bologna combatte PDF - Istituto Parri

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Capitolo 3 BOLOGNA ENTRA IN GUERRA IMPREPARATA Bologna entrò in guerra in un clima artificiale, quasi irreale. Il que¬ store Federico Rendina, nella relazione al capo della polizia per il pe¬ riodo aprile-luglio 1940, scrisse che i bolognesi avevano accettato il conflitto con «entusiasmo cosciente» 1 . La guerra l'aveva voluta la vecchia generazione «guerriera», quella che - per via dell'età - non l'avrebbe fatta o si sarebbe mossa, come fece, ai suoi margini. L'avevano teorizzata e voluta, in buonafede, molti giovani che ora avrebbero dovuto farla e che affrontarono la pe¬ ricolosa avventura con curiosità, più che con entusiasmo, come si rileva leggendo i diari della vigilia che alcuni collaboratori de "L'Assalto" scrissero in caserma, tra un'esercitazione e l'altra, in attesa di partire per il fronte. Per qualche tempo apparvero sul giornale, con titoli ro¬ boanti. Poi, inspiegabilmente, sparirono 2 . La guerra la subirono i ceti popolari che già facevano fatica a vivere in tempo di pace. Le avventure belliche imperiali di Mussolini avevano notevolmente ridotto le riserve auree e provocato un forte balzo dell'inflazione, oltre che un inasprimento delle imposte di consumo. Dal 4,4 per cento del settembre 1939 l'inflazione raggiungerà il 16,6 alla fine del 1940. A ben vedere, la guerra aggravò le condizioni dei ceti popolari prima ancora di essere dichiarata. Quasi certamente, il conflitto lo subirono alcuni ceti borghesi, un tempo vicini al fascismo, dal quale avevano cominciato a prendere le distanze dopo le leggi razziali del 1938, che risultarono indigeste an- 1 ACS, DPS, AG, 1940, b. 49, "Bologna". Rendina era stato nominato questore nel 1939 e restò a Bologna sino alla fine del 1942. Fu sostituito da Domenico Coco. 2 Per i giovani bolognesi e il loro atteggiamento verso la guerra cfr. R. Renzi, Rap¬ porto di un ex balilla, in Il processo s'agapò. Dall'Arcadia a Peschiera, Bari, Laterza, 1954, pp. 99-137. 24

che alla chiesa particolare bolognese, nonostante avesse sempre appro¬ vato la politica del regime. La guerra fu la goccia che fece traboccare il vaso, anche se non tutti - pur avvertendo che era una soluzione sba¬ gliata - se la sentivano di saltare il fossato che li divideva dai partiti antifascisti, i quali erano e restavano sempre sovversivi. Ufficialmente furono favorevoli gli imprenditori bolognesi. Qual¬ che dubbio può sussistere per gli agricoltori, non certo per gli indu¬ striali, i quali, una volta tanto, erano d'accordo con i dipendenti, per¬ ché il conflitto era un'occasione - discutibile sin che si vuole - per sviluppare l'azienda. Dopo avere pagato il contributo - in soldi - al PNF per tutto il ventennio fascista, era arrivato il tempo di riscuotere gli interessi. L'ultimo gli industriali lo avevano pagato il 15 maggio 1940 quando l'Unione provinciale di Bologna della Confederazione fascista degli industriali inviò alle aziende associate la circolare nume¬ ro 9984/IV con l'oggetto «Contributi per il P.N.F. a carico delle ditte e dei dirigenti di aziende a partire dal 1° maggio 1940-XVIII». Le quote obbligatorie da versare al partito erano di una lira e undici centesimi ogni cento lire di retribuzioni agli operai e di lire 15,60 mensili per ogni dirigente in attività 3 . Sull'atteggiamento dei bolognesi nei confronti della guerra non è possibile dire di più perché i giornali pubblicavano espressioni e mes¬ saggi di adesione - ma non molti e poco si sa della loro spontaneità e veridicità - e certamente cestinarono le opinioni contrarie, se arrivaro¬ no. I quotidiani, che, in epoca normale, sono un termometro sensibilis¬ simo per misurare e valutare le opinioni dei cittadini, in quegli anni marciavano a senso unico e pubblicavano solo quanto tassativamente prescritto nelle 'veline' del Minculpop - il Ministero della cultura po¬ polare - che tutte le sere arrivavano puntuali in redazione da Roma, con l'elenco delle notizie da dare e quelle da cestinare. I giornali pubblicavano articoli e foto edificanti e rassicuranti, men¬ tre la cronaca nera era stata pressoché abolita. I 'fattacci' erano spariti dalle cronache non grazie alla politica sociale del regime, ma perché era proibito parlarne. Per conoscere cosa bolliva nell'animo dei bolo¬ gnesi, quando il paese fu trascinato in guerra, bisognerebbe leggere non solo i rapporti dei questori al governo sullo spirito pubblico, che sono in parte disponibili, ma anche quelli dei commissariati e degli in- 3 ACS, PNF, SV, s.I, b. 532, f. "Corrispondenza". Sull'argomento cfr. N. S. Onofri, Agrari e industriali finanziarono il partito fascista a Bologna, in "Resistenza oggi", n. 3, aprile 2002, pp. 37-45. 25

che alla chiesa particolare bolognese, nonostante avesse sempre appro¬<br />

vato la politica del regime. La guerra fu la goccia che fece traboccare<br />

il vaso, anche se non tutti - pur avvertendo che era una soluzione sba¬<br />

gliata - se la sentivano di saltare il fossato che li divideva dai partiti<br />

antifascisti, i quali erano e restavano sempre sovversivi.<br />

Ufficialmente furono favorevoli gli imprenditori bolognesi. Qual¬<br />

che dubbio può sussistere per gli agricoltori, non certo per gli indu¬<br />

striali, i quali, una volta tanto, erano d'accordo con i dipendenti, per¬<br />

ché il conflitto era un'occasione - discutibile sin che si vuole - per<br />

sviluppare l'azienda. Dopo avere pagato il contributo - in soldi - al<br />

PNF per tutto il ventennio fascista, era arrivato il tempo di riscuotere<br />

gli interessi. L'ultimo gli industriali lo avevano pagato il 15 maggio<br />

1940 quando l'Unione provinciale di Bologna della Confederazione<br />

fascista degli industriali inviò alle aziende associate la circolare nume¬<br />

ro 9984/IV con l'oggetto «Contributi per il P.N.F. a carico delle ditte e<br />

dei dirigenti di aziende a partire dal 1° maggio 1940-XVIII». Le quote<br />

obbligatorie da versare al partito erano di una lira e undici centesimi<br />

ogni cento lire di retribuzioni agli operai e di lire 15,60 mensili per ogni<br />

dirigente in attività 3<br />

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Sull'atteggiamento dei bolognesi nei confronti della guerra non è<br />

possibile dire di più perché i giornali pubblicavano espressioni e mes¬<br />

saggi di adesione - ma non molti e poco si sa della loro spontaneità e<br />

veridicità - e certamente cestinarono le opinioni contrarie, se arrivaro¬<br />

no. I quotidiani, che, in epoca normale, sono un termometro sensibilis¬<br />

simo per misurare e valutare le opinioni dei cittadini, in quegli anni<br />

marciavano a senso unico e pubblicavano solo quanto tassativamente<br />

prescritto nelle 'veline' del Minculpop - il Ministero della cultura po¬<br />

polare - che tutte le sere arrivavano puntuali in redazione da Roma,<br />

con l'elenco delle notizie da dare e quelle da cestinare.<br />

I giornali pubblicavano articoli e foto edificanti e rassicuranti, men¬<br />

tre la cronaca nera era stata pressoché abolita. I 'fattacci' erano spariti<br />

dalle cronache non grazie alla politica sociale del regime, ma perché era<br />

proibito parlarne. Per conoscere cosa bolliva nell'animo dei bolo¬<br />

gnesi, quando il paese fu trascinato in guerra, bisognerebbe leggere<br />

non solo i rapporti dei questori al governo sullo spirito pubblico, che<br />

sono in parte disponibili, ma anche quelli dei commissariati e degli in-<br />

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ACS, PNF, SV, s.I, b. 532, f. "Corrispondenza". Sull'argomento cfr. N. S. Onofri,<br />

Agrari e industriali finanziarono il partito fascista a Bologna, in "Resistenza oggi",<br />

n. 3, aprile 2002, pp. 37-45.<br />

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