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01.06.2013 Views

Quello che ho assegnato non era un vero e proprio compito, ma un’attività di problem- solving nella quale gli alunni avrebbero dovuto trovare la soluzione ad un “mistero”. La lezione successiva sarebbero stati invitati a confrontare le loro ipotesi per poi dirimere la questione. 6. Lezione 4 – La lotta contro il nemico. Pagine di diario ed interviste a confronto All’inizio della lezione gli alunni sono stati coinvolti nella risoluzione del quesito proposto la volta precedente. Gli studenti hanno condiviso le loro ipotesi e l’idea prevalente è stata che l’amore tra i due sposi fosse finito a causa di un allontanamento da parte del marito. Nessuno, però, ha pensato che questa separazione fosse stata imposta. È stato così che ho spiegato che questa è una delle foto utilizzate nel documentario bulgaro (che non ho mostrato ma di cui ho sintetizzato i contenuti) “Divorzio all’albanese” (2007), premiato con una nomination per la categoria European Film Academy miglior Film Documentario 2007, Prix “ARTE”, che racconta la storia delle molte coppie miste (formate da uomini albanesi e donne straniere) costrette a separarsi dopo che Krusciov aveva denunciato i crimini di Stalin e Hoxha aveva rifiutato qualsiasi relazione con i Paesi del Patto di Varsavia. Le donne di origine russa, polacca, bulgara che avevano sposato uomini albanesi furono imprigionate, costrette all'esilio e ad abbandonare le proprie famiglie solo perché straniere; quelle che provarono ad opporsi finirono in prigione accusate di sabotaggio o spionaggio. Agli uomini rimasti soli non era permesso di vedere le loro mogli e neppure i figli che, ancora piccoli, vennero esiliati con le donne; alcuni padri riuscirono a vedere nuovamente i propri figli solo quando questi raggiunsero l’età dei trent’anni. 36

Nel documentario sono testimoniate, in particolare, le storie di tre matrimoni: nel primo caso, quello di un albanese e una polacca, entrambi vengono condannati a morte dal regime, pena poi convertita, per l’uomo, in venticinque anni di carcere. La donna fu liberata grazie all'intervento del governo polacco ma la durezza degli interrogatori e le droghe somministratele compromisero la sua salute mentale. Nel secondo caso una donna russa rimase in carcere per dieci anni, ma nel frattempo il marito divorziò e, per dimostrare fedeltà al regime, si risposò con una donna albanese. Alla donna russa, che ora vive a Mosca, toccò anche di essere ripudiata pubblicamente dal figlio, perché “nemica del popolo”. Nel terzo caso, invece, i coniugi, lui albanese e lei russa, rimasero in prigione per dodici anni ma alla fine riuscirono a ricongiungersi anche con i figli, nel frattempo affidati ad un’altra famiglia. Ho, quindi, proseguito la lezione con una riflessione intorno agli aspetti della paura e della ricerca di un nemico che, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, caratterizzarono il governo di Enver Hoxha (argomenti trattati nell’ultima mezz’ora del video “Albania: il paese di fronte”). Sollecitando l’intervento dei ragazzi nel sintetizzare il contenuto del filmato, è stato possibile evidenziare come il dittatore avesse condotto una vera e propria caccia al nemico, prima ancora che all’esterno, all’interno dell’Albania. Servendosi del Sigurimi, organo di polizia segreta, per reprimere i dissidenti al regime, aveva diffuso il terrore ovunque nel Paese: si poteva essere condannati anche per una parola fuori luogo e il tentativo di fuga era punibile con lunghi anni di prigionia, sempre che si riuscisse ad evitare le guardie al confine, autorizzate a sparare a vista e ad uccidere. Inoltre, dopo la morte di Stalin, Hoxha si allontanò dalle posizioni revisioniste di Krusciov e di tutti i Paesi dell’Europa dell’est che avevano abbandonato lo stalinismo. Rimasto ormai solo, lontano dall’Occidente così come dal blocco sovietico, già dai primi anni Sessanta si alleò con la Cina, che negli anni seguenti costituì l’unica via di salvezza, in grado di fornire denaro, tecnologie e grano. Il regime si avvalse di Radio Tirana per trasmettere informazioni propagandistiche, accusando tutto l’Ovest di imperialismo e tutto l’Est di revisionismo; inoltre, tentò di disturbare il segnale televisivo di emittenti ritenute pericolose, come la RAI. Il Paese era a tutti gli effetti chiuso in sé stesso. Il dittatore guardò agli albanesi come ad un popolo che si sarebbe fatto fare largo nella storia con la forza delle armi: tutti, compresi uomini e bambini, dovevano saper usare le armi ed essere pronti a difendere la patria contro il nemico. È per questo che, come è risultato evidente nel filmato, tutti dovevano prepararsi ad un possibile attacco: erano frequenti le immagini di momenti di ginnastica mattutina per gli impiegati, di donne che 37

Nel documentario sono testimoniate, in particolare, le storie di tre matrimoni: nel primo<br />

caso, quello di un albanese e una polacca, entrambi vengono condannati a morte dal regime,<br />

pena poi convertita, <strong>per</strong> l’uomo, in venticinque anni di carcere. <strong>La</strong> donna fu liberata grazie<br />

all'intervento del governo polacco ma la durezza <strong>degli</strong> interrogatori e le droghe<br />

somministratele compromisero la sua salute mentale. Nel secondo caso una donna russa<br />

rimase in carcere <strong>per</strong> dieci anni, ma nel frattempo il marito divorziò e, <strong>per</strong> dimostrare fedeltà<br />

al regime, si risposò con una donna albanese. Alla donna russa, che ora vive a Mosca, toccò<br />

anche di essere ripudiata pubblicamente dal figlio, <strong>per</strong>ché “nemica del popolo”. Nel terzo<br />

caso, invece, i coniugi, lui albanese e lei russa, rimasero in prigione <strong>per</strong> dodici anni ma alla<br />

fine riuscirono a ricongiungersi anche con i figli, nel frattempo affidati ad un’altra famiglia.<br />

Ho, <strong>qui</strong>ndi, proseguito la lezione con una riflessione intorno agli aspetti della paura e della<br />

ricerca di un nemico che, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, caratterizzarono il<br />

governo di Enver Hoxha (argomenti trattati nell’ultima mezz’ora del video “Albania: il<br />

paese di fronte”). Sollecitando l’intervento dei ragazzi nel sintetizzare il contenuto del<br />

filmato, è stato possibile evidenziare come il dittatore avesse condotto una vera e propria<br />

caccia al nemico, prima ancora che all’esterno, all’interno dell’Albania. Servendosi del<br />

Sigurimi, organo di polizia segreta, <strong>per</strong> reprimere i dissidenti al regime, aveva diffuso il<br />

terrore ovunque nel Paese: si poteva essere condannati anche <strong>per</strong> una parola fuori luogo e il<br />

tentativo di fuga era punibile con lunghi anni di prigionia, sempre che si riuscisse ad evitare<br />

le guardie al confine, autorizzate a sparare a vista e ad uccidere.<br />

Inoltre, dopo la morte di Stalin, Hoxha si allontanò dalle posizioni revisioniste di Krusciov e<br />

di tutti i Paesi dell’Europa dell’est che avevano abbandonato lo stalinismo. Rimasto ormai<br />

solo, lontano dall’Occidente così come dal blocco sovietico, già dai primi anni Sessanta si<br />

alleò con la Cina, che negli anni seguenti costituì l’unica via di salvezza, in grado di fornire<br />

denaro, tecnologie e grano.<br />

Il regime si avvalse di Radio Tirana <strong>per</strong> trasmettere informazioni propagandistiche,<br />

accusando tutto l’Ovest di im<strong>per</strong>ialismo e tutto l’Est di revisionismo; inoltre, tentò di<br />

disturbare il segnale televisivo di emittenti ritenute <strong>per</strong>icolose, come la RAI. Il Paese era a<br />

tutti gli effetti chiuso in sé stesso.<br />

Il dittatore guardò agli albanesi come ad un popolo che si sarebbe fatto fare largo nella<br />

<strong>storia</strong> con la forza delle armi: tutti, compresi uomini e bambini, dovevano sa<strong>per</strong> usare le<br />

armi ed essere pronti a difendere la patria contro il nemico. È <strong>per</strong> questo che, come è<br />

risultato evidente nel filmato, tutti dovevano prepararsi ad un possibile attacco: erano<br />

frequenti le immagini di momenti di ginnastica mattutina <strong>per</strong> gli impiegati, di donne che<br />

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