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Storie di donne Storie di vita - Provincia di Verona - Job for you

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<strong>Storie</strong> <strong>di</strong> <strong>donne</strong><br />

<strong>Storie</strong> <strong>di</strong> vite<br />

A cura <strong>di</strong><br />

Maria Teresa Girar<strong>di</strong><br />

Beatrice Pietropoli<br />

Daniela Simoni<br />

e<br />

dott.ssa Maria Luisa Magagnotti<br />

(dottoranda presso l’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>)


INDICE<br />

STORIE DI DONNE, STORIE DI VITE: ricerca <strong>di</strong> BALDOfestivaldonna<br />

sul lavoro femminile nella fabbrica “A. Cometti” <strong>di</strong> Caprino Veronese 7<br />

COSÌ LONTANO, COSÌ VICINO................................................................ 9<br />

PICCOLE STORIE DI UNA MEMORIA COLLETTIVA ............................ 11<br />

Ringraziamenti .........................................................................................<br />

1 METODOLOGIA DELLA RICERCA E CARATTERISTICHE<br />

13<br />

DEI SOGGETTI INTERVISTATI ............................................................. 15<br />

2 LA DITTA COMETTI, CAPRINO E IL LAVORO DELLE DONNE .........<br />

2.1 Avvio dell’Industria Cometti e conferma <strong>di</strong> Caprino<br />

16<br />

quale centro mandamentale (1920- 1945) ..............................<br />

2.2 Massima espansione della Ditta Cometti e qualifi cazione<br />

17<br />

<strong>di</strong> Caprino (1945 - 1975) ............................................................<br />

2.3 Trasferimento della Ditta Cometti: il nuovo ruolo <strong>di</strong> Caprino<br />

23<br />

(1975 - 2000) ...............................................................................<br />

3 LO STABILIMENTO DI MATERIALE ELETTRICO “A. COMETTI”:<br />

27<br />

Brevi note storiche ............................................................................. 30<br />

4 DONNE ED ESPERIENZA LAVORATIVA ............................................. 35<br />

4.1 Lavoro e percorsi femminili ........................................................ 35<br />

4.2 La motivazione all’entrata in fabbrica ....................................... 39<br />

5 IL LAVORO IN FABBRICA FRA CONTINUITÀ E CAMBIAMENTO ...<br />

5.1 Produzione e relazioni: il lavoro nell’industria <strong>di</strong> materiale<br />

43<br />

elettrico “A. Cometti” ................................................................... 49<br />

5.2 Manodopera e organizzazione aziendale ................................. 55<br />

5.3 La gita del primo maggio ........................................................... 60<br />

5.4 Una fi gura femminile: Ida Meneghetti ....................................... 61<br />

6 IL LAVORO A DOMICILIO .................................................................... 64<br />

7 CONCLUSIONI ..................................................................................... 69<br />

8 “‘NA VIDA EN FABRICA” <strong>di</strong> Gemma Scala ...................................... 72<br />

ALLEGATO - DATI DEMOGRAFICI ED ECONOMICI .............................. 74<br />

Riferimenti bibliografi ci .......................................................................... 78<br />

E<strong>di</strong>zioni Baldofestival - Volumi pubblicati ............................................ 79<br />

5


STORIE DI DONNE, STORIE DI VITE:<br />

ricerca <strong>di</strong> BALDOfestivaldonna sul lavoro femminile<br />

nella fabbrica “A. Cometti” <strong>di</strong> Caprino Veronese<br />

BALDOfestival è un’associazione culturale costituitasi a Caprino Veronese<br />

nel 2002 con lo scopo <strong>di</strong> progettare e promuovere iniziative a carattere<br />

culturale, sociale ed economico che siano utili alla salvaguar<strong>di</strong>a<br />

delle tra<strong>di</strong>zioni, alla promozione e allo sviluppo culturale, scientifi co,<br />

turistico del Monte Baldo e dei territori limitrofi .<br />

All’interno dell’Associazione culturale BALDOfestival si è costituito<br />

negli anni scorsi un Comitato per le Pari Opportunità denominato<br />

BALDOfestivaldonna avente come fi nalità l’attenzione per le politiche<br />

femminili.<br />

Nell’autunno del 2005 e del 2006 il Comitato ha promosso alcuni<br />

eventi rivolti alle tematiche femminili con presentazione <strong>di</strong> libri, fi lm,<br />

spettacoli e <strong>di</strong>battiti che affrontavano la questione <strong>di</strong> genere sotto vari<br />

aspetti. Nello stesso tempo è sorta l’idea <strong>di</strong> una ricerca sulle <strong>donne</strong><br />

della zona montebal<strong>di</strong>na e sul loro lavoro. Particolare attenzione è stata<br />

riservata alla fabbrica “Molveno Cometti” per l’enorme importanza che<br />

questa ha avuto nella <strong>vita</strong> socio-economica del territorio, come parte<br />

integrante del suo sviluppo e per il grande numero <strong>di</strong> <strong>donne</strong> che nel<br />

corso del 1900 vi hanno lavorato. Un ulteriore spunto ci è stato offerto<br />

dall’interesse che aveva riscontrato nella popolazione, nell’ambito del<br />

BALDOfestival 2003, la manifestazione “La Fabbrica delle Idee”, che ha<br />

avuto come spazio delle attività gli e<strong>di</strong>fi ci <strong>di</strong>smessi dello stabilimento,<br />

dove tra l’altro gli ex-<strong>di</strong>pendenti avevano allestito un’esposizione <strong>di</strong> foto<br />

e <strong>di</strong> materiali della fabbrica.<br />

Le <strong>donne</strong> sono sempre state occupate, non solo nei tempi moderni.<br />

Spesso nel passato, come molte volte accade ancora oggi, il loro lavoro<br />

non è stato pienamente riconosciuto essendo relegato ad alcuni “mestieri”<br />

<strong>di</strong> esclusiva competenza femminile e <strong>for</strong>se per questo “non degni”<br />

<strong>di</strong> essere raccontati.<br />

Il lavoro della donna è stato, e lo è spesso ancora oggi, con<strong>di</strong>zionato<br />

dalle esigenze della famiglia, quella d’origine prima, e la propria, dopo<br />

il matrimonio. Con <strong>di</strong>ffi coltà le <strong>donne</strong> hanno scelto per sé, per un’emancipazione<br />

personale, anche se poi questa si è realizzata proprio attraverso<br />

l’esperienza lavorativa.<br />

L’intento della nostra ricerca è <strong>di</strong> dare <strong>di</strong>gnità all’impegno delle <strong>donne</strong>,<br />

che da sempre sono state occupate in attività fuori e dentro casa,<br />

7


dando un enorme contributo ai cambiamenti sociali ed economici della<br />

zona. Abbiamo così cercato <strong>di</strong> cogliere, a partire dallo spazio della fabbrica,<br />

le tras<strong>for</strong>mazioni e le visioni dei mestieri femminili nel territorio<br />

<strong>di</strong> Caprino Veronese.<br />

BALDOfestivaldonna, attraverso incontri ed interviste alle lavoratrici<br />

della fabbrica “A. Cometti”, ha cercato <strong>di</strong> recuperare le memorie del loro<br />

percorso occupazionale e <strong>di</strong> <strong>vita</strong>; ha raccolto i ricor<strong>di</strong> delle <strong>donne</strong> che<br />

hanno lavorato all’interno della fabbrica e a domicilio, le loro esperienze<br />

<strong>di</strong> lavoro, <strong>di</strong> fi glie e <strong>di</strong> madri, affi nché il loro vissuto rimanga come<br />

ere<strong>di</strong>tà per il futuro.<br />

BALDOfestivaldonna<br />

8


COSÌ LONTANO, COSÌ VICINO<br />

“Così lontano, così vicino”. Questa è stata la sensazione che ho provato<br />

leggendo, appassionandomi a queste storie <strong>di</strong> <strong>donne</strong> che raccontano<br />

le proprie vite, vite legate a una fabbrica. La fabbrica è la Cometti,<br />

fabbrica simbolo per un territorio come Caprino, come sanno tutti coloro<br />

che ci vivono.<br />

La Cometti ha però una storia importante ed è più conosciuta <strong>di</strong><br />

quanto sembri, proprio per quella <strong>di</strong>ffusa rete <strong>di</strong> lavoranti a domicilio <strong>di</strong><br />

cui ci parla questa bella ricerca. Perché è stata una delle poche fabbriche<br />

ad aver preso sul serio la legge sul lavoro a domicilio del 1973, regolando<br />

i rapporti <strong>di</strong> lavoro, rendendoli trasparenti, utilizzando quei registri<br />

delle commesse sconosciuti, purtroppo, quasi completamente nel nostro<br />

Paese. È stato il risultato <strong>di</strong> una buona scelta aziendale e insieme il risultato<br />

delle lotte sindacali <strong>di</strong> quegli anni, che in quella fabbrica hanno<br />

contribuito a imprimere una evoluzione delle relazioni industriali alla<br />

luce dei principi dello Statuto dei <strong>di</strong>ritti dei lavoratori del 1970.<br />

È anche per questo che la conosco. Perché vivo a Caprino e perché<br />

sono una giurista del lavoro. E il caso della Cometti è entrato nei libri <strong>di</strong><br />

storia del Diritto del lavoro.<br />

Ma non è <strong>di</strong> questo che voglio parlare. Quello che mi ha impressionato<br />

sono le interviste alle <strong>donne</strong>, che sono la base <strong>for</strong>te <strong>di</strong> questo lavoro<br />

<strong>di</strong> ricerca delle ra<strong>di</strong>ci. Scatta qui una curiosa sensazione, perché le <strong>donne</strong><br />

intervistate sono le nostre vicine <strong>di</strong> casa. Non si conoscono i nomi <strong>di</strong><br />

chi parla, ma sono state intere generazioni <strong>di</strong> <strong>donne</strong> della vallata a lavorarvi.<br />

Donne, soprattutto le più anziane, che raccontano esperienze che<br />

sembrano consegnate al passato, che trasmettono la sensazione <strong>di</strong> fatiche<br />

e <strong>di</strong> tempi grami e insieme <strong>di</strong> tranquillità e pienezza <strong>di</strong> <strong>vita</strong>.<br />

La ricerca parte da lontano, dall’inizio dell’esperienza. Non stupisca<br />

la prevalenza <strong>di</strong> <strong>donne</strong> che si registra a quel tempo, quasi agli inizi del<br />

secolo scorso: il passaggio da agricola a industriale <strong>di</strong> una economia<br />

locale ha visto ovunque l’impegno delle <strong>donne</strong>, poiché gli uomini rimanevano<br />

ancora legati alle attività tra<strong>di</strong>zionali. Poi si <strong>di</strong>pana nelle fasi<br />

successive, fi no allo spostamento delle produzioni e alla chiusura dell’attività<br />

a Caprino.<br />

Una bella pagina <strong>di</strong> storia, importante e interessante da leggere. Le<br />

esperienze in<strong>di</strong>viduali che conosciamo, quando <strong>di</strong>ventano storia corale<br />

9


e collettiva assumono un altro spessore, la <strong>for</strong>za <strong>di</strong> sollevare molti interrogativi.<br />

È molto più della storia <strong>di</strong> una fabbrica letta con le lenti delle <strong>donne</strong>.<br />

Racconta dell’intera evoluzione della vallata e dei suoi tanti mestieri,<br />

arrivando ai giorni nostri, proprio per segnare con maggior <strong>for</strong>za i<br />

cambiamenti e le continuità, come nel titolo del terzo capitolo. Allora,<br />

agli inizi del secolo scorso, prevaleva paternalismo e assistenza benevola.<br />

Allora, negli anni settanta, si parlava <strong>di</strong> decentramento produttivo.<br />

Emerge con <strong>for</strong>za il cambiamento <strong>di</strong> cultura e <strong>di</strong> aspettative dei giorni<br />

nostri, ma anche la sensazione che alcuni no<strong>di</strong> al fondo rimangano<br />

gli stessi, come le <strong>di</strong>scriminazioni legate alla maternità, la segregazione<br />

professionale, la carenza <strong>di</strong> servizi.<br />

Donata Gottar<strong>di</strong><br />

10


PICCOLE STORIE DI UNA MEMORIA COLLETTIVA<br />

Le cose avvengono, le vite scorrono. Ognuno testimone del pezzo <strong>di</strong><br />

storia che la propria <strong>vita</strong> attraversa e da cui la propria <strong>vita</strong> è attraversata.<br />

Ognuno convinto che ciò che fa, vede, sente sia poca cosa rispetto<br />

alla grande Storia.<br />

Operazioni come questa, invece, restituiscono alle piccole storie una<br />

<strong>di</strong>gnità <strong>di</strong>versa.<br />

Faticosamente la ricerca ha raccolto i ricor<strong>di</strong> e le testimonianze come<br />

pezzi <strong>di</strong> un puzzle che consente ora <strong>di</strong> ricostruire una memoria collettiva<br />

intorno ad una realtà – la fabbrica Cometti – che ha segnato un buona<br />

parte della storia <strong>di</strong> Caprino nel secolo scorso.<br />

Ed ha tanto più valore questo lavoro in quanto dà voce e visibilità<br />

alle operaie <strong>donne</strong>, soggetti che troppo spesso nelle storie e nella Storia<br />

siamo abituati a considerare come fi gure sullo sfondo che scarsamente<br />

incidono sui processi <strong>di</strong> tras<strong>for</strong>mazione collettiva.<br />

Dalla lettura <strong>di</strong> questa ricerca si ricava invece uno spaccato che rifl<br />

ette sì, puntuale, le caratteristiche dello sviluppo economico e sociale<br />

dell’Italia nel corso del Novecento ma che mette in evidenza il ruolo e<br />

peso centrale che le centinaia <strong>di</strong> <strong>donne</strong> operaie hanno avuto nel defi nire<br />

il profi lo e la tras<strong>for</strong>mazione della realtà locale.<br />

Viene spontaneo un sorriso, quel particolare sorridere <strong>di</strong> quando ci<br />

riconosciamo intimamente nel racconto, nel leggere le testimonianze <strong>di</strong><br />

chi, bambina, era mandata a servizio in città o <strong>di</strong> chi ricorda le <strong>di</strong>fferenze<br />

<strong>di</strong> mentalità e <strong>di</strong> costume tra le vecchie e nuove generazioni.<br />

Ma c’è anche un altro aspetto che emerge dai racconti: il lavoro come<br />

elemento che costruisce identità sociale, che assegna <strong>di</strong>gnità alle persone,<br />

dentro e fuori la fabbrica.<br />

Con grande convinzione esprimo il mio apprezzamento per questo<br />

lavoro a tutte le persone che hanno contribuito a realizzarlo perché credo<br />

che scoprire e mantenere vive le nostre ra<strong>di</strong>ci aiuti a costruire le ragioni<br />

e il senso del vivere il presente. E anche in questo nostro presente<br />

corriamo il rischio <strong>di</strong> smarrimento se lasciamo che la memoria collettiva<br />

si frantumi nei rivoli dei ricor<strong>di</strong> soggettivi che seguono i destini delle<br />

persone.<br />

Maria Luisa Perini<br />

Consigliera <strong>di</strong> Parità - <strong>Provincia</strong> <strong>di</strong> <strong>Verona</strong><br />

11


Ringraziamenti<br />

Un particolare ringraziamento va alle <strong>donne</strong> che ci hanno accolto<br />

nelle loro case e che hanno con<strong>di</strong>viso, con grande generosità, la loro<br />

esperienza lavorativa e <strong>di</strong> <strong>vita</strong>: Adriana F., Anna G., Antonella S., Assunta<br />

G., Carla T., Caterina S., Clara M., Daria C., Delfi na F., Dorina P.,<br />

Elena Z., Gabriella B., Gabriella L., Gemma S., Gina C., Giuseppina G.,<br />

Graziella C., Graziella R., Guerrina T., Ines A., Li<strong>di</strong>ana M., Lucia A., Luciana<br />

V., Luigia P., Luigina C., Luigina M., Luigina P., Luisa V., Maria P.,<br />

Maria Teresa P., Marisa M., Marisa P., Nina M., Nives B., Nives T., U<strong>di</strong>lia<br />

M., Olga M., Ornella V., Pia P., Raffaella B., Renata C., Renata S., Rina L.,<br />

Rina M., Roberta B., Rosa V., Teresa B.<br />

Un sentito grazie anche a Bruno V., Dario O., Enzo B., Gigi S., Sergio<br />

F. e Sara M. per la loro collaborazione.<br />

Vorremo inoltre ringraziare le amiche <strong>di</strong> BALDOfestivaldonna per il<br />

loro sostegno e la loro partecipazione ad alcune fasi della ricerca.<br />

La realizzazione e la pubblicazione <strong>di</strong> questo lavoro è stata possibile<br />

grazie al contributo ricevuto dalla Consigliera <strong>di</strong> Parità della <strong>Provincia</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, Dott.ssa Maria Luisa Perini, cui va la nostra gratitu<strong>di</strong>ne.<br />

13


1<br />

METODOLOGIA DELLA RICERCA<br />

E CARATTERISTICHE DEI SOGGETTI INTERVISTATI<br />

Questa pubblicazione si basa sulla rielaborazione delle interviste<br />

raccolte, tra il mese <strong>di</strong> marzo 2006 e il mese <strong>di</strong> febbraio 2007, fra le lavoratrici<br />

e i lavoratori dell’ex stabilimento “A. Cometti” che abitano nel<br />

comune <strong>di</strong> Caprino Veronese e in alcune aree limitrofe.<br />

Le persone incontrate sono state complessivamente sessanta. Abbiamo<br />

scelto <strong>di</strong> intervistare soprattutto <strong>donne</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse generazioni, nate<br />

fra il 1920 e il 1960, che hanno lavorato in fabbrica, a domicilio o hanno<br />

vissuto entrambe le esperienze in momenti e fasi <strong>di</strong>verse del loro ciclo<br />

<strong>di</strong> <strong>vita</strong>. Esse sono state in<strong>di</strong>viduate inizialmente all’interno della nostra<br />

rete d’amicizie e <strong>di</strong> parentela e, successivamente, tramite i contatti <strong>for</strong>niteci<br />

dalle stesse persone da noi intervistate.<br />

Il lavoro che presentiamo vuole essere un tentativo <strong>di</strong> conoscere e<br />

rapportare le esperienze <strong>di</strong> <strong>donne</strong> <strong>di</strong> età <strong>di</strong>versa, che sono entrate nello<br />

stabilimento fra il 1938 e il 1975.<br />

Per molte <strong>di</strong> loro questo tipo d’occupazione ha rappresentato una<br />

fase <strong>di</strong> transizione, usualmente <strong>di</strong> 2-5 anni, fra il lavoro domestico nella<br />

casa dei genitori e il matrimonio o il primo fi glio. In prevalenza iniziavano<br />

a lavorare in fabbrica da giovani, all’età <strong>di</strong> 14-15 anni. Per altre ha<br />

rappresentato il lavoro <strong>di</strong> una <strong>vita</strong>, svolto anche per quaranta anni. Le<br />

lavoratrici a domicilio, circa 250 negli anni Settanta, si avviavano a questa<br />

attività da sposate e dopo aver avuto dei fi gli.<br />

Le famiglie d’origine sono per la maggior parte d’estrazione conta<strong>di</strong>na,<br />

ma numerose sono anche le famiglie il cui padre lavorava nel settore<br />

estrattivo della pietra e del marmo o come muratore, in numero minore<br />

nella pubblica amministrazione. Fra le persone intervistate troviamo<br />

anche chi poteva contare solo su uno dei due genitori perché orfana <strong>di</strong><br />

madre o <strong>di</strong> padre. La maggior parte possiede la licenza elementare o il<br />

primo anno d’avviamento professionale, in numero minore è chi ha conseguito<br />

la licenza me<strong>di</strong>a o il <strong>di</strong>ploma <strong>di</strong> scuola tecnico-professionale.<br />

In questo lavoro abbiamo scelto <strong>di</strong> non sostituirci alle persone con<br />

cui ci siamo relazionate. Sono state dunque riportate parti delle interviste<br />

dalle quali sono scaturite le nostre rifl essioni, con l’intento <strong>di</strong> restituire<br />

dei punti vista sulla realtà sociale presente e passata del nostro<br />

territorio.<br />

15


2<br />

16<br />

LA DITTA COMETTI, CAPRINO<br />

E IL LAVORO DELLE DONNE<br />

La <strong>di</strong>tta Cometti e il territorio Caprinese hanno rappresentato per<br />

gran parte del secolo scorso un binomio in<strong>di</strong>ssolubile. La prima ha scelto<br />

quasi certamente <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>arsi in questo luogo per il suo notevole peso<br />

demografi co (circa 7.000 ab.) e la centralità nell’area montebal<strong>di</strong>na*. Il secondo<br />

ha avuto l’occasione, con tale presenza aziendale, <strong>di</strong> tras<strong>for</strong>marsi<br />

più precocemente <strong>di</strong> altre realtà da Comune agricolo ad industriale e <strong>di</strong><br />

contare in momenti <strong>di</strong> grande congiuntura economica su preziosi posti<br />

<strong>di</strong> lavoro per la propria popolazione, soprattutto femminile. Quasi ogni<br />

famiglia caprinese ha avuto almeno un congiunto alle <strong>di</strong>pendenze della<br />

Cometti, che fu per parecchi decenni l’unica fabbrica della zona nonché<br />

la prima ad offrire alle proprie maestranze anche opportunità economiche<br />

in<strong>di</strong>rette (convenzioni con negozi, anticipi o garanzie, prestiti, etc.).<br />

Per meglio comprendere questo stretto legame e inquadrare la presente<br />

ricerca, <strong>di</strong>videremo sinteticamente in tre parti il percorso storico<br />

<strong>di</strong> entrambi ponendo l’accento sull’attività complessiva delle <strong>donne</strong> <strong>di</strong><br />

Caprino.<br />

Panorama <strong>di</strong> Caprino intorno agli anni Trenta<br />

* Per ulteriori in<strong>for</strong>mazioni <strong>di</strong> carattere demografi co ed economico sul territorio in esame<br />

si veda l’Allegato in calce al presente volume.


2.1 Avvio dell’Industria Cometti e conferma <strong>di</strong> Caprino<br />

quale centro mandamentale (1920-1945)<br />

Cessato il primo confl itto mon<strong>di</strong>ale, la <strong>di</strong>tta Cometti, che aveva da<br />

tempo abbandonato l’attività artigianale d’inizio secolo <strong>di</strong> lavorazione<br />

dell’osso, intraprese nel nostro Comune la prima esperienza <strong>di</strong> produzione<br />

<strong>di</strong> materiale elettrico a livello industriale.<br />

A quel tempo Caprino, anche se scosso da gravi turbolenze sociali<br />

e politiche, si stava riappropriando del suo ruolo, già rivestito in<br />

passato ma messo in <strong>di</strong>scussione dagli eventi bellici, <strong>di</strong> punto <strong>di</strong> riferimento<br />

economico e <strong>di</strong> servizi per tutta l’area circostante. Era ben<br />

collegato alla città <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, al Brennero e al lago <strong>di</strong> Garda me<strong>di</strong>ante<br />

la collaudata ferrovia <strong>Verona</strong>-Domegliara-Caprino-Garda. Costituiva<br />

passaggio obbligato per il versante sud del Baldo attraverso le<br />

nuove strade per Spiazzi-Ferrara e la “Graziani”. Il suo antico mercato<br />

settimanale del sabato, sistemato da poco nella capiente Piazza<br />

Stringa, era affollato luogo <strong>di</strong> incontri e scambi commerciali <strong>di</strong> ogni<br />

tipo per tanta gente dei <strong>di</strong>ntorni. Era provvisto, o si stava dotando,<br />

<strong>di</strong> ricovero per anziani soli, istituti assistenziali minorili, Cassa rurale,<br />

Consorzio agrario, macello, dazio, ghiacciaia e centrale elettrica<br />

intercomunali. Aveva sul suo territorio una Cattedra Ambulante<br />

Agricola e una Scuola <strong>di</strong> <strong>di</strong>segno per arti e mestieri, poi tras<strong>for</strong>mata<br />

in Regio corso <strong>di</strong> Avviamento Professionale. Lungo il tragitto che<br />

collegava il palazzo del Comune, allora in Piazza Unità d’Italia, e la<br />

monumentale chiesa parrocchiale, si trovavano locande, stalli per cavalli,<br />

botteghe <strong>di</strong> generi in<strong>di</strong>spensabili e <strong>di</strong> piccoli artigiani, osterie e<br />

qualche trattoria.<br />

La zona dei “Molini”, dove la Cometti si inse<strong>di</strong>ò defi nitivamente,<br />

era allora abbastanza fuori dal centro storico ma venne ben presto ricompresa<br />

nel contesto citta<strong>di</strong>no grazie alla costruzione negli spazi interme<strong>di</strong><br />

delle nuove scuole Elementari, della Caserma dei Carabinieri e <strong>di</strong><br />

e<strong>di</strong>fi ci residenziali.<br />

A questo quadro logistico, completato in seguito anche da testimonianze<br />

del nuovo corso politico come la Casa del Fascio, il Teatro Salomoni<br />

e i primi Impianti Sportivi, si contrapponeva una situazione<br />

economica ben più <strong>di</strong>ffi cile e generalizzata. Le tra<strong>di</strong>zionali attività del<br />

marmo <strong>di</strong> Lubiara, della lana e della molitura, un tempo fi orenti, erano<br />

in calo. Disoccupazione e miseria, soprattutto nelle numerose frazioni,<br />

colpivano una larga fascia della citta<strong>di</strong>nanza alimentando perio<strong>di</strong>ci<br />

fl ussi migratori. Anche i piccoli coltivatori <strong>di</strong>retti e mezzadri, nati<br />

dal progressivo smembramento delle gran<strong>di</strong> proprietà fon<strong>di</strong>arie locali,<br />

17


campavano su autentici fazzoletti <strong>di</strong> terra con un sistema agricolo arcaico<br />

e assai poco remunerativo 1 .<br />

In questa precarietà complessiva, le persone più con<strong>di</strong>zionate in assoluto<br />

erano – anche da noi – le <strong>donne</strong>, poco o per nulla scolarizzate,<br />

indotte dalle convenzioni del tempo o a sposarsi o a prendere il velo. Le<br />

stesse, oltre a patire i <strong>di</strong>sagi generali, non avevano una propria autonomia<br />

legale in quanto subor<strong>di</strong>nate ai rispettivi padri, mariti, fratelli, e fi gli<br />

più gran<strong>di</strong> per la rappresentanza familiare uffi ciale e per tutte le decisioni<br />

più importanti. Il regime chiedeva loro <strong>di</strong> mettere al mondo molti<br />

bambini. Il parroco e gli altri maggiorenti del paese consigliavano loro<br />

<strong>di</strong> essere sottomesse e pazienti. Perfi no la suocera, con cui quasi sempre<br />

convivevano in miseri cascinali privi <strong>di</strong> acqua corrente ed elettricità, esigeva<br />

pronta obbe<strong>di</strong>enza e solerzia, rimuovendo il ricordo della medesima<br />

situazione da lei vissuta in gioventù.<br />

Sulla con<strong>di</strong>zione lavorativa delle <strong>donne</strong> montebal<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> questo periodo<br />

esiste solo l’attuale stu<strong>di</strong>o relativo alle operaie della Cometti, della<br />

cui attività tratteremo in modo più approfon<strong>di</strong>to nelle pagine seguenti:<br />

anticipiamo solo che costoro erano abbastanza numerose (già 166 su un<br />

totale <strong>di</strong> 194 <strong>di</strong>pendenti nel 1927) e in progressivo altalenante aumento.<br />

Per i mestieri <strong>di</strong> tutte le altre, che costituivano la stragrande maggioranza,<br />

ci riferiamo in questa sede soprattutto alle testimonianze raccolte<br />

oralmente dalle nostre madri e nonne.<br />

Nei documenti pubblici dell’epoca la memoria storica del ruolo operativo<br />

delle citta<strong>di</strong>ne caprinesi appare inesistente. Nei fogli anagrafi ci o<br />

in altre certifi cazioni civili esse sono citate, nel migliore dei casi, come<br />

“familiari” del capofamiglia. La loro professione compare in casi rarissimi,<br />

quasi non avessero fatto niente sotto questo profi lo o fossero esclusivamente<br />

“a carico” dei congiunti maschi. Eppure anche le nostre <strong>donne</strong><br />

hanno rappresentato l’altro in<strong>di</strong>spensabile asse portante dell’economia<br />

locale nonché una fl essibile <strong>for</strong>za lavorativa da utilizzare dovunque ci<br />

fosse bisogno e a cui attingere nei momenti <strong>di</strong> grande necessità (ad es.<br />

durante le guerre). In taluni momenti sono riuscite perfi no, con la loro<br />

intraprendenza e capacità <strong>di</strong> adattamento, a trovare spazio e possibilità<br />

<strong>di</strong> azione più rapidamente degli uomini.<br />

Oltre al lavoro nella fabbrica Cometti in<strong>di</strong>chiamo quin<strong>di</strong>, sia pure in<br />

modo sommario e non certo esaustivo, le altre molteplici mansioni svolte<br />

dalle <strong>donne</strong> montebal<strong>di</strong>ne nel periodo tra gli anni Venti e la fi ne del<br />

secondo confl itto mon<strong>di</strong>ale.<br />

18<br />

1. TURRI E., 1982, Caprino e il Monte Baldo, <strong>Verona</strong>, Bertani, pp. 114 -123.


Donne appartenenti a nuclei <strong>di</strong> coltivatori <strong>di</strong>retti<br />

In aggiunta al lavoro <strong>di</strong> assistenza ed educazione dei fi gli, <strong>di</strong> cucina,<br />

<strong>di</strong> cura della casa e <strong>di</strong> aiuto agli uomini nella fatica quoti<strong>di</strong>ana dei<br />

campi, erano loro affi dati alcuni settori esclusivi: l’orto (il giar<strong>di</strong>no non<br />

esisteva, era “roba da siori!”) che <strong>for</strong>niva la verdura per il fabbisogno<br />

familiare; il pollaio da cui ricavavano carne e uova (queste ultime vendute<br />

settimanalmente al mercato e barattate con generi <strong>di</strong> vestiario); il<br />

pascolo del bestiame, attività ad<strong>di</strong>rittura riposante durante la quale le<br />

nostre industriose massaie badavano anche ai fi gli più piccoli e confezionavano<br />

calze e maglioni sferruzzando in continuazione; l’affastellamento<br />

della “legna minua” derivata dalla potatura delle viti, preziosa<br />

non solo per riscaldare ma anche per cucinare sul camino; l’allevamento<br />

dei bachi da seta, al cui ciclo <strong>vita</strong>le riservavano tutti gli spazi <strong>di</strong> casa<br />

possibili, perfi no le camere; la ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong>retta del latte, la cardatura della<br />

lana, il taglio dei capelli. Se, dopo tutto ciò, rimaneva loro qualche brandello<br />

<strong>di</strong> tempo, trovavano <strong>di</strong> sera la <strong>for</strong>za <strong>di</strong> cucire con le prime Singer<br />

a manovella e perfi no <strong>di</strong> ricamare alla fi oca luce <strong>di</strong> una candela o <strong>di</strong> una<br />

fl ebile lampa<strong>di</strong>na.<br />

Donne appartenenti a famiglie <strong>di</strong> malghesi<br />

Costituivano la “variante montana” della prima categoria e risiedevano<br />

<strong>di</strong> solito nella parte alta del Comune come Pazzon, Spiazzi, Braga,<br />

Pradonego etc.<br />

Da maggio a settembre <strong>di</strong> ogni anno si trasferivano con tutta la famiglia<br />

nelle circa 30 malghe (quasi tutte <strong>di</strong> proprietà comunali) sul Baldo alla<br />

quota <strong>di</strong> oltre 1000 mt. per l’alpeggio, cioè l’allevamento del bestiame<br />

in montagna. Qui il compito principale delle conta<strong>di</strong>ne consisteva, oltre<br />

alle tra<strong>di</strong>zionali attività familiari, nel rastrellare l’erba falciata nei numerosi<br />

prati scoscesi, nel lavorare il latte e ricavarne i prodotti caseari.<br />

In autunno, al rientro all’abitazione originaria, riprendevano la normale<br />

routine <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ne.<br />

Donne inserite in famiglie mezzadrili<br />

Rispetto alle “colleghe” precedentemente descritte, avevano ulteriori<br />

impegni e minori guadagni. I contratti con i padroni delle terre (i noti<br />

Canossa, Stringa, Nichesola, Gaiter, Rizzar<strong>di</strong>, Cagalli, Deperini…) prevedevano<br />

non solo la corresponsione da parte del nucleo del mezzadro<br />

<strong>di</strong> una congrua cifra sul ricavato totale della conduzione dei campi, ma<br />

anche un supplementare lavoro per le <strong>donne</strong> <strong>di</strong> casa. Costoro, dopo aver<br />

19


assolto ai doveri nella propria famiglia, dovevano recarsi in “villa” per<br />

fare perio<strong>di</strong>camente il bucato (la “lessia”, quello con la cenere che durava<br />

quasi una settimana!) e prestarsi come cameriere con tanto <strong>di</strong> <strong>di</strong>visa<br />

in occasione <strong>di</strong> feste e pranzi organizzati dai “signori”.<br />

Donne mogli <strong>di</strong> braccianti agricoli<br />

All’interno del mondo rurale erano le più <strong>di</strong>seredate in quanto non<br />

potevano <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> niente e campavano con il misero salario, inadeguato<br />

e senza garanzia, <strong>di</strong> un solo componente della famiglia. Integravano<br />

le insuffi cienti entrate arrabattandosi in ogni modo, “spigolando”<br />

nei campi altrui dopo la mietitura, andando a sfogliare le piante <strong>di</strong> mais,<br />

a scartocciare le pannocchie dei vicini in cambio <strong>di</strong> beni in natura, a vendemmiare,<br />

a raccogliere legna nei boschi… Se dopo i vari parti avevano<br />

latte in abbondanza si offrivano anche come balie.<br />

Serve<br />

A causa delle <strong>di</strong>ffi coltà economiche legate spesso all’alta natalità familiare,<br />

molte nostre giovani dovettero lasciare la loro casa per “andare a servizio”,<br />

in genere a <strong>Verona</strong>, ma talvolta anche più lontano in altre città italiane<br />

e all’estero. Questa brusca iniziazione avveniva precocemente quando<br />

erano ancora bambine o adolescenti e rendeva molto poco in termini economici<br />

(quasi nulla più del proprio mantenimento). Nonostante ciò alcune<br />

trovarono sistemazione e accasamento defi nitivo nel luogo <strong>di</strong> lavoro.<br />

Una tipologia più <strong>for</strong>tunata delle serve era data dalle “inservienti”<br />

che prestavano la loro opera per pulizie e lavori pesanti nella nuova<br />

“Colonia mantovana” <strong>di</strong> Spiazzi (preventorio antitubercolare) o all’istituto<br />

per orfane “Giacomelli” <strong>di</strong> Pesina. Rispetto alle prime avevano il<br />

vantaggio <strong>di</strong> lavorare vicino alla famiglia <strong>di</strong> origine e <strong>di</strong> non essere sottoposte<br />

a ra<strong>di</strong>cali cambiamenti <strong>di</strong> <strong>vita</strong>.<br />

Sarte<br />

Sia nel capoluogo che in tutte le frazioni c’erano signore o signorine<br />

che confezionavano abiti da donna e bambino (i vestiti da uomo erano<br />

appannaggio del sarto-barbiere!). Ancor oggi è vivo il ricordo delle mitiche<br />

“Gemma e Luigina” a Caprino, della “Nina” a Pesina e tante altre<br />

che lavoravano con professionalità <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne, richiedevano molte<br />

“prove” alle clienti e insegnavano gratis alle giovanissime i primi obbligatori<br />

ru<strong>di</strong>menti dell’arte del cucito. Alcune sarte, le cosiddette “camiciaie”,<br />

aprirono l’era della prima artigianale “lavorazione in serie” <strong>di</strong><br />

questo genere <strong>di</strong> indumento allora molto richiesto.<br />

20


Ricamatrici<br />

A Caprino, Pesina e Pazzon esistevano istituti assistenziali femminili,<br />

condotti da religiose, che si erano specializzati in ricamo a mano in<br />

appositi “laboratori” e “scuole <strong>di</strong> lavoro”. Erano talmente referenziati<br />

che importanti negozi <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> e <strong>Provincia</strong> commissionavano loro preziosi<br />

corre<strong>di</strong> nuziali. In questi ambienti, che funzionavano pure come<br />

poli <strong>di</strong> aggregazione, sono passate praticamente tutte le nostre ragazze<br />

che dovevano cominciare a prepararsi la “dota”. Le più esperte collaboravano<br />

professionalmente nella produzione dei manufatti più elaborati<br />

ricevendo un piccolo compenso.<br />

Magliaie<br />

Azionando i primi ingombranti macchinari confezionavano maglie,<br />

ma soprattutto “fanele”, calze e mutandoni <strong>di</strong> lana. La loro attività è stata<br />

molto utile nei perio<strong>di</strong> in cui mancava il riscaldamento ed era alternativa<br />

alla lavorazione a mano degli stessi articoli.<br />

Ostesse<br />

In ogni “canton”, cioè punto strategico del centro e delle contrade si<br />

trovava l’osteria, o “dopolavoro”, che era spesso anche l’unico ritrovo<br />

sociale della zona. Ad aprirla tutti i giorni – domenica compresa – o a<br />

far “le ore piccole”, era sempre la moglie o altra congiunta del titolare.<br />

Costei serviva, puliva, ascoltava con <strong>di</strong>screzione e costituiva pure un<br />

gradevole richiamo per gli avventori maschi. A volte, per contrastare la<br />

concorrenza, si inventava qualche “specialità” (un caffè tostato in modo<br />

particolare, un tipo <strong>di</strong> gelato casalingo, una trippa prelibata, ecc.) che<br />

attirava la clientela.<br />

Le osterie e le ostesse, <strong>di</strong> per sé già numerose, aumentavano stagionalmente<br />

in occasione dell’apertura delle varie “Rame”, cioè riven<strong>di</strong>te<br />

<strong>di</strong> vino prodotto <strong>di</strong>rettamente2 .<br />

Addette alle <strong>for</strong>naci<br />

Porcino, grazie ad un particolare tipo <strong>di</strong> terra, era una località caprinese<br />

famosa per le mattonelle e i coppi cotti nelle caratteristiche <strong>for</strong>naci<br />

a legna. A preparare e riempire le <strong>for</strong>me <strong>di</strong> questi laterizi erano soprattutto<br />

le <strong>donne</strong> del luogo, che poi aiutavano i loro uomini a portare a termine<br />

la delicata e lunga operazione <strong>di</strong> cottura.<br />

2. AAVV, 1988, L’eco del Belpo, Parrocchia <strong>di</strong> Pesina<br />

21


Mogli <strong>di</strong> piccoli commercianti<br />

Dovunque i bottegai animavano la <strong>vita</strong> economica montebal<strong>di</strong>na,<br />

vendendo i propri generi merceologici in modo sfuso e trasferendoli<br />

nelle capaci borse <strong>di</strong> tela delle clienti. Anche in questi casi le parenti<br />

più strette del padrone erano quelle che recavano un grosso apporto<br />

nella conduzione dell’esercizio. Senza <strong>di</strong> loro “pistori, becari, botegari,<br />

molinari, paroloti, socolari, marangoni, ortolani” avrebbero gestito con<br />

grande <strong>di</strong>ffi coltà le loro attività o avrebbero ad<strong>di</strong>rittura chiuso i battenti<br />

del negozio.<br />

Ostetriche<br />

Un gruppo ristretto <strong>di</strong> lavoratrici “in proprio”, in<strong>di</strong>spensabile anche<br />

per la comunità <strong>di</strong> quell’epoca, era rappresentato dalle ostetriche, le popolari<br />

“comari” che assistevano le partorienti durante e dopo la gravidanza<br />

e le aiutavano anche nell’allevamento dei fi gli. Abbiamo ancora in<br />

mente valorose “levatrici” come la “Luigina” a Caprino, la “Carmen” a<br />

Pesina, ecc. che correvano instancabili, <strong>di</strong> giorno e <strong>di</strong> notte, prima a pie<strong>di</strong><br />

poi in bicicletta e da ultimo in moto, al capezzale delle varie pazienti.<br />

Maestre e bidelle<br />

Si contavano sulle mani ma operavano in modo capillare nelle scuole<br />

elementari e negli asili infantili del capoluogo e delle frazioni, compresa<br />

Spiazzi e la <strong>di</strong>sagevole Malcotta. Raggiungevano le loro se<strong>di</strong> quasi sempre<br />

a pie<strong>di</strong>, con qualunque tempo e non si assentavano quasi mai. Insegnavano<br />

soprattutto nelle classi femminili in quanto le cattedre maschili<br />

e miste erano allora occupate da uomini. Le bidelle erano tuttofare: cuoche,<br />

addette alle pulizie e alla custo<strong>di</strong>a temporanea degli alunni.<br />

Suore<br />

Un ulteriore drappello, a <strong>di</strong>re il vero non riferibile a categorie professionali<br />

bensì ad uno stato sociale, era costituito dalle suore. Nel periodo<br />

tra le due guerre circa 30 ragazze caprinesi hanno scelto la <strong>vita</strong> monastica<br />

spinte dall’assidua frequentazione parrocchiale e conseguente religiosità<br />

ma, qualche volta , anche dall’opportunità <strong>di</strong> “alleggerire” un<br />

<strong>for</strong>te carico familiare.<br />

Perpetue<br />

Inserite a loro modo nell’ambiente religioso, anche senza “voti”, erano<br />

le perpetue che, come <strong>di</strong>ceva il nome, si de<strong>di</strong>cavano per sempre al-<br />

22


l’assistenza dei sacerdoti e alla cura della canonica. Solitamente erano<br />

parenti strette del parroco o curato e non avevano mai riposo, soprattutto<br />

nelle giornate festive. E non erano nemmeno poche, considerato che,<br />

a quei tempi, nel comprensorio <strong>di</strong> Caprino i preti, uffi cialmente incaricati<br />

o cappellani, erano circa una quin<strong>di</strong>cina 3 .<br />

Municipio <strong>di</strong> Caprino con la torretta - Anni ’50<br />

2.2 Massima espansione della Ditta Cometti<br />

e qualifi cazione <strong>di</strong> Caprino (1945 –1975)<br />

Dopo i <strong>di</strong>sastri della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale arrivarono, per gra<strong>di</strong><br />

e a seguito <strong>di</strong> sudate conquiste, la ricostruzione e il boom economico,<br />

con epocali cambiamenti a livello tecnologico, normativo e sociale (meccanizzazione<br />

nelle fabbriche e nelle abitazioni, nuovi mezzi <strong>di</strong> comunicazione<br />

e <strong>di</strong> trasporto, tutela del lavoro, pensioni, leggi sulla famiglia,<br />

voto alle <strong>donne</strong>, ecc.).<br />

La <strong>di</strong>tta Cometti, rinnovandosi ed ampliandosi, alternò a momenti<br />

<strong>di</strong> massima occupazione ricorrenti perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> cassa integrazione e serrata<br />

lotta sindacale.<br />

3. AA.VV, 2006, Le suore <strong>di</strong> Caprino nel Mondo, Parrocchia <strong>di</strong> Caprino<br />

23


Caprino visse intensamente i nuovi fermenti e conseguì ulteriore<br />

autorevolezza nel circondario. In zona aprirono i battenti nuove me<strong>di</strong>e<br />

aziende come la Mon<strong>di</strong>ni (le cosidette “bombete”), piccoli calzaturifi ci e<br />

altre <strong>di</strong>tte artigianali con aggiuntivi posti <strong>di</strong> lavoro.<br />

L’acqua comparve per la prima volta in tutte le case private; vennero<br />

avviati in modo progressivo illuminazione pubblica, fognature, servizi<br />

scolastici primari in tutte le frazioni. Iniziarono Scuole Me<strong>di</strong>e e Corsi<br />

<strong>di</strong> avviamento industriale. Il piccolo nosocomio preesistente <strong>di</strong>venne<br />

Ospedale Generale <strong>di</strong> zona. Arrivarono, o perfezionarono le loro offerte,<br />

Pretura, Direzione <strong>di</strong>dattica, Forestale, Casa <strong>di</strong> riposo, Opere parrocchiali.<br />

Il Municipio si trasferì nella prestigiosa Villa Carlotti. Si costruirono<br />

numerose case grazie ad una legislazione favorevole e al massiccio<br />

proliferare <strong>di</strong> micro-aziende e<strong>di</strong>li.<br />

Biblioteca, museo, banda musicale e associazioni <strong>di</strong> volontariato animarono<br />

la <strong>vita</strong> culturale locale.<br />

In attesa della sospirata stabilizzazione economica e sociale, negli<br />

anni ’50 e per quasi un ventennio, proseguì l’esodo migratorio stagionale<br />

e prevalentemente femminile, questa volta verso la Svizzera. Quando<br />

tale fenomeno si attenuò, iniziarono a spopolarsi le contrade poste a<br />

monte <strong>di</strong> Caprino a favore della piana o dei grossi centri urbani.<br />

Chiusero, a causa dei nuovi orientamenti assistenziali, gli istituti<br />

delle Suore della Misericor<strong>di</strong>a nel capoluogo e del “Giacomelli” a Pesina<br />

e in seguito anche la Colonia mantovana a Spiazzi.<br />

Nel 1957 il “trenino” <strong>Verona</strong>-Caprino fu sostituito da un servizio <strong>di</strong><br />

pullman.<br />

I citta<strong>di</strong>ni/e <strong>di</strong> casa nostra respirarono la nuova aria peraltro agitata<br />

dei movimenti pre e post sessantottini. Le ragazze, in particolare, cominciarono<br />

a frequentare numerose la scuola <strong>di</strong> ogni or<strong>di</strong>ne e grado, ad imparare<br />

un mestiere, a prendere la patente, a rifi utare l’autoritarismo nei<br />

rapporti <strong>di</strong> coppia e a perseguire la propria autonomia. Le <strong>donne</strong>, che<br />

pure risparmiarono molte fatiche fi siche grazie ai primi elettrodomestici,<br />

ridussero in modo drastico le gravidanze e si “modernizzarono” uni<strong>for</strong>mandosi<br />

ai modelli sociali proposti dalla neonata televisione.<br />

La “rivoluzione” investì ine<strong>vita</strong>bilmente anche il fronte lavorativo<br />

nostrano, in particolare quello femminile.<br />

Sparirono del tutto le malghesi (che non accettavano più i rigori dell’isolamento<br />

in montagna), le fabbricanti <strong>di</strong> mattoni (per la chiusura defi<br />

nitiva dei laterizi <strong>di</strong> Porcino), le ricamatrici professionali (superate dai<br />

più sbrigativi ed economici lavori “fatti a macchina”) e le mezzadre (tipologia<br />

professionale ormai in <strong>di</strong>suso nel suo complesso).<br />

In campo agricolo resistettero, sia pure <strong>di</strong> molto ri<strong>di</strong>mensionate, sol-<br />

24


tanto le coltivatrici <strong>di</strong>rette, ora quasi tutte assicurate e meno oppresse da<br />

impegni rispetto al passato.<br />

Si avviò al tramonto l’attività <strong>di</strong> sarta, surclassata da numerosi e artigianali<br />

corsi “fai da te” <strong>di</strong> taglio e cucito, ma soprattutto dalla moda<br />

delle confezioni standar<strong>di</strong>zzate. Per le stesse ragioni scomparve, anche<br />

se più lentamente, la magliaia che per un certo tempo era stata incentivata<br />

dal funzionamento presso le Opere parrocchiali <strong>di</strong> Caprino <strong>di</strong> un<br />

apposito laboratorio.<br />

Le ostesse mantennero la loro funzione, pur rinominandosi “bariste”<br />

e offrendo nei propri esercizi pubblici nuovi generi <strong>di</strong> bevande (gazzose,<br />

coca-cola, superalcolici) in aggiunta a jukebox e altri giochi elettrici.<br />

Si tras<strong>for</strong>mò completamente il lavoro <strong>di</strong> serva: erano sempre più rare<br />

le concitta<strong>di</strong>ne che accettavano <strong>di</strong> andare a servizio a tempo pieno, giorno<br />

e notte, lontano dalla residenza abituale. Al massimo si prestavano<br />

come “collaboratrici domestiche” a ore e “in regola con le marchette”.<br />

Le vocazioni religiose subirono un tracollo a seguito dell’avanzante<br />

materialismo e <strong>di</strong> un <strong>di</strong>verso modo <strong>di</strong> concepire la spiritualità e il servizio<br />

agli altri.<br />

Sull’onda dell’allargamento dell’istruzione primaria e secondaria, si<br />

infi ttirono le fi la delle maestre d’asilo ed elementari e delle prime impiegate<br />

generiche: tali lavoratrici, <strong>di</strong> solito costrette a fare le pendolari perché<br />

nel caprinese non c’era suffi ciente offerta, iniziarono a sperimentare<br />

la trafi la dei primi concorsi pubblici.<br />

A Pesina una farmacista donna, superando vecchie <strong>di</strong>ffi denze, riuscì<br />

a conquistare molti assistiti grazie alla sua competenza.<br />

Contemporaneamente anche dalle nostre parti fecero la loro comparsa<br />

professionalità femminili ine<strong>di</strong>te legate alle esigenze e mode del nuovo<br />

corso: le parrucchiere per donna (con le famose “permanenti” a caldo<br />

e altre prestazioni), le materassaie (che, fatti sparire i duri giacigli “de<br />

scartossi”, preparavano più accoglienti materassi in lana), le commesse<br />

(che trovavano spazio, purtroppo a misero red<strong>di</strong>to, nei vari negozi da<br />

poco aperti), le piccole commercianti in proprio, le “baby-sitter”, le cameriere<br />

d’albergo (l’era turistica era ai suoi albori!), le assistenti sociali<br />

(a seguito delle mutazioni assistenziali), ecc.<br />

Una categoria che ebbe molta <strong>for</strong>tuna nel caprinese in questo periodo<br />

fu quella delle infermiere professionali, generiche ed inservienti,<br />

richieste in buon numero dallo straor<strong>di</strong>nario sviluppo dell’ospedale <strong>di</strong><br />

zona. Dal 1965 al 1970 <strong>di</strong>verse <strong>donne</strong> che lavoravano nella fabbrica Cometti<br />

scelsero <strong>di</strong> andare a lavorare nell’ospedale <strong>di</strong> Caprino. Alcune <strong>di</strong><br />

loro in seguito conseguirono il <strong>di</strong>ploma <strong>di</strong> infermiera. La struttura ospedaliera<br />

locale rimase per alcuni anni l’alternativa al lavoro in fabbrica.<br />

25


Ma il grosso delle lavoratrici montebal<strong>di</strong>ne si concentrò e fronteggiò<br />

nel seguente dualismo: operaie/casalinghe. Le prime trovarono posto<br />

non solo alla Cometti ma anche in altre industrie del territorio. Le seconde<br />

rappresentarono il nuovo “status symbol” delle <strong>donne</strong> che non<br />

avevano stretta necessità <strong>di</strong> lavorare perché <strong>di</strong>gnitosamente mantenute<br />

da marito o da altro congiunto e che si occupavano solo del proprio nucleo<br />

familiare.<br />

Un interessante mix tra queste due categorie si estrinsecò nelle lavoranti<br />

a domicilio, collegate soprattutto alla Ditta Cometti. Costoro, che<br />

pure erano esistite anche in passato ma che ora si presentavano in modo<br />

evidente, assemblavano a casa propria materiali elettrici e badavano<br />

nello stesso tempo alla famiglia.<br />

Com’è ovvio, anche in questo trentennio, che vide senza dubbio un<br />

notevole sviluppo e crescita della nostra gente, non tutto fu facile o positivo.<br />

Le varie conquiste in campo lavorativo e sociale si ottennero a conclusione<br />

<strong>di</strong> lunghe battaglie sindacali o dure prese <strong>di</strong> posizione. Il clima<br />

politico si arroventò in conseguenza delle prime avvisaglie terroristiche.<br />

Oltre all’emigrazione all’estero e all’inurbamento, larghe fasce dei<br />

montebal<strong>di</strong>ni furono ancora perio<strong>di</strong>camente soggette a <strong>di</strong>soccupazione<br />

o cassa integrazione. Tutti questi fatti colpirono <strong>di</strong> preferenza, come altrove,<br />

la componente femminile della citta<strong>di</strong>nanza.<br />

26<br />

La Cometti - Anni ’20


2.3 Trasferimento della Ditta Cometti e nuovo ruolo <strong>di</strong> Caprino<br />

(1975 – 2000)<br />

Per l’inesorabile legge dei corsi e ricorsi della storia anche le nostre due<br />

realtà soggiacciono, in questo lasso <strong>di</strong> tempo, ad una fase <strong>di</strong> decrescita.<br />

La <strong>di</strong>tta Cometti, incalzata da avvicendamenti nella proprietà, <strong>di</strong>versi<br />

assetti societari e cambi <strong>di</strong> strategia industriale, meccanizzazione e<br />

automazione, riduce <strong>di</strong> conseguenza i posti <strong>di</strong> lavoro: a pagare le spese<br />

<strong>di</strong> queste tormentate vicende sono prima, e soprattutto, le <strong>donne</strong>! Nel<br />

1999/2000 l’azienda chiude ad<strong>di</strong>rittura la sede <strong>di</strong> Caprino e si trasferisce<br />

a Valeggio sul Mincio con le ridotte maestranze rimaste.<br />

Parallelamente Caprino, che pure si dota nel frattempo <strong>di</strong> piano regolatore<br />

generale, case popolari, metanizzazione, banche, sede Inps, uffi<br />

cio Entrate, asilo nido, moderni impianti sportivi, vede ri<strong>di</strong>mensionarsi<br />

pian piano il proprio ruolo <strong>di</strong> centro <strong>di</strong> servizi sovracomunali. La graduale<br />

riconversione dell’ospedale è la prova più eclatante del suo declino.<br />

L’uscita dell’autostrada A22 ad Affi e la contestuale apertura degli<br />

Ipermercati commerciali sposta ine<strong>vita</strong>bilmente il centro economico più<br />

a sud, con preve<strong>di</strong>bile emorragia <strong>di</strong> uffi ci pubblici e aziende a favore del<br />

nuovo polo d’attrazione. Inoltre lo sviluppo massiccio del turismo sul lago<br />

<strong>di</strong> Garda e l’industrializzazione <strong>di</strong> alcune zone contermini, trasferisce<br />

su nuove sponde ulteriori fette del comparto lavorativo e fi nanziario.<br />

L’ultimo quarto <strong>di</strong> secolo registra, in rapido susseguirsi, molte altre<br />

mutazioni in campo civile e soprattutto una più consapevole, anche se<br />

non ancora equa, presa in carico della con<strong>di</strong>zione femminile.<br />

La famiglia patriarcale si tras<strong>for</strong>ma in minigruppo e i nuovi nuclei,<br />

non più tutti istituzionalizzati da vincoli matrimoniali, iniziano a vivere<br />

per proprio conto. La maggioranza delle <strong>donne</strong> è spinta, sia dall’alto costo<br />

della <strong>vita</strong> che dal bisogno <strong>di</strong> autoaffermazione, a lavorare fuori casa.<br />

L’assistenza <strong>di</strong>urna ai fi gli piccolissimi, pur spesso affi data ai nonni od<br />

ad altri parenti, fa capo anche ai servizi territoriali per l’infanzia.<br />

Il <strong>for</strong>tunato e <strong>for</strong>se irripetibile periodo in cui l’occupazione ha avuto<br />

la garanzia <strong>di</strong> stabilità dura circa un ventennio. Dopo gli anni ’90 il lavoro<br />

<strong>di</strong> tutti assume progressivamente contorni sempre più fl essibili e<br />

insicuri. La precarietà <strong>di</strong>venta il problema principale <strong>di</strong> molti giovani e<br />

delle <strong>donne</strong>, nei confronti delle quali non è mai cessata la penalizzazione<br />

soprattutto in presenza <strong>di</strong> fi gli.<br />

In questo tras<strong>for</strong>mato contesto generale e locale, l’attività lavorativa<br />

della popolazione femminile caprinese presenta aspetti inimmaginabili<br />

appena pochi anni prima.<br />

Perdono innanzitutto peso le due categorie ultimamente dominanti:<br />

27


quasi più nessuna donna può permettersi il “lusso” <strong>di</strong> fare la casalinga e<br />

poche sono le nostre conterranee che, stante la <strong>for</strong>te tendenza verso impegni<br />

intellettuali, accettano <strong>di</strong> fare le semplici operaie in fabbrica. Del<br />

resto, scomparsa la Cometti, sono poche le <strong>di</strong>tte che in zona offrono loro<br />

questa possibilità (Fromm, Cemont, Mon<strong>di</strong>ni Cavi...). A queste nuove<br />

<strong>di</strong>soccupate viene facile riciclarsi in commesse (ricercate in special modo<br />

dai centri commerciali <strong>di</strong> Affi ), assistenti tuttofare <strong>di</strong> ambulatori me<strong>di</strong>ci<br />

privati, vigilesse urbane, centraliniste.<br />

Il lavoro agricolo è ormai residuale, con l’unica eccezione <strong>di</strong> un motivato<br />

drappello <strong>di</strong> salariate assunte stagionalmente da <strong>di</strong>tte <strong>di</strong> lavorazione<br />

della vite da innesto. Alcune delle rare coltivatrici <strong>di</strong>rette rimaste<br />

sperimentano l’emergente attività <strong>di</strong> agriturismo.<br />

La parrucchiera, già promossa unisex, è ora affi ancata dall’estetista con<br />

compiti <strong>di</strong> manicure e pe<strong>di</strong>cure, dalla ven<strong>di</strong>trice a domicilio <strong>di</strong> prodotti<br />

cosmetici, dall’istruttrice <strong>di</strong> ginnastica e dalla “esperta <strong>di</strong> fi tness”. Ciò in<br />

ossequio all’imperativo del momento che vuole tutti belli e prestanti.<br />

La parola “serva”, per le nostre <strong>donne</strong>, quasi non esiste più sul vocabolario,<br />

anche se, <strong>di</strong> fatto, è sostituita dalla <strong>di</strong>ffusa “badante” straniera<br />

che assomma in sé onerosi compiti <strong>di</strong> assistenza e cura della casa. Continuano<br />

a resistere le “stagionali” sul lago <strong>di</strong> Garda: attratte dalla vicinanza<br />

e dall’opportunità <strong>di</strong> avere mesi liberi in autunno-inverno, numerose<br />

montebal<strong>di</strong>ne fanno la spola tra casa e lavoro prestandosi prevalentemente<br />

nel rior<strong>di</strong>no <strong>di</strong> camere d’albergo e appartamenti ad uso turistico.<br />

Una moderna rie<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> lavoranti con compiti simili consiste nelle<br />

addette alle “imprese <strong>di</strong> pulizie”, in servizio part-time nelle primissime<br />

ore del mattino nelle due case <strong>di</strong> riposo, nel centro sanitario, nelle<br />

banche, negli uffi ci pubblici e privati, nelle aziende.<br />

Il turismo specializzato, che <strong>di</strong>verrà probabilmente in un prossimo<br />

futuro la prospettiva economica più praticabile nel nostro territorio, è<br />

il comparto in cui le nostre già si esibiscono in una variegata gamma<br />

e <strong>di</strong>slocazione geografi ca. Si va dalla cuoca e pasticcera, alla guida, all’accompagnatrice,<br />

all’interprete, all’incaricata della reception, all’organizzatrice<br />

<strong>di</strong> congressi internazionali, all’animatrice <strong>di</strong> villaggi turistici,<br />

all’impiegata o responsabile <strong>di</strong> agenzie <strong>di</strong> viaggio, alla titolare <strong>di</strong>retta<br />

<strong>di</strong> hotel e servizi <strong>di</strong> ristorazione. Di recente è comparsa anche nel nostro<br />

territorio una rete <strong>di</strong> <strong>donne</strong> che esercitano l’attività <strong>di</strong> “Bed and<br />

Breakfast” nella propria residenza.<br />

Anche nel campo sociale le montebal<strong>di</strong>ne rivelano la loro duttilità<br />

e fi uto dell’innovazione: nei richiestissimi asili nido locali lavorano assistenti<br />

all’infanzia e insegnanti specializzate. Le operatrici per l’assistenza<br />

agli anziani si adoperano all’interno <strong>di</strong> strutture geriatriche ma<br />

28


soprattutto a domicilio, coa<strong>di</strong>uvate da infermiere, <strong>di</strong>etologhe, fi sioterapiste,<br />

animatrici, assistenti sociali. Due neocostituite cooperative <strong>di</strong> educatrici<br />

sono in grado <strong>di</strong> organizzare in modo rapido e personalizzato,<br />

sia in collaborazione con gli enti pubblici che autonomamente, centri <strong>di</strong><br />

infanzia, punti <strong>di</strong> aggregazione giovanili, soggiorni estivi per ragazzi,<br />

appoggi scolastici, ecc.<br />

Ma è nella folta schiera <strong>di</strong> <strong>di</strong>plomate e laureate che si esprime una<br />

buona parte delle lavoratrici caprinesi che, come altrove, hanno pure “invaso”<br />

spazi tra<strong>di</strong>zionalmente riservati agli uomini. Accanto alle storiche<br />

e intramontabili maestre, ragioniere, professoresse, si affermano laureate<br />

in me<strong>di</strong>cina, farmaciste, commercialiste, avvocate, psicologhe. Si affacciano<br />

timidamente alla ribalta, in quanto il ramo scientifi co è considerato<br />

ancora poco abbordabile, geometre, geologhe, sociologhe, architette,<br />

esperte in beni ambientali. Su tutte aleggia però il timore <strong>di</strong> non trovare<br />

un posto adeguato alla loro professionalità e per questo sono <strong>di</strong>sposte<br />

temporaneamente a trasferirsi o ad adattarsi a mansioni inferiori.<br />

Conclu<strong>di</strong>amo con un breve riferimento alla capacità impren<strong>di</strong>toriale<br />

sempre vivace delle nostre <strong>donne</strong> che si sono, o si stanno, “mettendo<br />

in proprio”. Esercizi commerciali, attività turistiche e piccoli laboratori<br />

artigiani sono i frutti della volontà <strong>di</strong> contrastare l’incertezza lavorativa<br />

generale e <strong>di</strong> valorizzare le proprie potenzialità.<br />

29


3<br />

30<br />

LO STABILIMENTO DI MATERIALE ELETTRICO “A. COMETTI”<br />

Brevi note storiche<br />

In questo paragrafo inten<strong>di</strong>amo presentare brevemente le tappe <strong>di</strong><br />

sviluppo dell’industria sia per quanto riguarda l’evoluzione tecnica che<br />

le vicende sociali e sindacali, a partire da alcune esperienze proto-industriali<br />

presenti nella zona che hanno favorito la nascita dello stabilimento<br />

Cometti 4 .<br />

1896: il Cavalier D.B. Cerruti apre una piccola fabbrica con 5 operai<br />

per la lavorazione dell’osso (bocchini per pipe, pettini, ma soprattutto<br />

pulsanti per interruttori) in località Valsecca per poter fruire della <strong>for</strong>za<br />

motrice dell’acqua molto abbondante in quell’area.<br />

A Spiazzi <strong>di</strong> Caprino Veronese, e specialmente nella contrada Croce,<br />

era già presente da tempo la lavorazione artigianale dell’osso, legata alla<br />

produzione <strong>di</strong> oggetti votivi per il santuario della Madonna della Corona.<br />

Lavoratori in Valsecca nel 1904<br />

4. I dati sono stati ricavati attraverso: AA.VV. <strong>Storie</strong> <strong>di</strong> fabbrica. Uomini e tecnologie alla<br />

Cometti, Ed. Baldofestival, 2003; Censimento 1911; GONDOLA V.S., Dalla storica fabbrica degli<br />

ossi alla moderna <strong>di</strong>tta Cometti in AA.VV. Quaderni culturali caprinesi - N. 2/2007 pp. 76-<br />

82, Comune <strong>di</strong> Caprino Veronese.


1903: primo sciopero operaio per impe<strong>di</strong>re il trasferimento a <strong>Verona</strong><br />

ventilato per carenza <strong>di</strong> energia elettrica.<br />

1909: nasce la “S.a.s. D.B. Cerruti, Cometti e C.”. Agostino Cometti,<br />

che era entrato in relazione con Cerruti, propone <strong>di</strong> sviluppare una produzione<br />

a livello industriale, procurandosi la materia prima a Genova,<br />

dove per altro aveva intrapreso gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> ingegneria.<br />

La produzione, cogliendo le esigenze del mercato, si espande sempre<br />

più sul materiale elettrico e Agostino intuisce la necessità <strong>di</strong> nuovi<br />

materiali. Dopo viaggi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o in Germania e Cecoslovacchia sostituisce<br />

l’osso con la porcellana.<br />

In questi anni la fabbrica è a ciclo completo: realizza tutta la produzione<br />

dei componenti necessari all’assemblaggio degli interruttori, portalampade,<br />

prese ecc.<br />

1911: Dal censimento “Industria e Artigianato” <strong>di</strong> quell’anno, oltre<br />

alla “Cometti, Cerruti e C.”, con 24 addetti, risulta operare in Loc. Molini<br />

la nuova fabbrica <strong>di</strong> materiale elettrico “Besozzi, Cometti e C.”, con<br />

57 addetti.<br />

1912: la <strong>di</strong>tta assume la denominazione uninominale “S.A.S. A. Cometti<br />

e C.”<br />

I vecchi interruttori a peretta<br />

31


1919: la fabbrica “A. Cometti” riparte dopo la sospensione della Prima<br />

Guerra Mon<strong>di</strong>ale. Continua la ricerca tecnologica e <strong>di</strong> nuovi sbocchi<br />

commerciali anche all’estero.<br />

32<br />

1927: nella fabbrica lavorano 194 operai <strong>di</strong> cui 166 sono <strong>donne</strong>.<br />

1932/1940: superata la grande crisi del ’29 la <strong>di</strong>tta riprende fi ato e<br />

avvia la lavorazione della bakelite. Alla fi ne degli anni Trenta lavorano<br />

alla “Cometti” circa 250 persone.<br />

1941/1945: attività ridotta a causa della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale.<br />

1949: muore Agostino Cometti e gli subentra il fi glio Augusto, già al<br />

lavoro nella <strong>di</strong>tta dal 1943.<br />

Anni Cinquanta: aumento della produzione, primo ampliamento degli<br />

e<strong>di</strong>fi ci sul lato Sud Ovest, che continuerà negli anni Sessanta.<br />

1960: viene introdotta la termoplastica.<br />

Anni Sessanta/Settanta: sviluppo dell’automazione all’interno della<br />

fabbrica per la produzione dei componenti. L’assemblaggio continua<br />

ad essere fatto manualmente sia all’interno che presso le lavoranti a domicilio.<br />

Inizio <strong>di</strong> una nuova linea <strong>di</strong> prodotti: interruttori e coman<strong>di</strong> per<br />

elettrodomestici.<br />

A metà degli anni Sessanta, con il boom economico, i lavoratori <strong>di</strong>ventano<br />

più <strong>di</strong> 400, ma negli anni imme<strong>di</strong>atamente seguenti ci sono riduzioni<br />

<strong>di</strong> personale e il loro numero si stabilisce sulle 200 unità.<br />

1967: nasce ad Ala (TN) la “Molveno S.p.A.”, dove si trasferiscono<br />

parti della lavorazione. Alla fi ne degli anni Settanta dalla fusione della<br />

“Cometti” con la “Molveno” si costituisce la “Molveno Cometti S.p.A.”,<br />

che comprende i due stabilimenti <strong>di</strong> Ala (TN) e Caprino Veronese.<br />

Nell’ottica del decentramento produttivo avviene una grossa spinta<br />

al lavoro a domicilio (circa 500 famiglie fra Ala e Caprino).<br />

Dal 1970: assunzione <strong>di</strong> operai dalla locale scuola professionale,<br />

sezione <strong>di</strong>staccata dell’istituto professionale “Giorgi” <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>. Sono<br />

operai più istruiti, alcuni dei quali <strong>di</strong>verranno quadri <strong>di</strong>rigenti del sindacato.<br />

Dopo il Sessantotto la sindacalizzazione e la politicizzazione sono<br />

favorite anche dall’entrata in vigore dello “Statuto dei Lavoratori” e<br />

dalle prime lotte fi nalizzate ad un’uguaglianza tra operai e impiegati.


1971: partecipazione totale agli scioperi per il rinnovo del contratto<br />

aziendale lavoratori materie plastiche. Raggiunti importanti obiettivi,<br />

dagli aumenti salariali a miglioramenti dell’ambiente <strong>di</strong> lavoro.<br />

1972: prima elezione del nuovo Consiglio <strong>di</strong> Fabbrica, al posto della<br />

Commissione Interna, con rappresentanti <strong>di</strong> ogni reparto.<br />

1974: perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> Cassa Integrazione.<br />

1975: il reparto porcellana, per consuetu<strong>di</strong>ne così chiamato benché<br />

non si usasse più quel materiale, viene chiuso. Cinquanta operaie rischiano<br />

il licenziamento ma in seguito ad una mobilitazione generale e<br />

ad un’assemblea pubblica contro la riduzione del personale, viene concessa<br />

la Cassa Integrazione. Alle manifestazioni in piazza partecipano le<br />

<strong>for</strong>ze politiche presenti nel Consiglio Comunale, la popolazione, <strong>di</strong>pendenti<br />

interni e lavoranti a domicilio.<br />

1977: si <strong>for</strong>ma la “Lega Lavoranti a Domicilio” che unisce Consiglio<br />

<strong>di</strong> Fabbrica e delegati dei lavoratori esterni, per affrontare i problemi<br />

tecnici e assicurativi <strong>di</strong> questo settore.<br />

1978: dopo tre mesi <strong>di</strong> scioperi e picchetti si procede alla prima occupazione<br />

della fabbrica. Da tempo non si assume, c’è il rischio della<br />

chiusura e dello spostamento altrove della produzione. Consistente è la<br />

partecipazione e la solidarietà della popolazione e dei <strong>di</strong>pendenti delle<br />

altre fabbriche, che per la prima volta sfi lano insieme per il paese. La<br />

vertenza si conclude positivamente.<br />

La fabbrica nel 1907<br />

33


Anni Ottanta: realizzazione <strong>di</strong> linee automatiche per il montaggio e<br />

il controllo degli interruttori a Caprino con manodopera più specializzata.<br />

Ad Ala sviluppo della produzione <strong>di</strong> pezzi stampati in materiale<br />

plastico e trasferimento degli uffi ci tecnici, <strong>di</strong> progettazione ed amministrativi.<br />

I reparti lavorano a ciclo continuo <strong>di</strong> 24 ore. La <strong>di</strong>rezione commerciale<br />

amplia la sede <strong>di</strong> Milano. Da questo momento non vengono<br />

più assunte operaie.<br />

34<br />

1980: apertura <strong>di</strong> una fi liale in Egitto.<br />

Fine anni Ottanta: la linea interruttori per elettrodomestici supera<br />

nel fatturato quella <strong>di</strong> altri articoli fi no ad allora prodotti.<br />

1990: lo stabilimento viene venduto alla multinazionale francese<br />

Legrand. Dapprima mantiene la denominazione “Molveno Cometti”,<br />

ma in seguito si sud<strong>di</strong>vide in gruppi prendendo altre denominazioni<br />

dopo il trasferimento da Caprino: Siber, Sece ed infi ne Everel S.p.A.<br />

1994: chiusura della struttura <strong>di</strong> Ala (TN).<br />

1999: trasferimento a Valeggio sul Mincio (VR).<br />

Al momento della chiusura dello stabilimento <strong>di</strong> Caprino vi lavoravano<br />

circa 30 <strong>donne</strong>. Alcune <strong>di</strong> loro accettarono il trasferimento a Valeggio,<br />

benché la <strong>di</strong>stanza dalla propria abitazione (35 km) costituisse un<br />

fattore <strong>di</strong> <strong>for</strong>te <strong>di</strong>ffi coltà. Fra questo gruppo <strong>di</strong> persone vi era chi, prossimo<br />

alla pensione, lavorò in seguito solo per 1-2 anni. Altre furono messe<br />

in mobilità e ora svolgono lavori socialmente utili oppure lavori saltuari.<br />

Un numero esiguo è occupato tutt’ora nell’azienda <strong>di</strong> Valeggio.<br />

La fabbrica nel 1960


4<br />

DONNE ED ESPERIENZA LAVORATIVA<br />

Considerare l’esperienza lavorativa come un’occupazione, non necessariamente<br />

caratterizzata dalla regolarità, che permetteva <strong>di</strong> apprendere<br />

un sapere o/e <strong>di</strong> partecipare al sostentamento proprio e a quello<br />

della famiglia, ci fa scorgere l’esistenza <strong>di</strong> molteplici lavori, che spesso<br />

non compaiono nelle statistiche uffi ciali, ma che fanno parte del vissuto<br />

<strong>di</strong> molte <strong>donne</strong> del territorio caprinese.<br />

In un’ottica <strong>di</strong> confronto fra generazioni si è tentato <strong>di</strong> rapportare la<br />

pluralità dell’esperienza delle <strong>donne</strong> in modo da poter costruire un ponte<br />

fra le <strong>di</strong>fferenze e <strong>di</strong> recuperare le similarità 5 .<br />

Diversi contesti economici e sociali infl uiscono sulle possibilità <strong>di</strong><br />

lavoro e sui signifi cati ad esso attribuiti. Donne <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa età, classe<br />

sociale, provenienza, hanno modalità <strong>di</strong>verse <strong>di</strong> narrare e signifi care la<br />

propria esperienza 6 . La loro memoria non solo ci permette <strong>di</strong> cogliere<br />

tali aspetti, ma anche <strong>di</strong> fare un ponte con il presente, per vedere come<br />

le <strong>donne</strong> costruiscano “identità” in relazione alla realtà contemporanea.<br />

Numerosi autori ci mostrano infatti come la memoria sia frutto <strong>di</strong> una<br />

selezione che si fa a partire dal presente.<br />

Le narrazioni rappresentano il lavoro, la famiglia, se stesse, e <strong>for</strong>niscono<br />

un terreno su cui cogliere i fattori <strong>di</strong> cambiamento e continuità<br />

della con<strong>di</strong>zione femminile, nonché come le <strong>donne</strong> abbiano riadattato<br />

nelle <strong>di</strong>verse fasi storiche le attività, le strategie e i propri desideri.<br />

4.1 Lavoro e percorsi femminili<br />

Dalle interviste condotte emerge come le <strong>donne</strong> operassero, almeno<br />

all’inizio del loro percorso, all’interno <strong>di</strong> un contesto <strong>di</strong> strategie familiari<br />

in cui la propria manodopera veniva vista come facente parte <strong>di</strong> uno<br />

s<strong>for</strong>zo collettivo più che una realizzazione personale. Sono soprattutto<br />

quelle <strong>di</strong> prima generazione ad accentuare questo aspetto, legando la<br />

varietà delle occupazioni in cui sono state impiegate – a servizio presso<br />

5. Per analizzare le interviste si è scelto <strong>di</strong> confrontare le <strong>donne</strong> nate fra il 1920 e il<br />

1945 (<strong>donne</strong> <strong>di</strong> prima generazione), e quelle nate fra il 1946 e il 1957 (<strong>donne</strong> <strong>di</strong> seconda<br />

generazione).<br />

6. Lamphere L. ed altri, 1993, Sunbelt Working Mothers. Reconciling family and factory,<br />

New York, Cornell University Press, pag. 2.<br />

35


parenti o conoscenti, nel lavoro in campagna, nelle fabbriche all’estero,<br />

nei laboratori <strong>di</strong> sarta – con le esigenze della famiglia. Fra le <strong>donne</strong> più<br />

anziane c’è chi fi n dall’età <strong>di</strong> 10 anni, è andata “a servizio” presso famiglie<br />

<strong>di</strong> Caprino, <strong>Verona</strong> o anche più lontano.<br />

36<br />

“Cosa ho fatto prima? A servir, a fregar i pavimenti a <strong>Verona</strong>. Sono<br />

andata che avevo nove anni. Non ce n’erano lavori allora. Perché<br />

quelle che non erano a servire erano nei campi. Incominciavano<br />

in primavera a rastrellare i prati e ad ammucchiare il fi eno.<br />

Sono andata anch’io ed era un lavoro molto faticoso. Bisognava<br />

andare allora.”<br />

Nata nel 1924, lavoratrice in fabbrica dal 1945 al 1960<br />

e poi a domicilio<br />

In alcune biografi e un’occupazione non esclude l’altra, inserendosi<br />

in fasi <strong>di</strong>verse del proprio ciclo <strong>di</strong> <strong>vita</strong>.<br />

La <strong>for</strong>za lavoro femminile era, ed è attualmente, soggetta sia alle con<strong>di</strong>zioni<br />

del mercato che a quelle economiche e sociali che contribuiscono<br />

alla defi nizione <strong>di</strong> ruoli, attività e grado <strong>di</strong> mobilità delle giovani <strong>donne</strong><br />

e <strong>di</strong> quelle adulte (lavoro fuori/dentro casa, lavoro vicino/lontano).<br />

“Dai 10 ai 14 anni sono andata come appren<strong>di</strong>sta sarta a Palazzo<br />

Carlotti. Lavoravo per la sarta Pozzo Gemma, che vestiva le signore<br />

bene. Ho lavorato in seguito a servizio presso delle famiglie<br />

a <strong>Verona</strong> e Milano, e poi un periodo in Svizzera, in una fabbrica<br />

<strong>di</strong> maglie.”<br />

Nata nel 1934, lavoratrice a domicilio dal 1972 al 1989<br />

La narrazione della propria esperienza inizia spesso dai ruoli <strong>di</strong> responsabilità<br />

assunti fi n dall’infanzia. Esse <strong>di</strong>ffi cilmente si identifi cano in<br />

un’occupazione unica.<br />

“Sono andata a lavorare che avevo 7 anni. Allora per mangiar<br />

bisognava andare. Mia madre, pur che stessi via dalla strada e<br />

che mi dessero da mangiar a mezzogiorno, mi ha mandato. Perché<br />

allora si guardava questo. Venivo a casa da scuola e andavo<br />

là. Mangiavo, facevo i compiti e poi andavo fuori con i bambini.<br />

Tenevo due bambini piccoli: un bambino appena nato e una bambina<br />

un po’ più grande. Sono stata lì fi no a 14-15 anni e dopo sono<br />

andata a <strong>Verona</strong> a fare le cassette per l’imballaggio per i frutti. A<br />

18 anni sono venuta alla Cometti.”<br />

Nata nel 1942, lavoratrice in fabbrica dal 1960 al 1969


Il lavoro da giovanissime viene descritto come attività <strong>di</strong> sostentamento<br />

vero e proprio (“allora per mangiare bisognava andare”), ma anche<br />

come attività che salvaguardava dai pericoli della strada.<br />

Le <strong>donne</strong> più anziane mettono in risalto gli aspetti <strong>di</strong> necessità e <strong>di</strong><br />

fatica che <strong>di</strong>versifi cano la loro esperienza rispetto a quella delle successive<br />

generazioni. La loro esperienza in giovane età si <strong>di</strong>fferenzia inoltre<br />

dalle visioni attuali sull’infanzia che non vedono i bambini impiegati in<br />

attività che sono considerate degli adulti.<br />

Le <strong>donne</strong> più giovani in<strong>di</strong>viduano invece nel periodo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>stato<br />

presso una sarta del paese la prima esperienza lavorativa, che talvolta<br />

compare anche nei racconti delle <strong>donne</strong> più anziane. Solitamente<br />

questa attività si svolgeva nel periodo compreso fra la fi ne del ciclo elementare<br />

e l’inizio del lavoro in fabbrica e prevedeva alcuni anni <strong>di</strong> lavoro<br />

non retribuiti, se non sotto <strong>for</strong>ma <strong>di</strong> mance.<br />

“Avevo imparato a fare la sarta, ma non mi piaceva molto e si<br />

prendeva pochissimo, ti mandavano ad imparare perché per una<br />

donna era importante esser capace <strong>di</strong> ‘tegner en man l’ucia’, e così<br />

stavi lontana dalla strada.”<br />

Nata nel 1947, lavoratrice in fabbrica dal 1961 al 1998<br />

Poche <strong>di</strong> loro riuscivano ad intraprendere il mestiere <strong>di</strong> sarta. Il lavoro<br />

richiedeva da un lato alcuni anni d’appren<strong>di</strong>stato in cui non era prevista<br />

una retribuzione regolare, e dall’altro la <strong>di</strong>sponibilità della famiglia<br />

<strong>di</strong> poter rinviare il contributo economico proveniente dalla fi glia 7 .<br />

La pratica sartoriale può considerarsi nel nostro contesto come parte<br />

<strong>di</strong> una <strong>for</strong>mazione femminile in cui le ragazze apprendevano alcuni<br />

aspetti del lavoro e come <strong>for</strong>ma <strong>di</strong> occupazione fra la scuola e l’entrata<br />

in fabbrica. La connotazione che questa attività assume nei racconti è<br />

quella del dovere (era la madre che cercava un posto presso una sarta alla<br />

fi glia) e della frustrazione, per la mancata retribuzione e per i compiti<br />

attribuiti che comprendevano anche l’aiuto domestico.<br />

Quello che colpisce, soprattutto fra le <strong>donne</strong> più anziane, è la loro<br />

mobilità per questioni <strong>di</strong> lavoro. Essa si scontra con l’idea <strong>di</strong> persone che<br />

non si sono mai spostate, nate e cresciute nel paese. Questo non accade<br />

in modo così marcato per la generazione successiva che invece sembra<br />

avere la caratteristica <strong>di</strong> una certa stabilità, anche se come vedremo non<br />

riguardava tutti i membri della famiglia.<br />

7. Per un’interessante analisi sul mondo delle sarte come testimoni delle tras<strong>for</strong>mazioni<br />

sociali e politiche del Novecento europeo si veda Maher V., Tenere le fi la. Sarte, sartine<br />

e cambiamento sociale 1860-1960, Torino, Rosemberg & Sellier, 2007.<br />

37


Fra le <strong>donne</strong> più anziane anche l’esperienza <strong>di</strong> lavoro degli altri<br />

componenti della famiglia in altri comuni della provincia, interregionale<br />

o all’estero, viene inclusa nella propria narrazione come facente parte<br />

della propria storia.<br />

38<br />

“Quando è fi nita la guerra mio fratello non è più tornato, e nemmeno<br />

il fratello <strong>di</strong> mio padre. Stavamo a Pastrengo dove facevamo<br />

i mezzadri ed avevamo molti campi. Mio padre da solo non ce la<br />

faceva. Allora è venuto a Caprino a fare il bracciante. Mia sorella<br />

minore è nata qui, ed è stata l’unica che i miei genitori hanno goduto<br />

perché è sempre rimasta in casa. Non è mai andata in giro.<br />

(…) Eravamo in tanti e allora mio papà guardava <strong>di</strong> combinarci.<br />

Uno <strong>di</strong> qui e uno <strong>di</strong> là. Quando è nata lei io avevo 16 anni ed ero a<br />

servire a <strong>Verona</strong>. (…) Quando si <strong>di</strong>ventava alti come questa tavola<br />

si partiva. Si andava a “fameio” nella bassa del veronese. Cercavano<br />

ragazzini <strong>di</strong> 16-17 anni che andassero nei campi, nella stalla.<br />

Da maggio a settembre gli uomini erano impegnati qui, tagliavano<br />

il fi eno. E poi il frumento. Dopo invece c’è stata la possibilità<br />

<strong>di</strong> poter andare in Svizzera e allora gli uomini hanno abbandonato<br />

tutto. (…) Là mio fratello con altri si era preso un locale dove<br />

si facevano da mangiare e si lavavano. Non avevano mica tanto<br />

tempo. Alla sera non andavano fuori, perché andar fuori la sera<br />

era mangiare la giornata.”<br />

Nata nel 1924, lavoratrice in fabbrica e a domicilio<br />

La narrazione delle <strong>donne</strong> più giovani non mette imme<strong>di</strong>atamente<br />

in relazione le <strong>di</strong>verse esperienze dei familiari con la propria. Viene<br />

espresso un senso <strong>di</strong> appartenenza al luogo tramite il lavoro in fabbrica<br />

e una rappresentazione <strong>di</strong> sé come <strong>di</strong> chi ha trascorso stabilmente la<br />

propria <strong>vita</strong> nel paese, ma se sollecitate anche nelle loro storie familiari<br />

emergono vicende <strong>di</strong> mobilità lavorativa.<br />

“Aspettavamo i 14 anni per poter andare da Cometti. Era l’unico<br />

posto sicuro. Se riuscivi ad entrare era una cosa sicura in quei<br />

tempi là. Prenderti il posto in fabbrica, vicino a casa e tutto, era<br />

una cosa da signori, se ti tenevano. Per noi altre <strong>donne</strong> c’era solo<br />

Cometti. Che io mi ricordo, c’era solo il Cometti. (…) Mio padre<br />

lavorava all’estero, come mio fratello e mia sorella, che faceva la<br />

sarta in Svizzera.”<br />

Nata nel 1947, lavoratrice in fabbrica dal 1961 al 1998


L’esistenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti traiettorie <strong>di</strong> sopravvivenza e mobilità delle<br />

persone ben si coglie attraverso l’esperienza migratoria. Aspetto questo<br />

non secondario che ci permette <strong>di</strong> comprendere maggiormente il contesto<br />

sociale e storico in cui è avvenuta la stessa esperienza <strong>di</strong> lavoro in<br />

fabbrica: se alcune <strong>donne</strong> lavoravano nella fabbrica del proprio paese,<br />

altre andavano in altri luoghi della provincia, in altre regioni del Nord<br />

Italia o anche all’estero.<br />

4.2 La motivazione all’entrata in fabbrica<br />

Il lavoro presso lo stabilimento Cometti iniziava generalmente verso<br />

i 14-15 anni. Molte erano anche le <strong>donne</strong> che iniziavano successivamente<br />

a causa, ad esempio, della morte del marito, come è accaduto per le<br />

vedove <strong>di</strong> guerra.<br />

“Mio marito è stato ucciso nel 1945 dai tedeschi. Mi ero sposata<br />

nel 1943 a 24 anni, e a 26 ero già vedova. Lui insieme ad un amico<br />

erano andati a fare un giro. Era fi nita la guerra. Si erano detti:<br />

-Dai che an<strong>di</strong>amo a fare un giro!-, e poi è stato ucciso dai tedeschi<br />

che si ritiravano. Sono entrata in fabbrica tramite i sindacati, come<br />

vedova <strong>di</strong> guerra. Avevano l’obbligo <strong>di</strong> prendermi. Ce ne erano<br />

molte.”<br />

Nata nel 1919, lavoratrice in fabbrica dal 1947 al 1963<br />

Si approdava a questo lavoro con l’idea <strong>di</strong> un posto sicuro, vicino<br />

casa e retribuito regolarmente, che si contrapponeva a lavori precari o<br />

poco retribuiti.<br />

La motivazione dell’entrata al lavoro, fra le <strong>donne</strong> più anziane, è collegata<br />

principalmente alle improvvise <strong>di</strong>ffi coltà economiche familiari,<br />

mentre fra quelle più giovani all’impossibilità <strong>di</strong> continuare le scuole<br />

dopo il ciclo elementare.<br />

“Mio padre non aveva un lavoro fi sso, faceva un po’ <strong>di</strong> tutto, poi è<br />

emigrato in Francia a fare il minatore, io facevo la sartina … non<br />

andava bene allora nel ’47… quando la nonna ha saputo <strong>di</strong> un<br />

posto in Cometti mi ha incitato ad andare e così ci sono andata.”<br />

Nata nel 1930, ha lavorato in fabbrica dal 1947 al 1983<br />

“Ho fatto fi no alla V elementare. L’insegnante aveva detto che potevo<br />

andare avanti. Ma solo chi aveva i sol<strong>di</strong> aveva la possibilità<br />

39


40<br />

<strong>di</strong> fare le me<strong>di</strong>e. Invece c’era la nonna inferma e ho dovuto aiutare<br />

mia madre a fare assistenza anche perché in casa c’erano altri tre<br />

fratelli più piccoli. Mio padre era l’unico che lavorava. Mia madre,<br />

appena ha saputo che alla Cometti assumevano, mi ha fatto<br />

la domanda.”<br />

Nata nel 1947, ha lavorato in fabbrica dal 1961 al 1967<br />

e poi a domicilio<br />

Nelle narrazioni delle <strong>donne</strong> la mancata possibilità <strong>di</strong> proseguire gli<br />

stu<strong>di</strong> viene collegata alla con<strong>di</strong>zione economica del proprio nucleo, al<br />

fatto <strong>di</strong> essere donna e con obiettivi esistenziali legati prevalentemente<br />

alla costituzione e alla cura della famiglia, nonché alla poca propensione<br />

agli stu<strong>di</strong> con<strong>di</strong>zionata dalle pressioni sociali.<br />

“In casa non veniva mai proposto alle femmine <strong>di</strong> andare avanti<br />

con gli stu<strong>di</strong>. Era proprio fuori dalla mentalità.”<br />

Nata nel 1945, ha lavorato in fabbrica dal 1960 al 1967<br />

“Sono andata a lavorare perché non mi piaceva stu<strong>di</strong>are. Il fatto<br />

<strong>di</strong> guadagnare era importante. Una parte dello stipen<strong>di</strong>o lo davo<br />

in casa ma ero economicamente in<strong>di</strong>pendente.”<br />

Nata nel 1953, ha lavorato in fabbrica dal 1969 al 1982<br />

Questi elementi ci mostrano come fosse presente il concetto <strong>di</strong> lavoro<br />

come valore, al <strong>di</strong> là delle esigenze economiche. Il lavoro permetteva<br />

<strong>di</strong> entrare nel mondo adulto, <strong>di</strong> poter accedere più facilmente al mondo<br />

dei consumi e <strong>di</strong> godere <strong>di</strong> maggior libertà anche all’interno del nucleo<br />

familiare, benché la maggioranza delle ragazze desse generalmente lo<br />

stipen<strong>di</strong>o in famiglia.<br />

Soprattutto fra le <strong>donne</strong> <strong>di</strong> prima generazione, per quanto i red<strong>di</strong>ti<br />

guadagnati fossero in<strong>di</strong>viduali, il <strong>di</strong>ritto a spenderli era della famiglia,<br />

in particolare della madre che amministrava lo stipen<strong>di</strong>o e che poteva<br />

decidere <strong>di</strong> conservarne parte, ad esempio, per la “dota” della fi glia oppure,<br />

in prossimità del matrimonio, <strong>di</strong> lasciarlo per intero alla ragazza.<br />

“I sol<strong>di</strong> che prendevo li davo tutti in casa in busta chiusa. Mia<br />

mamma, che era vedova, pensava a tutto. Ha iniziato a lasciarmeli<br />

quando avevo il moroso e si parlava <strong>di</strong> matrimonio…”<br />

Nata nel 1942, ha lavorato in fabbrica dal 1960 al 1967


Busta paga <strong>di</strong> una lavoratrice nel 1962<br />

41


In entrambe le generazioni, il posto <strong>di</strong> lavoro presso lo stabilimento<br />

Cometti era visto come l’unica opportunità occupazionale presente<br />

nel territorio. La motivazione dell’entrata in fabbrica viene iscritta nella<br />

con<strong>di</strong>zione familiare, che non <strong>di</strong> rado, come abbiamo visto, si caratterizza<br />

per una certa mobilità dei suoi componenti.<br />

La mobilità locale non si <strong>di</strong>scosta da quello che è il fenomeno migratorio<br />

del Veneto nel suo complesso. Questa regione, dopo la prima guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale, si tras<strong>for</strong>mò infatti in una delle aree a più intenso esodo<br />

interregionale verso il “triangolo industriale”, in particolare Piemonte e<br />

Lombar<strong>di</strong>a, fi nendo per “caratterizzarsi come serbatoio <strong>di</strong> <strong>for</strong>za lavoro<br />

delle aree industriali nord-occidentali” 8 . Anche nel territorio caprinese<br />

consistente fu il fl usso verso altre aree del Nord Italia come verso i paesi<br />

europei, quali la Svizzera, la Germania e la Francia, in cui vi era una consuetu<strong>di</strong>ne<br />

migratoria presente già fra fi ne Ottocento e gli inizi del Novecento<br />

9 . In particolar modo, numerosi furono i lavoratori e le lavoratrici<br />

stagionali che si recarono in Svizzera, Germania e Francia.<br />

Il lavoro in fabbrica non occupava tutta la manodopera <strong>di</strong>sponibile,<br />

tuttavia ha <strong>for</strong>nito un’importante occasione per molte persone del paese.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo che nel 1965, momento <strong>di</strong> massima occupazione per tale<br />

industria, al suo interno vi lavoravano più <strong>di</strong> 400 persone, in gran parte<br />

<strong>donne</strong>, e 250 famiglie erano coinvolte nel lavoro a domicilio.<br />

In questo processo <strong>di</strong> sviluppo industriale non sono stati assenti contrad<strong>di</strong>zioni<br />

e punti critici, ma quello che ci preme proporre è soprattutto<br />

l’esperienza lavorativa dal punto <strong>di</strong> vista delle <strong>donne</strong>. Attraverso la loro<br />

voce è stato possibile seguire le sorti del lavoro femminile sul piano<br />

della storia, dello sviluppo industriale e dell’esperienza soggettiva delle<br />

lavoratrici. I loro racconti hanno inoltre permesso <strong>di</strong> intravedere in controluce<br />

come si è costruita l’esperienza femminile in questo territorio.<br />

Il lavoro in fabbrica presso lo stabilimento Cometti, se da un lato si è<br />

caratterizzato per una certa stabilità, retribuzione regolare nonché riconoscimento<br />

sociale, dall’altro ci pone davanti alla questione della con<strong>di</strong>zione<br />

femminile e come questa interagisca con le politiche economiche<br />

e sociali.<br />

8. SORI E., 1979, L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, Bologna,<br />

il Mulino, pag. 460<br />

9. Nel 1904 un nutrito numero <strong>di</strong> ragazze si era recato a lavorare in Svizzera presso<br />

un’industria per prodotti ad uncinetto. Sono state circa 50 ragazze del comune <strong>di</strong> Caprino,<br />

in prevalenza minori accompagnate, che richiesero in quell’anno i documenti vali<strong>di</strong><br />

per l’espatrio. (TURRI E., 1982, Dentro il paesaggio. Caprino e il Monte Baldo, <strong>Verona</strong>, Ed.<br />

Bertani, pag.116)<br />

42


5<br />

IL LAVORO IN FABBRICA<br />

FRA CONTINUITÀ E CAMBIAMENTO<br />

L’attività della fabbrica riesce a convogliare, dagli inizi del Novecento<br />

fi no agli anni Settanta, parte della manodopera femminile, la quale ha<br />

costituito fi no agli anni Ottanta la maggioranza della <strong>for</strong>za lavoro dello<br />

stabilimento. Tra le maestranze vi era una <strong>for</strong>te componente locale. I lavoratori<br />

erano in prevalenza <strong>donne</strong> che provenivano dal paese <strong>di</strong> Caprino<br />

e dalle frazioni collinari – in numero minore da quelle montane – e dai<br />

comuni limitrofi come Rivoli Veronese, Costermano e Garda.<br />

Il lavoro in fabbrica, anche per le <strong>donne</strong> più anziane, non era estraneo<br />

al vissuto familiare. In alcuni casi le loro stesse madri avevano lavorato<br />

presso la fabbrica Cometti o nella fabbrica Mon<strong>di</strong>ni, che recuperava<br />

materiale bellico.<br />

“Mia madre era vedova <strong>di</strong> guerra e lavorava giù alla Rocca a Rivoli,<br />

dove tiravano fuori le polveri da sparo dalle bombette. Lavorava<br />

da Mon<strong>di</strong>ni il quale aveva una sede anche a Caprino, e allora<br />

mia madre aveva fatto domanda per andar lì.”<br />

Nata nel 1942, lavoratrice in fabbrica dal 1960 al 1969<br />

“Mia madre è andata a lavorare per 17 mesi dove facevano gli ossi<br />

ma pagavano poco. Allora non era “stabilimento Cometti” ma <strong>di</strong>cevano<br />

”nèmo ai ossi”. Si parlava così allora, e mia madre è andata a<br />

fare i bocchini per le sigarette, a far le pipe, prima <strong>di</strong> sposarsi.”<br />

Nata nel 1925, lavoratrice in fabbrica dal 1939 al 1944<br />

Dal momento dell’assunzione la loro esperienza si snoda nel microcosmo<br />

dei reparti e delle lavorazioni. La fabbrica sud<strong>di</strong>videva il suo ciclo<br />

produttivo in reparti: montaggio, trance, porcellana, viteria, controllo.<br />

Alcune delle <strong>donne</strong> più anziane ad esempio raccontano <strong>di</strong> aver lavorato<br />

alla produzione della porcellana, in seguito <strong>di</strong>smessa per l’introduzione<br />

<strong>di</strong> nuovi materiali isolanti, come la bakelite 10 .<br />

10. La bakelite fu brevettata nel 1907 da Leo Baeckeland (1863-1944), chimico inorganico<br />

<strong>di</strong> origine belga, trasferitosi negli U.S.A. nell’anno 1899. Fu la prima resina totalmente<br />

sintetica e, per le sue caratteristiche e proprietà, consentì la realizzazione <strong>di</strong> moltissimi<br />

nuovi prodotti industriali.<br />

43


44<br />

Reparto <strong>di</strong> fi nitura della ceramica - Anni ’20<br />

“Le macchine impastavano la porcellana e con una paletta si metteva<br />

negli stampi per la <strong>for</strong>ma, quin<strong>di</strong> toglievi il pezzo e lo mettevi<br />

sulle assi ad asciugare, poi si verniciava e si metteva a cuocere nel<br />

<strong>for</strong>no. Noi con il grembiule marrone eravamo sempre impolverate<br />

e gli altri ci scansavano, ma tra noi andavamo molto d’accordo e<br />

ci si aiutava.”<br />

Nata nel 1944, lavoratrice in fabbrica dal 1960 al 1969<br />

“Quando sono entrata in fabbrica sono andata in verniciatura e<br />

poi in porcellana; allora la porcellana veniva fatta miscelando<br />

delle sostanze, come il caolino e il quarzo. Erano <strong>di</strong>luite con l’acqua<br />

che poi veniva tolta. Si facevano quin<strong>di</strong> delle “focacce”che si<br />

mettevano nelle “gabbiette” e poi portate in terrazza ad asciugare.<br />

Quando si faceva tutto a mano era veramente dura, ma ci si aiutava.<br />

Poi sono arrivate le macchine.”<br />

Nata nel 1930, lavoratrice in fabbrica dal 1947 al 1983<br />

I loro racconti si basano sulla descrizione delle mansioni, dei rapporti<br />

fra colleghe, della propria professionalità, ma non vi è un giu<strong>di</strong>zio esplicito<br />

sul proprio operato e spesso vengono e<strong>vita</strong>ti accenti che valorizzino le<br />

competenze professionali. Ciò non signifi ca che il lavoro non richiedesse<br />

una certa maestria. Le nostre interlocutrici non si ritraggono nella cornice<br />

troppo angusta della propria bravura, né in quella della strumentalità<br />

nei confronti del lavoro. Non si pongono in una prospettiva <strong>di</strong> aperta ri-


Sbavatura della ceramica<br />

in via eccezionale sul terrazzo<br />

bellione né in una <strong>di</strong> evidente<br />

mitezza.<br />

Il lavoro è considerato,<br />

soprattutto fra le <strong>donne</strong> più<br />

anziane, dura necessità, ma<br />

viene fatto con estrema cura<br />

perché è ripagato con il rispetto<br />

dei colleghi e della famiglia<br />

e crea consenso attorno a sé.<br />

Esso sembra avere un carattere<br />

emancipatorio soprattutto<br />

a livello dei segni esterni: l’acquisto<br />

<strong>di</strong> una bicicletta, <strong>di</strong> stivali<br />

o <strong>di</strong> vestiti. Per le <strong>donne</strong><br />

più giovani il lavoro è vissuto come l’unica possibilità presente nel luogo<br />

e meta auspicabile, che segna l’entrata nel mondo adulto.<br />

I movimenti sindacali degli anni Sessanta e Settanta imprimono una<br />

più marcata e con<strong>di</strong>visa consapevolezza dei propri <strong>di</strong>ritti lavorativi. Attraverso<br />

i loro organi <strong>di</strong> rappresentanza vi è un’attiva partecipazione<br />

alla <strong>vita</strong> della fabbrica contribuendo a creare nuove <strong>for</strong>me <strong>di</strong> relazioni e<br />

piani <strong>di</strong> negoziazione fra i <strong>di</strong>versi quadri lavorativi.<br />

L’entrata d’operaie più giovani andrà creando, soprattutto fra il 1968<br />

e il 1972, una <strong>di</strong>versa <strong>di</strong>sposizione verso il lavoro e una frattura, oltre<br />

che ideologica, generazionale. Mentre l’autorappresentazione delle <strong>donne</strong><br />

<strong>di</strong> prima generazione ha il proprio perno su un’immagine <strong>di</strong> donna<br />

<strong>for</strong>te, capace <strong>di</strong> sacrifi carsi, che lavora per necessità familiare, quella <strong>di</strong><br />

seconda generazione ruota attorno ad un’immagine <strong>di</strong> donna che si riconosce<br />

nella classe operaia e che lavora anche per emanciparsi.<br />

“L’esperienza alla Cometti non è stata proprio brutta, l’ho vissuta<br />

abbastanza bene perché sono stati anni che c’è stato cambiamento<br />

<strong>di</strong> tutto e ho aperto gli occhi anche come donna, c’erano movimenti<br />

femministi, riunioni, il consiglio <strong>di</strong> fabbrica, alla sera si iniziava<br />

ad uscire. Si incominciava a mettere i pantaloni. Anche in casa<br />

c’erano le lotte per uscire, per mettere la minigonna ecc. Quelli anni<br />

era tutto in <strong>di</strong>scussione. La Cometti è stata un pezzo della mia<br />

<strong>vita</strong>, tutto sommato bello...”<br />

Nata nel 1953, ha lavorato in fabbrica dal 1969 al 1982<br />

45


Il mercato delle assunzioni femminili resterà sostanzialmente aperto<br />

fi no al 1970-80 per il grosso turnover della manodopera. Molte operaie<br />

smettevano infatti <strong>di</strong> lavorare al momento del matrimonio o alla nascita<br />

del primo fi glio, ma altre, soprattutto chi aveva iniziato a lavorare dopo<br />

il 1965, hanno proseguito fi no al raggiungimento della pensione.<br />

Negli anni ’80, in seguito all’automazione della produzione dei pezzi<br />

e dell’assemblaggio, viene assunto soprattutto personale maschile,<br />

considerato più adatto alle nuove mansioni.<br />

46<br />

Reparto plastica - Anni ’80


La caratteristica <strong>di</strong> capacità manuale, generalmente attribuita alle<br />

<strong>donne</strong>, e <strong>di</strong> capacità tecnica attribuita agli uomini, sembra essere una<br />

visione che accompagna l’attribuzione delle mansioni lavorative all’interno<br />

della fabbrica. Queste attribuzioni, frutto <strong>di</strong> una costruzione culturale<br />

<strong>di</strong> maschile e femminile, più che delle capacità reali delle persone<br />

precludevano la possibilità effettiva delle <strong>donne</strong> <strong>di</strong> cambiare <strong>for</strong>malmente<br />

la loro categoria lavorativa.<br />

“In fabbrica non avevi nessuna possibilità <strong>di</strong> carriera. Eri considerata<br />

una donna. Una donna avrebbe potuto fare il capo reparto,<br />

ma c’era il concetto che bisognava venire dall’offi cina. Da una<br />

certa conoscenza meccanica. (…) Negli ultimi anni io mi attrezzavo<br />

da sola le macchine, come facevano gli uomini. Ma a me<br />

piaceva, era un lavoro che facevo volentieri. Era un lavoro sporco,<br />

pesante. Ma lo facevo volentieri, mi dava sod<strong>di</strong>sfazione.”<br />

Nata nel 1948, ha lavorato in fabbrica dal 1963 al 1999<br />

Il personale maschile in azienda ha rappresentato per lungo tempo<br />

una minoranza, concentrata in mansioni non <strong>di</strong>rettamente legate alla<br />

produzione <strong>di</strong> materiale elettrico: impiegati, tecnici, meccanici e capireparto.<br />

La professionalità del gruppo dei lavoratori meccanici e tecnici<br />

era una delle risorse centrali per quel che riguarda l’innovazione della<br />

produzione. Non stupisce dunque la cura che l’azienda sembra mettere<br />

nel selezionare e coltivare questo patrimonio.<br />

Fra gli anni Sessanta e Settanta molti degli operai si <strong>for</strong>marono<br />

nella locale scuola professionale per meccanici che si trovava nei locali<br />

della ex stazione ferroviaria, considerata una strada d’accesso per<br />

l’assunzione in Cometti. Il gruppo maschile dei lavoratori, oltre ad<br />

avere una <strong>for</strong>mazione scolastica superiore, aveva me<strong>di</strong>amente una<br />

maggiore stabilità lavorativa rispetto alla manodopera femminile, rimanendo<br />

alle <strong>di</strong>pendenze dello stabilimento per molto più tempo.<br />

Questo non avveniva per gran parte delle operaie che lavoravano me<strong>di</strong>amente<br />

solo per alcuni anni e frequente era il ricambio <strong>di</strong> personale<br />

femminile.<br />

Fra la metà degli anni Sessanta e Settanta, il settore della meccanica<br />

<strong>di</strong> precisione e della costruzione <strong>di</strong> apparecchiature elettriche fu<br />

uno dei comparti in cui fu riassorbita la manodopera femminile, dopo<br />

l’espulsione dal mercato del lavoro delle <strong>donne</strong> avvenuto intorno agli<br />

anni Sessanta. Tali settori richiedevano abilità, precisione, pazienza, <strong>for</strong>te<br />

ripetitività del lavoro. Non essendo necessaria un’alta qualifi cazione<br />

47


isultava facile e poco costoso sostituire la manodopera in uscita e sostenere<br />

un alto turn-over 11 .<br />

Le <strong>donne</strong> valutano come il proprio lavoro non abbia permesso loro<br />

<strong>di</strong> acquisire competenze da poter trasferire in altri settori lavorativi.<br />

48<br />

“Di pratico non ho imparato niente. Non ti rimane niente… Non<br />

porti via niente che ti serva dopo. Solo gli uomini in offi cina imparavano…<br />

Ma è stata una bella esperienza, la rifarei.”<br />

Nata nel 1953 ha lavorato in fabbrica dal 1968 al 2005<br />

L’utilizzo in gran parte <strong>di</strong> manodopera femminile ci svela però come<br />

il loro impiego sia stata una risorsa fondamentale per lo sviluppo dell’industria.<br />

Disponibilità <strong>di</strong> manodopera, inquadramento in categorie<br />

inferiori e quin<strong>di</strong> meno retribuite, <strong>for</strong>za lavoro solerte e collaborativa<br />

e perciò altamente produttiva, sono stati i motori dello sviluppo industriale<br />

e <strong>di</strong> accumulo <strong>di</strong> capitale anche nel contesto da noi esaminato.<br />

Macchinari per assemblaggio - Anni ’20<br />

11. DE BENEDITTIS A., 2001, I lavori delle <strong>donne</strong> nella storia del ‘900 italiano: dal dopoguerra a<br />

fi ne anni ’60, www.ecn.org/reds/<strong>donne</strong>/cultura/<strong>for</strong>ma<strong>donne</strong>lavoro900cont1.html


La con<strong>di</strong>zione contemporanea risente ancora <strong>di</strong> tali <strong>di</strong>namiche. Alcuni<br />

autori rilevano come vi sia un <strong>for</strong>te impiego <strong>di</strong> <strong>donne</strong> in alcune<br />

occupazioni a basso contenuto professionale e <strong>di</strong> remunerazione (ad<br />

esempio nei servizi), tale da far pensare ad una femminilizzazione dei<br />

livelli più bassi della stratifi cazione professionale. In ogni caso in Italia<br />

la presenza <strong>di</strong> fi gli, e in particolare <strong>di</strong> più <strong>di</strong> un fi glio, riduce ancora <strong>for</strong>temente<br />

la presenza delle <strong>donne</strong> nel mercato del lavoro 12 .<br />

Tale situazione non era estranea anche alle <strong>donne</strong> che lavoravano in<br />

fabbrica Cometti. La maggior parte, al momento del matrimonio o del<br />

primo fi glio, lasciava il lavoro. Se in alcuni momenti storici lo stare a<br />

casa per una donna sposata assume una connotazione positiva bisogna<br />

anche <strong>di</strong>re che spesso queste persone non smettevano defi nitivamente<br />

<strong>di</strong> lavorare, ma piuttosto, in fasi successive, entravano nell’area del lavoro<br />

marginale, precario, in nero e del lavoro a domicilio.<br />

5.1 Produzione e relazioni: il lavoro nell’industria <strong>di</strong> materiale elettrico<br />

“A. Cometti”<br />

L’immagine delle <strong>donne</strong> che, uscite dal turno <strong>di</strong> lavoro, si avviano<br />

lungo la strada sotto braccio, o con la bicicletta, intonando canzoni, spesso<br />

compare nei ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> chi ha vissuto questa esperienza e anche <strong>di</strong> chi<br />

l’ha osservava dall’esterno. Lo stesso suono della sirena, che segnava<br />

l’inizio del lavoro nello stabilimento, viene ricordato come facente parte<br />

della quoti<strong>di</strong>anità del paese. Queste immagini sembrano essere senza<br />

tempo, non vengono collegate ad un periodo storico preciso, ma piuttosto<br />

fanno parte <strong>di</strong> quel complesso <strong>di</strong> vissuti con<strong>di</strong>visi dalle persone.<br />

Negli anni antecedenti la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, il lavoro in fabbrica,<br />

fuori casa, per le <strong>donne</strong> non era visto in modo negativo o <strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevole,<br />

in un contesto che possiamo defi nire fi no al 1950-’60 prevalentemente<br />

agricolo 13 . Non mancavano però critiche o stereotipi rispetto a<br />

chi lavorava in fabbrica.<br />

12. SARACENO C., NADINI M., 2001, Sociologia della famiglia, Bologna, il Mulino, pag. 188.<br />

13. Fra il 1950 e il 1970 nelle linee dell’economia locale si ebbe una svalutazione della<br />

terra come mezzo <strong>di</strong> produzione, che non vede attuarsi un’agricoltura <strong>di</strong> tipo capitalistico,<br />

rivolta al mercato più ampio. Se nel 1951 il 43% della popolazione continuava a lavorare<br />

nel settore agricolo (affi ancando probabilmente altri lavori), il 35% in quello industriale<br />

e il 22% nei servizi, nel 1971 il 49% lavorava nell’industria, il 33% nel terziario e il<br />

16% in agricoltura. Turri E., Dentro il paesaggio. Caprino e il Monte Baldo, <strong>Verona</strong>, Bertani.<br />

49


50<br />

La famosa sirena<br />

“Sembrava che quelle che andavano a lavorare in fabbrica non<br />

fossero capaci <strong>di</strong> far niente in casa. Un giorno <strong>di</strong> festa mia madre<br />

ha in<strong>vita</strong>to a mangiare a casa il maestro <strong>di</strong> mio fratello. Ricordo<br />

che avevo fatto una torta Para<strong>di</strong>so e sono andata a cuocerla nel<br />

<strong>for</strong>no <strong>di</strong> un panettiere. Il maestro ha chiesto chi l’aveva fatta e gli<br />

<strong>di</strong>cono che sono stata io, e lui <strong>di</strong>ce: – Ma non va allo stabilimento?<br />

– Loro credevano che chi andava a lavorar in fabbrica poi non<br />

fosse capace <strong>di</strong> far niente. E invece se c’era da impastare o fare<br />

dell’altro si faceva.”<br />

Nata nel 1928, lavoratrice in fabbrica dal 1947 al 1949<br />

Tali stereotipi non vengono particolarmente enfatizzati dalle <strong>donne</strong>.<br />

Esse piuttosto tendono a valorizzare l’importanza del lavoro nei termini<br />

<strong>di</strong> un’attività con<strong>di</strong>visa da molte <strong>donne</strong> del paese.<br />

Gli anni Cinquanta e Sessanta segnano una ripresa dal punto <strong>di</strong> vista<br />

industriale e dell’artigianato. In questo contesto, scrive G. Roverato, abilmente<br />

amplifi cato da politici in sintonia con le parrocchie e me<strong>di</strong>ato amministrativamente<br />

nei capoluoghi <strong>di</strong> provincia, è nato lo slogan prima, e<br />

la mitizzazione poi, della “fabbrica per ogni campanile” 14 . Soprattutto le<br />

14. ROVERATO G., 1984. La terza regione industriale. In Lanaro S. Il Veneto, Torino, Einau<strong>di</strong>,<br />

pp. 165.


Gruppo <strong>di</strong> lavoratrici in cortile<br />

<strong>donne</strong> più giovani hanno dunque vissuto la sorprendente vivacità della<br />

piccola e me<strong>di</strong>a impresa degli anni ’60 a cui è seguita la <strong>di</strong>ffusione, tra le<br />

giovani generazioni, <strong>di</strong> una mentalità “urbana” accompagnata dall’abbandono<br />

delle campagne e della <strong>vita</strong> rurale. Se per le <strong>donne</strong> anziane essere<br />

assunte signifi cava essere state <strong>for</strong>tunate, aver potuto godere <strong>di</strong> un<br />

privilegio, non è raro che le <strong>donne</strong> più giovani, per l’aumento <strong>di</strong> produzione,<br />

venissero invece contattate <strong>di</strong>rettamente dall’azienda.<br />

Negli anni prima, e subito dopo la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, le assunzioni<br />

venivano fatte dall’azienda, talvolta attraverso conoscenze e<br />

raccomandazioni.<br />

“Non volevo andare a servizio, ma andare in Cometti non era facile<br />

perché bisognava avere delle conoscenze a quel tempo. Mia<br />

mamma continuava ad andar giù a vedere e un giorno mi ha portato<br />

davanti al Sig. Cometti e gli ha detto: – Ho tanti fi gli, prenda<br />

almeno questa –. Lui ha risposto che l’importante era che lavorassi<br />

bene e così mi hanno presa e mi hanno messo a lavorare al<br />

massimo.”<br />

Nata nel 1933, lavoratrice in fabbrica dal 1956 al 1963<br />

La madre spesso emerge come fi gura chiave per la ricerca del lavoro.<br />

Era lei ad occuparsi della richiesta <strong>di</strong> assunzione, andando a parlare <strong>di</strong>rettamente<br />

con il proprietario o con chi avrebbe potuto raccomandarla.<br />

51


52<br />

“Avevo 15 anni e un giorno mia mamma mi <strong>di</strong>ce: ‘Dai che an<strong>di</strong>amo<br />

dall’Agostino Cometti. Ti presento e ve<strong>di</strong>amo se ti prende<br />

a lavorare’. E mi è costato un bello schiaffo da mia madre quel<br />

giorno! An<strong>di</strong>amo dentro e <strong>di</strong>ce: – Sono venuta per sta ragazza, se<br />

me la prendesse… Mi va male –. Mio padre in quel periodo era in<br />

Germania. Allora lui mi <strong>di</strong>ce: – Tata, hai voglia <strong>di</strong> lavorare? –. Io<br />

rispondo: – Ah io sì, eh! – e, pam, mi arriva un ceffone da mia madre,<br />

che mi sgrida <strong>di</strong>cendomi che dovevo rispondere – Signor sì! –.<br />

Dopo sono stata presa e sono stata contenta. Io sono sempre stata<br />

alle seghe, con persone con cui mi trovavo bene.”<br />

Nata nel 1926, lavoratrice in fabbrica dal 1941 al 1946<br />

La madre ha dunque un ruolo pubblico <strong>di</strong> “me<strong>di</strong>azione politica”.<br />

Come scrive Amanda Signorelli, nelle società rurali tra<strong>di</strong>zionali il rapporto,<br />

necessariamente implicante sottomissione, con coloro che avevano<br />

il potere, era tenuto dalle <strong>donne</strong>, in nome della propria famiglia e per<br />

quel che riguardava la <strong>vita</strong> quoti<strong>di</strong>ana 15 . Sono dunque le <strong>donne</strong> che in<br />

questo contesto “chiedono i favori” e che si espongono ai fi ni dell’ottenimento<br />

del lavoro, a <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> un’abilità e una competenza assai<br />

rilevante, in un contesto in cui questo tipo <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to <strong>di</strong>ventava molto<br />

importante.<br />

Le <strong>donne</strong> più anziane ricordano, con gratitu<strong>di</strong>ne, il fatto che si favorivano<br />

le situazioni particolarmente bisognose, gli avvicendamenti tra<br />

famigliari e le vedove <strong>di</strong> guerra. Da questo punto <strong>di</strong> vista il proprietario<br />

viene rappresentato come una persona buona e giusta che capisce lo stato<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ffi coltà delle persone.<br />

“Ho iniziato a lavorare nel mese <strong>di</strong> febbraio, prima <strong>di</strong> aver compiuto<br />

i 14 anni. Sono andata a Garda con una bicicletta da uomo,<br />

con la canna alta, un freddo cane. C’era il sig. Cometti che aveva<br />

la villa a Garda, e mi sono presentata là. Mio padre nel ’39 era<br />

stato richiamato a Vipiteno. Aveva 4 fi gli, e ce ne volevano 5 per<br />

restare a casa dal servizio militare. Lui era capitano maggiore, insegnava<br />

agli allievi a Bolzano e allora lo hanno richiamato. Sono<br />

restata senza papà che lavorava, con quattro fratelli. Sono andata<br />

così a Garda a chiedere il lavoro. Quando si è alzato il signor<br />

Cometti, io ero là. C’era molto freddo e avevo solo una giacchina<br />

stretta. La cameriera ha riferito che c’era una persona che voleva<br />

parlargli. Sono entrata in casa e gli ho detto: – Sono in <strong>di</strong>ffi coltà e<br />

15. SIGNORELLI A., 2006, Migrazioni e incontri etnografi ci, Roma, Sellerio, pag.142


ho bisogno <strong>di</strong> lavorare. – Quanti anni hai?, lui mi <strong>di</strong>ce, e rispondo<br />

– Quattor<strong>di</strong>ci anni a giugno. Allora, si poteva andare a lavorare a<br />

13 anni o anche a 12, e dopo quando avevi 14 anni ti mettevano<br />

in regola. E allora <strong>di</strong>ce: – Se è così la situazione, poverina, vada <strong>di</strong><br />

là e si faccia dare caffelatte e biscotti. Ho così mangiato caffelatte<br />

e biscotti talmente buoni che non li ho più <strong>di</strong>menticati. Mai sentito<br />

un caffelatte così buono. Allora i privilegiati entravano a quel<br />

tempo, ed entrare è stata una <strong>for</strong>tuna.”<br />

Nata nel 1925, ha lavorato in fabbrica dal 1939 al 1944<br />

Queste modalità, se da un lato permettevano all’azienda <strong>di</strong> avere <strong>di</strong>pendenti<br />

più affi dabili e <strong>di</strong>sposti alla collaborazione, dall’altro si attuavano<br />

su rapporti basati sulla riconoscenza e il bisogno, che promuovevano<br />

un’accettazione, non senza confl itto, delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro.<br />

Lo stipen<strong>di</strong>o della fabbrica in alcune circostanze storiche si rivela<br />

essere non solo integrativo, ma fondamentale per la famiglia. In alcuni<br />

perio<strong>di</strong> gli uomini sono soggetti ad una precarietà maggiore rispetto alle<br />

<strong>donne</strong>. Dopo la prima guerra mon<strong>di</strong>ale si assiste nel territorio ad un rigetto<br />

della popolazione dalla campagna e ad alti tassi <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione<br />

che aumenteranno negli anni Trenta 16 .<br />

“Ho sempre cercato <strong>di</strong> prendere il cottimo. Cercavo <strong>di</strong> andare veloce<br />

per prendere quei schei (sol<strong>di</strong>) in più. So che con la prima busta<br />

che ho portato a casa avevo guadagnato una somma <strong>di</strong>screta.<br />

Mia mamma mi aspettava fuori al sabato, che andassi fuori con la<br />

bustina, che ci davano ogni 15 giorni. Aspettava quel poco <strong>di</strong> sol<strong>di</strong><br />

per andare a fare la spesa al mercato.”<br />

Nata nel 1925, ha lavorato in fabbrica dal 1939 al 1944<br />

“Io lavoravo al reparto montaggio. Eravamo in 20-25 <strong>donne</strong>. Da<br />

noi veniva la roba pronta, da montare. Il lavoro si imparava velocemente,<br />

non era duro. Erano lavori che si potevano fare. (…) Per<br />

me lavorare è stata una soluzione, perché allora le cose andavano<br />

abbastanza male. Mio padre ha iniziato a lavorare a Rivoli e allora<br />

è un po’ cambiata la situazione, ma se no lavoravo solo io. In<br />

famiglia eravamo in sette: quattro fi gli, mia nonna, mio padre e<br />

mia madre. Era dura.”<br />

Nata nel 1928, ha lavorato in fabbrica dal 1947 al 1949<br />

16. TURRI E., 1982, Dentro il paesaggio. Caprino e il Monte Baldo, <strong>Verona</strong>, Bertani, pp.<br />

121-124.<br />

53


Generalmente al momento del matrimonio o del primo fi glio gran<br />

parte <strong>di</strong> loro decideva <strong>di</strong> <strong>di</strong>mettersi dal lavoro. Se da un lato erano le<br />

stesse <strong>donne</strong> a prendere questa decisione, dall’altro c’erano spinte sociali<br />

e culturali che premevano in tal senso.<br />

Occorre a questo punto fare una breve incursione in quella che è stata<br />

la politica nei confronti delle <strong>donne</strong> in Italia fra il 1920 e il 1945.<br />

Il regime fascista cercò <strong>di</strong> saziare la fame industriale <strong>di</strong> manodopera<br />

a basso prezzo assicurando il lavoro primariamente ai capofamiglia maschi,<br />

cercando <strong>di</strong> escludere la <strong>for</strong>za lavoro femminile che fi no ad allora<br />

era state altamente impiegata. Questa politica favorì la costituzione <strong>di</strong><br />

una <strong>for</strong>za <strong>di</strong> lavoro femminile a tempo parziale, <strong>di</strong>scontinua e in “nero”<br />

ma soprattutto <strong>di</strong>ffuse l’idea anche fra le stesse <strong>donne</strong> che il lavoro non<br />

doveva contrastare con i doveri familiari e con il compito principale <strong>di</strong><br />

essere madre 17 .<br />

Possiamo ipotizzare che queste concezioni andarono ben al <strong>di</strong> là del<br />

periodo fascista. A livello legislativo ve<strong>di</strong>amo che solo nel 1963 entra in<br />

vigore una legge nazionale (n. 7 del 9 gennaio 1963) che fa esplicito <strong>di</strong>vieto<br />

<strong>di</strong> licenziamento delle <strong>donne</strong> per cause <strong>di</strong> matrimonio 18 .<br />

Le <strong>donne</strong> che sono riuscite a mantenere il lavoro in fabbrica in perio<strong>di</strong><br />

successivi non l’hanno fatto senza <strong>di</strong>ffi coltà, attraverso anche strategie<br />

<strong>di</strong> controllo delle nascite, consapevoli della <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> coniugare<br />

lavoro e famiglia.<br />

54<br />

“Dopo essermi sposata ho continuato a lavorare. Mio fi glio l’ho<br />

avuto dopo 7 anni dal matrimonio. Eravamo io e mio marito ed<br />

abitavamo con mia suocera, per cui non avevo molto da fare in<br />

casa. Quando è nato mio fi glio mi ha aiutato mia madre (…) Mio<br />

marito qualcosa in casa faceva; cambiava anche il bambino. Ho<br />

avuto un fi glio solo, perché mia madre un fi glio me l’avrebbe tenuto<br />

ma due non lo so. C’era da fare una scelta.”<br />

Nata nel 1950, ha lavorato in fabbrica dal 1965 al 2001<br />

Continuare a lavorare, soprattutto dopo aver avuto dei fi gli, signifi -<br />

cava poter <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> una rete <strong>di</strong> aiuto. Le <strong>donne</strong> più anziane in questo<br />

senso sembrano avere più risorse rispetto alle <strong>donne</strong> più giovani:<br />

vicinato, parenti o collegio. Le <strong>donne</strong> più giovani hanno potuto contare<br />

17. DE GRAZIA V., Il patriarcato fascista: come Mussolini governò le <strong>donne</strong> italiane<br />

(1922-1940), in Duby G. e Perrot M., 1990, Storia delle <strong>donne</strong> in occidente, Roma-Bari, Laterza,<br />

pag. 165.<br />

18. AGOSTINI T., 2007, Le <strong>donne</strong> del nordest, Pordenone, Ed. Biblioteca dell’Immagine,<br />

pag. 90.


principalmente sulla collaborazione della madre o della suocera. Anche<br />

adesso le <strong>donne</strong> si trovano a dover gestire, con varie strategie, il <strong>di</strong>ffi cile<br />

rapporto fra lavoro e famiglia.<br />

L’ottenimento della pensione da parte delle lavoratrici della Cometti<br />

viene rappresentato come riscatto delle <strong>di</strong>ffi coltà vissute, sia per essere<br />

riuscite a conciliare lavoro e famiglia sia per non essersi adeguate all’idea<br />

<strong>di</strong>ffusa <strong>di</strong> lasciare il lavoro al momento del matrimonio.<br />

5.2 Manodopera e organizzazione aziendale<br />

Nella memoria collettiva delle <strong>donne</strong> più anziane spesso compaiono<br />

immagini ambivalenti. Momenti <strong>di</strong> scherzo e <strong>di</strong> collaborazione si alternano<br />

con la rigi<strong>di</strong>tà del regolamento interno e con rapporti confl ittuali<br />

fra colleghi/e e con le fi gure gestionali.<br />

“C’era molto freddo d’inverno in fabbrica, c’erano gran<strong>di</strong> stufe…<br />

tre volte al giorno ci si poteva avvicinare per scaldarsi le mani e i<br />

pie<strong>di</strong>… si faceva tutto a mano anche le fi lettature…<br />

I capi, tutti uomini, ti controllavano anche il tempo che rimanevi in<br />

bagno e guai se ti vedevano parlare, ma se si allontanavano chiacchieravamo,<br />

ci si faceva scherzi, si giocava… eravamo così giovani...<br />

è stato un bel periodo... in fabbrica avevo le mie amiche.”<br />

Nata nel 1925, ha lavorato in fabbrica dal 1939 al 1945<br />

L’inizio del lavoro per alcune è stato segnato da una visita me<strong>di</strong>ca a<br />

cui le lavoratrici dovevano sottoporsi. Questa visita nella memoria collettiva<br />

delle <strong>donne</strong> viene descritta come un momento <strong>di</strong> imbarazzo, il<br />

cui superamento permetteva l’entrata al lavoro.<br />

La visita me<strong>di</strong>ca, e soprattutto il primo giorno in fabbrica, si caratterizzano<br />

come un momento <strong>di</strong> passaggio alla <strong>vita</strong> adulta, in cui non sono<br />

assenti sentimenti <strong>di</strong> timore, <strong>di</strong>ffi coltà e vergogna.<br />

“Appena assunta avevo una vergogna… Mi ricordo che per un po’<br />

non sono andata in bagno, avevo paura <strong>di</strong> non trovarlo. C’erano<br />

poi le operaie gran<strong>di</strong>, che avevano 20 anni, e le vedevi già vecchie.<br />

Ti mettevano soggezione, ti squadravano. All’inizio avevo paura<br />

<strong>di</strong> attraversare questo reparto che era molto lungo. Per andare in<br />

bagno bisogna guardare se la luce era accesa, se il tuo numero era<br />

occupato… Quando ho deciso <strong>di</strong> andare poi ho sbagliato il posto<br />

nel tornare, eravamo talmente in tante.”<br />

Nata nel 1947, ha lavorato in fabbrica dal 1961 al 1998<br />

55


La <strong>vita</strong> <strong>di</strong> fabbrica porta queste <strong>donne</strong> ad operare in un ambiente che<br />

richiede ritmi e modalità lavorative adeguate alla produzione. Il lavoro<br />

che solitamente veniva insegnato dalle persone più anziane si apprendeva<br />

velocemente, ma il tempo e l’esperienza <strong>di</strong>ventavano basilari per<br />

abituare il proprio corpo ai ritmi e ai movimenti <strong>di</strong> precisione manuale<br />

richiesta.<br />

I ritar<strong>di</strong>, anche se <strong>di</strong> pochissimi minuti, venivano multati con la decurtazione<br />

<strong>di</strong> mezz’ora dallo stipen<strong>di</strong>o.<br />

La misurazione attenta dei tempi <strong>di</strong> assemblaggio, il controllo a fi ne<br />

giornata dei pezzi prodotti e per alcuni<br />

anni anche la produzione a cottimo che Un’operaia al lavoro - Anni ’80<br />

implicava una maggiorazione della retribuzione<br />

se si produceva più della quantità<br />

stabilita, viene vissuto in modo contrad<strong>di</strong>ttorio<br />

delle lavoratrici.<br />

56<br />

Reparto controllo - Anni ’80<br />

“Mi arrabbiavo con le mie compagne<br />

che lavoravano in fretta, perché<br />

in quel modo il lavoro aumentava<br />

sempre. Se capivano che potevi fare<br />

<strong>di</strong> più poi ti obbligavano a farlo. A<br />

me questo dava fasti<strong>di</strong>o, per me era<br />

già troppo quello che chiedevano.”<br />

Nata nel 1946, ha lavorato<br />

in fabbrica dal 1960 al 1966


“Mi riusciva facile fare il cottimo e lo facevo volentieri perché quei<br />

sol<strong>di</strong> in più mia mamma me li lasciava. Potevo permettermi qualche<br />

piccolo capriccio.”<br />

Nata nel 1945, ha lavorato in fabbrica dal 1960 al 1967<br />

Tentativi <strong>di</strong> resistere ai meccanismi alienanti della produzione, ma<br />

parallelamente l’opportunità <strong>di</strong> avere guadagno e <strong>di</strong>mostrare le proprie<br />

capacità sono elementi che talvolta potevano provocare dei contrasti anche<br />

fra le stesse lavoratrici. Possiamo ipotizzare che questi contrasti non<br />

fossero frutto delle caratteristiche delle lavoratrici ma indotti dagli stessi<br />

meccanismi produttivi e relazionali presenti nella struttura, che talvolta<br />

favorivano la competitività piuttosto che la solidarietà fra i lavoratori.<br />

Altra fonte <strong>di</strong> confl itto poteva scaturire nel rapporto fra le lavoratrici<br />

più giovani e quelle più anziane. Le persone più adulte in alcuni casi si<br />

sentivano minacciate da nuovi comportamenti e stili.<br />

“Bisognava star sotto a quelle più anziane. Ti sgridavano per le<br />

gonne corte, quando iniziavi ad andar <strong>di</strong>etro alla moda. Mi ricordo<br />

che mi hanno chiamato su in uffi cio perché le <strong>donne</strong> si erano<br />

lamentate per le gonne. Noi avevamo 15 anni e loro 20-30, e poi<br />

c’erano anche quelle più anziane, che stavano per andare in pensione.<br />

Se ti <strong>di</strong>cevano <strong>di</strong> andar a prendere l’acqua ci andavi…”<br />

Nata nel 1947, ha lavorato in fabbrica dal 1961 al 1998<br />

Parallelamente vi erano i rapporti con le gerarchie, che spesso si caratterizzavano<br />

per l’autorevolezza e la rigi<strong>di</strong>tà dei ruoli, segni <strong>di</strong> un<br />

marcato controllo sociale.<br />

Il proprietario non era visto come antagonista, piuttosto sono altre le fi -<br />

gure che hanno questo ruolo (alcuni <strong>di</strong>rigenti, capireparto…), contribuendo<br />

a creare, secondo le operaie, un clima lavorativo poco favorevole.<br />

“Il proprietario era una persona eccellente. Buona. Quando lavoravo<br />

in pulitura dovevi scuotere le assi per far andare giù la polvere.<br />

Una volta è passato, ma non l’avevo visto, perché il reparto<br />

era grande. Fatalità come è arrivato all’entrata del reparto l’asse è<br />

andata a terra. Io mi sono girata e c’era Cometti che si è accucciato<br />

e ha tirato su l’asse. Faccio per <strong>di</strong>re che il padrone sapeva cosa voleva<br />

<strong>di</strong>re lavorare; altre persone invece si credevano superiori. Cometti<br />

era una grande degna persona. Tu da Cometti potevi andare,<br />

chiedere quello che volevi ed eri sicura che ti <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> sì.”<br />

Nata nel 1946, lavoratrice in fabbrica dal 1960 al 1969<br />

57


In entrambe le generazioni vengono ricordate le norme che imponevano<br />

il silenzio durante il lavoro, pena multe e sospensioni. Con momenti<br />

più o meno rigi<strong>di</strong> rispetto ad alcune norme le <strong>donne</strong> sottolineano<br />

come non si poteva girarsi, né parlare tra <strong>di</strong> loro, e la ridotta mobilità<br />

nell’ambiente <strong>di</strong> lavoro.<br />

58<br />

“Il mio reparto era un salone grande in cui faceva molto freddo.<br />

C’era al centro una stufa a carbone, ma il carbone fi niva presto e<br />

si doveva andare a sera. Alle volte si faceva una colletta per comperare<br />

i toscani al custode così ci portava del carbone in più. Non<br />

si alzava la testa quando c’era il capo che girava, ti tirava giù<br />

mezz’ora se ti vedeva parlare, ma quando si allontanava chiacchieravamo.”<br />

Nata nel 1924, ha lavorato in fabbrica dal 1945 al 1960<br />

L’ambiente <strong>di</strong> lavoro si è caratterizzato per molti anni per la presenza<br />

<strong>di</strong> fattori <strong>di</strong> rischio per la salute. Rumori assordanti, polveri nocive,<br />

sollevamento <strong>di</strong> pesi eccessivi, macchinari non ancora perfezionati dal<br />

punto <strong>di</strong> vista della sicurezza mettevano in pericolo la salute delle <strong>donne</strong>.<br />

In alcuni casi si sono verifi cati in<strong>for</strong>tuni e l’insorgenza <strong>di</strong> malattie<br />

professionali soprattutto a carattere respiratorio.<br />

Oltre a tali problemi vi era anche l’incertezza <strong>di</strong> riuscire a mantenere<br />

il posto.<br />

“Una volta avevi proprio vergogna. Quando passava il capo <strong>di</strong>ventavi<br />

bordò. Io le ammiro adesso che sono spigliate. Una volta<br />

invece… Venivi via che avevi tutte le <strong>di</strong>ta con le vesciche, le <strong>di</strong>te<br />

legate perché richiedevano una quantità <strong>di</strong> pezzi al giorno. Ed era<br />

lì che <strong>di</strong>cevi: – Se non ce la faccio mi licenziano –, perciò ti mettevi<br />

a testa bassa e lavoravi; invece negli ultimi anni è cambiata. Ti<br />

mangiavi il tuo panino, fumavi la tua sigaretta.”<br />

Nata nel 1947, ha lavorato in fabbrica dal 1961 al 1998<br />

Le <strong>donne</strong> erano soggetti fondamentalmente deboli che oltre a subire<br />

la precarietà del mercato (cassa integrazione, ecc.) potevano essere anche<br />

licenziate per “scarso ren<strong>di</strong>mento”. Un’aperta critica alle modalità<br />

<strong>di</strong> lavoro, o ad altri aspetti, poteva portare alla risoluzione del contratto<br />

<strong>di</strong> lavoro.<br />

La <strong>vita</strong> in fabbrica, nonostante fosse basata su una continua vigilanza,<br />

multe e <strong>di</strong>sciplina, viene descritta come una bella esperienza, paragonabile<br />

alla <strong>vita</strong> <strong>di</strong> una grande famiglia, unita dall’amicizia.


Gruppo <strong>di</strong> lavoratrici del montaggio - Anni ’60<br />

“Ti cronometravano i tempi <strong>di</strong> assemblaggio, c’erano le rivalità<br />

tra i capiturno, ognuno voleva che il proprio turno producesse <strong>di</strong><br />

più. Le prime volte eri intimorita dal cronometro e per paura lavoravi<br />

più veloce, ma in seguito imparavi a rallentare. Inoltre non<br />

potevi parlare ed avevamo i nostri segnali all’arrivo del capo per<br />

avvisare tutte, così se stavi chiacchierando non prendevi la multa.<br />

La prima che lo avvistava dava il segnale alle altre.”<br />

Nata nel 1946, lavoratrice in fabbrica dal 1960 al 1970<br />

Soprattutto le <strong>donne</strong> che lavoravano nello stesso reparto si conoscevano<br />

tra loro, mentre fra i vari settori non vi era molta possibilità <strong>di</strong> conoscersi<br />

e talvolta vi era ostilità.<br />

“Certe persone le conoscevi <strong>di</strong> vista, sapevi in che reparto lavoravano<br />

a seconda del colore del grembiule. C’erano quelle del montaggio<br />

che avevano il grembiule azzurro. Quello delle trance era<br />

blu. Il nostro della porcellana era panna, perché avevi la polvere<br />

che si notava meno. Quando passavamo poteva accadere che qualcuna<br />

si scostasse perché aveva paura <strong>di</strong> potersi sporcare.”<br />

Nata nel 1944, lavoratrice in fabbrica dal 1960 al 1969<br />

La socialità era prevalentemente interna allo stabilimento. Le operaie<br />

non usavano uscire fra loro o con le persone che avevano ruoli lavorativi<br />

<strong>di</strong>versi all’interno dell’azienda. Le modalità <strong>di</strong> incontro dentro<br />

e fuori la fabbrica si rifacevano in gran parte ai gruppi <strong>di</strong> provenienza,<br />

vicinato e parentela.<br />

59


5.3 La gita del primo maggio<br />

Uno dei momenti in cui le posizioni <strong>di</strong> ruolo venivano annullate era<br />

durante la gita del primo maggio. Dal secondo dopo guerra fi no al 1965-<br />

70 era consuetu<strong>di</strong>ne dell’azienda organizzare una gita per tutti i <strong>di</strong>pendenti<br />

nel giorno della festa dei lavoratori.<br />

L’itinerario della gita comprendeva la partenza da Caprino in pullman,<br />

una sosta a Garda e dopo una S. Messa si raggiungeva Sirmione<br />

con un battello. Là, nel frattempo, era arrivato un camion con una cucina<br />

da campo e tutto l’occorrente per allestire il pranzo per tutti.<br />

60<br />

“La meraviglia era il primo maggio, il pranzo era preparato e servito.<br />

Facevamo la gita con il piroscafo. Gli operai quel giorno erano<br />

padroni. Abbiamo fatto tante foto sul battello.”<br />

Nata nel 1936, ha lavorato dal 1951 al 1957<br />

“Le gite del primo maggio sul lago con il battello. Me godevo un<br />

mondo… Quel giorno si poteva prendere in giro i capi, era bello<br />

anche se il giorno dopo tutto ritornava come prima.”<br />

Nata nel 1942, ha lavorato dal 1960 al 1969<br />

Sul battello


Pranzo alla gita del primo maggio<br />

Nella memoria collettiva la gita viene ricordata come un momento <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>vertimento, in cui si mangiava e giocava insieme, e come un momento<br />

in cui si aveva un rapporto paritario con le persone che svolgevano altri<br />

ruoli nello stabilimento. Molte <strong>donne</strong> vi partecipavano e si ricordano <strong>di</strong><br />

queste giornate con grande simpatia e con la consapevolezza comunque<br />

che l’indomani nulla sarebbe cambiato sul posto <strong>di</strong> lavoro.<br />

Con il ri<strong>for</strong>mularsi delle relazioni fra lavoratori e proprietà, dopo il<br />

sessantotto, queste occasioni furono considerate dai nuovi quadri sindacali<br />

<strong>for</strong>me <strong>di</strong> paternalismo da superare e, date le visioni del tempo, si<br />

perse la consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> organizzare le gite <strong>di</strong> fabbrica.<br />

5.4 Una fi gura femminile: Ida Meneghetti<br />

Nei racconti delle lavoratrici spesso viene nominata la signorina Ida<br />

Meneghetti, una delle poche, se non l’unica fi gura femminile con ruoli<br />

<strong>di</strong>rigenziali all’interno dello stabilimento. Ci ha colpito in particolare come<br />

i ricor<strong>di</strong> su questa donna sono stati trasmessi anche alle generazioni<br />

successive che, sebbene non abbiano avuto <strong>di</strong>retto contatto, la considerano<br />

come una delle fi gure chiave della <strong>vita</strong> <strong>di</strong> fabbrica. Abbiamo così<br />

deciso <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care una parte <strong>di</strong> questo lavoro anche a lei.<br />

La signora Meneghetti, deceduta all’età <strong>di</strong> 81 anni, vive oggi anche<br />

nelle parole della nipote, che gentilmente ci ha permesso <strong>di</strong> conoscere<br />

alcuni aspetti della sua <strong>vita</strong>.<br />

61


Ida Meneghetti (1920<br />

- 2001) nasce a Caprino da<br />

una famiglia artigiana. Il padre<br />

Luigi svolgeva la professione<br />

<strong>di</strong> calzolaio dapprima<br />

in un negozio sito in Cà Ferrara<br />

e successivamente nella<br />

Torretta <strong>di</strong> Villa Carlotti.<br />

Ida è la secondogenita <strong>di</strong><br />

5 fratelli e ben presto deve<br />

fare i conti con la morte della<br />

madre Anna, scomparsa<br />

quando Ida aveva 13 anni.<br />

La ragazza, grazie all’aiuto<br />

<strong>di</strong> una pe<strong>di</strong>atra <strong>di</strong><br />

<strong>Verona</strong>, con la quale una zia<br />

paterna collaborava, riesce<br />

ad andare a stu<strong>di</strong>are a <strong>Verona</strong><br />

e conseguire il <strong>di</strong>ploma <strong>di</strong><br />

terza me<strong>di</strong>a.<br />

Fra il 1935 e il 1936 viene<br />

assunta come operaia presso<br />

la <strong>di</strong>tta Cometti, per la quale lavorerà fi no al raggiungimento della pensione.<br />

Il percorso lavorativo della signorina Meneghetti, così chiamata<br />

dalle operaie, inizia dunque dal basso e solo negli anni le viene affi dato<br />

dal signor Agostino Cometti il ruolo <strong>di</strong> gestione del personale e <strong>di</strong> addetta<br />

agli acquisti per la produzione.<br />

Nubile, la signorina Meneghetti lavora instancabilmente e con grande<br />

senso <strong>di</strong> responsabilità per la <strong>di</strong>tta, dalla quale riceveva piena fi ducia.<br />

La nipote ricorda alcuni tratti della personalità <strong>di</strong> Ida: “Era una donna<br />

<strong>for</strong>te. Faceva soggezione, seria ed autoritaria. Una persona però generosa<br />

pronta a darti sempre un buon consiglio. Ti potevi fi dare <strong>di</strong> lei.<br />

Era molto de<strong>di</strong>ta al lavoro ma anche vicina alla famiglia e generosa con i<br />

nipoti. Si sentiva sempre molto responsabile degli altri, anche delle operaie.<br />

Era vigile su tutte come se fossero le proprie fi glie”.<br />

Questi tratti vengono riportati anche dalle <strong>donne</strong> che lavoravano in<br />

62<br />

La signorina Meneghetti


fabbrica. Un’operaia ci <strong>di</strong>ce: “La signorina Meneghetti con me è stata<br />

sempre gentile, mi ha considerato… Era una donna dura, era la <strong>di</strong>rettrice,<br />

per carità faceva il suo lavoro, però con me mi ha dato tanti consigli<br />

buoni”.<br />

Era una fi gura che presentava sia i tratti dell’autorità che in alcuni<br />

casi quelli della comprensione. Per numerosi anni Ida si è occupata della<br />

selezione del personale e della sua gestione interna, con una funzione<br />

che potremmo defi nire simile a quella della <strong>di</strong>rettrice <strong>di</strong> un collegio. Le<br />

operaie spesso ricordano i rimproveri <strong>di</strong> questa severa signora per i ritar<strong>di</strong><br />

o per non aver rispettato le regole. Ricordano però anche come talvolta<br />

ci fossero da parte sua delle concessioni al regolamento.<br />

Era inoltre la signorina Meneghetti che organizzava le gite per le<br />

operaie. Alcune <strong>di</strong> loro ricordano con simpatia come, durante le gite<br />

del 1° maggio organizzate dalla fabbrica, Ida prestasse molta attenzione<br />

agli spostamenti delle ragazze, per il timore che potesse nascere qualche<br />

fl irt fra colleghi.<br />

Era lei che si era occupata <strong>di</strong> stipulare delle convenzioni con dei negozi<br />

locali affi nché le operaie potessero acquistare il proprio corredo, il<br />

cui valore sarebbe stato detratto a rate dal proprio stipen<strong>di</strong>o.<br />

Ida in circa 40 anni <strong>di</strong> lavoro ha vissuto tras<strong>for</strong>mazioni produttive,<br />

cambiamento del personale e del suo stesso ruolo all’interno dello<br />

stabilimento. Le operaie ricordano la signorina Meneghetti come una<br />

persona autorevole e spesso infl essibile che è rimasta nell’immaginario<br />

collettivo come una signifi cativa protagonista della <strong>vita</strong> della fabbrica<br />

Cometti.<br />

63


6<br />

64<br />

IL LAVORO A DOMICILIO<br />

Per lavoro a domicilio si intende una particolare tipologia <strong>di</strong> contratto<br />

<strong>di</strong> lavoro, nella quale la prestazione è effettuata presso il domicilio<br />

della lavoratrice.<br />

La <strong>di</strong>tta Cometti ha fatto molto uso <strong>di</strong> questa tipologia <strong>di</strong> lavoro per<br />

il montaggio dei pezzi prodotti.<br />

La <strong>di</strong>tta <strong>for</strong>niva al lavoratore i macchinari che servivano per l’assemblaggio:<br />

erano, <strong>di</strong> solito, macchine semplici montate su un “banchetto”<br />

ed erano ad uso manuale. Venivano consegnate a domicilio le casse con<br />

i vari pezzi e la minuteria da assemblare e dopo il tempo stabilito veniva<br />

ritirato il lavoro fi nito. I pezzi erano poi controllati a campione e in caso<br />

<strong>di</strong> imperfezioni ritornavano al lavoratore per essere ripassati.<br />

Questo particolare contratto <strong>di</strong> lavoro era sicuramente vantaggioso<br />

per la <strong>di</strong>tta che aveva un notevole abbattimento <strong>di</strong> costi.<br />

Negli anni dell’imme<strong>di</strong>ato dopoguerra, e <strong>for</strong>se anche prima, il lavoro<br />

a domicilio veniva dato a poche persone che a loro volta tenevano<br />

alcune ragazzine per fi nire il lavoro.<br />

“A 14 anni andavo a lavorare dalla L. che aveva il lavoro a domicilio<br />

<strong>di</strong> Cometti lì dalle suore, vi ho lavorato per un anno circa,<br />

eravamo 6/7 ragazzine; poi sono andata in fabbrica… Prima <strong>di</strong><br />

questo avevo lavorato da una sarta.”<br />

Nata nel 1945, ha lavorato in fabbrica dal 1960 al 1967<br />

Verso gli anni ’60 il lavoro a domicilio si è sempre più <strong>di</strong>ffuso fi no ad<br />

avere circa 500 addetti tra la zona <strong>di</strong> Caprino ed Ala. È stato poi regolamentato<br />

con l’applicazione della legge n. 877/73 con la quale è stata<br />

introdotta una <strong>di</strong>sciplina specifi ca per questo tipo <strong>di</strong> rapporto <strong>di</strong> lavoro<br />

che prevede anche l’estensione ai lavoratori a domicilio del regime delle<br />

assicurazioni sociali obbligatorie.<br />

Moltissime sono state le <strong>donne</strong> che hanno lavorato a domicilio nel<br />

corso degli anni. Spesso era una scelta obbligata per le <strong>donne</strong>, dopo il<br />

matrimonio o la nascita dei fi gli, per poter conciliare le esigenze del lavoro<br />

domestico e la necessità <strong>di</strong> contribuire all’economia familiare, e<br />

non ultima la possibilità <strong>di</strong> avere un minimo contributivo per la pensione.<br />

Quando mancava una rete parentale che potesse aiutare almeno nel-


l’accu<strong>di</strong>mento dei bambini, lavorare fuori casa, per le <strong>donne</strong>, era pressoché<br />

impossibile.<br />

Per molte il lavoro a domicilio è stato una risposta a questi problemi,<br />

ma sicuramente non una soluzione facile, perché signifi cava lavorare il<br />

doppio, senza intervalli tra il lavoro domestico e il lavoro <strong>di</strong> assemblaggio,<br />

che ti permetteva <strong>di</strong> staccare per “tacar su la pignatta” o per andare<br />

a prendere i bambini a scuola. Per rispettare i tempi <strong>di</strong> consegna si doveva<br />

lavorare molte ore al mattino presto o la sera quando la famiglia<br />

dormiva, così pure i sabati o le domeniche.<br />

“Non farei più il lavoro a domicilio, ma è stato un modo per avere<br />

uno stipen<strong>di</strong>o stando a casa con i miei fi gli. È stato un grande<br />

sacrifi cio. Mia mamma mi aiutava e talvolta anche mia sorella;<br />

avevo un tavolino e una macchinetta, montavo gli interruttori, lavoravo<br />

minimo sei ore al giorno anche il sabato e la domenica, se<br />

ti trovavano qualche scarto dovevi ripassare tutto il lavoro… Mi è<br />

venuta la gobba a <strong>for</strong>za <strong>di</strong> stare curva su quel banchetto…”<br />

Nata nel 1947, ha lavorato in fabbrica e a domicilio<br />

Non si riusciva mai a “staccare” completamente dal lavoro come accadeva<br />

a chi lavorava in fabbrica che timbrava ed usciva, “perché c’erano<br />

sempre lì le casse con i pezzi, il banchetto con la macchina che ormai<br />

<strong>di</strong>ventavano parte dell’arredamento”. Una signora <strong>di</strong>ce: “So vegnua<br />

granda tra le casse e il banchetto <strong>di</strong> Cometti. Mia mamma aveva il lavoro<br />

a domicilio”. Inoltre, rispetto al lavoro in fabbrica, non si aveva nessun<br />

momento <strong>di</strong> confronto e <strong>di</strong> socializzazione con le altre lavoratrici.<br />

Nel 1976 l’azienda si rende <strong>di</strong>sponibile ad affrontare i problemi del<br />

lavoro a domicilio e a confrontarsi con le rappresentanti delle lavoranti<br />

e i delegati sindacali. L’anno successivo nasce la “lega delle lavoranti a<br />

domicilio”, organizzazione che unisce il Consiglio <strong>di</strong> Fabbrica e le delegate<br />

esterne, raro esempio <strong>di</strong> organizzazione sindacale in un settore <strong>di</strong><br />

economia sommersa.<br />

Il lavoro a domicilio, anche se appare per certi versi una risorsa, è<br />

stato più pesante ed alienante che il lavoro in fabbrica e le lavoratrici intervistate<br />

ce ne parlano con questa ambivalenza.<br />

“Ho iniziato il lavoro a domicilio <strong>di</strong> Cometti dopo 10 anni che<br />

ero sposata, prima <strong>di</strong> sposarmi facevo la sarta in una sartoria, ma<br />

l’impegno della famiglia non mi permetteva <strong>di</strong> continuare quel<br />

lavoro fuori casa, così per un periodo ho continuato a fare la sarta<br />

in casa, ma non ero in regola e con il venire della moda pronta il<br />

65


66<br />

lavoro scarseggiava e così ho iniziato il lavoro <strong>di</strong> Cometti. È stata<br />

una buona risorsa, ero in regola e potevo conciliare il lavoro con<br />

gli impegni per la famiglia che sono sempre tanti con due fi gli che<br />

vanno a scuola, ma potevo gestire il mio tempo; certo lavoravo<br />

molto, soprattutto alla sera, anche fi no all’una <strong>di</strong> notte.<br />

C’erano i tempi <strong>di</strong> consegna da rispettare, alle volte fi nivo prima<br />

e allora mi restavano un paio <strong>di</strong> giorni liberi; se invece ero in <strong>di</strong>ffi<br />

coltà mi facevo aiutare da mio marito per poter consegnare in<br />

tempo.<br />

All’inizio veniva un tecnico ad insegnarti il lavoro, ma si imparava<br />

in fretta; alcuni lavori erano più impegnativi ci voleva molta<br />

manualità, io ce la facevo, <strong>for</strong>se perché prima facevo la sarta.<br />

Mi portavano le casse con i pezzi da montare, le tenevo in cantina,<br />

portavo su i pezzi in casa man mano che servivano, avevo due<br />

banchi uno per imbastire e uno per chiudere: c’era sempre un caos<br />

in casa con tutti quei pezzettini da montare. C’era la lega delle<br />

lavoranti ed ero iscritta al sindacato, avevamo le nostre delegate<br />

esterne, ci trovavamo al 10 del mese a prendere la paga, ma fra lavoranti<br />

ci conoscevamo poco. Abbiamo però partecipato alle lotte<br />

con i lavoratori della fabbrica quando si facevano i picchetti contro<br />

lo spostamento della fabbrica ad Ala.<br />

Certo il lavoro <strong>di</strong> sarta era un’altra cosa, con la stoffa creavi un<br />

vestito, ci mettevi del tuo, era un lavoro qualifi cato.<br />

Quando a 15/16 anni stavo imparando il lavoro <strong>di</strong> sarta avevo le<br />

mie amiche che lavoravano alla Cometti che prendevano 30000<br />

lire al mese, io ne prendevo 3000 alla settimana, ma mio padre mi<br />

<strong>di</strong>ceva: – Prima impara un lavoro .<br />

Per i sol<strong>di</strong> sarei andata anch’io alla Cometti perché vedevi le altre<br />

che a 15 anni si compravano le scarpe nuove o avevano la bici o<br />

andavano al lago il sabato, si notavano queste <strong>di</strong>fferenze.<br />

Ho smesso il lavoro a domicilio perché ormai nel ’91 scarseggiava<br />

e se lavoravi poco c’erano anche pochi versamenti e avevo bisogno<br />

<strong>di</strong> completare i 30 anni <strong>di</strong> versamenti per la pensione; così ho fatto<br />

alcune stagioni e poi ho lavorato 7 anni in una <strong>di</strong>tta <strong>di</strong> catering;<br />

ho potuto farlo perché i fi gli erano gran<strong>di</strong>.”<br />

Nata nel 1944, ha lavorato a domicilio dal 1977 al 1991<br />

“Ho iniziato il lavoro a domicilio perché avevo bisogno <strong>di</strong> lavorare;<br />

volevo poter gestire la famiglia… ho sentito parlare <strong>di</strong> questa<br />

opportunità e così… Il mio primo lavoro a quattor<strong>di</strong>ci anni è stato<br />

in un’azienda vinicola. Avevo la passione per lo stu<strong>di</strong>o, ma ave-


vo un fratello e i miei hanno mandato un po’ avanti lui ed io ho<br />

dovuto lavorare; il papà era ammalato e senza lavoro; all’inizio è<br />

stata dura, facevo <strong>di</strong> tutto, lavavo le bottiglie, spesso con le mani<br />

nell’acqua gelata; a 18 anni ho preso la patente e ho cominciato<br />

con le visite ai clienti, le or<strong>di</strong>nazioni, le consegne. Mi piaceva e mi<br />

ha dato molto questo lavoro, mi ha <strong>for</strong>giato nel carattere, era un<br />

lavoro <strong>di</strong> contatto con le persone, ero una donna giovane e dovevo<br />

farmi accettare… mi è spiaciuto lasciarlo quando mi sono sposata,<br />

ma volevo de<strong>di</strong>carmi alla famiglia e con questo lavoro non sarebbe<br />

stato possibile.<br />

Il lavoro a domicilio è stato duro: ho fatto fatica, avevo tre bambine,<br />

volevo stare con loro, lavoravo da sola anche fi no alle tre <strong>di</strong><br />

notte; mio marito non riusciva ad aiutarmi, ha le <strong>di</strong>ta grosse non<br />

riusciva a tenere in mano quei pezzettini; non lo rifarei e non lo<br />

consiglierei a nessuno anche se sono contenta <strong>di</strong> averlo fatto perché<br />

mi ha permesso <strong>di</strong> allevare le mie bambine e <strong>di</strong> guadagnare<br />

per aiutare il bilancio famigliare. Bisognava rispettare le consegne<br />

perché altrimenti ci rimettevi sol<strong>di</strong>, ed era un lavoro che non ti dava<br />

sod<strong>di</strong>sfazione, non ci mettevi niente <strong>di</strong> tuo.<br />

Ho fatto la rappresentante della lega delle lavoranti perché quando<br />

facevamo le riunioni io ero una che interveniva, perché non ci<br />

sentivamo tutelate, eravamo lavoratrici <strong>di</strong> terza categoria, eravamo<br />

numeri, non eravamo identifi cate con il nome ma con il numero;<br />

le macchine che ci portavano si rompevano spesso, bisognava<br />

chiamare il tecnico ed erano per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> tempo ed il lavoro lo dovevi<br />

consegnare. Volevamo i nostri <strong>di</strong>ritti, essere più tutelate… È stata<br />

una bella esperienza fare la rappresentante, anche se <strong>di</strong>ffi coltosa,<br />

non sempre c’era collaborazione con le altre lavoranti e c’era <strong>di</strong>ffi<br />

coltà ad incontrarsi.”<br />

Nata nel 1942, ha lavorato a domicilio dal 1973 al 1987<br />

A volte tutta la famiglia era coinvolta in questo lavoro, talvolta anche<br />

i bambini, non sempre contenti <strong>di</strong> questo. Diverse operaie della fabbrica<br />

quando ritornavano a casa lavoravano a domicilio per aiutare la mamma<br />

o una sorella.<br />

“Quando sono uscita dalla fabbrica nel ’63, che mi sono sposata<br />

ho detto: – Padre, Figlio, Spirito Santo amen non solcherò più ‘sta<br />

porta – perché bisognava provarla la fabbrica a quel tempo… invece<br />

poi ne ho avuto bisogno e sono andata chiedere il lavoro in<br />

casa, me l’hanno dato, l’ho fatto per 15 anni, ma è stata dura…<br />

67


68<br />

All’inizio non ero in regola, guadagnavo poco, quando imparavi<br />

un lavoro te lo cambiavano… poi hanno incominciato a metterci<br />

in regola, ma avevi i tempi <strong>di</strong> consegna… credevo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare<br />

matta… alla mattina mi alzavo presto per fare tre ore prima che si<br />

alzassero i fi gli, quando tornavano da scuola i bambini più gran<strong>di</strong><br />

mi aiutavano e alla sera anche mio marito.”<br />

Nata nel 1940, ha lavorato dal 1955 al 1964 in fabbrica,<br />

poi 11 anni a domicilio<br />

“Quando ero alle elementari ho cominciato ad aiutare mia nonna,<br />

che, quando è venuta ad abitare con noi nel ‘60, si è portata anche<br />

il lavoro a domicilio… ce ne erano tantissimi che facevano questo<br />

lavoro, si era <strong>di</strong>ffuso, dopo coi vicini ci si radunava per fare ’sto lavoro,<br />

era un modo aggiornato per fare fi lò… Si lavorava, non sempre<br />

volentieri noi bambini. Ricordo che in seconda elementare la<br />

maestra aveva chiesto cosa volevamo da S. Lucia e una mia amica<br />

aveva chiesto che portasse via il lavoro <strong>di</strong> Cometti… ma la nonna<br />

era contentissima <strong>di</strong> questo lavoro, <strong>di</strong> poter lavorare in casa, contribuire<br />

ai bisogni della famiglia, ha comprato la televisione e il<br />

frigo con l’introito del lavoro della Cometti”.<br />

Nata nel 1963, la nonna ha lavorato a domicilio dal 1955 al 1972,<br />

poi ha continuato la madre


7 CONCLUSIONI<br />

La fabbrica <strong>di</strong> materiale elettrico “A. Cometti” ha rappresentato per molti<br />

anni uno dei simboli dell’industria del territorio caprinese. Una realtà che<br />

travalicava i confi ni comunali e che poneva Caprino nell’asse dei mercati nazionali<br />

ed internazionali<br />

In questo scenario le <strong>donne</strong> hanno sperimentato ruoli lavorativi nuovi<br />

rispetto alla tra<strong>di</strong>zione locale. L’inse<strong>di</strong>amento della fabbrica, con la creazione<br />

<strong>di</strong> molti posti <strong>di</strong> lavoro, ha costituito un’occasione occupazionale e una fonte<br />

<strong>di</strong> red<strong>di</strong>to sicuro sia per le <strong>donne</strong> <strong>di</strong> prima che <strong>di</strong> seconda generazione.<br />

La motivazione principale dell’entrata in stabilimento era <strong>di</strong> tipo economico,<br />

ma signifi cava anche, soprattutto per le generazioni più giovani, il passaggio<br />

al mondo adulto, il momento <strong>di</strong> sentirsi “grande”.<br />

Le madri, che avevano vissuto l’esperienza dei lavori precari, della mobilità<br />

e dei lavori “umili”, spingevano le fi glie a questa scelta, quasi per riscattarsi<br />

da un passato <strong>di</strong> “serve” e “conta<strong>di</strong>ne”.<br />

Le mansioni lavorative delle <strong>donne</strong> all’interno della fabbrica Cometti erano<br />

principalmente legate all’assemblaggio o alla produzione dei pezzi, se si<br />

esclude il personale impiegato negli uffi ci. Quando era affi dato ad un’operaia<br />

esperta una mansione <strong>di</strong>versa, come l’insegnamento alle nuove assunte<br />

o compiti <strong>di</strong> controllo, questa non veniva riconosciuta in termini <strong>di</strong> carriera.<br />

Il proprio lavoro, se da un lato <strong>for</strong>niva all’esterno l’immagine <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> vantaggio e privilegio, dall’altro si scontrava con tutta una serie <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ffi coltà, sia nel concreto del lavoro sia a livello familiare, nel momento in<br />

cui si dovevano conciliare i due ambiti.<br />

Manodopera non qualifi cata, dal punto <strong>di</strong> vista della <strong>for</strong>mazione, ma abile<br />

e tenace ad affrontare i ritmi <strong>di</strong> lavoro e le relazioni interne, che tendevano<br />

a posizionare le <strong>donne</strong> come soggetti deboli.<br />

Un ricordo che spesso compare nei loro racconti sono le regole alle quali dovevano<br />

attenersi; regole piuttosto restrittive che, se non rispettate, comportavano<br />

multe o giorni <strong>di</strong> sospensione. Negli anni tale modalità <strong>di</strong> gestione delle lavoratrici<br />

non è sempre stata adottata, ma permane nell’immaginario collettivo una<br />

delle caratteristiche <strong>di</strong> questo ambiente <strong>di</strong> lavoro, non subita passivamente ma<br />

attenuata con l’adozione <strong>di</strong> escamotages da parte del personale femminile. I rapporti<br />

parentali e <strong>di</strong> vicinato favorivano l’affi atamento tra le operaie e una certa<br />

solidarietà sia nel sottrarsi ai regolamenti che nell’aiuto reciproco nel lavoro.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista delle mansioni le <strong>donne</strong> non hanno fatto passaggi <strong>di</strong><br />

carriera <strong>for</strong>mali in fabbrica, nemmeno nei casi in cui erano loro affi dati compiti<br />

<strong>di</strong> maggior responsabilità.<br />

69


L’impegno lavorativo, sia per quanto riguarda le lavoratrici in fabbrica<br />

che a domicilio, assume spesso i connotati <strong>di</strong> un lavoro <strong>di</strong> integrazione, legato<br />

ad una fase limitata della <strong>vita</strong> e fi nalizzato ad ottenere miglioramenti nella<br />

con<strong>di</strong>zione familiare. Lo stipen<strong>di</strong>o veniva sempre messo a <strong>di</strong>sposizione della<br />

famiglia che poteva quin<strong>di</strong> migliorare il suo status e sod<strong>di</strong>sfare i bisogni che<br />

venivano imposti da un mondo che stava cambiando: gli elettrodomestici,<br />

l’automobile, la casa moderna.<br />

Dopo il matrimonio, che pure per le generazioni <strong>di</strong> cui stiamo parlando<br />

era un obiettivo, il lavoro femminile, sia esso in fabbrica o a domicilio, ha permesso<br />

<strong>di</strong> far stu<strong>di</strong>are i fi gli ed acquistare o ristrutturare casa: fi nalità queste<br />

considerate da tutte molto importanti. A questo si affi anca sul piano personale<br />

una rappresentazione <strong>di</strong> sé in cui si mescolano vecchi e nuovi elementi.<br />

Le <strong>donne</strong> più anziane raccontano se stesse come <strong>donne</strong> che hanno saputo lavorare<br />

duramente, superando le <strong>di</strong>ffi coltà, ma anche come persone che hanno potuto<br />

aver accesso a nuovi consumi (bicicletta, televisione, abbigliamento, ecc.).<br />

Le <strong>donne</strong> più giovani si riconoscono nella classe operaia e il lavoro non è<br />

legato solo alla necessità ma è percepito come mezzo <strong>di</strong> emancipazione economica<br />

e sociale.<br />

Come abbiamo visto però molte <strong>donne</strong> sia <strong>di</strong> prima che <strong>di</strong> seconda generazione<br />

si licenziavano al momento del matrimonio o del primo fi glio.<br />

È soprattutto negli anni ‘60 che si ra<strong>di</strong>calizza la fi gura della casalinga tout<br />

court e la fi gura maschile come unico <strong>for</strong>nitore <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to. Questo si riscontra<br />

anche nei giu<strong>di</strong>zi delle <strong>donne</strong> da noi intervistate che confermano la predominanza<br />

<strong>di</strong> un’idea <strong>di</strong> famiglia in cui il ruolo femminile è principalmente legato<br />

alla sfera domestica anche se spesso era solo una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> facciata.<br />

Le prime analisi sulla famiglia degli anni Sessanta descrivono una famiglia<br />

degli affetti e dei consumi, dove la donna, grazie allo sviluppo tecnologico<br />

in ambito domestico, poteva de<strong>di</strong>carsi pienamente sia ai compiti affettivoeducativi<br />

che alla espressione del nuovo potere che le veniva affi dato come<br />

principale decisore <strong>di</strong> consumi sempre più <strong>di</strong>versifi cati e <strong>di</strong> amministratrice<br />

dei bilanci familiari 19 . Sappiamo come lo sviluppo tecnologico non abbia particolarmente<br />

sollevato le <strong>donne</strong> dal lavoro domestico e come la responsabilità<br />

nella cura della casa e della famiglia ricada in gran parte ancora su <strong>di</strong> loro.<br />

Numerose ricerche mostrano come la grande occupazione maschile nel<br />

mercato del lavoro che si registra negli anni Sessanta e Settanta richiedeva<br />

parallelamente la presenza delle <strong>donne</strong> nel lavoro familiare, almeno nelle fasi<br />

più esigenti <strong>di</strong> <strong>for</strong>mazione della famiglia, in cui vi erano fi gli piccoli in età<br />

pre-scolare e scolare 20 .<br />

70<br />

19. SARACENO C., NADINI M., 2001, Sociologia della famiglia, Bologna, il Mulino, pag. 183.<br />

20. Ibid., pag. 186.


La con<strong>di</strong>zione contemporanea risente ancora <strong>di</strong> meccanismi <strong>di</strong> esclusione<br />

delle <strong>donne</strong> dal mondo lavorativo soprattutto quando i servizi sono<br />

carenti così come le opportunità lavorative. La nostra ricerca non ha avuto<br />

modo <strong>di</strong> esplorare la realtà giovanile, ma per quanto riguarda le <strong>donne</strong> in<br />

età adulta, una volta uscite dalla fabbrica, si riscontra una <strong>di</strong>ffi coltà ad inserirsi<br />

in modo regolare nel mercato del lavoro. Le fabbriche della zona impiegano<br />

prevalentemente personale maschile e i vicini centri commerciali<br />

<strong>di</strong> Affi , che occupano al loro interno numerosissime persone, non sono<br />

luoghi lavorativi accessibili a causa dell’età. I settori rimanenti rimangono<br />

quelli legati all’ambito delle pulizie o alla cura della persona.<br />

Abbiamo visto come le <strong>donne</strong>, che avevano rivestito un ruolo importante<br />

per lo sviluppo dell’azienda, venivano introdotte ed espulse dal lavoro a<br />

seconda delle fl uttuazioni del mercato. Anche qui, come spesso accadeva e<br />

<strong>for</strong>se ancora adesso accade, la manodopera femminile nell’industria, e non<br />

solo, viene usata quando serve ed è la prima ad essere licenziata, trovando<br />

poi molte <strong>di</strong>ffi coltà ad inserirsi nuovamente nel mercato del lavoro.<br />

Quando abbiamo chiesto alle <strong>donne</strong> cosa avesse insegnato loro il lavoro<br />

svolto nello stabilimento Cometti, spesso compare un certo rammarico<br />

per aver svolto un’attività non utilizzabile in altri contesti, contrariamente<br />

a quanto accaduto agli uomini che lavoravano in offi cina e che hanno potuto<br />

in seguito aprire una attività similare in proprio.<br />

Nelle parole delle <strong>donne</strong> compare però un altro aspetto. Per loro lavorare<br />

ha signifi cato stare con gli altri, imparare a confrontarsi, <strong>for</strong>ti <strong>di</strong> un<br />

senso <strong>di</strong> appartenenza ad un vissuto comune. Anche per chi vi ha lavorato<br />

per pochi anni, la con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> momenti e <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, <strong>di</strong> chiacchiere e<br />

<strong>di</strong> scherzi, <strong>di</strong> strada percorsa assieme, a pie<strong>di</strong> o in bicicletta, per andare al<br />

lavoro rimane uno degli aspetti piacevoli, e <strong>for</strong>se nostalgici, <strong>di</strong> una parte<br />

della loro <strong>vita</strong>.<br />

Molte <strong>di</strong> queste <strong>donne</strong> oggi sono in pensione. Questa viene vissuta come<br />

un traguardo raggiunto e una fase della propria <strong>vita</strong> in cui potersi de<strong>di</strong>care<br />

ad attività a cui prima avevano dovuto rinunciare. Ma il loro supporto<br />

alla famiglia continua; spesso grazie al loro aiuto permettono alle proprie<br />

fi glie <strong>di</strong> lavorare. E il ciclo continua…<br />

Non c’è nelle loro storie autocommiserazione o rimpianti, ma sono raccontate<br />

con l’orgoglio e la consapevolezza <strong>di</strong> chi sa <strong>di</strong> aver lavorato e contribuito<br />

così ai cambiamenti sociali ed economici del nostro territorio.<br />

71


8<br />

72<br />

“NA VITA EN FABRICA”<br />

<strong>di</strong> Gemma Scala (operaia alla Cometti dal 1963 al 1999)<br />

Sera ‘na putela con ‘oia de laorar<br />

quando la Meneghetti la m’ha mandà a ciamar.<br />

E dopo en par de giorni ai primi dela stimana<br />

scomensia l’aventura de sora en porcellana.<br />

E lì ho passà tri mesi, sentada so a sbavar<br />

quando en giorno i me <strong>di</strong>se: – Doman bisogna cambiar. –<br />

E mi en po’ rassegnada g’ho tolto su el fagotto,<br />

quanto me <strong>di</strong>spiaceva a passar de soto.<br />

Anca se l’era poco me <strong>di</strong>spiasea a ‘nar via<br />

perché m’aveva fato ‘na bela compagnia.<br />

E vago so de soto, là serene pi’ tanti<br />

le machine pi’ grosse e se lavorava coi guanti.<br />

Coi guanti se lavorava no par esser pi’ bei:<br />

l’era parchè coi nastri se se taiava i <strong>di</strong>ei.<br />

E li passa trent’ani, vedo ci ven e ci va,<br />

ma mi però, enperterita, continuo a restar là.<br />

E dopo tuto sto tempo el capo el salta <strong>for</strong>a<br />

<strong>di</strong>sendome: – Doman te cambie, e te ve de sora. –<br />

Mi no so miga <strong>di</strong>rlo quanto m’ha despiasù,<br />

però no gh’è stà gnente e ho dovuo nar su.<br />

E dopo trentun ani passè en meso ai rumori,<br />

eco che me ritrovo ai piani superiori.<br />

Ghe <strong>di</strong>go: – No me piase, e lori: – Staghe stesso,<br />

<strong>for</strong>se no l’è per sempre ma solo per adesso.<br />

E per farme en piaser, perché la sia meno dura<br />

envesse dei robot fenisso a la marcatura.<br />

Lì passa quatro ani, penso: narò en pension,<br />

envesse poco prima i cambia regolassion.


E co’ le nove leggi savì cosa ven <strong>for</strong>a?<br />

No i te dà la pension e se lavora ancora.<br />

E dopo..la massada, no pol esserghe de péso:<br />

tuto se trasferisse en quella de Valeso.<br />

E mi che g’ho problemi lasò no podo nar,<br />

cossì su du e du quatro fenisso de laorar.<br />

En poco me despiase che adesso so ‘na via,<br />

me sento dentro l’anima ‘na grande nostalgia.<br />

E ripenso a s’ti ani passè tuti a laorar.<br />

A <strong>di</strong>rlo se fa presto, en po’ meno a farli passar.<br />

Spero solo che l’I.N.P.S. no la me gira le carte<br />

e la me ciama a laorar ancora da n’altra parte.<br />

73


74<br />

ALLEGATO<br />

DATI DEMOGRAFICI ED ECONOMICI<br />

Caprino Veronese è un comune prealpino <strong>di</strong> me<strong>di</strong>e-piccole <strong>di</strong>mensioni<br />

(7.493 abitanti) situato a nord-ovest della provincia <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, nella<br />

parte meri<strong>di</strong>onale della dorsale del Monte Baldo, tra il Lago <strong>di</strong> Garda e<br />

la Valle dell’A<strong>di</strong>ge (Fig. 2.1). Il Comune fa parte della Comunità Montana<br />

del Baldo-Grada, <strong>di</strong> cui è sede amministrativa.<br />

Il numero dei suoi abitanti non è particolarmente variato lungo il XX<br />

secolo: 7.328 abitanti nel 1911; 6.774 abitanti nel 1961 e 7.493 abitanti nell’ultimo<br />

censimento Istat del 2001. La fl essione più cospicua si ebbe fra il<br />

1931 e il 1936 e fra il 1951 e il 1961. Nel primo caso gli abitanti residenti<br />

passarono rispettivamente da 7.730 a 7.308 (-5,7%) e nel secondo caso


da 7.148 a 6.774 (-5,5%). Nella <strong>di</strong>namica dei movimenti delle persone si<br />

registrano dunque alti tassi <strong>di</strong> emigrazione che vengono però compensati,<br />

totalmente o in parte, dai tassi <strong>di</strong> immigrazione nell’area comunale<br />

<strong>di</strong> Caprino.<br />

Il suo territorio è organizzato su alcuni centri importanti (Caprino<br />

centro, Pazzon, Lubiara, Spiazzi, Boi, Pesina) che fanno capo ad una miriade<br />

<strong>di</strong> contrade e case sparse, poste soprattutto nella parte collinare e<br />

montana. Sede comunale è Caprino il quale svolge le funzioni <strong>di</strong> centro<br />

<strong>di</strong> tipo urbano, per la sua attività amministrativa e <strong>di</strong> servizi.<br />

L’area <strong>di</strong> Caprino si caratterizza per la presenza <strong>di</strong> una zona montuosa<br />

(zona delle malghe e <strong>di</strong> Spiazzi), una collinare pedemontana e una<br />

pianeggiante (piana <strong>di</strong> Caprino), che hanno favorito <strong>di</strong>versamente l’inse<strong>di</strong>amento<br />

umano e lo sviluppo d’attività economiche.<br />

Se nel 1951 il 43% della popolazione lavorava nel settore dell’agricoltura<br />

e dell’allevamento, nel 1971 solo il 16% 21 . L’economia agricola caprinese<br />

risentì della <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> addetti e dello stesso calo della superfi<br />

cie agricola utilizzata, riscontrabile sia nella parte pianeggiante che<br />

21. Questi dati non si <strong>di</strong>scostano dalla realtà regionale che nel 1951 vedeva impiegati<br />

in agricoltura il 44,5% della popolazione e nel 1971 il 16,1% M. Zingarini (a cura <strong>di</strong>), Il movimento<br />

sindacale a <strong>Verona</strong>, Cierre e<strong>di</strong>zioni, <strong>Verona</strong>, 1997, pag. 24.<br />

75


collinare. L’allevamento <strong>di</strong> animali (bovini, ovini, equini, avicoli), presenti<br />

in collina e in montagna, ha registrato negli anni notevoli tras<strong>for</strong>mazioni<br />

nelle modalità e tipologie d’allevamento, riuscendo a superare<br />

solo in parte le <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> mercato a cui è stato sottoposto il settore.<br />

Fra gli anni ’50 e il gli anni ‘60 – periodo del “miracolo industriale”<br />

in Italia – a Caprino vi era una fabbrica <strong>di</strong> me<strong>di</strong>e-gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni<br />

(l’industria <strong>di</strong> materiale elettrico “A. Cometti”) e alcune piccole imprese<br />

familiari. Fra il 1970 e il 1980 vi fu un aumento <strong>di</strong> piccole imprese manifatturiere<br />

(Tab. 1), che con la crisi del settore registrarono un calo nei<br />

decenni successivi.<br />

76<br />

Anni Meccanica Tras<strong>for</strong>mazione Vestiario,<br />

minerali non abbigliamento,<br />

metalliferi arredamento<br />

1951 U.l. 20 15 24<br />

A. 205 45 30<br />

1961 U.l. 16 7 22<br />

A. 360 94 49<br />

1971 U.l. 25 10 12<br />

A. 360 83 97<br />

1981 U.l. 34 18 48<br />

A. 320 114 203<br />

Tab. 1 Industria manifatturiera per Unità locali e Addetti.<br />

Nella tabella sono riportate i tre settori principali con più alto numero<br />

<strong>di</strong> unità locali e addetti.<br />

Fonti: Censimento Generale dell’Industria e del Commercio 1951-1981<br />

Fra il 2000 e il 2005 se da un lato si continuò a riscontrare un calo delle<br />

imprese attive nel settore manifatturiero , dall’altro vi fu una crescita<br />

nel settore dell’artigianato e delle costruzioni – quest’ultimo settore passa<br />

da 139 unità locali nel 2001 a 191 nel 2005 – e dei servizi, con 392 unità<br />

locali nel 2001 e 367 nel 2004 23 .<br />

22. Camera <strong>di</strong> Commercio <strong>Verona</strong>, La Camera <strong>di</strong> commercio incontra il territorio. Gli in<strong>di</strong>catori<br />

economici della provincia <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>. Baldo-Garda. Anno 2006. Appen<strong>di</strong>ce statistica, tab 5.<br />

23. Ibid., Valore aggiunto al netto nel settore Costruzioni e Servizi – stima 2004. Comuni della<br />

provincia <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>.


Per quanto riguarda l’occupazione femminile, anche fuori comune,<br />

possiamo vedere come fra il 1961 e il 1981 vi sia stato un aumento <strong>di</strong> lavoratrici<br />

soprattutto nel settore manifatturiero e dei servizi (Tab. 2).<br />

1961 1971 1981<br />

M F M F M F<br />

Agricoltura, <strong>for</strong>este,<br />

caccia e pesca<br />

666 6 409 12 280 53<br />

Industria estrattiva<br />

e manifatturiera<br />

599 277 638 237 643 479<br />

Ind. Costruzioni,<br />

Installazioni impianti<br />

355 3 304 - 319 16<br />

Commercio 141 78 156 152 248 178<br />

Servizi * 69 124 133 121 171 200<br />

Pubblica<br />

Amministrazione<br />

89 42 74 14 63 14<br />

Trasporti e Comunicazioni 60 5 68 8 97 13<br />

TOT. 1.979 535 1.782 544 1.821 953<br />

Tab. 2 Popolazione residente attiva in età dai 10 anni in poi (censimento 1961)<br />

e dai 14 anni in poi (censimento 1971 e 1981) in con<strong>di</strong>zione professionale<br />

per sesso ed attività economica.<br />

Fonti: Caratteri demografi ci, urbanistici, socio-economici dei comuni<br />

della <strong>Provincia</strong> <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, Comune <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, Vol. I., 1988<br />

Per quanto riguarda l’industria manifatturiera le <strong>donne</strong> raddoppiano<br />

la loro presenza, passando da 237 nel 1971 a 479 nel 1981. Il settore<br />

dei servizi registra anche esso una certa presenza femminile: 124 nel<br />

1961, 121 nel 1971 e 200 nel 1981.<br />

Il totale della popolazione femminile attiva mostra soprattutto un<br />

consistente aumento fra il 1971 e il 1981: le lavoratrici passano rispettivamente<br />

da 544 a 953. Il trend degli anni successivi non si <strong>di</strong>scosta <strong>di</strong><br />

molto da quello dei decenni precedenti.<br />

77


Riferimenti bibliografi ci<br />

78<br />

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E<strong>di</strong>zioni Baldofestival<br />

Volumi pubblicati<br />

COLLANA DI POESIE<br />

AA.VV., L’anima della montagna nel Canto dei poeti veronesi e trentini,<br />

a cura <strong>di</strong> Vasco Senatore Gondola, 2002<br />

AA.VV., Poesie in malga, a cura <strong>di</strong> Mario Artioli, 2003<br />

AA.VV., Poesie in cava, a cura <strong>di</strong> Elio Fox, 2004<br />

AA.VV., Poesie in rifugio, a cura <strong>di</strong> Franco Cera<strong>di</strong>ni, 2005<br />

AA.VV., Poesie in contrada, a cura <strong>di</strong> Franco Cera<strong>di</strong>ni, 2006<br />

AA.VV., Poesie in corte, a cura <strong>di</strong> Elisabetta Zampini, 2007<br />

COLLANA D’ARTE<br />

I sentieri nell’arte Artisti nella Valle del Tasso (catalogo della mostra d’arte<br />

ambientale nella valle del Tasso, Caprino Veronese), a cura <strong>di</strong> Na<strong>di</strong>a<br />

Melotti e Dario Trento, 2002<br />

I fi ori del Baldo (catalogo della mostra d’arte a Fabbrica Cometti, Caprino<br />

Veronese) a cura <strong>di</strong> Na<strong>di</strong>a Melotti, 2003<br />

Per fumum L’essenza delle cose (catologo della mostra d’arte a Forte<br />

Wohlgemuth, Rivoli Veronese), a cura <strong>di</strong> Na<strong>di</strong>a Melotti, 2005<br />

MISCELLANEA<br />

<strong>Storie</strong> <strong>di</strong> fabbrica. Uomini e tecnologie alla Cometti, 2003<br />

Costanza Savini, I Malsalè de Pèsena, 2005<br />

Eugenio Turri Bibliografi a essenziale, a cura <strong>di</strong> Lucia Turri, 2005<br />

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Le foto pubblicate sono tratte dalla mostra<br />

allestita dai <strong>di</strong>pendenti della Cometti<br />

nell’e<strong>di</strong>zione Baldofestival 2003<br />

e le altre sono <strong>di</strong>: Adriana,<br />

Guerrina,<br />

Assunta,<br />

Teresa,<br />

Sara

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