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assicurato per ben tre volte che Vic Claman, l'organizzatore, gliene avesse<br />
procurato uno.<br />
«Cristo, Barrett, ma è la tua prima ragazza?»<br />
«Piantala, Vic, se non vuoi che ti faccia ingoiare i denti.»<br />
Mentre ci scaldavamo sul ghiaccio non la salutai con la mano e neppure<br />
guardai dalla sua parte. Ma certamente lei pensava che la stessi<br />
osservando. Voglio dire, fu per rispetto alla bandiera che si tolse gli<br />
occhiali mentre suonavano l'inno nazionale?<br />
A metà del secondo tempo stavamo battendo Dartmouth 0-0; per essere<br />
precisi, Davey Johnston e io stavamo per centrare le loro reti. I bastardi<br />
verdi lo intuirono e incominciarono a giocare più duro. Forse sarebbero<br />
riusciti a spezzarci un osso o due prima che noi li inchiodassimo. I tifosi<br />
urlavano già, chiedendo sangue. E nel gioco dell'hockey questo significa<br />
sangue alla lettera o, in mancanza di sangue, un gol. Noblesse oblige, io<br />
non gli ho mai negato né l'uno né l'altro.<br />
Al Redding, il centro del Dartmouth, si buttò sul nostro schieramento<br />
azzurro e io gli andai a sbattere contro, gli rubai il disco e sfrecciai via<br />
sulla pista. I tifosi tumultuavano. Vidi Davey Johnston sulla mia sinistra,<br />
ma pensai di farcela da solo, perché conoscevo il portiere avversario: uno<br />
smidollato che avevo già avuto modo di terrorizzare quando ancora<br />
giocava per Deerfield. Prima che potessi sferrare il tiro, i due difensori mi<br />
piombarono addosso e io dovetti girare intorno alle loro reti per non<br />
mollare il disco. Eravamo in tre, ora, a dibatterci contro le tavole e l'uno<br />
contro l'altro. In mischie del genere, la mia prassi era sempre quella di<br />
sferrare colpi all'impazzata contro tutto ciò che portava colori avversari.<br />
Chissà dove, sotto i nostri pattini c'era il disco, ma per il momento<br />
eravamo troppo occupati a imbrigliarci a vicenda.<br />
Un arbitro diede un colpo di fischietto.<br />
«Tu... due minuti di sospensione!»<br />
Alzai la testa. Faceva segno a me. Me? Che cosa avevo fatto per<br />
meritare una penalità?<br />
«Andiamo, arbitro, che cosa ho fatto?» Ma l'arbitro non era interessato a<br />
continuare il dialogo. Gridava alla giuria: «Numero sette, due minuti», e si<br />
sbracciava indicando me.<br />
Io cercai di oppormi, ma questo è di rigore. La folla si aspetta una<br />
protesta, per quanto evidente sia il fallo. Sempre sbracciandosi l'arbitro mi<br />
cacciò via. Mi diressi furibondo alla panchina delle penalità. Mentre salivo<br />
sul rialzo, accompagnato dal suono metallico dei miei pattini sul legno,<br />
sentii l'abbaiare degli altoparlanti: