

______________________________<br />

116 Ibidem, p. 585.


123<br />

fatto di poter preparare simultaneamente l’esecuzione<br />

di incarichi così contraddittori». 117 La polizia segreta,<br />

che è uno strumento di repressione terroristica, «non<br />

ha il compito di scoprire gli autori di delitti, ma quello<br />

di essere pronta quando il governo decide di arrestare<br />

una certa categoria della popolazione. La sua unica<br />

distinzione è di essere la sola a godere la fiducia della<br />

massima autorità e a sapere quale linea politica sarà<br />

attuata». 118 Attraverso la provocazione, i processi e le<br />

epurazioni, gli agenti segreti hanno il compito di sta-<br />

nare l’opposizione. Cosa significa?<br />

Ogni forma di governo ha degli oppositori; anzi,<br />

in via analitica, possiamo distinguere tra: 1) nemici<br />

reali, 2) nemici potenziali, 3) nemici oggettivi, 4) «au-<br />

tori» di delitti possibili, 5) innocenti, 6) amici e se-<br />

guaci.<br />

Ma ciò che caratterizza il totalitarismo è il perse-<br />

guitare in particolar modo persone e gruppi ricompre-<br />

______________________________<br />

117 Ibidem, p.583.<br />

118 Ibidem, p.583.


124<br />

si sotto il cliché di «nemico oggettivo» e definiti tali<br />

ideologicamente già prima di conquistare il potere.<br />

A sua discrezione, il gruppo di potere individua e<br />

persegue un «portatore di tendenze» 119 che in futuro<br />

potrebbe risultare oggettivamente ostile, una catego-<br />

ria di persone la cui inimicizia può apparire plausibile<br />

ideologicamente, soprattutto all’estero.<br />

E’ il «nemico oggettivo», che differisce dal sospetto,<br />

individuato dalle polizie segrete, in quanto la sua identità<br />

è determinata dall’orientamento politico del governo, non<br />

dalla attività sovversiva di cui è autore.<br />

Per questo, riflettendo quel dinamismo intrinseco<br />

al movimento totalitario stesso, esaurita una catego-<br />

ria, si dichiara guerra ad un’altra, procedendo così alla<br />

tassonomia dei subumani. Ogni operazione contro il<br />

«nemico oggettivo» di turno -il che ci induce a pensa-<br />

re che l’unico ‘innocente’ è solo chi detiene il potere-<br />

viene legittimata sul piano ideologico, secondo la ‘raz-<br />

______________________________<br />

119 Ibidem.


125<br />

za’ per i nazionalsocialisti, come ‘nemico della classe<br />

operaia’ per i comunisti.<br />

L’esasperazione del «nemico oggettivo» conduce<br />

alla nozione di «delitto possibile», cioè la presunzio-<br />

ne che il crimine possa essere costruito in anticipo su<br />

basi ritenute oggettivamente attendibili, anche se in<br />

concreto assolutamente improbabili. In questo modo<br />

il governo totalitario ammanta con proprie giustifica-<br />

zioni le misure terroristiche adottate.<br />

La Arendt, tuttavia, è dell’avviso che con la com-<br />

pleta realizzazione del terrore totalitario, vengono ab-<br />

bandonati i concetti di «nemico oggettivo» e «delitto<br />

logicamente possibile» per una coerente arbitrarietà:<br />

le vittime, innocenti, verranno scelte a caso, senza al-<br />

cuna accusa, solo perché dichiarate indegne di vivere.<br />

E’ il modo più efficace di negare la libertà umana.<br />

Principio d’azione, allora, è l’ideologia, che la<br />

Arendt definisce «come logica di un’idea». 120<br />

______________________________<br />

120 Nessun termine presenta una vasta gamma di significati così disparati<br />

quanto il termine ‘ideologia’. N. Bobbio distingue un significato


126<br />

«La sua materia è la storia, a cui la “idea” è applicata;<br />

il risultato di tale applicazione non è un complesso di af-<br />

fermazioni su qualcosa che è, bensì lo svolgimento di un<br />

processo che muta di continuo. L’ideologia tratta il corso<br />

degli avvenimenti come se seguisse la stessa “legge” del-<br />

l’esposizione logica della sua “idea”.(...) Le ideologie non<br />

si interessano mai del miracolo dell’essere». 121<br />

______________________________<br />

«debole» da uno «forte». Nel significato «debole» designa un’insieme di<br />

idee e valori che riguardano l’ordine politico e hanno la funzione di<br />

guidare i comportamenti politici collettivi. Per il significato «forte» fa<br />

riferimento a Marx che considera l’ideologia una credenza falsa, la falsa<br />

coscienza dei rapporti di dominazione tra le classi. Nella scienza e nella<br />

sociologia politica contemporanea prevale il primo significato, ideologia<br />

come concetto neutro, quindi, contrapposto in modo esplicito o implicito<br />

a ciò che è «pragmatico» e arricchito di certi elementi tipici come<br />

il dottrinarismo, il dogmatismo, una forte componente passionale e via<br />

dicendo. L’ideologia è lo strumento fondamentale che le élites politiche<br />

hanno a disposizione per operare la mobilitazione politica delle masse e<br />

per portare ad un grado massimo la loro manipolazione. Cfr. M. Stoppino,<br />

Ideologia, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di<br />

politica, cit. Per il nesso ideologia-simulazione, E. Voccia, L’ideologia<br />

della provocazione, in «Porta di Massa. Laboratorio Autogestito di Filosofia<br />

- Simulazione», Napoli, primavera-estate 1996, pp. 6-1<strong>2.</strong><br />

121 Ibidem, p. 64<strong>2.</strong> Tre anni prima nel lavoro della Arendt, così Orwell<br />

scriveva: « Tu credi che la realtà sia qualcosa di oggettivo, di esterno,<br />

che esiste per proprio conto. E credi che anche la natura stessa della


127<br />

Con certezza assoluta, l’ideologia pretende di spie-<br />

gare, indipendentemente da ogni esperienza ed accer-<br />

tamento fattuale, la storia, di obiettivare l’intero corso<br />

storico, di ‘produrre’ e dimostrare come eliminabile il<br />

nemico, non in quanto oppositore ma come simbolo<br />

dell’alterità. E’ il diverso che, necessariamente, dev’es-<br />

sere ricompreso nella totalità dell’esistente e annien-<br />

tato perché non riconosciuto.<br />

L’ideologia suggella la totale non appartenenza<br />

al mondo degli uomini, la loro «superfluità», perché<br />

trasforma l’isolamento e la solitudine in estraneazio-<br />

ne, in perdita non solo dello spazio pubblico ma, so-<br />

prattutto, del proprio io.<br />

______________________________<br />

realtà sia evidente per se stessa. Se ti persuadi che stai pensando qualcosa,<br />

credi che tutti gli altri vedano quella stessa cosa. Ma io ti dico, Winston,<br />

che la realtà non è esterna. La realtà esiste nella mente degli uomini,<br />

e in nessun altro luogo. Non nelle menti individuali, e cioè in questa<br />

o in quella, che invece possono commettere errori, e che in ogni caso è<br />

destinata a svanire prima o poi: ma solo nella mente del Partito, che è<br />

collettiva e immortale. Qualsiasi cosa il Partito ritiene sia vera, è vera.<br />

E’ impossibile vedere la realtà se non attraverso gli occhi del Partito», in<br />

G. Orwell, 1984, Milano, Mondadori, 1973.


128<br />

E il totalitarismo, abolendo l’umanità che è in ogni<br />

uomo, disprezzando la realtà e la fattualità, attua quel<br />

supersenso ideologico che può essere definito come<br />

l’eccedenza di senso su cui fa perno la stessa ideolo-<br />

gia, una logica coerente che fa apparire degno di sen-<br />

so ogni atto arbitrario, ribaltando la situazione-limite<br />

in quotidianità, l’illegale nel legale, l’insensato nel<br />

sensato.<br />

«La società dei morenti, in cui la punizione viene<br />

inflitta senza alcuna relazione con un reato, lo sfrutta-<br />

mento praticato senza un profitto e il lavoro compiuto<br />

senza prodotto, è un luogo dove quotidianamente si<br />

crea l’insensatezza. Eppure, nel contesto dell’ideolo-<br />

gia totalitaria nulla potrebbe essere più sensato e logi-<br />

co: se gli internati sono dei parassiti, è logico che ven-<br />

gano uccisi col gas; se sono dei degenerati, non si deve<br />

permettere che contamino la popolazione; se hanno<br />

un’ “anima da schiavi” (Himmler), non è il caso di<br />

sprecare il proprio tempo per cercare di rieducarli. Vi-<br />

sti attraverso le lenti dell’ideologia, i campi hanno quasi


129<br />

il difetto di aver troppo senso, di attuare la dottrina<br />

con troppa coerenza». 122<br />

Il supersenso ideologico ritiene di aver scoperto<br />

la chiave della storia o la soluzione degli enigmi del-<br />

l’universo, senza tener conto della fattualità, anzi, di-<br />

sprezzandola, e, attraverso una logica deduttiva e co-<br />

ercitiva, edificando il suo artificioso sistema.<br />

L’antiutilità, l’antieconomicità e l’insensatezza 123<br />

sono caratteri dominanti per la preservazione del po-<br />

tere totalitario.<br />

«Totalitaria non è la pretesa della Russia rivolu-<br />

______________________________<br />

122 Ibidem, p. 626.<br />

123 Sul carattere irrazionale del totalitarismo, inteso nell’assoluta incongruenza<br />

tra fini da perseguire e mezzi impiegati per perseguirli, cfr. Barrington<br />

Moore jr., Le origini sociali della dittatura e della democrazia,<br />

Torino, Einaudi, 1971; R. Conquest, Il grande terrore, Milano, Mondadori,<br />

1970; M. Curtis, Retrat from Totalitarianism, in C. J. Friedrich, M.<br />

Curtis, B. R. Barber, Totalitarianism in Perspective: Three Views, Praeger,<br />

New York 1969; A. B. Ulam, Lenin e il suo tempo, Firenze, Vallecchi,<br />

1967. Contestano questa interpretazione, a favore di una razionalità<br />

intrinseca al totalitarismo, R. A. Nisbet, La comunità e lo Stato, Milano,<br />

Comunità 1957; J. G. Gliksman, Social Prophilaxis as a From of Soviet<br />

Terror, in C. J. Friedrich, Totalitarianism, cit.


130<br />

zionaria che nelle condizione esistenti la dittatura del<br />

proletariato sia la miglior forma di governo, bensì la<br />

catena di deduzioni, tratta soltanto dal dittatore totali-<br />

tario, in base alla quale risulta logicamente che senza<br />

tale sistema non si può costruire una metropolitana,<br />

che chiunque sa dell’esistenza della metropolitana di<br />

Parigi è sospetto perché potrebbe dubitare della prima<br />

deduzione e che, quindi, se fosse possibile, bisogne-<br />

rebbe distruggere questa metropolitana, che invero non<br />

sarebbe mai dovuta esistere». 124<br />

______________________________<br />

124 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit, p. 627.


131<br />

3. Terrore e campo di concentramento.<br />

La società dei morenti e il male radicale.<br />

La Arendt sottolinea marcatamente che il terrore<br />

è l’essenza del potere totalitario e il campo di concen-<br />

tramento è la sua istituzione centrale.<br />

Possono considerarsi questi tratti distintivi del<br />

regime totalitario?<br />

1. Il terrore totalitario<br />

Il terrore è, secondo una definizione da diziona-<br />

rio, lo strumento di emergenza cui un governo ricor-<br />

re per mantenersi al potere: l’esempio più noto è<br />

quello del periodo della dittatura del Comitato di<br />

salute pubblica guidato da Robespierre e da Saint-<br />

Just durante la Rivoluzione francese (1793-1794).<br />

Potremmo riecheggiare Machiavelli, che già tre se-<br />

coli prima ricordava che per «ripigliare lo stato», per<br />

conservare il potere, era necessario periodicamente<br />

spargere terrore e paura; anche Montesquieu ed


132<br />

Hobbes, 125 che riconoscono il terrore l’uno come ele-<br />

mento qualificante di comparazione fra gli Stati, l’al-<br />

tro come concausa del sorgere del Leviatano sovra-<br />

no.<br />

Il terrore totalitario è ben di più: è qualcosa di<br />

pervasivo che si insinua generando un clima di repres-<br />

sione e colpa; è una violenza imprevedibile intesa come<br />

minaccia generica fissa contro l’individuo; è un timo-<br />

re paralizzante, che si instilla anche in quelli che po-<br />

trebbero opporsi attivamente all’oppressione.<br />

Attraverso la lettura psicoanalitica di Franz Neu-<br />

mann, potremmo dire che ogni sistema politico si fon-<br />

da su una angoscia nevrotica, che, pur avendo una base<br />

reale, allontanare la minaccia di un pericolo, è prodot-<br />

ta interiormente attraverso l’Io. 126<br />

Per il grado di alienazione dell’uomo moderno,<br />

______________________________<br />

125 Cfr. Ch. de Secondat de Montesquieu, Lo spirito delle leggi, a cura di<br />

S. Cotta, Torino, UTET, 1952; N. Machiavelli, Il Principe, Milano, Feltrinelli,1995;<br />

Th. Hobbes, Leviatano, Bari, Laterza, 1974.<br />

126 F. Neumann, Lo stato democratico e lo stato autoritario, Bologna, Il<br />

Mulino, 1973.


133<br />

soprattutto per l’alienazione politica che permette una<br />

totale obliterazione dell’Io, cioè l’identificazione del-<br />

le masse con un leader abile nel manipolare le co-<br />

scienze attraverso teorie cospiratorie, viene a crear-<br />

si un contesto fittizio in cui si verificano le seguenti<br />

condizioni: «che le masse si trovino in una situazio-<br />

ne di pericolo oggettivo, che siano incapaci di capi-<br />

re il processo storico e che l’angoscia attivata dal<br />

pericolo venga trasformata, attraverso la manipola-<br />

zione operata da altri, in angoscia nevrotica perse-<br />

cutoria (aggressiva)». 127 Se l’angoscia reale sembra<br />

propria nei regimi di tipo liberale, l’angoscia nevro-<br />

tica è istituzionalizzata in un sistema totalmente re-<br />

pressivo. Il terrore, per Neumann, allora, è l’incal-<br />

colabilità delle sanzioni: l’assenza di una certezza<br />

giuridica genera quell’angoscia nevrotica persecu-<br />

toria di cui si avvantaggia il leader o l’élite per il<br />

mantenimento del potere.<br />

______________________________<br />

127 Ibidem.


134<br />

Così la Arendt, in Le origini del totalitarismo,<br />

scrive: «Il terrore estremamente sanguinoso dello sta-<br />

to iniziale del regime totalitario serve invero soltan-<br />

to a sbaragliare gli avversari e a rendere impossibile<br />

ogni ulteriore opposizione; ma il terrore totale si sca-<br />

tena solo quando, superato questo stadio, il regime<br />

non ha più nulla da temere dagli oppositori.<br />

In proposito si è spesso osservato che in tal caso<br />

il mezzo è diventato il fine, ma ciò dopotutto equi-<br />

vale semplicemente ad ammettere, in maniera para-<br />

dossale, che la categoria mezzo-fine non è più vali-<br />

da, che il terrore non è più lo strumento per incutere<br />

paura alla gente». 128<br />

<strong>2.</strong> Il campo di concentramento<br />

Il terrore totalitario, che si nutre del «nemico og-<br />

gettivo», si attua, sostiene la Arendt, nella creazione<br />

______________________________<br />

128 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit. Cfr. R. Conquest, Il grande<br />

terrore, cit. ; A. Devoto, La tirrannia psicologica, Firenze, Sansoni,<br />

1960.


135<br />

di un universo concentrazionario. 129<br />

I lager sono l’istituzione centrale del potere tota-<br />

litario. Perché?<br />

«I campi di concentramento e di sterminio servono al<br />

regime totalitario come laboratori per la verifica della sua<br />

pretesa di dominio assoluto sull’uomo.(...) Il dominio to-<br />

tale, che mira ad organizzare gli uomini nella loro infinità,<br />

pluralità e diversità come se tutti insieme costituissero un<br />

unico individuo, è possibile soltanto se ogni persona vie-<br />

ne ridotta ad un’immutabile identità di reazioni, in modo<br />

che ciascuno di questi fasci di reazioni possa essere scam-<br />

biato con qualsiasi altro. Si tratta di fabbricare qualcosa<br />

che non esiste, cioè un tipo umano simile agli animali, la<br />

cui unica “libertà” consisterebbe di “preservare la specie”.<br />

Tale fine viene perseguito sia con l’indottrinamento ideo-<br />

logico delle formazioni di élite sia col terrore assoluto dei<br />

Lager.(...) I Lager servono, oltre che a sterminare e a de-<br />

gradare gli individui, a compiere l’orrendo esperimento di<br />

______________________________<br />

129 D. Rousset, L’universo concentrazionario, Milano, Baldini & Ca-<br />

stoldi, 1997.


136<br />

eliminare, in condizioni scientificamente controllate, la<br />

spontaneità stessa come espressione del comportamento<br />

umano e di trasformare l’uomo in un oggetto, in qualcosa<br />

che neppure gli animali sono. (..) In circostanze normali<br />

ciò non può essere ottenuto, perché la spontaneità non può<br />

mai essere interamente soffocata, connessa com’è non solo<br />

alla libertà umana, ma alla vita stessa in quanto semplice<br />

rimaner vivo». 130<br />

Il campo di concentramento è il paradigma na-<br />

scosto dello spazio politico della modernità; la sua<br />

essenza consiste nella materializzazione dello stato di<br />

eccezione e nella creazione di uno spazio in cui diritto<br />

e fatto, norma e applicazione diventano indiscernibili.<br />

Solo in questo senso possiamo comprendere per-<br />

ché esso è lo spazio del «tutto è possibile», quel prin-<br />

cipio nichilista in cui si cristallizzano la vita e i metodi<br />

del campo tanto da apparire come un contenitore er-<br />

meticamente chiuso agli occhi del mondo dei vivi.<br />

______________________________<br />

130 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.


137<br />

Per il senso comune, infatti, tutto è avvolto in una<br />

nube fumogena di insensatezza e le condizioni di inintel-<br />

legibilità paradossalmente superano ogni cortina di credi-<br />

bilità. Anzi, dice la Arendt, «chi parla o scrive sui campi<br />

di concentramento è ancora considerato con sospetto; e se<br />

è decisamente ritornato al mondo dei vivi, egli stesso è<br />

talvolta assalito dai dubbi sulla sua veridicità, come se aves-<br />

se scambiato un incubo per realtà». 131<br />

Solo l’ «indugio sugli orrori» potrebbe aiutare a com-<br />

prendere quanto è avvenuto, anche se le memorie quanto<br />

le testimonianze oculari restano prive di comunicativa. 132<br />

______________________________<br />

131 Ibidem, p. 601. Cfr. A. Camus, L’uomo in rivolta, Milano, Bompiani, 1958.<br />

132 Sull’inenarrabilità di quanto è accaduto e la testimonianza da affidare alla<br />

memoria vedi: P. Levi, Se questo è un uomo. La tregua, Torino, Einaudi, 1963<br />

e I sommersi e i salvati, Torino, Einaudi, 1986; H. Langbein, Menschen in<br />

Auschwitz, Europa Verlag, Wien 1972, trad. it. Uomini ad Auschwitz, Milano,<br />

Mursia, 1984; B. Bettelheim, Surviving and Other Essay, Knopf, New York,<br />

1979, trad. it. Sopravvivere, Milano, Feltrinelli 1991; J. Améry, Jenseits von<br />

Schuld und Sühne. Bewältigungsversuche eines Überwältigten, F. Klett, Stuttgart,<br />

1977, trad. it. Un intellettuale a Auschwitz, Torino, Bollati Boringhieri,<br />

1987; R. Antelme, L’Espèce humaine, Paris, 1947, trad. it. La specie umana,<br />

Torino, Einaudi, 1976. Per una riflessione cfr. G. Agamben, Quel che resta di<br />

Auschwitz. L’archivio e il testimone, Torino, Bollati Boringhieri, 1998.


138<br />

E’ vero che né i campi di concentramento né i campi<br />

di lavoro forzato sono un’invenzione totalitaria.<br />

Le fonti 133 sono alquanto scarse; si ritiene che i<br />

primi sono stati costruiti dagli spagnoli a Cuba nel 1896<br />

per internare ben 400.000 persone tra vecchi, donne e<br />

bambini, senza per questo conoscere il numero totale<br />

delle vittime della repressione del generale spagnolo<br />

Valeriano Weiler y Nicolau, inventore dei campi di<br />

concentramento. Furono organizzati dagli americani<br />

nelle Filippine nel 1898 per lo scoppio di un’insurre-<br />

zione e nel 1900 dai britannici in Sudafrica contro la<br />

guerriglia dei boeri, in particolare quelli del libero Stato<br />

di Oranje. Si ebbero accese manifestazioni di protesta<br />

______________________________<br />

133 Gli studi sui campi di concentramento e sulla loro organizzazione<br />

non sono numerosi. Segnaliamo A. J. Kaminski, Konzentrationslager<br />

1896 bis heute. Geschichte, Funktion, Typologie, Münich, Piper, 1982;<br />

trad. it. I campi di concentramento dal 1986 ad oggi. Storia, funzioni,<br />

tipologia. Torino, Bollati Boringhieri, 1997. K. Hueser, Wewelsburg 1933<br />

bis 1945. Kultund Terrorstatte der SS, Paderborn, Verlag Bonifatius-<br />

Druckerei Paderborn, 1982; M. Broszat, «Nationalsozialistiche Konzentrationslager<br />

1933-1945», in Anatomie des SS-Staates (Band 2), Munich,<br />

Deutsche Taschenbuch Verlag, 1967.


139<br />

da parte dell’opinione pubblica, grazie alla filantropa<br />

Emily Hobhouse che denunciò la disumanità e l’in-<br />

fanticidio del sistema dei campi, colpe infamanti che<br />

macchiavano la classe politica inglese. E un ritorno<br />

positivo non si fece attendere: i campi vennero chiusi.<br />

Non esistono, invece, testimonianze sui campi di<br />

concentramento eretti dal regime clerico-fascista au-<br />

striaco prima del 1938. Poco dettagliate sono anche le<br />

informazioni relative alle condizioni vigenti in Russia<br />

prima del 1917: all’epoca zarista furono circa trenta-<br />

duemila i condannati alla katorga, originariamente la<br />

galera, poi pesante pena detentiva comportante i lavo-<br />

ri forzati.<br />

Si è cercato di schiacciare i campi nazionalsocialisti<br />

su quelli inglesi ed ispano-coloniali, supposti modelli, ma<br />

è questa una falsa opinione perché i secondi vennero uti-<br />

lizzati nel contesto di guerre coloniali, furono ‘campi per<br />

ostaggi’, mentre i primi furono creati in tempi di pace e<br />

all’interno del territorio nazionale allo scopo di segregar-<br />

vi gli avversari ideologici, con un eccessivo zelo per di-


140<br />

stogliere l’attenzione da quanto stava accadendo. Per<br />

l’esperienza sovietica, si è utilizzato l’acronimo gulag<br />

(Glavnoye upravleniye lagerej) che sta per «Amministra-<br />

zione generale dei campi di lavoro», meglio noti come<br />

«campi di concentramento», generando qualche confusio-<br />

ne concettuale.<br />

«Specialmente nel regime staliniano, i cui campi<br />

di concentramento erano per lo più descritti come cam-<br />

pi di lavoro coatto perché la burocrazia aveva voluto<br />

nobilitarli con tale nome, era chiaro che non si trattava<br />

di questo; il lavoro coatto era la condizione normale<br />

di tutti i lavoratori russi, che non avevano libertà di<br />

spostamento e ad ogni istante potevano essere arbitra-<br />

riamente mobilitati per l’invio in qualsiasi luogo». 134<br />

L’inserimento dei campi di concentramento nella<br />

società sovietica veniva “giustificato” negli anni ven-<br />

ti come conseguenza della pianificazione generale del-<br />

l’economia.<br />

______________________________<br />

134Andrzej J. Kaminski, I campi di concentramento dal 1986 ad oggi.<br />

Storia, funzioni, tipologia. Torino, Bollati Boringhieri, 1997.


141<br />

Il dubbio sull’opportunità di parlare di “campi di<br />

concentramento” o meno nell’ Unione Sovietica na-<br />

sce dal fatto che la maggioranza dei detenuti veniva<br />

deportata - ricordiamo che i campi sovietici sono stati<br />

aboliti da M. S. Gorbacev- per un periodo stabilito in<br />

base ad una sorta di sentenza che richiamava talune<br />

leggi penali, e, quindi, da una prospettiva giuridico-<br />

formale i gulag dovrebbero essere equiparati non già<br />

ai campi di concentramento, bensì ai “campi di puni-<br />

zione” nazionalsocialisti.<br />

Un aspetto significativo dei campi di concentra-<br />

mento sovietico consisterebbe nella legalizzazione<br />

dell’arbitrario.<br />

Gunther Specovius sostiene che «a differenza del-<br />

lo Stato nazionalsocialista, l’Unione sovietica cono-<br />

sce “soltanto” campi di punizione o le odierne colonie<br />

di lavoro correzionale, per i quali è prevista una con-<br />

danna a tempo determinato, mentre la condanna a cam-<br />

pi di concentramento, come quelli istituiti dai nazisti,<br />

prevedeva la detenzione a tempo indeterminato.


142<br />

Le condanne a vita erano e sono estranee al dirit-<br />

to penale sovietico». 135<br />

Si sa, tuttavia, che soprattutto durante il periodo<br />

delle purghe staliniane, i processi e le pene detentive<br />

sono state delle farse e che i campi sono stati strumen-<br />

ti arbitrari della polizia finalizzati alla conservazione<br />

di un potere politico totalitario. In particolare, nella<br />

realizzazione unitaria di una società senza divisioni<br />

interne, compatta, interamente votata ad uno scopo<br />

comune attraverso le varie attività, attenta, quindi, ad<br />

eliminare i parassiti, gli elementi nocivi ed i rifiuti, si<br />

poteva essere condannati in base all’ art. 58 del Codi-<br />

ce penale, consistente, nel capitolo dei «delitti contro<br />

lo Stato», di 14 punti in cui si viene dichiarati «nemi-<br />

co del popolo». Si trattava di un autentico minestrone<br />

perché era molto semplice affossare un uomo, soprat-<br />

tutto per due punti, talmente vaghi da poter essere ap-<br />

plicati a chiunque, il punto 10: propaganda antirivo-<br />

______________________________<br />

135 Ibidem.


143<br />

luzionaria, ribattezzata antisovietica; e il punto 12:<br />

mancata delazione.<br />

La delazione è uno degli strumenti in uso del to-<br />

talitarismo, necessaria per creare quella fitta trama di<br />

sospetto che rende il popolo nemico di se stesso, così<br />

come la tortura e la presenza e l’attività della polizia<br />

segreta, interamente alla mercé di chi detiene il pote-<br />

re. Si tratta, tuttavia, di caratteri comuni anche a for-<br />

me di governo autoritari, non rappresentano caratteri<br />

distintivi del totalitarismo quanto il terrore e l’istitu-<br />

zione dei campi di concentramento.<br />

La domanda inquietante è: in questo spazio, che<br />

non è esterno, eppure è posto fuori dell’ordinamento<br />

giuridico riconosciuto -il campo di concentramento è<br />

escluso ed incluso nello stesso tempo nel territorio<br />

nazionale-, quale diritto, quale norma è riconosciuta?<br />

Dovremmo identificare il campo come quello stato<br />

di eccezione di cui parla Schmitt, in cui la norma è<br />

sospesa e la decisione, in virtù dell’articolo 48 della<br />

Costituzione di Weimar, è solo del capo dello Stato.


144<br />

Dovremmo, anzi, sostenere che lo stato di ecce-<br />

zione è ‘voluto’, cioè per esso «il sovrano non si limi-<br />

ta più a decidere sull’eccezione, com’era nello spirito<br />

della costituzione di Weimar, sulla base del riconosci-<br />

mento di una data situazione fattizia (il pericolo della<br />

sicurezza pubblica): esibendo a nudo l’intima struttu-<br />

ra di bando che caratterizza il suo potere, egli produce<br />

ora la situazione di fatto come conseguenza della de-<br />

cisione sull’eccezione». 136 E dovremmo aggiungere<br />

che nella parvenza di un diritto totalitario viene ma-<br />

scherato il disordine, il caos, la violenza, anche la<br />

mancanza di un conflitto in quanto si nega la diversi-<br />

tà, l’esistenza dell’altro.<br />

Colui che viene messo al bando non solo è messo<br />

al di fuori della legge ed è indifferente a questa, ma è<br />

abbandonato da essa, è esposto ad una soglia dove<br />

vita e diritto, esterno ed interno si confondono.<br />

«Il sistema dei campi era un mondo in cui non<br />

______________________________<br />

136 G. Agamben, Homo Sacer, Torino, Einaudi, 1995.


145<br />

valevano le regole e i costumi morali che reggevano<br />

la “normale” società tedesca. In quel nuovo mondo il<br />

tedesco o la tedesca nazisti potevano trattare i tede-<br />

schi così come pareva loro giusto, in base alla conce-<br />

zione ideologica che avevano delle vittime, e ai più<br />

bassi e profondi impulsi personali. Il nazismo, nel<br />

mondo dei campi, lasciava loro mano libera». 137<br />

Del resto se partiamo dal presupposto che l’inter-<br />

nato vive «una vita indegna di essere vissuta», è chia-<br />

ro che ciò che il totalitarismo tende a creare è una so-<br />

cietà di morti viventi, interamente piegati, liquidati di<br />

______________________________<br />

137 D. J. Goldhagen, I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e<br />

l’Olocausto, Milano, Mondadori, 1997. Lo storico ebreo, contrariamente<br />

alla maggior parte delle ricerche sull’Olocausto, sostiene l’idea della<br />

responsabilità individuale dei tedeschi: «è l’opposto della colpevolezza<br />

collettiva». In questo modo, passando da un’imputazione collettiva e<br />

morale ad una personale, si eviterebbe la difficoltà implicita nel processare<br />

e nel condannare i criminali nazisti, la trasferibilità sul piano giudiziario.<br />

La Arendt non sarebbe d’accordo perché verrebbe meno un carattere<br />

del totalitarismo, la negazione di ogni filtro tra responsabilità<br />

individuale e responsabilità collettiva. In un sistema totalitario, «colpevolezza<br />

e innocenza diventano concetti senza senso» cosicchè «ci sono<br />

crimini che gli uomini non possono né punire né perdonare», in H. Arendt,<br />

Le origini del totalitarismo, cit., p. 628.


146<br />

ogni carattere umano, incapaci soprattutto di opporsi.<br />

La Arendt li eguaglia al cane di Pavlov che è «l’esem-<br />

plare umano ridotto alle reazioni più elementari, elimina-<br />

bile o sostituibile in qualsiasi momento con altri fasci di<br />

reazioni che si comportano in modo identico, è il cittadino<br />

modello di uno stato totalitario, un cittadino che può esse-<br />

re prodotto solo imperfettamente fuori dei campi». 138<br />

E’ solo in questo senso che può realizzarsi quell’ide-<br />

ale -che ogni buon senso ritiene un’utopia irrealizzabile-<br />

di società totalitaria, in cui è possibile impadronirsi inte-<br />

ramente dell’uomo per trasformarlo in cittadino modello.<br />

La «fabbricazione massiva e demenziale di cadave-<br />

ri» non è che l’ultimo episodio di una pièce in tre atti di cui<br />

il titolo potrebbe essere: «la preparazione storicamente e<br />

politicamente intelligibile dei cadaveri viventi». 139<br />

______________________________<br />

138 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 624.<br />

139 Ibidem, p. 61<strong>2.</strong> E’ la «fabbricazione in massa» dei cadaveri, riflesso<br />

di un meccanismo di produzione, la peculiarità del genocidio dei regimi<br />

totalitari: la morte viene privata di ogni sacertà e l’individuo è interamente<br />

assoggettato al potere perché cadavere-vivente. Cfr. T. W. Adorno,<br />

Minima moralia, Torino, Einaudi, 1997; M. Foucault, Il faut défendre<br />

la société, Gallimard-Seuil, Paris, 1997.


147<br />

Il primo passo avviene uccidendo il soggetto di<br />

diritto che è nell’uomo, attraverso la snazionalizza-<br />

zione e ponendo il Lager al di fuori del sistema penale<br />

ordinario; poi si procede attraverso l’uccisione della<br />

personalità giuridica; infine, con la soppressione della<br />

personalità morale, trionfo dell’ideologia totalitaria,<br />

per cui la coscienza non è più sufficiente e decidere<br />

cosa sia bene e cosa sia male è come valutare assassi-<br />

nio e assassinio.<br />

«Chi potrebbe risolvere il dilemma morale della<br />

madre greca a cui i nazisti concessero di scegliere quale<br />

dei suoi tre figli doveva essere ucciso?». 140<br />

Al fine di trasformare gli uomini in morti viventi,<br />

l’atto conclusivo era l’annientamento della loro peculia-<br />

re identità, la soppressione di quella spontanea unicità<br />

«la quale è foggiata in parti uguali dalla natura, dalla vo-<br />

lontà e dal destino, ed è diventata una premessa così evi-<br />

dente che persino gemelli identici ispirano un certo disa-<br />

______________________________<br />

140 Ibidem, p. 619.


148<br />

gio, suscita un orrore che mette in ombra lo sdegno della<br />

persona giuridico-politica e la disperazione della perso-<br />

na morale. E’ questo orrore che dà luogo alle generaliz-<br />

zazioni nichilistiche, le quali sostengono, abbastanza plau-<br />

sibilmente, che in fondo tutti gli uomini indistintamente<br />

sono bestie. In verità, l’esperienza dei campi di concen-<br />

tramento dimostra che gli uomini possono essere trasfor-<br />

mati in esemplari dell’animale umano, e che la natura è<br />

umana soltanto nella misura in cui schiude all’uomo la<br />

possibilità di diventare qualcosa di estremamente innatu-<br />

rale, cioè un uomo». 141<br />

Se nel campo criminali e politici potevano ancora<br />

rivendicare un brandello di capacità di riconoscimento<br />

di se stessi e dei propri simili, «un ultimo autentico re-<br />

siduo della loro personalita giuridica» 142 in quanto ap-<br />

partenevano ad una precisa categoria, avevano fatto<br />

qualcosa, coloro che venivano del tutto annientati era-<br />

no gli ‘innocenti’, vittime confuse di arresti arbitrari.<br />

______________________________<br />

141 Ibidem, pp. 623-624.<br />

142 Ibidem, p. 616.


149<br />

La Arendt ha osservato che l’arresto arbitrario<br />

come pratica terroristica e strumento ideologico «di-<br />

strugge la validità del libero consenso come la tortura<br />

distrugge la possibilità dell’opposizione». 143<br />

L’arbitrarietà nella selezione del «nemico oggettivo»<br />

è la linfa del sistema concentrazionario. Poiché il fine era<br />

di avere una popolazione dei campi composta da innocen-<br />

ti, esso veniva a negare la libertà umana più efficacemente<br />

che qualsiasi tirannide. In una tirannide, infatti, bisognava<br />

essere un avversario per essere punito, essere all’opposi-<br />

zione e osare la libertà di opinione. Teoricamente, anche<br />

in un regime totalitario si poteva scegliere di stare all’op-<br />

posizione, ma siffatta libertà cessava nel momento in cui<br />

si profilava la possibilità di appartenere a quella moltitu-<br />

dine scelta arbitrariamente perché ideologicamente inde-<br />

siderabile per il regime.<br />

«La libertà in questo sistema non solo è ridotta alla<br />

sua ultima garanzia, palesemente indistruttibile, la possi-<br />

______________________________<br />

143 Ibidem, p. 617.


150<br />

bilità del suicidio, ma ha anche perso il suo carattere di-<br />

stintivo, perché le conseguenze del suo esercizio sono<br />

condivise con persone completamente innocenti». 144<br />

La spoliazione dell’individualità, inoltre, privava<br />

l’uomo della sua stessa morte: niente più gli apparte-<br />

neva ed egli non apparteneva più a nessuno, come se<br />

non fosse mai esistito.<br />

«Nei paesi totalitari le prigioni e i lager sono organiz-<br />

zati come veri e propri antri dell’oblio in cui chiunque può<br />

andare a finire senza lasciare neppure le usuali tracce del-<br />

l’esistenza di una persona, un cadavere e una tomba. In<br />

confronto di questa modernissima invenzione per elimi-<br />

nare la gente il vecchio metodo dell’assassinio, politico o<br />

comune, appare davvero inefficiente e primitivo.<br />

L’assassino lascia dietro di sé un cadavere e, ben-<br />

ché si sforzi di fare sparire le tracce della propria iden-<br />

tità, non ha alcun potere di cancellare l’identità della<br />

vittima dalla memoria dei viventi.<br />

______________________________<br />

144 Ibidem, p. 59<strong>2.</strong>


151<br />

L’azione della polizia segreta, al contrario, riesce mi-<br />

racolosamente a far sì che la vittima non sia mai esistita». 145<br />

E’ l’irruzione del male radicale, quel male che la<br />

teologia cristiana e la tradizione filosofica, in partico-<br />

lare Kant, non ha mai potuto definire se non in negati-<br />

vo, come deficienza dell’essere.<br />

«Quando l’impossibile è stato reso possibile, è di-<br />

ventato il male assoluto, impunibile e imperdonabile, che<br />

non poteva più essere compreso e spiegato con i malvagi<br />

motivi dell’interesse egoistico dell’avidità dell’invidia, del<br />

risentimento, della smania del potere, della vigliaccheria;<br />

e quindi la collera non poteva vendicare, la carità soppor-<br />

tare, l’amicizia perdonare, la legge punire». 146<br />

______________________________<br />

145 Ibidem.<br />

146 Ibidem, p. 628. Sul male radicale cfr. La banalità del male. Eichmann a<br />

Gerusalemme, cit. Per un commento critico: Il male, in R. Esposito, Nove<br />

pensieri sulla politica, Bologna, Il Mulino,1993; P. Amodio, Il problema<br />

del male nella riflessione di Hannah Arendt, estratto dagli «Atti dell’Accademia<br />

di Scienze morali e politiche», vol. C- 1989. In particolare R. Esposito,<br />

associando il male con la libertà e la legge, scrive: «Il male in politica è<br />

l’autosoppressione della libertà nella forma dell’eliminazione violenta del<br />

suo stesso presupposto. E’ per questo che è portato al livello di massima<br />

radicalità nell’esperienza totalitaria. E tuttavia ciò non significa che coinci-


152<br />

Il male di cui parla la Arendt e che rende l’esperienza<br />

di Auschwitz, inteso come la metafora del campo totalita-<br />

rio, del tutto singolare, è lo strappo della nostra realtà, la<br />

lacerazione della nostra esperienza, il trauma del nostro<br />

pensare.<br />

Esso è il trionfo di un «sistema in cui tutti gli uomini<br />

sono divenuti egualmente superflui», è l’acme di quel non-<br />

pensiero proprio dell’uomo-massa che ha eliminato ogni<br />

possibilità di senso comune e spazio politico. 147<br />

______________________________<br />

da con essa. Diciamo che il totalitarismo è il suo esito estremo, il suo compimento<br />

assoluto. Ma non la sua origine. Altrimenti verrebbe meno la contraddittoria<br />

compresenza di male e libertà. Perchè essa sia tenuta ferma è<br />

necessario ipotizzare che quello stesso male che ha raggiunto il proprio culmine<br />

nel campo totalitario nasca all’infuori -e prima- di esso. Che anzi il suo<br />

seme spunti all’origine della nostra concezione della politica e sia latente<br />

addirittura in quell’evento che al totalitarismo paradigmaticamente si oppone<br />

come la genesi medesima della libertà.<br />

147 Il problema del male rinvia a quello della responsabilità. Era possibile<br />

non appoggiare i crimini politici legalizzati dal sistema? Sarebbe stato possibile<br />

evitare la responsabilità giuridica e morale? L’accettazione di un male<br />

minore, come taluno ha sostenuto, è discusso insieme alla tematica della<br />

responsabilità dalla Arendt nel saggio pubblicato su «MicroMega», 4, 1991,<br />

pp. 185-206 dal titolo Responsabilità, ora anche in Aa. Vv., Oltre la politica.<br />

Antologia del pensiero «impolitico», a cura di R. Esposito, Milano, Bruno<br />

Mondadori, 1996.


CAPITOLO QUARTO<br />

IL TOTALITARISMO A CONFRONTO<br />

CON LA MODERNITÀ POLITICA<br />

L’inizio,<br />

prima di diventare avvenimento storico,<br />

è la suprema capacità dell’uomo;<br />

politicamente si identifica con la libertà umana.<br />

Initio ut esset creatus est homo<br />

(affinché ci fosse un inizio fu creato l’uomo),<br />

dice Agostino.<br />

Quest’inizio è garantito da ogni nuova nascita,<br />

è in verità ogni uomo.<br />

(H. Arendt)


154<br />

1. Definizione del regime totalitario<br />

Il totalitarismo è l’evento con cui necessariamen-<br />

te e costantemente dobbiamo confrontarci per com-<br />

prendere il nostro presente.<br />

Non possiamo spiegare quanto è accaduto dopo<br />

Auschwitz o Kolyma se non teniamo conto della frat-<br />

tura che il totalitarismo, nella sua dimensione empiri-<br />

ca, ha imposto al pensiero e all’esperienza democrati-<br />

ca occidentale.<br />

«Comprendere non significa negare l’atroce, de-<br />

durre il fatto inaudito da precedenti, o spiegare i feno-<br />

meni con analogie e affermazioni generali in cui non<br />

si avverte più l’urto della realtà e dell’esperienza. Si-<br />

gnifica piuttosto esaminare e portare coscientemente<br />

il fardello che il nostro secolo ci ha posto sulle spalle,<br />

non negarne l’esistenza, non sottomettersi supinamente<br />

al suo peso.<br />

Comprendere significa insomma affrontare spre-<br />

giudicatamente, attentamente, la realtà, qualunque essa


155<br />

sia». 148 E’ la riflessione, poi, che, in sede teorica, ci<br />

consegna quell’idealtipo con cui operare la verifica,<br />

chiudendo così il cerchio: noi partiamo dalla singola-<br />

rità dell’evento per analizzarlo con strumenti concet-<br />

tuali nuovi e andarlo a verificare concretamente, te-<br />

nendo conto delle analogie e differenze, variabili che<br />

obbligatoriamente devono rientrare nell’analisi, una<br />

volta che il modello euristico ha individuato le grandi<br />

direttrici.<br />

La Arendt non sarebbe d’accordo ad una esten-<br />

sione del totalitarismo ad altre forme che non siano i<br />

regimi di Hitler e di Stalin. In questo è stata molto<br />

chiara. Il totalitarismo nasce per la crisi della società<br />

borghese, anche laddove, in Russia ad esempio, ne<br />

arriva solo l’esperienza. Nasce per la crisi dei grandi<br />

valori democratici; antisemitismo, imperialismo e per-<br />

______________________________<br />

148 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. XXXIV. Vedi anche<br />

Understanding and Politics, in «Partisan Rewiew», XX, IV, !953; trad.<br />

it. Comprensione e politica. in La disobbedienza civile, Milano, Giuffrè,<br />

1985.


156<br />

dita dei diritti umani ne sono gli elementi denotativi.<br />

Nasce per la crisi dello Stato-nazione e la perdita del-<br />

lo spazio e del pluralismo politico.<br />

Totalitario, dunque, è quel regime che presenta i<br />

seguenti caratteri:<br />

· atomizzazione della società ed estraneazione degli<br />

individui;<br />

· movimento rivoluzionario recante una ideologica vi-<br />

sione del mondo;<br />

· assenza di struttura per l’intrinseca capacità di mo-<br />

bilitazione;<br />

· istituzionalizzazione del caos;<br />

· terrore organizzato al fine di privare gli uomini di<br />

ogni spontaneità;<br />

· sistema dei lager e dei campi di concentramento.<br />

E’ in questo senso che per la Arendt noi non pos-<br />

siamo confondere il totalitarismo né con le dittature a<br />

partito unico né coi regimi autoritari.<br />

Che il totalitarismo possa nuovamente accadere,<br />

non è possibile prevederlo aprioristicamente.


157<br />

Gli storici sono alquanto scettici, poiché concre-<br />

tamente di esso non se ne è mai data una realizzazione<br />

completa, né secondo un modello di società né tramite<br />

la creazione di ‘uomo nuovo’.<br />

Il totalitarismo, in effetti, porta con sé i germi del-<br />

la propria autodistruzione.<br />

E anche in questo senso la Arendt è stata profetica.<br />

Scrive, infatti, nelle pagine conclusive de Le ori-<br />

gini del totalitarismo: «Le soluzioni totalitarie potreb-<br />

bero sopravvivere alla caduta dei loro regimi sotto for-<br />

ma di tentazioni destinate a ripresentarsi ogni qual-<br />

volta appare impossibile alleviare la miseria politica,<br />

sociale od economica in maniera degna dell’uomo». 149<br />

Ma che senso ha parlare di tentazioni totalitarie? 150<br />

______________________________<br />

149 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 429.<br />

150 Secondo Habermas, la Arendt ha messo correttamente in evidenza<br />

l’importanza del potere comunicativo nelle strutture della sfera pubblica,<br />

la cui mancanza o soppressione dà luogo ai movimenti di massa che<br />

sottendono al regime totalitario. Parlare oggi di «tentazioni totalitarie»,<br />

in un epoca post-totalitaria, dovrebbe farci pensare alla nuova forma di<br />

massificazione imposta dai media, per i quali gli spettatori «elettronicamente<br />

irretiti» solo apparentemente «prendono posizione», nel senso che


158<br />

Forse che esso può essere una deviazione della demo-<br />

crazia occidentale, qualora si diano particolari contin-<br />

genze storiche? Cos’è che viene meno?<br />

Se il totalitarismo rappresenta l’eclissi del politi-<br />

co nel XX sec., allora è proprio il politico che va ri-<br />

pensato attraverso un nuovo criterio: la libertà.<br />

Non è un caso che la Arendt sostenga che «ciò<br />

che è andato storto è la politica». 151<br />

Se per la modernità la politica -o il politico- si è<br />

identificata con lo Stato, se è vero che la crisi dello<br />

Stato-nazione ha contribuito all’accadere del totalita-<br />

rismo, se è anche vero che con esso si è dato scacco al<br />

pensiero occidentale, di cui già era stata preconizzato<br />

______________________________<br />

«permangono strutture che bloccano lo scambio orizzontale di spontanee<br />

prese di posizione (ossia l’uso delle libertà comunicative), e che<br />

inducono gli isolati e privatizzati spettatori a collettivizzare in maniera<br />

scoraggiante le loro idee». J. Habermas, Colloquio su alcuni problemi di<br />

teoria politica. Un’intervista di M. Carleheden e R. Gabriels, in «Informazione<br />

filosofica», n. 28, maggio 1995, pp.21-2<strong>2.</strong><br />

151 H. Arendt, Was ist Politik?, R. Piper GmbH & Co KG, München,<br />

1993; trad. it. a cura di M. Bistolfi, Che cos’è la politica?, Milano, Edizioni<br />

Comunità, 1995.


159<br />

il tramonto, allora occorre operare dei distinguo nel-<br />

l’ordine del lessico politico, creare nuovi paradigmi<br />

con cui decifrare la complessità dell’esistente: torna-<br />

re, quindi, alle origini dell’esperienza umana, al di fuori<br />

di ogni incrostazione metafisica, al di là di ogni con-<br />

fusione concettuale.


160<br />

<strong>2.</strong> Lo Stato-Leviatano di Hobbes e lo Stato<br />

totalitario. Confronto legittimo?<br />

In Le origini del totalitarismo, la polemica della<br />

Arendt è non solo diretta alla grande scuola del diritto<br />

degli anni ‘30, di cui Schmitt ne era il portavoce più<br />

influente, ma anche ai teorici del pensiero borghese,<br />

Hobbes e Rousseau, teorici della sovranità ovvero di<br />

quella capacità dello Stato di essere un unico centro di<br />

potere e il soggetto esclusivo della politica.<br />

Il monismo statuale, inteso come reductio ad unum<br />

della pluralità dell’azione umana, è uno dei caratteri<br />

della modernità che ha contribuito alla formazione della<br />

mentalità totalitaria. Con ciò, tuttavia, la Arendt non<br />

vuol sostenere che Hobbes o Rousseau siano i padri<br />

del totalitarismo.<br />

Scrive la Arendt che Hobbes è l’unico grande fi-<br />

losofo della borghesia perché la sua concezione del-<br />

l’individuo è «un ritratto quasi completo, non dell’Uo-<br />

mo in quanto tale, ma dell’uomo borghese, un analisi


161<br />

che in trecento anni non ha perso d’attualità né è stata<br />

superata». 152<br />

L’uomo borghese è una funzione della società e<br />

la volontà di potenza è la sua passione fondamentale.<br />

La relazione tra gli uomini che dovrebbe fondare il<br />

corpo politico è, secondo la visione che la Arendt ha<br />

della teoria politica hobbesiana, connessa esclusiva-<br />

mente all’interesse privato, senza, quindi, vincoli per-<br />

manenti, né responsabilità e solidarietà.<br />

In Hobbes l’uomo è sempre solo, le sue azioni<br />

hanno carattere privato e lo stesso Commonwealth,<br />

basato sulla delegazione dei poteri, in realtà, qualora<br />

venissero meno i presupposti del patto, manifesta la<br />

sua fragilità perché, non essendovi una comunità ge-<br />

nuina, ognuno proteggerebbe se stesso. «Il “Com-<br />

monwealth” di Hobbes è una struttura vacillante che<br />

deve procurarsi sempre nuovi puntelli dall’esterno;<br />

______________________________<br />

152 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, op. cit., p. 196. Th. Hobbes,<br />

Leviatano, Roma-Bari, Laterza, 1989. Per una lettura del pensiero hobbesiano:<br />

G. Borrelli, Ragion di Stato e Leviatano, Bologna, Il Mulino, 1993.


162<br />

altrimenti precipiterebbe di colpo nell’insensato assur-<br />

do caos degli interessi privati da cui è scaturito». 153<br />

Il privato, il sociale, si è confuso con la sfera pub-<br />

blica; il potere e la necessità hanno avuto il monopo-<br />

lio sui diritti e la libertà.<br />

Lo Stato-Leviatano di Hobbes precorre sul piano<br />

ideale lo stato totalitario?<br />

Sarebbe impossibile non pensarlo se tenessimo<br />

solo conto dell’incisione a mo’ di frontespizio dell’ope-<br />

ra hobbesiana: questo ‘sovrano’ mostruosamente gran-<br />

de che sovrasta il mondo reggendo la spada e il pasto-<br />

rale, simboli del potere temporale e religioso, il cui<br />

corpo è formato da tanti minuscoli sudditi, i ‘molti’,<br />

da cui esso prende vita e potere.<br />

La Arendt mette in evidenza come la concezione uni-<br />

taria dello Stato in Hobbes ha sacrificato la pluralità e ha<br />

distrutto lo spazio politico: l’unità si è realizzata nel ‘do-<br />

minio’. E il dominio distrugge lo spazio politico.<br />

______________________________<br />

153 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit., p. 198.


163<br />

La ragion d’essere dello Stato hobbesiano è nel<br />

bisogno di sicurezza dell’individuo che si sente mi-<br />

nacciato dai suoi simili e l’uguaglianza tra i sudditi<br />

non è l’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla<br />

legge perché hanno uguali diritti e uguale dignità,<br />

bensì è un’uguaglianza che poggia le sue fragili basi<br />

sulla concezione della forza nella lotta per il potere.<br />

L’interesse privato, dunque, è il bene comune, il po-<br />

tere è la forza e ad una accumulazione illimitata di<br />

beni corrisponde un’accumulazione illimitata di po-<br />

tere: da qui l’intrinseca instabilità del Commonwe-<br />

alth, basato, appunto, su una delegazione di potere<br />

piuttosto che di diritti.<br />

La versione verticale del potere che si trova in<br />

Hobbes, in virtù del patto di soggezione, comporta<br />

che ciascun individuo dia il suo consenso «ad essere<br />

sottoposto ad un governo, il cui potere consiste nella<br />

somma totale delle forze che tutti i singoli individui<br />

hanno incanalato in esso, e che vengono monopoliz-<br />

zate dal governo per il preteso beneficio di tutti i


164<br />

sudditi». 154 L’azione dei pattuenti, cioè, è vincolata<br />

alla rinuncia di uno spazio politico, quindi all’azione<br />

interrelata, e ciò che ne deriva è l’isolamento, l’ato-<br />

mizzazione degli individui. «L’azione -dice la Aren-<br />

dt- non è mai possibile nell’isolamento; essere isolati<br />

significa essere privati della facoltà di agire». 155<br />

Più che come autore di una possibile Weltaschau-<br />

ung totalitaria, tuttavia, per la Arendt, Hobbes contri-<br />

buisce a quella ideologia ‘progressista’ del tardo XIX<br />

sec. che preannuncia l’ascesa dell’imperialismo.<br />

Lo stessa critica, potremmo dire, traspare nella<br />

valutazione della volontà generale in Rousseau, che<br />

pure è considerato padre dei giacobini e teorico della<br />

democrazia diretta. La Arendt mette in evidenza che<br />

anch’egli opera quella reductio ad unum dello Stato<br />

che azzera il pluralismo come singolare capacità<br />

______________________________<br />

154 H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit. L’opera, pubblicata dalla Arendt<br />

nel 1963, è stata riedita nel 1965 con alcune «piccole ma importanti<br />

modifiche».<br />

155 H. Arendt, The Human Condition, Chicago, The University of Chicago<br />

Press, 1959; trad. it. Vita Activa, Milano, Bompiani, 1964, p. 137.


165<br />

d’azione degli individui e fa coincidere la volontà ge-<br />

nerale con la sovranità unica e indivisibile.<br />

Secondo la Arendt la sovranità non può essere<br />

confusa con l’autorità.<br />

Tale identificazione darebbe luogo a deviazioni<br />

dittatoriali perché da una stessa matrice,<br />

sovranità=autorità, deriverebbero il potere e l’autori-<br />

tà, la legalità e la legittimità, istanze che, invece, do-<br />

vrebbero restare separate per il corretto funzionamen-<br />

to delle istituzioni democratiche.<br />

Ciò che ha a cuore la Arendt, in effetti, è capire come<br />

sia possibile che le democrazie possano deviare in dittatu-<br />

re e totalitarismo, se sono già in esse i germi di questa<br />

devianza e quale è la condizione ottimale, se esiste, per-<br />

ché questa deviazione verso il terrore o verso il dominio<br />

totalitario di una maggioranza non accada.<br />

Il suo approccio ermeneutico consiste nello stu-<br />

diare l’origine delle democrazie moderne, la fonda-<br />

zione di queste come fondazione del nuovo, la crea-<br />

zione, nel senso romano del termine, di una tradizione


166<br />

e di una autorità. Ella si pone, cioè, questo interrogati-<br />

vo: è stata possibile la fondazione di un nuovo corpo<br />

politico in cui ogni singolo ha potuto partecipare alla<br />

vita politica? E come? Cosa ha significato fondare un<br />

corpo politico sulla libertà? Che cosa è storicamente<br />

avvenuto?


167<br />

3. L’inedito nella storia: le rivoluzioni.<br />

‘Liberazione da’ o ‘libertà di’:<br />

qual è il fondamento del nuovo corpo politico?<br />

La politica come natalità.<br />

La Arendt individua nella rivoluzione il momen-<br />

to in cui è possibile l’affermazione, nell’età moderna,<br />

di una politica autentica, intendendo per ‘età moder-<br />

na’ quel periodo di tempo in cui sembra che l’azione<br />

politica progressivamente vada scomparendo fino ad<br />

estinguersi del tutto con il totalitarismo.<br />

La rivoluzione, anzi la storia delle rivoluzioni, quella<br />

americana del 1776, quella francese del 1789, infine quel-<br />

la ungherese del 1956, diventano, quindi, la chiave inter-<br />

pretativa dei fenomeni storici moderni. 156<br />

______________________________<br />

156 Alcune critiche sono state mosse a riguardo: 1) Habermas sostiene<br />

che la Arendt abbia distinto e contrapposto una ‘buona’ ed una ‘cattiva’<br />

rivoluzione, l’una politica, la rivoluzione americana, l’altra sociale, quella<br />

francese. Si potrebbe obiettare che la Arendt comunque sottolinea che la<br />

rivoluzione americana fallisce nei suoi effetti perché i cittadini poi intendono<br />

la libertà come libertà della sfera privata contro il mondo politico.<br />

2) Lo storico Hobsbawm ritiene che la Arendt avrebbe dovuto te-


168<br />

Che cosa s’intende per rivoluzione? 157<br />

La Arendt cerca di recuperare il significato au-<br />

tentico della nozione in relazione con i concetti di li-<br />

bertà e potere, anch’essi sclerotizzati da schemi e teo-<br />

______________________________<br />

nere in debito conto anche la prima rivoluzione inglese. Questo non è<br />

possibile perché la Arendt è stata molto più attenta a quelle rivoluzioni<br />

che sul piano delle istituzioni hanno dato luogo a delle reali modifiche:<br />

la rivoluzione dei livellatori è stata una rivoluzione mancata, sebbene<br />

abbia aperto la strada alla monarchia costituzionale. 3) Per Nisbet la<br />

Arendt ha minimizzato la questione sociale presente in America. Questa<br />

obiezione non tiene conto, tuttavia, che non c’era la stessa pressione sul<br />

governo americano come dei sanculotti sui giacobini, né le stesse vertenze<br />

economiche.<br />

157 «La rivoluzione è il tentativo accompagnato dall’uso della violenza<br />

di rovesciare le autorità politiche esistenti e di sostituirle al fine di effettuare<br />

profondi mutamenti nei rapporti politici, nell’ordinamento giuridico-costituzionale<br />

e nella sfera socio-economica. (...) La necessità dell’impiego<br />

della violenza come elemento costitutivo di una rivoluzione<br />

può essere teorizzato in astratto, ma senza fondamenta storiche, rilevando<br />

come le classi dirigenti non cedano il loro potere spontaneamente e<br />

senza opporre resistenza e come quindi i rivoluzionari siano costretti a<br />

strapparlo loro con la forza, e sottolineando inoltre che i mutamenti introdotti<br />

dalla rivoluzione non possono essere accettati pacificamente,<br />

poiché significano perdita di potere, status e ricchezza per tutte le classi<br />

colpite. (...) ...in taluni casi le rivoluzioni sono forzature della storia,<br />

forse inevitabili ma pur sempre forzature». G. Pasquino, Rivoluzione, in<br />

N. Bobbio, N. Metteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica, op. cit.


169<br />

rie reciprocamente escludentisi. Ella sostiene che non<br />

esiste il mito della violenza rivoluzionaria creatrice,<br />

né che la rivoluzione vada interpretata come una ‘fi-<br />

gura’ del progressivo avanzare dello spirito assoluto<br />

oppure come lo sbocco necessitato delle contraddizioni<br />

economico-sociali.<br />

Lontano dalla prospettiva hegeliana e marxista,<br />

la Arendt opera un distinguo tra libertà e liberazione:<br />

«la liberazione può essere una condizione della liber-<br />

tà, ma è assolutamente da escludere che vi conduca<br />

automaticamente; (...) il concetto di libertà implicito<br />

nella liberazione può essere solo negativo, e quindi<br />

l’intenzione di liberare non si identifica col desiderio<br />

di libertà». 158<br />

La libertà non può essere ‘liberazione da’ così come<br />

l’evento rivoluzionario non può essere necessitato o de-<br />

terminato da forze storiche. Esso, anzi, si sostanzia della<br />

libertà che è ciò che appare nella relazione plurale tra gli<br />

______________________________<br />

158 H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit.


170<br />

uomini che partecipano alla vita pubblica, è capacità cora-<br />

le di dare vita e partecipare al nuovo assetto politico.<br />

Libertà non è necessità né atto di volontà.<br />

La rivoluzione, dice la Arendt, «si decide da sola»,<br />

sulla base di fatti ed avvenimenti per i quali gli uomini<br />

sono attori-spettatori e non autori.<br />

Vicina alla teoria di Rosa Luxemburg, ella ritiene<br />

che «una buona organizzazione dell’azione rivoluzio-<br />

naria può e deve essere appresa nel corso stesso della<br />

rivoluzione, allo stesso modo in cui si impara a nuota-<br />

re soltanto nell’acqua. (...) Le rivoluzioni non sono<br />

“fatte” da nessuno, ma erompono spontaneamente». 159<br />

Le rivoluzioni sono gli eventi che irrompono nel-<br />

la routine della storia e ne cambiano il volto; sono atti<br />

inaugurali di un nuovo inizio, la cui conoscenza, da<br />

parte dei protagonisti, emerge solo «dopo che essi erano<br />

giunti, in gran parte contro la loro volontà, ad un pun-<br />

to da cui non si poteva tornare più indietro». 160<br />

______________________________<br />

159 Ibidem.<br />

160 Ibidem.


171<br />

Il termine rivoluzione venne mutuato dall’astro-<br />

nomia e solo nel 1660 venne utilizzato per designare<br />

un cambiamento politico, la restaurazione della mo-<br />

narchia in Inghilterra.<br />

La rivoluzione era essenzialmente ‘rivoluzione<br />

conservatrice’.<br />

Chi era entrato nel gioco rivoluzionario credeva di<br />

poter restaurare un antico ordine di cose, cose appartenen-<br />

ti al passato, e, solo nel corso stesso della rivoluzione, si<br />

rese conto che ciò era impossibile. Si trattava di una im-<br />

presa totalmente nuova, una novità assoluta.<br />

«Ciò che essi avevano concepito come una restau-<br />

razione, un recupero delle loro antiche libertà, diven-<br />

ne invece una rivoluzione».<br />

Gli uomini della rivoluzione si resero conto solo<br />

dopo che avevano la possibilità non già di ripristinare<br />

una tradizione consumata bensì creare un nuovo ordi-<br />

ne politico, la repubblica, un novus ordo saeclorum.<br />

E’ questo il significato autentico di rivoluzione,<br />

la cui idea centrale «è l’instaurazione della libertà, os-


172<br />

sia la fondazione di uno stato che garantisca lo spazio<br />

in cui la libertà può manifestarsi». 161<br />

L’analisi comparativistica delle due importanti ri-<br />

voluzioni dell’età moderna, quella americana e quella<br />

francese, pur presentando delle limitazioni, tenta un<br />

discorso che non si riduca all’astrattezza, che resti, cioè,<br />

puramente teorico, anche se per gli specialisti questo<br />

è un aspetto spesso insoddisfacente.<br />

Il disegno della Arendt è seguire la tradizione de-<br />

mocratica per raccontarne la fondazione e capire come<br />

mai la tradizione filosofica, sia da Hobbes a Schmitt<br />

che da Rousseau agli eredi dei giacobini, non è riusci-<br />

ta ad impedire il totalitarismo.<br />

«In termini generali possiamo dire che nessuna<br />

rivoluzione è addirittura possibile là dove l’autorità<br />

dello Stato è veramente intatta (...). Le rivoluzioni<br />

sembrano sempre riuscire con straordinaria facilità<br />

nella loro fase iniziale e la ragione è che i loro arte-<br />

______________________________<br />

161 Ibidem.


173<br />

fici all’inizio non fanno che strappare il potere ad un<br />

regime in piena disgregazione.<br />

Sono insomma la conseguenza non la causa del<br />

crollo dell’autorità politica». 162<br />

Dovremmo pensare che l’avvento del nazional-<br />

socialismo è stato conseguenza della crisi della Re-<br />

pubblica di Weimar: la vulnerabilità delle istituzioni<br />

e il malcontento sociale hanno favorito il partito na-<br />

zionalsocialista e la violenza adottata per giustifica-<br />

re la trasformazione radicale del ‘vecchio ordine’.<br />

La presa di potere di Hitler in Germania era sa-<br />

lutata dai nazionalsocialisti come «rivoluzione na-<br />

zionale» 163 : in realtà, sebbene «nei primi anni del loro<br />

______________________________<br />

162 Ibidem.<br />

163Cfr. Bracher, che sostiene «Propagandisti, politici e giuristi nazionalsocialisti<br />

fin da principio si preoccuparono particolarmente di sottolineare che<br />

il governo hitleriano avrebbe significato l’inizio di una rivoluzione, di un<br />

profondo mutamento di tutte le cose, ma che si trattava di un processo legale,<br />

svolgentesi nell’ambito del diritto e della costituzione. Mediante il concetto<br />

paradossale di rivoluzione legale vennero uniti artificiosamente due<br />

assiomi della azione politica che si contraddicevano reciprocamente». K. D.<br />

Bracher, La dittatura tedesca. Origini, strutture, conseguenze del nazional-


174<br />

regime i nazisti riversarono sul paese una valanga di<br />

leggi e decreti», 164 non venne mai abrogata la carta<br />

costituzionale di Weimar, tant’è che essa era formal-<br />

mente in vigore ancora al momento della dissoluzio-<br />

ne della Germania e della morte del Führer.<br />

La rivoluzione in quanto tale non può non condur-<br />

re, secondo l’accezione arendtiana, ad una nuova co-<br />

stituzione, segno tangibile della fondazione del nuovo<br />

corpo politico. 165<br />

Nonostante la dichiarazione di voler attuare una<br />

______________________________<br />

socialismo, Bologna, Il Mulino, 1973. Anche Nolte scrive che in Germania<br />

«si compì una rivoluzione senza alcuna violazione rivoluzionaria della legalità<br />

vigente (e insieme senz’ombra di rispetto per essa) ». E. Nolte, I tre<br />

volti del fascismo, Milano, Mondadori, 1971.<br />

164 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit. , p. 541.<br />

165 La costituzione è la struttura stessa di una comunità politica organizzata.<br />

L’esigenza di una costituzione scritta fu per la prima volta avvertita<br />

in Inghilterra durante il periodo delle guerre civili, sebbene questa restasse<br />

poi fedele alla costituzione consuetudinaria. La prima costituzione<br />

scritta fu quella della Virginia nel 1776, a cui seguirono altri stati<br />

americani, fino a che, nel 1788, venne portato a termine il processo costituente<br />

con la ratifica, da parte della maggioranza degli stati, della costituzione<br />

degli Stati Uniti d’America, stesa alla Convenzione di Filadelfia,<br />

costituzione da allora ancora vigente.


175<br />

«rivoluzione permanente», 166 con il nazionalsociali-<br />

smo, invece, non si è avuto alcun ammodernamento<br />

delle istituzioni.<br />

In America, invece, con la rivoluzione del 1776,<br />

era accaduto proprio il contrario.<br />

La rivoluzione americana aveva avuto il pregio di<br />

mettere in evidenza la possibilità dell’agire politico<br />

autentico: nel nuovo mondo, il patto sottoscritto l’11<br />

novembre del 1620 sul Mayflower dai Padri Fondato-<br />

ri aveva coniugato potere politico e libertà, felicità e<br />

vita pubblica grazie ad una nuova concezione del po-<br />

litico come «pratica di libertà». «Ciò che in realtà fece<br />

la rivoluzione americana fu di portare alla ribalta la<br />

nuova esperienza ed il nuovo concetto di potere ame-<br />

ricano. Come la prosperità e l’uguaglianza di condi-<br />

zioni questo nuovo potere era più antico della rivolu-<br />

______________________________<br />

166 La nozione di ‘rivoluzione permanente’ rinvia al carattere di movimento<br />

incessante, di mobilitazione che doveva impedire la stabilità del<br />

governo. Per questo l’hitlerismo mette in atto una selezione razziale incessante<br />

affinché si prevenga l’anchilosi del Volk, mentre lo stalinismo<br />

attua una lunga serie di epurazioni e trasferimenti della popolazione.


176<br />

zione, ma non sarebbe sopravvissuto senza la fonda-<br />

zione di un organismo politico, destinato esplicitamen-<br />

te a difenderlo e a conservarlo; senza rivoluzione, in<br />

altre parole, quel nuovo principio di potere sarebbe<br />

rimasto nascosto». 167<br />

Diversamente era stato per la rivoluzione france-<br />

se, il cui esito fu fallimentare, da una parte perché si<br />

rivelò più astratta, progettata da intellettuali interessa-<br />

ti ad elaborare idee e teorie piuttosto che pratica poli-<br />

tica, dall’altra per l’emergenza della questione socia-<br />

le, per cui la libertà veniva ad identificarsi con la libe-<br />

razione dal bisogno.<br />

Non la libertà pubblica era lo scopo dei rivoluzio-<br />

nari, bensì il benessere del popolo.<br />

In concreto, «quando si scatenò questa forza, quan-<br />

do ognuno fu convinto che solo l’interesse nudo e il<br />

______________________________<br />

167 H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit. Peraltro, il patto dei Padri Pellegrini,<br />

che erano giunti sulle desolate spiagge di Cape Cod, servì a fondare<br />

la comunità politica di Plymouth: fu il punto di avvio di altrettanti covenants<br />

ed agreements da cui, nel New England, nacquero numerose comunità.


177<br />

bisogno erano senza ipocrisia, i malheureux si cam-<br />

biarono in enragés, perché la rabbia è in realtà l’unica<br />

forma in cui la miseria può diventare attiva». 168<br />

Per la Arendt viene a confondersi ciò che è neces-<br />

sariamente legato alla natura dell’uomo e ciò che gli<br />

conferisce identità e dignità, poiché con la rivoluzio-<br />

ne francese la politica viene subordinata alla questio-<br />

ne sociale, ergo all’economico.<br />

Tale confusione è particolarmente evidente nella<br />

nozione di popolo.<br />

«La definizione stessa del termine era nata dalla<br />

compassione e la parola divenne sinonimo di sfortuna<br />

e infelicità -le peuple, les malheurex m’applaudissent,<br />

soleva dire Robespierre; le peuple toujours malheu-<br />

rex, come si esprimeva perfino Sieyès, una delle figu-<br />

re meno sentimentali e più lucide della Rivoluzione». 169<br />

Il termine popolo rinvia tanto al soggetto politico<br />

costitutivo quanto alla classe che di fatto é esclusa dalla<br />

______________________________<br />

168 H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit.<br />

169 Ibidem.


178<br />

politica. Sia nell’italiano popolo che nel francese peu-<br />

ple o lo spagnolo pueblo, con i connessi aggettivi, è<br />

presente questa ambiguità semantica; lo stesso per l’in-<br />

glese people, che conserva, anzi, un ordinary people<br />

in opposizione alla nobiltà. 170<br />

Popolo e popolo, quindi, una frattura che ha de-<br />

viato l’azione politica in Europa fin dalla Rivoluzione<br />

francese.<br />

In Le origini del totalitarismo, la Arendt aveva<br />

rimarcato che nel momento in cui il popolo tedesco si<br />

era riconosciuto nella razza ariana era Volks per il di-<br />

ritto, corpo politico integrale, e sanciva così l’esclu-<br />

______________________________<br />

170 «Nella costituzione americana si legge, senza distinzioni di sorta,<br />

“We, the people of the United States...”; ma quando Lincoln, nel discorso<br />

di Gettisburgh, invoca un “Governement of the people by the people<br />

for the people”, la ripetizione contrappone implicitamente al primo popolo<br />

un altro», da G. Agamben, Mezzi senza fini, op. cit., p.30. L’abate<br />

Sieyès, autore del famoso Qu’est-ce que le Tiers Etat? (1789) aveva<br />

parlato della ‘nazione’ come se intendesse l’intero popolo francese. In<br />

realtà il riferimento era per la borghesia: la ‘nazione’ borghese era un’unità<br />

compatta esprimente non l’empirica volontà generale, bensì l’assoluta<br />

volontà generale per cui si condannavano i partiti e le fazioni. Anche<br />

in questo caso il termine popolo risulta equivoco.


179<br />

sione dai diritti il cittadinanza degli ebrei e di quanti<br />

identificava con la categoria di «nemico oggettivo». 171<br />

Una legge di natura, dunque, aveva finito per per-<br />

meare il diritto rendendo ancor più catastrofica la frat-<br />

tura Popolo e popolo.<br />

L’equivoco, dunque, che compromise il buon esi-<br />

to della rivoluzione francese fu il voler «emancipare<br />

la natura», voler porre una soluzione ai bisogni natu-<br />

rali: «La necessità invase così il campo del politico,<br />

l’unico in cui gli uomini possono essere liberi». 172<br />

In America esistevano delle precondizioni, la relati-<br />

va eguaglianza e la mancanza di una radicale questione<br />

sociale, le quali permisero che il sociale, il privato, non<br />

inficiasse la politica. La felicità era ‘felicità pubblica’, il<br />

consenso era ‘scambio di opinioni tra eguali’, la sovranità<br />

del popolo non era concezione assoluta.<br />

______________________________<br />

171 Con la ‘soluzione finale’, i nazisti tentarono di eliminare dalla scena<br />

politica gli ‘indesiderabili’, compito che essi ostinatamente andavano<br />

ad assolvere anche per gli altri popoli europei.<br />

172 H. Arendt, Sulla rivoluzione, cit.


180<br />

La pratica politica del Mayflower Compact, mai<br />

interrotta dalla posterità dei Padri Fondatori, aveva<br />

portato in risalto che la capacità umana di costituire il<br />

mondo avrebbe di per sé garantito e tutelato gli uomi-<br />

ni dalle pulsioni naturali.<br />

Nessun ricorso, quindi, a finzioni circa la natura<br />

dell’uomo, come volevano le classiche teorie contrat-<br />

tualistiche, né alcun ricorso all’Assoluto - Robespierre<br />

aveva reclamato l’ «Essere Supremo» come garanzia<br />

della stabilità della repubblica laddove nel contesto re-<br />

ligioso, tipicamente europeo, si faceva ancora appello<br />

al «Dio Onnipotente» che aveva dotato gli uomini di<br />

«diritti inalienabili».<br />

La rivoluzione francese non aveva fatto altro che<br />

sostituire la volontà del popolo, che si rivela come<br />

dispotismo della maggioranza, sul dominio dell’uomo<br />

sull’uomo e riconoscere la sottomissione dell’uomo<br />

alla legge divina o morale, mantenendo ben ferma la<br />

confusione tra potere e dominio.<br />

E per la Arendt il dominio è una interpretazione


181<br />

falsificata e falsificante del potere. 173 Non solo. Il buon<br />

esito della rivoluzione francese sarebbe stato deviato<br />

dal terrore.<br />

La considerazione che il terrore sia lo strumento<br />

che permetta la conservazione del potere e che la vio-<br />

lenza sia necessaria per la creazione di un corpo po-<br />

litico viene confutata dalla Arendt facendo riferimen-<br />

to al racconto di Melville, Billy Budd, e all’episodio<br />

del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov di Do-<br />

stoevskij.<br />

Ella si serve di queste due opere letterarie per<br />

mostrare come, nella storia, chiunque, sia esso popo-<br />

lo, classe o individuo, si ponga come depositario del<br />

bene assoluto risponda poi con la violenza all’ingiu-<br />

stizia. Non esiste nessuna violenza necessaria, anzi essa<br />

testimonia di un vuoto del diritto e, quindi, di un vuo-<br />

______________________________<br />

173 Illuminante è il saggio di P. Ricoeur «Pouvoir et violence», in Politique<br />

et pensée. Colloque Hannah Arendt, Éditions Payot & Rivages, Paris,<br />

1996. Questa raccolta di saggi è apparsa per la prima volta con il<br />

titolo Ontologie et politique. Hannah Arendt, presso le edizioni Tierce,<br />

1989.


182<br />

to della giustizia. Lo stesso deve dirsi per il terrore<br />

totalitario.<br />

Durante la rivoluzione, in Francia, la compassione<br />

dei miserabili si era impadronita degli animi più elevati e<br />

li aveva spinti ad azioni non pertinenti alla politica. Il loro<br />

obiettivo divenne lo smascheramento dell’ipocrisia, del-<br />

l’inganno sociale, in un tempo, quello della monarchia as-<br />

soluta, in cui facilmente si violavano i giuramenti e si pas-<br />

sava all’intrigo. Già per Rousseau il male principale della<br />

società era l’ipocrisia, cioè la mancanza di promesse, non<br />

mantenute dal potere centrale, verso il popolo. Se per So-<br />

crate l’ipocrita era il falso testimone di se stesso, il peggio-<br />

re degli uomini quindi, per Machiavelli, con cui la Arendt<br />

è d’accordo, l’ipocrita è colui che appare quale vuole es-<br />

sere stimato. 174<br />

______________________________<br />

174 Simulazione e dissimulazione sono termini chiave per il discorso sul<br />

politico. Simulazione è mostrare di essere ciò che non si è ed ha uno<br />

spettro di comportamenti ben più ampio, in campo politico, della dissimulazione,<br />

che, in quanto è nascondere ciò che si è realmente, si limita<br />

alla sola sfera dell’inganno più o meno cosciente. cfr. N. Machiavelli, Il<br />

Principe, Milano, Feltrinelli, 1995.


183<br />

Nel campo delle relazioni umane, infatti, là dove c’è<br />

apparenza di virtù, ci sono anche gli effetti della virtù e<br />

poco importa se qualcosa di imperscrutabile vi si nasconda.<br />

La deviazione verso il terrore per la rivoluzione fran-<br />

cese deriva dal fatto che elementi moralistici erano, come<br />

la compassione e lo smascheramento dell’ipocrisia erano<br />

entrati nella pratica politica, scatenando furori e annullan-<br />

do il regno del diritto che garantisce e tutela tutti.<br />

Lo stesso Robespierre, che pretendeva di essere il<br />

depositario della virtù, era diventato l’uomo del terro-<br />

re. Nel clima di sospetto che circondava i rivoluziona-<br />

ri, chiunque poteva essere sospettato di ipocrisia e di<br />

essere nemico del popolo.<br />

La Arendt, per questo motivo, sostiene la teoria<br />

di Montesquieu, 175 che, peraltro, contrappone a Rous-<br />

______________________________<br />

175 Montesquieu, fedele all’antica iurisdictio, teneva soprattutto all’indipendenza<br />

della funzione giudiziaria dal politico e al governo misto,<br />

visto in funzione dei checs and balances, dei pesi e dei contrappesi per<br />

realizzare un equilibrio costituzionale. Era, dunque, necessaria la separazione<br />

di «questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le<br />

risoluzioni pubbliche e quello di punire i delitti o giudicare le controversie<br />

dei privati».


184<br />

seau. Secondo l’autore dell’ Esprit des lois la virtù non<br />

è un assoluto, deve essere moderata e non deve entra-<br />

re nella politica. Il teorico del costituzionalismo rite-<br />

neva che la garanzia della pluralità risiedeva nella ri-<br />

partizione del potere, in modo tale da mediare le ten-<br />

sioni e i rapporti di forza.<br />

Riproporre Montesquieu e il contrattualismo an-<br />

glosassone come riflessione sul patto e sulle istituzio-<br />

ni realmente esistenti, conduce la Arendt a riflettere<br />

anche sulle modalità della rappresentanza.<br />

La pluralità non può essere rappresentata, innan-<br />

zitutto perché è l’unicità degli esseri che la esclude,<br />

poi perché il concetto di rappresentanza implica l’as-<br />

senza dei rappresentati, quindi la spoliticizzazione della<br />

politica. La rappresentanza si definisce, dunque, come<br />

rapporto di dominio di alcuni uomini su altri, come<br />

organizzazione della forza dei governanti, come di-<br />

sciplinamento centralizzato della decisione. Non c’è<br />

alcunché in comune se non uno spazio.<br />

Alla constitutio libertatis, dunque, cosa occorre?


185<br />

Storicamente in tutte le rivoluzioni si è attuata l’orga-<br />

nizzazione spontanea dei consigli: in quella americana di<br />

Jefferson, nella Comune di Parigi, nei Soviet, persino nel-<br />

la rivoluzione ungherese del 1956. Essi sono la manife-<br />

stazione della vera democrazia perché si dà a tutto il po-<br />

polo la possibilità di agire e di essere responsabili delle<br />

proprie azioni e dell’andamento egli eventi.<br />

E’ garantita l’imprevedibilità, la pluralità, la par-<br />

tecipazione diretta. Nella tradizione occidentale que-<br />

sti sono caratteri a cui si è pensato sempre di porre<br />

rimedio, ad esempio con la formazione dei partiti.<br />

Ne Le origini del totalitarismo, la Arendt aveva già<br />

espresso un giudizio secco e negativo sull’attività dei par-<br />

titi. Questi funzionavano come cinghia di trasmissione<br />

dell’interesse individuale nell’interesse collettivo, come<br />

gruppo di interesse senza riuscire a garantire la singolarità<br />

che si manifesta nella relazione plurale.<br />

Sono esposti alla corruzione e all’inefficienza;<br />

sono antidemocratici per il fatto che indicano i candi-<br />

dati che il cittadino-elettore andrà a votare.


186<br />

Nei consigli, invece, il popolo poteva gestire gli<br />

affari politici direttamente; ogni consiglio avrebbe elet-<br />

to i rappresentanti da inviare ai consigli superiori, se-<br />

condo una piramide che avrebbe formato una élite af-<br />

fettivamente democratica.<br />

Pur proponendo l’abolizione del suffragio univer-<br />

sale, la Arendt ritiene che il metodo dell’alternanza di<br />

due soli partiti possa preservare il sistema da eventua-<br />

li blocchi e pericoli: l’opposizione di un periodo sarà<br />

al potere in un altro momento, senza per questo perde-<br />

re la responsabilità dell’azione politica. Una respon-<br />

sabilità che manca nel caso di più partiti al potere e del<br />

tutto assente sia nella società di massa, in cui i singoli<br />

sono deresponsabilizzati alla politica, sia nel totalita-<br />

rismo, ove tutto è nelle mani del capo.<br />

E’ chiaro che istituzioni e leggi sono il perno fon-<br />

damentale per il corretto funzionamento della demo-<br />

crazia, quanto il consenso.<br />

Quanto, però, i consigli, contrari all’isolamento del<br />

singolo e luogo privilegiato della pluralità irrapresen-


187<br />

tabile e dell’azione intesa come nuovo inizio, sono pra-<br />

ticabili? L’orientamento della Arendt resta un’alterna-<br />

tiva utopica o, quantomeno, non realistica?


CONCLUSIONI


189<br />

In Le origini del totalitarismo la Arendt sottoli-<br />

nea spesso come il totalitarismo distrugge il presup-<br />

posto di ogni libertà, annulla la capacità di agire di<br />

concerto, azzera quello spazio che esiste tra ciascun<br />

uomo libero estraniandolo.<br />

Abbiamo visto come i prodromi dell’ideologia<br />

totalitaria siano nella crisi dello Stato-nazione e nel<br />

contesto socio-culturale-politico in cui si attua l’anti-<br />

semitismo e l’imperialismo. Abbiamo visto come ai<br />

margini della tradizione egemone siano esistite poten-<br />

zialità politiche che si sono sottratte alla categoria del<br />

dominio: l’esperienza della rivoluzione americana e<br />

dei sistemi consiliari.<br />

Se è necessario ripensare la politica, cosa la Arendt<br />

intende per politica?<br />

Un punto è da tener ben presente: la deviazione della<br />

politica è stata evidente quando la sfera del privato si è<br />

confusa, anzi, si è identificata con la sfera pubblica; in<br />

altre parole, quando lo Stato si è aperto alla società o, se<br />

vogliamo, la società è permeata nello Stato. Sono venute


190<br />

meno le categorie tradizionali del pensiero politico: Stato,<br />

sovranità, autorità, potere ed altre.<br />

La Arendt non ha mai identificato il politico con<br />

lo Stato, semmai ne ha rivendicato l’autonomia sottra-<br />

endolo al dominio, lo strumento di coercizione con cui<br />

da Platone in poi si è pensato il potere politico. Anzi,<br />

nella tradizione del pensiero occidentale, il potere è<br />

stato sempre connesso alla violenza come qualcosa di<br />

inscindibile; invece, essi si escludono a vicenda.<br />

I Padri Fondatori americani erano riusciti a istituire<br />

uno spazio politico senza fare ricorso alla violenza, ser-<br />

vendosi solo di una costituzione, anche non erano riusciti<br />

a comunicare nel tempo a venire lo spirito della loro inno-<br />

vativa esperienza. E’ possibile una fondazione senza vio-<br />

lenza; è possibile esercitare il potere senza violenza.<br />

Nella tradizione occidentale, la Arendt rileva che<br />

molti attori rivoluzionari confondono l’atto plurale e<br />

politico della fondazione, da cui deriva l’autorità del<br />

nuovo corpo politico, con la violenza. Ricordando<br />

Machiavelli e Robespierre, dice che «il loro problema


191<br />

era, alla lettera, quello di come fare un’Italia unita o<br />

una repubblica francese, e la loro giustificazione della<br />

violenza nasceva e riceveva la sua intrinseca plausibi-<br />

lità dall’argomentazione sottesa: come non si può fare<br />

un tavolo senza abbattere degli alberi, o una frittata<br />

senza rompere le uova, neppure si può fare una Re-<br />

pubblica senza uccidere qualcuno». 176<br />

Così dovremmo giustificare anche il terrore totalitario?<br />

E’ indicibile il passaggio dal «tutto è permesso»<br />

al «tutto è possibile» dei campi di concentramento e<br />

della violenza psicologica che riduce gli uomini ad «un<br />

unico fascio di reazioni». 177<br />

«Il dominio per mezzo della pura violenza entra<br />

in gioco quando si sta perdendo il potere». 178<br />

______________________________<br />

176 H. Arendt, What is Authority?, in Between Past and Future, cit.; trad.<br />

it. Che cos’è l’autorità? , in Id., Tra passato e futuro, cit.<br />

177 H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.<br />

178 H. Arendt, On Violence, Harcourt, Brace & World, 1970, poi in The<br />

Crisis of the Republic, San Diego- New York- London, Harcourt Brace<br />

Jovanovich, 1972; trad. it. Sulla violenza, in Politica e menzogna, Milano,<br />

SugarCo,1985, p. 201.


192<br />

E ancora: «La violenza può sempre distruggere il<br />

potere; dalla canna del fucile nasce l’ordine più effi-<br />

cace, che ha come risultato l’obbedienza più imme-<br />

diata e perfetta. Quello che non può mai uscire dalla<br />

canna di un fucile è il potere». 179<br />

Il potere è tale per l’essere-insieme degli uomini,<br />

non è rappresentabile né alienabile, né coincide sul-<br />

l’unanimità.<br />

La Arendt pensa il consenso nei termini di un ‘dis-<br />

sidio’ su cui si acconsente e si può continuare a dis-<br />

sentire. E’ rispetto delle differenze, riconoscimento<br />

della pluralità.<br />

Lo spazio in comune, che non è unicamente spa-<br />

zio fisico, territoriale, bensì è la possibilità dello sta-<br />

re-insieme avendo qualcosa in comune, è il mondo.<br />

Il ‘mondo’ è la ‘casa’ che ‘abitano’ gli uomini. E’<br />

lo spazio dell’apparenza, è il pubblico.<br />

«Il termine “pubblico” equivale al mondo stesso,<br />

______________________________<br />

179 Ibidem, p. 20<strong>2.</strong>


193<br />

in quanto è comune a tutti e distinto dallo spazio che<br />

ognuno di noi vi occupa privatamente. Questo mondo<br />

tuttavia non si identifica con la terra e con la natura,<br />

come spazio limitato che fa da sfondo al movimento<br />

degli uomini e alle condizioni generali della vita orga-<br />

nica. Esso è connesso, piuttosto, con l’elemento artifi-<br />

ciale, il prodotto delle mani dell’uomo, come pure con<br />

le relazioni che intercorrono tra coloro che insieme<br />

abitano il mondo fatto dall’uomo». 180<br />

La Arendt è preoccupata -e Le origini del totali-<br />

tarismo lo confermano- per la riduzione degli uomini<br />

in esemplari seriali nella ‘società di massa’, e, soprat-<br />

tutto, se si tratta di una società totalitaria.<br />

E’ come se la vita stessa, nella sua nudità, fosse<br />

entrata per necessità nel dominio pubblico creando<br />

uniformità e spersonalizzazione.<br />

«Il carattere monolitico di ogni tipo di società, il<br />

suo conformismo che concede un interesse solo e una<br />

______________________________<br />

180 H. Arendt, The Human Condition, op. cit.


194<br />

sola opinione, è in ultima analisi radicato nell’ essere-<br />

uno del genere umano». 181<br />

La società è così omogenea perché tutti gli indivi-<br />

dui hanno i medesimi bisogni materiali, la stessa ur-<br />

genza di provvedere alle necessità della vita. E se un<br />

tempo la distinzione era il contrassegno dell’azione<br />

politica, ora è la moda, l’atteggiamento stravagante,<br />

l’effimero.<br />

flette.<br />

Pertanto è la burocrazia che politicamente la ri-<br />

«Ciò che noi tradizionalmente chiamiamo Stato e<br />

governo lascia qui il posto alla pura amministrazione: a<br />

quello stato di affari che Marx giustamente prediceva come<br />

“l’estinzione dello Stato”, benché sbagliasse nel credere<br />

che solo una rivoluzione potesse causarla». 182<br />

Si concretizza «the rule of nobody».<br />

«Il governo di nessuno non è necessariamente un<br />

non-governo; esso può, anzi, in certe circostanze, pro-<br />

______________________________<br />

181 Ibidem, p. 34.<br />

182 Ibidem, p. 33.


195<br />

dursi in manifestazioni ancora più crudeli e tiranniche<br />

di quelle consuete». 183<br />

Il totalitarismo ne è il mostruoso esempio.<br />

Ich selber wirchen? nein, ich will<br />

verstehen. Und wenn andere menschen<br />

verstehen-im sselben Sinne, wie<br />

ich verstanden habe dann gibt mir<br />

das eine Befriedigung wie ein Heimatgefühl. 184<br />

______________________________<br />

183 Ibidem, p. 30.<br />

184 «Io esercitare un influsso? No, io voglio capire. E se altri poi capiscono<br />

-alla stessa maniera in cui ho capito io- mi dà un senso di soddisfazione<br />

come una patria comune».


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New York, Grove Press, 1978, pp. 125-130; trad. parziale, Herzl e<br />

Lazare, in H. Arendt, Ebraismo e modernità, Milano, Unicopli,<br />

1986, pp. 27-33.


199<br />

1943<br />

We Refugees, in «Menorah Journal», XXXI, January 1943, pp. 69-77;<br />

ristampato in The Jew as Pariah, cit., pp. 55-66; trad. it. Noi profughi,<br />

in Ebraismo e modernità, cit., pp. 35-49.<br />

Why the Crémieux Decree Wa Abrogated, in «Contemporary Jewisch<br />

Record», VI, 1943, n. 2, pp. 115-123.<br />

Portrait of a Period, in «Menorah Journal», XXXI, October 1943, pp.<br />

307-314; recensione di S. Zweig, The World of Yesterday: An Autobiography,<br />

New York, The Viking Press, 1943; ristampato in<br />

The Jew as Pariah, cit., pp. 112-121; trad. it. Ritratto di un periodo,<br />

in Ebraismo e modernità, cit., pp. 51-6<strong>2.</strong><br />

1944<br />

Race-Thinking Before Racism, in «The Rewiw of Politics», VI, 1944, n.<br />

1, pp. 36-73.<br />

The Jew as Pariah: A Hidden Tradition, in «Jewish Social Studies», VI,<br />

1944, n. 2, pp. 99-122; ristampato in The Jew as Pariah, cit., pp.<br />

67-90; versione tedesca ampliata: Die verbogene Tradition, in H.<br />

Arendt, Sechs Essays, hrsg. von D. Sternberger, Heidelberg, L.<br />

Schneider, 1948; ristampata in H. Arendt, Die verbogene tradition.<br />

Acht Essays, cit., pp. 46-73; trad. it. parziale della versione<br />

tedesca, in frammenti con i segueni titoli: parte I, Heinrich Heine:<br />

Schlemihl e principe del mondo di sogno; parte III, Charlie Chaplin:<br />

il sospettato; parte IV, Franz Kafka: l’uomo di buona volontà, in<br />

H. Arendt, Il futuro alle spalle, a cura di L. Ritter Santini, Bologna,<br />

Il Mulino, 1981, pp. 63-71; 271-274; 73-84.<br />

Concerning Minorities, in «Contemporary Jewish Record», VII, 1944,<br />

n. 4, pp. 353-368.<br />

Our Foreign Language Groups, in «Chicago Jewish Forum», III, 1944,<br />

n. 1, pp. 23-34.<br />

Franz Kafka: a Revaluation. On the Occasion of the Twentieth Anniver-


200<br />

sary of his Death, in «Partisan Rewiw», XI, 1944, n. 4, pp. 412-<br />

422; versione tedesca ampliata: Franz Kafka, in H. Arendt, Sechs<br />

Essays, cit.; ristampata in H. Arendt, Die verbogene Tradition.<br />

Acht Essays, cit., pp. 88-107; trad. it. della versione tedesca: Franz<br />

Kafka: il costruttore di modelli, in H. Arendt, Il futuro alle spalle,<br />

cit., pp. 85-103.<br />

Das zeitweilige Büdnis Zwischen Mob una Élite, in «Hochland. Monatszeitschrift<br />

für alle Gebiete des Wissens», 1944, pp. 51-52, 511-<br />

524.<br />

1945<br />

Organized Guilt and Universal Responsability, in «Jewish Frontier», XIII,<br />

1945, n. 1, pp. 19-23; ristampato in R. Smith, (a cura di), Guilt:<br />

Man and Society, New York, Doubleday Anchor, 1971; ripubblicato<br />

in The Jew as Pariah, cit., pp. 222-236; trad. it. Colpa organizzata<br />

e responsabilità universale, in H. Arendt, Ebraismo e modernità,<br />

cit., pp. 63-76.<br />

Approaches to the German Problem, in «Partisan Rewiew», XII, 1945,<br />

n. 1, pp. 93-106.<br />

The Stateless People, in «Contemporary Jewish Record», VIII, 1945, n.<br />

2, pp. 137-153.<br />

The Assets of Personality, in «Contemporary Jewish Record», VIII, 1945,<br />

n. 2, pp. 214-216, recensione di M. W. Weisgal, (a cura di), Chaim<br />

Wiesmann.<br />

Nightmare and Flight, in «Partisan Rewiew», XII, 1945, n.2, pp. 159-<br />

260, recensione di D. de Rougemont, The Devil’s Share.<br />

Dilthey as a Philosopher and Historian, in «Partisan Rewiew», XII, 1945,<br />

n. 3, pp. 404-6; recensione di H. A. Hodges, Wilhelm Dilthey: An<br />

Introduction.<br />

Christanity and Revolution, in «The Nation», 22 settembre 1945, pp.<br />

288-89.


201<br />

The Seeds of a Fascist International, in «Jewish Frontier», giugno 1945,<br />

pp.12-16.<br />

Zionism Reconsidered, in «Menorah Journal», XXXIII, agosto 1945, pp.<br />

162-196; ristampato in M. Selzer, (a cura di), Zionism reconsidered,<br />

New York, Macmillan; ripubblicato in The Jew as Pariah,<br />

cit., pp. 131-163; versione tedesca Der Zionismus aus heutiger<br />

Sicht , in H. Arendt, Die Verbogene Tradition, 1976, pp. 127-168;<br />

trad. it. Ripensare il sionismo, in H. Arendt, Ebraismo e modernità,<br />

cit., pp. 77-116.<br />

Imperialism, Nazionalism, Chauvinism, in «The Rewiew of Politics»,<br />

VII, 1945, n. 4, pp. 441-463.<br />

Parties, Movements and Classes, in «Partisan Rewiew», XII, 1945, n. 4,<br />

pp. 504-51<strong>2.</strong><br />

Power, Politics, Triumphs, in «Commentary», I, 1945, n. 1, pp. 92-92,<br />

recensione di F. Gross, Crssroads of Two Continents.<br />

1946<br />

Über den Imperialismus, in «Die Wandlung», I, 1946, pp. 650-666; ristapato<br />

in H. Arendt, Sechs Essays, 1948; H. Arendt, Die Verbogene<br />

Tradition, 1976.<br />

Privileged Jews, in «Jewish Social Studies», VIII, 1946, n. 1, pp. 3- 30;<br />

ristampato in A: G. Duker e M. Ben-Horin, Emancipation and<br />

Counteremancipation, New York, KtavPublishing House, 1947;<br />

pubblicato in modo parzoale con il titolo The Moral of History, in<br />

H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp. 96-105, trad. it. parziale La<br />

morale nella storia, in H. Arendt, Ebraismo e modernità, cit., pp.<br />

117-12<strong>2.</strong><br />

The Nation, in «The Rewiew of Politics», VIII, 1946, n. 1, pp. 138-141;<br />

recensione di J. T. Delos, La Nation, Editions de l’Arbre, Mpntreal.<br />

Proof Positive, in «The Nation», 5 gennaio 1946, p. 22; recensione di V.<br />

Lange, Modern German Literature.


202<br />

The too Ambitious Reporter, in «Commentary», II, 1946, n.2, pp. 94-95;<br />

recensione di A. Koestler, Twilight Bar e The Yogi and Commisar.<br />

What is Existenz Philosophy?, in «Partisan Rewiew», XIII, 1946, n.1, pp.34-<br />

56; trad. ted. in Sechs Essays, 1948; trad. it. Che cos’è la filosofia<br />

dell’esistenza?, a cura di S. Maletta, Milano, Jaca Book, 1998.<br />

Imperialism: Road to Suicide, in «Commentary», II, 1946, n. 3, pp. 27-35.<br />

French Existenzialism, in «The Nation», 23 febbraio 1946, pp. 226-228.<br />

Tentative List of Jewish Cultural Treasure in Axis-Occupied Countries,<br />

in «Supplement to Jewish Social Studies, VIII, 1946, n.1; curato<br />

dal gruppo di ricerca «Commission on European Jewish Cultural<br />

Reconstruction» sotto la direzione di H. Arendt.<br />

Tentative List of Jewish Educational Istitutions in Axis-Occupied Countries,<br />

in «Supplement to Jewish Social Studies, VIII, 1946, n. 3;<br />

curato dal gruppo di ricerca «Commission on European Jewish<br />

Cultural Reconstruction» sotto la direzione di H. Arendt.<br />

The Street of Berlin, in «The Nation», 23 marzo 1946, pp.350-351; recensione<br />

di R. Gilbert, Meine Reime Deine Reime.<br />

The Jewish State: 50 Years After, Where Have Herzl’Politics Led?, in<br />

«Commentary», II 1946, n. 1, pp. 1-8; ristampato in Jew as Pariah,<br />

cit., pp. 164-177; trad. it. Lo stato ebraico: cinquant’anni<br />

dopo. Dove ha portato la politica di di Herzl?, in H. Arendt, Ebraismo<br />

e modernità, cit., pp. 123-137.<br />

The Image of Hell, in «Commentary», II, 1946, n. 3, pp. 291-95; recensione<br />

di The Black Book: The Nazi Crime Against the Jewish People, curato<br />

da World Jewish Congress, e a M. Weinreich, Hitler’s Professor.<br />

No Longer and not Yet, in «The Nation», 14 settembre 1946, pp. 300-<br />

302; recensione di H. Broch, The Death of Virgil.<br />

The Ivory Tower of Common Sense, in «The Nation», 19 ottobre 1946,<br />

pp. 447-49; recensione di J, Dewey, Problem of Men.<br />

Expansion and the Philosophy of Power, in «Sewanee Rewiew», LIV,<br />

1946, pp. 601-16.


203<br />

1947<br />

Creating a Cultural Atmosphere, in «Commentary», IV novembre 1947,<br />

pp. 424-426, ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp.<br />

91-95; trad. it. Creare un’atmosfera culturale, in H. Arendt, Ebraismo<br />

e modernità, cit., pp. 139-144.<br />

The Hole of Oblivion, in «Jewish Frontier», luglio 1947, pp. 23-26; recensione<br />

di Anonimo, The Dark Side of the Moon.<br />

1948<br />

Sechs Essays, Heidelberg, L. Schneider, ristampati in H. Arendt, Die<br />

Verbogene Tradition, 197<strong>2.</strong><br />

Jewish History Revised, in «Jewish Frontier», marzo 1948, pp. 34-38;<br />

ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp.96-105; trad.<br />

it. Una rilettura della storia ebraica, in H. Arendt, Ebaraismo e<br />

modernità, cit., pp. 145-156; recensione di G. Scholem, Major<br />

Trends in Jewish History, New York, 1946.<br />

Beyond Personal Frustation: The Poetry of Bertold Brecht, in «The<br />

Kenyon Rewiew, X, 1948, n.2, pp.304-312, recensione di B. Brecht,<br />

Selected Poems.<br />

To Save the Jewish Homeland: There is Still Time, in «Commentary», V,<br />

maggio 1948, pp.398-406; ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah,<br />

cit., pp.178-192; trad. it. Salvare la patria ebraica: c’è ancora<br />

tempo, in H. Arendt, Ebraismo e modernità, cit., pp. 157-173.<br />

The Concentration Camps, in «Partisan Rewiew», XV, 1948, n.7, pp.743-<br />

763; versione tedesca in «Die Wandlung», III, 1948, pp.309-330.<br />

The Mission of Bernadotte, in «The New Leader», XXXI, 23 ottobre<br />

1948, pp. 808-819.<br />

About Collaboration, in «Jewish Frontier», XV, Ottobre 1948, pp. 55-<br />

56; ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah, cit., pp. 175-178.<br />

cura del volume di B. Lazare, Job’s Dunheap, New York, Schocken<br />

Books, 1948.


204<br />

1949<br />

Hermann Broch und der moderne Roman, in «Der Monat», I, 1949, nn.<br />

8-9, pp. 147-151.<br />

Totalitarian terror, in «The Rewiew of Politics», XI, n.1, pp. 112-115;<br />

recensione di D. J. Dallin e B. I. Nicolaevsky, Forced labor in<br />

Soviet Russia.<br />

Single Track to Zion, in «Saturday Rewiew of Literature», XXXII, 1949,<br />

n. 5, pp. 22-23; recensione di C. Waizmann, Trial and Terror: The<br />

Autobiography of Chaim Waizmann.<br />

Parteien und Bewegung, in «Die Wandlung», IV, 1949, pp. 451-473.<br />

The rights of Man: What Are They?, in «Modern Rewiew», III, 1949, n.<br />

1, pp. 24-37.<br />

The Achievement of Hermann Broch, in «The Kenyon Rewiew», XI,<br />

1949, n. 3,pp. 476-483.<br />

1950<br />

Social Science Techniques and the Study of Concentration Camps, in<br />

«Jewish Social Studies», XII, 1950, n. 1, pp.49-64.<br />

Peace or Armistice in the Near East?, in «The Rewiew of Politics», XII,<br />

1950, n. 1, pp.56-82; ristampato in H. Arendt, The Jew as Pariah,<br />

cit., pp. 193-222; trad. it. Pace o armistizio nel Vicino Oriente?, in<br />

H. Arendt, Ebraismo e modernità, cit., pp179-213.<br />

Religion and the Intellectuals. A Symposium, in «Partisan Rewiew», XVII.<br />

1950, n. 1, pp. 113-116.<br />

Der Dichter Bertold Brecht, in «Die Neue Rundschau», LXI, 1950, pp.53-<br />

67; trad. it. Il poeta Bertold Brecht, in V. Santoli, (a cura di), Da<br />

Lessing a Brecht. I grandi scrittori nella grande crisi tedesca,<br />

Milano, Bompiani, 1968, pp. 573-589, poi in «aut aut», 1990, nn.<br />

239-240, pp.145-160.<br />

The Imperialist Character, in «The Rewiew of Politics», XIII, 1950, n.<br />

3, pp.303-320; versione tedesca Der imperialistische Charakter.


205<br />

Eine psychologisch-soziologische Studie, in «Der Monat», II, 1950,<br />

n. 4, pp. 509-52<strong>2.</strong><br />

The Aftermath of Nazi Rule. A Report from Germany, in «Commentary»,<br />

Iv, 1950, n. 10, pp.342-353.<br />

Mob and Elite, in «Partisan Rewiew», XVIII, 1950, n. 8, pp. 808-819.<br />

1951<br />

The Origins Of Totalitarianism, New York, Harcourt, Brace and Co, 1951;<br />

seconda edizione ampliata: New York, The Word Publishing Company,<br />

Meridian Books, 1958; terza edizione con nuove prefazioni:<br />

New York, Harcourt Brace and World, 1966; la versione inglese della<br />

prima edizione è apparsa con il titolo The Burden of Our Time, London,<br />

Secker and Warburg, 1951; la versione inglese della seconda<br />

edizione reca il titolo The Origins of Totalitarianism, London, Allen<br />

and Unwin, 1958; trad. it. Le origini del totalitarismo, Milano, Edizioni<br />

di Comunità, 1967; trad. ted. Elemente und Ursprünge totaler<br />

Herrschaft, Frankfurt, Europäische Verlangsanstalt, 1955.<br />

The Road to Dreyfus Affair, in «Commentary», XI, febbraio 1951, pp. 201-<br />

203; recensione di R. F. Byrnes, Antisemitism in Modern France.<br />

Totalitäre Propaganda. Ein Kapitel aus «Ursprünge des Totalitarismus»,<br />

in «Der Monat», III, 1951, n. 33, pp. 241-248.<br />

Totalitarian Movement, in «Twentieth Century», 1951, n.149, pp. 368-389.<br />

Bei Hitler zu Tisch, in «Der Monat», IV, 1951, n. 37, pp. 85-90.<br />

Die Geheimpolizei, in «Der Monat», IV, 1951, n. 38, pp. 370-388.<br />

1952<br />

The History of the Great Crime, in «Commentary», XIII, marzo 1952,<br />

pp. 300-304; recensione di Poliakov, Bréviare de la haine: le IIIème<br />

Reich et les Juifs.<br />

Magnes. The Coscience of the Jewish Peeople, in «Jewish Newsletter»,<br />

VIII, 1952, n. 25, p. <strong>2.</strong>


206<br />

1953<br />

Ideology amd Terror: a Novel Form of Government, in «The Review of<br />

politics», XV, 1953, n. 3, pp. 303-327; ristampato in H. Arendt,<br />

The Origins of Totalitarianism, Second Enlarged Edition, cit., 1958,<br />

pp. 460-479; pubblicato in versione tedesca in Offener Horizont.<br />

Festschrift für Karl Jaspers, München, Piper, 1953, pp. 229-254.<br />

Rejoinder to Eric Voegelin’s Review of «The Origins of Totalitarianism», in «The<br />

Review of politics», XV, 1953, n. 1, pp. 76-85; trad. it. in Eric Voegelin:<br />

un interprete del totalitarismo, Roma, Astra, 1978, pp. 73-87.<br />

The Ex-Communists, in «Commonweal», LVII, 1953, n. 24, pp. 595-599.<br />

Understanding and Politics, in «Partisan Review», XX, 1953, n. 4, pp. 377-<br />

392; trad. it. Comprensione e Politica, in H. Arendt, La disobbedienza<br />

civile ed altri saggi, Milano, Giuffrè, 1985, pp. 89-111.<br />

Religion and Politics, in «Confluence», II, 1953, n. 3, pp. 105-126; trad. it.<br />

Religione e politica, in G. A. Brioschi, L. Valiani, (a cura di), Totalitarismo<br />

e cultura, Milano, Edizioni di Comunità, 1957, pp. 285-304.<br />

Understanding Communism, in «Partisan Review», XX, 1953, n. 5, pp.<br />

580-583; recensione di W. Gurian, Bolshevism.<br />

1954<br />

Tradition and the Modern Age, in «Partisan Review», XXII, 1954, n. 1,<br />

pp. 53-75; ristampato in H. Arendt, Between past and future. Six<br />

Exercises in Political Thought, New York, Viking Press, 1961, pp.<br />

17-40; trad. it. La tradizione e l’età moderna, in H. Arendt, Tra<br />

passato e futuro, Milano, Garzanti, 1991, pp. 41-69.<br />

Europe and America: Dream and Nightmare, in «Commonweal», LX,<br />

1954, n. 23, pp. 551-554.<br />

Europe and the Atom Bomb , in «Commonweal», LX, 1954, n. 24, pp.<br />

578-580.<br />

Europe and America: the Threat of Conformism, in «Commonweal»,<br />

LX, 1954, n. 25, pp. 607-610.


207<br />

1955<br />

Dichten und Erkennen, Introduzione a H. Broch, Gesammelte Werke, a<br />

cura di H. Arendt, Zürich, Rheir, 1955; trad. it. Hermann Broch:<br />

poeta-scrittore contro la sua volontà, in H. Arendt, Il futuro alle<br />

spalle, cit., pp. 171-216.<br />

The personality of Waldemar Gurian, in «The Review of politics», XVII,<br />

1955, n. 1, pp. 33-42; ristampato in H. Arendt, Men in Dark Times,<br />

New York-London, Harcourt Brace Jovanovich, 1968, pp. 251-26<strong>2.</strong><br />

1956<br />

Was ist Autorität, in «Der Monat», VIII, 1956, n. 89, pp. 29-44; ristampato<br />

in H. Arendt, Fragwürdige Traditionsbestände im politischen<br />

Denken der Gegenwart. Vier Essays, Frankfurt a. M. , Europäische<br />

Verlagsanstalt, 1957.<br />

Authority in Twentieth Century, in «The Review of politics», XVIII, 1956,<br />

n. 4, pp. 403-417.<br />

1957<br />

Misstrauen gegen Kultur, in «Die Kultur», VI, 1957, n. 12, p. 10.<br />

Natur un Geschichte. Die Anfänge der griechischen Geschichtsschreibung,<br />

in «Deutsche Universitätszeitung», XII, n. 8, pp. 6-9, n. 9,<br />

pp. 9-14.<br />

Geschichte kann nicht gemacht werden. Die Entstehung des historischen-<br />

Bewusstseins, in «Deutsche Universitätszeitung», XII, 1957, n. 20,<br />

pp. 7-11; n. 21, pp. 10-14.<br />

History and Immortality, in «Partisan Review», XXIV, 1957, n. 1, pp. 11-53.<br />

Fragwürdige Traditionbestände im politischen Denken der Gegenwart,<br />

Vier Essays, Frankfurt a. M., Europäische Verlagsanstalt, 1957.<br />

Karl Jaspers as Citizen of the World, in P. A. Schlipp, (ed.), The Philosophy<br />

of Karl Jaspers, La Salle, Open Court, Pub. Co., 1957, pp. 539- 550;<br />

ristampato in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 81-94.


208<br />

1958<br />

The Human Condition, Chicago, University of Chicago Press, 1958; trad.<br />

it. Vita Activa, Milano, Bompiani, 1964, 1988; edizione tedesca<br />

rielaborata dall’autrice, Vita Activa oder von tätigen Leben, Stuttgart,<br />

Kohlhammer, 1960, München, Piper, 1967.<br />

Rahel Varnhagen: the Life of a Jewess, London, East and West Library,<br />

1958; ed. tedesca, Rahel Varnhagen, Lebensgeschichte einer deutschen<br />

Jüdin aus der Romantik, München, Piper, 1959; ed. americana<br />

Rahel Varnhagen: the Life of a Jewish Woman, New York,<br />

Harcourt Brace Jovanovich, 1974.<br />

Totalitarian Imperialism: Reflections on the Hungarian Revolution, in<br />

«The Journal of Politics», 1958, n. 1, pp. 5-43; ristampato in H.<br />

Arendt, The Origins of Totalitarianism, Second Enlarged Edition,<br />

cit., pp. 480-510; ed. ted. Die Ungarische Revolution und der Totalitäre<br />

Imperialismus, München, Piper,1958.<br />

Karl Jaspers. Reden zur Verleihung des Friedenspreises des deutschen<br />

Buchhandels, München, Piper,1958; trad. ingl. Karl Jaspers:<br />

A Laudatio, in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp.<br />

71-80.<br />

Kultur und Politik, in «Merkur», XII, 1958, n. 12, pp. 1122-1145; ristampato<br />

in Untergang oder Übergang. Erster Kulturkritikerkongress<br />

in München, München, Piper, 1959, pp. 35-66.<br />

The Modern Concept of History, «The Review of politics», XX; 1958, n.<br />

4, pp. 570-590.<br />

Totalitarianism, in «The Meridian», II, 1958, n. 2, p.1.<br />

The Crises in Education, in «Partisan Review», XXV, 1958, n. 4, pp.<br />

493-513; ristampato in H. Arendt Between Past and Future. Six<br />

Exercises in Political Thought, cit., pp. 173-196; trad. it. La crisi<br />

dell’ istruzione, in H. Arendt, Tra Passato e futuro, cit., pp. 228-<br />

255; versione tedesca Die Krise in der Erziehung, in «Der Monat»,<br />

XI, 1958-59, pp. 48-61.


209<br />

1959<br />

What Was Authority?, in C. Friederich, (ed.), Authority, Cambridge,<br />

Harward U. P., 1959.<br />

Reflections on Little Rock, in «Dissent», V, 1959, n. 1, pp. 45-56.<br />

1960<br />

Von der Menschlichkeit in finsteren Zeiten: Gedanken zu Lessing, München,<br />

Piper,1960; trad. ingl. On Humanity in Dark Times: Thoughts<br />

about Lessing, in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 3-31.<br />

Freedom and Politics: A Lecture, in «Chicago Review», XIV, 1960, n. 1, pp. 28-46.<br />

Society and Culture, in «Daedalus», LXXXII, 1960, n. 2, pp. 276-287.<br />

Der Mensch, ein gesellschaftliches oder ein politisches Lebewesen, in<br />

«Die deutsche Universitätszeitung», XV, ottobre 1960, pp. 38-47.<br />

Revolution and Pubblic Happiness, in «Commentary», XXX, novembre<br />

1960, pp. 413-42<strong>2.</strong><br />

1961<br />

Between Past and Future. Six Exercises in Political Thought, New York,<br />

The Viking Press, 1961; trad. it. Tra passato e futuro, Firenze,<br />

Vallecchi, 1970; Milano, Garzanti, 1991.<br />

Freedom and Revolution, New London, Connecticut College, 1961; ristampato<br />

in Zwei Welten: S. Moses zum 75. Geburstag, Tel Aviv,<br />

Bitaon, 196<strong>2.</strong><br />

1962<br />

Action and «The Pursuit of Happiness», in A. Dempf, H. Arendt, F.<br />

Engel-Janosi, (hrsg.), Politische Ordnung und Menschliche Existenz.<br />

Festgabe für Eric Voegelin, München, Beck, 1962, pp. 1-<br />

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Cura del volume di Karl Jaspers, The Great Philosophers, New York,<br />

Harcourt, Brace and Co., vol 1, 196<strong>2.</strong>


210<br />

1963<br />

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9 marzo, pp. 48-131; 16 marzo, pp. 58-134.<br />

Eichmann in Jerusalem: A report on the Banality of Evil, New York,<br />

The Viking Press, 1963; seconda edizione ampliata, 1965; trad. it.<br />

La banalità del male. Eichmann in Gerusalemme, Milano, Feltrinelli,<br />

1964; versione tedesca: Eichmann in Jerusalem: ein Bericht<br />

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1965; trad. it. Sulla rivoluzione, Milano, Edizioni di Comunità,<br />

1983; versione tedesca Über die Revolution, München,<br />

Piper, 1963.<br />

1964<br />

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Scholem and Hannah Arendt, in «Encounter», XXII, 1964, n. 1,<br />

pp. 51-56: ristampato in The Jew as Pariah, cit., pp. 240-251; trad.<br />

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Scholem e Hannah Arendt, in H. Arendt, Ebraismo e modernità,<br />

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211<br />

«The Deputy»: Guilt by Silence, in «New York Herald Tribune Magazine»,<br />

23 febbraio 1964, pp. 6-9; ristampato in J. W. Bernauer S. J.,<br />

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51-58.<br />

Nathalie Serraute, in «The New York Review of Books», II, 1964, n. 2,<br />

pp. 5-6; versione tedesca Nathalie Serraute, in «Merkur», XVIII,<br />

1964, n. 8, pp. 785-79<strong>2.</strong><br />

Personal Responsability under Dictatorship, in «The Listener», 6 agosto<br />

1964, pp. 185-187 e p. 205.<br />

1965<br />

The Christian Pope, in «The New York Review of Books», IV, 1965, n.<br />

10, pp. 5-7; ristampato con il titolo Angelo Giuseppe Roncalli: A<br />

Christian on St. Peter’s Chair from 1958 to 1963, in H. Arendt,<br />

Men in Dark Times, cit., pp. 57-69; versione tedesca, Der Christliche<br />

Papst, in «Merkur», XX, 1966, n. 4, pp. 362-37<strong>2.</strong><br />

Krieg und Revolution, in «Merkur», XIX, 1965, n. 202, pp. 1-19.<br />

Politik und Verbrechen. Ein Briefwechsel, Hannah Arendt - Hans Magnus<br />

Enzensberger, in «Merkur», XIX, 1965, n. 205, pp. 380-385;<br />

trad. it. Politica e crimine. Hannah Arendt e Hans Magnus Enzensberger,<br />

in «Linea d’ombra», 1989, n. 35, pp. 37-46.<br />

1966<br />

The Formidable Dr. Robinson: A Reply to the Jewish Establishment, in<br />

«The New York Review of Books», V, 1966, n. 12, pp. 26-30;<br />

ristampato in The Jew as Pariah, cit., pp. 260-276.<br />

On the Human Condition, in M. A. Hinton, (ed.), The Envolving Society,<br />

New York, Institute of Cybernetical Research, 1966, pp. 213-219.<br />

Remarks on «The Crisis Character of Modern Society», in «Christianity<br />

and Crisis», XXVII, 1966, n. 9, pp. 112-114.


212<br />

The Negative of Positive Thinking: A Measured Look at the Personality,<br />

Politics and Influence of Konrad Adenauer, in «Book Week,<br />

Washington Post», 5 giugno 1966, pp. 1-2; recensione di Konrad<br />

Adenauer, Memoirs. 1945-1953.<br />

A Heroine of the Revolution, in «The New York Review of Books», VII,<br />

1966, n. 5, pp. 21-27; ristampato con il titolo Rosa Luxemburg:<br />

1871-1919, in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 33-56; trad.<br />

it. Elogio di Rosa Luxemburg, rivoluzionaria senza partito, in<br />

«Micromega», 1989, n. 3, trad. it. Elogio di Rosa Luxemburg, rivoluzionaria<br />

senza partito, in «Micromega», 1989, n. 3, pp. 43-<br />

60; versione tedesca Rosa Luxemburg, in «Der Monat», XX, 1966,<br />

n. 243, pp. 28-40.<br />

What is Permitted to Jove, «The New Yorker», 5 novembre 1966, pp.<br />

68-122; ristampato con il titolo Bertold Brecht. 1898-1956, in H.<br />

Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 207-249; versione tedesca<br />

Quod Licet Jovi… Reflections über den Dichter Bertold Brecht<br />

und sein Verhältniss zur Politik, in «Merkur», XXIII, 1969, n. 6,<br />

pp. 527-542 e n. 7, pp 625-642; versione ristampata in H. Arendt,<br />

Walter Benjamin, Bertold Brecht. Zwei Essays. München, Piper,<br />

1971, pp. 63-107; trad. it. della versione tedesca Bertold Brecht: il<br />

poeta ed il politico, in H. Arendt, Il futuro alle spalle. Bologna, Il<br />

Mulino, 1981, pp. 217-269.<br />

Introduction, a B. Naumann, Auschwitz; A Report on the Proceedings<br />

against Robert Karl Ludwig Mulka and Others Before the Court<br />

at Frankfurt, New York, Frederick A. Praeger, 1966; ristampato in<br />

Falk, Kolto, Lifton, (eds.), Crimes of War, New York, Random<br />

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1967<br />

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ristampato in H.Arendt, Between Past and Future. Eight Exerci-


213<br />

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Piper, 1972, pp. 44-9<strong>2.</strong><br />

Randall Jarrell: 1914-1965, in Randall Jarrell: 1914-1965, New York,<br />

Farrar, Strauss and Giroux, 1967; ristampato con lo stesso titolo in<br />

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1967.<br />

1968<br />

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315; ristampato in Walter Benjamin, Bertold Brecht. Zwei Essays,<br />

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Walter Benjamin: 1892-1840, in H. Arendt, Men in Dark Times, cit.,<br />

pp.153-206; trad. it. Walter Beniamin: l’omino gobbo e il pescatore<br />

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He’s All Dwight: Dwight MacDonald’s «Politics», in «The New York<br />

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Comment on «The Uses of Revolution» by Adam Ulam, in R. Pipes (ed.),<br />

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«Walter Benjamin», in «The New Yorker», 19 ottobre 1968, pp. 65-156;<br />

ristampato in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 153-206.


214<br />

Isak Dinesen: 1855-1962, in «The New Yorker», 9 novembre 1968, pp. 223-<br />

236; ristampato in H. Arendt, Men in Dark Times, cit., pp. 95-109.<br />

Walter Benjamin und das Institut fur Sozialforschung, in «Merkur», XXII,<br />

1968, n. 246, p. 968.<br />

1969<br />

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ristampato in «The New York Review of Books», XII, 1969, n. 4,<br />

pp. 19-31.<br />

The Archimedian Point, in «Ingenor», College of Engineering, University<br />

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Martin Heidegger zum 80. Geburtstag, in «Merkur», XXIII, 1969, n. 10,<br />

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1970<br />

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Arendt, Crises of the Republic, New York, Harcourt, Brace and Jovanovich,<br />

1972; trad. it. H. Arendt, Sulla violenza, Milano, SugarCo,<br />

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Civil Disobedience, in «The New York», 12 settembre 1970, pp. 70-105;<br />

ristampato in H. Arendt, Crises of the Republic, New York, Harcourt,<br />

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(ed), Is Law Dead ?, New York, Simon and Schuster, 1971; trad.<br />

it. La disobbedienza civile, in H. Arendt, La disobbedienza civile<br />

e altri saggi, Milano, Giuffrè, 1985, pp. 29-88 e in Id., Politica e<br />

menzogna, cit., pp. 123-166.


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1971<br />

Walter Benjamin-Bertold Brecht. Zwei Essay, München, Piper, 1971.<br />

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XXXVIII, 1971, n. 3, pp. 417-46; trad. it. Pensieri e riflessioni<br />

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1972, n. <strong>2.</strong><br />

1972<br />

Crises of the Republic, New York, Harcourt, Brace and Jovanovich, 1972;<br />

trad. it. Politica e menzogna, a cura di P. Flores d’Arcais, Milano,<br />

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Wahreit und Luge in der Politik. Zwei Essays, München, Piper, 197<strong>2.</strong><br />

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York Times», 5 aprile 197<strong>2.</strong><br />

Postfazione a R. Gilbert, Mich hat kein Esel im Galopp verloren, München,<br />

Piper, 197<strong>2.</strong><br />

1974<br />

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1975<br />

Remembering Wystan H. Auden, in «The New Yorker», 20 gennaio 1975,<br />

pp. 39-40; ristampato in «The Harvard Advocate» , CVIII, 1975,


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and Nicholson, 1974-75, pp. 181-187.<br />

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1976<br />

Gespräche mit Hannah Arendt, a cura di A. Reif, München, Piper, 1976;<br />

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bleibt die Muttersprache, trad. it. Che cosa resta? Resta la lingua<br />

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Die Verborgene Tradition. Acht Essays, Frankfurt, Suhrkamp, 1976.<br />

1977<br />

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1978<br />

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1979<br />

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1982<br />

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1985<br />

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Travail, Oeuvre, Action, in «Études Phénoménologiques», 1985, n. 2,<br />

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1986<br />

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Lancaster, Martinus Nijhoff, 1986, pp. 29-42, trad. it. Lavoro, opera,<br />

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Philosophie et politique. Le problème de l’action et de la pensée après la<br />

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du Grif », 1986, n. 33, pp. 69-7<strong>2.</strong><br />

Lettres a W. Auden, in «Les cahiers du Grif », 1986, n. 33, pp. 81-83.<br />

Zur Zeit. Politische Essays, a cura di M. L. Knott, Berlin, Rotbuch Verlag,<br />

1986.<br />

1989<br />

Nach Auschwitz. Essays & Kommentare 1, a cura di E. Geisel e K. Bittermann,<br />

Berlin, Tiamat, 1989.<br />

Die Krise des Zionismus. Essays & Kommentare 2, a cura di E. Geisel e<br />

K. Bittermann, Berlin, Tiamat, 1989.<br />

1990<br />

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aut - aut «, 1990, nn. 239-240, pp. 31-46; ed. originale Concern<br />

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1954), in Arendt, Essays in Understanding 1930-1954. Uncollected<br />

and Unpublished Works by Hannah Arendt, a cura di J. Kohn,<br />

Harcourt Brace, New York.<br />

Philosophy and Politics: The Problem of Action and Thought after the French<br />

Revolution, in «Social Research», LVII, 1990, n. 1, pp. 73-103.<br />

La Nature du totalitarisme, Paris, Payot, ed. originale On the Nature of<br />

Totalitarianism: An Essays in Understanding, (scritto nel 1953),<br />

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1991<br />

Israel, Palastina und der Antisemitismus, a cura di E. Geisel e K. Bittermann,<br />

Berlin, Tiamat, 1991.


219<br />

1993<br />

Was ist Politik ? Aus dem Nachlass, a cura di U. Ludz, München, Piper,<br />

1993. trad. it. Cos’è la politica, a cura di U. Ludz, Milano, ed.<br />

Comunità 1997<br />

La lingua materna. La condizione umana e il pensiero plurale, a cura di<br />

A. Dal Lago, Mimesis, Milano.<br />

Il pescatore di perle. Walter Benjamin 1892-1940, Milano, A. Mondadori,<br />

ed. parziale del saggio su Benjamin comparso nella traduzione<br />

italiana Arendt, Il futuro alle spalle, op. cit., pp.105-170.<br />

1994<br />

Essays in Understanding 1930-1954. Uncollected and Unpublished<br />

Works by Hannah Arendt, a cura di J. Kohn, Harcourt Brace, New<br />

York. L’opera contiene anche: 1) Rand School Lecture, scritto nel<br />

1948 o nel 1949; 2) The Eggs Speak Up, scritto nel 1950; 3)<br />

Heidegger the Fox, scritto nel 1953.<br />

1995<br />

Die Korrespondenz Hannah Arendt-Kurt Blumenfeld, a cura di I.<br />

Nordmann, Hamburg, Rotbuch Verlag.<br />

Between Friends. The Correspondence of Hannah Arendt and Mary<br />

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Karl Marx e la tradizione del pensiero occidentale, (scritto nel 1953), a<br />

cura di S. Forti, in «MicroMega», n.5, pp.35-108.<br />

Verità e politica, a cura di V. Sorrentino, Torino, Bollati Boringhieri.<br />

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The Viking Press, 1961; trad. it. di M. Bianchi di Lavagna Malagodi<br />

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Garzanti 1991.<br />

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a cura di H. Arendt, A. Dempf, F. Engel-Janosi, Beck, München,<br />

1962, pp. 1-16; trad. it. di G. Rametta, L’azione e la “ricerca della<br />

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On Revolution, New York, The Viking Press, 1965; trad. it. di M. Magrini,<br />

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222<br />

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senza partito, in «Micromega», 1989, n. 3, pp. 43-60.<br />

Truth and Politics e The Conquest of Space and the Stature of Man, in<br />

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New York, The Viking Press, 1968; trad. it. Verità e politica, a<br />

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Martin Heidegger ist 80 Jahre alt, «Merkur», XXIII, 1969, n. 10, pp.<br />

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Acht Essays, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1976; Walter<br />

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Brecht. Zwei Essays, München, Piper, 1971; Hermann Broch.<br />

Dichten und Erkennen, cit.; trad. it. di V. Bazzicalupo e S. Muscas,<br />

Il futuro alle spalle, Bologna, Il Mulino, a cura e con introduzione<br />

di L. Ritter Santini.<br />

Civil Disobedience (1970), Understanding and politics (1953), Thinking<br />

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New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1972; trad. it. di S.<br />

D’Amico, Politica e menzogna, SugarCo., Milano 1985, con un<br />

saggio introduttivo di P. Flores d’Arcais; La disobbedienza civile<br />

e altri saggi, tr. di T. Serra, Milano, Giuffré , 1985.


223<br />

Was Bleibt? Es bleibt die Mutter spräche, in Gespräche mit Hannah<br />

Arendt, München, Piper, 1976; trad. it. La lingua materna, a cura<br />

di A. Dal Lago, Milano, Mimesis, 1993.<br />

The Jew as Pariah: Jewish Identity and Politics in the Modern Age, a<br />

cura di R. Feldman, New York, Grove Press, 1978; trad. it. e introduzione<br />

di G. Bettini, Ebraismo e modernità, Milano, Edizioni<br />

Unicopli, 1986; Milano, Feltrinelli, 1993.<br />

The Life of the Mind, New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1978, a<br />

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Was ist Politik?, a cura di U. Ludz, München, R. Piper GmbH & Co KG,<br />

1993; trad. it. Cos’è la politica, a cura di U. Ludz, Milano, ed.<br />

Comunità 1997.<br />

Einleitung, in H. Broch, Dichten und erkennen. Essays, 2 voll., in Gesammelte<br />

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Prefazione a H. Broch, Poesia e conoscenza, Milano, Lerici,<br />

1966.<br />

Lettere tra Hannah Arendt e Karl Jaspers, in appendice a R. Esposito,<br />

a cura di, La pluralità irrapresentabile. Il pensiero politico di<br />

Hannah Arendt, Urbino, QuattroVenti- Istituto Italiano per gli Studi<br />

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224<br />

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Mondadori, 1993, ed. parziale del saggio su Benjamin comparso<br />

nella traduzione italiana Arendt, Il futuro alle spalle, op. cit.,<br />

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Karl Marx e la tradizione del pensiero occidentale, (scritto nel 1953), a<br />

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Aa. Vv, Politique et pensée. Colloque Hannah Arendt, Paris, Pétite Bibliotéque<br />

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presso Tierce nel 1989 con il titolo Ontologie et politique. Hannah<br />

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Aa. Vv, Oltre la politica. Antologia del pensiero «impolitico», a cura di<br />

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Lissa, Giuseppe<br />

Filosofia ebraica oggi, in «Rivista di storia della filosofia», n. 4,<br />

1994.<br />

A cura del Prof. Lissa e del Dott. Amodio sono in corso di pubblicazione,<br />

presso la casa editrice Vivarium, gli atti del convegno sulla<br />

Shoah, tenutosi a Napoli nel maggio del 1997.<br />

Young-Bruehl, Elisabeth<br />

Hannah Arendt. For love of the World, Yale University Press, New<br />

Haven and London 1982; trad. it. di D. Mezzacapa, Hannah Arendt,<br />

1906-1975. Per amore del mondo, Torino, Bollati Boringhieri,<br />

1990.


228<br />

FASCICOLI DEDICATI AD HANNAH ARENDT<br />

«Les Cahiers du Grif», n.33, Paris, Tierce, primavera 1986:<br />

1. Introduction, Actualité de Hannah Arendt<br />

<strong>2.</strong> M. McCarty, Pour dire au revoir à Hannah<br />

3. H. Arendt, Nathalie Serraute «Le Fruits d’Or»<br />

4. J. Taminiaux, La vie de quelqu’un<br />

5. E. Young-Breuehl, Les histoires de Hannah Arendt<br />

6. E. Young-Breuehl, Sur la biographie<br />

7. F. Collin: Du privé et du public<br />

8. H. Arendt, Le probleme de la femme dans le monde contemporain<br />

9. Th. Mann, Lettre à Hannah Arendt<br />

10. U. Johnson, Il me faut remarcier<br />

11. H. Arendt, Lettre à Wystan Auden<br />

1<strong>2.</strong> H. Arendt, Philosophie et politique<br />

13. R. Varnhagen, Lettres et penseés<br />

14. H. Plard, Illusions et pièges de l’assimilation<br />

15. K. Jaspers-H- Arendt: Correspondance à propos de Rahel<br />

Varnhagen<br />

16. B. Pelzer, Le vent du nord est mon plus grand ennemi<br />

«Études Phénomenologiques», n. 2, Bruxelles, Éditions OUSIA, 1985:<br />

1. H. Arendt, Travail, œuvre, action<br />

<strong>2.</strong> R. Legros, Hannah Arendt: une comprénsion phénoménologiques<br />

des droits de l’homme<br />

3. D. Lories, Sentir en commun et juger par soi-même<br />

4. B. Stevens, Action et narrativité chez Paul Ricœur et Hannah<br />

Arendt<br />

5. J. Taminiaux, Arendt, disciple de Heidegger?


229<br />

«Aut aut», n. 239-240, 1990.<br />

1. A. Dal Lago, Il pensiero plurale di Hannah Arendt<br />

<strong>2.</strong> H. Jonas, Agire, conoscere, pensare: spigolature dall’opera filosofica<br />

di Hannah Arendt<br />

3. J. Taminiaux, Arendt, discepola di Heidegger?<br />

4. L. Boella, Hannah Arendt «fenomenologa». Smantellamento<br />

della metafisica e critica dell’ontologia<br />

5. E. Greblo, Il poeta cieco. Hannah Arendt e il giudizio<br />

6. E. Heller, Hannah Arendt critico letterario<br />

7. S. Maletta, La salvezza come lode. Nota al saggio arendtiano<br />

del 1930 sulle «Elegie duinesi» di Rilke<br />

«Comunità», XXXV, n. 183, novembre 1981, ha pubblicato i seguenti<br />

articoli:<br />

1. J. Habermas: La concezione comunicativa del potere in Hannah<br />

Arendt


230<br />

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SUL «TOTALITARISMO»<br />

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3. Stato, movimento, popolo. Le tre membra dell’unità politica, in<br />

Id., Principii politici del nazionalsocialismo, Firenze, Sansoni,<br />

1935.<br />

Schnur, Roman<br />

1. Rivoluzione e guerra civile, Milano, Giuffrè editore, 1986.<br />

<strong>2.</strong> Individualismo e assolutismo, Milano, Giuffrè editore, 1979.<br />

Solzenitsyn, Aleksandr I.<br />

Arcipelago Gulag, Milano, Mondadori, 1995.<br />

Stoppino, Mario<br />

Totalitarismo, in Dizionario politico, a cura di N. Bobbio, UTET.<br />

Talmon, J. L.<br />

Le origini della democrazia totalitaria, Bologna, Il Mulino, 1967.<br />

Tarchi, Marco<br />

Il totalitarismo nel dibattito politologico, «Filosofia politica», a.<br />

XI, n. 1, aprile 1997.<br />

Todorov, Tzvetan<br />

1. L’uomo spaesato, Roma, Donzelli, 1996.<br />

<strong>2.</strong> Di fronte all’estremo, Milano, Garzanti, 199<strong>2.</strong><br />

Tucker, R. C.<br />

Towards a Comparative Politics of Movement-Regimes, in «American<br />

Political Science Rewiew», vol. LV, 1961.


237<br />

Vander, Fabio<br />

Metafisica della guerra. Confronto tra la filosofia italiana e la<br />

filosofia tedesca del Novecento, Guerini Scientifica, 1995.<br />

Weil, Simone<br />

Sulla Germania totalitaria, Milano, Adelphi, 1990.<br />

Wittfogel, Karl A.<br />

Il dispotismo orientale, Firenze, Vallecchi, 1968.


INDICE


CAPITOLO PRIMO<br />

239<br />

GENEALOGIA E TOPOLOGIA DI UN CONCETTO<br />

A PARTIRE DALLE INTERPRETAZIONI<br />

STORICO-FILOSOFICHE DAGLI ANNI ‘30 AGLI ANNI ‘50<br />

1.1 - Il concetto ‘totalitarismo’ ............................................................. 3<br />

1.2 - Genealogia del termine ‘totalitarismo’ ....................................... 18<br />

CAPITOLO SECONDO<br />

«IO PROCEDO DA FATTI E DA AVVENIMENTI.»<br />

L’INDAGINE CONTESTUALE DI HANNAH ARENDT<br />

PER COMPRENDERE L’EVENTO CHE CARATTERIZZA<br />

IL XX SECOLO: IL TOTALITARISMO<br />

<strong>2.</strong>1 - Sentieri di ricerca: anno di svolta 1933 ....................................... 48<br />

<strong>2.</strong>2 - L’antisemitismo politico e la questione ebraica .......................... 63<br />

<strong>2.</strong>3 - La nuova ideologia degli Stati-Nazione europei in crisi:<br />

l’imperialismo come preludio politico ai movimenti totalitari.<br />

La questione degli apolidi e il valore dei diritti umani ................ 74<br />

CAPITOLO TERZO<br />

LA CATEGORIA «TOTALITARISMO»<br />

3.1 - Il mutato sfondo socio-politico tra i due secoli:<br />

la nuova società di massa ............................................................ 100<br />

3.2 - Gli strumenti del totalitarismo: propaganda, polizia segreta<br />

e burocrazia. L’ideologia come «logica di un’idea» ................... 111<br />

3.3 - Terrore e campo di concentramento.<br />

La società dei morenti e il male radicale ................................... 131


CAPITOLO QUARTO<br />

240<br />

IL TOTALITARISMO A CONFRONTO<br />

CON LA MODERNITÀ POLITICA<br />

4.1 - Definizione del regime totalitario ............................................... 154<br />

4.2 - Lo Stato-Leviatano di Hobbes e lo Stato totalitario.<br />

Confronto legittimo? .................................................................... 160<br />

4.3 - L’inedito nella storia: le rivoluzioni. ‘Liberazione da’<br />

o ‘liberazione di’: qual è il fondamento del nuovo<br />

corpo politico? La politica come natalità .................................... 167<br />

CONCLUSIONI .................................................................................. 189<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

Scritti di Hannah Arendt ...................................................................... 197<br />

Bibliografia degli scritti di Hannah Arendt ......................................... 220<br />

Bibliografia dei saggi critici su Hannah Arendt ................................. 225<br />

Fascicoli dedicati ad Hannah Arendt ................................................... 228<br />

Bibliografia essenziale sul «totalitarismo» ........................................... 230<br />

INDICE ................................................................................................ 239

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