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materiale che doveva essere estratto. Arrivati al campo, i prigionieri, dopo la conta dell’ufficiale di guardia, entrano a due a due, mentre un poliziotto conduce Fetah dal superiore. Incomincia l’interrogatorio. - Minatore Fetah, perché non hai fatto i buchi? - Non c’era aria nel martello pneumatico. - Bene, non c’era aria nel martello pneumatico. - Senza aria il martello non funziona. - Ho capito che non c’era aria, ma non hai risposto alla mia domanda, - incomincia a urlare l’ufficiale... e già si sa, di lì a poco ordinerà di portarlo in cella di isolamento”. (Tratto da: F. Lubonja, Diario di un intellettuale in un gulag albanese. Il riscatto della coscienza dalla barbarie di un socialismo reale, Costantino Marco Editore, Lungro (CS) 1994, pp. 52-53) D> “Quanti anni sei stato a Spaç? Sono rimasto cinque anni in quella miniera. Il lavoro era organizzato in tre turni che si cambiavano ogni settimana. Il primo turno era alla mattina. Dovevi alzarti alle cinque, vestirti e andare a mangiare alla mensa. Alle sei dovevi essere pronto, perché arrivavano i poliziotti a prenderti per inserirti in una delle varie brigate in cui erano organizzati i pringionieri. La mensa era anche il luogo in cui, nella pausa del turno di lavoro, si poteva leggere il giornale e si dovevano leggere le opere di Enver Hoxha e ascoltare la propaganda di rieducazione. [...] Il terzo turno era il più pesante: svegliarsi alle nove di sera, mangiare e alle dieci incamminarsi con la brigata e con i poliziotti verso la montagna. Il lavoro durava tutta la notte fino alle sette del mattino, quando uscivamo dalla galleria e scendevamo in fila verso il campo. Mangiavamo verso le otto e poi dovevamo aspettare l’appello: morti dal sonno, verso le nove, volevamo andare a dormire, ma dovevamo aspettare l’ufficiale per l’appello. Solo alle dieci potevamo andare a dormire nella camerata fino alle tredici. Dopo il pranzo dovevamo aspettare di nuovo l’appello e sorbirci la lettura della stampa. Verso le diciassette tornavamo a dormire e alle ventuno di nuovo la sveglia per andare a lavorare. 42
Ma la cosa terribile era quando ci facevano lavorare anche alla domenica, perché partivamo alle nove di sera e lavoravamo l’intera notte e, dopo aver dormito solo due o tre ore, al lunedì pomeriggio dovevamo tornare di nuovo in miniera per il secondo turno. Tremendo! [...] all’interno del carcere –attraverso le spie- si sentiva tutta la pressione dei servizi segreti. [...] C’erano anche i ‘topi di cella’, i prigionieri che venivano mandati come spie dal campo di prigionia nei commissariati di tutta l’Albania, dove si trovavano altri prigionieri in attesa di processo. [...] Qualcuno provava a scappare? Sì, ci furono due tentativi durante la mia prigionia a Spaç. Il primo fu compiuto da due persone, in inverno, durante il turno di notte. Non visti dalla guardia delle torrette, scivolarono sotto il filo spinato e uscirono. Durante l’appello le guardie si accorsero che mancavano due persone. Tutto il nord dell’Albania si mobilitò. L’organizzazione era eccezionale. I fuggitivi raggiunsero le montagne di Puka, sotto molta neve e con un freddo terribile. Nel campo ci fu grande tensione, tutti noi speravamo che riuscissero a fuggire. Rimasero senza mangiare per cinque giorni fra le montagne, dopo di che si arresero. Furono condannati a venticinque anni. Ci provarono altri due, uno dei quali aveva già tentato la fuga molti anni prima. [...] In realtà il problema più grande non era uscire dal campo ma andarsene dall’Albania, perché una volta fuggiti dal campo non si poteva in alcun modo rimanere nel Paese e farla franca. Fuori dal campo, i due passarono il fiume Drin al confine con la Macedonia dove furono catturati da gente comune, poiché in quei casi veniva mobilitata anche la popolazione civile. Uno venne condannato a morte, l’altro a venticinque anni. Il primo però venne graziato dal dittatore in segno di attenzione nei confronti della minoranza greca a cui apparteneva”. (Tratto da: F. Lubonja, Intervista sull’Albania. Dalle carceri di Enver Hoxha al liberismo selvaggio, Il Ponte, Bologna 2004, pp. 60-64) Dopo aver sintetizzato a voce il contenuto dei brani, ho chiesto ai tre alunni albanesi di leggere ai compagni l’intervista che avevano rivolto ai loro genitori, al fine di confrontare le informazioni in esse raccolte con quelle tratte dall’analisi, effettuata durante tutto il percorso, dei diversi documenti. 43
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Ma la cosa terribile era quando ci facevano lavorare anche alla domenica, <strong>per</strong>ché partivamo<br />
alle nove di sera e lavoravamo l’intera notte e, dopo aver dormito solo due o tre ore, al<br />
lunedì pomeriggio dovevamo tornare di nuovo in miniera <strong>per</strong> il secondo turno. Tremendo!<br />
[...] all’interno del carcere –attraverso le spie- si sentiva tutta la pressione dei servizi segreti.<br />
[...] C’erano anche i ‘topi di cella’, i prigionieri che venivano mandati come spie dal campo<br />
di prigionia nei commissariati di tutta l’Albania, dove si trovavano altri prigionieri in attesa<br />
di processo. [...]<br />
Qualcuno provava a scappare?<br />
Sì, ci furono due tentativi durante la mia prigionia a Spaç. Il primo fu compiuto da due<br />
<strong>per</strong>sone, in inverno, durante il turno di notte. Non visti dalla guardia delle torrette,<br />
scivolarono sotto il filo spinato e uscirono. Durante l’appello le guardie si accorsero che<br />
mancavano due <strong>per</strong>sone. Tutto il nord dell’Albania si mobilitò. L’organizzazione era<br />
eccezionale. I fuggitivi raggiunsero le montagne di Puka, sotto molta neve e con un freddo<br />
terribile. Nel campo ci fu grande tensione, tutti noi s<strong>per</strong>avamo che riuscissero a fuggire.<br />
Rimasero senza mangiare <strong>per</strong> cinque giorni fra le montagne, dopo di che si arresero. Furono<br />
condannati a venticinque anni.<br />
Ci provarono altri due, uno dei quali aveva già tentato la fuga molti anni prima. [...]<br />
In realtà il problema più grande non era uscire dal campo ma andarsene dall’Albania, <strong>per</strong>ché<br />
una volta fuggiti dal campo non si poteva in alcun modo rimanere nel Paese e farla franca.<br />
Fuori dal campo, i due passarono il fiume Drin al confine con la Macedonia dove furono<br />
catturati da gente comune, poiché in quei casi veniva mobilitata anche la popolazione civile.<br />
Uno venne condannato a morte, l’altro a venticinque anni. Il primo <strong>per</strong>ò venne graziato dal<br />
dittatore in segno di attenzione nei confronti della minoranza greca a cui apparteneva”.<br />
(Tratto da: F. Lubonja, Intervista sull’Albania. Dalle carceri di Enver Hoxha al liberismo<br />
selvaggio, Il Ponte, Bologna 2004, pp. 60-64)<br />
Dopo aver sintetizzato a voce il contenuto dei brani, ho chiesto ai tre alunni albanesi di<br />
leggere ai compagni l’intervista che avevano rivolto ai loro genitori, al fine di confrontare le<br />
informazioni in esse raccolte con quelle tratte dall’analisi, effettuata durante tutto il<br />
<strong>per</strong>corso, dei diversi documenti.<br />
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