Bullettino - Istituto storico italiano per il Medioevo
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<strong>Bullettino</strong><br />
DELL’ISTITUTO STORICO ITALIANO<br />
DELL’ISTITUTO STORICO ITALIANO<br />
PER IL MEDIO EVO<br />
111<br />
ROMA<br />
NELLA SEDE DELL’ISTITUTO<br />
PALAZZO BORROMINI<br />
___<br />
2009
Mangiare <strong>il</strong> nemico. Pratiche e discorsi di antropofagia<br />
nelle città italiane del tardo medioevo<br />
«Più del dolor poté <strong>il</strong> digiuno» 1 , recita <strong>il</strong> verso dantesco, uno dei più<br />
celebri della letteratura mondiale.<br />
Il fiero pasto ha sempre suscitato dubbi e <strong>per</strong>plessità: fu davvero Ugolino<br />
un padre antropofago? O più semplicemente morì d<strong>il</strong>aniato dalla fame,<br />
come sostennero alcuni commentatori contemporanei, che, restii a credere<br />
<strong>il</strong> conte capace di una sim<strong>il</strong>e colpa, decifrarono le parole di Dante nel<br />
loro significato più benigno ritenendo, come Cristoforo Landino <strong>il</strong> secolo<br />
successivo, “absona” l’interpretazione che sottintende l’antropofagia 2 .<br />
Al tempo di Ugolino, tuttavia, <strong>il</strong> ricorso al “fiero pasto” non fu un<br />
mero topos letterario, né un fenomeno collegato esclusivamente a bisogni<br />
alimentari: le cronache, dal XIV al XVI secolo, riportano infatti, tra le<br />
pratiche di scempio del cadavere caratteristiche delle rivolte urbane, alcuni<br />
episodi di cannibalismo che sono da mettere in relazione non tanto<br />
con le numerose attestazioni di antropofagia nutrizionale del <strong>per</strong>iodo,<br />
ma piuttosto con l’uso di pratiche aggressive e di violazione dell’integrità<br />
corporea, frequenti in ambito cittadino bassomedievale e penisulare 3 .<br />
1 D. Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto XXXIII, 75.<br />
2 «Marino Novarese, al quale Iddio accresca la prudentia e diminuisca l’arrogantia,<br />
interpreta che el digiuno potè più che ‘l dolore, che el desiderio di cibarsi vinse la pietà et amore<br />
paterno et sforzollo a pascersi della carne de’ figliuoli; la qual sententia quanto sia absona<br />
lascerò al giudicio del lectore»: Cristoforo Landino, Comento sopra la Comedia, cur. P. Procaccioli,<br />
Roma 2001. Sulla veridicità della leggenda del conte Ugolino non si sono interrogati<br />
soltanto i contemporanei di Dante: l’episodio è stato oggetto di numerosi studi e<br />
discussioni dal XIV secolo ai giorni nostri, interessando attualmente anche biologi, come<br />
Francesco Mallegni, che ritiene di aver identificato lo scheletro del conte. Secondo lo studioso,<br />
in base alle analisi delle ossa delle costole, <strong>il</strong> presunto scheletro porterebbe ad escludere<br />
l’interpretazione cannibalica dei versi danteschi <strong>per</strong> la mancanza di tracce di zinco nelle<br />
ossa delle costole, evidenti invece nel caso di consumazione di carne umana (F. Mallegni –<br />
M.L. Ceccarelli Lemut, Il conte Ugolino della Gherardesca tra antropologia e storia, Pisa 2003).<br />
3 Non è questa la sede <strong>per</strong> tentare un riassunto dei tantissimi studi sul cannibalismo,<br />
ci limitiamo quindi a segnalare l’ultima o<strong>per</strong>a di sintesi uscita sull’argomento: D.
254 ANGELICA MONTANARI<br />
In questo contesto, infatti, l’uso simbolico dell’azione violenta è<br />
pregno di significati grevi: non si limita a emergenze drammatiche o a<br />
situazioni di tale eccezionalità da sfuggire al controllo, ma costituisce<br />
invece una caratteristica propria degli stessi contesti istituzionalizzati e<br />
della giustizia ufficiale, all’interno dei quali viene adottato come strumento<br />
atto alla restaurazione dell’ordine, capace cioè di ricomporre le<br />
fratture nel tessuto sociale causate dalla trasgressione delle norme fissate<br />
dall’ordinamento pubblico 4 .<br />
Al fianco della prassi ufficiale sussistevano ovviamente pratiche di<br />
violenza non riconosciute, non corrispondenti ad un rituale codificato e<br />
apparentemente estranee ad ogni forma di disciplina. Appro-fondendo<br />
l’analisi, tuttavia, si è portati a chiedersi se anche dietro a condotte sociali<br />
più spontanee – e dunque <strong>per</strong> quel che ci concerne all’antropofagia –<br />
non si celassero forme di controllo meno manifeste nonché alcune dinamiche<br />
ricorrenti e consuetudinarie, pur non cristallizzate attraverso una<br />
specifica codificazione.<br />
Ma vediamo prima di tutto cosa tramandano le fonti.<br />
Dhiel – M.P. Donneley, Eat thy neighbor: a history of cannibalism, Glouchestershire 2008. Il<br />
cannibalismo nel <strong>Medioevo</strong> al contrario è una tematica ancora poco studiata. Esiste una<br />
sola monografia sull’argomento: M.L. Price, Consuming passions: the uses of cannibalism in<br />
Late Medieval and Early modern Europe, New York 2003 (si ringrazia Andrea Zorzi <strong>per</strong> la<br />
segnalazione), mentre a livello letterario la tematica è stata di recente analizzata da<br />
Heather Blurton (H. Blurton, Cannibalism in the hight medieval english literature, New York<br />
2007; si ringrazia Luigi Russo <strong>per</strong> la segnalazione). Diversi articoli approfondiscono<br />
invece aspetti determinati dell’antropofagia; tra i vari si ricorda P. Bonassie, Consommation<br />
d’aliments immondes et cannibalisme de survie dans l’Occident du Moyen Âge, «Annales ESC», 44<br />
(1989), pp. 1035-1056; A. Pagden, Cannibalismo e contagio: sull’importanza dell’antropofagia<br />
nell’Europa preindustriale, «Quaderni Storici», 50, anno XVII/2 (1982), pp. 533-550; E.W.<br />
Muir, The cannibals of Renaissance Italy, «Syracuse Scholar», 5 (1984), pp. 5-14.<br />
4 Sull’esercizio della violenza in contesti ufficiali cfr. A. Pert<strong>il</strong>e, Storia del diritto <strong>italiano</strong><br />
dalla caduta dell’im<strong>per</strong>o romano alla codificazione, II ed. riveduta, Bologna 1965-1966: V, pp.<br />
249-277; C. Gauvard, Violence et ordre public au Moyen Âge, Paris 2005; A. Zorzi, Le esecuzioni<br />
delle condanne a morte a Firenze nel tardo <strong>Medioevo</strong> tra repressione penale e cerimoniale pubblico,<br />
in Simbolo e realtà della vita urbana nel tardo <strong>Medioevo</strong>. Atti del V Convegno <strong>storico</strong> italocanadese<br />
(Viterbo 11-15 maggio 1988), Viterbo 1989, pp. 153-253; Zorzi, Rituali di violenza,<br />
cerimoniali penali, rappresentazioni della giustizia nelle città italiane centro-settentrionali (secoli<br />
XIII-XV), in Le forme della propaganda politica nel Due e Trecento, Relazioni tenute al convegno<br />
internazionale organizzato dal Comitato di studi storici di Trieste, dall’École française<br />
de Rome e dal Dipartimento di storia dell’Università degli studi di Trieste (Trieste,<br />
2-5 marzo 1993), cur. P. Cammarosano, Roma 1994 (Collection de l’École française de<br />
Rome, 201), pp. 398-425; B. Lenman – G. Parker, The State, the Community and the Criminal<br />
Law in Early Modern Europe, in Crime et Law, the Social History of Crime in Western Europe<br />
since 1500, cur. V.A.C. Gatrell - B. Lenman - G. Parker, London 1980, pp. 11-48.
Testimonianze<br />
MANGIARE IL NEMICO 255<br />
Il primo caso di antropofagia attribuito al XIV secolo risale al 1305<br />
ed è collegato al sospetto assassinio dell’ultimo marchese di Monferrato<br />
discendente dalla casa degli Aleramici, Giovanni I, unico erede<br />
maschio di Guglielmo VII del Monferrato. A trattarne è <strong>il</strong> De gestis civium<br />
Astensium di Guglielmo Ventura che, seppur coevo all’episodio<br />
narrato, non fu testimone diretto del fatto 5 .<br />
Il testo narra come Giovanni I degli Aleramici, ottenuta la sottomissione<br />
di Asti nel 1303, cadesse gravemente ammalato nel gennaio<br />
1305. Pochi giorni più tardi moriva senza eredi, dopo aver commesso<br />
<strong>per</strong> testamento la gestione delle sue terre al comune di Pavia. Di quella<br />
morte improvvisa venne incolpato <strong>il</strong> suo medico <strong>per</strong>sonale, maestro<br />
Emanuele di Vercelli, con un’accusa, a detta di Guglielmo, infondata.<br />
Non appena assolte le incombenze funebri, i ministri del defunto<br />
marchese assassinarono senza processo <strong>il</strong> vercellese, colpendolo a morte<br />
con numerose pugnalate, e molti ne mangiarono le carni 6 .<br />
Sei anni dopo, a Brescia, avvenne un pasto antropofagico dalle modalità<br />
e dai fini assai diversi. Correva l’anno 1311 ed Enrico VII di Lussemburgo,<br />
valicate le Alpi alla testa del suo esercito, cingeva d’assedio<br />
la Brescia ribelle. Narra la Cronaca Varignana del Corpus Chronicorum Bononiensium,<br />
che i bresciani «vir<strong>il</strong>mente e fortemente se defendevano» e,<br />
quando si impadronivano dei soldati nemici, «tuti li arustivano e li mangiavano»<br />
7 . Gli im<strong>per</strong>iali non furono da meno: catturato Tebaldo Bru-<br />
5 Gu<strong>il</strong>elmi Venturae De gestis civium Astensium, Torino 1848 (Monumenta Historiae<br />
Patriae, Scriptores, 3/2), coll. 747-748. Purtroppo <strong>il</strong> De gestis civium Astensium ci è giunto<br />
solo in redazioni tarde, non anteriori al XVI secolo e con numerose interpolazioni;<br />
l’analisi che segue si rifà all’edizione dei Monumenta Historiae Patriae, tratta dalle due<br />
copie della cronaca conservate all’Archivio di Torino.<br />
6 Ibid. È piuttosto diffic<strong>il</strong>e ricostruire l’identità della vittima dell’antropofagia, dal<br />
cui semplice nominativo si possono presumere – data anche la professione – le origini<br />
ebraiche, non supportate <strong>per</strong>ò da alcun documento. L’eventuale verifica dell’appartenenza<br />
giudaica di Emanuele fornirebbe un’ipotesi suggestiva, ma plausib<strong>il</strong>e, all’accaduto.<br />
Plausib<strong>il</strong>e, poiché prefigurerebbe con ampio margine di probab<strong>il</strong>ità la comoda scelta<br />
di far ricadere le responsab<strong>il</strong>ità della morte su membro estraneo alla comunità cristiana,<br />
suggestiva <strong>per</strong> <strong>il</strong> ribaltamento implicitamente sottinteso: proprio a partire da questo<br />
secolo, le comunità giudaiche saranno accusate di omicidio e cannibalismo, seppur nelle<br />
modalità differenti dell’uso del sangue e dell’infanticidio rituale, mentre qui l’ebreo<br />
sarebbe rappresentato come vittima, ingiustamente colpevolizzata, dell’atto cannibalico.<br />
7 Corpus Chronicorum Bononiensium, ed. A. Sorbelli, in R.I.S.², 18/1, vol. II (Cronaca<br />
B – Varignana), Bologna 1938, pp. 320 (si ringrazia Bruno Fortunato <strong>per</strong> la segnalazione<br />
dell’episodio).
256<br />
ANGELICA MONTANARI<br />
sato, anima della resistenza, lo avvolsero in una pelle di bue e lo trascinarono<br />
intorno alle mura, <strong>per</strong> poi decapitarlo, squartarlo ed esporne i<br />
resti ai quattro angoli della città. Gli assediati, <strong>per</strong> lavare l’oltraggio al<br />
nob<strong>il</strong>e Brusato, catturarono un nipote dell’im<strong>per</strong>atore, che fu «arrostito<br />
e mangiato dalli Bressani» 8 .<br />
Spostiamoci ora verso <strong>il</strong> sud isolano, la cui storia è narrata dalla<br />
cronaca di Michele da Piazza. Siamo a Geraci, nel 1337 e la città è<br />
combattuta tra le famiglie dei Ventimiglia e dei Chiaromonte. In seguito<br />
ad un nuovo contenzioso con la famiglia dei Palizzi, alleata dei Chiaromonte<br />
e sostenuta dal nuovo sovrano Pietro II, Francesco Ventimiglia<br />
venne bollato come traditore e ucciso. Fu allora che abitanti di<br />
Geraci ne fecero scempio, tagliandogli le dita, strappandogli gli occhi,<br />
staccandogli a colpi di pietra i denti, tagliando i peli della barba con la<br />
carne, finchè non fu «scissus de membro in membrum» e, aggiunge <strong>il</strong><br />
cronista, «alii de epate eius comedebat» 9 .<br />
Nel 1343 a Firenze scoppiò la rivolta contro Gualtieri di Brienne,<br />
duca d’Atene e signore di Firenze. A descrivere l’episodio di antropofagia<br />
sono la cronaca di Giovanni V<strong>il</strong>lani, contemporaneo ai fatti narrati,<br />
e quella di Marchionne di Coppo Stefani, vissuto una generazione<br />
più tardi e ispirato in parte all’o<strong>per</strong>a del predecessore. Notizie ut<strong>il</strong>i si<br />
ricavano anche dalle Storie Pistoresi e dalle Memorie inedite di Francesco<br />
di Giovanni Durante 10 .<br />
Il 26 luglio 1343, dunque, gli insorti asserragliarono <strong>il</strong> Brienne nel<br />
suo palazzo, costringendo alla fuga i suoi seguaci. Come prezzo <strong>per</strong><br />
rom<strong>per</strong>e l’assedio, i rivoltosi chiesero la consegna del conservatore<br />
Guglielmo d’Assisi e del di lui figlio che, rimessi nelle mani dell’«arrabbiato<br />
popolo», furono uccisi seduta stante e smembrati «in minuti pezzi».<br />
Alcuni insorti brandirono le picche con brandelli delle loro spoglie,<br />
mentre altri, più arditi, ne divoravano le carni con «furia animosa» 11 .<br />
8 Ibid., p. 321.<br />
9 Michele da Piazza, Cronica, ed. A. Giuffrida, Palermo 1976, p. 59 (si ringrazia<br />
Piero Corrao <strong>per</strong> la segnalazione dell’episodio).<br />
10 Giovanni V<strong>il</strong>lani, Nuova Cronica, ed. G. Porta, Parma 1990, pp. 291-342;<br />
Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, ed. N. Rodolico, in R.I.S.², 30/1, Città<br />
di Castello 1913, pp. 192-209; Storie Pistoresi [MCCC-MCCCXLVIII], ed. S. Adrasto<br />
Barbi, in R.I.S.², 11/5, Città di Castello 1903, pp. 175-192; Francesco di Giovanni di<br />
Durante, Memorie, BNF II. IV. 377. Sull’episodio di antropofagia si veda Muir, The cannibals<br />
cit., pp. 5-14<br />
11 Giovanni V<strong>il</strong>lani, Nuova Cronica cit., p. 339. Così suona l’identico episodio nelle<br />
parole di Marchionne di Coppo Stefani: «vennono Altoviti, Medici, Rucellai ed altri
MANGIARE IL NEMICO 257<br />
Se <strong>il</strong> tentativo di spodestare <strong>il</strong> duca d’Atene andò a segno, non<br />
altrettanto riuscita fu nel 1385 l’insurrezione contro Niccolò II d’Este:<br />
<strong>il</strong> 3 settembre 1385 i ferraresi insorsero esas<strong>per</strong>ati dalla gravosa tassazione<br />
e si rivolsero contro Tommaso da Tortona, responsab<strong>il</strong>e diretto<br />
della politica tributaria.<br />
A citare l’episodio di antropofagia sono <strong>il</strong> Chronicon Estense e <strong>il</strong><br />
Chronicon Regiense 12 ; in ambedue si racconta come, di fronte all’incontrollab<strong>il</strong>e<br />
animosità della rivolta, <strong>il</strong> marchese si risolse a pagare la sua salvezza<br />
con la vita del vicario. Tommaso, <strong>per</strong>cosso con fruste e bastoni, colpito<br />
con lame, ferito con uncini, lapidato, tagliato con le scuri, venne trascinato<br />
“turpemente” dalla piazza fino al rogo nel quale i rivoltosi avevano<br />
bruciato i registri di dazi e gabelle. Qui gli estrassero <strong>il</strong> fegato e <strong>il</strong><br />
cuore <strong>per</strong> divorarli; altri resti furono appesi su picche e bastoni e fatti sf<strong>il</strong>are<br />
<strong>per</strong> la città; qualcuno dei macabri trofei venne esposto in bella vista<br />
al porto, come monito <strong>per</strong> tutti. Alla fine, quel poco che restava del<br />
corpo fu dato alle fiamme assieme ai libri e ai documenti 13 .<br />
Trascorre quasi un secolo prima che si abbia notizia di un ulteriore<br />
episodio di antropofagia, <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale occorre spostarsi nella M<strong>il</strong>ano del<br />
1476. Si tratta dell’assassinio di Gian Galeazzo Maria Sforza, pugnalato<br />
mentre si recava alla messa di Santo Stefano da Giovanni Andrea Lam-<br />
assai, cui avea i loro condannati a morte, e fu gittato fuori dalla porta <strong>il</strong> figliuolo del<br />
conservadore, <strong>il</strong> quale avea 18 anni ed appresso lo conservadore. Il popolo bestialmente<br />
straziando e tagliando questi, chi con un pezzo, e chi con un altro n’andava via, e<br />
chi ne mangiava e chi ne mordea, che, secondochè si legge, in inferno non si fa peggio<br />
di un’anima. Ed assai vitu<strong>per</strong>evole cosa era a vedere» (Marchionne di Coppo<br />
Stefani, Cronaca fiorentina cit., p. 209).<br />
12 Chronicon Estense, ed. L. A. Muratori, R.I.S., XV, Mediolani 1729, col. 510 b\c;<br />
Sagacius et Petrus de Gazata, Chronicon Regiense, ed. L. A. Muratori, R.I.S., XVIII,<br />
Mediolani 1731, col. 91. Il Chronicon Estense e <strong>il</strong> Chronicon Regiense sono le uniche due<br />
fonti a specificare l’episodio di antropofagia, ma notizie ut<strong>il</strong>i ed interessanti sull’episodio<br />
si ricavano anche da ulteriori testimonianze: Corpus Chronicorum Bononiensium cit.,<br />
vol. III, Bologna 1939, p. 374; Conforto da Costoza, Frammenti di storia vicentina, ed. C.<br />
Steiner, in R.I.S.², 13\1, Città di Castello 1915, pp. 32-33; Galeazzo e Bartolomeo<br />
Gatari, Cronaca Carrarese, edd. A. Medin - G. Tolomei, in R.I.S.², 17/1, vol. I, Bologna<br />
1931, p. 237.<br />
13 Anche nella rivolta di Firenze del 1343 furono distrutti dei documenti. A<br />
Firenze si tratta di documenti giudiziari, mentre a Ferrara dei registri dei dazi saccheggiati<br />
dalla cancelleria: differenza che riflette la diversa caratterizzazione delle due rivolte,<br />
una motivata dalla politica repressiva giudiziaria del regime del Brienne, l’altra innescata<br />
dalla rigida politica fiscale dell’estense. Sulla distruzione dei documenti si veda A.<br />
De Vincentiis, Memorie bruciate. Conflitti, documenti, oblio nelle città italiane del tardo <strong>Medioevo</strong>,<br />
«<strong>Bullettino</strong> dell’<strong>Istituto</strong> <strong>storico</strong> <strong>italiano</strong> <strong>per</strong> <strong>il</strong> <strong>Medioevo</strong>», 106/1 (2004), pp. 167-198.
258<br />
ANGELICA MONTANARI<br />
pugnani e dai suoi complici. All’attentatore non spettò una sorte migliore:<br />
inciampato mentre cercava di correre a dispetto della zoppia,<br />
Lampugnani cadde a terra, dove fu raggiunto e ucciso dallo staffiere del<br />
duca. Il suo cadavere venne fatto immediatamente oggetto di esecrazione,<br />
trascinato fino alla sua casa e ivi appeso alla finestra <strong>per</strong> un piede, e<br />
ancora trascinato <strong>per</strong> la città fino al giorno seguente. A descrivere l’atto<br />
di antropofagia sulla salma è la cronaca in versi di Gabriele Fontana:<br />
«aliqui cives, res est horrenda relatu, \ dentibus hei mordent cor iecur<br />
atque manus» 14 .<br />
Anche a Forlì, nel 1488, fu fatto scempio dei corpi di diversi congiurati,<br />
nel quadro della vendetta di Caterina Sforza dopo l’assassinio<br />
del marito Girolamo Riario, signore di Imola e Forlì. A descrivere dettagliatamente<br />
l’accaduto è Leone Cobelli, contemporaneo agli eventi,<br />
testimone diretto dei fatti e schierato con i signori di Forlì.<br />
Ripreso <strong>il</strong> controllo della città dopo la congiura, Caterina Sforza<br />
applicò feroci misure di giustizia contro i <strong>per</strong>secutori dello sposo defunto.<br />
Il padre dei fratelli Orso, capi della congiura, fu catturato e ucciso<br />
al posto dei figli fuggitivi: legato <strong>il</strong> corpo ad un’asse in modo che ne<br />
rimanesse fuori la testa, fu appeso alla coda di un cavallo e trascinato<br />
tre volte attorno alla piazza. Il cadavere venne poi squartato e le interiora<br />
sparse <strong>per</strong> la piazza: Cobelli, che assisteva al lugubre spettacolo<br />
«senpri deretro <strong>per</strong> vedere la fine», racconta che un soldato infierì ulteriormente<br />
sul cadavere mut<strong>il</strong>ato estraendone <strong>il</strong> cuore <strong>per</strong> addentarlo 15 .<br />
All’aprirsi del nuovo secolo, a Perugia, ebbe luogo una congiura<br />
altrettanto sanguinaria, occasione di nuovi atti di cannibalismo: la faida<br />
fratricida passata alla storia come “le nozze rosse” del 14 luglio 1500.<br />
A fornire una descrizione della strage è Pompeo Pellini, nato a<br />
Perugia nel 1523 e favorevole al dominio dei Baglioni. Il cronista racconta<br />
come, in vista del raduno dell’intero casato <strong>per</strong> <strong>il</strong> matrimonio di<br />
14 Gabrielis Paveri Fontanae De vita et obitu Galeacii Mariae Sfortiae Vicecomitis<br />
Mediolani ducis Quinti, Mediolani, s.a. (sed 1477): sulla congiura si veda F.M. Vaglienti,<br />
Anatomia di una congiura. Sulle tracce dell’assassino del duca Galeazzo Maria Sforza tra storia e<br />
scienza, «Atti dell’<strong>Istituto</strong> Lombardo. Accademia di scienze e di lettere di M<strong>il</strong>ano»,<br />
136/2 (2002), pp. 237-273; B. Bellotti, Storia di una congiura, M<strong>il</strong>ano 1950.<br />
15 Leone Cobelli, Cronache Forlivesi dalla fondazione della città all’anno 1489, edd. G.<br />
Carducci - E. Frati, Bologna 1874 (Monumenti istorici <strong>per</strong>tinenti alle provincie della<br />
Romagna, ser. III, 1), p. 338. Sulla signoria dei Riario si veda N. Graziani, Tra <strong>Medioevo</strong><br />
ed età moderna: la signoria dei Riario e di Caterina Sforza, in Il <strong>Medioevo</strong>, cur. A. Vasina,<br />
Bologna 1990, pp. 239-261; D. Pasolini, Caterina Sforza, Roma 1893.
MANGIARE IL NEMICO 259<br />
Astorre Baglioni con Lavinia Colonna, Carlo di Oddo Baglione concepisse<br />
insieme al cognato Girolamo della Penna l’atroce disegno di sterminare<br />
tutti i membri della sua famiglia, uccidendo «a un tempo Guido<br />
e Ridolfo Baglioni con tutti i loro figliuoli». I cospiratori invasero <strong>il</strong><br />
palazzo dopo i festeggiamenti. All’alcova nuziale venne destinato F<strong>il</strong>ippo<br />
di Braccio con vari seguaci, che assalirono Astorre ancora giacente<br />
sul letto dandogli «la morte, senza che egli potesse in alcuna<br />
guisa difendere». F<strong>il</strong>ippo di Braccio estrasse allora <strong>il</strong> cuore dal petto del<br />
defunto <strong>per</strong> morderlo ferocemente, abbandonandone poi <strong>il</strong> corpo<br />
nudo in mezzo alla strada 16 .<br />
Il secondo episodio di antropofagia di cui riferisce Pellini si svolge nel<br />
1500 ad Acquasparta, nei pressi di Todi, ed è narrato in modo ancor più<br />
esaustivo da una cronaca coeva ai fatti, attribuita a Francesco Maturanzio.<br />
Le testimonianze narrano che Vitellozzo Vitelli «soldato della chiesa»,<br />
venne mandato dal papa a liberare Todi dal dominio di Altobello<br />
di Chiaravalle e Girolamo da Canale. Espugnata la città di Acquasparta,<br />
Altobello fu intercettato mentre tentava la fuga. Lungo <strong>il</strong> tragitto<br />
verso <strong>il</strong> carcere, una folla inferocità strappò <strong>il</strong> prigioniero alle guardie:<br />
«ognie homo correva <strong>per</strong> volerlo amazzare»; tanta era l’ansia dei carnefici<br />
che «<strong>per</strong> la prescia se ferivano l’uno l’altro». I resti del «tiranno»<br />
furono divorati con tale animosità che «non ne avanzò niente del suo<br />
misero e mendico corpo» 17 .<br />
Gli eventi tramandati circa un’altra faida, relativa alla storia di Pistoia<br />
– leggib<strong>il</strong>i nella Storia dei suoi tempi di Piero Vaglienti, contemporaneo ma<br />
16 Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia, ed. L. Faina, Perugia 1970 (Deputazione<br />
di storia patria <strong>per</strong> l’Umbria, Fonti <strong>per</strong> la storia dell’Umbria, 8), III, pp. 121-<br />
135: 125. Ispirato dalla trasfigurazione tragico-romantica della figura di uno dei<br />
congiurati, <strong>il</strong> giovane e bel Grifonetto che non riuscì a mettersi in salvo, Oscar W<strong>il</strong>de<br />
scrisse: «In his trimmed jerkin and jewelled cap and acanthuslike curls, Grifonetto<br />
Baglioni, who slew Astorre with his bride, and Simonetto with his page, and whose<br />
comeliness was such that, as he lay dying in the Yellow Piazza of Perugia, those who<br />
had hated him could not choose but weep, and Atalanta, who had cursed him, blessed<br />
him.»: O. W<strong>il</strong>de, Il ritratto di Dorian Gray, cap. IX.<br />
17 Francesco Matarazzo, Cronache e storie della città di Perugia, ed. A. Fabretti,<br />
«Archivio <strong>storico</strong> <strong>italiano</strong>», 16/2 (1851), pp.149-150; passo corrispondente in Pompeo<br />
Pellini, Della Historia di Perugia cit., p. 137. La cronaca di Pompeo Pellini non è una<br />
fonte diretta; <strong>per</strong> quanto riguarda quella di Maturanzio, in realtà l’attribuzione al rinomato<br />
umanista è ritenuta dalla storiografia molto improbab<strong>il</strong>e. In ogni caso, ciò che<br />
più interessa alla nostra analisi è che l’autore si dichiari contemporaneo ai fatti, dato<br />
questo confermato dalle analisi linguistiche (si veda prefazione di Ariodante Fabretti<br />
all’o<strong>per</strong>a di Maturanzio: F. Matarazzo, Cronache cit., p. X).
260<br />
ANGELICA MONTANARI<br />
non testimone diretto dei fatti narrati – si discostano dagli esempi riportati<br />
finora: l’occasione fu infatti una delle numerose carneficine indotte<br />
dalla rivalità delle fazioni dei Panciatichi e dei Cancellieri. Nel 1501, la<br />
lotta tra le opposte consorterie volse al peggio <strong>per</strong> i Panciatichi che, rifugiatisi<br />
a Serravalle ma traditi da alcuni membri della loro fazione, furono<br />
fatti a pezzi e subirono <strong>il</strong> morso al cuore: «vi fu a chi e’ cavonno el<br />
cuore e colla loro bocca lo mordevano e facevano pezzi» 18 .<br />
Discorsi di antropofagia: codificazioni e linguaggi<br />
Corpi mut<strong>il</strong>ati, interiora sparse, membra arrostite, addentate, divorate:<br />
<strong>il</strong> nemico si um<strong>il</strong>ia con una serie di abusi postumi volti tutti allo<br />
spregio e all’oltraggio. È l’onta alle spoglie dell’antagonista, attuata attraverso<br />
la prosecuzione post mortem del rituale infamante che precede<br />
l’esecuzione: svestizione, squartamento, impiccagione <strong>per</strong> i piedi, amputazione<br />
di testa, occhi, mani e genitali, trascinamento ed esposizione<br />
della salma. Un dato salta agli occhi: tutte queste diverse forme di<br />
violenza si ritrovano anche nell’ambito della giustizia ufficiale e sono<br />
previste dagli statuti cittadini, generosi di um<strong>il</strong>iazioni postume da<br />
affiancare alla pena di morte 19 . Tutte, tranne l’antropofagia, culmine<br />
simbolico del rituale di violenza.<br />
L’antropofagia è infatti una pratica alla quale fa riscontro, anche al di<br />
fuori del cerimoniale penale, una mancanza totale di codificazione: non<br />
si sv<strong>il</strong>uppa nel <strong>Medioevo</strong> alcun dibattito teorico inerente al cannibalismo<br />
– salvo i brevi cenni fatti da sant’Agostino nel De civitate Dei riguardo alla<br />
resurrezione dei corpi divorati 20 – così come manca un lessico capace di<br />
definirlo, al punto che lo stesso vocabolo antropofagia, pur accreditato<br />
in alcune fonti classiche, cade in disuso a partire dal IV secolo 21 .<br />
18 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi. 1492-1514, cur. G. Berti – M. Luzzati – E.<br />
Tongiorgi, Pisa 1982, pp. 133-134.<br />
19 Si vedano ad esempio le pratiche previste dagli statuti cittadini di Firenze<br />
(Zorzi, Le esecuzioni cit., p. 150).<br />
20 Aurelii Augustini Hipponensis De civitate Dei, lib. XXII, cap. 20, 2<br />
21 Il termine cannibalismo è invece posteriore: sp. canibal, alter. di caribal, a sua volta<br />
da caribe, parola della lingua dei Caraibi che risale al sec. XVI. Il termine – mutuato dal<br />
nome attribuito dagli abitanti delle isole Bahamas e di Cuba agli indigeni delle piccole<br />
Ant<strong>il</strong>le, i feroci Caribi, ritenuti antropofagi – designa <strong>il</strong> cibarsi di esseri della stessa specie,<br />
quindi non riguarda solo <strong>il</strong> genere umano, ma anche gli animali (cfr. A. Tartabini,<br />
Cannibalismo e antropofagia: uomini e animali, vittime e carnefici, M<strong>il</strong>ano 1987, p. 18). Tuttavia
MANGIARE IL NEMICO 261<br />
Le stesse attestazioni di episodi cannibalici sono spesso ambigue,<br />
confuse dall’uso di un linguaggio allusivo e talvolta oscuro. Infatti, alla<br />
descrizione minuziosamente particolareggiata relativa a Tommaso da<br />
Tortona, si contrappongono altri passi in cui l’atto di antropofagia è<br />
evocato con espressioni meno chiare, come quelle presenti nelle Storie<br />
Pistoresi, leggermente diverse a seconda dei codici (“sfamati di loro”,<br />
“sazio in tutto”, “sfamati dei loro strazii” 22 ). Nella maggior parte dei<br />
casi le descrizioni del “fiero pasto” sono sfumate di vereconda incertezza<br />
e spesso precedute da prudenti locuzioni quali “prout dicitur” 23 ,<br />
“si aggiunge che”, “si soggiunge da chi ha queste cose scritte, che oggi<br />
a penna si veggono” 24 , “dissesi” 25 , etc.<br />
Prima di tutto, formule sim<strong>il</strong>i evidenziano l’esiguità dei testimoni<br />
diretti degli episodi di cannibalismo, che ci sono stati tramandati nella<br />
maggior parte dei casi grazie a voci e racconti sem<strong>il</strong>eggendari, impressi<br />
nella memoria collettiva. In secondo luogo, i cronisti si curano di<br />
prendere le distanze dall’accaduto, specificando di non ardire nemmeno<br />
a credere o immaginare l’orrore che si vedono costretti a riferire 26 .<br />
Orrore, <strong>per</strong>ché così gli autori connotano l’atto di cannibalismo, attraverso<br />
brevi sentenze di condanna, disgusto, incredulità: i responsab<strong>il</strong>i agiscono<br />
come “cani” 27 , “iniquità” e “crudeltà regna in loro” 28 ; sono spinti<br />
da “furia bestiale e animosa” 29 , <strong>il</strong> loro gesto è “cosa horrib<strong>il</strong>e a dirsi e spa-<br />
gli studi di diversa tipologia non si accordano <strong>per</strong>fettamente sulla definizione dei termini.<br />
L’antropologo Adriano Favole, ad esempio, trova più corretto indicare con “cannibalismo”<br />
<strong>il</strong> consumo di carne umana a scopo rituale, mentre denota con “antropofagia”<br />
<strong>il</strong> consumo di carne umana <strong>per</strong> necessità (A. Favole, Resti di umanità, vita sociale del<br />
corpo dopo la morte, Bari 2003, p. 53). Nel corso di questa argomentazione, <strong>per</strong> semplicità,<br />
ci serviremo di entrambi i vocaboli secondo la definizione corrente: antropofagia <strong>per</strong><br />
designare l’uso di mangiare carne umana, cannibalismo <strong>per</strong> indicare <strong>il</strong> cibarsi di esseri<br />
della stessa specie, compresi gli appartenenti al genere umano.<br />
22 Storie Pistoresi cit., p. 191, e varianti nominate “codice C” e “codice P” (cfr. Storie<br />
Pistoresi cit., apparato critico relativo alle rr. 12-13).<br />
23 Guglielmi Venturae De gestis cit., coll. 747-748 (rr. D1-6).<br />
24 Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia cit, p. 125.<br />
25 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., pp. 133-134.<br />
26 «cum tante altre crudelitade che mia lingua non la porria raccontare» commenta<br />
ad esempio Pompeo Pellini (Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia cit., pp. 125 e<br />
137). Per l’uso di queste locuzioni nella storiografia volgare del tempo si veda F.<br />
Ragone, Giovanni V<strong>il</strong>lani e i suoi continuatori. La scrittura delle cronache a Firenze nel Trecento,<br />
Roma 1998 (Nuovi Studi Storici, 43).<br />
27 Sull’uso del termine “cani” si veda ibid., ultimo paragrafo.<br />
28 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., p. 134.<br />
29 Giovanni V<strong>il</strong>lani, Nuova Cronica cit., p. 339
262<br />
ANGELICA MONTANARI<br />
ventevole da udirsi” 30 , “vitu<strong>per</strong>evole cosa”, una “crudeltà orrib<strong>il</strong>e” e “notab<strong>il</strong>e”<br />
31 tanto da aver a mala pena <strong>il</strong> coraggio di narrarla: è cosa “meravigliosa”<br />
32 , stesso termine usato da Dante nel XXXIV canto dell’Inferno<br />
<strong>per</strong> descrivere le tre teste dell’«im<strong>per</strong>ador del doloroso regno» nell’atto di<br />
divorare i traditori.<br />
Una risonanza linguistica casuale forse, ma un più consapevole<br />
richiamo all’o<strong>per</strong>a di Dante Alighieri – già insediata nell’immaginario letterario<br />
fiorentino del tempo – appare nel commento di Marchionne di<br />
Coppo di Stefani al supplizio cannibalico di Guglielmo d’Assisi e del<br />
figlio: «secondochè – si legge – in inferno non si fa peggio di un’anima» 33<br />
. Altri riferimenti al diabolico ricorrono nell’o<strong>per</strong>a di Cobelli, che descrive<br />
i congiurati come ispirati dal demonio e in quella di Vaglienti, dove <strong>il</strong><br />
diavolo “ha possanza” sugli antropofagi.<br />
L’esecrazione dell’atto di antropofagia è ancor più evidente nella<br />
cronaca di Maturanzio, in cui si narra la sorte del cospiratore che aveva<br />
divorato le carni di Altobello da Chiaravalle: otto giorni dopo <strong>il</strong> delitto,<br />
<strong>il</strong> giustiziere muore, rigettando la carne “cristiana” ingerita, ricresciutagli<br />
nello stomaco in un “pezzo integro” di mole molto più grande<br />
di quello inghiottito, «onde fu tenuto gran segno de la carne cristiana»<br />
34 . È interessante in questo caso l’idea della rigenerazione all’interno<br />
del corpo della carne umana, anzi, cristiana (la cristianità dei corpi<br />
smembrati è sottolineata anche da Cobelli). Alla fine del XVI secolo,<br />
<strong>per</strong> descrivere un episodio di antropofagia avvenuto a Napoli nel 1585,<br />
Tommaso Costo usa addirittura <strong>il</strong> termine “abominevoli reliquie” <strong>per</strong><br />
indicare i pezzi del cadavere che sf<strong>il</strong>ano <strong>per</strong> la città sulle picche 35 .<br />
Che muoia un sol uomo: vittime ed executio in effigie<br />
Indubbiamente, l’infelice ma indiscussa protagonista della scena è<br />
proprio la vittima, contraltare dei carnefici.<br />
30 Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia cit., p. 137.<br />
31 Ibid.<br />
32 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., p. 134.<br />
33 Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca Fiorentina cit., p. 209.<br />
34 Francesco Matarazzo, Cronache e storie cit., pp. 149-150.<br />
35 Tommaso Costo, Giunta di tre libri al compendio dell’Istoria del regno di Napoli… nei<br />
quali si contiene tanto di notab<strong>il</strong>e... è accaduto dal principio dell’anno 1563 insino al fine dell’ottantasei<br />
(1586), Venezia 1588, pp. 135-136.
MANGIARE IL NEMICO 263<br />
Le dinamiche e le modalità stesse del rituale sono legate al suo passato,<br />
poiché secondo un parallelismo tipico anche del cerimoniale penale,<br />
<strong>il</strong> supplizio inferto al <strong>per</strong>seguitato richiama i torti da esso <strong>per</strong>petrati<br />
in vita: a Costantinopoli nel 1185 <strong>il</strong> bas<strong>il</strong>eus Andronico Comneno fu ucciso<br />
e divorato dalle donne poiché a loro aveva recato torto 36 ; a Firenze<br />
messer Simone da Norcia, uomo del duca d’Atene, «fece tagliare <strong>il</strong> capo<br />
a molte <strong>per</strong>sone, e sim<strong>il</strong>mente fu fatto a lui» 37 ; a Forlì, Marco Socciacarri,<br />
colpevole di aver defenestrato <strong>il</strong> cadavere del Riario, a sua volta venne<br />
scagliato dalla finestra, in modo da fargli toccar terra «in lo loco medesimo<br />
ove buctoro el conte», mentre a Pagliarino «taglioro lo membro<br />
natorale e sì messero en bucca a quella testa […] e poi strassina quella<br />
testa con quello vito<strong>per</strong>io» 38 , in un supplizio che fa da contrappasso a<br />
quello del Riario, evirato e trascinato via <strong>per</strong> i piedi.<br />
Ma chi sono esattamente le vittime dell’antropofagia?<br />
L’insieme sembra abbastanza eterogeneo. Due dati fungono da minimo<br />
comune multiplo dell’insieme: i suppliziati sono aristocratici e sempre<br />
accusati di crimini politici, fattori questi intrinsecamente legati tra loro.<br />
Le colpe politiche e i misfatti del reo e dei suoi accoliti sono elencate<br />
con meticolosa insistenza nella maggior parte delle cronache: V<strong>il</strong>lani,<br />
ad esempio, ritrae <strong>il</strong> conservatore Guglielmo d’Assisi come uomo<br />
truce, pronto a d<strong>il</strong>ettarsi «di fare crudeli giustizie d’uomini» 39 . Responsab<strong>il</strong>e<br />
di aver spalleggiato <strong>il</strong> duca di Atene, Gualtieri di Brienne, nell’usurpazione<br />
della indipendenza politica (la “libertà”) dei fiorentini,<br />
egli «assentì al detto tradimento» 40 , avallando l’inganno volto a garantirgli<br />
<strong>il</strong> dominio a vita sulla città; poi, fattosi sgherro e carnefice del<br />
duca, accettò di amministrarne la tirannica giustizia.<br />
36 A narrare la tragica sorte di Andronico è una fonte del XIII secolo, l’Estoire de<br />
Eracles Em<strong>per</strong>eur, <strong>il</strong> cui manoscritto, presenta un’immagine estremamente interessante<br />
delle varie fasi del rituale: Paris, Bibliothèque Nationale, fr. 68, f. 385. Sull’episodio si veda<br />
anche G.M. Cantarella, Principi e corti. L’Europa del XII secolo, Torino 1997, pp. 31-32.<br />
37 Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina cit., p. 208. Secondo V<strong>il</strong>lani<br />
invece fu «a pezzi tutto tagliato» (Giovanni V<strong>il</strong>lani, Nuova Cronica cit., p. 338).<br />
38 Leone Cobelli, Cronache Forlivesi cit., p. 336.<br />
39 Giovanni V<strong>il</strong>lani, Nuova Cronica cit., p. 298. Di Guglielmo d’Assisi confermano<br />
lo Stefani e le Storie Pistoresi: «Questi si disse d<strong>il</strong>ettarsi molto in crudeltà e divisare pene<br />
a quelli che ‘l Duca voleva far morire» (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina<br />
cit., rubr. 556, p. 196); «ed era molto crudele e ‘l suo d<strong>il</strong>etto era solo in guastare<br />
uomini» (Storie Pistoresi cit., p. 190).<br />
40 Giovanni V<strong>il</strong>lani, Nuova Cronica cit., p. 298.
264<br />
ANGELICA MONTANARI<br />
In realtà è <strong>il</strong> duca di Atene ad essere massacrato in effige, mediante<br />
<strong>il</strong> sacrificio del conservatore e del di lui figlio. Il dominio del Brienne<br />
è qualificato dall’autore come punizione divina: la sua signoria, come gli<br />
altri flagelli che affliggono la città – d<strong>il</strong>uvio, fame, carestie – viene imposta<br />
da «Iddio <strong>per</strong> le nostre peccata», acciocché «correggiamo i nostri<br />
difetti», sentenzia V<strong>il</strong>lani. La giustizia pubblica sarà di monito ai cittadini<br />
affinché imparino a guardarsi dagli usurpatori della libertà di Firenze<br />
«e prendano assempro <strong>per</strong> lo innanzi quelli che sono a venire di non<br />
volere signore <strong>per</strong>petuo né a vita» 41 : l’atto cannibalico si configura dunque<br />
come castigo esemplare; è la pena da infliggere alla tirannide, scontata<br />
in questo caso non dal duca, ma dall’esecutore materiale dei suoi<br />
ordini. A Guglielmo d’Assisi, complice del «traditore e <strong>per</strong>secutore del<br />
popolo di Firenze», non può che spettare un destino infame poiché<br />
«checchi è crudele crudelmente dee morire, disit Domino» 42 .<br />
Anche Altobello da Chiaravalle è dipinto da Maturanzio come capace<br />
di feroci efferatezze: «homo crudelissimo e pieno de iniquizia; in modo<br />
che si Nerone fusse stato vivo, seria stato descripto più presto della crudeltà<br />
di costui che de Nerone» 43 . La sua morte cruenta «fu iusto iudizio de<br />
Dio, attento quello che lui aveva o<strong>per</strong>ato al tempo de sua vita» 44 e sarà di<br />
monito ai posteri, come la sorte degli uomini del duca d’Atene secondo <strong>il</strong><br />
V<strong>il</strong>lani 45 . O ancora, nella congiura di Forlì, Andrea Orso sconta <strong>il</strong> crimine<br />
dei figli, pagando indirettamente <strong>il</strong> fio <strong>per</strong> l’usurpazione del legittimo<br />
potere, la pena più grave, quella «de color c’àn facto el mal governo» 46 .<br />
L’atto di antropofagia insomma è rappresentato come punizione<br />
del malgoverno, o dell’attentato al giusto potere: <strong>il</strong> crimine peggiore,<br />
poiché compiuto non verso un singolo ma verso la comunità.<br />
La pena quindi dev’essere esemplare e pubblica.<br />
Poco importa che a pagare sia <strong>il</strong> vero responsab<strong>il</strong>e: la vittima viene<br />
scelta non tanto <strong>per</strong> le sue effettive responsab<strong>il</strong>ità, ma innanzitutto<br />
poiché rappresentativa della colpa.<br />
41 Ibid., p. 299.<br />
42 Ibid., p. 339.<br />
43 Francesco Matarazzo, Cronache e storie cit., p. 148. Il paragone tra <strong>il</strong> tiranno di Todi<br />
e l’im<strong>per</strong>atore romano potrebbe suonare ardito, ma non eccessivo, se paragonato a quello<br />
avanzato in precedenza da V<strong>il</strong>lani – riguardo al tentativo del duca di uccidere a tradimento<br />
più di trecento cittadini sospettati di una congiura – tra Gualtieri di Brienne e l’ultimo<br />
re ostrogoto Tot<strong>il</strong>a, Flagellum Dei. (Giovanni V<strong>il</strong>lani, Nuova Cronica cit., p. 330).<br />
44 Francesco Matarazzo, Cronache e storie cit., pp. 149-150.<br />
45 Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia cit., p. 137.<br />
46 Leone Cobelli, Cronache Forlivesi cit., p. 341.
Si tratta di un universo simbolico all’interno del quale la messa in<br />
scena della punizione del colpevole riveste un’importanza pari – e spesso<br />
<strong>per</strong>sino su<strong>per</strong>iore – alla sua materiale esecuzione 47 . Tra XV e XVI<br />
secolo ricorre addirittura, seppur saltuariamente, <strong>il</strong> vero e proprio uso<br />
della executio in effigie. All’impotenza di fronte alla fuga dell’accusato, si<br />
ovviava a volte attraverso la rappresentazione iconografica del supplizio<br />
o, in altri casi, mediante un’esecuzione fittizia realizzata su di un modello<br />
bidimensionale o una scultura: così nel 1462 Pio II bruciò davanti a<br />
San Pietro la statua di Sigismondo Malatesta e nel 1552 <strong>il</strong> duca Ercole II<br />
d’Este fece impiccare alla finestra <strong>il</strong> ritratto di Giovanni Tommaso<br />
Lavezzolo, reiterando la pratica qualche anno dopo, quando ordinò di<br />
appendere <strong>per</strong> i piedi l’immagine di Antonio Maria di Collegno 48 .<br />
I carnefici<br />
MANGIARE IL NEMICO 265<br />
Chi sono i carnefici? Chi si dimostrava pronto a smembrare, impalare<br />
e divorare cadaveri in un atto sommario di giustizia collettiva?<br />
Una moltitudine instab<strong>il</strong>e e suscettib<strong>il</strong>e, una folla sfuggita ad ogni<br />
controllo e disciplina sociale, forse gli stessi individui pronti, durante<br />
le esecuzioni ufficiali, a strappare i condannati all’ordine pubblico o ad<br />
adirarsi dinanzi all’im<strong>per</strong>izia di un improvvisato carnefice, tentandone<br />
<strong>il</strong> linciaggio. Il popolo, si dice in molte fonti. Quale popolo? Un popolo<br />
che ama <strong>il</strong> suo signore.<br />
E in virtù di questo amore <strong>il</strong> “popolo” agisce spontaneamente: “de<br />
propria voluntade” punisce <strong>il</strong> “parricida”, <strong>il</strong> proditorem, dicono le fonti,<br />
quelle fonti che sono al servizio dell’autorità lesa.<br />
Eppure diverse testimonianze lasciano trasparire tra i rivoltosi nomi<br />
di famiglie assai <strong>il</strong>lustri: Adimari, Medici, Donati, Ruccellai a Fi-<br />
47 Di fatto, a volte non era nemmeno fondamentale che l’accusato fosse vivo, come<br />
accadde nel caso del processo di Pietro da Abano, eco lontana di un più celebre processo<br />
postumo avviato dalla Santa Sede contro <strong>il</strong> cadavere di Papa Formoso. Come ha ben analizzato<br />
René Girard, la crisi esige un «capro espiatorio» o meglio, una «vittima sacrificale»:<br />
alla folla «si cedono le vittime che <strong>il</strong> suo capriccio reclama», secondo <strong>il</strong> principio «che muoia<br />
un sol uomo». R. Girad, Il capro espiatorio, M<strong>il</strong>ano 2004, p. 183 (ed. or. 1982).<br />
48 Cfr. G. Ricci, Il principe e la morte: corpo, cuore, effige nel Rinascimento, Bologna 1998,<br />
pp. 143-144. Lo stesso principio <strong>per</strong>meava i processi degli animali sfuggiti alla cattura:<br />
in mancanza del reo, ci si accontentava di giustiziare arbitrariamente un congenere<br />
o, ancor più di frequente, di sottoporre al supplizio un fantoccio che rappresentava<br />
l’animale colpevole, cfr. M. Pastoureau, <strong>Medioevo</strong> simbolico, Roma-Bari 2007, p. 34 (ed.<br />
or. 2004).
266<br />
ANGELICA MONTANARI<br />
renze; Baglioni a Perugia; Panciatichi e Cancellieri a Pistoia. O ancora<br />
appaiono professioni significative: i ministri del marchese di Monferrato,<br />
i soldati di Caterina Sforza. Ma, dov’è l’autorità?<br />
L’autorità non compare, non può – non vuole – controllare la folla<br />
in subordine. O forse controlla, ma semplicemente non esegue: lascia<br />
eseguire.<br />
Non a caso (vedremo <strong>per</strong>ché) i protagonisti nel teatro della violenza<br />
collettiva sono spesso i fanciulli. Infanti assassini? No, non uccidono<br />
di <strong>per</strong>sona, ma sono impegnati a trascinare cadaveri, dissotterrarli,<br />
schernirli, bastonarli, svestirli, addentarli, mangiarli e liberarsene gettandoli<br />
nei fiumi.<br />
Li ritroviamo in molteplici occasioni: nella carneficina dei Panciatichi,<br />
i bambini prendono parte attiva al rito cannibalico, straziando e addentando<br />
i cuori delle vittime. Deplora Vaglienti: «Vedi quanta iniquità e quanta<br />
crudeltà regna in loro» 49 e Carlo Pietro de’ Giovanni da Firenzuola commenta,<br />
a proposito degli strazi inflitti dai ragazzi al cadavere di Jacopo<br />
Pazzi: «fu cosa maravigliosa, che ne’ fanciulli regnasse tanta crudeltà» 50 .<br />
Luca Landucci, nella parte del suo diario riservata all’episodio, fornisce<br />
una descrizione dettagliatissima dei giovanissimi carnefici impegnati a dissotterrare<br />
e trascinare <strong>il</strong> cadavere, gettarlo nel fiume <strong>per</strong> poi recu<strong>per</strong>arlo,<br />
impiccarlo, bastonarlo e ributtarlo in acqua 51 . Nella sommossa di Firenze<br />
del 1343, ser Arrigo Fei, incaricato dal duca di Atene di riscuotere le<br />
gabelle e le imposte, «uomo astuto a trovare e ricercare <strong>il</strong> frodo», finisce<br />
giustiziato nella sommossa popolare, e <strong>il</strong> suo cadavere «da’ fanciulli tranato<br />
ignudo <strong>per</strong> tutta la città» 52 ; mentre poco dopo, nel 1347 a Roma, al supplizio<br />
di Cola di Rienzo «li zitelli li iettavano le prete» 53 .<br />
49 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., pp. 133-134.<br />
50 La congiura dei Pazzi – <strong>il</strong> 26 apr<strong>il</strong>e 1478 a Firenze – che portò alla morte di<br />
Giuliano de’ Medici. Cfr. Breve racconto della Congiura de’ Pazzi di Carlo Pietro de’ Giovannini<br />
da Firenzuola, documento sincrono estratto dall’Ediz. Della congiura stessa descritta in latino dal<br />
Poliziano fattasi <strong>per</strong> cura del marchese Adimari. Napoli 1769, in A. Poliziano, Congiura dei<br />
Pazzi narrata in latino da Agnolo Poliziano e volgarizzata con sue note e <strong>il</strong>lustrazioni da Anicio<br />
Bonucci, Firenze 1856, doc. I, pp. 108-109.<br />
51 Luca Landucci, Diario Fiorentino dal 1450 al 1516, continuato da un anonimo fino<br />
1542, ed. Iodoco del Badia, Firenze 1883, pp. 21-22.<br />
52 Giovanni V<strong>il</strong>lani, Nuova Cronica cit., p. 338. Concorda la versione delle storie<br />
pistoresi: «li fanciulli della città lo presero e stracciatigli li panni, strascinato da loro <strong>per</strong><br />
la città» (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca Fiorentina cit., p. 208).<br />
53 Anonimo Romano, Cronica, ed. G. Porta, M<strong>il</strong>ano 1979, p. 265.
Come spiegare che siano attori implicati in sommosse truculente proprio<br />
i bambini, gli stessi chiamati a rappresentare l’innocenza in molte cerimonie<br />
e processioni sacre? Diversi studi suggeriscono che fosse proprio<br />
la purezza dell’infanzia a rendere questa età la più adatta al macabro compito:<br />
«solo i fanciulli potevano espellere <strong>il</strong> morto dalla comunità, essendo<br />
immuni dal <strong>per</strong>icolo di un suo ritorno» 54 . Riemerge quindi una tematica<br />
r<strong>il</strong>evante dei riti di antropofagia: <strong>il</strong> “rifiuto” 55 del corpo della vittima, parallelo<br />
al rifiuto da parte della comunità del reo e di ciò che esso rappresenta,<br />
volta all’espulsione del “nemico pubblico” dal nucleo sociale. Ma si tratta<br />
di un costume sociale effettivamente diffuso o piuttosto di un modello<br />
letterario atto a sottolineare <strong>il</strong> ruolo su<strong>per</strong> partes dei carnefici?<br />
Inoltre gli atti dei bambini – assai spregiudicati in quanto non ancora<br />
intrisi dei limiti socio-culturali del mondo adulto – possono essere<br />
presentati come atti di pura giustizia, non guidati da alcun interesse<br />
meschino. Infatti si tratta sempre di “zitelli”, “fanciulli”, mai di “giovani”,<br />
<strong>il</strong> cui ruolo nelle cronache è ben differente. I giovani si trovano in<br />
conflitto con <strong>il</strong> potere, al contrario l’aggressività dei bambini può essere<br />
canalizzata e parzialmente manovrata dalle autorità, e rivestire quindi<br />
quei compiti rituali che non possono essere assolti da altri 56 .<br />
Cuore morso, cuore mangiato<br />
MANGIARE IL NEMICO 267<br />
Non mancano, tra le descrizioni delle rivolte, cronache che si soffermano<br />
sulle modalità dell’antropofagia, sulle specifiche culinarie<br />
degli organi colpiti, e su diversi particolari inusitati. Nota <strong>il</strong> V<strong>il</strong>lani, a<br />
proposito del moto di Firenze nel 1343, come la carne dei suppliziati<br />
venisse consumata «cruda e cotta», mentre lo Stefani si limita a puntualizzarne<br />
l’uso alimentare («chi ne mangiava e chi ne mordea» 57 ).<br />
Secondo le Storie Pistoresi, poi, le vittime vengono tagliate tutte a «minu-<br />
54 S. Bertelli, Il corpo del re: sacralità del potere nell’Europa Medievale e moderna, Firenze<br />
1990, p. 229. Sul ruolo dei bambini nei rituali di violenza si veda anche G. Ricci, I giovani,<br />
i morti. Sfide al Rinascimento, Bologna 2007, pp. 17-115; A. Zorzi, Rituali di violenza<br />
giovan<strong>il</strong>e nella società urbana del tardo <strong>Medioevo</strong>, inInfanzie: funzioni di un gruppo liminale dal<br />
mondo classico all’età moderna, cur. O. Niccoli, Firenze 1993, pp. 185-209; O. Niccoli, Il<br />
seme della violenza. Putti, fanciulli e mammoli nell’Italia tra Cinque e Seicento, Bari 1995.<br />
55 Sul significato antropologico del rifiuto del cadavere cfr. Favole, Resti di umanità<br />
cit., pp. 23-58.<br />
56 Ricci, I giovani, i morti cit., pp. 39-70.<br />
57 Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca Fiorentina cit., p. 209.
268<br />
ANGELICA MONTANARI<br />
zoli» e «qual <strong>per</strong>sona potea avere delle loro carni si teneva beato», mentre<br />
durante l’assedio di Brescia le carni del nipote dell’im<strong>per</strong>atore furono<br />
arrostite.<br />
Particolarmente dettagliata è la descrizione del cronista<br />
Maturanzio, secondo <strong>il</strong> quale le carni di Altobello vengono istantaneamente<br />
«sbranate» senza alcuna attenzione gastronomica, come «fanno<br />
i cani e porci», «in tanto che non ne avanzò niente del suo misero e<br />
mendico corpo» 58 ; ma di Altobello non si consumano esclusivamente<br />
le membra: finita la carne, se ne brucia <strong>il</strong> sangue 59 . Del consumo del<br />
sangue parla già Falcando riguardo ad una rivolta messinese del 1168,<br />
nel corso della quale <strong>il</strong> canonico di Chartres Oddone Quaerell, consegnato<br />
alla folla inferocita, viene assassinato da un astante che gli trafigge<br />
<strong>il</strong> cranio con un coltello e, «<strong>per</strong> esprimere <strong>il</strong> terrib<strong>il</strong>e suo odio implacab<strong>il</strong>e,<br />
lambisce <strong>il</strong> sangue appiccicato al ferro» 60 .<br />
Diverse cronache specificano con più precisione le membra pred<strong>il</strong>ette<br />
dagli antropofagi e testimonianze più tarde insistono su preparazioni<br />
singolari quali cervelli cucinati, cuori “in agresto” e fegati fritti 61 .<br />
A essere divorati nel corso delle rivolte sono infatti più spesso gli<br />
organi nob<strong>il</strong>i, sede dell’anima, ovvero <strong>il</strong> cervello e, soprattutto, <strong>il</strong> cuore,<br />
organo simbolico <strong>per</strong> eccellenza: mentre <strong>il</strong> cuore di re, principi, santi<br />
ispirava culto e venerazione, quello delle vittime di violenze rituali catalizzava,<br />
in un rapporto rovesciato di valori, l’odio rancoroso degli artefici<br />
dei supplizi 62 . Centro propulsore della vita, <strong>il</strong> cuore è la vittima privi-<br />
58 Francesco Matarazzo, Cronache e storie cit., pp. 149-150.<br />
59 Pompeo Pellini, Della Historia di Perugia cit., p. 137.<br />
60 Ibid., p. 135. Cfr. G. M. Cantarella, Scene di folla in Sic<strong>il</strong>ia nell’età dei due Guglielmi, in<br />
A Ovidio Capitani scritti degli allievi bolognesi, Bologna 1990, pp. 9-37; Cantarella, Principi e corti<br />
cit., pp. 29-33; Cantarella, La Sic<strong>il</strong>ia e i Normanni. Le fonti del mito, Bologna 1989, p. 49.<br />
61 Cervelli cucinati come in una rivolta scoppiata a Napoli nel 1585: l’eletto del<br />
popolo, Giovan Vincenzo Storace – sepolto vivo, dissotterrato, ucciso, spogliato, trascinato<br />
e mut<strong>il</strong>ato – fu tagliato a pezzi; qualcuno volle cucinare <strong>il</strong> cervello e mangiarlo,<br />
qualcuno mangiò <strong>il</strong> cuore, mentre gli intestini, tagliati in piccoli pezzi, venivano fatti<br />
sf<strong>il</strong>are in cima e all’estremità di bastoni, sulle punte delle spade, picche e bastoni. È<br />
invece <strong>il</strong> cuore di Concino Concini che sarà nel 1617 a Parigi cotto sui carboni e mangiato<br />
in agresto (ovvero secondo una cottura riservata alla bassa macellazione) da un<br />
gruppo di ragazzi e di donne. Finirà fritto <strong>il</strong> fegato di Niccolò Fiani di Torremaggiore,<br />
a Napoli nel 1799 (si veda Bertelli, Il corpo cit., pp. 219 e 223).<br />
62 Il tema del cuore mangiato fu tra l’altro particolarmente in voga a livello letterario:<br />
nella poesia cortese compaiono macabre cene approntate da mariti gelosi alle<br />
spose fedifraghe, alle quali viene ammannito <strong>il</strong> cuore dei presunti amanti; nella Vita
MANGIARE IL NEMICO 269<br />
legiata degli atti di violenza più emblematici; barbaramente strappato dal<br />
petto, trafitto dalle lance e talvolta esposto a mo’ di trofeo, diventa l’epicentro<br />
del v<strong>il</strong>ipendio 63 : a Marco Socciacarro e al Pagliarino, rei di aver<br />
infierito sulla salma del conte Girolamo, <strong>il</strong> cuore viene estratto e scagliato<br />
assieme alle interiora nella piazza, in un turbine violento che mira a<br />
dis<strong>per</strong>dere <strong>per</strong>sino le ultime vestigia di umanità dei sacrificati 64 .<br />
I rituali di antropofagia, in effetti, vedono <strong>il</strong> cuore morso, addentato,<br />
straziato, più che mangiato; la vera e propria ingestione rimane<br />
spesso latente in gesti carichi di significati paradigmatici: allo sfortunato<br />
padre dei congiurati Ludovico e Checco Orso «uno di qu<strong>il</strong>li soldati<br />
cani prese el core, e tagliollo, e bottò la corata in mezo de la piacia; poi<br />
se messe quello core cossì sanguinoso alla bocca e davagli de morso<br />
como un cane» 65 . A Perugia nel 1500, F<strong>il</strong>ippo di Braccio diede «di<br />
morso» al cuore pulsante di Astorre Baglioni; nella strage dei<br />
Panciatichi a Pistoia <strong>il</strong> cuore è morso, azzannato e d<strong>il</strong>aniato nel corso<br />
di un gesto feroce e fisicamente concreto, sebbene ancora carico di<br />
tutti i suoi connotati simbolici: «vi fu a chi e’ cavonno el cuore e colla<br />
loro bocca lo mordevano e facevano pezzi» 66 .<br />
Più raramente, invece, oggetto dell’antropofagia è <strong>il</strong> fegato: quello<br />
di Francesco Valguarnera e di Tommaso da Tortona sono divorati<br />
dagli assalitori, mentre le interiora di entrambi, organi bassi e v<strong>il</strong>i nella<br />
simbologia corporea, vengono lasciate agli animali.<br />
Nova, Dante sogna <strong>il</strong> proprio cuore dato in cibo da Amore a Beatrice; in Boccaccio,<br />
Messer Guglielmo da Rossiglione fa mangiare <strong>il</strong> cuore dell’amato alla moglie, che poi<br />
si uccide. Ma la dinamica di questi casi è controversa: l’amato subisce sì l’uccisione e<br />
l’antropofagia, ma <strong>il</strong> contrappasso è la pena ugualmente tremenda inflitta a chi con<br />
quel cuore pasteggia; l’um<strong>il</strong>iazione risiede quindi tanto nell’essere mangiato, quanto<br />
nell’atto stesso del mangiare. Cfr. M. di Maio, Il cuore mangiato. Storia di un tema letterario<br />
dal <strong>Medioevo</strong> all’Ottocento, M<strong>il</strong>ano 1996; D. Regnier-Bohler, Le coeur mangé: récits erotiques<br />
des 12 e et 13 e siècles, Paris 1994; R. Ortiz, Banchetti tragici nelle letterature romanze, Genova<br />
1947; M.G. Muzzarelli - F. Tarozzi, Donne e cibo, M<strong>il</strong>ano 2003, pp. 59-67; F. Cavalli, Il<br />
pasto di Madonna Soremonda, osservazioni sul tema del cuore mangiato, «L’Unicorno, Rivista<br />
semestrale di cultura medievale dell’accademia Jaufré Rudel di studi medievali»,<br />
Gradisca d’Isonzo, 1 (1999).<br />
63 Sull’importanza del cuore nel <strong>Medioevo</strong> e nel Rinascimento cfr. P. Camporesi,<br />
Il sugo della vita, M<strong>il</strong>ano 1997, pp. 80-98, Ricci, Il principe e la morte cit., pp. 87-118; sulla<br />
storia del cuore cfr. R. Lewinsohn, Storia universale del cuore, M<strong>il</strong>ano 1960.<br />
64 Leone Cobelli, Cronache Forlivesi cit., pp. 336-337.<br />
65 Ibid., p. 338.<br />
66 Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi cit., pp. 133-134.
270<br />
Uomini o porci?<br />
ANGELICA MONTANARI<br />
Animali che mangiano uomini, uomini che mangiano animali e uomini<br />
che mangiano uomini. In ogni caso la gerarchia alimentare del medioevo<br />
risulta chiara: chi mangia è sempre su<strong>per</strong>iore a chi è mangiato 67 .<br />
Una delle volute conseguenze dell’atto di antropofagia è infatti la<br />
<strong>per</strong>dita dell’umanità del reo nel suo essere degradato a cibo commestib<strong>il</strong>e.<br />
Alcune cronache enfatizzano questo aspetto attraverso la mercificazione<br />
della carne: <strong>il</strong> Chronicon Regiense sottolinea che parte delle carni<br />
di Tommaso da Tortona vennero consumate «ad tabernas» 68 , mentre,<br />
ad un livello più metaforico Maturanzio commenta che, se fosse avanzata<br />
una sola oncia delle carni del tiranno, «seria stata <strong>per</strong>sona che aria<br />
comprata uno ducato d’oro». Allusioni alla commercializzazione delle<br />
carni non sono inusitate, poiché ricordano i passi delle cronache delle<br />
carestie, come le descrizione della carestia del 1033 di Rodolfo <strong>il</strong><br />
Glabro, che narra di carne umana in vendita al mercato di Tournus 69 .<br />
Nel lessico delle testimonianze l’antropofagia va infatti di pari in<br />
passo con l’“animalizzazione del reo” – che ne enfatizza l’espulsione<br />
dalla comunità di appartenenza – ottenuta mediante l’uso costante di<br />
vocaboli che richiamano la manipolazione delle carcasse animali in<br />
vista del consumo alimentare. Il V<strong>il</strong>lani e lo Stefani scrivono ad esempio<br />
Ser Arrigo Fei viene «impeso <strong>per</strong> li piedi, e sparato 70 e sbarrato 71<br />
come porco» 72 , mentre le Storie Pistoresi precisano che fu «apiccato a un<br />
‘travaglio di cavalli, e fue sparato» 73 ; si ricorda anche come <strong>il</strong> corpo<br />
d<strong>il</strong>aniato di Cola di Rienzo, appeso <strong>per</strong> i piedi, venne descritto di tale<br />
mole da parere «uno esmesurato bufalo ovvero vacca a maciello» 74 .<br />
67 Lo stesso principio espresso all’inizio del XVII secolo dal gesuita Leonardo<br />
Leyaes. Sull’etica alimentare nel <strong>Medioevo</strong> cfr. M. Montanari, Alimentazione e cultura nel<br />
<strong>Medioevo</strong>, Bari 1999.<br />
68 Sagacius et Petrus de Gazata, Chronicon Regiense cit., col. 91.<br />
69 Rodolfo <strong>il</strong> Glabro, Cronache dell’anno M<strong>il</strong>le (storie), edd. G. Cavallo - G. Orlandi,<br />
Fizzonasco (Mi) 1990, p. 213.<br />
70 Sparato, cioè separato.<br />
71 Sbarrato, cioè sventrato.<br />
72 Giovanni V<strong>il</strong>lani, Nuova Cronica cit., p. 338, secondo Marchionne di Coppo<br />
Stefani: «<strong>il</strong> popolazzo lo ‘mpiccò <strong>per</strong> i piedi in su una forca, e spararonlo, come fosse<br />
porco» (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina cit., p. 208).<br />
73 Storie Pistoresi cit., pp. 190-191.<br />
74 «Grasso era orrib<strong>il</strong>emente, bianco como latte insanguinato. Tanta era la soa<br />
grassezza, che pareva uno esmesurato bufalo, overo vacca a maciello»: Anonimo<br />
romano, Cronica cit., p. 265.
MANGIARE IL NEMICO 271<br />
Una bestia al macello sembra anche Francesco Valgurnera al cronista<br />
Michele da Piazza, che lo descrive tagliato a pezzi «sicut vitulus<br />
in macello», di Nicolò Macto riporta <strong>il</strong> Cobelli che «lo tagliaro minuto<br />
como carne in beccaria» e nella medesima cronaca gli stessi giustizieri<br />
sono a loro volta paragonati a bestie: i ferraresi in rivolta sbranarono<br />
Tomaso da Tortona «atque canibus»; «uno di qu<strong>il</strong>li soldati cani» morde<br />
<strong>il</strong> cuore dell’Orso «como un cane» 75 . Anche a Maturanzio sembrano<br />
animali i torturatori di Altobello: «Et poi ognie homo curreva a pigliare<br />
de sua carne, e mangiavanla cusì cruda, commo cani o porci, in<br />
tanto che non ne avanzò niente del suo misero e mendico corpo» 76 .<br />
Quindi se da una parte è innegab<strong>il</strong>e la volontà di degradare <strong>il</strong> giustiziato<br />
a una condizione subumana 77 , dall’altra è notevole che <strong>il</strong> paragone<br />
con la bestia ricorra non solo <strong>per</strong> le vittime, ma anche <strong>per</strong> i carnefici.<br />
Mangiare l’uomo è “inumano” 78 e bestiale: nell’Inferno dantesco <strong>il</strong> pasto<br />
del conte Ugolino è “fiero”: «cibo ferino et non humano», poichè «naturaliter<br />
enim homo non comedit hominem, nisi forte esset aliquis barbarus<br />
inhumanus, sed ferae sic» esplicita Benvenuto da Imola 79 .<br />
Quasi sempre, a definire l’oggetto dell’atto antropofagico è l’equivalenza<br />
con i porci (si noti <strong>per</strong>ò l’eccezione di Altobello), mentre sono<br />
i cani, affatto adibiti all’uso alimentare, ad essere chiamati a rappresentarne<br />
<strong>il</strong> soggetto. I cani sono associati all’antropofagia anche dalla tradizione<br />
letteraria. In Dante, i denti con cui Ugolino rode <strong>il</strong> teschio dell’arcivescovo<br />
Ruggeri «furo a l’osso, come d’un can forti» 80 e nel resto<br />
nella Commedia l’immagine del cane è usato di frequente come sim<strong>il</strong>itudine<br />
o termine di confronto volto a sottolineare la ferocia, l’avidità, la<br />
furia e la rissosità 81 .<br />
75 Leone Cobelli, Cronache Forlivesi cit., p. 338.<br />
76 Francesco Matarazzo, Cronache e storie cit., pp. 149-150.<br />
77 Cfr. Bertelli, Il corpo del re cit., p. 225.<br />
78 In contrasto con la tradizione medica che prescriveva abbondanti bevute di<br />
sangue rigeneratore, l’espressione “inumanamente” è ut<strong>il</strong>izzata da Tommaso Costo<br />
<strong>per</strong> connotare l’atto di bere <strong>il</strong> sangue: Tommaso Costo, Giunta di tre libri cit., p. 135;<br />
<strong>per</strong> l’ut<strong>il</strong>izzo del sangue nella medicina medievale cfr. Camporesi, Il sugo cit.<br />
79 Benvenuti de Rambaldis de Imola Comentum su<strong>per</strong> Dantis Aldigherij Comoediam<br />
nunc primum integre in lucem editum sumptibus Gu<strong>il</strong>ielmi Warren Vernon, cur. G.F. Lacaita,<br />
Firenze 1887, p. 523.<br />
80 D. Alighieri, Divina Commedia, Inferno, XXXIII, 78.<br />
81 L’immagine canina delinea l’ingordigia di Cerbero «qual è quel cane ch’abbaiando<br />
agogna» (Inf. VI, 28), la malvagità dei diavoli: «ei ne verranno dietro più crudeli<br />
\ che ‘l cane a quella lievre ch’elli acceffa» (Inf. XXIII 18) o la smodata aggressivi-
272<br />
ANGELICA MONTANARI<br />
Tuttavia non si tratta solo di una questione di linguaggio: le vittime<br />
dell’antropofagia subiscono effettivamente la sorte degli animali,<br />
così come in altri casi le bestie stesse sono trattate alla stregua di esseri<br />
umani: numerosi sono nel basso medioevo d’oltralpe i processi ad<br />
animali rei di omicidio o infanticidio, quasi sempre aggravato dall’antropofagia.<br />
In tali procedimenti giudiziari gli animali vengono trattati<br />
alla stregua di imputati veri e propri, subiscono la tortura, l’esposizione<br />
al pubblico ludibrio, l’esecuzione ed eventuali violenze post-mortem,<br />
abbigliati di tutto punto o nascosti da maschere con fattezze umane 82 .<br />
In conclusione, <strong>il</strong> carattere narrativo delle testimonianze cronachistiche<br />
rende diffic<strong>il</strong>e stab<strong>il</strong>ire con precisione la veridicità e le dinamiche<br />
dei singoli episodi di antropofagia. Si è visto invece trapelare da<br />
alcune fonti un certo grado di controllo in comportamenti presentati<br />
come spontanei, spia del modo in cui le dinamiche dell’offesa si compongono<br />
di determinati gesti violenti che, pur non essendo codificati<br />
attraverso un rituale ufficiale e cristallizzato, sono reiterati e radicati<br />
nella consuetudine. È possib<strong>il</strong>e allora parlare di rituali di antropofagia,<br />
come si parla comunemente di “rituali” di violenza 83 ?<br />
È pur vero che un osservatore del XIV secolo non avrebbe mai<br />
parlato di rituale, o meglio di rito: <strong>il</strong> latino medievale usava <strong>il</strong> termine<br />
ritus <strong>per</strong> le pratiche liturgiche della Chiesa, (dando al vocabolo una connotazione<br />
assai rigida), mentre l’idea di “rituale” è un’invenzione che<br />
appartiene al Cinquecento. D’altra parte quello stesso osservatore non<br />
avrebbe conosciuto nemmeno <strong>il</strong> termine antropofagia 84 .<br />
tà, come nel passo in cui i demoni si scagliano contro Virg<strong>il</strong>io «con quel furore e con<br />
quella tempesta \ ch’escono i cani addosso al poverello» (Inf. XXI, 68).<br />
82 A fare le spese di questi complessi procedimenti di giustizia, spesso è soprattutto<br />
<strong>il</strong> maiale, ritenuto infatti l’animale più vicino all’uomo, come conferma la pred<strong>il</strong>ezione<br />
di cui lo gratificano gli anatomisti. Sui processi ad animali cfr. Pastoureau, <strong>Medioevo</strong><br />
simbolico cit., pp. 21-39; J. Vartier, Les procès d’animaux du Moyen Âge à nos jours, Paris 1970.<br />
Sull’impiccagione degli animali durante gli assedi: Zorzi, Le esecuzioni cit., p. 191.<br />
83 E. Muir, Civic ritual in the Renaissance Venice, Princeton 1981; Muir, Ritual in early<br />
modern Europe, Cambridge 2005; Zorzi, Rituali di violenza cit., pp. 395-425; Bertelli, Il<br />
corpo cit.<br />
84 Sulla definizione di rituale si veda <strong>il</strong> saggio di Ph<strong>il</strong>ippe Buc (The dangers of ritual,<br />
Princeton University Press 2001, pp. 152-322; in particolare, sulla definizione “allargata”<br />
di rituale ereditata dall’età moderna, si vedano le pp. 214-218); J.C. Schmitt, Rites,<br />
in Dictionnaire raisonné de l’Occident Médieval, cur. J. Le Goff – J.C. Schmitt, Paris 1999,<br />
pp. 969-1003; Muir, Ritual in early modern Europe cit., pp. 2-6; Rito, voce dell’Enciclopedia<br />
Einaudi, XII, Torino 1981, pp. 210-243; sui rituali di violenza: Muir, Civ<strong>il</strong> ritual in the
MANGIARE IL NEMICO 273<br />
Oggi, su<strong>per</strong>ata una definizione rigida e limitata alla sfera religiosa,<br />
e data la vasta gamma di significati attribuiti alla categoria (nella quale<br />
si includono i cosiddetti “rituali popolari”), può essere ut<strong>il</strong>e distinguere<br />
attraverso la denominazione di “antropofagia rituale” queste pratiche<br />
di cannibalismo – legate alla sfera simbolica della comunicazione<br />
politica e sociale e influenti sui legami sociali di coesione della comunitas<br />
– da quelle dovute al mero fabbisogno nutrizionale.<br />
Ora qualche riflessione di carattere cronologico-geografico. Le prime<br />
testimonianze relative all’Occidente medievale di antropofagia rituale<br />
risalgono al XII secolo, mentre la più alta concentrazione di episodi si<br />
trova tra <strong>il</strong> XIV e l’inizio del XVI secolo. L’aprirsi del Cinquecento tuttavia<br />
non segna la fine delle manifestazioni di cannibalismo durante le<br />
sommosse: i casi continuano. A Napoli, nel 1585, la folla esas<strong>per</strong>ata dalla<br />
mancanza di pane, uccide e squarta l’“Eletto del popolo” Gian Vincenzo<br />
Storace, mangiandone le membra cotte e crude e «succhiandone inumanamente<br />
<strong>il</strong> sangue» 85 ; nel 1617 a Parigi è la volta di Concino Concini,<br />
l’onnipotente maresciallo d'Ancre ucciso da un cortigiano di Luigi XIII,<br />
<strong>il</strong> cui cuore sarà strappato e cucinato sui carboni ardenti; ancora nel 1799<br />
venne fritto e divorato <strong>il</strong> fegato di Niccolò di Fiani di Torremaggiore,<br />
durante la reazione borbonica alla Repubblica Partenopea 86 .<br />
Se i casi di antropofagia si fanno più sporadici a partire dal XVI<br />
secolo, <strong>il</strong> fatto è da attribuirsi al nesso che lega questa forma di aggressione<br />
estrema agli equ<strong>il</strong>ibri sociopolitici della civ<strong>il</strong>tà urbana; tali episodi<br />
seguono infatti lo sv<strong>il</strong>uppo cronologico (e geografico) dell’uso della<br />
violenza simbolica all’interno di questo contesto.<br />
Ciononostante sarebbe riduttivo considerare tali forme di antropofagia<br />
come un fenomeno tipico dell’Occidente medievale. Basti ricordare<br />
le faide mafiose degli anni Ottanta e la fine del camorrista Francis<br />
renaissance Venice cit.; Muir, Mad blood stirring, vendetta and factions in Friuli during the<br />
Renaissance, London 1993, Muir, Ritual in early modern Europe cit.<br />
85 «gli cavaron le budella, <strong>il</strong> cuore, e l’altre interiora, le quali ridotte in piccoli<br />
minuzzoli se le divison avidamente infadd<strong>il</strong>oro; e messele in cima di bastoni, e su le<br />
punte delle spade, e d’altre forti d’armi, c’havevano, le portavano come trofei d’una<br />
bene usata, ancorchè orrib<strong>il</strong>e crudeltà. E procederon tant’oltre che mostrando <strong>per</strong><br />
dovunque passano quelle abominevoli reliquie, dicevano à riguardanti di volersele<br />
mangiare in diversi modi acconce, anzi alcuni d’essi le addentavano così crude, succhiandone<br />
inumanamente <strong>il</strong> sangue» (Tommaso Costo, Giunta di tre libri cit., p. 135).<br />
86 Cfr. Bertelli, Il corpo cit., pp. 219-223.
274<br />
ANGELICA MONTANARI<br />
Turatello, giustiziato nel carcere di Badu’e Carros in Sardegna. Dopo<br />
averlo ucciso lo spietato Pasquale Barra, soprannominato non <strong>per</strong> nulla<br />
‘Nimale’ (animale), gli estrasse <strong>il</strong> cuore mordendolo ferocemente 87 .<br />
Un esempio pittoresco ma non dimostrativo di una continuità,<br />
poiché episodio isolato appartenente non soltanto ad un’epoca ma<br />
anche ad un contesto assai differente, è vero. Tuttavia, forme differenti<br />
di cannibalismo legate alla vendetta o alla punizione di criminali considerati<br />
<strong>per</strong>icolosi <strong>per</strong> la comunità intera, conoscono una discreta diffusione<br />
in società ed epoche molto diverse tra loro, come mostrava già<br />
la prima analisi di Volhard, all’inizio del secolo scorso 88 .<br />
(Univ. Bologna) ANGELICA A. MONTANARI<br />
87 Cfr. G. Di Fiore, Potere camorrista: quattro secoli di Malanapoli, Napoli 1993; C.<br />
Amati, Italia criminale. Quella sporca dozzina. Personaggi, fatti e avvenimenti di un’Italia violenta,<br />
Roma 2006.<br />
88 Cfr. E. Volhard, Kannibalismus, Stuttgart 1939.