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Fascicolo, Edda Arca e Maria Grazia Pozzato - Utem.it

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PRESENTAZIONE<br />

Sono tante e diverse le interpretazioni date al “movimento” che anima le nostre v<strong>it</strong>e.<br />

Gli autori di questo fascicolo ne seguono varie linee, ma approdano tutti alla consapevolezza di aver<br />

raggiunto una cresc<strong>it</strong>a personale attraverso relazioni ed esperienze familiari e sociali, o perseguendo<br />

con strenua tenacia la realizzazione dei propri sogni.<br />

Talora i racconti trattano di semplici traslochi o trasferimenti in amb<strong>it</strong>i piuttosto ristretti – nello<br />

stesso paese, c<strong>it</strong>tà o regione – ma più spesso di spostamenti in luoghi lontani che assumono<br />

carattere di migrazioni defin<strong>it</strong>ive, o di viaggi che consentono di aprirsi ad altre culture.<br />

Non mancano testimonianze di v<strong>it</strong>e attraversate dal dramma della guerra, che costringe a fughe e a<br />

cambiamenti continui e devastanti, generando paura e terrore nei protagonisti, apprensione e ansia<br />

nelle persone che condividono il loro destino.<br />

“Movimento” è soprattutto quello affrontato da chi, in momenti di crisi economica e sociale nel<br />

proprio paese, ieri come oggi, sceglie di trasferirsi in terre remote e sconosciute, ove trovare uno<br />

spazio per vivere. Ma molti dei protagonisti – uomini e donne intraprendenti! – sono sorretti dalla<br />

consapevolezza di possedere capac<strong>it</strong>à e conoscenze adeguate ad ampliare i propri orizzonti, ad<br />

affrontare nuove sfide, a confrontarsi con ambienti e ab<strong>it</strong>udini diverse, superando il disagio dello<br />

sradicamento, di incomprensioni o pregiudizi.<br />

In tutti permane la nostalgia della terra d’origine; in qualcuno è forte il desiderio di r<strong>it</strong>ornarvi<br />

defin<strong>it</strong>ivamente, quasi che la pienezza di v<strong>it</strong>a si possa raggiungere solo rientrando là da dove si è<br />

part<strong>it</strong>i, per r<strong>it</strong>rovare il paesaggio, le persone, le atmosfere… Ma quasi sempre è un desiderio<br />

frustrato: subentrano nuovi condizionamenti – i figli, i nipoti, la casa – e il r<strong>it</strong>orno risulta<br />

impraticabile.<br />

L’attaccamento al luogo d’origine può allentarsi se l’integrazione è gratificante, dà sicurezza e<br />

soddisfazione perché dove ci si è stabil<strong>it</strong>i si sono messe nuove radici, si sono strette cordiali<br />

amicizie, si partecipa a pieno t<strong>it</strong>olo alla v<strong>it</strong>a di comun<strong>it</strong>à, circondati dalla stima di tutti.<br />

Aver garant<strong>it</strong>o a se stessi e alla propria famiglia decoro e dign<strong>it</strong>à, superando condizioni difficili o<br />

lim<strong>it</strong>azioni sociali, stimola il bisogno e il piacere di lasciare testimonianza degli eventi vissuti,<br />

considerati eccezionali o comunque fondanti per la propria ident<strong>it</strong>à personale e familiare.<br />

È di tali sentimenti che sono frutto questi nostri racconti, come un riappropriarsi di qualcosa di<br />

prezioso, che sentiamo parte della nostra interior<strong>it</strong>à.<br />

I protagonisti parlano senza dubbio di sé, ma anche di tanti compagni di strada accomunati da<br />

esperienze simili, quindi le vicende personali superano l’amb<strong>it</strong>o strettamente individuale per<br />

diventare storia collettiva.<br />

A rinsaldare la convinzione che in tutte le storie sono riconoscibili atteggiamenti e valori universali<br />

validi ieri come oggi, e che il desiderio di testimoniarli è costante e diffuso, aiuta la scoperta – fatta<br />

da alcuni di noi – delle memorie familiari qui riportate.<br />

Si tratta di lettere, foto, diari, documenti, che contengono notizie, osservazioni e riflessioni tante<br />

volte sent<strong>it</strong>e rievocare in casa e che ora, a distanza di tempo, acquistano in uman<strong>it</strong>à: in tanti anni di<br />

laboratorio (ben sei!) abbiamo imparato a immedesimarci in tante storie di v<strong>it</strong>a, e anche a quelle del<br />

passato più lontano vogliamo dare nuova voce.<br />

1<br />

Le curatrici<br />

EDDA ARCA e MARIA GRAZIA POZZATO


UTEM - Univers<strong>it</strong>à della Terza Età di Montebelluna<br />

Sede operativa: Casa del Volontariato (ex Biblioteca), Via Dante Alighieri 14<br />

S<strong>it</strong>o internet: www.utem.<strong>it</strong><br />

Posta elettronica: info@utem.<strong>it</strong><br />

Nell’eventual<strong>it</strong>à in cui immagini di proprietà di terzi siano state qui riprodotte, l’UTEM ne<br />

risponderà agli aventi dir<strong>it</strong>to che si rendano reperibili.<br />

2


ADRIANA<br />

UNA NONNA CORAGGIOSA<br />

Qualche giorno fa, rovistando tra i vecchi documenti di famiglia, mi è cap<strong>it</strong>ato tra le mani il<br />

Bollettino N.1 del 1915 del Municipio di Feltre. Con esso si avvisavano i c<strong>it</strong>tadini che il Comune si<br />

era regolarmente ricost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o a Firenze per sottrarsi all’invasione austroungarica e li si inv<strong>it</strong>ava a far<br />

pervenire, al più presto, notizie sulla loro attuale sistemazione per poter compilare un elenco delle<br />

persone profughe da Feltre. Il Comune inoltre avvertiva che a Feltre si era formato un Com<strong>it</strong>ato di<br />

Salute Pubblica impegnato a non abbandonare la c<strong>it</strong>tà, qualunque evento si fosse prospettato. Al<br />

Com<strong>it</strong>ato il Comune aveva consegnato un cospicuo fondo in denaro e tutti i generi essenziali,<br />

collocati nello Spaccio Comunale, per far fronte ai maggiori e più impellenti bisogni.<br />

A questo inv<strong>it</strong>o nonna Nicoletta confermò che sarebbe rimasta in<br />

paese.<br />

Era, la nonna, una donna alta, magra, dall’aspetto fiero, orgoglioso,<br />

ma nello stesso tempo dolce. Vestiva sempre ab<strong>it</strong>i scuri, un ampio<br />

grembiule arricciato ai fianchi con grandi tasche capaci di contenere la<br />

corona del rosario e la tabacchiera ben lavorata; uno scialle nero di<br />

lana le proteggeva le spalle e un fazzoletto scuro annodato sotto la<br />

nuca le copriva i capelli.<br />

Viveva sola in una grande casa ove – sulle pareti d’ingresso – erano<br />

appesi, uno di fronte all’altro, due grandi quadri del nonno e dello zio<br />

T<strong>it</strong>o, che incutevano rispetto e silenzio. Sulla facciata principale della<br />

casa sporgeva un terrazzino da dove si poteva assistere alla v<strong>it</strong>a del<br />

paese. La nonna era sol<strong>it</strong>a trascorrervi le giornate leggendo e<br />

pregando. Nel giardino, lim<strong>it</strong>ato dalle mura e da una fontana, un<br />

tempo crescevano due grandi castagni e un piccolo pero e qui i<br />

giovani del paese si r<strong>it</strong>rovavano a far festa con musica e balli.<br />

Quando da piccola con la mamma andavo dalla nonna, lei non ci accoglieva con grandi effusioni,<br />

ma nel vederci il suo viso si illuminava di gioia: le bastava un “come state?” per accoglierci in casa.<br />

La mamma era l’ultima di sei fratelli, la più esile, e per lei la nonna provava un particolare affetto,<br />

che manifestava anche a me… conservandomi ogni anno la mia parte di pere.<br />

La ricordo sempre intenta a leggere, alle volte seduta sul piano della stufa ancora tiepido, con la<br />

lampada a carrucola sopra un libro: leggeva fino a tarda notte libri fantastici di antiche leggende,<br />

storie dei cavalieri della Tavola Rotonda o commoventi romanzi. A tarda età, quando gli occhi<br />

erano quasi spenti, teneva tra le mani il libro delle preghiere con lettere alte una spanna e leggeva<br />

ciò che sapeva a memoria. Era stato un vecchio dalla barba bianca ad insegnarle da piccola a<br />

leggere e a scrivere perché all’epoca della sua infanzia, intorno al 1860, non c’erano scuole in<br />

paese.<br />

Non parlava mai del nonno, morto molto giovane: un sant’uomo a giudizio della gente, ma lei non<br />

l’aveva mai amato, malgrado avessero avuto sette figli. Lo aveva sposato su consiglio di sua madre<br />

perché era figlio unico e quindi la famiglia in cui stava per entrare sarebbe stata meno impegnativa<br />

per lei, giovane sposa. Così al matrimonio che desiderava veramente aveva rinunciato quando già le<br />

pubblicazioni erano state fatte, ma conservò sempre nel suo cuore il ricordo del suo grande amore.<br />

La nonna non uscì mai dal paese. Solo una volta venne a trovarmi a Merano quando ero ammalata.<br />

Viaggiò però col pensiero e con il suo amore seguendo i figli nell’avvicendarsi degli avvenimenti.<br />

3


Il primo ad uscire di casa fu T<strong>it</strong>o, il più vecchio: nel 1911 partì per la guerra in Libia. Con angoscia<br />

la nonna attese il suo r<strong>it</strong>orno dopo che per tre volte le era stata annunciata la morte “per mano di<br />

un’araba” (così si diceva). Lui invece tornò a casa col grado di cap<strong>it</strong>ano.<br />

Il peggio avvenne nella guerra del 1915-18, quando Feltre fu<br />

invasa dalle truppe austroungariche che saccheggiarono e<br />

depredarono il paese. Si moriva di fame e di pellagra e gli oggetti<br />

più cari e significativi venivano barattati per un pugno di farina.<br />

I quattro figli della nonna furono sub<strong>it</strong>o arruolati ed inviati al<br />

fronte in postazioni diverse; le due figlie di sedici e diciassette<br />

anni, su sollec<strong>it</strong>azione del Comune, partirono profughe per<br />

Cesenatico, accolte in un ist<strong>it</strong>uto di suore.<br />

In questa immane tragedia la nonna era sola nella lotta per la<br />

sopravvivenza e sola attendeva con ansia le poche e scarne notizie<br />

dai suoi figli. Non tardò molto ad arrivare la notizia della morte<br />

del figlio T<strong>it</strong>o, avvenuta nel 1916. Questi si trovava in prima linea<br />

sul monte Caoriol e, mentre incoraggiava e inc<strong>it</strong>ava il suo<br />

battaglione all’avanzata, fu colp<strong>it</strong>o da due pallottole, una al cuore<br />

(ove teneva la foto del figlioletto) e una alla fronte. Il più giovane<br />

dei fratelli, venuto a conoscenza dell’accaduto, lo volle vendicare.<br />

Sostenuto dall’ideale di un’Italia libera e un<strong>it</strong>a, volle andare in<br />

prima linea, ma venne fer<strong>it</strong>o gravemente dallo scoppio di una<br />

granata e r<strong>it</strong>ornò grande invalido. Gli altri due fratelli furono<br />

sub<strong>it</strong>o spostati nelle retrovie e rientrarono alla fine del confl<strong>it</strong>to.<br />

La nonna raccontava che alla fine della guerra fu inv<strong>it</strong>ata a una cerimonia in onore del figlio T<strong>it</strong>o:<br />

nella piazza grande di Feltre un plotone di soldati sfilò davanti a lei presentando le armi e il<br />

comandante le appuntò sul petto tre medaglie al valore, d’argento e di bronzo.<br />

Da allora la nonna, quando preparava la polenta, cantava una canzone che diceva: “Il cap<strong>it</strong>an della<br />

compagnia e l'è fer<strong>it</strong>o e sta per morir e manda a dire ai suoi alpini perché lo vengano a r<strong>it</strong>rovar”.<br />

Ogni volta grosse lacrime le scendevano sul viso. La sua nipotina se ne accorgeva e chiedeva:<br />

“Perché piangi, nonna?”. “Perché anche mio figlio era cap<strong>it</strong>ano degli alpini ed è morto”.<br />

UN EMIGRANTE ITALIANO<br />

Ero alla Coop a fare la sol<strong>it</strong>a spesa. Nel piazzale del negozio due carabinieri discutevano<br />

animatamente con un ragazzo di carnagione scura che si difendeva in un <strong>it</strong>aliano stentato: “Non ho<br />

fatto niente di male, ho solo un euro che mi ha appena dato un signore. Ve lo do, lasciatemi<br />

andare”. Quelli invece non sentivano ragione: lo fecero salire in macchina e lo portarono via.<br />

Mi ricordai delle “barche della speranza”, di quanto i giornali scrivono e di quanti disperati<br />

finiscono in mare. Chissà quale buon dio aveva salvato questo poveretto dalla tragedia!<br />

Provai una grande pena.<br />

La storia dell’emigrazione è sempre molto triste; è la storia di persone che per ragioni di guerra o di<br />

fame sono costrette a lasciare il proprio paese e gli affetti più cari e a cercare per sé e per la propria<br />

famiglia un luogo più sicuro ove poter vivere; persone coraggiose, pronte ad affrontare pesanti<br />

sacrifici, oltre che l’indifferenza e a volte il disprezzo, pur di trovare qualche sicurezza.<br />

Molti ricordi tristi affollarono la mia mente. Anch’io, sposando uno straniero, ho dovuto affrontare<br />

difficoltà impensabili e – peggio di tutto – il senso di esclusione dal mio stesso ambiente affettivo.<br />

4


Anche nella mia famiglia ci sono stati degli emigranti.<br />

Zia Angelina era andata in Germania con il mar<strong>it</strong>o a<br />

gestire un albergo-ristorante frequentato da molti<br />

<strong>it</strong>aliani. A Duisburg erano nati tre figli ma, allo<br />

scoppio della prima guerra mondiale, tutti dovettero<br />

abbandonare ogni cosa e rientrare in Italia.<br />

Si sistemarono alla meglio nella vecchia casa di<br />

Cesana e poco tempo dopo lo zio dovette partire per la<br />

guerra. La zia rimase sola ad accudire la famiglia in<br />

una s<strong>it</strong>uazione inimmaginabile. Furono anni difficili:<br />

l’invasore austroungarico aveva razziato tutto e la zia<br />

e i suoi figli vissero con quel poco che poteva offrire<br />

la campagna.<br />

Alla fine del confl<strong>it</strong>to il Paese si trovò in una profonda crisi. Non c’era lavoro e molti <strong>it</strong>aliani<br />

dovettero emigrare.<br />

Anche Lindo, il figlio maggiore della zia, considerate le poche opportun<strong>it</strong>à di studio e di lavoro in<br />

Italia, dopo essere stato in vari paesi europei, decise a soli diciassette anni di partire per gli Stati<br />

Un<strong>it</strong>i in quanto – era risaputo – lì “le strade erano lastricate d’oro”.<br />

S’imbarcò a Genova, da solo, e dopo parecchi giorni di navigazione giunse a New York. Era<br />

l’inizio della grande depressione e le strade non erano certo lastricate d’oro, anzi spesso non erano<br />

nemmeno asfaltate...<br />

Malgrado il lavoro fosse scarso, Lindo non si scoraggiò: voleva a tutti i costi realizzare il suo<br />

desiderio di studiare. Trovò sempre il modo di soddisfare le sue necess<strong>it</strong>à e aiutare la famiglia in<br />

Italia. Fece i più svariati lavori, spostandosi continuamente in diverse parti del paese, correndo dove<br />

c’era lavoro, qualsiasi esso fosse. Come in teatro gli artisti svolgono vari ruoli, così lui si adattava ai<br />

diversi lavori: boscaiolo, cuoco, operaio edile e operaio meccanico nelle acciaierie di Detro<strong>it</strong>.<br />

In tal modo si arricchì di esperienze di ogni genere.<br />

Più tardi colse un’opportun<strong>it</strong>à inaspettata e si trasferì sulla costa nordoccidentale del Pacifico, a<br />

Seattle, dove il verde paesaggio collinare gli ricordava Cesana, il suo paese lontano.<br />

Qui lavorò per d<strong>it</strong>te che realizzavano grandi progetti e finalmente, dopo tante esperienze e sacrifici,<br />

venne il momento di realizzare quanto aveva da sempre desiderato: approfondire gli studi.<br />

Si trasferì in California, dove frequentò l’Univers<strong>it</strong>à per diventare meccanico aeronautico. Per lui<br />

l’istruzione era la chiave per una futura riusc<strong>it</strong>a personale. Si laureò e r<strong>it</strong>ornò a Seattle. Nel 1939, a<br />

ventinove anni, fu assunto come dirigente dalla Compagnia Aerea Boeing. Le sue capac<strong>it</strong>à, la sua<br />

specializzazione nella lavorazione del metallo e la sua inventiva gli procurarono molti incarichi<br />

importanti.<br />

Mentre lavorava ad un progetto già ne aveva in mente un altro: si occupò dei prototipi di veicoli<br />

aerospaziali, delle navicelle, e poco prima di r<strong>it</strong>irarsi dal lavoro partecipò al progetto delle ruote del<br />

veicolo che gli astronauti avrebbero poi guidato sulla Luna.<br />

All’interno della Compagnia Boeing Lindo era tenuto in grande considerazione. Anche chi non lo<br />

conosceva personalmente, sapeva che il suo lavoro aveva spaziato su tutta la tecnologia del<br />

ventesimo secolo.<br />

Ogni oggetto costru<strong>it</strong>o da lui era fatto con la massima precisione: la forma speciale, una piccola<br />

decorazione rivelavano la sua firma. Si può portare via un ragazzo dall’Italia, ma non si può portare<br />

via l’Italia da un ragazzo.<br />

Malgrado il suo grande amore per la famiglia, solo dopo ventotto anni riuscì a tornare in Italia per<br />

un breve periodo e soltanto poco prima di morire rivelò al figlio la storia delle sue esperienze e della<br />

sua collaborazione ai progetti spaziali.<br />

5


CARLO<br />

BISOGNA PARTIRE<br />

Che movimento in questo paese! Tutti vorrebbero andar via!<br />

Poi in molti sono andati via veramente. Io sono rimasto perché mi scartarono alla vis<strong>it</strong>a di idone<strong>it</strong>à:<br />

avevo le mani sudate e non si potevano avere le mani sudate per lavorare in un calzificio in<br />

Svizzera.<br />

Potrei scrivere tante storie di loro, dei miei amici: una per ognuno di loro.<br />

Mi lim<strong>it</strong>erò a scrivere quella di Toni, che è anche la storia di altri.<br />

Toni era un giovane mio coetaneo, di famiglia contadina. La sua campagna in aff<strong>it</strong>to ormai non<br />

bastava più per formare e mantenere una nuova famiglia: con l'avvento della meccanizzazione<br />

sarebbe bastato un solo fratello per condurre l'azienda del padre. Cosa fare dunque? Altri lavori qui<br />

non ce n’erano, se non qualche attiv<strong>it</strong>à artigianale mal pagata e senza contributi previdenziali.<br />

Bisognava emigrare.<br />

Toni aveva appena fin<strong>it</strong>o la naia. In quel periodo c'erano tante possibil<strong>it</strong>à di emigrare: in Australia,<br />

in Canada, in Svizzera, ma anche a Milano, Genova, Torino...<br />

Scelse quest'ultima c<strong>it</strong>tà. Partì armato solo del battesimo e del fil della schiena, come si suol dire.<br />

Aveva una valigia in mano e un biglietto del treno di terza classe.<br />

Andò a lavorare alla FIAT, nel reparto verniciatura. Perfino le lettere che mi scriveva sembrava che<br />

sapessero di vernice, dell’aria soffocante che doveva respirare, aria decisamente diversa della<br />

campagna di suo padre.<br />

E dove andava a dormire? In un bugigattolo in un quartiere di periferia.<br />

Il pensiero fisso di Toni era sempre quello di tornare a casa, di tornare a vivere nel suo paese natio.<br />

E infatti, appena Toni ha potuto avere qualche soldo, si è comperato un bell’appezzamento di<br />

terreno di circa seimila metri quadrati in una posizione centrale del suo paese. Dopo un po' di tempo<br />

su quel terreno si è costru<strong>it</strong>o una grande bella casa.<br />

In segu<strong>it</strong>o nella nuova Torino è riusc<strong>it</strong>o a cambiare attiv<strong>it</strong>à andando a lavorare in un vivaio di piante<br />

e fiori. Dopo alcuni anni si è messo in proprio in quel settore ed ha avuto fortuna.<br />

Toni però non è mai riusc<strong>it</strong>o a dimenticare il suo paese, la sua gente, le strade, le case, la chiesa, il<br />

campanile...<br />

Ma la v<strong>it</strong>a continuava là dove era emigrato: ormai nella sua Torino si trovò la fidanzata, anche lei di<br />

famiglia contadina e originaria della sua provincia.<br />

Si è sposato, ha avuto una figlia, poi un maschio, poi altre due figlie. Questi figlioli crearono<br />

un’atmosfera gaia, serena, allegra, non solo in famiglia ma anche nella parrocchia e nel vicinato.<br />

A questo punto Toni era molto indeciso se tornare a casa nel suo paese o restare nel nuovo<br />

ambiente. Poi sono mancati i gen<strong>it</strong>ori e inoltre i figli volevano vivere nel luogo dove erano nati.<br />

Alla fine Toni prese una decisione sofferta: vendette la sua bella casa costru<strong>it</strong>a in centro al paese<br />

natio, quella casa sulla quale aveva coltivato tanti sogni, tante speranze.<br />

Toni ora vive a Torino con i suoi figli e con i nipoti.<br />

Non mi scrive più, ma spesso mi telefona. I suoi discorsi tornano sempre sul vecchio paese, sulle<br />

persone e sulle cose che ha lasciato.<br />

Io non riesco proprio a convincerlo che quell’ambiente non esiste più, che tutto è cambiato: le<br />

strade, le case, la gente, le ab<strong>it</strong>udini. Tutto è cambiato!<br />

Tante cose ormai esistono solo nei suoi ricordi e nella sua nostalgia.<br />

6


IN TANZANIA HO INCONTRATO GLI ANGELI<br />

Non ero mai stato in Africa. Questa volta mi sono deciso a raggiungere mia sorella missionaria, mi<br />

sono preparato e sono part<strong>it</strong>o.<br />

Parto da Treviso con un aereo delle linee olandesi che si dirige verso nord. Comincio a non capire:<br />

l’Africa è verso sud! Ma forse si vuole raggiungerla attraverso il polo nord…<br />

Alle 23 precise, quando è notte fonda, un jumbo DC 10 decolla dall’aeroporto di Amsterdam.<br />

Ho il posto vicino al finestrino e posso guardare in basso. Ma è buio pesto e non vedo niente, se non<br />

di tanto in tanto qualche agglomerato di luci che indica una c<strong>it</strong>tà. Poi più niente.<br />

Quando comincia il chiarore del giorno, dovrei già essere oltre il Med<strong>it</strong>erraneo, penso. Guardando<br />

dal finestrino scopro invece qualcosa che assomiglia alla vasta banchisa polare. Questa enorme<br />

distesa di nubi si estende a perd<strong>it</strong>a d’occhio: sono cirri cumuliformi, tutti alla stessa altezza, così<br />

bianchi che fanno pensare alla distesa di un ghiacciaio.<br />

Ma ecco ora uno squarcio. Sotto non si vede se non terra arida e sabbia: è il deserto del Sahara.<br />

Ora invece si vedono dei “serpenti” di verde. Devono essere dei fiumi in secca in questa stagione.<br />

Poi si può ammirare il bel verde cupo intenso della lussureggiante vegetazione equatoriale.<br />

Mentre l’aereo va, compaiono delle nubi sopra cui si staglia un enorme groviglio di rocce coperte di<br />

neve. Al centro vedo un anello di roccia (un vulcano?) e ancora neve. Ma dove sono? Sulle Alpi<br />

Dolom<strong>it</strong>iche o sul Monte Bianco? No, è il Kilimangiaro: la montagna più alta di tutta l’Africa, che<br />

si erge a oltre 6ooo metri di altezza.<br />

Ora l’aereo inizia l’atterraggio sull’aeroporto di Dar es Salaam. Sotto di noi c’è l’Oceano Indiano.<br />

Prima di uscire dall’aeroporto bisogna cambiare moneta. Cambio 100 dollari: mi viene data una<br />

quant<strong>it</strong>à di scellini che il mio portafoglio è incapace di contenere.<br />

Decido di metterli nella borsa. Povero paese, penso, con una moneta<br />

così debole!<br />

La missionaria della Consolata che è venuta a prendermi mi fa salire su<br />

uno sgangherato taxi: speriamo solo che prima di rompersi riesca a<br />

portarci a destinazione.<br />

Per la strada mi colpisce il gran numero di persone che camminano<br />

tranquille sulle piste battute ai lati. Sono uomini e donne, per lo più<br />

scalzi, che indossano brandelli di vest<strong>it</strong>i. Le donne portano tutte<br />

qualcosa sulla testa.<br />

Questa visione mi diventerà familiare per tutto il tempo che resterò in<br />

Tanzania, ovunque sia andato. È un popolo di gente giovane e solo il<br />

giorno dopo il mio arrivo sono riusc<strong>it</strong>o a vedere un vecchio.<br />

Restiamo qualche giorno nella missione di Mbagala, dove c’è la procura delle suore.<br />

Mentre vado e vengo, sulla strada vedo i più bei “grappoli” che abbia mai visto in v<strong>it</strong>a mia: sono<br />

numerosi e bellissimi grappoli di bambini. Hanno i piedi nella polvere, sono mezzo svest<strong>it</strong>i, ma<br />

sono gai, vispi e allegri come tutti i bambini del mondo. Mi fermo a guardarli. Mi si dilata il cuore.<br />

È una sensazione fortissima che mi accompagnerà per tutto il tempo che resto in Tanzania.<br />

Intanto penso alle case lussuose nel nord del mondo, senza bambini ma piene di aggeggi elettronici.<br />

Qua invece non ci sono né case né comfort, ma ti si allarga il cuore nel vedere questi piccoli, ai<br />

quali le madri riservano moltissimo affetto e moltissimo tempo. Sei ricca, Tanzania! Anche se la tua<br />

moneta conta poco, anche se sono evidenti i segni della tua povertà, di questi bambini e di queste<br />

mamme c’è da essere fieri!<br />

7


Dopo due giorni andiamo a vis<strong>it</strong>are la missione di Kilimaewa. Per una strada piena di buche,<br />

(grandi così non ne ho mai viste in v<strong>it</strong>a mia) facciamo circa 100 chilometri, ma siamo sempre nella<br />

parrocchia di Dar es Salaam.<br />

Questa missione è stata fondata un anno e mezzo fa, ma le suore vi hanno già aperto un dispensario,<br />

hanno iniziato a fare il catechismo, insegnano a leggere e scrivere e anche un po’ di puericultura,<br />

vis<strong>it</strong>ano la gente dei villaggi.<br />

Andiamo in uno di questi villaggi, Mbulani, con un padre benedettino tedesco che dovrà<br />

amministrare un matrimonio, cinque prime comunioni, un battesimo, tutti durante la stessa<br />

celebrazione.<br />

Si parte con due macchine. Arriviamo al centro del villaggio, la gente ci aspetta. C’è una sola<br />

casupola, di una “muratura” tutta speciale e con il tetto coperto di paglia. Sui miseri muri qualcuno<br />

ha scr<strong>it</strong>to con il carbone: Mtakatifu Petro, cioè Chiesa di san Pietro.<br />

Il prete tedesco non vuol celebrare in chiesa, preferisce la piazza: è uno spazio con grandi alberi di<br />

acagiù e di mango ai quali sono appese delle bandierine tricolori formate da foglie e fiori rossi e<br />

gialli, e da pagine bianche di un vecchio calendario <strong>it</strong>aliano.<br />

Arriva la sposa vest<strong>it</strong>a di bianco: un grembiule delle suore, penso. Poi da un sentiero arriva lo<br />

sposo. Lo precede suo figlio quarantenne che intona l’alleluia. Tutta la gente intorno canta e danza e<br />

al suono di strumenti rudimentali danzano perfino i bambini che a malapena si reggono in piedi.<br />

Durante la messa si celebrano i sacramenti.<br />

Poi padre Bedda si rivolge agli sposi ultrasessantenni:<br />

- Nswu benamu? Sei contenta?<br />

- Mdio, sì.<br />

- Wazere nankalyenga? Sei contento?<br />

- Mdio.<br />

- Ego coniungo vos…<br />

Urla di festa!<br />

L’austero padre tedesco tira fuori un grosso librone e chiede agli sposi di firmare. Per fortuna le<br />

suore – provvidenziali – hanno pensato a tutto: hanno portato il tampone per i timbri. Allora il<br />

celebrante prende la mano destra degli sposi, immerge i pollici nel tampone e poi li preme sul<br />

registro là dove c’è scr<strong>it</strong>to “signature”. Mentre loro fanno ciac col d<strong>it</strong>o, una suora fa clic con la foto.<br />

Poi il pranzo nuziale, ma qui la civiltà del cucchiaio non è ancora arrivata. Allora tutti affondiamo<br />

le mani nell’unica ciotola colma di riso e fagioli: non sono niente male!<br />

Intanto mi guardo attorno. Dove è la gioventù? Non si vede. Questo è un popolo senza ragazze.<br />

Sono tutte bambine o mamme. Infatti sono presenti una ventina di mamme con il loro bambino sulle<br />

spalle. Ma queste mamme sono giovanissime! Ci avviciniamo ad una di esse: ci dice che ha<br />

diciannove anni e già due bambini e che vuole regolarizzare anche lei la sua unione, come ora<br />

hanno fatto questi due nonni, sia in chiesa che in municipio lassù a Dar es Salaam.<br />

Le suore, che da tanto tempo hanno preparato il matrimonio di oggi, mi avevano anticipato che era<br />

importante, perché altri avrebbero preso esempio da questi due sposi.<br />

Torniamo a Kilimaewa. Dopo cena è già buio. Sto attento alle zanzare e faccio quattro passi nella<br />

boscaglia circostante: nessun rumore. Silenzio solenne. Solo mille voci di grilli, di gufi, di animali<br />

di tutte le specie rendono questo bosco pieno di armonia, di musica dolce che dà lode al creatore,<br />

mentre in alto un cielo pieno di stelle completa lo spettacolo.<br />

Ora mi r<strong>it</strong>iro a dormire nell’alloggio preparato per me, mentre fuori due arcigni guerrieri, armati di<br />

arco e frecce, montano la guardia. Mi sembra di essere al Quirinale, scortato dai corazzieri. Ma per<br />

loro io sono molto più di un presidente: sono l’uomo bianco, il loro osp<strong>it</strong>e.<br />

8


Al mattino seguente mi sveglio al richiamo della preghiera mattutina. Fedeli e suore pregano<br />

insieme in chiesa per invocare l’aiuto di Dio all’inizio della giornata. Quando mi alzo, al<br />

dispensario una lunga fila di ammalati aspetta già la suora. Altre due suore vanno a insegnare il<br />

catechismo agli adulti, un’altra deve sovrintendere a tutto l’andirivieni che c’è in missione.<br />

Io e mia sorella ci offriamo di andare a prendere acqua al pozzo, distante circa tre chilometri. Poco<br />

dopo il nostro arrivo il luogo si popola di gente, di donne e ragazzi che vengono per vederci.<br />

Io indosso i mocassini, un paio di pantaloni da gelataio e un camicia chiara. Pure mia sorella veste<br />

di bianco. Mi sento come un gondoliere sul Canal Grande. E mentre pompo l’acqua una donna<br />

sgrida mia sorella perché fa lavorare l’uomo. Mia sorella le risponde non so che cosa – non capisco<br />

la lingua – ma tutti si mettono a ridere. Poi un’altra donna si rivolge a me e mi chiede di sposarla,<br />

ma questa volta le donne non ridono. Sub<strong>it</strong>o mia sorella risponde che non si può perché io sono già<br />

sposato ed ho due figli. Ma la donna insiste: “Che cosa importa? Sposi anche me!” (nella religione<br />

musulmana e animista in effetti sono ammesse due, tre e anche quattro mogli).<br />

Il giorno dopo arriva padre Fedele, un frate<br />

cappuccino, e con lui si va a Kib<strong>it</strong>i, dove le suore<br />

vogliono fondare un’altra missione: qua la<br />

chiesa, là la casa per le suore, là in fondo la<br />

scuola per il catechismo, dall’altra parte il<br />

dispensario, di qua l’orto… Non sono persone<br />

comuni queste suore!<br />

Il giorno dopo è ancora festa. Siamo seduti su<br />

una specie di panca sotto un albero: io vest<strong>it</strong>o<br />

sempre di chiaro, mia sorella di bianco. La gente<br />

ci guarda da lontano, ci spia. Chissà cosa<br />

pensano! Qualcuno si azzarda a raggiungerci per<br />

riverirci.<br />

Intanto arriva il padre per celebrare la messa. Si suona la “campana”, un vecchio cerchione di ruota<br />

di camion appesa ad un albero con uno spago.<br />

La gente si raduna in cerchio attorno a noi. Si parla. Ci dicono che noi siamo fortunati perché<br />

vediamo i nostri vecchi. Loro invece muoiono tutti giovani e i loro figli possono solo sentir parlare<br />

dei nonni. I nostri figli invece li vedono e si intrattengono con loro. Io faccio capire che anche noi<br />

abbiamo le nostre croci: spesso i nostri vecchi sono maltrattati, abbandonati, relegati in sol<strong>it</strong>udine,<br />

oppure lasciati a vegetare nelle case di riposo. Ma loro ribattono: “Sì, sì, tutto quello che volete, ma<br />

intanto i giovani vedono i loro nonni e possono sentirli raccontare del passato”.<br />

Poi si parla di agricoltura, di scuola per l’agricoltura. Sanno che sono un tecnico agrario. Si<br />

animano quando mia sorella traduce le mie parole. Vorrebbero a tutti i costi che venissi qua ad<br />

insegnar loro a coltivare la terra. Dicono che riceverei l’aiuto di tutti e dello stesso governo. Parlano<br />

seriamente e cercano in ogni modo di convincermi.<br />

Intanto altra gente continua ad arrivare. Senza fretta, seduta sotto gli alberi, aspetta che il padre<br />

finisca di confessare per poi celebrare la messa. Il tempo qua non conta...<br />

Ora la messa è incominciata. Bella questa lingua kiswahili! Peccato che io non riesca a capire<br />

neanche una parola! Belli anche questi canti africani sent<strong>it</strong>i dal vivo, nel mezzo della foresta.<br />

La gente è seduta per terra. Le donne allattano i bambini. I ragazzi guardano e pregano con<br />

semplic<strong>it</strong>à e fervore. Un poco più in là, assiepati, i musulmani e gli animisti ci osservano.<br />

Nel pomeriggio faccio un giro per il villaggio e trovo delle donne che con un bastone schiacciano il<br />

mais nel mortaio per fare la polenta. Zecchipenzi, il vecchio saggio, mi dice: “Ora il dispensario lo<br />

abbiamo, tra poco avremo il mulino e allora saremo a posto. Sono andato io fin lassù a Dar es<br />

Salaam, a cento chilometri da qui, a chiederlo!”.<br />

9


L’indomani siamo a Mbagala. Di mattina verso le otto faccio un giro per il dispensario per trovare<br />

suor Anna Clara che sta lavorando. Un sacco di pazienti aspettano il loro turno. Ne conto fino a<br />

duecento, ma sono sicuramente di più. Vedo anche un buon numero di ragazzine che sembrano<br />

giocare con le bambole: solo che le bambole sono bambini veri. I loro figli.<br />

Più tardi partiamo per Bagamoyo per una g<strong>it</strong>a di tutta la giornata. C’è mia sorella, suor Franca<br />

Lidia, suor Ester della tribù dei Wabena, e io. La c<strong>it</strong>tà dista settanta chilometri, ma la strada è<br />

buona. È con profonda emozione che vis<strong>it</strong>iamo questo luogo: di qua infatti partivano gli schiavi<br />

destinati a essere trasportati in America. Qui tutto parla di schiavi e di schiavismo. Sembra che<br />

Bagamoyo stesso voglia dire morte, disperazione.<br />

Siamo di fronte all’isola di Zanzibar. Qui c’era il porto. Ora si vede un mare bellissimo, l’Oceano<br />

Indiano.<br />

Partendo dai laghi di Niassa e Tanganica gli schiavisti razziavano tutte le persone che trovavano e le<br />

portavano qui incatenate. Molti prima di arrivare morivano di fame, di malattie e di maltrattamenti.<br />

Ora si può osservare una sessantina di plinti in cemento ai quali gli schiavi venivano legati con<br />

catene di ferro.<br />

Nel museo di questo paese si possono leggere nomi e cognomi di schiavisti, copie di certificati di<br />

schiavi resi liberi e un proclama con il quale l’Inghilterra vietava di portare schiavi in India e negli<br />

stati arabi perché dovevano servire in America.<br />

Tuttavia anche allora c’erano persone come padre Massimiliano Kolbe. Qua a Bagamoyo sono<br />

arrivati i fratelli dello Spir<strong>it</strong>o Santo che nel 1879 iniziarono a comperare schiavi per dar loro la<br />

libertà. Ed hanno continuato a farlo fino al 1922. Queste notizie si trovano nel museo.<br />

Anche il grande missionario ed esploratore David Livingstone dopo la morte è stato portato qua a<br />

spalle attraverso tutta la foresta dai suoi uomini di colore: molti morirono, ma quelli che arrivarono<br />

dissero: “Adesso possiamo morire anche noi, il nostro comp<strong>it</strong>o lo abbiamo svolto”.<br />

Suor Ester mi fa notare che da questo posto è part<strong>it</strong>a l’evangelizzazione della Tanzania.<br />

Ora tra i grossi frangipani circondati da piante di cocco, di banane e di acagiù c’è un lindo cim<strong>it</strong>ero<br />

dove si possono leggere nomi di missionari morti giovanissimi, fra cui quelli di cinque missionarie<br />

poco più che ventenni, morte tutte in un solo anno.<br />

Tornando vis<strong>it</strong>iamo ancora qualche spiaggia africana, sempre bellissima e deserta; poi andiamo a<br />

Dar es Salaam (che vuol dire “il luogo della pace”) nella procura dei padri della Consolata per<br />

ascoltare la messa vespertina. Purtroppo il celebrante, padre Aldo Pellizzari, è senza ostie. Allora<br />

prende un pezzo di pane, ne fa sei parti, le consacra: se non è pane azzimo, pazienza!<br />

Tornando a casa, mentre varchiamo il cancello della missione, scorgiamo suor Anna Clara che esce<br />

dal dispensario dopo aver vis<strong>it</strong>ato l’ultimo malato della giornata.<br />

Erano tanti gli ammalati che avevo visto stamattina e suor Anna Clara ha dovuto lavorare tutta la<br />

giornata per poterli accontentare tutti. Ce l’ha fatta,<br />

ma quante ore ha dovuto lavorare oggi? E per quale<br />

denaro? Per quale ricompensa? Per amore di Dio.<br />

Ma ora si nota che è stanca e domani deve iniziare di<br />

nuovo.<br />

A sera sono rientrate tutte le suore della comun<strong>it</strong>à di<br />

Kilimaewa e c’è molta festa in questa casa di<br />

procura, come se fossero r<strong>it</strong>ornate a casa.<br />

Care suore, ho visto tante belle cose, ma la cosa più<br />

bella che ho visto siete voi, le vostre comun<strong>it</strong>à!<br />

10


INNOCENZA<br />

IL “CONTINENTE”<br />

La Sicilia, dove sono nata, è notoriamente un’isola. E questo fatto – i confini ben defin<strong>it</strong>i, il mare<br />

che la circonda – dava ai suoi ab<strong>it</strong>anti dei connotati particolari e, talvolta, contradd<strong>it</strong>tori. Uso un<br />

tempo passato perché mi riferisco alla Sicilia di almeno mezzo secolo fa, oggi so che molto è<br />

cambiato. Da una parte i siciliani avevano un attaccamento molto forte alla loro terra, con la quale<br />

si identificavano sentendosi “isolani”; dall’altra parte però c’era la voglia di superare quei confini,<br />

di navigare, forse perché i siciliani portano nel DNA qualcosa di quei greci che, attraversando il<br />

mare, avevano in buona parte colonizzato l’isola.<br />

Per i siciliani tutto il resto d’Italia, dalle Alpi all’estrema punta calabra o pugliese, senza differenza,<br />

era “il continente”. “Sono stato in continente” era l’espressione usata da chi era andato a Roma o a<br />

Venezia o semplicemente a Reggio Calabria, traversando solo lo stretto di Messina. Il “continente”<br />

quindi aveva, nel sentire comune, quel qualcosa in più, non ben defin<strong>it</strong>o in ver<strong>it</strong>à, che creava<br />

fascino e attrattiva e rendeva un po’ snob chi c’era stato. Ricordo un proverbio siciliano che rec<strong>it</strong>a:<br />

“cu nesci, arrinesci”, cioè chi va via, chi ha il coraggio di partire, riesce nella v<strong>it</strong>a. E molti, in giro<br />

per il mondo, ci hanno provato.<br />

Nella mia famiglia, legatissima alla terra siciliana, Milano è stata, per motivi diversi, una meta. La<br />

prima ad andarci fu la mia sorellina minore che per quattro anni vi frequentò l’ Univers<strong>it</strong>à Cattolica;<br />

aveva vinto una borsa di studio che le permetteva di essere osp<strong>it</strong>ata gratu<strong>it</strong>amente al “<strong>Maria</strong>num”,<br />

un collegio univers<strong>it</strong>ario. Per mio padre questo fu motivo di grande orgoglio: l’Univers<strong>it</strong>à Cattolica<br />

era un miraggio per i cattolici illuminati come lui era; nelle parrocchie si raccoglievano fondi e<br />

molti si davano da fare perché fosse un vero centro di cultura cristiana.<br />

Tornata a casa <strong>Maria</strong>, fu la volta della sorella maggiore che, appena sposata, si trasferì a Milano<br />

perché il mar<strong>it</strong>o, toscano, vi aveva trovato lavoro presso l’Alfa Romeo. Dopo due anni, quando a<br />

Milano ero appena arrivata io, dovette cambiare sede. Io quindi fui la terza di casa a trasferirmi a<br />

Milano. Mio mar<strong>it</strong>o, allora fidanzato, dopo la laurea aveva segu<strong>it</strong>o a Palermo un corso per dirigenti<br />

di azienda e, in segu<strong>it</strong>o ad un colloquio selettivo, aveva trovato occupazione presso una<br />

multinazionale con sede a Milano. Quando partì in treno per iniziare il suo lavoro mi mandò una<br />

foto del traghetto che lo portava “in continente” e sotto c’era scr<strong>it</strong>to: “Ciao Sicilia, ma tornerò!”<br />

Questa foto è ancora nel mio vecchio album, a testimoniare che non sempre la v<strong>it</strong>a segue i percorsi<br />

che ciascuno di noi immagina.<br />

Io mi trasferii a Milano la stessa sera del mio matrimonio e quello fu anche il mio primo volo aereo.<br />

All’aeroporto con i nostri vest<strong>it</strong>i nuovi, le valigie in pelle, regalo di nozze e – mi vergogno solo a<br />

pensarci – un’orchidea in mano omaggio di un vicino di casa, accompagnati da un nugolo di<br />

familiari, eravamo proprio il prototipo degli sposini in viaggio di nozze!<br />

Al trasferimento a Milano, dopo cinque anni, ne seguì un altro, quello a Montebelluna. Anche<br />

quella volta ero convinta che non sarebbe stato per sempre; i nostri amici milanesi e i colleghi di<br />

lavoro di Umberto ci dicevano che spostarsi in provincia – e per loro tutto il Veneto era provincia –<br />

serve a far accelerare la carriera, ma che dopo alcuni anni si torna sicuramente a Milano.<br />

In ver<strong>it</strong>à, quando mio mar<strong>it</strong>o accettò quell’opportun<strong>it</strong>à di lavoro, noi non sapevamo bene dove fosse<br />

Montebelluna e devo confessare che la cercai nell’atlante in provincia di Belluno. Ma quando mi ci<br />

recai per un giorno a vedere il posto e cercare casa, capii sub<strong>it</strong>o che mi sarei trovata bene e avrei<br />

r<strong>it</strong>rovato un po’ di quell’ambiente naturale che a Milano mancava e che mi riportava alla mia<br />

infanzia: certo non c’era il mare, ma il verde sì, e tanto! Quando ci trasferimmo, arrivando in auto,<br />

11


percorrendo il viale della V<strong>it</strong>toria, dissi alla mia bambina di quattro anni che in fondo avremmo<br />

trovato la nostra casa; lei batté le mani e disse: “Che bello, abbiamo la casa nel parco Sempione!”.<br />

Era l’unica zona verde che conosceva!<br />

Ci sono rimasta a Montebelluna e mi ci sono radicata: si può dire che la mia v<strong>it</strong>a da adulta, quella<br />

professionale, sociale, oltre che familiare, l’ho vissuta qua.<br />

E la Sicilia? Quella è rimasta il mio punto fermo dove tornare di tanto in tanto. Ci sarò tornata un<br />

centinaio di volte almeno: in aereo, in treno, in auto, in occasione di feste o di lutti, di vacanze o no.<br />

E mi viene in mente una frase di Cesare Pavese tratta da “La luna e i falò” che dice: “Un paese ci<br />

vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che<br />

nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad<br />

aspettarti”.<br />

12


EZIO<br />

LE MIE ORIGINI E LA MIA TERRA<br />

Nel corso della v<strong>it</strong>a per ragioni di lavoro mi sono allontanato più volte, anche per lunghi periodi, dal<br />

mio paese: Montebelluna. Ogni volta però ho sent<strong>it</strong>o il suo richiamo ed ho fin<strong>it</strong>o con il r<strong>it</strong>ornarvi.<br />

La mia, la nostra, è una c<strong>it</strong>tadina dalle origini molto antiche e lo dimostrano i numerosi reperti del<br />

periodo paleoveneto r<strong>it</strong>rovati nel terr<strong>it</strong>orio e in piccola parte esposti nel nostro museo. Tuttavia la<br />

sua struttura attuale è relativamente recente e non ha certo il fascino di altri centri che ci circondano.<br />

Si trova però ai piedi del Montello, fra i colli che si estendono da Asolo a Conegliano, percorsi dalla<br />

Strada del vino bianco, il famoso Prosecco.<br />

Sulla Sinistra Piave, alle spalle di Pieve di Soligo, salendo lungo la collina s’incontra Refrontolo, un<br />

paesino che beneficia di un clima particolare perché ha il sole lungo tutta la giornata. Forse proprio<br />

per questo, oltre al Prosecco vi si coltiva anche il Marzemino. Ebbene proprio da questa local<strong>it</strong>à trae<br />

origine la mia famiglia. Il nonno, negli anni di fine Ottocento, gestiva, da buon mugnaio, il<br />

“Molinetto della Croda” divenuto, nel tempo, mèta di turismo locale e non solo. In occasione del<br />

Natale vi si allestisce anche una mostra di presepi.<br />

È proprio qui che il 28 gennaio 1895 è nato il mio<br />

papà. La nonna raccontava che era nato prematuro<br />

ed era così minuto e fragile che la levatrice r<strong>it</strong>eneva<br />

che avesse poche probabil<strong>it</strong>à di v<strong>it</strong>a. La mia<br />

bisnonna però lo avvolse in un panno e lo mise in<br />

una scatola da scarpe al<strong>it</strong>ando su di lui per cercare<br />

di riscaldarlo e tenerlo in v<strong>it</strong>a. Forse sarebbe<br />

sopravvissuto comunque, ma si diede grande mer<strong>it</strong>o<br />

alla mia bisnonna per averlo salvato.<br />

Nei primi anni del Novecento i nonni si trasferirono<br />

al mulino di Onigo, costru<strong>it</strong>o lungo il torrente<br />

Curogna che scorre ai piedi della chiesa: ed è qui<br />

che mio padre è cresciuto e si é fatto uomo.<br />

Allo scoppio della prima guerra mondiale fu chiamato alle armi in cavalleria ed era molto<br />

orgoglioso di appartenere a quel corpo perché aveva forgiato, diceva lui, degli esempi di valore<br />

nobili e coraggiosi. Terminata la guerra, rientrò in famiglia, assunse la conduzione di una<br />

cooperativa alimentare a Pederobba e prese in moglie una ragazza che, da mil<strong>it</strong>are, aveva<br />

conosciuto sulla sponda est del Garda. Con lei ebbe poca fortuna perché, dopo breve tempo, gli<br />

morì di parto assieme al neonato. Di questo, in famiglia, si é sempre parlato poco e credo di averlo<br />

saputo solo quando ero ormai più che ragazzo.<br />

All’inizio degli anni Venti rilevò un piccolo negozio di generi alimentari, in via Piave a<br />

Montebelluna. Fu così che, proprio nell’esercizio della sua attiv<strong>it</strong>à, ebbe modo di conoscere la<br />

giovane che sarebbe diventata la mia mamma. Sposò Marcella il 24 luglio del 1924 ed ebbero<br />

quattro figli maschi. Contemporaneamente, assieme alla famiglia aumentava anche il lavoro e così<br />

papà acquistò lo stabile accanto al suo negozietto. Di quest’ab<strong>it</strong>azione ho solo pochi e vaghi ricordi.<br />

Avevo poco più di quattro anni quando ci siamo nuovamente trasfer<strong>it</strong>i. Gli fu offerta una vecchia<br />

villa con molte stanze e annessi un porticato e alcune dipendenze che si trovavano a pochi passi<br />

dalla precedente ab<strong>it</strong>azione. Furono fatte delle modifiche per osp<strong>it</strong>are il nuovo negozio aprendo un<br />

ingresso indipendente e a fianco un’ampia vetrina. A sud dello stabile c’era uno spazio con tanti<br />

fiori e, addossate alla casa, due v<strong>it</strong>i di uva dolce da tavola e un albicocco, di cui riuscivo a cogliere i<br />

13


frutti maturi dal balcone della mia camera al primo piano. Oltre una rete c’era ancora un terreno<br />

coltivato a orto, più un vigneto intramezzato da piante di pesche e di fichi, al di là dei quali scorreva<br />

un fosso, utile per abbeverare l’orto, le piante e i fiori.<br />

A fianco di tutto questo papà aveva fatto<br />

costruire due porcili e un pollaio: vi erano<br />

allevati diversi polli e tacchini per il consumo<br />

di famiglia, mentre i maiali servivano per il<br />

negozio. Erano macellati in gran numero e i<br />

salumi di papà erano noti per la qual<strong>it</strong>à e<br />

l’ottima dosatura delle spezie. Casa nostra era<br />

(ed è) comoda alla stazione ferroviaria e la<br />

gente arrivava anche in treno per acquistare i<br />

nostri insaccati. Da quando abbiamo smesso<br />

quest’attiv<strong>it</strong>à ev<strong>it</strong>o di mangiare salumi perché il<br />

ricordo m’impedisce di accettare la divers<strong>it</strong>à<br />

del gusto.<br />

Negli ultimi anni Cinquanta, sulle macerie del vecchio è stato ricostru<strong>it</strong>o un nuovo stabile con<br />

quattro appartamenti e altri spazi più consoni all’attiv<strong>it</strong>à in espansione e alle nuove famiglie dei<br />

miei fratelli maggiori. Nel 1987, a causa dell’evoluzione del settore, concentrato sempre più verso<br />

le grandi organizzazioni, abbiamo ceduto l’attiv<strong>it</strong>à indirizzando altrove i nostri interessi.<br />

Nel 1996, dopo un decennio trascorso nella Pedemontana feltrina, sono rientrato defin<strong>it</strong>ivamente a<br />

Montebelluna. Assieme a mia moglie Giuliana ho ristrutturato l’appartamento dei miei gen<strong>it</strong>ori e<br />

ancora qui in via Piave stiamo trascorrendo serenamente la nostra terza età. Spesso salgo sulla<br />

bicicletta da corsa, supero il ponte di Vidor e da Col San Martino, attraverso Campea, Follina e<br />

Miane, salgo a Combai. Da qui fino a Valdobbiadene si corre lungo filari e filari di v<strong>it</strong>i da cui si<br />

ricava il classico Prosecco ma anche il più nobile Cartizze. Altre volte da Follina proseguo per<br />

Cison di Valmarino, Tarzo, Corbanese, salgo le “Mire” per scendere poi a Refrontolo.<br />

Negli ultimi tempi le lunghe distanze in bicicletta si sono fatte pesanti per il mio fisico. Perciò<br />

frequento prevalentemente il Montello: oltre allo Stradone del Bosco lungo il Brentella c’è la<br />

panoramica, la dorsale e ventidue prese con varie difficoltà di sal<strong>it</strong>a. Anche qui i vigneti si stanno<br />

sviluppando ogni anno di più assieme agli ulivi.<br />

A questo propos<strong>it</strong>o mi è piaciuta la battuta di un amico: “Sono sal<strong>it</strong>o<br />

sulla presa 3: a metà strada hanno piantato un vigneto che sembra un<br />

aeroporto!”. Io aggiungo: hanno lavorato un anno intero a togliere<br />

crode e spianare il terreno. La terra del Montello è rossastra e<br />

cretosa, inadatta a coltivare la v<strong>it</strong>e: infatti una volta il vino dei<br />

contadini locali aveva un bel colore giallo oro ed era aspro fino a<br />

legare i denti. Oggi invece le cantine della nostra zona producono<br />

degli ottimi vini. Non ho idea di come abbia potuto verificarsi questo<br />

miracolo!<br />

Più volte mi sono chiesto il perché dei sentimenti che nutro verso il<br />

mio paese di origine, che su di me eserc<strong>it</strong>a sempre un forte fascino.<br />

Penso che la risposta sia proprio in questi miei racconti. Io ne sono<br />

convinto e spero di essere riusc<strong>it</strong>o convincente nel trasmettere le<br />

stesse sensazioni anche a chi leggerà.<br />

14


FLORA<br />

FLORA 1954<br />

A PIÙ VOCI<br />

Passo ore intere a disegnare, però a volte mi manca la carta da disegno e a volte i colori, che sono<br />

costosi e non sempre mi vengono comperati. In casa mia risparmiare è un imperativo a cui tutti<br />

dobbiamo sottostare: perciò il più delle volte mi devo accontentare di disegnare a mat<strong>it</strong>a su qualche<br />

vecchio quaderno che non uso più per la scuola.<br />

Mi piace molto disegnare paesaggi con montagne, prati verdi, torrenti e grandi castelli che si<br />

scorgono in lontananza, ma ancor di più mi piace disegnare principesse e fatine, sempre vest<strong>it</strong>e con<br />

ab<strong>it</strong>i sfarzosi e colorate nel modo più vivace.<br />

Conoscendo la mia passione per il disegno la mamma mi iscrive a<br />

una scuola d'arte che si tiene alla domenica mattina nelle sale del<br />

Dopolavoro Aziendale.<br />

Nel gruppo – molto numeroso – io sono tra le più giovani: gli altri<br />

allievi sono quasi tutti adulti e fanno dei disegni che mi sembrano<br />

bellissimi.<br />

Alla mia prima lezione il professore mi chiede di fare un r<strong>it</strong>ratto a<br />

mat<strong>it</strong>a: un signore seduto, con la pipa in bocca, posa per noi.<br />

Io comincio a disegnare e ne viene fuori un disegno molto<br />

elementare che non ha nessuna somiglianza con il modello.<br />

L’insegnante dice che non va bene, che devo rifarlo, e comincia a<br />

spiegarmi come fare; mi insegna a prendere le misure con la mat<strong>it</strong>a<br />

e ad osservare bene i rapporti tra le parti del viso e della testa;<br />

comincio un nuovo disegno e con mia grande soddisfazione il<br />

r<strong>it</strong>ratto che ne esce è abbastanza somigliante.<br />

Il professore mi fa i complimenti e io provo una grande gioia; in<br />

cuor mio mi sento già una p<strong>it</strong>trice e, quando vengo a sapere che nella sala del vicino palazzo sono<br />

esposte le opere di p<strong>it</strong>tura che hanno partecipato al premio Marzotto, vado a vederle.<br />

Ne rimango impressionata: è la prima mostra di p<strong>it</strong>tura che vis<strong>it</strong>o e guardo estasiata tutti quei colori<br />

che illuminano le pareti.<br />

Passo da una sala all’altra per vedere tutti i quadri e mi soffermo a lungo a guardare quelli che mi<br />

sembrano più belli; a volte quelli che hanno vinto dei premi non sono tra i miei prefer<strong>it</strong>i: sono<br />

quadri difficili, apprezzo veramente solo quelli che riesco a capire.<br />

Quello che ha vinto il primo premio mi piace molto.<br />

Leggo il cartellino apposto a fianco: Filippo De Pisis<br />

Place Michele<br />

Premio Marzotto 1954<br />

Torno a casa con la testa piena di sogni, ma non ho il coraggio di dire a nessuno che da grande<br />

vorrei diventare una p<strong>it</strong>trice.<br />

FLORA 1955<br />

È lungo e freddo questo inverno.<br />

Quando mi affaccio alla finestra della camera vedo la casa dei nonni e la stanza dove i miei zii<br />

stanno lavorando al telaio; appena smontano dal lavoro in fabbrica cominciano un secondo lavoro<br />

che li impegna sempre di più.<br />

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L'altro giorno mi hanno regalato un bel foulard azzurro di lana morbida e calda; la mamma mi ha<br />

raccomandato di usarlo con cura, come tutte le cose che mi vengono regalate.<br />

La mamma oggi ha il turno in fabbrica di pomeriggio e io mi annoio molto quando devo restare a<br />

casa da sola con mio fratello perché non abbiamo tanti interessi in comune.<br />

I comp<strong>it</strong>i per casa li ho fatti in fretta e ora non so cosa fare; forse è meglio che vada dalla nonna<br />

Caterina, almeno lì potrò giocare con mia cugina Elvia.<br />

ZIO MARIO<br />

L'avventura dei telai a mano<br />

Dalla nonna trovo le mie zie che stanno parlando del lavoro che<br />

non va più molto bene.<br />

Mi siedo in cucina e ascolto i loro discorsi preoccupati; sento<br />

parlare del Canada, che non so bene dove si trovi ma intuisco<br />

che è molto lontano: un altro mondo e un'altra v<strong>it</strong>a.<br />

Forse la zia Carmen se ne andrà via con lo zio Angelo e questo<br />

mi rattrista molto.<br />

La zia mi piace tanto perché ha un carattere molto affettuoso ed<br />

è sempre sorridente, al contrario dello zio, che è sempre piuttosto<br />

serio.<br />

La zia Carmen aspetta un bambino ed è a casa dal lavoro, ma<br />

appena può va ad aiutare il mar<strong>it</strong>o che lavora al telaio.<br />

È stato lo zio Mario ad organizzare il lavoro e ora due stanze<br />

sono diventate un laboratorio; la casa sembra ancora più piccola,<br />

ma nessuno si lamenta perché il lavoro è importante per tutti.<br />

Anzi, ce ne vorrebbe sempre di più.<br />

Io e mio fratello, avuti in prest<strong>it</strong>o due telai a mano con Jacquard, ord<strong>it</strong>o e spolatrice, sgomberate<br />

due stanze, li mettemmo in grado di funzionare; mancava solo il filato.<br />

La Marzotto ci disse di no!<br />

Ci siamo rivolti a una tintoria industriale di Vicenza che, pagando, ci fornì il filato.<br />

Dura lana pettinata t<strong>it</strong>olo 2x40.000.<br />

Scelti i colori ne comprammo 25 Kg. E cominciammo così a lavorare; io e mio fratello ai telai, mia<br />

moglie e la moglie di mio fratello al finissaggio. Incominciammo con delle sciarpe da uomo e da<br />

donna, erano capi meravigliosi. Li vendemmo sub<strong>it</strong>o nelle mercerie dei dintorni ricevendo<br />

incoraggiamenti.<br />

Continuammo con degli scialli da donna con filettature in oro o argento; seguirono le copertine da<br />

culla dei bambini tessute a nido d'ape.<br />

Avevamo anche un nostro viaggiatore con un nostro campionario; le cose sembravano andar bene,<br />

ma dopo qualche anno la crisi si fece sentire molto forte; le ordinazioni cessarono.<br />

Mio fratello decise di emigrare in Canada, poco dopo lo seguì la moglie con il bambino.<br />

Io smontai i telai e li misi in soff<strong>it</strong>ta.<br />

ZIO ANGELO<br />

Addio all'Italia<br />

Ho il mio lavoro, ma in Italia in questo periodo la s<strong>it</strong>uazione non si presenta tanto favorevole.<br />

Da diverso tempo per Valdagno corrono delle voci: che Marzotto offre 100.000 lire<br />

(circa 80 dollari) a tutti coloro che si licenziano volontariamente, no QUESTION ASK...<br />

La ragione: Marzotto sta rinnovando lo stabilimento con macchinari moderni che richiedono meno<br />

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mano d'opera.<br />

Altra notizia che circola per Valdagno: il Canada richiede operai specializzati, preferibilmente<br />

veneti. Io e Carmen facciamo mille commenti su queste notizie, facciamo dei paragoni, esploriamo<br />

le varie opportun<strong>it</strong>à.<br />

Per il momento sono solo ipotesi, commenti; le decisioni, se ci saranno, si faranno nel prossimo<br />

futuro.<br />

CONTE GIANNINO<br />

Eravamo nel 1955. Gli stabilimenti erano molti, con organici assai gonfiati ed incompatibili con<br />

una proficua gestione.<br />

La mental<strong>it</strong>à dell'Azienda si era adagiata sugli alti prof<strong>it</strong>ti speculativi che la fine della guerra aveva<br />

comportato e l'efficienza industriale sembrava contare assai meno.<br />

Io ero, allora, molto giovane e non ero influenzato dai prof<strong>it</strong>ti di guerra. Mi proponevo invece la<br />

matur<strong>it</strong>à industriale e, se occorreva, la imponevo.<br />

Dovetti licenziare decine di dirigenti e riordinare migliaia di lavoratori. C'era, allora, il cosiddetto<br />

blocco dei licenziamenti.<br />

Come si potesse andare avanti, non lo suggeriva nessuno. Tuttavia, poco per volta, lavorando molto<br />

e ragionando ancor più, le cose si rimisero a posto.<br />

Razionalizzazione del lavoro, riduzione dei costi, conquista dei mercati, creazione di nuovi prodotti:<br />

un po' di tutto.<br />

Mio padre mi nominò Vice-Presidente ed Amministratore Delegato.<br />

ZIO ANGELO<br />

Il dado è tratto<br />

17<br />

G.IANNINO MARZOTTO, Così è o mi parve, Ed. Fucina<br />

Ora ho tutti i documenti necessari e posso partire quando voglio...<br />

Vado in una agenzia viaggi a Valdagno, per trovare un posto per il viaggio.<br />

Prenoto un posto sulla motonave “Roma”, in partenza da Genova il 7 aprile 1956.<br />

L'<strong>it</strong>inerario è Genova-Barcellona-Gibilterra-Lisbona-Halifax.<br />

Mancano due settimane alla partenza, ho ancora il mio posto di lavoro nel Lanificio, quindici<br />

giorni di tempo per la grande decisione.<br />

Questi sono i giorni più difficili della mia v<strong>it</strong>a. Prendo una decisione che influenzerà il resto della<br />

mia v<strong>it</strong>a.<br />

Il giorno 30 di marzo vado all’ufficio del Lanificio e mi licenzio. Mi danno tutto quello che mi<br />

spetta e le centomila lire promesse e una stretta di mano con tanti auguri di buona fortuna.<br />

GIUSEPPE (un amico di famiglia)<br />

Una v<strong>it</strong>a<br />

Venne la ristrutturazione dei reparti con numerosi licenziamenti e molti miei amici dovettero<br />

emigrare all'estero.<br />

Io e mia moglie lavoravamo poco e ci dividevamo i turni perché avevamo due figli da mantenere.<br />

Nel ‘54 venne il terzo figlio e le prospettive economiche a Valdagno erano difficili, così anch'io<br />

pensai di recarmi in Canada.<br />

Quel giorno (1955) ci recammo in Provincia a Vicenza per ottenere il passaporto dall'Ambasciata<br />

canadese; purtroppo non accolsero la mia domanda (ero nella commissione sindacale di fabbrica),<br />

ma tutto sommato fu un bene.<br />

Nel 1957 misero in vend<strong>it</strong>a gli appartamenti in aff<strong>it</strong>to della Marzotto, così pensai di comperarne


uno, ma non avevo i soldi ed il termine per pagare il mutuo era di tre anni.<br />

Andai dal conte Giannino e ottenni di pagarlo in cinque anni.<br />

Metà della mia paga la lasciavo in conto per la mia casa; nelle ore libere andavo a lavorare come<br />

giardiniere: tra orti e giardini ne curavo 17.<br />

ZIO MARIO<br />

Nel 1954 per esaudire il desiderio di <strong>Maria</strong> di rivedere la sua famiglia, avendo una settimana di<br />

vacanza, con una piccola moto usata partimmo per la Calabria.<br />

Claudia (due anni) l'avrebbero accud<strong>it</strong>a mia madre e le mie sorelle; Elvia di otto anni si trovava<br />

già in Calabria portata dallo zio Franco.<br />

Gloria era ancora un angelo nella mente di Dio.<br />

Così ho rivisto la mia Italia vista tante volte in grigioverde.<br />

A Rimini, provenienti dalla via Emilia, arrivavano gli emigranti meridionali a centinaia: famiglie<br />

intere su moto, Vespe, Lambrette, che andavano verso il Sud a passare le ferie.<br />

Era la conseguenza della grande immigrazione interna che ha fatto lavorare le grandi industrie del<br />

Nord e che ha fatto diventare grande l'Italia di oggi.<br />

Al r<strong>it</strong>orno, sempre con la piccola moto, abbiamo percorso la strada Tirrenica mentre all'andata<br />

avevamo percorso l'Adriatica, Statale N.11.<br />

Seguimmo così le vie consolari romane, la via Appia, la via Cassia, la via Emilia, percorrendo per<br />

2500 chilometri un’Italia che, vista a cavallo di una moto, rimarrà per me e per <strong>Maria</strong> un ricordo<br />

indimenticabile.<br />

ZIO ANGELO<br />

The golden years 1989-1993<br />

Siamo rimasti solo in tre in casa: io, Carmen e il<br />

cane Blanco.<br />

Casa grande con poca v<strong>it</strong>a e troppa sol<strong>it</strong>udine,<br />

ma non durerà per molto tempo.<br />

In meno di 10 anni di produzione la assembly line<br />

sforna il prodotto fin<strong>it</strong>o in abbondanza. La nostra<br />

casa diventa come un asilo infantile.<br />

Prima arriva Brandon, novembre 1982; Rachel<br />

dicembre 1984; Taylor novembre 1986; Andrew<br />

gennaio 1988; Evan settembre 1988; per ultima –<br />

perché speciale e ci fa aspettare quattro anni –<br />

arriva Natalie, giugno 1992.<br />

La nostra casa da troppo silenziosa diventa troppo rumorosa.<br />

Carmen si manifesta la miglior nonna del mondo. Tutte le domeniche prepara da mangiare per<br />

tutti: 12 persone! Io come specialista ho il comp<strong>it</strong>o del barbecue e devo fare attenzione che questa<br />

masnada di mascalzoni non mi rovini tutto l'orto.<br />

D'inverno o nelle domeniche piovose creano una baraonda che pare che sia un manicomio.<br />

Ultimo viaggio in Italia con Carmen<br />

Nel 1990 r<strong>it</strong>orniamo ancora un'altra volta in Italia. Non arriviamo in tempo per il campionato di<br />

calcio (soccer world cup) ma in tempo per i funerali della Nazionale Italiana.<br />

In questi giorni mio fratello Mario ha la vis<strong>it</strong>a di un suo compagno di naia che viene da Pesaro e<br />

da buon uomo di mare ci fa conoscere l'arte di friggere il pesce.<br />

Fin<strong>it</strong>e le vacanze r<strong>it</strong>orniamo a casa dai nostri cinque nipotini (Natalie era ancora nel drawing<br />

board).<br />

18


ZIO MARIO<br />

La mia v<strong>it</strong>a sentimentale<br />

Quando partii per fare il soldato non avevo nessun legame.<br />

La v<strong>it</strong>a mil<strong>it</strong>are non concede tante conoscenze, anche se di gente, girovagando per paesi e c<strong>it</strong>tà ne<br />

ho conosciuta parecchia. In Calabria, a Castrovillari, conobbi la mia ragazza "<strong>Maria</strong>": era la<br />

Pasqua del 1944.<br />

Nel 1945 ci siamo sposati; nel 1946 nasceva la nostra prima figlia Elvia. Nel 1953 nasceva Claudia<br />

e nel 1956 nasceva Gloria: erano tre bellissime bambine e sono diventate tre splendide donne.<br />

Le mie figlie, aiutate dalla mamma che a suo tempo aveva studiato alle Magistrali, si sono<br />

dimostrate tra le migliori allieve delle rispettive scuole.<br />

Si sono sposate con dei bravi giovani e ci hanno dato cinque nipotini che stanno crescendo come<br />

fiori e che sono il nostro vanto.<br />

Tutto andava bene, ma il 15 luglio 1995 Elvia, la nostra primogen<strong>it</strong>a, si ammalò.<br />

Quando seppi della malattia, sbattei la testa contro il muro tante volte: perché proprio noi?<br />

FLORA<br />

Autobiografia nel DNA?<br />

"Le quattro stagioni della mia v<strong>it</strong>a" è il t<strong>it</strong>olo<br />

dell'autobiografia di Angelo, fratello di mia<br />

madre.<br />

Anche Mario ha scr<strong>it</strong>to la sua autobiografia,<br />

che ha int<strong>it</strong>olato "La mia v<strong>it</strong>a".<br />

Da questi libri sono ricavati i brani che ho<br />

trascr<strong>it</strong>to.<br />

Angelo ha scr<strong>it</strong>to la sua autobiografia per i figli<br />

e i nipoti, perché conoscessero le loro radici, le<br />

tradizioni, i costumi e i parenti lontani.<br />

Ha fatto un ottimo lavoro che è stato grad<strong>it</strong>o<br />

moltissimo soprattutto dai figli.<br />

Mario ha scr<strong>it</strong>to la sua autobiografia per<br />

cercare conforto al dolore per la morte della figlia, per dare un senso alla v<strong>it</strong>a, per testimoniare la<br />

fatica del vivere ma anche la concretezza di una v<strong>it</strong>a vissuta con dign<strong>it</strong>à e piena di valori morali.<br />

Evidentemente l'autobiografia è una malattia di famiglia e forse anche gli ab<strong>it</strong>anti del mio paese<br />

natale non ne sono immuni, se è vero che ho potuto leggere tante loro storie di v<strong>it</strong>a.<br />

A casa della nonna Caterina si è fatta sempre autobiografia: autobiografici erano i lunghi racconti<br />

che venivano fatti durante i pomeriggi domenicali; le zie e la nonna erano delle grandi narratrici di<br />

vicende familiari e paesane, una fonte inesauribile di notizie, di informazioni e di sentimenti.<br />

Io cerco di raccontare perché niente della v<strong>it</strong>a vada perduto; dopotutto la v<strong>it</strong>a, nel bene e nel male, è<br />

tutto quello che abbiamo.<br />

Inoltre ricordare la mia infanzia mi fa tornare con il pensiero al piacere che provavo nell' ascoltare<br />

le persone che mi erano care.<br />

Quello stare insieme a raccontare e ad ascoltare tra nonni, zii, cugini, gen<strong>it</strong>ori, figli…<br />

Lì è il vero senso della famiglia: sentire che si fa parte di un nucleo dove ci viene insegnata la v<strong>it</strong>a.<br />

19


EDDA<br />

PARTIRE<br />

“Era già l’ora che volge il disìo ai naviganti e intenerisce il core…”<br />

“Addio, monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo…”<br />

Me li rec<strong>it</strong>ava spesso la mamma questi struggenti passi poetici. Li aveva appresi a scuola da<br />

bambina, benché a Rossiglione, un borgo appenninico alle spalle di Genova, a quei tempi non si<br />

andasse oltre la quarta elementare. Ma la Liguria, come il Veneto e il resto d’Italia, è stata a lungo<br />

terra di emigranti. E fra i quaranta milioni di connazionali che salparono verso altri lidi ci furono<br />

anche membri delle famiglie di mio padre e di mia madre.<br />

Il ramo paterno, veneto, ancora nell’Ottocento vide partire i miei nonni per il Brasile, dove nacque<br />

la maggior parte dei figli. Fortunatamente, però, dopo alcuni decenni poterono tutti fare r<strong>it</strong>orno in<br />

patria.<br />

Nella famiglia materna la tentazione all’espatrio era ancora più forte, data la vicinanza del porto.<br />

Così nella prima metà del Novecento s’imbarcarono prima uno, poi un altro fratello di mia madre e<br />

in segu<strong>it</strong>o tre nipoti – due ragazzi e una ragazza – rimasti orfani. Tutti diretti verso l’America<br />

meridionale, ma non in un paese atlantico, bensì nel lontano Cile, sulle coste del Pacifico.<br />

Il primo degli zii si chiamava Egidio e fu tale il<br />

dispiacere in mia nonna e mia madre, che alla mia<br />

nasc<strong>it</strong>a, dieci anni dopo, decisero insieme di<br />

assegnare quel nome a me, naturalmente declinato<br />

al femminile (poi trasformato in <strong>Edda</strong>, percep<strong>it</strong>o<br />

forse come un diminutivo/vezzeggiativo).<br />

Era il fratello più caro di mia madre, di due anni<br />

maggiore di lei. Lavorava a Genova e l’aveva<br />

accompagnata lui in c<strong>it</strong>tà per gli acquisti<br />

precedenti il matrimonio.<br />

Appena fin<strong>it</strong>a la seconda guerra mondiale, si<br />

presentò a noi attraverso un pacco-regalo e una<br />

bella fotografia. Prima ci giunse il pacco: una grossa scatola piena di caramelle e cioccolatini, una<br />

delizia che non ricordavamo quasi più!<br />

La foto color seppia la ricevemmo qualche tempo dopo, assieme a una lettera che colmava un lungo<br />

intervallo di silenzio. Essa mostrava una bella famiglia di cinque persone. Potemmo così ammirare<br />

il volto aperto e sorridente di lui, quello timido, ma illuminato da due occhi scurissimi, della zia<br />

cilena, e i tratti di entrambi riflessi nei visi di una bambina e due maschietti.<br />

Il momento più bello, però, fu quando lo zio ci fece vis<strong>it</strong>a.<br />

Era tornato in patria dopo oltre vent’anni, con un lungo viaggio via mare attraverso il Canale di<br />

Panama, per riabbracciare i familiari rimasti in v<strong>it</strong>a – due sorelle, i cognati e vari nipoti – e rivedere<br />

tanti amici rimasti lassù, nel paesino tra i monti.<br />

Scoprimmo in lui un uomo splendido d’aspetto e di cuore: simpaticissimo, allegro e generoso<br />

(aveva portato un regalo a ogni parente ligure o veneto). Furono giorni di grande festa.<br />

Era uno spasso vederlo fare la doccia nel nostro prato industriandosi con un annaffiatoio appeso a<br />

un albero!<br />

Sapeva pure cucinare bene. Così il giorno in cui riempimmo in otto l’automobile di papà per andare<br />

sulle Dolom<strong>it</strong>i a trovare mio fratello Sergio – una g<strong>it</strong>a memorabile per quei tempi, con vis<strong>it</strong>a anche<br />

20


alla “m<strong>it</strong>ica” Cortina D’Ampezzo! – pranzando al sacco su un prato nei pressi di Auronzo<br />

gustammo con grande piacere il roastbeef con le patate<br />

che lui aveva cotto per l’occasione.<br />

Il mattino prima, lui e io, eravamo andati insieme nel<br />

campo a raccogliere quelle patate. Conservo un ricordo<br />

molto bello e tenero di quel momento: zio Egidio, con<br />

grande pazienza e amore, mi aveva mostrato come<br />

bisognava usare la zappa per non danneggiare i tuberi.<br />

Benché lo zio non lo desiderasse, mia madre questa volta<br />

volle essere presente alla sua partenza, perciò raggiunse la<br />

sorella e il cognato a Genova-Pegli. Le cose, però, non<br />

andarono come lei si attendeva. Infatti, quando arrivarono<br />

al porto, l’imbarco era già ultimato. Grande il suo<br />

rammarico e forte la rabbia verso il cognato, che aveva<br />

indugiato a muoversi. Non glielo perdonò mai. Ma io<br />

penso che lo zio Egidio avesse indicato un’ora più tarda,<br />

proprio per ev<strong>it</strong>are quell’ultimo penoso abbraccio.<br />

Negli anni che seguirono venne a trovarci più volte anche<br />

lo zio Giuseppe (per noi Pippo) con zia Ada, e zio Egidio<br />

tornò insieme alla moglie. Erano belli gli incontri e le vis<strong>it</strong>e che facevamo assieme ai posti più noti<br />

e interessanti della regione, quanto dolorosi i distacchi per loro e per mia madre.<br />

Entrambi gli zii coltivavano la speranza di ristabilirsi nella terra dei padri, di cui avevano sempre<br />

un’acuta nostalgia; per questo non rinunciarono mai alla c<strong>it</strong>tadinanza <strong>it</strong>aliana. “Chi mi ama mi<br />

segua!” pensavano di dire un giorno ai familiari per convincerli a partire – e anch’io sognavo…<br />

perché tutti quei “nuovi” parenti mi aprivano nuovi orizzonti.<br />

Invece figli, nipoti e attiv<strong>it</strong>à avevano ormai costru<strong>it</strong>o una f<strong>it</strong>ta rete di legami che li imprigionava<br />

come in una gabbia. La loro esistenza s’era profondamente radicata laggiù e lì si è conclusa.<br />

In Cile vivono tuttora molti miei cugini di primo, secondo e terzo grado, oltre a zia Ada. Il filo rosso<br />

che li lega all’Italia è più che mai vivo, per cui vengono il più possibile a vis<strong>it</strong>arla per conoscere le<br />

loro origini.<br />

Oggi, di fronte a tante facce di giovani albanesi, cinesi, africani o stranieri d’altre nazional<strong>it</strong>à, penso<br />

alle sofferenze, ai disagi, alle difficoltà affrontate dai miei zii nei primi passi compiuti in un paese<br />

diverso per lingua, cultura, tradizioni. Eppure l’intelligenza e la laborios<strong>it</strong>à permisero loro di<br />

farcela.<br />

Altrettanto mi auguro avvenga per tutti i migranti del mondo.<br />

21


BRUNO<br />

IL RAGAZZO CON LA VALIGIA DI CARTONE<br />

Nel 1982 mia madre mi consegnò un diario appartenente a mio padre (morto nel 1972 all'età di 77<br />

anni), in cui ho trovato il racconto che segue, scr<strong>it</strong>to di suo pugno e che riguarda il periodo del suo<br />

“ingresso alla v<strong>it</strong>a”, all'età di quattordici anni.<br />

DAL DIARIO MANOSCRITTO DI MIO PADRE<br />

1923<br />

Sono nato a Visnà di Sant’Andrea, in un piccolo borgo di<br />

campagna, il 1° maggio del 1895. Mia madre, Giacomina<br />

Frassetto, era una casalinga, mentre mio padre, Luigi<br />

Zamprogno, era un modesto falegname.<br />

Avevo altri quattro fratelli più grandi e vivevamo tutti assieme in<br />

una borgata composta da diverse famiglie come la mia. La mia<br />

casa aveva il tetto di paglia ed era cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a da quattro stanze:<br />

una cucina, la camera dei miei gen<strong>it</strong>ori, una per le mie sorelle e<br />

un’altra per noi fratelli. Sotto il porticato stava la nostra mucca e<br />

all’aperto, vicino all’orto, c’erano i servizi igienici.<br />

Lì vicino, mi ricordo, c’erano molte case patriarcali risalenti al<br />

secolo precedente.<br />

Ricordo con dolore alcuni periodi molto sofferti della mia giovinezza: il lavoro in miniera, il<br />

servizio mil<strong>it</strong>are, il primo confl<strong>it</strong>to mondiale, durante il quale rimasi gravemente fer<strong>it</strong>o.<br />

Ho svolto diversi lavori durante la mia v<strong>it</strong>a: dapprima sono stato bracciante, poi apprendista<br />

minatore, ancora scrivente-contabile per analfabeti; e poi la carriera mil<strong>it</strong>are, da soldato semplice a<br />

caporale maggiore.<br />

Riemergono alla mia memoria tante cose, anche se ormai sono vecchio: il socialismo, le battaglie<br />

pol<strong>it</strong>iche dopo il 1918, l’avvento del fascismo, il mio matrimonio nel 1923, la seconda guerra<br />

mondiale, la v<strong>it</strong>a partigiana…<br />

Il momento che più ho impresso nella mente però è il saluto di mio padre alla mia partenza per la<br />

Germania come lavoratore emigrante.<br />

Partenza per la Germania (miniera)<br />

A soli 14 anni, nel 1909, ho dovuto lasciare il mio paese natale<br />

per emigrare in Germania come minatore addetto alla spinta dei<br />

carrelli trasportatori di carbone.<br />

Anche un altro mio fratello era emigrato: lavorava in Svizzera<br />

come lavapiatti, ormai era diventato c<strong>it</strong>tadino elvetico e a casa<br />

purtroppo r<strong>it</strong>ornava poco.<br />

Sono part<strong>it</strong>o con diversi amici su dei carri bestiame e mi ricordo<br />

un viaggio lungo, durato all’incirca un giorno. Ad attenderci, i<br />

nostri futuri datori di lavoro, la doccia, le vis<strong>it</strong>e mediche e poi la<br />

nostra nuova casa: un capannone diviso in stanze per dormire e<br />

una cucina in comune, dove avremmo trovato il cibo pronto alla<br />

fine di ogni turno di lavoro. Arrivavo da un casa senza bagno e<br />

qui trovavo docce e gabinetti al coperto: ero molto sorpreso e<br />

divert<strong>it</strong>o. C’era anche un guardiano, un omone grande e grosso di<br />

Milano. Parlava tedesco e aveva il comp<strong>it</strong>o di custodire lo stabile<br />

22


durante i turni di lavoro, che erano tre. C’erano poi il cuoco e il suo aiutante che ci servivano<br />

soltanto una brodaglia, un pezzetto di formaggio e del pane nero a pranzo e a cena.<br />

Il primo giorno un altro connazionale ci ha consegnato<br />

l’occorrente per svolgere il lavoro in miniera: una<br />

lampada, roba da vestire a seconda della mansione da<br />

svolgere e poi piccone, pala e cappellino di ferro.<br />

Tutti noi operai eravamo divisi in tre squadre<br />

composte da operai e ragazzi apprendisti. I turni erano<br />

di otto ore e alla fine di queste i compagni che<br />

tornavano dal lavoro erano irriconoscibili.<br />

Il mio primo turno di lavoro era l’ultimo della<br />

giornata: con guanti e tutto l’occorrente mi sono<br />

avviato verso il camion che ci stava aspettando per<br />

portarci alla miniera. Si entrava in una sorta di ascensore, poi un viaggio in discesa di circa cinque<br />

minuti e poi un trenino. Altri due chilometri di strada e poi ci siamo incamminati verso il tunnel<br />

indicatoci: era stretto e basso a tal punto che ci stava a fatica un minatore. Ad ognuno veniva<br />

assegnato un comp<strong>it</strong>o da svolgere e così sono passate le prime otto ore di lavoro. Poi si sono<br />

sussegu<strong>it</strong>i i giorni, i mesi tutti uguali: turni di otto ore, colazione, pranzo, cena, sempre la stessa<br />

sporcizia…<br />

Dopo due anni fui promosso caporeparto dei ragazzi addetti a spingere carrelli pieni di carbone fino<br />

al nastro trasportatore che conduceva alla sala da cui veniva poi portato in superficie.<br />

La mia squadra era composta da dieci ragazzi.<br />

Sapendo leggere e scrivere, tenevo anche la contabil<strong>it</strong>à a tutti gli analfabeti (ce n'erano molti allora):<br />

così a fine mese racimolavo qualche decina di marchi, e non stavo tutti i giorni in fondo alla<br />

miniera. Questo comp<strong>it</strong>o lo svolsi fino al 1914, quando lasciai la miniera e r<strong>it</strong>ornai in Italia, dopo<br />

cinque anni di Germania.<br />

Guerra 1915-1918<br />

Quando sono r<strong>it</strong>ornato in Italia, ho avuto appena il tempo<br />

di costruire assieme ai miei fratelli una casa con il tetto di<br />

coppi che la patria mi ha chiamato in guerra. A fine<br />

gennaio ho raggiunto i miei compagni e ho cominciato<br />

sub<strong>it</strong>o a combattere in prima linea sul Carso.<br />

Durante un attacco siamo stati colp<strong>it</strong>i da una granata che<br />

lasciò tre commil<strong>it</strong>oni morti e diversi fer<strong>it</strong>i in modo grave,<br />

tra cui io. Siamo stati trasfer<strong>it</strong>i a Milano, dove c’erano i<br />

mezzi per curare i fer<strong>it</strong>i gravi. Due dei nostri non sono più<br />

tornati al fronte: le fer<strong>it</strong>e gravi li avevano resi invalidi e<br />

quindi hanno potuto tornarsene a casa. Io e un altro dei<br />

miei compagni invece siamo tornati al fronte il 16 giugno<br />

1916 dopo la disfatta di Caporetto e quasi un mese dopo,<br />

il 20 luglio, per mer<strong>it</strong>o sono stato promosso caporale. Ero<br />

riusc<strong>it</strong>o infatti a respingere l’attacco di una pattuglia<br />

austroungarica.<br />

Ad agosto sono stato mandato alla scuola di “tiro<br />

bombarda” e lì sono rimasto per circa cinque mesi.<br />

23<br />

Caporale Maggiore Zamprogno Emilio<br />

Comandante la 109° Brigata Bombarda<br />

dell'8° Corpo d'Armata in difesa del Montello.<br />

Congedato il 19 maggio 1919


L’anno successivo, assieme al mio gruppo, abbiamo deciso di sorprendere il nemico e le sue<br />

m<strong>it</strong>ragliatrici che rendevano vani tutti i nostri attacchi. L’attacco riuscì: la bombarda centrò in pieno<br />

la postazione nemica.<br />

Nel 1917 è arrivata un’altra promozione per mer<strong>it</strong>o, quella a caporale maggiore.<br />

Mi è stato poi affidato un altro incarico di seconda linea: tenere sotto tiro la trincea nemica. Il<br />

pericolo era sempre in agguato e si faceva sentire soprattutto di notte, durante le incursioni aeree. In<br />

una di queste la mia postazione è stata colp<strong>it</strong>a e io sono rimasto fer<strong>it</strong>o ad un polpaccio.<br />

Ma questo dolore è stato niente in confronto a quello che ho provato con la grande offensiva<br />

austroungarica sul Piave. Il ricordo è ancora vivo. Il nemico era riusc<strong>it</strong>o ad attraversare il Piave e si<br />

era attestato sulla linea del Montello dove poi, come i libri di storia ricordano, è infuriata la<br />

battaglia. I fanti hanno resist<strong>it</strong>o fino alla morte, la bombarda lavorava ininterrottamente e il Piave ci<br />

ha dato una mano perché con le sue piene impediva il rifornimento al nostro nemico.<br />

Il 30 ottobre 1919 sono tornato a casa a Montebelluna con una decorazione in più, la Croce al<br />

Mer<strong>it</strong>o di Guerra, a cui, molti anni dopo, si sarebbe aggiunto il t<strong>it</strong>olo di "Cavaliere di V<strong>it</strong>torio<br />

Veneto".<br />

La famiglia<br />

Sono rimasto in famiglia fino al 1922 e in questi anni, assieme<br />

ai miei cari, abbiamo risistemato la casa. Nel frattempo la<br />

pol<strong>it</strong>ica <strong>it</strong>aliana conosceva i primi scontri tra bianchi e rossi e<br />

soprattutto si facevano avanti le idee fasciste. A me non<br />

piaceva il fascismo, ma non potevo mostrarlo pubblicamente:<br />

era una cosa pericolosa. L’anno dopo mi sono sposato, pur non<br />

riuscendo a trovare lavoro. Non avevo la tessera fascista e così<br />

nessuno si prendeva la briga di assumermi. Soltanto dopo la<br />

nasc<strong>it</strong>a del secondo figlio mi sono deciso e mi sono iscr<strong>it</strong>to al<br />

Part<strong>it</strong>o Fascista. Poco tempo dopo ho trovato lavoro come<br />

guardiano d’acqua d’irrigazione per il Consorzio Brentella.<br />

Otto mesi di lavoro fisso e per i mesi rimanenti mi arrangiavo come potevo: qualche lavoro<br />

saltuario presso i contadini e cose del genere. I miei figli crescevano e per mantenerli anche mia<br />

moglie si ingegnava. A casa avevamo una macchina da cucire Singer con la quale risistemava gli<br />

ab<strong>it</strong>i dismessi che i vicini ci passavano.<br />

Quando Bruno, il nostro figlio maggiore, ha fin<strong>it</strong>o le scuole elementari, l’abbiamo mandato a<br />

lavorare da un calzolaio sperando che imparasse un buon mestiere.<br />

Tra grandi sacrifici e purtroppo anche stenti siamo arrivati al 1940: io, mia moglie e sette figli. A<br />

poco a poco i figli trovavano lavoro: chi nella buffetteria mil<strong>it</strong>are, chi come apprendista magliaia e<br />

chi come calzolaio.<br />

L’8 settembre 1943 il mio figlio più grande si è arruolato con i Partigiani perché contrario al<br />

fascismo e anche io ho collaborato il più possibile.<br />

Ormai ho settant’anni e mia moglie sessantacinque. La guerra è fin<strong>it</strong>a da un po’, i mie figli sono<br />

grandi e si sono costru<strong>it</strong>i la loro v<strong>it</strong>a. Lascio questo ricordo a loro con la speranza che possa servire<br />

a tutti quelli che lo leggeranno o lo sentiranno leggere.<br />

24<br />

Emilio Quinto Zamprogno


FRANCO<br />

IN CORSA PER NON MORIRE<br />

Un giornale quotidiano di qualche giorno fa offriva in regalo un DVD con i discorsi del Duce: “Le<br />

parole e gli applausi” rec<strong>it</strong>ava una festosa pubblic<strong>it</strong>à radiofonica (l’apologia del fascismo sarebbe<br />

reato ma – come direbbe lui – “chi se ne frega”).<br />

Quando ero giovane cose del genere mi avrebbero susc<strong>it</strong>ato ira, animos<strong>it</strong>à, adrenalina. Nella mia<br />

famiglia è stato pagato un enorme tributo di sangue. Due miei cugini sono morti – due ragazzi di 19<br />

e 21 anni – due v<strong>it</strong>e spezzate da quel lugubre periodo che qualche maldestro responsabile di<br />

comunicazione vuole offrire gratu<strong>it</strong>amente come esaltazione nostalgica della grandezza di un uomo.<br />

Trovo deprecabile offrirlo ai giovani di oggi, spesso impreparati e disinformati sulla tragedia di<br />

quella guerra tanto assurda quanto devastante, che ha dato al nostro sfortunato Paese tristissime<br />

pagine di sofferenza e di martirio e che ha colp<strong>it</strong>o indifferentemente soldati, civili, giovani e vecchi.<br />

Quel periodo ha profondamente segnato la mia v<strong>it</strong>a di bambino, incapace di capire le ragioni di<br />

tanta ferocia che si abbatteva su gente inerme, su madri e bambini che dovevano nascondersi nelle<br />

cantine delle case. Purtroppo molto spesso era impossibile sfuggire ai bombardamenti e alle<br />

angherie di giovanissimi in divisa e m<strong>it</strong>ra in mano, che cercavano partigiani o presunti loro<br />

sosten<strong>it</strong>ori e che per il più banale sospetto erano capaci di ogni assurda nefandezza.<br />

Nei miei occhi è rimasto indelebilmente impresso il ricordo di lutti, di miserie, di distruzione. Oggi<br />

in me prevale una specie di malinconia impotente, e – più che l’ostil<strong>it</strong>à – è la pena a catalizzare i<br />

miei pensieri. Negli anni impari a desiderare avversari se non migliori di te (siamo troppo<br />

presuntuosi per ammetterlo) almeno di pari dign<strong>it</strong>à, che ti possano insegnare qualche cosa.<br />

Purtroppo da noi questa speranza si assottiglia giorno dopo giorno.<br />

Ho accennato a questo argomento perché è il prologo alla mia visione di “v<strong>it</strong>e in movimento”, che<br />

non obbligatoriamente debbono significare spostamenti importanti in senso fisico. Il “movimento”<br />

può essere anche di poche centinaia di metri: quelli che percorrevo di corsa dalla mia casa al rifugio<br />

antiaereo nei sotterranei della Stazione Centrale di Milano. La mia casa era proprio lì accanto. Vi<br />

ero nato cinque anni prima che iniziasse quella guerra che qualche mente gaglioffa vorrebbe<br />

riproporre come una favola del “grande condottiero” che pronuncia entusiasmanti discorsi alla folla<br />

plaudente.<br />

I miei ricordi “in movimento” iniziano con il primo anno<br />

scolastico, in perfetto sincronismo con l’inizio della guerra. I miei<br />

gen<strong>it</strong>ori con gran coraggio cercavano di nascondermi le privazioni,<br />

le paure, le ansie che si erano impadron<strong>it</strong>e della loro v<strong>it</strong>a. I loro<br />

sorrisi celavano tutto ciò che di tragico stava accadendo, ed io me<br />

ne resi conto solo quando divenni più grande, e questo accrebbe<br />

l’amore e la riconoscenza nei loro confronti.<br />

I giorni trascorrevano con sempre maggiori difficoltà! Io iniziai la<br />

scuola elementare nell’ottobre del 1941, mentre della guerra<br />

divenivano sempre più evidenti le tragiche conseguenze.<br />

I bombardamenti degli anglo-americani erano frequenti, fino ad<br />

assumere cadenza quotidiana. Bombardarono anche la mia scuola<br />

e, dopo una lunga vacanza forzata, mia madre mi portò in un’altra<br />

scuola molto più lontana da casa, dove mi accompagnava ogni<br />

mattina e mi aspettava all’usc<strong>it</strong>a di mezzogiorno.<br />

Poi chiusero anche quella, requis<strong>it</strong>a da un comando nazi-fascista.<br />

25


Persi l’anno scolastico e iniziai a rendermi conto di cosa fosse la paura. Ogni notte il suono lugubre<br />

della sirena ci faceva scappare nel rifugio predisposto nei sotterranei della Stazione. I tanti metri di<br />

cemento armato, sotto i quali ci rintanavamo con tante altre famiglie, ci proteggevano anche dai<br />

rumori terrificanti dei bombardamenti.<br />

Una notte del 1943 uscimmo all’aperto quando suonò il cessato allarme ed io, con i miei occhi<br />

impaur<strong>it</strong>i e ingenui di bambino, vidi uno spettacolo che non potrò mai dimenticare: tutto attorno a<br />

noi bruciava in un immenso incendio.<br />

Fu il primo bombardamento che sentivo definire dagli adulti “a tappeto”: gli aerei non cercavano di<br />

colpire obiettivi strategici (fabbriche, caserme, l’aeroporto), come avevano fatto sino a quella notte,<br />

ma bombardavano, invece, in modo indiscriminato tutta la c<strong>it</strong>tà, con effetti spaventosi. Mi sembrava<br />

di vivere un sogno pieno di incubi, dove il terrore soppiantava la paura, e non comprendevo le<br />

ragioni di simili atroc<strong>it</strong>à verso persone inermi.<br />

Divenuto più grande, nel dopoguerra, ho potuto capire<br />

la follia di chi aveva distrutto la v<strong>it</strong>a di molti e segnato<br />

tristemente quella di moltissimi altri.<br />

Cresciuto ancora negli anni e nelle esperienze,<br />

compresi anche perché la gente del sud Italia aveva un<br />

ricordo decisamente diverso dal mio: in Sicilia gli<br />

americani sbarcarono all’inizio del 1943 e da quel<br />

momento, per quasi tutto il sud, la guerra era<br />

fortunatamente fin<strong>it</strong>a.<br />

Per me invece dall’8 luglio 1943 iniziò la parte più feroce della guerra: quel giorno non potrei<br />

dimenticarlo neppure se campassi come Matusalemme.<br />

Fu il primo giorno, dall’inizio del confl<strong>it</strong>to, che vidi con i miei occhi, stup<strong>it</strong>i da una parte e atterr<strong>it</strong>i<br />

dall’altra, gli aeroplani che brillavano nella luce abbagliante del sole. Fino ad allora i<br />

bombardamenti avvenivano di notte e si sentivano solo i rumori dei motori che rombavano altissimi<br />

e la tragica esplosione delle bombe.<br />

Quel mattino – erano circa le nove – con alcuni coetanei mi trovavo nel cortile di casa a giocare con<br />

i sassi e la terra, che trasportavamo su un minuscolo carrettino trainato da un cavallino di cartapesta.<br />

Iniziarono a suonare le sirene d’allarme e noi bambini guardavamo, con la testa all’insù, lo sfavillìo<br />

di quegli aerei che brillavano come stelle in un cielo terso e inondato di sole. Mia madre scese<br />

sub<strong>it</strong>o in cortile per trascinarmi di corsa verso il consueto rifugio sotto la Stazione. Correva<br />

tenendomi per mano, mentre io continuavo a guardare quei lontanissimi aeroplani, non so ancora se<br />

più stup<strong>it</strong>o o impaur<strong>it</strong>o. Quel giorno e la notte seguente la trascorremmo nel rifugio tremando di<br />

paura e di angoscia.<br />

Fu il più tragico e crudele bombardamento sub<strong>it</strong>o da Milano nei cinque anni di guerra.<br />

Bombardavano – sentivo dire dagli adulti – a ondate successive: se ne andava una squadriglia e ne<br />

seguiva sub<strong>it</strong>o un’altra. Sganciavano il loro carico di morte senza alcun obiettivo preciso, ma<br />

colpendo tutto ciò che era sotto di loro.<br />

Questo spaventoso massacro durò, ininterrottamente, dalle nove del mattino dell’8 luglio fino alle<br />

sette del mattino seguente.<br />

Non so trovare parole per descrivere le sensazioni di terrore che tumultuavano nel mio animo di<br />

bambino, nel vedere ovunque distruzione e morte.<br />

Certo la guerra finì e la v<strong>it</strong>a ricominciò a fiorire giorno dopo giorno, ma ancora oggi, con una ormai<br />

lunga v<strong>it</strong>a alle spalle, con le gioie e i dolori che ogni essere umano incontra nei suoi giorni, non<br />

26


sono mai riusc<strong>it</strong>o neppure ad attenuare il ricordo di quegli anni, per quanto importanti siano state le<br />

vicende e le sensazioni che mi hanno accompagnato sino ad oggi.<br />

Vorrei solo aggiungere un’ultima considerazione: i ricordi che mi porto dentro (e che forse<br />

potrebbero fare la gioia di uno psicologo) non mi hanno sicuramente imped<strong>it</strong>o di apprezzare le cose<br />

migliori della v<strong>it</strong>a. Anzi, al là di credo religiosi o di insegnamenti morali, ho coltivato in me<br />

sentimenti di autentico rispetto dei valori fondamentali della v<strong>it</strong>a, che considero un tesoro<br />

inestimabile e che ho imparato ad apprezzare e quindi a rispettare.<br />

Ciò è dovuto certamente anche a<br />

quanto hanno visto i miei occhi di<br />

ragazzino sempre “in movimento”<br />

per sfuggire alle bombe, alle<br />

rappresaglie e ai soprusi di chi<br />

pensava di rendere “grande” il<br />

nostro paese. Forse questi tragici<br />

eventi sono riusc<strong>it</strong>i a far diventare<br />

grande un bambino che avrebbe<br />

voluto vivere il suo tempo in modo<br />

più congeniale agli anni della<br />

fanciullezza.<br />

27


BRUNA<br />

INNAMORATA DELLA VITA<br />

Ogni tanto nella v<strong>it</strong>a cap<strong>it</strong>a che le persone sentano il desiderio di riflettere sul proprio vissuto,<br />

passato e presente.<br />

Era ciò che stava facendo lei, seduta su quel morbido divano, mentre pensava con rammarico e<br />

nostalgia al tempo che se n’era andato (ed era più della metà di quanto le fosse concesso secondo<br />

logica e genetica): si accorgeva che la v<strong>it</strong>a le era sfugg<strong>it</strong>a di mano velocemente e, quasi in sordina,<br />

continuava a farlo.<br />

I ricordi apparivano e s’intrecciavano soprattutto nelle interminabili serate invernali davanti al<br />

caminetto scoppiettante.<br />

Avrebbe voluto possedere più consapevolezza del tempo che scorre, aver fatto molte più cose belle<br />

in questa esistenza fugg<strong>it</strong>iva: avrebbe voluto che i bei tempi della fanciullezza e il magico e<br />

misterioso tempo dell’adolescenza non finissero mai…<br />

Ricordava gli scontri perenni con gli adulti e il loro mondo complicato, ma anche il piacere di<br />

qualche sguardo intenso che lei, diventando donna, si accorgeva di susc<strong>it</strong>are.<br />

Era bello quel tempo, era tutto più facile, pensava; si sentiva spesso innamorata, soprattutto della<br />

v<strong>it</strong>a stessa, malgrado tutto!<br />

Di fronte agli attacchi degli adulti, che si ostinavano a non capire niente, si rifugiava nel suo mondo,<br />

nei dolci pensieri che avevano il potere di rendere gioioso quel suo vivere l’adolescenza.<br />

Poi arrivò la giovinezza, generalmente un tempo spensierato, ma lei dovette sempre lottare con una<br />

famiglia dalle regole molto rigide e soprattutto con una madre tremendamente all’antica.<br />

Tutto ciò che avrebbe desiderato fare del suo tempo libero non rientrava nei canoni di “ragazza per<br />

bene” e soprattutto di “stimata famiglia”.<br />

Allora dovette sempre escog<strong>it</strong>are dei piani per poter fare ciò che amava, e che in altri tempi o altri<br />

ambienti sarebbe stato più che un dir<strong>it</strong>to: quindi la domenica pomeriggio il cinema (non consent<strong>it</strong>o)<br />

veniva sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o con una funzione religiosa – il vespero – che oggi non esiste più (ma forse nessuno<br />

ne ha più bisogno come ne aveva lei all’epoca).<br />

Era una grande ammiratrice di Gianni Morandi. In quegli anni (‘65-‘70) i cantanti famosi come lui<br />

arrivavano anche a diventare attori, con grande gioia dei loro fan.<br />

Proprio il giorno in cui con un’amica era andata a vedere Gianni Morandi protagonista al cinema,<br />

uscendo tutta felice ed entusiasta per il film, che le era piaciuto tantissimo, si trovò davanti… il<br />

padre! Faccia scura, imbronciata, interrogativa, aveva scoperto tutto, forse grazie a qualcuno che –<br />

come andava molto “di moda” allora – metteva il naso negli affari altrui.<br />

Davvero indescrivibili la mortificazione della ragazza e il danno che le procurò la bugia raccontata<br />

più volte in famiglia, al punto che per anni non volle più entrare in una sala cinematografica.<br />

Amava tanto anche i “quattro salti” fra amici, in casa oppure in qualche osteria che all’occasione<br />

diventava balera. Purtroppo nemmeno questo rientrava nei canoni dei benpensanti. Allora la balera<br />

diventava l’inv<strong>it</strong>o di un’amica a passare un pomeriggio domenicale insieme e naturalmente<br />

quest’amica doveva ab<strong>it</strong>are fuori paese per poter avere tanto tempo a disposizione…<br />

Anche questo divertimento proib<strong>it</strong>o un giorno fu scoperto. Colpevole questa volta il fratello, più<br />

grande di parecchi anni, ded<strong>it</strong>o a… salvaguardare la stimabil<strong>it</strong>à della famiglia.<br />

Continuò così a vivere la sua giovinezza con tante assurde imposizioni da parte di gen<strong>it</strong>ori dai<br />

metodi educativi, secondo lei, fuori dal tempo. Poi però, parlandone con ragazze della sua stessa<br />

età, finiva per consolarsi scoprendo che gen<strong>it</strong>ori uguali ai suoi ne esistevano, eccome!<br />

28


Un giorno di primavera inoltrata un’amica di sempre le parlò di un giovane del suo paese che<br />

voleva a tutti i costi essere presentato a lei, la protagonista del nostro racconto.<br />

Questo ragazzo l’aveva vista per la prima volta all’ospedale, dove lei stava assistendo il suo<br />

fidanzato gravemente ammalato. Aveva detto all’amica di essere rimasto colp<strong>it</strong>o non solo<br />

dall’aspetto fisico, ma anche dalla dedizione con cui assisteva quel giovane dal destino già<br />

crudelmente segnato.<br />

Lei non era particolarmente entusiasta di fare nuove conoscenze, ancora meno maschili. La sua<br />

giovinezza aveva davvero sub<strong>it</strong>o un duro colpo! Privazioni assurde, sogni infranti per la perd<strong>it</strong>a del<br />

suo ragazzo: era veramente stanca di lottare con una sorte che con lei sembrava solo avversa.<br />

Invece un giorno in casa di amici le cap<strong>it</strong>ò di incontrare quel ragazzo: fu<br />

davvero grande la sorpresa di scoprire che era proprio quello di cui le<br />

aveva parlato la sua amica!<br />

L’attenzione che lui le dimostrava fu sorprendentemente gradevole anche<br />

per lei. Raccontava di essere figlio di umili emigranti in Belgio, r<strong>it</strong>ornati<br />

in Italia per motivi di salute.<br />

In segu<strong>it</strong>o i due decisero di rivedersi e scoprirono di avere in comune il<br />

piacere di raccontarsi il loro vissuto, non facile per tempi e condizioni<br />

sociali.<br />

Lui raccontava della difficile v<strong>it</strong>a del padre lavoratore in miniera; di<br />

quando r<strong>it</strong>ornava la sera con il viso che somigliava più al carbone estratto<br />

durante la giornata che ai dolci lineamenti di un padre; della stanchezza<br />

che gli impediva una normale v<strong>it</strong>a di famiglia.<br />

Raccontava di sua madre, anche lei assente da casa per lavorare in una famiglia di farmacisti che si<br />

poteva permettere la cuoca personale nei tempi difficili del dopoguerra.<br />

Spesso raccontava dei suoi interminabili viaggi in treno dal Belgio all’Italia, quando lui e la madre<br />

venivano a far vis<strong>it</strong>a ai nonni ormai anziani; di quando dovette lasciare il Belgio e i suoi amici con i<br />

quali aveva vissuto per tutti gli anni della scuola dell’obbligo. Per i gen<strong>it</strong>ori – diceva – il r<strong>it</strong>orno al<br />

paese natio era stata una grande gioia, mentre a lui era sembrato di andare a vivere in un paese<br />

straniero, con difficoltà di lingua e di relazioni personali.<br />

Questi due giovani, raccontandosi ed ascoltandosi, finirono con l’innamorarsi e un giorno decisero<br />

di sposarsi.<br />

Per la nostra protagonista fu l’inizio di una lunga storia: felice,<br />

travagliata, a volte complicata. Oltre a sentirsi mamma felicissima dei<br />

figli che il destino le regalò, dovette essere figlia e nuora premurosa,<br />

capace di reinventarsi ogni giorno.<br />

La sua esistenza rimase chiusa per anni fra le mura domestiche, forse<br />

anche per il suo istintivo altruismo. La sua quotidian<strong>it</strong>à scorreva fra<br />

tanti impegni, ma anche soddisfazioni dai figli, sempre però in lotta<br />

con quel tempo che non bastava mai per gestire tutto e tutti. La notte<br />

troppo spesso doveva passarla in piedi, al capezzale delle persone che<br />

avevano estremamente bisogno di lei. Si dimenticò così del tempo che<br />

scorreva giorno dopo giorno, anno dopo anno. Un giorno si accorse<br />

quasi improvvisamente che i migliori anni se n’erano proprio andati!<br />

Oggi, ancora seduta su quel divano dal colore ormai sbiad<strong>it</strong>o dal tempo, sente che i ricordi e le<br />

nostalgie del passato sono ancora presenti in lei. Oggi, consapevole di questo nuovo cap<strong>it</strong>olo della<br />

sua v<strong>it</strong>a, sta scoprendo la gioia di esserne ancora innamorata.<br />

29


FAMIGLIE IN MOVIMENTO<br />

Negli anni ‘50, nell’immediato dopoguerra, ab<strong>it</strong>avo con la mia famiglia in una vecchissima casa<br />

rurale. Noi – quattro persone – vivevamo con le famiglie dei fratelli di mio padre, con i nonni e due<br />

prozii non sposati: una vera famiglia patriarcale.<br />

Era certo che ab<strong>it</strong>ando insieme in tanti, nelle famiglie ci si aiutava “spartendosi la povertà”: così mi<br />

dicevano miei gen<strong>it</strong>ori quando ero troppo piccola per capire. C’era poi il detto: “dove si mangia in<br />

cinque, si può mangiare anche in dieci!”. Certamente tirando la cinghia, aggiungeremmo noi.<br />

Nelle famiglie vivevano anche molte persone che non si erano sposate per le difficoltà che la guerra<br />

aveva creato nelle relazioni fra i giovani, ma forse anche per le scarse possibil<strong>it</strong>à di lavoro.<br />

Successivamente, crescendo e maturando nuove esigenze di v<strong>it</strong>a, ogni nucleo famigliare intraprese<br />

strade diverse per poter essere materialmente indipendente e migliorare il proprio futuro.<br />

Una zia, sorella di mio padre e per la quale provavo molta simpatia per il suo carattere allegro e<br />

festaiolo, con mio rammarico emigrò a Milano e si sposò con un giovane del nostro paese, anche lui<br />

part<strong>it</strong>o per Milano in cerca di lavoro, come facevano in molti all’epoca: dai racconti che venivano<br />

fatti a noi ragazzini sembrava parlassero dell’America di oggi!<br />

Uno zio andò in cerca di fortuna in Piemonte, dove a Venaria Reale trovò lavoro in una delle prime<br />

fabbriche di plastica (settore che ebbe poi un grande sviluppo), mentre la zia divenne domestica in<br />

famiglie agiate (unica possibil<strong>it</strong>à per le donne in quegli anni).<br />

Un altro zio, dopo vari esperimenti, grazie al suo talento inventò e brevettò un sistema di<br />

motorizzazione elettrica di campane e orologi per i campanili delle chiese: fu la fortuna sua e della<br />

sua famiglia. In un paese poco lontano da noi edificò casa e strutture adatte per il suo lavoro, che<br />

suo figlio ora continua.<br />

Un altro zio si spostò in un’altra via del mio paese, in una vecchia casa presa in aff<strong>it</strong>to, che con gli<br />

anni e un po’ di fortuna riuscì ad acquistare.<br />

Tutti i cugini con cui avevo vissuto la mia infanzia se ne sono andati presto per strade diverse: due<br />

cugine a Milano, da quella zia che da tempo ci ab<strong>it</strong>ava; trovarono lavoro, una come portinaia e<br />

l’altra come tuttofare nelle famiglie. Sempre per mer<strong>it</strong>o di questa zia (che faceva da gancio per tutti)<br />

uno zio, che non si era mai fatto una famiglia, divenne guardia notturna a Milano.<br />

Gli altri cugini trovarono lavoro nell’edilizia, che allora cominciava a svilupparsi.<br />

Ce ne fu uno che emigrò in Australia per lavorare nella canna da zucchero.<br />

Tre cugine grandi hanno trovato lavoro negli ospedali della nostra zona, pur senza essere in<br />

possesso di diplomi particolari: funzionava così allora per tante professioni perché all’economia in<br />

pieno sviluppo serviva molta manodopera.<br />

Da un certo momento in poi mio padre non si spostò più da quelle sue radici, forse per volere di mia<br />

madre, che non sopportava l’idea di rimanere sola in una casa tanto grande. L’aveva sperimentato<br />

quando mio padre, in tempo di leva mil<strong>it</strong>are, si era specializzato professionalmente al genio<br />

ferrovieri di Livorno.<br />

In casa sentivo spesso questi discorsi: mio padre forse pensava d’aver buttato via la possibil<strong>it</strong>à di<br />

una sicura carriera in ferrovia, mentre per mia madre era meglio “pane e cipolla, ma tutti insieme”.<br />

In quella grande casa, dividendoci le stanze e acquistando quelle di zii e cugini che se n’erano<br />

andati, siamo rimasti soltanto in due nuclei familiari: la mia famiglia di quattro persone e una zia<br />

rimasta sola con una figlia ormai grande. Del mar<strong>it</strong>o, fratello di mio padre, disperso in Russia<br />

durante la guerra, non si seppe più nulla.<br />

Per me (la più piccola in quella casa), la permanenza della zia e di sua figlia <strong>Maria</strong>, alle quali ero<br />

molto affezionata, fu davvero una grande fortuna.<br />

30


La zia Italia (così si chiamava, e già questo nome da solo mi ispirava affetto e simpatia) era per me<br />

come una seconda mamma. Ricordo che la sera prima dell’Epifania appendevo la mia calza al<br />

camino della zia Italia. Lei non si smentiva mai: la mia calza veniva puntualmente riemp<strong>it</strong>a, non di<br />

carbone ma di mandorlato, stecche di liquirizia, mandarini: tutte cose che a me piacevano tanto e<br />

che per quegli anni erano vere e proprie leccornie.<br />

<strong>Maria</strong>, di qualche anno più grande di me, aveva scelto, pur rimanendo in casa, una professione che<br />

le piaceva e per la quale aveva tantissimo talento: aveva frequentato a Treviso la scuola di taglio e<br />

cuc<strong>it</strong>o, specializzandosi più avanti come stilista di moda. Anche se non raggiungeva la fama di oggi,<br />

quella della sarta era comunque una buona professione perché le donne allora amavano farsi fare i<br />

vest<strong>it</strong>i su misura (e non esistevano ancora le grandi sartorie industriali).<br />

Per me questa cugina più grande diventò una “maestra di v<strong>it</strong>a”: rimanendo in casa con lei ebbi<br />

l’opportun<strong>it</strong>à di imparare un sacco di cose. Ricordo che passavo tanto tempo nella sua sartoria,<br />

anche perché finalmente potevo vedere gente che andava e veniva.<br />

Anch’io ebbi così l’opportun<strong>it</strong>à di imparare qualcosa di cuc<strong>it</strong>o; mia madre insistette molto perché lo<br />

facessi dicendomi: “Un giorno mi ringrazierai!”. Oggi devo dire che aveva proprio ragione: non<br />

solo è importante sapersi arrangiare in piccoli lavori di cuc<strong>it</strong>o, ma dà pure molta soddisfazione!<br />

Con questa mia cugina diventai grande, non solo grazie al cuc<strong>it</strong>o, ma<br />

con ogni sorta di passatempo. Amavo molto rimanere in quella stanza<br />

con lei, dove si lavorava ascoltando sempre la musica alla radio.<br />

Ricordo che eserc<strong>it</strong>avamo la memoria con un gioco che consisteva<br />

nell’indovinare il nome di cantanti e attori o di personaggi famosi<br />

nella letteratura, o partendo dal solo nome di battesimo: non era<br />

proprio facilissimo, ma molto divertente e pure economico!<br />

Di sabato quasi sempre mia cugina aveva dei lavori da finire per<br />

l’indomani. Mi offrivo spesso di farle compagnia fino a tardi<br />

aiutandola a fare i sottopunti (l’ultima rifin<strong>it</strong>ura nei vest<strong>it</strong>i) purché lei<br />

in cambio mi mettesse nei capelli le “carte”, che allora sost<strong>it</strong>uivano i<br />

bigodini. Tenendole in testa per tutta la notte, al mattino mi svegliavo<br />

con i ricci e, secondo me, più carina!<br />

Venne però il giorno che anche la cugina sarta e la zia cambiarono casa per trasferirsi in una più<br />

nuova e confortevole, sempre nel mio stesso paese.<br />

Ancora oggi questa cugina è rimasta… speciale!<br />

I ricordi belli, non c’è nessuno che può portarceli via, nemmeno il distacco o il tempo che passa.<br />

MARIANNA E MICHELE<br />

Arrivavano dal sud, <strong>Maria</strong>nna, il mar<strong>it</strong>o e i loro due pargoletti: non più di tre anni lui, splendida e<br />

vivacissima, di un anno o poco più, lei.<br />

La loro v<strong>it</strong>a in quella Napoli ricca di bellezze panoramiche, turistiche, culturali non prospettava che<br />

disoccupazione. Per non parlare poi della malav<strong>it</strong>a… Le loro sagge famiglie li avevano consigliati<br />

di emigrare al nord, dove trovare un lavoro non era altrettanto difficile, almeno quindici anni fa.<br />

Era una di quelle sere invernali interminabili, di quiete quasi noiosa, quando il campanello della<br />

porta di casa mi fece sobbalzare col suo squillo repentino: mi si presentarono davanti due giovani<br />

sui trent’anni, accompagnati da una signora del posto che si era offerta di aiutarli a cercare casa. Il<br />

loro accento era inequivocabilmente del sud, ma i modi di una spiccata cortesia e gentilezza, tanto<br />

che tra me pensai sub<strong>it</strong>o al contrasto con la loro provenienza (ora mi vergogno di questo pensiero).<br />

31


Capii sub<strong>it</strong>o che avevano estremo bisogno di trovare un’ab<strong>it</strong>azione per le loro famiglie; la cosa – mi<br />

spiegarono amareggiati – si era rivelata meno facile di quanto pensassero, vista soprattutto la loro<br />

provenienza. Anche i bambini piccolissimi rappresentavano un ostacolo.<br />

Avevano saputo che io avevo a disposizione una casa momentaneamente vuota, che mia madre<br />

anziana aveva dovuto lasciare per venire a vivere da me, non essendo più in condizione di badare a<br />

se stessa. Erano anni che quella casa era vuota e io non avevo mai pensato di aff<strong>it</strong>tarla, ma quando<br />

vidi questi due ragazzi del sud, volenterosi e bisognosi, capii che era arrivato il momento di<br />

prendere una decisione.<br />

Dopo brevi ed esplic<strong>it</strong>i accordi, la settimana successiva i due giovani stavano già nella casa di mia<br />

madre per i primi interventi necessari a renderla di nuovo ab<strong>it</strong>abile e accogliente.<br />

Non ho saputo mai spiegarmi il perché, ma per<br />

questa famiglia nacque sub<strong>it</strong>o in me un sentimento<br />

di ammirazione e più avanti di affetto. Hanno<br />

trascorso anni in quella casa e per me entrarci era<br />

come andare dai miei parenti. I loro figli, che sono<br />

poi diventati tre, sono per me come dei nipoti.<br />

Sono gran lavoratori e soprattutto persone di<br />

grande spessore morale.<br />

<strong>Maria</strong>nna, oltre a occuparsi della casa e dei figli, ha<br />

sempre svolto lavori di cuc<strong>it</strong>o a domicilio,<br />

impegnandosi per tutta la giornata. Naturalmente<br />

questo è stato anche un modo per farsi conoscere in paese e guadagnarsi la stima e la simpatia di<br />

quanti hanno avuto l’occasione di usufruire del suo lavoro.<br />

Michele, il mar<strong>it</strong>o, ha sempre cercato di lavorare il più possibile per poter realizzare il sogno di<br />

costruirsi una casa. Anche in tempi di crisi come oggi, non ha mai avuto un giorno da disoccupato,<br />

forse proprio grazie alla buona volontà con cui si è fatto conoscere.<br />

Nel tempo libero ha pure svolto il lavoro di giardiniere, che aveva cominciato ad amare nella sua<br />

Napoli, sempre con tanta passione.<br />

Con il tempo e tanti sacrifici il sogno di acquistarsi una casa tutta loro si è realizzato. Anche a me<br />

sembrava un paradiso!<br />

Il destino ha però voluto che ancora una volta dovessero iniziare tutto da capo. Quel luogo di<br />

paradiso diventò ben presto disagevole per viverci, circondato com’era da famiglie cinesi con<br />

cultura e ab<strong>it</strong>udini troppo diverse per assicurare una serena convivenza.<br />

Senza pensarci troppo a lungo il capofamiglia si è messo a cercare un’altra casa ancora più grande,<br />

ancora più bella, frutto ancora una volta di enormi sacrifici. Per me, ancora un angolo di paradiso.<br />

I loro figli ormai sono diventati grandi e… veneti, ma soprattutto bravi ragazzi che non fanno<br />

mancare ai gen<strong>it</strong>ori le soddisfazioni che si mer<strong>it</strong>ano, impegnandosi con prof<strong>it</strong>to in tutte le loro<br />

scelte. Oggi questa famiglia, arrivata dal sud con tanti sogni, credo possa davvero sentirsi realizzata,<br />

anche perché ha sconf<strong>it</strong>to certi ingiusti pregiudizi.<br />

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GIULIANA<br />

LA MIA VITA IN MOVIMENTO<br />

Dovessi dare uno sguardo indietro alla mia v<strong>it</strong>a, potrei dividerla in vari periodi, che non<br />

corrispondono – come succede per la maggioranza delle persone sposate – a nasc<strong>it</strong>a, cresc<strong>it</strong>a,<br />

allontanamento dei figli e via dicendo. Non ne abbiamo avuti e pertanto ci siamo buttati a capof<strong>it</strong>to<br />

nel lavoro cercando di farlo al meglio e di trarne le maggiori soddisfazioni possibili.<br />

La mia infanzia non è stata particolarmente gioiosa: ero spesso ammalata, non potevo correre,<br />

giocare e saltare come gli altri bambini e pertanto ero tenuta “sotto una campana di vetro”.<br />

Ho conosciuto Ezio a quindici anni, quando ancora stavo studiando, e i miei gen<strong>it</strong>ori mi dicevano:<br />

“Sei la più grande, devi dare il buon esempio! Prima lo studio e il dovere, poi il piacere!”. Non ero<br />

una giovane allegra e pensavo al matrimonio – oltre che come coronamento di un sogno d’amore –<br />

anche come liberazione da ogni vincolo.<br />

Terminata la scuola a diciotto anni, ho lavorato<br />

ininterrottamente come commessa in negozio con papà<br />

fino ai trenta, tranne il breve periodo di un anno in cui<br />

ho ab<strong>it</strong>ato a Bari in perenne luna di miele. Il lavoro mi<br />

piaceva e avevo tante soddisfazioni: trattavo un<br />

bell’articolo (gioielli), ero sempre a contatto con la<br />

gente, mi sentivo gratificata dal fatto che i nostri<br />

clienti avevano la massima fiducia nel mio buon<br />

gusto, nei suggerimenti che davo per la scelta di un<br />

oggetto e nella discrezione che trovavano in negozio<br />

(regola n°1! Papà, infatti, mi aveva inculcato il<br />

concetto che nel nostro lavoro ci si doveva comportare<br />

come le tre scimmiette: non sento, non vedo, non parlo. Diceva che l’orefice deve comportarsi come<br />

il medico o il sacerdote in confessionale). Per arrivare in negozio percorrevo via Cordevole e Corso<br />

Mazzini quattro volte al giorno: era l’occasione per incontrare gente e conoscere tutta<br />

Montebelluna.<br />

Poi, un bel momento, Ezio mi disse: “Non sarebbe mica ora che dessi una mano a tuo mar<strong>it</strong>o che ne<br />

ha tanto bisogno, invece di continuare a lavorare col tuo papà?”. Piansi giorni interi senza farmi<br />

vedere; poi decisi che forse era giusto seguire Ezio e così mi catapultai in un lavoro completamente<br />

diverso da quello che avevo fatto fino ad allora.<br />

Sono stati i quindici anni più brutti della mia v<strong>it</strong>a, perché mi sono trovata chiusa tra ufficio e<br />

magazzino, dove vedevo al massimo una ventina di persone (sempre le stesse, vale a dire i nostri<br />

collaboratori). In più cambiai casa, andando ad ab<strong>it</strong>are in aperta campagna. Non avevo neanche più<br />

la strada da fare per andare al lavoro: bastava scendere le scale ed ero pronta per controllare la<br />

merce in entrata e usc<strong>it</strong>a (mia prerogativa), o per verificare fatture e “fare costi”, controllare i<br />

pagamenti in scadenza, preparare gli estratti-conto per i vend<strong>it</strong>ori che dovevano incassare dai<br />

clienti, ecc. ecc. Stampare listini poi era la cosa che dovevo fare quando c’era un po’ di quiete, vale<br />

a dire o il sabato pomeriggio o la domenica, quando le persone normali si dedicano al riposo o allo<br />

svago. Ero stressata dal lavoro e qualche volta avevo la sensazione che il demonio mi afferrasse per<br />

i capelli!<br />

Per fortuna non ho mai conosciuto la depressione. Semmai in alcune s<strong>it</strong>uazioni, quando l<strong>it</strong>igavo con<br />

Ezio per ragioni di lavoro, mi sono comportata in maniera non proprio ortodossa, da persona<br />

impulsiva quale sono. Avevo comunque un ottimo rapporto con i nostri collaboratori, tanto che, a<br />

distanza di venti anni, non passa Natale o Pasqua senza che ci facciano pervenire i loro auguri o,<br />

33


incontrandoci per strada, non s’interessino alla nostra salute e alla nostra v<strong>it</strong>a. Il che vuol dire che<br />

non abbiamo lasciato un brutto ricordo! Per fortuna, essendo Ezio riflessivo e lungimirante, si è<br />

r<strong>it</strong>irato da questo lavoro in tempo utile, cedendo l’attiv<strong>it</strong>à e tirando i remi in barca.<br />

Per due anni sono r<strong>it</strong>ornata nel centro di Montebelluna in un delizioso appartamento di fronte al<br />

parco Polin.<br />

Pensavo di riallacciare le vecchie amicizie, ma la v<strong>it</strong>a ancora una volta mi ha portato altrove – a<br />

Fonzaso – e questa volta a un lavoro che mi piaceva tanto.<br />

Peccato che il paese non fosse il massimo: l’inverno era lungo e si arrivava anche a diciotto gradi<br />

sotto zero (e io il freddo non lo sopporto). Avevo l’incubo che dalla montagna potesse cadere<br />

qualche masso sopra la casa facendomi fare la fine del topo; poi i montanari sono persone chiuse ed<br />

io in nove anni non sono stata capace di integrarmi.<br />

Erano gentili, anche fin troppo ossequiosi, tanto da<br />

chiamarmi “dottoressa”. Sono andata avanti per<br />

parecchio tempo chiedendo di chiamarmi semplicemente<br />

Giuliana perché ero la commessa e l’aiutante di mia<br />

nipote. Nulla da fare! Incontrandomi per strada mi<br />

salutavano sempre con un arrivederci o un buongiorno<br />

“dottoressa”. Ancora adesso, a distanza di quindici anni,<br />

quando r<strong>it</strong>orno a Fonzaso per salutare la mia amica Bruna<br />

(anche lei originaria della pianura), qualche persona mi si<br />

rivolge con quel t<strong>it</strong>olo.<br />

Sotto il profilo lavorativo quello è stato un buon periodo, pieno di soddisfazioni: ero ben<br />

considerata e mi sentivo utile alla comun<strong>it</strong>à.<br />

Lavoravo tutto il giorno, ma in confronto a quello che avevo fatto in precedenza mi sembrava di<br />

essere una gran signora. Il mercoledì pomeriggio, giorno di chiusura della farmacia, scendevo alla<br />

mia amatissima Montebelluna; la domenica ci si poteva muovere andando a Belluno, che mi<br />

piaceva tanto, a Feltre, a Mel, a San Martino, a Cortina. È da allora che ho incominciato ad<br />

apprezzare il mare d’inverno, al caldo: prima non c’ero mai stata neanche d’estate!<br />

Poi, con la pensione, è arrivato il periodo più bello della mia v<strong>it</strong>a. Meglio tardi che mai! Sono<br />

r<strong>it</strong>ornata a Montebelluna, per me il più bel paese che ci sia, ab<strong>it</strong>o nell’appartamento di cui sono<br />

innamorata, che non cambierei con la villa più bella. Ezio ha lasciato che trasformassi la casa dei<br />

suoi gen<strong>it</strong>ori a mio piacimento. Ci ho radunato tutti i ricordi e i traslochi di una v<strong>it</strong>a (sette!). Sembra<br />

un bazar perché c’è di tutto e di più, ma a me piace così e la mia dolce metà mi lascia fare perché mi<br />

vede felice.<br />

Frequentando l’UTEM ho reincontrato vecchie amicizie e ne ho fatte di nuove. Con queste persone<br />

posso parlare e lasciarmi andare a qualche confidenza, cosa che non facevo mai quando ero più<br />

giovane. È proprio vero che col tempo si cambia! Sono sempre impegnata e non so cosa sia la noia.<br />

Posso coltivare i miei interessi: le piante grasse, la fotografia, ora anche il computer. Mi dedico al<br />

volontariato e ai viaggi che non ho fatto quando ero giovane, ma soprattutto coltivo le relazioni<br />

umane, che sono la cosa più importante. Sono accettata così come sono, impulsiva e poco<br />

diplomatica, e sono onorata dell’amicizia che mi dimostra in particolare una coppia deliziosa con<br />

cui ci troviamo dopo la scuola o a fare qualche bel giro, anche in montagna.<br />

Se il buon Dio vorrà lasciarmi in buona salute credo di poter recuperare abbondantemente il periodo<br />

un po’ burrascoso della mia v<strong>it</strong>a. Del resto, se non avessi lavorato tanto allora, ora non potrei<br />

togliermi tanti piccoli capricci perché, come diceva spesso mio padre, “non si può avere la botte<br />

piena e la moglie ubriaca”.<br />

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BIANCA<br />

RISCATTO<br />

V<strong>it</strong>a in movimento può anche significare una cresc<strong>it</strong>a personale, un evolversi, seguendo<br />

sollec<strong>it</strong>azioni interiori, una voglia di apprendere, di sapere: fatica e impegno ben spesi.<br />

Generalmente sono esigenze e urgenze di chi ha avuto minori possibil<strong>it</strong>à culturali, che non si<br />

accontenta, si sente defraudato, incompleto: perciò imbocca vie, per così dire, di riscatto. È<br />

l’incarnarsi di una presa di coscienza, di consapevolezza e libertà per un più di uman<strong>it</strong>à, il bisogno<br />

di acquisire “virtute e conoscenza”.<br />

Sappiamo tutti come si concretizza tale realtà in alcune persone.<br />

Una di queste è Carlo: un uomo dalle spalle robuste, un po’ curve, quasi a dirne il peso sopportato,<br />

il passo lento come l’accortezza e la prudenza che lo segnano. Sembra che anche il suo fisico porti<br />

l’impronta della sua storia: le mani faticate e robuste, segnate dal lavoro e dalla sua origine<br />

contadina, e lui contento e fiero d esserlo, poiché ha saputo fare di tale condizione motivo di vanto,<br />

di rivalsa, uscendo non dal rapporto con la terra, ma dall’ignoranza di chi si accontenta o si<br />

rassegna.<br />

Come segugio che fiuta la via giusta, ha colto il momento opportuno, l’occasione per approfondire<br />

un’esperienza di lavoro, completandola con lo studio, che gli ha aperto nuovi orizzonti e gli ha dato<br />

la soddisfazione di un diploma di per<strong>it</strong>o agrario. Ne va giustamente fiero. Di fatto “tiene banco”, si<br />

dà la parola, e quando si tratta di discutere di uve, di vini e v<strong>it</strong>icci, di prodotti e lavori agrari,<br />

traspaiono la passione e la competenza, il gusto di spiegare, di dire la sua.<br />

Quell’essersi fatto, a suo tempo, alunno adulto, attento e interessato, con tante ore rubate al sonno<br />

per lo studio serale dopo una giornata di lavoro pesante, ha assunto la valenza di una sfida con se<br />

stesso.<br />

A Carlo l’esperienza ha insegnato a far tesoro di ogni occasione e l’innata intraprendenza lo porta<br />

ad approfondire per colmare un’atavica fame, un’incompletezza che vince, ora con audacia un po’<br />

sfrontata, ora con timore e sguardo interrogante in cerca di conferme, ma sempre convinto – dal<br />

protagonismo che lo sospinge – che vale impegnarsi, esporsi, assecondando quell’insaziabile<br />

vorac<strong>it</strong>à.<br />

“E vai, buttati!”, sembra incalzarlo qualcosa che non sa dire, e lui obbedisce e con audacia dalla<br />

vanga è passato alla penna rifacendosi alunno per acquisire più dimestichezza con la grammatica,<br />

con la scr<strong>it</strong>tura. Infatti racconta esperienze, realtà di v<strong>it</strong>a vissuta, storie passate, allargando ora<br />

questa passione agli alunni delle elementari. Parla loro della storia dei bachi da seta, delle filande, di<br />

come il bozzolo diventa prezioso filato. O di quando all’alba, issata e ben bilanciata la zappa in<br />

spalla, seguendo il troi (il sentiero) raggiungeva il campo da lavorare; racconta delle ore di fatica<br />

sotto il sole, ma anche di libertà e benedizione di raccolti. Parla dei filari di gelsi, capotesta dei filari<br />

di v<strong>it</strong>i: racconti srotolati con la musical<strong>it</strong>à un po’ strascicata del nostro dialetto. Incanta i bambini<br />

perché vuole portarli ad osservare e amare la natura, intende aprire i loro occhi e il loro cuore per<br />

eserc<strong>it</strong>arli a cogliere la bellezza.<br />

Altre passioni: l’orto, la vigna, e lo scrivere, attiv<strong>it</strong>à irrinunciabili e gratificanti.<br />

Quel potare, zappare, falciare, vendemmiare… sono come parole d’amore espresse in gesti antichi e<br />

precisi in sintonia con la natura, che rivelano un’istintiva esigenza di armonia, l’attuarsi di un<br />

disegno in obbedienza a quel biblico “va’, coltiva e custodisci”.<br />

Tracciare su pagine di terra linee v<strong>it</strong>ali è attuare un disegno.<br />

La dign<strong>it</strong>à di un lavoro ben esegu<strong>it</strong>o, grazie alle mani abili dell’uomo, diventa gesto di bellezza, di<br />

gratu<strong>it</strong>à, del quale tutti godiamo.<br />

35


Che frequentare la campagna con amorevolezza alleggerisca e apra il cuore, lo conferma anche<br />

Carlo. Confida infatti che indugia volentieri ad ascoltare con meraviglia il vento cantare tra le<br />

spighe ondeggianti o ad accompagnare con lo sguardo la carezza della luce sui filari. Oppure con il<br />

gusto del condividere ci inv<strong>it</strong>a a godere del profumo della vigna in fiore, magari a bere il mosto per<br />

festeggiare la vendemmia. Se poi qualcosa non “gira”, una passeggiata in campagna a vis-ciassar le<br />

v<strong>it</strong>i, sputando la rabbia, è un r<strong>it</strong>o benefico e salutare per r<strong>it</strong>rovare la calma e il silenzio.<br />

Pensare e godere della terra come di un essere vivo, con i suoi tempi, i suoi bisogni, le stagioni, le<br />

attese, contribuisce a raggiungere un equilibrio interiore.<br />

Credo che la scuola dei campi insegni sapienza, paziente collaborazione tra il seminare e il lasciar<br />

crescere; aiuti a semplificare, acquisendo quella dose spicciola di saggezza del vivere suscettibile di<br />

riflessioni, che aiuta a guardar le cose, la v<strong>it</strong>a, come non la vediamo quasi mai o distrattamente.<br />

Per la sua naturale semplic<strong>it</strong>à è facile per Carlo rapportarsi con i bambini in modo giocoso e<br />

spontaneo: me lo conferma l’episodio al quale ho assist<strong>it</strong>o.<br />

Una sera d’estate in montagna, il salone dell’albergo<br />

predisposto per il ballo: l’orchestra suonava, ma le persone<br />

indugiavano sedute tutt’intorno alla pista. Improvvisamente<br />

entrò in scena Carlo calam<strong>it</strong>ando a sé il nipotino di tre anni.<br />

Con movenze non propriamente aggraziate, il nonno inc<strong>it</strong>ava<br />

il piccolo a seguirlo ballando. Tenera e buffa parodia di un<br />

simpatico orso che gioca con una farfalla: entrambi euforici e<br />

scatenati in un parossismo di saltelli e zampate. Lo sguardo<br />

azzurro e solare del bimbo era ipnotizzato da quello<br />

sollec<strong>it</strong>ante del nonno, mentre entrambi ridevano a<br />

crepapelle, presi nel r<strong>it</strong>mo insist<strong>it</strong>o e avvolgente della musica<br />

e inc<strong>it</strong>ati dal battimani dei presenti che, divert<strong>it</strong>i, r<strong>it</strong>mavano i<br />

loro passi.<br />

Come sospesi in un cono di luce, apparivano al centro di una<br />

garrula e fiabesca felic<strong>it</strong>à.<br />

Quell’insol<strong>it</strong>o spettacolo durò per un po’, quasi ci fosse il<br />

timore di rompere l’incanto di quel bimbo rubacuori e di un<br />

nonno ammaliato da quel cosino biondo tutto scintille. Durò<br />

per la contentezza dei protagonisti e l’allegria dei presenti.<br />

Nelle fiabe la v<strong>it</strong>a può rivelarsi nel brillio di un fiammifero acceso. Così può accadere che, fattosi<br />

uomo, quel bimbo riveda in un lampo il ballo con il nonno, in un vortice di suoni e di risa, e colga<br />

nella leggiadria dell’ora la sapienza mascherata di un agire che lega fine ad inizio, dà sostanza a<br />

qualcosa di eterno e sempre nuovo: la fede nella v<strong>it</strong>a.<br />

È un andare verso la v<strong>it</strong>a con la m<strong>it</strong>e, caparbia, paziente fede del contadino, che favorisce in noi il<br />

formarsi di quel terreno buono, dagli imprevedibili sviluppi: quasi un rimediare alla parte incolta<br />

che portiamo, un seminare e coltivare che realizza quel lento e indispensabile cammino proteso a<br />

diventare – da “immagine” – “somiglianza”.<br />

36


STORIA DI ALÌ<br />

Quando Alì mise mano alla valigia, obbligato a seguire suo padre clandestino in Italia, aveva circa<br />

quattordici anni.<br />

Timido, spaur<strong>it</strong>o e disorientato, buttato fuori dal nido, dal calore e dalla protezione di ali materne, in<br />

un mondo femminile di nonne e sorelle, lui maschio, figlio dell’ultima covata (el coa n<strong>it</strong> direbbe<br />

mia nonna), si trovò ad affrontare l’impatto di una realtà estranea e faticosa.<br />

Lo sospinse un padre che eserc<strong>it</strong>ava il dir<strong>it</strong>to alla patria potestà costringendolo ad elemosinare,<br />

girovagando di casa in casa; contava sulla giovane età del figlio per sollec<strong>it</strong>are la compassione e la<br />

conseguente generos<strong>it</strong>à. Se non succedeva, alla sera erano guai per Alì, specie quando i frequenti<br />

fumi dell’alcol annebbiavano la mente del gen<strong>it</strong>ore.<br />

Storie risapute, pat<strong>it</strong>e, ridette, copia consunta maledettamente triste, ovvietà ripet<strong>it</strong>iva, quotidiana;<br />

resoconto di cronache dove drammi e violenza sono merce ordinaria, anonima; rosario di fatti, di<br />

volti, nella dispar<strong>it</strong>à di faticosi destini.<br />

Immigrati: gente che inquieta, disturba. Nelle oleografie cattoliche i santi son tutti poveri, nella<br />

realtà i poveri non sono tutti santi come li vorremmo, magari per sfruttarli meglio.<br />

Lui me lo trovai di schiena una domenica mattina che procedeva di sghembo, zigzagando. Lo<br />

interpellai: “Lavori anche di domenica?” Mi trovai di fronte uno sguardo da cane bastonato, tra<br />

supplica e diffidenza. Era poco più di un ragazzo, sui vent’anni, gracile, occhi stralunati, con il<br />

sol<strong>it</strong>o borsone a tracolla e l’ab<strong>it</strong>uale scadente mercanzia: ambulante scaduto a mendicante, copia di<br />

altri infelici creature senza casa e senza meta. Non era atteso, non c’era chi stesse in pena per lui.<br />

Era nessuno. Una fragile barchetta in balia dell’onda.<br />

“Italia” è luogo troppo vasto e impreciso per sentirla casa, rifugio.<br />

Laconico e imbarazzato, non aveva la lamentosa e petulante insist<strong>it</strong>a richiesta. Per dormire cercava<br />

posti sol<strong>it</strong>ari (panchine, soglie di chiese, cim<strong>it</strong>eri), timoroso che qualcuno lo molestasse con<br />

intolleranze, favor<strong>it</strong>e dal buio e prive di dubbi.<br />

Per un po’ lo osp<strong>it</strong>ai come potevo. Entrato in casa tirò fuori dalla borsa del vestiario inzuppato dalla<br />

pioggia. Sol<strong>it</strong>amente lo stendeva tra cespugli e tombe nel vecchio cim<strong>it</strong>ero. Immaginai quegli<br />

indumenti nella notte, mossi dal vento, somiglianti a inquieti, traballanti fantasmi; la suggestione<br />

che potevano creare in menti magari annebbiate dall’alcol o dalla droga. Il teatro della realtà, così<br />

fantasioso e vario, ha labili confini tra drammatico e comico.<br />

La frequentazione anche dell’altro cim<strong>it</strong>ero era per Alì ab<strong>it</strong>uale, specie nelle ore deserte, per pulizie<br />

personali e bucato. Teneva d’occhio se arrivava il custode. Per il resto i morti non parlano, non<br />

disapprovano: il loro silenzio risulta compatibile con una complic<strong>it</strong>à di compassione, di chi sa, di<br />

chi capisce e lascia fare. Ma forse impensieriscono anche loro certe sottrazioni di uman<strong>it</strong>à, certe<br />

incolpevoli v<strong>it</strong>e, continuamene alla deriva, “figli di un dio minore”, piante sradicate da un terreno<br />

amico e fertile che subisce la sofferenza di un trapianto fuori tempo, di un radicamento stentato.<br />

Alì aveva necess<strong>it</strong>à di un lavoro. Nonostante varie richieste, telefonate, passaparola, annunci, non se<br />

ne vedeva la possibil<strong>it</strong>à. Finalmente un annuncio su un giornalino. La speranza tornava,<br />

sproporzionata ed esplosiva, fecondava progetti futuri, dava fiato ai desideri, faceva nido in ogni<br />

angolo. La mente pullulava di sogni. Al primo posto vagheggiava una vacanza in Marocco. Si<br />

vedeva già provetto falegname, proprietario di un’impresa di restauro, lui che non aveva mai<br />

maneggiato pialla e martello. Chiedeva, s’informava, fantasticava una casa con tutte le sue donne e<br />

magari qualcuna in più, sapeva lui quale.<br />

Una vera esplosione di straripanti lusinghe davano ali alla fantasia: cominciavo a preoccuparmi<br />

tanto somigliava all’apprendista stregone, incapace di r<strong>it</strong>rovare la formula per fermare l’eccesso di<br />

fantasticheria.<br />

37


Iniziò il lavoro, la realtà. Partiva al mattino in bicicletta, lo aspettavano venticinque chilometri.<br />

Mangiava al sacco in sol<strong>it</strong>udine. R<strong>it</strong>ornava sera dopo sera sempre più stanco e deluso. Erano in tre<br />

apprendisti, assunti da una minuscola impresa di restauro. Per Alì, quando si assentava il<br />

proprietario, erano vessazioni, prepotenze, camuffate violenze. Avevano individuato la v<strong>it</strong>tima, ed<br />

era facile scaricare su questa, inerme com’era, la loro aggressiv<strong>it</strong>à.<br />

A cena ne parlava con sguardo triste prossimo alle lacrime.<br />

Dai suoi guadagni dipendeva tutta la famiglia in Marocco. Il padre mandava ben poco. Contavano<br />

tutti su di lui, su quel poco che prendeva vivendo di stratagemmi: o raccolta di frutta, se c’era, o nei<br />

lunghi periodi invernali, gambe in spalla, là dove portava la strada, a suonar campanelli.<br />

Non una casa dove tornare, non un affetto che rincuora. Era questo girovagare questuante il lavoro<br />

che più odiava. Non riusciva ad accettarlo. Si vergognava a esporsi, timido com’era. Non aveva la<br />

sfrontatezza e la determinazione dei più. Quelli che fanno della malasorte e della sventura il<br />

puntello per emergere, si propongono rivalse, capaci di fare dell’insicurezza il volano di chimere, di<br />

desideri. Partono inseguendo un sogno, un miraggio, un’utopia; progettano il futuro, inventano<br />

risposte alle necess<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a. Lui non aveva scelto né deciso di partire, si era trovato costretto<br />

dal padre, dal quale nel frattempo era scappato, vivendo nel timore d’incontrarlo.<br />

L’orfanezza che pativa lo rendeva ancora più insicuro e isolato con rimpianti del non avuto, il cuore<br />

gonfio di ribellioni e paure: paura e diffidenza dei connazionali, sfiducia negli stranieri, timore di<br />

chiedere, di esistere. Portava le sue paure fin dentro i sogni.<br />

Potevano considerarsi un sussulto di fierezza, una forma rovesciata di coraggio, certe spavalderie<br />

villane e pretenziose che lo mettevano poi in imbarazzo, in lotta con se stesso. Inoltre emergeva,<br />

ben radicata, la presunta superior<strong>it</strong>à maschile, che rendeva arduo ogni mio tentativo di dialogo, di<br />

aiuto e confronto.<br />

Dietro mie insistenze si era iscr<strong>it</strong>to però alla scuola media per stranieri. Non riuscì a continuarla.<br />

Demotivato e fragile, nutriva velle<strong>it</strong>à di risultati immediati, faticava ad accettare la legge della<br />

progressiv<strong>it</strong>à, del passo dopo passo, che richiede programmi, tempi, attese. Aderire a tali necess<strong>it</strong>à<br />

significava per lui eludere le risposte alle urgenze della v<strong>it</strong>a.<br />

Sarebbe stato facile entrare nella rete di spacciatori e guadagnare bene, lo sapeva. Non so per quale<br />

intima ribellione rifiutasse tale possibil<strong>it</strong>à.<br />

Consideravo questi momenti, carichi di una r<strong>it</strong>rovata dign<strong>it</strong>à e fierezza, questi attimi di rivolta, nella<br />

rinnovata capac<strong>it</strong>à di dire no alla degradazione, come un punto di forza, di luce, nella dispar<strong>it</strong>à di<br />

perdente.<br />

Pagato a stento e a singhiozzo, il lavoro si rivelava sempre più precario e si capiva che sarebbe<br />

fin<strong>it</strong>o. Così avvenne, infatti, e Alì ci rimise l’ultima paga e anche la bici. Si r<strong>it</strong>rovò di nuovo senza<br />

lavoro e senza fortuna.<br />

Era durato poco il sogno di normal<strong>it</strong>à, di futuro. Si spegneva il vag<strong>it</strong>o della speranza, si rivelava di<br />

fiato corto la stagione delle promesse.<br />

Troppo breve! Ricompariva un’innata ancestrale rassegnazione.<br />

Ci trovammo a rivis<strong>it</strong>are insieme le lusinghe dell’inizio, ora con la chiaroveggenza di realtà<br />

disamorate. Entrambi sconsolatamente impotenti e tristi. Ciò acuiva il suo senso di fallimento, quel<br />

trovarsi sempre da capo, percepirsi straniero ovunque, sempre ai margini; quasi un modo di essere,<br />

di ab<strong>it</strong>are la terra. Squallore ripet<strong>it</strong>ivo dentro incolpevoli realtà e consumate speranze. Come tutti,<br />

ignari di quali colpe stiano scontando la pena. Costretti a stendere mani sudice e innocenti per una<br />

stentata elemosina, sciorinando l<strong>it</strong>anie di bisogni, di umane pretese, nella dispar<strong>it</strong>à di cattivi destini.<br />

Figli anche loro, concep<strong>it</strong>i con uguale amore, partor<strong>it</strong>i con lo stesso dolore, covati, nutr<strong>it</strong>i con<br />

pensieri e sogni d’amore infin<strong>it</strong>i. Figli di uno stesso Dio padre chiamato con nomi diversi.<br />

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Attirati da una terra promessa dove scorre benessere, pane e companatico, manna quotidiana di<br />

facile raccolta secondo ingannevoli telematiche pubblic<strong>it</strong>à. Insignificante normal<strong>it</strong>à invece, nel<br />

nostro quotidiano. A renderci diversi è la fame e la paura che ci chiedano troppo.<br />

Non trovando di meglio, Alì riprese l’odiata borsa; spostandosi qua e là ricomparve anche quel<br />

dolore in fondo agli occhi che lo assaliva a tradimento. Un vuoto che sveglia di soprassalto, anticipa<br />

l’alba, tra smarrimento e sol<strong>it</strong>udine. Male senza nome, somma di antecedenti dolori e di nuove<br />

fer<strong>it</strong>e, simile all’abbaiare di un cane nella notte, al quale risponde altro abbaiare che lacera e ferisce<br />

il silenzio.<br />

Ci sarà ancora nei suoi occhi quella ingenua spavalderia, ignara, rassegnata provocazione, impostasi<br />

quale corazza? Inutile sfida...<br />

Nei periodi di vacche grasse, si fa per dire, Alì scialava, specie se era d’inverno, cioè prendeva in<br />

aff<strong>it</strong>to un letto presso quelle case mezzo diroccate che i suoi connazionali sfruttavano per i<br />

disgraziati come lui. E, se non aveva soldi, c’erano sempre i tubi di cemento sull’autostrada dove si<br />

infilava di nascosto, dormiva, faceva casa o tana. Repentino r<strong>it</strong>orno al prim<strong>it</strong>ivo. Scippo di dign<strong>it</strong>à.<br />

Rammento uno dei suoi ricordi più cari che gli usciva a strappi e interruzioni, come chi valuta e<br />

soppesa la perla custod<strong>it</strong>a nello scrigno, se conviene nasconderla o esporla.<br />

Trattando di cibo, niente era per lui così desiderabile e ineguagliabile come il gran piatto di cous<br />

cous preparato da sua madre in certe occasioni. Il di più, la prezios<strong>it</strong>à, stava nel venir consumato in<br />

cerchio a casa sua, seduti sul pavimento di terra battuta, attingendo ognuno, a mani nude, dallo<br />

stesso piatto, bevendo acqua di pozzo. Gesti ancestrali, familiarmente confidenziali. Con sguardo<br />

non più rasoterra, ma specchio a chi ti conosce, ti capisce. Convivial<strong>it</strong>à festosa, beata congiura di<br />

molteplici nutrimenti dove attingere forza v<strong>it</strong>ale, ident<strong>it</strong>à. Connubio di tradizioni e legami,<br />

accoglienza dell’altrui fisic<strong>it</strong>à e presenza.<br />

Raccontava tutto questo come permesso d’inoltrarmi in segreti custod<strong>it</strong>i gelosamente.<br />

A quando la capac<strong>it</strong>à di guardare ai migranti attraverso il prisma di una nuova mental<strong>it</strong>à, che lasci<br />

loro l’innata libertà, in modo che, simili ad uccelli migratori, possano planare e arrestare il volo<br />

dove trovano lidi migliori?<br />

Risulta che tra i miseri s’insinui Uno che ha scelto per sempre l’ultimo posto. Viaggiatore in<br />

incogn<strong>it</strong>o, infiltrato, clandestino anche lui.<br />

A rivelarlo e a dar compimento a questo sogno può giungere solo chi contrabbanda e realizza<br />

“contagiosi” gesti d’amore verso tutti gli Alì della terra.<br />

Ho rivisto Alì dopo qualche anno. È morta sua madre, unico punto di riferimento. Senza di lei non<br />

c’è casa, era lei la casa, il riparo e l’accoglienza, probabilmente l’unica che pregasse per lui.<br />

Nella confusione del lutto ha perso il permesso di soggiorno, perciò ogni dir<strong>it</strong>to; non conta l’esser<br />

uomo, aver fame e sonno. È la legge che decide, non l’uman<strong>it</strong>à. Tuttavia ha mantenuto pul<strong>it</strong>a la<br />

fedina penale; nonostante la fragil<strong>it</strong>à è riconosciuto persona onesta, degna di fiducia. Di ciò va dato<br />

onore specie ad un disperato, perché uomo e perché povero, cioè di quelli – dice Tonino Bello –<br />

“che pagano in silenzio la discriminazione impietosa dei più fragili, la cui dign<strong>it</strong>à è illec<strong>it</strong>o<br />

misurarla con categorie di appartenenza”.<br />

“Alì, se passi… la porta è aperta”.<br />

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GIOVANNI<br />

LASSÙ AL NORD<br />

Nel lontano 1953 mi trasferii assieme a tutta la famiglia da Barletta, mia c<strong>it</strong>tà natale, a Genova,<br />

dove mi iscrissi all'ultimo anno del Liceo classico in una scuola prestigiosa della c<strong>it</strong>tà e dove mai mi<br />

sarei aspettato l'accoglienza discriminatoria che mi riservarono i compagni di classe.<br />

Mi accorsi sub<strong>it</strong>o che il nostro non si poteva definire semplicemente un “trasferimento” da una c<strong>it</strong>tà<br />

ad un'altra dello stesso Paese, bensì una vera e propria “emigrazione”. Gli stessi compagni di classe<br />

la percepivano come tale, come se provenissi da un paese straniero: gli ep<strong>it</strong>eti nei miei confronti si<br />

sprecavano e “terrone” veniva pronunciato come un vero e proprio insulto, a cui se ne<br />

aggiungevano altri (perfino “band<strong>it</strong>o Giuliano”…).<br />

Insomma il Nord dell'Italia si considerava invaso da queste “orde” di meridionali, così come oggi<br />

viene invaso dalle “orde” di stranieri. Quell'ondata migratoria continuò e durò sino a tutti gli anni<br />

Sessanta e oltre, soprattutto perché la FIAT apriva i cancelli alla manodopera non qualificata.<br />

Proprio in quegli anni io venivo assunto in Banca a Torino, dove ho vissuto sulla mia pelle la stessa<br />

discriminazione sub<strong>it</strong>a a Genova, se non peggiore. Mi ricordo che i residenti aff<strong>it</strong>tavano ai<br />

meridionali a caro prezzo non appartamenti, ma singoli posti-letto; io feci quell’esperienza, dato che<br />

non risiedevo a Torino, bensì a Genova. Si verificava, né più né meno, quello che avviene oggi con<br />

gli immigrati che giungono nel nostro Paese, vale a dire “parlarne male sfruttandoli”.<br />

In quella c<strong>it</strong>tà, Torino, arrivava la gente del più “profondo Sud”, con la quale era obbiettivamente<br />

molto difficile comunicare e legare. Ciò nonostante quella stessa gente sarebbe nel tempo diventata<br />

la più avanzata in campo sindacale e pol<strong>it</strong>ico, portando avanti le sacrosante ragioni della classe<br />

operaia di allora.<br />

Oggi la s<strong>it</strong>uazione è molto cambiata rispetto a quegli anni, in quanto le migrazioni sono causate –<br />

oltre che dalla povertà – dalla guerra e da calam<strong>it</strong>à naturali. Oggi chi si trova a vivere in parti del<br />

mondo dove manca il lavoro e per giunta le condizioni ambientali fanno veramente paura,<br />

naturalmente emigra nel nostro emisfero, dove le condizioni di lavoro e di clima sono più<br />

favorevoli.<br />

Io ci ho impiegato tutta una v<strong>it</strong>a per giungere a capire lo spir<strong>it</strong>o e la lungimiranza con cui mio padre<br />

prese allora la decisione di trasferirsi nel m<strong>it</strong>ico Nord. Oggi che vivo da più di trent'anni al Nord ho<br />

cap<strong>it</strong>o anche cosa vuol dire la parola “integrazione”, che può riassumersi pressappoco così:<br />

imparare ad apprezzare e a recepire quello che vi è di buono negli usi e costumi degli altri, i<br />

“diversi” da noi, avendo però l'accortezza di non smarrire per strada quello che vi è di buono nei<br />

propri. In altri termini essere curiosi delle divers<strong>it</strong>à, ma prendere le distanze dai difetti, cercando di<br />

creare un equilibrio, così come facciamo o dovremmo fare in famiglia.<br />

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INDICE<br />

Pag. 1 PRESENTAZIONE di <strong>Edda</strong> <strong>Arca</strong> e <strong>Maria</strong> <strong>Grazia</strong> <strong>Pozzato</strong><br />

Pag. 3 ADRIANA<br />

Una nonna coraggiosa<br />

Un emigrante <strong>it</strong>aliano<br />

Pag. 6 CARLO<br />

Bisogna partire<br />

In Tanzania ho incontrato gli angeli<br />

Pag. 11 INNOCENZA<br />

Il “Continente”<br />

Pag. 13 EZIO<br />

Le mie origini e la mia terra<br />

Pag. 15 FLORA<br />

A più voci<br />

Pag. 20 EDDA<br />

Partire<br />

Pag. 22 BRUNO<br />

Il ragazzo con la valigia di cartone<br />

Pag. 25 FRANCO<br />

In corsa per non morire<br />

Pag. 28 BRUNA<br />

Innamorata della v<strong>it</strong>a<br />

Famiglie in movimento<br />

<strong>Maria</strong>nna e Michele<br />

Pag. 33 GIULIANA<br />

La mia v<strong>it</strong>a in movimento<br />

Pag. 35 BIANCA<br />

Riscatto<br />

Storia di Alì<br />

Pag. 40 GIOVANNI<br />

Lassù al Nord<br />

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