Ambiente e Sicurezza..

Articoli
SOMMARIO
Approfondimenti
l Misurazione di radon negli ambienti sotterranei:
le nuove Linee Guida dal Coordinamento delle Regioni
di Elio Giroletti e Alberta Leonarda Vergine................................................................................. p. II
l Entro il 2006 sarà recepita la direttiva 2003/10/CE sulla protezione da rumore
di Alessandro Cocchi e Alberto Cocchi......................................................................................... p. 20
l I compiti dell’ISPESL per l’accertamento tecnico degli ascensori
e dei componenti di sicurezza
di Fausto Di Tosto e Lamberto Zilli................................................................................................ p. 28
l Deposito e utilizzo della glutaraldeide: procedure per la gestione del rischio
di Gianadrea Gino............................................................................................................................. p. 33
l Stima del rischio e infortuni: una corretta analisi migliora la sicurezza
di Enrico Cagno, Antonio Calabrese e Paolo Trucco.................................................................. p. 40
l Quando la qualità non basta a garantire la sicurezza
di Giulio Benedetti............................................................................................................................. p. 48
l La sicurezza nella scuola
di Pierguido Soprani......................................................................................................................... p. 63
l Per rilievi geofisici e stoccaggio di gas naturale
nuova linfa vitale dal D.M. 29 novembre 2002
di Daniele Verdesca......................................................................................................................... p. 74
l Al via il censimento comunitario dei rifiuti
di Valerio Cicchiello.......................................................................................................................... p. 82
l Alla tariffa sui rifiuti si applica l’IVA? Dalle Entrate la prima risposta ufficiale
di Luigi Lovecchio............................................................................................................................. p. 85
l Con la direttiva comunitaria 2002/91/CE
consumi energetici ed edilizia “a braccetto”
di Cettina Gallo.................................................................................................................................. p. 88
l Abbandono e deposito di rifiuti
di Cesare Parodi............................................................................................................................... p. 103
Legislazione
In sintesi
INSERTO......................................................................................................................................................... p. 13
IGIENE E SICUREZZA..................................................................................................................................... p. 13
AMBIENTE ..................................................................................................................................................... p. 15
l Entro il 2006 sarà recepita la direttiva 2003/10/CE sulla protezione da rumore
Direttiva 2003/10/CE del Parlamento europeo e del consiglio del 6 febbraio 2003............... p. 22
l Imballaggi
Rettifica della direttiva 2002/272/CE della Commissione del 6 agosto 2002.......................... p. 61
l Alimenti per bambini
Direttiva 2003/13/CE della Commissione 10 febbraio 2003...................................................... p. 61
Direttiva 2003/14/CE della Commissione 10 febbraio 2003...................................................... p. 61
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l Prodotti destinati a un’alimentazione particolare
D.Lgs. 14 febbraio 2003, n. 31....................................................................................................... p. 61
l Dispositivi di protezione individuale (DPI)
Decreto del Ministero delle Attività produttive 13 febbraio 2003............................................... p. 62
l Con la direttiva comunitaria 2002/91/CE
consumi energetici ed edilizia “a braccetto”
Direttiva 2002/91/CE del Parlamento Europeo
e del Consiglio del 16 dicembre 2002 .......................................................................................... p. 92
l SGA. Contributi e finanziamenti
Decreto del Ministero delle Attività produttive 21 novembre 2002............................................ p. 100
Decreto del Ministero delle Attività produttive 7 febbraio 2003................................................. p. 100
Decreto del Ministero delle Attività produttive 7 febbraio 2003................................................. p. 101
l Tasse e tariffe
D.L. 18 febbraio 2003, n. 25............................................................................................................ p. 101
l Modello unico di dichiarazione ambientale (MUD)
D.P.C.M. 24 febbraio 2003.............................................................................................................. p. 102
l Contributi e finanziamenti
Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 23 dicembre 2002, n. 44..................... p. 102
Prassi
l Misurazione di radon negli ambienti sotterranei:
le nuove Linee Guida dal Coordinamento delle Regioni
Linee guida del Coordinamento delle Regioni
e delle Province Autonome di Trento e Bolzano per le misure
di concentrazione di radon in aria nei luoghi di lavoro sotterranei............................................ p. VII
l Norme UNI e CEI gennaio - febbraio 2003
Norme UNI e CEI edite nei mesi di gennaio - febbraio 2003..................................................... p. 50
l PVC morbido contenente ftalati
Decisione della Commissione 19 febbraio 2003.......................................................................... p. 61
l Alla tariffa sui rifiuti si applica l’IVA? Dalle Entrate la prima risposta ufficiale
Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate,
Direzione Centrale Normativa e Contenzioso 5 febbraio 2003, n. 25/E.................................. p. 86
l Ecolabel
Decisione della Commissione 11 febbraio 2003, n. 2003/121/CE............................................ p. 99
l Contaminazione radioattiva
Raccomandazione della Commissione 20 febbraio 2003, n. 2001/120/CE............................ p. 99
l Servizio idrico integrato
Ordinanza del Commissario governativo per l’emergenza idrica in Sardegna
31 dicembre 2002, n. 336................................................................................................................ p. 100
Giurisprudenza
SOMMARIO
l Lavoratori autonomi esposti all’amianto
Cassazione, sezione lavoro, 26 luglio 2002, n. 11110............................................................... p. 69
l Infortunio: necessario il carattere violento della causa
Cassazione, sezione lavoro, 10 gennaio 2003, n. 00239.......................................................... p. 70
l Infortunio in itinere
Cassazione, sezione lavoro, 26 luglio 2002, n. 11112............................................................... p. 71
l Emissioni elettromagnetiche nocive per la salute pubblica
Cassazione penale, sez. I, 14 giugno 2002, n. 110.................................................................... p. 106
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 7

SOMMARIO
Ambiente&Sicurezza continua on-line
l Sicurezza del lavoro: dalla UE una raccomandazione per il miglioramento
della protezione della salute e della sicurezza sul lavoro dei lavoratori autonomi
Raccomandazione del Consiglio del 18 febbraio 2003
l Sicurezza del lavoro: nuovo modello di “Dichiarazione di emersione progressiva
del lavoro irregolare e delle relative istruzioni”
Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze
l Sicurezza del lavoro: delega al Governo in materia
di occupazione e mercato del lavoro
Legge 14 febbraio 2003, n. 30
l Sicurezza dei trasporti: divieto di accesso di alcune navi
nei porti nazionali per la salvaguardia della sicurezza della navigazione
Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 21 febbraio 2003
l Acqua: prosegue l’avvio del Servizio idrico integrato in Sardegna
Ordinanza del Commissario governativo
per l’emergenza idrica in Sardegna 31 dicembre 2002, n. 335
l Inquinamento elettromagnetico: criteri di rispetto
nel nuovo regolamento per l’esercizio dell’attività radioamatoriale
Decreto del Ministero delle Comunicazioni 11 febbraio 2003
l Rifiuti: il testo coordinato del MUD 2003 nella versione di Unioncamere
Testo coordinato del D.P.C.M. 24 dicembre 2002 con il D.P.C.M. 24 febbraio 2003
l Rifiuti: le nuove norme di codifica dei componenti e dei materiali per i veicoli
Decisione della Commissione 27 febbraio 2003, n. 2003/138/CE
l Rifiuti: i nuovi criteri e requisiti per l’iscrizione all’albo gestori
Deliberazione del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio 30 gennaio 2003
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MARZO
31
MARZO
RUBRICA
OBBLIGHI, ADEMPIMENTI, SCADENZE
a cura di Marco Fabrizio, avvocato in Roma
SCADENZARIO
DENUNCIA PERIODICA IMBALLAGGI MESE PRECEDENTE
Ultimo giorno per i produttori o utilizzatori di imballaggi iscritti al Consorzio nazionale
imballaggi (CONAI) e in regime di dichiarazione mensile per presentare la denuncia e
calcolare, sulla base delle fatture emesse o dei documenti ricevuti, il contributo prelevato o
dovuto nel mese precedente, distinguendo gli importi relativi a ciascuna tipologia di
materiali e indicando il relativo consorzio di appartenenza. Gli importi relativi alla dichiarazione
presentata dovranno essere versati al CONAI entro i successivi 90 giorni su uno o più
dei sei conti correnti bancari, ognuno relativo a una tipologia di materiali (acciaio,
alluminio, carta, legno, plastica e vetro). Il versamento va effettuato con bonifico bancario
sui conti correnti di filiera presso la Banca nazionale dell’agricoltura, sede di Milano,
piazza Fontana.
(Art. 7, commi 9-10, regolamento CONAI). Nel n. 5/2003 di Ambiente&Sicurezza questa
scadenza è stata erroneamente indicata al 30 marzo 2003.
SOGGETTO
Produttori o utilizzatori di imbal-
PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
laggi iscritti al Consorzio nazionale
imballaggi (CONAI) e in regime
di dichiarazione mensile
Mensile 20 aprile 2003
GRANDI IMPIANTI DI COMBUSTIONE. PRIMA RATA TASSA SU EMISSIONI
DI ANIDRIDE SOLFOROSA E SU OSSIDI DI AZOTO
Gli esercenti dei grandi impianti di combustione (GIC) ex direttiva 88/609/CEE (potenza
termica pari o superiore a 50 MW, indipendentemente dal tipo di combustibile utilizzato e
destinati alla produzione di energia, ad eccezione di quelli che utilizzano direttamente i
prodotti di combustione in procedimenti di fabbricazione) e art. 1, comma 3, D.P.R. n.
416/2001, devono versare a titolo di acconto la prima rata trimestrale della tassa sulle
emissioni di anidride solforosa (SO 2) e di ossidi di azoto (NO x). Le somme eventualmente
versate in eccedenza saranno detratte dal versamento della prima rata di acconto e, ove
necessario, dalle rate successive, ovvero dovranno essere restituite mediante rimborso. In
caso di cessazione dell’impianto ad altro soggetto, le rate di acconto dovute dal cessionario
dovranno essere calcolate sulla base dei dati contenuti nella dichiarazione relativa alle
emissioni dell’anno precedente presentata dal cedente. In caso, infine, di attivazione di un
nuovo impianto, le rate di acconto saranno calcolate sulla base delle emissioni presunte di
SO 2 eNO x. Per il ritardato adempimento decorreranno l’indennità di mora e gli interessi
previsti dall’art. 3, comma 4, del D.Lgs. n. 504/1996. Per l’omesso pagamento sarà applicabile
l’indennità di mora e gli interessi dovuti per il ritardo oltre che la sanzione amministrativa
pecuniaria di una somma dal doppio al quadruplo della tassa dovuta. Per le inosservanze
di diverso tipo sarà applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 258,23 a
euro 1549,37 (art. 50, D.Lgs. n. 504/1996). (Art. 17, commi 29-33, legge 27 dicembre 1997,
n. 449; art. 4, D.P.R. 26 ottobre 2001, n. 416)
SOGGETTO
Esercenti dei grandi impianti di
PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
combustione (GIC) ex direttiva
88/609/CEE e art. 1, comma 3,
D.P.R. n. 416/2001
Trimestrale 30 giugno 2003
GRANDI IMPIANTI DI COMBUSTIONE. CONGUAGLIO ANNUALE DELLA TASSA SU EMISSIONI
DI ANIDRIDE SOLFOROSA E SU OSSIDI DI AZOTO
Gli esercenti dei grandi impianti di combustione (GIC) ex direttiva 88/609/CEE e ex art. 1, comma
3, D.P.R. n. 416/2001, sono tenuti al versamento del conguaglio annuale relativo ai versamenti
per la tassa sulle emissioni di anidride solforosa e sugli ossidi di azoto, effettuati nell’anno
precedente. In caso di cessazione dell’attività dell’impianto nel corso dell’anno, la dichiarazione
annuale e il versamento a saldo dovranno essere effettuati nei due mesi successivi.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 9

SCADENZARIO RUBRICA
31
MARZO
Per il ritardato adempimento decorerranno l’indennità di mora e gli interessi previsti dall’art. 3,
comma 4, del D.lgs. n. 504/1996. Per l’omesso pagamento sarà applicabile l’indennità di mora e
gli interessi dovuti per il ritardo oltre che la sanzione amministrativa pecuniaria di una somma
dal doppio al quadruplo della tassa dovuta. Per le inosservanze di diverso tipo sarà applicabile la
sanzione amministrativa pecuniaria da euro 258,23 a euro 1549,37 (art. 50, D.Lgs. n. 504/1996).
(Art. 17, commi 29-33, legge 27 dicembre 1997, n. 449; art. 4, D.P.R. 26 ottobre 2001, n. 416)
SOGGETTO
Esercenti dei grandi impianti di
PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
combustione (GIC) ex direttiva
88/609/CEE e art. 1, comma 3,
D.P.R. n. 416/2001
Annuale 31 marzo 2004
GRANDI IMPIANTI DI COMBUSTIONE. PRIMA RATA “CARBON TAX”
Gli esercenti dei grandi impianti di combustione (GIC) ex direttiva 88/609/CEE devono versare il
primo acconto dell’imposta sui consumi di carbone, coke di petrolio, bitume di origine
naturale emulsionato con il 30% di acqua (orimulsion), impiegati negli impianti di combustione
nell’anno precedente. Le somme eventualmente versate in eccedenza saranno detratte dal
versamento delle rate successive.
Per il ritardato adempimento sarà applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria di una
somma dal doppio al quadruplo della tassa dovuta, fermi restando i principi generali stabiliti
dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. Per le inosservanze di diverso tipo sarà applicabile la
sanzione amministrativa pecuniaria da euro 258,23 a euro 1549,37 (Art. 50, D.Lgs. n. 504/1996).
(Art. 8, commi 7 e 8, legge 23 dicembre 1998, n. 448)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Esercenti dei grandi impianti di
combustione (GIC) ex direttiva
88/609/CEE
Trimestrale 30 giugno 2003
GRANDI IMPIANTI DI COMBUSTIONE. CONGUALGIO “CARBON TAX”
Gli esercenti dei grandi impianti di combustione (GIC) ex direttiva 88/609/CEE devono
versare il conguaglio annuale dell’imposta sui consumi di carbone, coke di petrolio, bitume
di origine naturale emulsionato con il 30% di acqua (orimulsion), impiegati negli impianti
di combustione nell’anno precedente. Entro la stessa data i medesimi soggetti dovranno
presentare l’apposita dichiarazione annuale con i dati dei quantitativi impiegati nell’anno
precedente. In caso di cessazione dell’attività dell’impianto nel corso dell’anno, la dichiarazione
annuale e il versamento a saldo dovranno essere effettuati nei due mesi successivi.
Per il ritardato adempimento sarà applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria di una
somma dal doppio al quadruplo della tassa dovuta, fermi restando i principi generali
stabiliti dal D.lgs 18 dicembre 1997, n. 472. Per le inosservanze di diverso tipo sarà
applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 258,23 a euro 1549,37 (Art. 50,
D.Lgs. n. 504/1996). (Art. 8, commi 7 e 8, legge 23 dicembre 1998, n. 448)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Esercenti dei grandi impianti di
combustione (GIC) ex direttiva
88/609/CEE
Annuale 31 marzo 2004
RELAZIONE PRODUTTORI DI IMBALLAGGI CHE NON ADERISCONO AL CONAI
Scade il termine entro il quale i produttori che non aderiscono al CONAI (Consorzio nazionale
imballaggi) sono tenuti a presentare all’Osservatorio sui rifiuti la Relazione annuale sulla gestione,
comprensiva del programma specifico dei risultati conseguiti nel recupero e nel riciclo dei
rifiuti di imballaggio. In tale relazione potranno essere evidenziati i problemi relativi alle difficoltà
di raggiungimento degli scopi istituzionali sulla gestione dei rifiuti e le eventuali proposte di
adeguamento della normativa di settore. (Art. 38, comma. 7, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Produttori di imballaggi che non
aderiscono al CONAI
Annuale 31 marzo 2004
10 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

31
MARZO
RISULTATI CONSEGUITI DAI CONSORZI DEI MATERIALI DI IMBALLAGGIO
Scade il termine entro il quale i Consorzi istituiti per ciascuna tipologia di materiali di
imballaggio devono trasmettere al Consorzio nazionale imballaggi (CONAI) l’elenco degli
associati ed una Relazione sulla gestione, comprensiva del programma specifico e dei
risultati conseguiti nel recupero e nel riciclo dei rifiuti di imballaggio. In tale relazione
potranno essere evidenziati i problemi relativi alle difficoltà di raggiungimento degli scopi
istituzionali sulla gestione dei rifiuti e le eventuali proposte di adeguamento della normativa
di settore. (Art. 40, comma 5, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Consorzi istituiti per ciascuna tipologia
di materiali di imballaggio
Annuale 31 marzo 2004
SCARICO O STOCCAGGIO DI BIOSSIDO DI TITANIO
Tutti i soggetti che effettuano operazioni di scarico o di stoccaggio di biossido di
titanio devono trasmettere entro oggi alla regione o provincia autonoma di appartenenza,
la Relazione annuale sulla tipologia e sui quantitativi di rifiuti prodotti e/o
scaricati o stoccati nell’anno solare precedente. (Art. 8, comma 2, D.Lgs. 27 gennaio
1992, n. 100)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Esercenti operazioni di scarico o
di stoccaggio di biossido di titanio
Annuale 31 marzo 2004
COMBUSTIBILI LIQUIDI CONTENENTI ZOLFO: INFORMAZIONI DA RAFFINERIE E DEPOSITI FISCALI
Gli esercenti raffinerie e depositi fiscali devono inviare entro questa data all’Agenzia per la
protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), le informazioni sui quantitativi di oli
combustibili pesanti e di gasolio (incluso quello marino), prodotti o importati nell’anno precedente,
indicando, tra l’altro, il relativo tenore di zolfo. (Art. 9, comma 1, D.P.C.M. 7 settembre
2001, n. 395)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Esercenti raffinerie e depositi fiscali Annuale 31 marzo 2004
COMBUSTIBILI LIQUIDI CONTENENTI ZOLFO: INFORMAZIONI DAI GESTORI DEGLI IMPIANTI
I gestori degli impianti di cui al decreto ministeriale 2 ottobre 1995 devono inviare entro
questa data all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), le
informazioni sui quantitativi e il tenore di zolfo degli oli combustibili pesanti utilizzati
nell’anno precedente. (Art. 9, comma 1, D.P.C.M. 7 settembre 2001, n. 395)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Gestori degli impianti di cui al
D.M. 2 ottobre 1995
RUBRICA
SCADENZARIO
Annuale 31 marzo 2004
INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO: COMUNICAZIONE ACCANTONAMENTO
PER ABBATTIMENTO RUMORE
Entro questa data le società e gli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto e delle
relative infrastrutture devono comunicare al Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio, nonché alle regioni e ai comuni competenti: a) l’entità dei fondi
accantonati annualmente e complessivamente a partire dalla legge n. 447/1995, Legge
quadro sull’inquinamento acustico, per l’adozione di interventi di contenimento e di
abbattimento del rumore; b) lo stato di avanzamento fisico e finanziario dei singoli
interventi previsti, comprensivo anche degli interventi conclusi. (Art. 6, D.M. 29
novembre 2000)
SOGGETTO
Società ed enti gestori dei servizi
PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
pubblici di trasporto e delle relative
infrastrutture
Annuale 31 marzo 2004
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 11

SCADENZARIO RUBRICA
31
MARZO
TRASMISSIONE DATI IMPORTAZIONE/PRODUZIONE DA FONTI NON RINNOVABILI
Nel rispetto dei criteri per la definizione dei sistemi di cogenerazione fissati dall’Autorità
per l’energia elettrica e il gas, i produttori ed importatori di energia elettrica soggetti
all’obbligo di cui all’art. 11, commi 1 e 2, D.Lgs n. 79/1999 (importatori e i soggetti
responsabili degli impianti che, in ciascun anno, importano o producono energia elettrica
da fonti non rinnovabili con importazioni e produzioni di energia elettrica, al netto della
cogenerazione, degli autoconsumi di centrale e delle esportazioni, eccedenti i 100 GWh),
devono trasmettere entro oggi al Gestore della rete di trasmissione nazionale, l’autocertificazione
attestante le proprie importazioni e produzioni di energia da fonti non rinnovabili.
L’autocertificazione dovrà essere riferita all’anno precedente ed evidenziare separatamente
l’energia importata e quella prodotta da ciascun impianto. I soggetti che importano
energia elettrica potranno tuttavia, richiedere, relativamente alla quota di elettricità
importata prodotta da fonti rinnovabili, l’esenzione dall’obbligo di cui ai commi 1, 2 e 3
dell’art. 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, inoltrando apposita richiesta al
gestore della rete entro il medesimo termine sopra indicato, con allegazione dei documenti
ex art. 3, comma 1-bis, D.M. 11 novembre 1999 e succ. modd. Ai fini della quantificazione
dell’obbligo, il totale dell’energia risultante dall’autocertificazione è arrotondato ai 5 GWh
con criterio commerciale. (Art. 3, D.M. 11 novembre 2002, mod. art. 2, D.M. 18 marzo 2002)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Importatori e i soggetti responsabili
degli impianti che, in ciascun
anno, importano o producono
energia elettrica da fonti non rinnovabili
con importazioni e produzioni
di energia elettrica, al netto
della cogenerazione, degli autoconsumi
di centrale e delle esportazioni,
eccedenti i 100 GWh
Annuale 31 marzo 2004
ENERGIA DA FONTI RINNOVABILI: TRASMISSIONE “CERTIFICATI VERDI”
I produttori e importatori di energia elettrica soggetti all’obbligo di cui all’art. 11, commi 1
e 2, D.Lgs. n. 79/1999 (importatori e i soggetti responsabili degli impianti che, in ciascun
anno, importano o producono energia elettrica da fonti non rinnovabili con importazioni
e produzioni di energia elettrica, al netto della cogenerazione, degli autoconsumi di
centrale e delle esportazioni, eccedenti i 100 GWh), devono trasmettere al gestore della
rete elettrica i certificati verdi relativi all’anno precedente ed equivalenti, in termini di
energia associata, all’obbligo di immissione loro competente ai sensi dell’art. 11, commi 1 e
2, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79.
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Importatori e i soggetti responsabili
degli impianti che, in ciascun
anno, importano o producono
energia elettrica da fonti non rinnovabili
con importazioni e produzioni
di energia elettrica, al netto
della cogenerazione, degli autoconsumi
di centrale e delle esportazioni,
eccedenti i 100 GWh
Annuale 31 marzo 2004
RELAZIONE RISULTATI CONTROLLO ALIMENTI PER ANIMALI
Ultimo giorno entro il quale il Ministero della Salute deve inviare alla Commissione CE la
Relazione annuale sui risultati conseguiti dal programma coordinato di controllo nel settore
dell’alimentazione degli animali. Di tale relazione dovranno essere informate le amministrazioni
partecipanti al medesimo programma di controllo. (Art. 13, comma 2,
D.Lgs. 29 novembre 1998, n. 460)
SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA
Ministero della Salute Annuale 31 marzo 2004
12 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

IN SINTESI
RUBRICA
SINTESI
Inserto
SOSTANZE PERICOLOSE
COMMENTO………………………………………...........................................……………………………………………...… a pag. II
TESTO………………………………………………………….............................................………………………................. a pag. VII
Le Linee guida delle Regioni per la misurazione di radon negli ambienti sotterranei - Il decreto legislativo n.
230/1995, così come modificato dai D.Lgs. nn. 241/2000 e 257/2001, prevede la misurazione della concentrazione media di
radon in aria negli ambienti di lavoro sotterranei. Il Coordinamento delle Regioni italiane e delle Province autonome di
Trento e Bolzano ha redatto una propria proposta di linee guida nell’attesa che il Ministero competente nomini, ai sensi
del combinato disposto degli artt. 9 e 10-septies, D.Lgs. n. 230/1995 citato, la Commissione Ministeriale (che avrebbe
dovuto essere eletta entro il 28 febbraio 2001) e la Sezione Speciale della stessa, che avrebbe dovuto redigere (entro il 1˚
marzo 2002) le linee guida da seguire nelle misurazioni. L’iniziativa è particolarmente apprezzabile, oltre che per la
qualità del lavoro svolto, anche in quanto le misurazioni coinvolgono diverse tipologie di luoghi di lavoro (esercizi
commerciali, ristoranti, banche, ospedali, parcheggi, metropolitane, ecc.). Era, infatti, irrimandabile, nell’assenza di
indicazioni da parte del Ministero, la predisposizione di uno strumento che indicasse modalità uniformi in questo
delicatissimo settore di attività.
Igiene e sicurezza
IGIENE DEL LAVORO
MASSIMA E NOTA................................................................................................................................................................ a pag. 69
Lavoratori autonomi esposti all’amianto - Le esigenze di tutela perseguite dal Legislatore con l’apprestare una
misura di sostegno per i lavoratori esposti all’amianto non possono ravvisarsi con riguardo ai lavoratori autonomi, i quali,
diversamente dai subordinati, dispongono di ogni potere di autorganizzazione e, dunque, non hanno bisogno di tutele
volte a contrastare la sottoprotezione che (quanto a modi e tempi di lavoro) è conseguenza ineludibile dell’eterodirezione.
(Cassazione, sezione lavoro, 26 luglio 2002, n. 11110)
MASSIMA E NOTA………………………………………………...................................………………………………...…… a pag. 70
Infortunio: necessario il carattere violento della causa - La deduzione di un evento come infortunio sul lavoro
implica la deduzione dell’esistenza di una «causa violenta». Tale espressione originariamente evocava il carattere
traumatico delle cause meccaniche che costituivano la categoria prevalente dei fattori infortunistici e veniva intesa, dalla
dottrina, come una causa esterna al lavoratore, caratterizzata da «un’energia abnorme con un’abnorme intensità».
Successivamente la giurisprudenza ha ridimensionato la portata di tale espressione, ritenendo indispensabili i requisiti
della straordinarietà, accidentalità e imprevedibilità del fatto lesivo: la “causa violenta” viene definita come un’azione
rapida e concentrata nel tempo che agisce dall’esterno in modo da recare danno all’organismo del lavoratore. (Cassazione,
sezione lavoro, 10 gennaio 2003, n. 00239)
IGIENE DI ALIMENTI E BEVANDE
IN SINTESI………………………………………………………………………………...........................................…..…....… a pag. 61
Imballaggi - È stata pubblicata la rettifica della direttiva 2002/272/CE della Commissione, del 6 agosto 2002, relativa ai
materiali e agli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari. Il provvedimento
disciplina le specifiche tecniche dei materiali e degli oggetti in plastica destinati a contenere prodotti alimentari, con i
relativi limiti globali di migrazione. (in G.U.C.E. L del 13 febbraio 2003, n. 39 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
IN SINTESI…………………………………………………………………………………..……............................................... a pag. 61
Alimenti per bambini - La direttiva 2003/13/CE della Commissione 10 febbraio 2003, modifica l’art. 6, direttiva 95/5/CE,
rendendo più stringenti i limiti massimi ammissibili di residui di antiparassitari tollerabili negli alimenti a base di cereali e
negli altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini (in G.U.C.E. L del 14 febbraio 2003, n. 41 e all’indirizzo http://www.
ambientesicurezza.ilsole24ore.com).
La direttiva 2003/14/CE della Commissione del 10 febbraio 2003, modifica l’art. 6, direttiva 91/321/CEE, concernente
le quantità massime ammissibili di sostanze presenti negli alimenti di proseguimento e per lattanti. (in
G.U.C.E. L del 14 febbraio 2003, n. 41 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
IN SINTESI…………………………………………………………………………………..…..........................................……. a pag. 61
Prodotti destinati a un’alimentazione particolare - Il D.Lgs. 14 febbraio 2003, n. 31 fissa, per ciascuna delle
categorie di sostanze aggiunte per scopi nutrizionali specifici agli alimenti destinati a un’alimentazione
particolare ex D.Lgs. n. 111/1992, le tipologie di sostanze chimiche che possono essere usate per la fabbricazione
dei prodotti di cui al D.Lgs. medesimo. (in Gazzetta Ufficiale del 26 febbraio 2003, n. 47 e all’indirizzo
http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 13

SINTESI RUBRICA
RUMORE
COMMENTO……………………………………………………………........................................…………………………… a pag. 20
TESTO………………………………………………………………………………………....................................................... a pag. 22
Entro il 2006 il recepimento della direttiva 2003/10/CE sulla protezione da rumore - La direttiva 2003/10/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 6 febbraio 2003, interviene, almeno in Italia, su una disciplina nazionale di per sé
già piuttosto avanzata, grazie alla presenza nel nostro ordinamento del decreto legislativo n. 277/1991, anch’esso
originato da direttive comunitarie, il cui contenuto era stato, tuttavia, ampliato in sede di recepimento. Va, inoltre,
ricordata la presenza, sempre nell’ordinamento italiano, del D.Lgs. n. 626/1994 che introduce la generalizzazione
dell’obbligo della valutazione dei rischi, tra i quali anche il rischio-rumore. Dal punto di vista degli obblighi generali a
carico del datore di lavoro, pare di poter dire che la nuova direttiva non aggiunge nulla di nuovo. Novità, invece, si
possono rilevare al punto 13 che introduce criteri specifici per la valutazione dell’esposizione al rumore relativa ai settori
della musica e dell’intrattenimento. Altri aspetti della direttiva 2003/10/CE, dovranno, invece, affrontare un processo di
verifica in fase di recepimento; tra questi: le scale di ponderazione utilizzate, il rumore impulsivo e la riduzione dei livelli
di esposizione. (in G.U.C.E. L del 15 febbraio 2003, n. 42)
SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
ARTICOLO…………………………………………………………………………………….................................…………… a pag. 28
I compiti dell’ISPESL per l’accertamento tecnico degli ascensori e dei componenti di sicurezza - In base alla
convezione che l’ISPESL ha stipulato nell’agosto del 2002 con il Ministero delle Attività Produttive, lo stesso Istituto svolge
attività di accertamento tecnico a campione ai fini del controllo del mercato degli ascensori marcati CE e dei relativi
componenti di sicurezza. L’Istituto richiede fascicoli tecnici ai soggetti interessati e interviene presso i luoghi dove sono
installati gli ascensori commercializzati e messi in servizio secondo le procedure della direttiva 95/16/CE; è, inoltre,
autorizzato a predisporre, in nome e per conto del Ministero delle Attività produttive, una banca dati sulle certificazioni
CE eseguite dagli organismi notificati e dalle ditte installatrici che operano con sistema di qualità utilizzando i supporti
magnetici inviati trimestralmente dagli organismi notificati stessi, previo aggiornamento del formato secondo le esigenze
operative. Questa banca dati è finalizzata, per una parte, alla gestione degli accertamenti tecnici connessi all’attività di
sorveglianza del mercato di cui all’art. 8, D.P.R. n. 162/1999.
SICUREZZA DEL LAVORO
ARTICOLO…………………………………………………………………………….................................…………………… a pag. 33
Deposito e utilizzo della glutaraldeide: procedure per la gestione del rischio - La glutaraldeide è un liquido
dall’odore pungente, con consistenza oleosa, limpido, privo di particelle sospese che con la diluizione assume sfumature
meno intense, dal giallino all’incolore; allo stato puro o concentrata, viene classificata come N, pericolosa per l’ambiente,
con frase di rischio R50; presenta tendenza a venire assorbita dalla cute e per inalazione e, una volta nell’organismo, si
ossida ad acido glutarico, venendo successivamente metabolizzata, per la maggior parte, ad anidride carbonica con un
lungo periodo di eliminazione (fino a 4 giorni); scarsi gli specifici pericoli di infiammabilità. Questo un breve profilo
dell’aldeide glutarica o 1,5- pentan-diale, meglio conosciuta come glutaraldeide, che, vista l’ampia diffusione (dal settore
tessile, a quello cartario e conciario, dalle sintesi chimiche, alla produzione di collanti e adesivi o plastiche, fino alle
applicazioni nella microscopia elettronica, allo sviluppo di lastre e alla disinfezione e sterilizzazione in ambito sanitario),
richiede un’attenta pianificazione delle fasi sia di deposito che dell’impiego, anche sulla base delle recenti disposizioni
legislative sugli agenti chimici (D.Lgs. n. 25/2002) e sulla classificazione, imballaggio ed etichettatura di sostanze pericolose
(XXVIII adeguamento, recentemente integrato con il D.M. 14 giugno 2002). Tante le variabili di cui tenere conto, anche
in virtù delle possibili interazioni tra la glutaraldeide e altre sostanze; così, ad esempio, pur venendo prescritto l’uso di
DPI, sono inidonei quelli in neoprene e PVC, vista la tendenza ad assorbire l’aldeide glutarica stessa.
ARTICOLO…….................................…………………………………………………………………………………………… a pag. 40
Stima del rischio e infortuni: una corretta analisi migliora la sicurezza - I dati che vengono presentati in questo
approfondimento sono il risultato di uno studio svolto presso un’azienda metalmeccanica con lo scopo di verificare la
corretta impostazione della valutazione del rischio e di fornire criteri e strumenti per il suo miglioramento. È stata, infatti,
svolta un’approfondita analisi sia della documentazione di sicurezza presente in azienda sia degli infortuni occorsi nel
periodo 1990-1999. I risultati ottenuti sono stati utilizzati, da un lato, per la verifica della congruenza tra la valutazione
del rischio contenuta nel documento, redatto ai sensi dell’art. 4, D.Lgs. n. 626/1994, e quanto emerge dall’analisi del
fenomeno infortunistico nel medesimo periodo; dall’altro, per la predisposizione di un database di registrazione, analisi e
reporting dell’andamento degli infortuni, quale strumento di supporto alla gestione della sicurezza in azienda. Questo
approfondimento segue il contributo, degli stessi autori, pubblicato in Ambiente&Sicurezza n. 15/2002, pag. 67, sul tema
«Controllo dei costi della sicurezza: il caso di un’azienda metallurgica».
ABSTRACT………………………………...……………………………………………..…..........................................…….... a pag. 50
Norme UNI e CEI edite nei mesi di gennaio e febbraio 2003 - Da questo numero la rivista Ambiente&Sicurezza
pubblica l’elenco delle norme UNI e CEI accompagnandole da un breve abstract che riepiloga i contenuti delle nuove
disposizioni tecniche. Per quanto riguarda le norme approvate dall’Ente Nazionale Italiano di Unificazione segnaliamo la
traduzione in lingua italiana delle UNI EN ISO 19001:2003, sui sistemi di gestione della qualità e dell’ambiente, le norme
sulla determinazione dei livelli di potenza sonora di tutti i tipi di macchine e apparecchiature, sulla marcatura dei
dispositivi progettati contro le cadute dall’alto, sui caschi ed elmetti di protezione e sugli apparecchi di protezione delle
vie respiratorie. Il Comitato Elettrotecnico Italiano ha approvato, invece, nuovi provvedimenti in merito alla sicurezza
degli apparecchi laser sul consumo energetico dei forni elettrici per uso domestico; su quest’ultimo tema è stato
pubblicato il recente D.M. 2 gennaio 2003, sul quale sono previsti ulteriori approfondimenti sui prossimi numeri di
Ambiente&Sicurezza.
14 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

RUBRICA
SINTESI
CASO…………………………………………………………………………………….........................................…………… a pag. 63
La sicurezza nella scuola - Il quesito è stato posto dal Preside in un istituto scolastico di istruzione secondaria che
ha voluto conoscere in che modo si configura la sua responsabilità, quale datore di lavoro, ai fini della tutela della
sicurezza e della salute del personale docente e ausiliario. In particolare, il Preside ha chiesto come si caratterizza
l’obbligo della valutazione dei rischi con riguardo ai rapporti con l’ente locale gestore dell’edificio scolastico e alla
limitatezza delle risorse finanziarie disponibili. Nella risposta trovano spazio una breve raccolta di massime giurisprudenziali
e due schemi che aiutano ad individuare il datore di lavoro prevenzionale negli uffici, nelle istituzioni
scolastiche dipendenti dal Ministero, nelle università e negli istituti di istruzione universitaria.
IN SINTESI……………………………………………………………………..........................................……………..………. a pag. 62
Dispositivi di protezione individuale (DPI) - Il decreto del Ministero delle Attività produttive 13 febbraio 2003, reca il
terzo elenco riepilogativo delle norme nazionali (UNI EN) di trasposizione delle norme armonizzate europee (CEN) in
materia di dispositivi di protezione individuale. (in Gazzetta Ufficiale del 20 febbraio 2003, n. 42 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
MASSIMA E NOTA……………………………………………………………………………......................................……… a pag. 71
Infortunio in itinere - Il generico rischio della strada può diventare rischio specifico di lavoro nei casi in cui il lavoratore
sia costretto a far uso di un mezzo privato di trasporto per recarsi sul posto di lavoro. Ma l’indennizzabilità dell’infortunio,
occorso al lavoratore recandosi sul posto di lavoro, deve escludersi se la necessità di fare ricorso al veicolo privato sia
esclusa dalla vicinanza del posto di lavoro all’abitazione dell’interessato e dalla possibilità di effettuare il suddetto
percorso sia interamente a piedi, sia utilizzando un mezzo di trasporto pubblico. (Cassazione, sezione lavoro, 26 luglio
2002, n. 11112)
SOSTANZE PERICOLOSE
IN SINTESI…………………………………………………………………………………..…..........................................……. a pag. 61
PVC morbido contenente taluni ftalati - La decisione della Commissione 19 febbraio 2003, reca la nuova “proroga
trimestrale” relativa alla validità del divieto contenuto nella decisione 1999/815/CE, riguardo l’immissione in commercio
di giocattoli e articoli di puericultura fabbricati in PVC morbido contenente taluni ftalati. Il nuovo termine di efficacia
della decisione è ora fissato al 20 maggio 2003. (in G.U.C.E. L del 20 febbraio 2003, n. 46 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
Ambiente
ACQUA
SINTESI ................................................................................................................................................................................ a pag. 100
Servizio idrico integrato - L’ordinanza del Commissario governativo per l’emergenza idrica in Sardegna 31 dicembre
2002, n. 336, prevede come la gestione del Servizio idrico integrato (SII) di cui all’art. 4, lettera f), legge n. 36/1994 (”legge
Galli”), dovrà essere affidata, in Sardegna, transitoriamente a un unico soggetto gestore, costituito in forma societaria,
quale aggregazione dei soggetti gestori ivi esistenti e operanti nell’ambito territoriale ottimale (ATO) della Regione
Sardegna. (in Gazzetta Ufficiale del 24 febbraio 2003, n. 45 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.
com). Ulteriori approfondimenti sui prossimi numeri di Ambiente&Sicurezza.
CERTIFICAZIONE E QUALITÀ
SINTESI .................................................................................................................................................................................. a pag. 99
Ecolabel - La decisione della Commissione dell’11 febbraio 2003, n. 2003/121/CE, reca i criteri di qualità ecologica validi
per l’assegnazione del marchio comunitario di qualità ecologica ex regolamento (CE) n. 1980/2000 agli “aspirapolvere”,
intendendo come tali «tutti gli aspirapolvere autonomi, come gli aspirapolvere a cilindro e verticali, adatti per aspirare
polvere su superfici di almeno 10 m 2 per ogni utilizzo», eccezion fatta per gli apparecchi senza cavo (cordless) o a batteria
ed esclusi gli impianti centralizzati di aspirazione per pulizia. (in G.U.C.E. L del 21 febbraio 2003, n. 47 e all’indirizzo
http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
SINTESI ............................................................................................................................................................................. da pag. 100
SGA. Contributi e finanziamenti - Il decreto del Ministero delle Attività Produttive 21 novembre 2002, reca le modalità
semplificate per l’accesso delle imprese artigiane agli interventi di cui all’art. 1, comma 2, D.L. n. 415/1992, convertito, con
modifiche, nella legge n. 488/1992 (in Gazzetta Ufficiale del 15 febbraio 2003, n. 38 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com).
Il decreto del Ministero delle Attività Produttive 7 febbraio 2003, fissa alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del
decreto medesimo il termine iniziale di presentazione delle domande per l’accesso alle agevolazioni di cui alla legge n.
488/1992 per il bando del 2003 del settore “industria” (attività estrattive, manifatturiere, di produzione e distribuzione di
energia elettrica, vapore e acqua calda, delle costruzioni e dei servizi reali); termine, peraltro, già prorogato al 21 marzo
2003 da un secondo decreto del Ministero delle Attività produttive 7 febbraio 2003. (in Gazzetta Ufficiale del 20 febbraio
2003, n. 42 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
ENERGIA
SINTESI .................................................................................................................................................................................. a pag. 99
Contaminazione radioattiva - La raccomandazione della Commissione del 20 febbraio 2003, n. 2001/120/CE, è stata
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 15

SINTESI RUBRICA
rivolta agli Stati comunitari affinché i medesimi adottino disposizioni idonee per garantire che i livelli massimi consentiti
in termini di cesio - 134 e 137, ex regolamento (CE) n. 737/1990, siano rispettati nella Comunità in riferimento all’immissione
sul mercato di selvaggina, bacche selvatiche, funghi selvatici e pesci carnivori da lago. (in G.U.C.E. L del 21 febbraio
2003, n. 47 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
SINTESI ................................................................................................................................................................................ a pag. 101
Tasse e tariffe - Il D.L. 18 febbraio 2003, n. 25, ridefinisce gli oneri generali del sistema elettrico ex art. 3, comma 11,
D.Lgs. n. 79/1999, considerando gli stessi come costituiti da più componenti. (in Gazzetta Ufficiale del 19 febbraio 2003, n.
41 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
FINANZIAMENTI
ARTICOLO ............................................................................................................................................................................ a pag. 74
Per rilievi geofisici e stoccaggio di gas naturale nuova linfa vitale dal D.M. 29 novembre 2002 - Il decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 164, cosiddetto “decreto Letta”, nell’attuare la direttiva n. 98/30/CE recante «norme
comuni per il mercato interno del gas naturale», ha stanziato fondi per supportare le imprese del settore e che hanno
nelle fasi di prospezione e ricerca uno dei momenti più costosi e tecnicamente complessi dell’intera filiera; in particolare,
è stato previsto come il 5% delle entrate derivanti allo Stato dal versamento delle aliquote di prodotto della coltivazione
per idrocarburi da parte dei titolari di concessione di coltivazione, sia destinato a un contributo per coprire parzialmente i
costi derivanti dai rilievi geofisici svolti dagli stessi soggetti. Un altro 5% è stato, inoltre, finalizzato a un contributo per
l’effettuazione di studi, analisi e prove d’iniezione, volte ad accertare l’idoneità del giacimento all’attività o all’incremento
della capacità di stoccaggio. Partendo da questa disponibilità, il Ministero delle Attività produttive, sentita la Conferenza
unificata, ha aperto le procedure per la presentazione di domande di contributo, ufficializzate nel D.M. 29 novembre
2002, recante, appunto, «Criteri e modalità per la concessione degli incentivi previsti dall’art. 4, comma 5, e dall’art. 13,
comma 3, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, rispettivamente per rilievi geofisici condotti dai titolari di
permessi di ricerca e concessioni di coltivazione per idrocarburi e per accertamenti minerari riguardanti lo stoccaggio di
gas naturale» (in Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2003, n. 23). Gli oneri ammissibili non comprendono le spese generali
e amministrative dell’impresa né i costi di acquisto di macchine operatrici e mezzi di trasporto. Le domande, da inoltrare
alla regione competente territorialmente per i programmi su terraferma o al dicastero per le attività produttive per quelli
in mare, vanno spedite entro 90 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale per i programmi avvenuti nel 2000,
2001, 2002 ed entro il 31 marzo di ogni anno dal 2003. Il programma non deve essere più lungo di 3 anni, in relazione alla
complessità del luogo e delle operazioni da effettuare.
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO
MASSIMA E NOTA ............................................................................................................................................................. a pag. 106
Emissioni elettromagnetiche nocive per la salute pubblica - Il reato di cui all’articolo 674 del codice penale è un
reato di mero pericolo, per cui non è necessario che l’emissione di energia derivante dalla propagazione di onde
elettromagnetiche provochi un effettivo nocumento, essendo, invece, sufficiente la sua attitudine ad offendere o
molestare beni primari delle persone, quale è quello, costituzionalmente garantito (articolo 32, comma 1, della Costituzione)
della salute. (Cassazione penale, sezione I, 14 giugno 2002, n. 1103)
RIFIUTI
ARTICOLO ............................................................................................................................................................................ a pag. 82
Al via il censimento comunitario dei rifiuti - Allo scopo di fissare «un ambito per la produzione di statistiche
comunitarie sulla produzione, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti», il Legislatore europeo ha emanato il
regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 25 novembre 2002, n. 2150/2002 (in G.U.C.E. del 9
dicembre 2002, n. 332 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com), relativo, appunto, alle
statistiche sui rifiuti. Nello specifico, il provvedimento non sembra essere una mera enunciazione di principio, ma
piuttosto un invito concreto agli Stati membri alla raccolta e all’elaborazione dei dati; a questo proposito, sono state
individuate quattro metodologie diverse, consistenti in indagini ad hoc, utilizzazione di fonti conoscitive già a
disposizione, quali i dati risultanti da obblighi di dichiarazione già previsti (nel caso italiano, il MUD), procedure di
stima statistica oppure una combinazione delle tre vie precedenti. Possibili esenzioni sono previste per le imprese
con meno di 10 dipendenti «al fine di ridurre gli oneri amministrativi». Una volta rielaborati i dati sui rifiuti,
dovranno essere trasmessi dagli Stati membri all’Istituto Statistico delle Comunità Europee (Eurostat). Resta da
vedere come questo regolamento verrà armonizzato con il quadro legislativo italiano già esistente, che, oltre al
“decreto Ronchi”, conta anche l’art. 85, del “Bassanini quater” (D.Lgs. n. 112/1998), secondo il quale «restano
attribuiti allo Stato, in materia di rifiuti, esclusivamente le funzioni e i compiti indicati dal decreto legislativo 5
febbraio 1997, n. 22, (…). Restano ferme le competenze dello Stato previste dagli articoli 11, 31, 32 e 33 del decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22». Il regolamento, infine, prevede la concessione agli Stati membri «di un periodo
transitorio per l’elaborazione delle statistiche sui rifiuti (…) per le quali i sistemi statistici nazionali richiedono
adattamenti di rilievo», non superiore ai due anni e, in alcuni casi, ai tre anni dall’entrata in vigore della novella. Il
testo integrale del regolamento n. 2150/2002 è disponibile all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
COMMENTO......................................................................................................................................................................... a pag. 85
TESTO ................................................................................................................................................................................... a pag. 86
Alla tariffa sui rifiuti si applica l’IVA? Dalle Entrate la prima risposta ufficiale - Nonostante la falsa partenza del
nuovo regime tariffario che avrebbe dovuto coinvolgere, a partire dal 1˚ gennaio 2003, i comuni con un grado di
16 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

RUBRICA
SINTESI
copertura TARSU maggiore dell’85%, si segnala il primo intervento ufficiale in materia di tariffa di igiene ambientale
(TIA). Nello specifico, si tratta della risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa e Contenzioso 5
febbraio 2003, n. 25/E, con la quale è stato chiarito l’assoggettamento del nuovo prelievo a IVA. La risposta dell’Agenzia,
in verità piuttosto sintetica, si limita a osservare, sulla questione specifica, che, poiché l’articolo 49, D.Lgs. n. 22/1997,
configura il prelievo in oggetto alla stregua di un “corrispettivo” «nel presupposto che l’espletamento del servizio
avvenga secondo regole di diritto comune», la tariffa deve essere assoggettata a IVA. Tuttavia, se appare arduo
dimostrare la sussistenza del presupposto assunto nella risoluzione per affermare l’imponibilità dell’imposta, è anche
vero che la risoluzione n. 25/E, conferma, come le entrate tributarie non abbiano natura di corrispettivo essendo, quindi,
escluse da IVA. Ne deriva che, una volta che dovesse essere accertata giudizialmente la natura tributaria della tariffa (non
potendo ovviamente ritenersi risolutiva, sul punto, la sbrigativa nota delle Finanze), l’esclusione da IVA conseguirà in via
automatica, a prescindere dal soggetto (pubblico o privato) che riscuote l’entrata. È quantomai necessario, quindi, un
chiarimento di fonte giudiziale.
IL CASO .............................................................................................................................................................................. a pag. 103
Abbandono e deposito di rifiuti - L’annoso problema della distinzione tra stoccaggio e deposito temporaneo di rifiuti
(con le differenti ricadute di tipo sanzionatorio), rimanda a un approfondimento sul concetto di “abbandono” e di
“deposito incontrollato”. In particolare, il primo è identificabile nel comportamento di chi si disfi definitivamente di
rifiuti depositandoli sul suolo, in modo occasionale e in misura limitata, ossia senza quelle caratteristiche quantitative o di
sistematicità che connotano l’esistenza di una discarica; per il secondo invece, atteso che per “deposito”, in generale,
deve intendersi un’attività “temporanea”, tendenzialmente continuativa, di collocazione di materiali destinati comunque
a una successiva movimentazione, resta da comprendere, peraltro, in cosa il deposito incontrollato si differenzi da un
lato dall’abbandono e dall’altro da queste attività. Nell’attuale sistema definito dal “decreto Ronchi”, in particolare, lo
stoccaggio, inteso come deposito preliminare e messa in riserva, è da intendersi come fase iniziale ricompresa in una delle
operazioni di smaltimento o di recupero e, come tale, rientrante tra le attività di gestione dei rifiuti per le quali sono
necessari, in via di principio, i provvedimenti autorizzatori previsti dagli artt. 27 e 28, D.Lgs. n. 22/1997 stesso; al contrario,
il deposito temporaneo presso il produttore non solo non può essere considerato come stoccaggio - in forza di quanto
disposto dagli allegati al “Ronchi” - ma, in quanto operazione precedente alla raccolta del rifiuto, non rientrerebbe
neanche tra le attività di gestione.
SINTESI ................................................................................................................................................................................ a pag. 102
Modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) - Il D.P.C.M. 24 febbraio 2003 reca integrazioni al D.P.C.M. 24
dicembre 2002, «Approvazione del nuovo modello unico di dichiarazione ambientale per l’anno 2003» (si veda
anche il n. 3/2003 di Ambiente&Sicurezza). In particolare, risultano inserire al nuovo MUD talune preziose schede
informative, “sfuggite” alla stampa del precedente decreto. Ulteriori approfondimenti sui prossimi numeri di
Ambiente&Sicurezza. (in Gazzetta Ufficiale del 27 febbraio 2003, n. 48 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com)
SVILUPPO SOSTENIBILE
COMMENTO ........................................................................................................................................................................ a pag. 88
TESTO .................................................................................................................................................................................... a pag. 92
Con la direttiva comunitaria 2002/91/CE consumi energetici ed edilizia “a braccetto” - In risposta ai crescenti
consumi energetici nel settore dell’edilizia, dalla Commissione europea arriva un input fondamentale all’introduzione
di criteri di risparmio in fase di progettazione di edifici e a stabili già esistenti, con la direttiva 2002/91/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio 16 dicembre 2002, relativa, appunto, al rendimento energetico nell’edilizia. Il
documento, peraltro annunciato da tempo, si presenta necessariamente flessibile, dovendosi adattare a un panorama
eterogeneo di Stati differenti tra loro, ad esempio, per clima, tipologie edilizie, tecnologie e pratiche costruttive
e regimi di proprietà. Una forte attenzione è stata rivolta al raffrescamento e al condizionamento d’aria, a fronte sia
di una crescente integrazione tra i due sistemi sia di un aumento, nell’ultimo decennio, della domanda energetica
per il condizionamento. Nuove spinte anche per l’edilizia bioclimatica, con particolare riferimento a una progettazione
“intelligente” in grado di ottimizzare, ad esempio, la tipologia e l’orientamento degli edifici, la scelta dei
materiali, le dimensioni e la disposizione delle finestre, ecc., anche in base al miglior compromesso tra necessità di
tenere conto di questi apporti alla riduzione e la complessità del procedimento di calcolo che ne potrebbe risultare.
Importante è poi la proposta di fornitura alle utenze di una consulenza atta a individuare opportunità e convenienza
alla sostituzione delle caldaie o alla modifica dell’impianto, in alternativa alle ispezioni periodiche obbligatorie;
nuova, invece, è l’ispezione periodica dei sistemi di condizionamento d’aria. La direttiva si applica anche agli edifici
esistenti, purché di metratura superiore ai 1000 m 2 che subiscano degli interventi di “ristrutturazione importante”.
L’Italia sembra abbastanza pronta a recepire la direttiva 2002/91/CE, né mancano i casi si amministrazioni proattive
come il Comune di Bologna che ha messo in atto un progetto di sostituzione delle lampade tradizionali a
incandescenza da 100 watt con altre fluorescenti compatte a basso consumo da 23 watt in circa 100 edifici comunali,
per la quasi totalità asili nido e scuole materne (in G.U.C.E. L del 4 gennaio 2003, n. 1).
TUTELA AMBIENTALE
SINTESI ................................................................................................................................................................................ a pag. 102
Contributi e finanziamenti - Il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 23 dicembre 2002, n. 44, dispone un
finanziamento di 522.083,00 euro, per l’anno 2002, a favore del Ministero delle Politiche agricole, Corpo forestale dello
Stato, per la realizzazione del programma per la protezione delle foreste contro l’inquinamento atmosferico. (in
Gazzetta Ufficiale del 25 febbraio 2003, n. 46).
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 17

RUMORE
Osservatorio UNI - Commento
di Alessandro Cocchi, Past Presidente Commissione Acustica UNI, Professore Ordinario Dipartimento
DIENCA dell’Università di Bologna e Alberto Cocchi, avvocato libero professionista in Bologna
La direttiva 2003/10/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio
del 6 febbraio 2003, pubblicata
in G.U.C.E. L del 15 febbraio
2003, n. 42, interviene, almeno
in Italia, su una disciplina
nazionale di per sé già piuttosto
avanzata, grazie alla presenza
nel nostro ordinamento
del decreto legislativo n.
277/1991, anch’esso originato
da direttive comunitarie, il cui
contenuto era stato tuttavia
ampliato in sede di recepimento.
Va, inoltre, ricordata la presenza
del decreto legislativo n.
626/1994, che ha introdotto la
generalizzazione dell’obbligo
della valutazione dei rischi, tra
i quali anche il rischio-rumore.
IGIENE E SICUREZZA
Il D.Lgs. n. 277/1991 aveva già accolto in senso ampio le indicazioni comunitarie
Entro il 2006 sarà recepita la dire tiva 2003/10/CE
su la protezione da rumore
Dal punto di vista degli obblighi
generali a carico del datore
di lavoro, pare di poter dire
che la direttiva non aggiunga nulla
di nuovo, nel senso che tutti o
quasi i concetti ivi esposti fanno già
parte della disciplina nazionale; pur
tuttavia, non vi è dubbio che la direttiva
introduca talune importanti precisazioni
e venga a modificare i valori
di alcuni parametri, con ricadute
pratiche di una certa rilevanza.
Procedendo nell’ordine, al punto
13 della premessa alla direttiva
2003/10/CE troviamo una disposizione
relativa ai settori della musica
e dell’intrattenimento, volta a stabilire
criteri specifici per detti settori.
È questo un aspetto abbastanza interessante
dal punto di vista dell’approccio
differenziato della disciplina
antinfortunistica in generale rispetto
alla peculiarità delle singole
attività svolte, la cui attuale carenza
determina il più delle volte difficoltà
pratiche di attuazione da parte dei
datori di lavoro, se non persino situazioni
paradossali.
Nello specifico, il D.Lgs. n.
277/1991 non aveva fatto alcuna distinzione
per genere di attività, senza
tenere conto del fatto che gli operatori
in questi settori non possono
indossare protettori auricolari, pur
essendo normalmente esposti a livelli
sonori che ne richiederebbero,
sempre a norma di legge, l’impiego
obbligatorio da parte del lavoratore,
altrimenti sanzionabile.
Nel settore della musica, si è cercato
fino ad ora di intervenire sui
tempi di esposizione, ma non vi è
dubbio che non si possa limitare il
tempo delle prove di un concerto o
di un’opera solo perché viene superato
il limite di esposizione a rumore.
Nel settore dell’intrattenimento,
facendo leva indirettamente sulla
legge quadro in materia di tutela
ambientale da inquinamento acustico,
sono stati introdotti dei limiti, in
genere disattesi proprio per la natura
stessa di certe attività che basano
l’efficacia dell’intrattenimento sul livello
sonoro proposto al pubblico.
Ben venga, quindi, un chiarimento
anche da parte della legge nazionale,
che non metta nello stesso insieme
pubblico volontario e desideroso
di ricevere un bombardamento
sonoro con operatori, talvolta soggetti
passivi quali, ad esempio, gli
inservienti di sala, altre volte soggetti
attivi in quanto essi stessi generatori
di rumore ad altissimo livello
sonoro.
Come nel D.Lgs. n. 277/1991,
l’articolo 3 della direttiva individua
tre livelli sonori di intervento, estendendo
però l’allarme per esposizione
a livelli di picco superiori ad un
determinato valore già al livello minimo
di azione; il che appare sicuramente
più corretto in astratto, anche
se forse in effetti di scarsa utilità sul
piano pratico rispetto a quanto previsto
all’art. 41 del D.Lgs. n.
277/1991.
Vi è, tuttavia, da richiamare l’attenzione
del nostro legislatore, quando
si occuperà del recepimento, sulla
confusione che regna nella direttiva
in merito alle scale di ponderazione
utilizzate.
L’articolo 2 della direttiva definisce,
infatti, la pressione acustica di
20 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

picco come ponderata con frequenza
“C”, definizione che gli addetti
ai lavori possono anche pensare di
interpretare, ma che sicuramente
non è corretta dal punto di vista
metrologico; cosa dire, però, quando
subito dopo, all’articolo 3, vengono
assegnati i valori, tradotti poi
in nota in decibel ponderati A?
Il valore di 200 Pascal corrisponde
in effetti ai nostri 140 dB lineari,
ma senza conoscere l’andamento
spettrale appare molto arduo poter
trovare una corrispondenza in
scala ponderata sia che si tratti di
A che di C.
Il punto b) dell’articolo 2 della
direttiva affronta poi l’annoso problema
del rumore impulsivo, che
viene incluso nella esposizione a rumore,
entrando a far parte sic et
simpliciter del livello sonoro continuo
equivalente in dB(A); sembrerebbe
così definitivamente affossato
l’annoso problema della possibile
dannosità del rumore impulsivo,
se non fosse che il punto a) del
comma 6 dell’articolo 4, in maniera
del tutto generica ed imponderabile
afferma che «il datore di lavoro
(...) presta (...) particolare attenzione
(...) ad ogni esposizione a rumore
impulsivo», frase estremamente
sibillina che non mancherà di sollevare
problemi: allora, i rumori impulsivi
sono pericolosi oppure no, e
se sì, in che misura?
Tra l’altro, in sede di recepimento,
considerato che le violazioni alla
normativa antinfortunistica vengono
in genere sanzionate nel nostro
ordinamento a titolo di reato contravvenzionabile,
potrebbe riproporsi
anche in questo caso, come nella
maggioranza delle ipotesi originate
dalla filosofia del decreto legislativo
n. 626/1994, il problema della
carenza di tipicità della condotta incriminata.
Nella stessa prospettiva, già l’allegato
VI al D.Lgs. n. 277/1991 aveva
indicato, al punto 3.3, la necessi-
[1] Si veda Ambiente&Sicurezza n. 23/2002, pag. 22.
IGIENE E SICUREZZA
tà di valutare l’incertezza di misura,
lasciando spazio a diverse interpretazioni,
alimentate dalla precisazione
dell’errore casuale, che in fisica
ha un significato ben preciso, ma
che in una valutazione che comporta
anche la stima del comportamento
dell’uomo (si veda, in particolare,
pausa fisiologica e abilità lavorativa)
ne ha uno ben più ampio: in
questo caso, il comma 5 dell’articolo
4 sembra togliere ogni dubbio
(ma sarà poi vero?) in quanto parla
di imprecisione delle misurazioni,
dando ragione all’UNI che, nella
sua recente norma UNI 9432: 2002,
«Acustica - Determinazione del livello
di esposizione personale al rumore
nell’ambiente di lavoro» [1] ,
ha ritenuto utile fornire un criterio
di valutazione della stessa.
Piace evidenziare anche che la
citata norma UNI ha preso in considerazione
i gruppi omogenei per
esposizione a rumore, sollevando
non poche critiche, in quanto il
D.Lgs. n. 277/1991 fa sempre riferimento
all’esposizione del singolo;
il punto c), comma 6, dell’articolo
4 della direttiva parla di «lavoratori
appartenenti a gruppi a rischio»,
mentre il punto 10 della stessa direttiva
privilegia «le misure di protezione
collettive», implicitamente
avallando il risultato raggiunto in
Commissione Acustica dell’UNI
con la norma UNI 9432 circa l’opportunità
di eseguire anche valutazioni
collettive.
Abbiamo lasciato per ultimo un
commento relativo a quello che forse
sarà un nodo da risolvere per
poter decidere se la nostra disciplina
attuale è già più protettiva o meno
rispetto a quella proposta dalla
direttiva: apparentemente, infatti, la
direttiva abbassa il più alto dei livelli
di attenzione, vale a dire quello
limite invalicabile, portandolo a 87
dB(A) contro i 90 prescritti dal
D.Lgs. n. 277/1991, precisando però
subito dopo che questo valore
RUMORE
Osservatorio UNI - Commento
tiene conto dell’attenuazione prodotta
dai protettori auricolari, cosa che
non si verifica invece per il livelli
di azione, rimasti fissi ad 80 ed 85
dB(A).
Se si voleva creare confusione,
non si poteva fare di meglio, dal momento
che, per valutare il superamento
di 87 dB(A), non si potrà certo fare
ricorso a misure dirette (a meno di
non utilizzare manichini adeguatamente
attrezzati per misurare il rumore
all’interno del condotto auricolare
a valle del protettore, che potrebbe
essere anche un inserto che occupa
tutto lo spazio disponibile).
Bisognerà pertanto far ricorso a
misure in frequenza, corrette per tenere
conto sia della scala di ponderazione
A che dell’eventuale attenuazione
dovuta ai dispositivi di protezione
individuale, sollevando con
ciò dubbi e polemiche a non finire.
Inoltre, se per un verso l’aver stabilito
un limite di esposizione inferiore
rispetto all’attuale pare più cautelativo,
dall’altro la nuova disciplina
non prevede più espressamente,
al superamento del livello limite,
l’obbligo a carico del lavoratore di
indossare i dispositivi di protezione
individuale, ma solo che il datore
di lavoro faccia «tutto il possibile
per assicurare che vengano indossati
i d.p.i.» (articolo 6, comma
2), pertanto, a fronte di eventuale
inottemperanza da parte del
lavoratore, anche l’eventuale irrogazione
di sanzioni disciplinari da
parte del datore di lavoro che voglia
andare esente da rischi potrebbe
risultare discutibile.
In conclusione, se, come abbiamo
visto, qualche elemento di pregio
pare essere introdotto dalla direttiva,
si ribadisce che questa si colloca
su una disciplina preesistente e
abbastanza ben fatta, determinando
pertanto qualche problema in fase
di recepimento, quando bisognerà
stabilire se, ed in quale misura, la
direttiva stessa vada considerata migliorativa.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 21

RUMORE
Legislazione
Direttiva 2003/10/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio
del 6 febbraio 2003 sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione
dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (rumore) (diciassettesima direttiva
particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/31/CEE
in G.U.C.E. L del 15 febbraio 2003, n. 42
IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO
DELL’UNIONE EUROPEA,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in
particolare l’articolo 137, paragrafo 2,
vista la proposta della Commissione (1) , presentata
previa consultazione del comitato consultivo per la sicurezza,
l’igiene e la protezione della salute sul luogo di
lavoro, visto il parere del Comitato economico e sociale
europeo (2) , previa consultazione del Comitato delle regioni,
deliberando secondo la procedura di cui all’articolo
251 del trattato (3) , visto il progetto comune approvato
dal comitato di conciliazione l’8 novembre 2002, considerando
quanto segue:
(1) In base al trattato il Consiglio può adottare,
mediante direttive, prescrizioni minime per promuovere
il miglioramento, in particolare, dell’ambiente di lavoro,
al fine di garantire un più elevato livello di protezione
della sicurezza e della salute dei lavoratori. È necessario
che tali direttive evitino di imporre vincoli amministrativi,
finanziari e giuridici tali da ostacolare la
creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese.
(2) Se da un lato la presente direttiva, conformemente
al trattato, non impedisce agli Stati membri di mantenere
o di introdurre misure di protezione più rigorose,
la sua attuazione non può giustificare un regresso rispetto
alla situazione esistente in ciascuno Stato membro.
(3) La direttiva 86/188/CEE del Consiglio, del 12 maggio
1986, in materia di protezione dei lavoratori contro i
rischi derivanti dall’esposizione al rumore durante il lavoro
(4) contiene disposizioni che ne prevedono il riesame da
parte del Consiglio in base ad una proposta della Commissione
e al fine di ridurre i rischi in questione, tenuto conto
in particolare dei progressi compiuti nelle conoscenze
scientifiche e nella tecnologia.
(4) La comunicazione della Commissione circa il
proprio programma nel settore della sicurezza, dell’igiene
e della salute sul luogo di lavoro (5) prevede l’adozione
di misure volte a promuovere la sicurezza sul luogo
di lavoro, in particolare al fine di ampliare il campo
d’applicazione della direttiva 86/188/CEE e il riesame
dei valori di soglia. Il Consiglio ne ha preso atto nella
sua risoluzione, del 21 dicembre 1987, concernente la
sicurezza, l’igiene e la salute sul luogo di lavoro (6) .
(5) La comunicazione della Commissione sul suo
programma d’azione per l’attuazione della Carta comunitaria
dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori prevede
la definizione di prescrizioni minime di salute e di
sicurezza relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi
derivanti dagli agenti fisici. Nel settembre 1990 il Parla-
IGIENE E SICUREZZA
mento europeo ha adottato una risoluzione su questo
programma d’azione (7) che invita in particolare la Commissione
a elaborare una direttiva specifica nel campo
dei rischi legati al rumore e alle vibrazioni nonché a
qualsiasi altro agente fisico sul luogo di lavoro.
(6) Come primo passo, il Parlamento europeo e il
Consiglio hanno adottato, in data 25 giugno 2002, la
direttiva 2002/44/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza
e di salute relative all’esposizione dei lavoratori
ai rischi derivanti dagli agenti fisici (vibrazioni)(sedicesima
direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo
1, della direttiva 89/391/CEE) (8) .
(7) Come secondo passo, si ritiene opportuno introdurre
misure di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti
dal rumore a causa dei suoi effetti sulla salute e sulla
sicurezza dei lavoratori, in particolare per quanto riguarda
i danni all’udito. Tali misure mirano non solo ad assicurare
la salute e la sicurezza di ciascun lavoratore considerato
individualmente, ma anche a creare per tutti i lavoratori
della Comunità una piattaforma minima di protezione che
eviti possibili distorsioni di concorrenza.
(8) Le conoscenze scientifiche attuali relative agli
effetti che l’esposizione al rumore può avere sulla salute
e sulla sicurezza non consentono di definire livelli
precisi di esposizione che riguardino tutti i rischi per la
salute e la sicurezza, segnatamente per quanto riguarda
gli effetti non uditivi del rumore.
(9) È necessario che un sistema di protezione contro
il rumore si limiti a definire, senza entrare inutilmente
nel dettaglio, gli obiettivi da raggiungere, i principi da
rispettare e le grandezze fondamentali da utilizzare onde
permettere agli Stati membri di applicare le prescrizioni
minime in modo equivalente.
(10) La riduzione dell’esposizione al rumore può
essere realizzata in maniera più efficace attraverso l’applicazione
di provvedimenti di prevenzione fin dalla
progettazione dei posti e dei luoghi di lavoro, nonché
______________________
(1) G.U. C 77 del 18/3/1993, pag. 12 e G.U. C 230 del 19/8/1994,
pag. 3.
(2) G.U. C 249 del 13/9/1993, pag. 28.
(3) Parere del Parlamento europeo del 20 aprile 1994 (G.U. C128
del 9/5/1994, pag. 146), confermato il 16 settembre 1999 (G.U. C54
del 25/2/2000, pag. 75), posizione comune del Consiglio del 29
ottobre 2001 (G.U. C 45 E del 19/2/2002, pag. 41) e decisione del
Parlamento europeo del 13 marzo 2002 (non ancora pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale).
(4) G.U. L 137 del 24/5/1986, pag. 28. Direttiva modificata da
ultimo dalla direttiva 98/24/CE (G.U. L 131 del 5/5/1998, pag. 11).
(5) G.U. C 28 del 3/2/1988, pag. 3.
(6) G.U. C 28 del 3/2/1988, pag. 1.
(7) G.U. C 260 del 15/10/1990, pag. 167.
(8) G.U. L 177 del 6/7/2002, pag. 13.
22 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

attraverso la scelta delle attrezzature, dei procedimenti
e dei metodi di lavoro, allo scopo di ridurre in via
prioritaria i rischi alla fonte. Disposizioni relative alle
attrezzature e ai metodi di lavoro contribuiscono quindi
alla protezione dei lavoratori che ne fanno uso. In conformità
dei principi generali di prevenzione di cui all’articolo
6, paragrafo 2, della direttiva 89/391/CEE del
Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione
di misure volte a promuovere il miglioramento della
sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro
(1) , le misure di protezione collettiva hanno priorità
rispetto alle misure di protezione individuale.
(11) Il codice dei livelli sonori a bordo delle navi
della risoluzione dell’Organizzazione marittima internazionale
A 468 (12) contiene orientamenti per conseguire
una riduzione dei rumori alla fonte a bordo delle
navi. Gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati a
prevedere un periodo transitorio in riferimento agli equipaggi
delle navi marittime.
(12) Al fine di valutare correttamente l’esposizione dei
lavoratori al rumore, è utile applicare un metodo di misurazione
oggettivo e, pertanto, viene fatto riferimento allo
standard generalmente riconosciuto ISO 1999:1990. I valori
riscontrati o oggettivamente misurati dovrebbero essere
decisivi per avviare le azioni previste per i valori superiori
e inferiori di esposizione che fanno scattare l’azione.
Valori limite di esposizione sono necessari per evitare
danni irreversibili all’udito dei lavoratori; il livello di rumore
che raggiunge l’orecchio dovrebbe restare al di sotto dei
valori limite di esposizione.
(13) Le particolari caratteristiche dei settori della musica
e dell’intrattenimento richiedono orientamenti pratici
per consentire un’applicazione efficace delle disposizioni
stabilite dalla presente direttiva. Gli Stati membri
dovrebbero essere autorizzati ad usufruire di un periodo
transitorio per la definizione di un codice di condotta
recante orientamenti pratici volti ad aiutare i lavoratori e
i datori di lavoro che operano in tali settori a raggiungere
i livelli di protezione stabiliti dalla presente direttiva.
(14) È necessario che i datori di lavoro si adeguino ai
progressi tecnici e alle conoscenze scientifiche per quanto
riguarda i rischi derivanti dall’esposizione al rumore,
in vista del miglioramento della protezione della sicurezza
e della salute dei lavoratori.
(15) Poiché la presente direttiva è una direttiva particolare
ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva
89/391/CEE, quest’ultima si applica al settore dell’esposizione
dei lavoratori al rumore, fatte salve disposizioni
più rigorose e/o specifiche contenute nella presente
direttiva.
(16) La presente direttiva costituisce un elemento
concreto nel quadro della realizzazione della dimensione
sociale del mercato interno.
(17) Le misure necessarie per l’attuazione della presente
direttiva sono adottate in conformità della decisione
1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999,
recante modalità per l’esercizio delle competenze di
esecuzione conferite alla Commissione (2) ,
IGIENE E SICUREZZA
RUMORE
Legislazione
HANNO ADOTTATO
LA PRESENTE DIRETTIVA:
SEZIONE I
DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 1
Oggetto e campo di applicazione
1. La presente direttiva, che è la diciassettesima
direttiva particolare a norma dell’articolo 16, paragrafo
1, della direttiva 89/391/CEE, stabilisce prescrizioni
minime di protezione dei lavoratori contro i rischi per la
loro salute e sicurezza che derivano, o possono derivare,
dall’esposizione al rumore e, segnatamente, contro il
rischio per l’udito.
2. Le prescrizioni della presente direttiva si applicano
alle attività in cui i lavoratori sono esposti o possono
essere esposti a rischi derivanti dal rumore durante il
lavoro.
3. La direttiva 89/391/CEE si applica integralmente
all’insieme del settore definito nel paragrafo 1, fatte
salve le disposizioni più rigorose e/o specifiche contenute
nella presente direttiva.
Articolo 2
Definizioni
A fini della presente direttiva, i parametri fisici utilizzati
quali indicatori del rischio sono definiti nel modo
seguente:
a) pressione acustica di picco (ppeak): valore massimo
della pressione acustica istantanea ponderata con
frequenza “C “;
b) livello di esposizione giornaliera al rumore (LEX,
8h):[dB(A)re. 20 µPa]: valore medio, ponderato in funzione
del tempo, dei livelli di esposizione al rumore per
una giornata lavorativa nominale di otto ore, definito
dalla norma internazionale ISO 1999:1990 punto 3,
paragrafo 6. Si riferisce a tutti i rumori sul lavoro,
incluso il rumore impulsivo;
c) livello di esposizione settimanale al rumore (LEX,
8h): valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei
livelli di esposizione giornaliera al rumore per una settimana
nominale di cinque giornate lavorative di otto ore,
definito dalla norma internazionale ISO 1999:1990 punto
3, paragrafo 6 (nota 2).
Articolo 3
Valori limite di esposizione e valori di esposizione
che fanno scattare l’azione
1. Ai fini della presente direttiva i valori limite di
esposizione e i valori di esposizione che fanno scattare
l’azione in relazione al livello di esposizione giornaliera
al rumore e alla pressione acustica di picco sono
fissati a:
a) Valori limite di esposizione:
_____________________
(1) G.U. L 183 del 29/6/1989, pag. 1.
(2) G.U. L 184 del 17/7/1999, pag. 23.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 23

RUMORE
Legislazione
LEX,8h = 87 dB(A) e ppeak = 200 Pa (1) rispettivamente;
b) Valori superiori di esposizione che fanno scattare
l’azione:
LEX,8h = 85 dB(A) e ppeak = 140 Pa (2) rispettivamente;
c) Valori inferiori di esposizione che fanno scattare
l’azione:
LEX,8h = 80 dB(A) e ppeak = 112 Pa (3) rispettivamente.
2. Nell’applicare i valori limite di esposizione, la
determinazione dell’effettiva esposizione del lavoratore
tiene conto dell’attenuazione prodotta dai dispositivi
individuali di protezione dell’udito indossati dal lavoratore.
I valori di esposizione che fanno scattare l’azione
non tengono conto dell’effetto dei suddetti dispositivi.
3. In circostanze debitamente giustificate, per le attività
in cui l’esposizione giornaliera al rumore varia significativamente,
da una giornata di lavoro all’altra, gli Stati membri
possono permettere che, ai fini dell’applicazione dei
valori limite di esposizione e dei valori di esposizione che
fanno scattare l’azione, il livello di esposizione giornaliera
al rumore sia sostituito dal livello di esposizione settimanale
al rumore per valutare i livelli di rumore cui sono
esposti i lavoratori, a condizione che:
a) il livello di esposizione settimanale al rumore,
come dimostrato da un controllo idoneo, non ecceda il
valore limite di esposizione di 87 dB(A); e
b) siano adottate adeguate misure per ridurre al minimo
i rischi associati a tali attività.
SEZIONE II
OBBLIGHI DEI DATORI DI LAVORO
Articolo 4
Identificazione e valutazione dei rischi
1. Nell’assolvere gli obblighi di cui all’articolo 6,
paragrafo 3, e all’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva
89/391/CEE, il datore di lavoro valuta e, se del caso,
misura i livelli di rumore cui i lavoratori sono esposti.
2. I metodi e le apparecchiature utilizzate sono adattati
alle condizioni prevalenti in particolare alla luce delle
caratteristiche del rumore da misurare, della durata dell’esposizione,
dei fattori ambientali e delle caratteristiche
dell’apparecchio di misurazione.
Tali metodi ed apparecchiature consentono di determinare
i parametri di cui all’articolo 2 e di decidere se,
nel caso specifico, siano stati superati i valori fissati
all’articolo 3.
3. I metodi utilizzati possono includere la campionatura,
che sarà rappresentativa dell’esposizione del lavoratore.
4. La valutazione e la misurazione di cui al paragrafo
1 devono essere programmate ed effettuate dai servizi
competenti a intervalli idonei tenendo conto, segnatamente,
delle disposizioni relative alle competenze richieste
(persone o servizi) di cui all’articolo 7 della
IGIENE E SICUREZZA
direttiva 89/391/CEE. I dati ottenuti dalla valutazione
e/o misurazione del livello di esposizione al rumore
sono conservati in forma idonea per consentirne la successiva
consultazione.
5. Nell’applicare il presente articolo la valutazione
dei risultati delle misurazioni tiene conto delle imprecisioni
delle misurazione stesse determinate secondo la
prassi metrologica.
6. In applicazione delle disposizioni dell’articolo 6,
paragrafo 3, della direttiva 89/391/CEE, il datore di
lavoro, in occasione della valutazione dei rischi, presta
particolare attenzione ai seguenti elementi:
a) il livello, il tipo e la durata dell’esposizione, ivi
inclusa ogni esposizione a rumore impulsivo;
b) i valori limite di esposizione e i valori di esposizione
che fanno scattare l’azione e di cui all’articolo 3
della presente direttiva;
c) tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori
appartenenti a gruppi a rischio particolarmente esposti;
d) per quanto possibile a livello tecnico, tutti gli
effetti sulla salute e sicurezza dei lavoratori derivanti da
interazioni fra rumore e sostanze ototossiche connesse
con l’attività svolta e fra rumore e vibrazioni;
e) tutti gli effetti indiretti sulla salute e sulla sicurezza
dei lavoratori risultanti da interazioni fra rumore e
segnali di avvertimento o altri suoni che vanno osservati
al fine di ridurre il rischio di infortuni;
f) le informazioni sull’emissione di rumore fornite
dai costruttori dell’attrezzatura di lavoro in conformità
delle direttive comunitarie in materia;
g) l’esistenza di attrezzature di lavoro alternative
progettate per ridurre l’emissione di rumore;
h) l’estensione del periodo di esposizione al rumore
oltre l’orario di lavoro normale, sotto la responsabilità
del datore di lavoro;
i) per quanto possibile, informazioni adeguate raccolte
dal controllo sanitario, comprese le informazioni pubblicate;
j) la disponibilità di dispositivi di protezione dell’udito
con adeguate caratteristiche di attenuazione.
7. Il datore di lavoro deve essere in possesso di
una valutazione dei rischi a norma dell’articolo 9,
paragrafo 1, lettera a), della direttiva 89/391/CEE e
precisare quali misure devono essere adottate a norma
degli articoli 5, 6, 7 e 8 della presente direttiva.
La valutazione dei rischi è riportata su un supporto
appropriato, conformemente alle legislazioni e prassi
nazionali.
La valutazione dei rischi è regolarmente aggiornata,
in particolare se vi sono stati notevoli mutamenti
che potrebbero averla resa superata, oppure
quando i risultati del controllo sanitario lo rendano
necessario.
_____________________
(1) 140 dB(A)20 µPa.
(2) 137 dB(A)20 µPa.
(3) 135 dB(A)20 µPa.
24 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

Articolo 5
Disposizioni miranti ad escludere
o a ridurre l’esposizione
1. Tenuto conto del progresso tecnico e della disponibilità
di misure per controllare il rischio alla fonte, i
rischi derivanti dall’esposizione al rumore sono eliminati
alla fonte o ridotti al minimo.
La riduzione di tali rischi si basa sui principi generali di
prevenzione di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva
89/391/CEE e tiene conto in particolare:
a) di altri metodi di lavoro che implicano una minore
esposizione al rumore;
b) della scelta di attrezzature di lavoro adeguate,
tenuto conto del lavoro da svolgere, che emettano il
minor rumore possibile, inclusa l’eventualità di rendere
disponibili ai lavoratori attrezzature di lavoro soggette
alle disposizioni comunitarie il cui obiettivo o effetto è
di limitare l’esposizione al rumore;
c) della progettazione e della struttura dei luoghi e
delle postazioni di lavoro;
d) dell’opportuna informazione e formazione, al fine di
istruire i lavoratori, sull’utilizzo corretto delle attrezzature di
lavoro per ridurre al minimo la loro esposizione al rumore;
e) delle misure tecniche per il contenimento del rumore:
i) contenimento dei rumori aerei, ad esempio mediante
schermature, involucri o rivestimenti realizzati con
materiali fonoassorbenti;
ii) contenimento del rumore strutturale, ad esempio
mediante sistemi di smorzamento o di isolamento;
f) degli opportuni programmi di manutenzione delle
attrezzature di lavoro, del posto di lavoro e dei sistemi
sul posto di lavoro;
g) della riduzione del rumore mediante una migliore
organizzazione del lavoro:
i) limitazione della durata e dell’intensità dell’esposizione;
ii) orari di lavoro appropriati, con sufficienti periodi
di riposo.
2. In base alla valutazione dei rischi di cui all’articolo 4,
se i valori superiori di esposizione che fanno scattare
l’azione sono superati, il datore di lavoro elabora e applica
un programma di misure tecniche e/o organizzative volte a
ridurre l’esposizione al rumore, considerando in particolare
le misure di cui al paragrafo 1.
3. In base alla valutazione del rischio di cui all’articolo
4, i luoghi di lavoro dove i lavoratori possono essere
esposti a un rumore superiore ai valori superiori di esposizione
che fanno scattare l’azione sono indicati da appositi
segnali. Dette aree sono inoltre delimitate e l’accesso alle
stesse sarà limitato, ove ciò sia tecnicamente possibile e
giustificato dal rischio di esposizione.
4. Nel caso in cui, data la natura dell’attività, il
lavoratore benefici dell’utilizzo di strutture di riposo
sotto la responsabilità del datore di lavoro, il rumore in
queste strutture è ridotto a un livello compatibile con il
loro scopo e le condizioni di utilizzo.
5. In applicazione delle disposizioni dell’articolo 15
della direttiva 89/391/CEE, il datore di lavoro adatta le
IGIENE E SICUREZZA
RUMORE
Legislazione
misure di cui al presente articolo ai requisiti fissati per i
lavoratori appartenenti a gruppi a rischio particolarmente
sensibili.
Articolo 6
Protezione individuale
1. Qualora i rischi derivanti dall’esposizione al
rumore non possano essere evitati con altri mezzi,
dispositivi individuali di protezione dell’udito, appropriati
e correttamente adottati, sono resi disponibili
ai lavoratori e usati dagli stessi in base alle disposizioni
della direttiva 89/656/CEE del Consiglio, del
30 novembre 1989, relativa ai requisiti minimi di
sicurezza e di salute per l’uso delle attrezzature di
lavoro da parte dei lavoratori durante il lavoro (terza
direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo
1, della direttiva 89/391/CEE) (1) , e dell’articolo
13, paragrafo 2, della direttiva 89/391/CEE e alle
condizioni di seguito riportate:
a) nel caso in cui l’esposizione al rumore superi i valori
inferiori di esposizione che fanno scattare l’azione, il datore
di lavoro mette a disposizione dei lavoratori dispositivi
individuali di protezione dell’udito;
b) nel caso in cui l’esposizione al rumore sia pari o
superiore ai valori superiori di esposizione che fanno
scattare l’azione, vengono utilizzati dispositivi individuali
di protezione dell’udito;
c) sono scelti i dispositivi individuali di protezione
dell’udito che consentono di eliminare il rischio per
l’udito o di ridurlo al minimo.
2. Il datore di lavoro fa tutto il possibile per assicurare
che vengano indossati i dispositivi di protezione dell’udito
ed è tenuto a verificare l’efficacia delle misure adottate in
applicazione del presente articolo.
Articolo 7
Limitazione dell’esposizione
1. In nessun caso l’esposizione del lavoratore stabilita
in conformità dell’articolo 3, paragrafo 2, può superare
i valori limite di esposizione.
2. Se, nonostante le misure prese in applicazione
della presente direttiva, si individuano esposizioni superiori
ai valori limite di esposizione, il datore di lavoro:
a) adotta misure immediate per riportare l’esposizione
al di sotto dei valori limite di esposizione;
b) individua le cause dell’esposizione eccessiva; e
c) modifica le misure di protezione e di prevenzione
per evitare che la situazione si ripeta.
Articolo 8
Informazione e formazione dei lavoratori
Fatti salvi gli articoli 10 e 12 della direttiva 89/391/ CEE,
il datore di lavoro garantisce che i lavoratori esposti sul
luogo di lavoro a rumore pari o superiore ai valori
_____________________
(1) G.U. L 393 del 30/12/1989, pag. 18.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25

RUMORE
Legislazione
inferiori di esposizione che fanno scattare l’azione ricevano
informazioni e formazione in relazione ai rischi provenienti
dall’esposizione al rumore, con particolare riguardo:
a) alla natura di detti rischi;
b) alle misure adottate in applicazione della presente
direttiva volte a eliminare o ridurre al minimo il rischio
derivante dal rumore, incluse le circostanze in cui si
applicano dette misure;
c) ai valori limite di esposizione e ai valori di esposizione
che fanno scattare l’azione di cui all’articolo 3
della presente direttiva;
d) ai risultati delle valutazioni e misurazioni del rumore
effettuate in applicazione dell’articolo 4 della presente
direttiva insieme a una spiegazione del loro significato e
dei rischi potenziali;
e) all’uso corretto dei dispositivi di protezione dell’udito;
f) all’utilità e ai mezzi impiegati per individuare e
segnalare sintomi di danni all’udito;
g) alle circostanze nelle quali i lavoratori hanno diritto
a un controllo sanitario e all’obiettivo del controllo sanitario,
ai sensi dell’articolo 10 della presente direttiva;
h) alle procedure di lavoro sicure per ridurre al minimo
l’esposizione al rumore.
Articolo 9
Consultazione e partecipazione dei lavoratori
La consultazione e la partecipazione dei lavoratori
e/o dei loro rappresentanti hanno luogo in conformità
dell’articolo 11 della direttiva 89/391/CEE sulle materie
oggetto della presente direttiva, in particolare:
- la valutazione dei rischi e la definizione delle misure
da adottare, previste all’articolo 4,
- le disposizioni volte a eliminare o a ridurre i rischi
derivanti dall’esposizione al rumore, previste all’articolo 5,
- la scelta di dispositivi individuali di protezione
dell’udito, previsti all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c).
SEZIONE III
DISPOSIZIONI VARIE
Articolo 10
Controllo sanitario
1. Fatto salvo l’articolo 14 della direttiva 89/391/CEE,
gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire
l’adeguato controllo sanitario dei lavoratori allorché
dall’esito della valutazione e misurazione di cui all’articolo
4, paragrafo 1, della presente direttiva risulti un rischio
per la loro salute.
Dette misure, compresi i requisiti specificati per la documentazione
medica e la relativa disponibilità, sono introdotte
in base alle legislazioni e/o prassi nazionali.
2. Il lavoratore la cui esposizione al rumore supera i
valori superiori di esposizione che fanno scattare l’azione
ha diritto a sottoporsi ad un controllo del proprio udito
effettuato da un medico o da una persona debitamente
qualificata sotto la responsabilità di un medico, in base alle
legislazioni e/o prassi nazionali. Test audiometrici preven-
IGIENE E SICUREZZA
tivi sono disponibili anche per i lavoratori la cui esposizione
supera i valori inferiori di esposizione che fanno scattare
l’azione nel caso in cui la valutazione e la misurazione
previste all’articolo 4, paragrafo 1, rivelino un rischio per
la salute. Detti controlli hanno quali obiettivi la diagnosi
precoce di ogni diminuzione dell’udito dovuta al rumore e
la conservazione della funzione uditiva.
3. Gli Stati membri prendono le misure atte a garantire
che, per ciascun lavoratore sottoposto a controllo a norma
dei paragrafi 1 e 2, sia tenuta e aggiornata una documentazione
medica individuale. La documentazione medica contiene
un sommario dei risultati del controllo sanitario effettuato.
Essa è conservata in una forma idonea, che ne
consenta la successiva consultazione, nel rispetto del segreto
medico. Su richiesta è fornita alle autorità competenti
copia della documentazione appropriata. Il singolo lavoratore
ha accesso, su richiesta, alla documentazione medica
che lo riguarda personalmente.
4. Nel caso in cui dal controllo sanitario della funzione
uditiva risulti che un lavoratore soffre di un danno all’udito
identificabile, un medico o uno specialista, se il medico
lo ritiene necessario, valuta se tale danno deriva dall’esposizione
al rumore sul luogo di lavoro. Se l’esito è positivo:
a) il lavoratore è informato dal medico o da altra persona
debitamente qualificata dei risultati che lo riguardano
personalmente;
b) il datore di lavoro:
i) riesamina la valutazione del rischio effettuata a norma
dell’articolo 4;
ii) riesamina le misure volte a eliminare o ridurre i
rischi a norma degli articoli 5 e 6;
iii) tiene conto del parere dello specialista di medicina
del lavoro o di una persona debitamente qualificata, ovvero
dell’autorità competente, nell’attuazione delle misure
necessarie per eliminare o ridurre il rischio a norma degli
articoli 5 e 6, compresa la possibilità di assegnare il lavoratore
ad attività alternative che non comportano rischio di
ulteriore esposizione;
iv) pone in atto un controllo sanitario sistematico e prende
misure affinché sia riesaminato lo stato di salute di tutti
gli altri lavoratori che hanno subito un’esposizione simile.
Articolo 11
Deroghe
1. In situazioni eccezionali in cui, per la natura del lavoro,
l’utilizzazione completa ed appropriata di dispositivi individuali
di protezione dell’udito potrebbe comportare rischi
per la salute o la sicurezza maggiori rispetto a quanto accadrebbe
senza l’utilizzazione di detti dispositivi, gli Stati
membri possono concedere deroghe alle disposizioni dell’articolo
6, paragrafo 1, lettere a) e b), e dell’articolo 7.
2. Le deroghe di cui al paragrafo 1 sono concesse dagli
Stati membri in seguito alla consultazione delle parti sociali
e, ove opportuno, delle autorità mediche competenti,
conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali. Tali
deroghe devono essere affiancate da condizioni che garantiscano,
tenuto conto delle particolari circostanze, che i
26 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

ischi derivanti sono ridotti al minimo e che i lavoratori
interessati sono sottoposti a un maggiore controllo sanitario.
Tali deroghe sono riesaminate ogni quattro anni e sono
abrogate non appena le circostanze che le hanno giustificate
cessano di sussistere.
3. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione ogni
quattro anni un elenco delle deroghe di cui al paragrafo 1,
indicando le ragioni e le circostanze precise che li hanno
indotti a decidere la concessione di tali deroghe.
Articolo 12
Modifiche tecniche
Le modifiche di carattere strettamente tecnico sono
adottate in conformità della procedura di regolamentazione
di cui all’articolo 13, paragrafo 2, e conformemente:
a) all’adozione di direttive in materia di armonizzazione
tecnica e normalizzazione riguardanti la progettazione,
la costruzione, la fabbricazione o la realizzazione
di attrezzature e/o luoghi di lavoro;
b) al progresso tecnico, all’evoluzione delle norme o
specifiche europee armonizzate più appropriate e alle
nuove conoscenze relative al rumore.
Articolo 13
Comitato
1. La Commissione è assistita da un comitato istituito
a norma dell’articolo 17 della direttiva 89/391/CEE.
2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo
si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE
del Consiglio tenendo conto delle disposizioni dell’articolo
8 della stessa. Il periodo di cui all’articolo 5, paragrafo 6,
della decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.
3. Il comitato adotta il proprio regolamento interno.
Articolo 14
Codice di condotta
Nel quadro dell’applicazione della presente direttiva gli
Stati membri, in consultazione con le parti sociali, redigono,
conformemente alla legislazione e alle prassi nazionali,
un codice di condotta recante orientamenti pratici volti
ad aiutare i lavoratori e i datori di lavoro dei settori della
musica e delle attività ricreative ad adempiere i loro obblighi
giuridici stabiliti dalla presente direttiva.
Articolo 15
Abrogazione
La direttiva 86/188/CEE è abrogata a decorrere dalla
data prevista dall’articolo 17, paragrafo 1, primo comma.
SEZIONE IV
DISPOSIZIONI FINALI
Articolo 16
Relazione
Ogni cinque anni gli Stati membri presentano alla
Commissione una relazione sull’applicazione pratica del-
IGIENE E SICUREZZA
RUMORE
Legislazione
la presente direttiva, indicando le considerazioni espresse
dalle parti sociali.
Essa contiene una descrizione delle migliori prassi
volte a prevenire il rumore avente effetti dannosi sulla
salute e di altre forme di organizzazione del lavoro,
nonché dell’azione intrapresa dagli Stati membri per diffondere
la conoscenza di dette migliori prassi.
Sulla base di tali relazioni la Commissione effettua
una valutazione complessiva dell’attuazione della presente
direttiva, anche sulla scorta della ricerca e delle informazioni
scientifiche, tenendo conto fra l’altro delle implicazioni
della presente direttiva per il settore della musica
e dell’intrattenimento. La Commissione informa in merito
il Parlamento europeo, il Consiglio, il Comitato economico
e sociale e il Comitato consultivo per la sicurezza,
l’igiene e la tutela della salute sul luogo di lavoro e, se
necessario, propone modifiche.
Articolo 17
Recepimento
1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi
alla presente direttiva anteriormente al 15 febbraio
2006. Essi ne informano immediatamente la Commissione.
Quando gli Stati membri adottano dette disposizioni,
queste contengono un riferimento alla presente direttiva
o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della
pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono
decise dagli Stati membri.
2. Per tener conto di condizioni particolari gli Stati
membri possono disporre se necessario di cinque anni
supplementari, a partire dal 15 febbraio 2006, ovvero
complessivamente di otto anni al massimo, per attuare
le disposizioni dell’articolo 7 relative al personale marittimo
imbarcato.
Al fine di consentire l’elaborazione di un codice di
condotta recante orientamenti pratici volti all’applicazione
delle disposizioni della presente direttiva, gli Stati membri
sono autorizzati ad usufruire di un periodo transitorio massimo
di due anni, a partire dal 15 febbraio 2006, ovvero
complessivamente di cinque anni dall’entrata in vigore
della direttiva, per conformarsi alla presente direttiva per
quanto riguarda i settori della musica e dell’intrattenimento,
a condizione che durante tale periodo siano mantenuti i
livelli di protezione già raggiunti nei singoli Stati membri
per il personale che lavora in tali settori.
3. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il
testo delle disposizioni di diritto interno già adottate o che
essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva.
Articolo 18
Entrata in vigore
La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea.
Articolo 19
Destinatari
Gli Stati membri sono destinatari della presente
direttiva. l
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 27

SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Articolo
di Fausto Di Tosto e Lamberto Zilli, Gruppo di lavoro per gli accertamenti tecnici sugli ascensori,
ISPESL
Il controllo del mercato è affidato,
come stabilito dall’articolo
8 del decreto di recepimento
D.P.R. n. 162/1999, al Ministero
delle Attività produttive
e al Ministero del Lavoro e delle
Politiche sociali, tramite apposita
campionatura o su segnalazione.
Le amministrazioni
di questi due Ministeri si avvalgono,
per gli accertamenti
di carattere tecnico, dell’Istituto
Superiore per la Prevenzione
e la Sicurezza del Lavoro
(ISPESL); per dare attuazione
agli obblighi legislativi indicati
dal decreto presidenziale, il Ministero
delle Attività produttive,
Direzione Generale per lo
Sviluppo Produttivo e Competitività,
e l’Istituto hanno stipulato
una convenzione perfezionata
nell’agosto del 2002 in base
alla quale l’ISPESL svolge attività
di accertamento tecnico
a campione degli ascensori
marcati CE e dei relativi componenti
di sicurezza.
IGIENE E SICUREZZA
La direttiva 95/16/CE sugli ascensori marcati CE e il ruolo dell’Istituto nella sorveglianza del mercato
I compiti de l’ISPESL per l’accertamento tecnico
degli ascensori e dei componenti di sicurezza
Osservatorio ISPESL
a cura dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico
Dipartimento Relazioni Esterne
La direttiva ascensori nel
quadro del nuovo approccio
La libera circolazione degli ascensori
e degli altri prodotti industriali
è il principio cardine del mercato
unico europeo. Le procedure messe
a punto per realizzare tale obiettivo
sono finalizzate, tra l’altro, ad impedire
la creazione di nuovi ostacoli
agli scambi commerciali e si basano
sul riconoscimento reciproco e sull’armonizzazione
tecnica.
La creazione di un mercato unico
si basa su una nuova tecnica di regolamentazione
definita del “nuovo approccio”,
i cui principi fondamentali
sono:
l le disposizioni legislative derivanti
dal recepimento delle direttive
fissano i requisiti essenziali di sicurezza
(RES) che gli ascensori e gli
altri prodotti industriali immessi nel
mercato nella Comunità devono possedere
per poter circolare liberamente
all’interno della Comunità stessa;
l lo stato dell’arte per la realizzazione
degli ascensori rispondenti ai requisiti
essenziali fissati nelle direttive
è definito nelle norme armonizzate;
l l’applicazione di norme armonizzate
o di altro genere rimane volontaria
e il fabbricante o l’installatore
dell’ascensore può sempre applicare
altre soluzioni tecniche per soddisfare
i requisiti previsti;
l il fabbricante del componente di
sicurezza e/o l’installatore dell’ascensore
hanno l’obbligo di effet-
tuare una valutazione dei rischi per
individuare tutti quelli che concernono
il loro prodotto; devono, inoltre,
progettarlo e costruirlo tenendo presente
tale valutazione;
l i prodotti fabbricati nel rispetto
delle norme armonizzate sono ritenuti
conformi ai corrispondenti requisiti
essenziali di sicurezza.
Il fabbricante dei componenti o
l’installatore dell’ascensore, apponendo
il marchio CE, ne garantisce
la rispondenza ai requisiti essenziali
di sicurezza previsti dalle direttive.
A tal fine adotta le procedure di
valutazione della conformità della
direttiva, la quale prevede in alcuni
casi l’intervento di organismi di certificazione
notificati (O.N.) dagli
Stati membri.
Procedure di valutazione
della conformità
Ai fini della marcatura CE, il
nuovo approccio suddivide la procedura
di valutazione della conformità
in una serie di operazioni contenute
nei cosiddetti “moduli di valutazione”,
che differiscono tra loro in base
alla fase di sviluppo del prodotto
(ad esempio, progettazione, prototipo,
produzione), o al tipo di valutazione
effettuata (controllo della documentazione,
approvazione del tipo,
valutazione dei sistemi di qualità).
La struttura e le procedure di carattere
generale in materia di valuta-
28 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

zione della conformità da utilizzare
nelle direttive del nuovo approccio,
sono state fissate nella decisione
93/465/CEE del consiglio del 22 luglio
1993.
Le direttive, tra cui quella relativa
agli ascensori, emanate successivamente
alla decisione suddetta, stabiliscono
quali sono i moduli applicabili
alle varie fasi di sviluppo del
singolo prodotto e al tipo di valutazione
indicando le possibili combinazioni
dei moduli ammessi.
Controllo del mercato
e clausola di salvaguardia
Il controllo del mercato ha lo scopo
di garantire il rispetto delle disposizioni
delle direttive in tutta la comunità.
Gli Stati membri devono adottare
tutte le misure necessarie al fine
di vietare o limitare l’immissione
nel mercato di prodotti industriali
(macchine, ascensori ecc, muniti di
marcatura CE) o di ritirarli dal mercato
qualora essi, se utilizzati ai fini
previsti, possano compromettere la
sicurezza o la salute delle persone o
altri interessi pubblici di cui alle
direttive applicabili.
Gli Stati membri devono, inoltre,
informare la Commissione delle misure
adottate; se la Commissione ritiene
che la misura nazionale sia
giustificata, informa gli altri Stati
membri che devono intervenire in
maniera adeguata alla luce dell’obbligo
generale loro imposto di applicare
la normativa comunitaria.
Il compito di sorvegliare il mercato
spetta alle autorità pubbliche, soprattutto
per garantire l’imparzialità
nelle attività di controllo.
Ciascuno Stato membro può decidere
l’infrastruttura del sistema di
sorveglianza del mercato.
Per questo motivo le infrastrutture
giuridiche e amministrative di sorveglianza
del mercato sono diverse
da uno Stato membro all’altro e ciò
rende, in particolare, necessaria
l’esistenza di un’efficiente collaborazione
a livello amministrativo tra
le autorità nazionali competenti che
IGIENE E SICUREZZA
consenta di garantire un livello di
controllo equivalente in tutta la Comunità,
anche se la competenza della
sorveglianza del mercato si limita
al territorio di ciascuno Stato membro.
Per quanto riguarda il personale,
le autorità devono disporre di un
numero sufficiente di persone in
possesso di qualifiche ed esperienza
adeguate e della necessaria formazione
professionale.
La direttiva 95/16/CE
e il ruolo dell’ISPESL
Tutti i principi sopra esposti si
ritrovano nella direttiva ascensori
95/16/CE recepita in Italia con il
D.P.R. 30 aprile 1999, n. 162.
Per quanto riguarda i moduli di
valutazione della conformità degli
ascensori e dei componenti di sicurezza,
in tabella 1 è riportata una
descrizione dei moduli di valutazione
ammessi, mentre in tabella 2 e
figura 1 è riportato il quadro riepilogativo
delle combinazioni possibili
in base alla fase di sviluppo del prodotto
(progettazione, prototipo, produzione),
o al tipo di valutazione
effettuata (controllo della documentazione,
approvazione del tipo, valutazione
dei sistemi di qualità).
Per quanto riguarda il controllo
del mercato, il decreto di recepimento
D.P.R. n. 162/1999, art. 8, affida
tale compito al Ministero delle Attività
Produttive ed al Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali, tramite
apposita campionatura o su segnalazione.
Le amministrazioni suddette si
avvalgono per gli accertamenti di
carattere tecnico dell’Istituto Superiore
per la Prevenzione e la Sicurezza
del Lavoro (ISPESL).
Per dare attuazione agli obblighi
legislativi indicati, il Ministero delle
Attività Produttive, Direzione Generale
per lo Sviluppo Produttivo e
Competitività, e l’ISPESL, hanno
stipulato una convenzione perfezionata
nell’agosto del 2002.
In base a detta convenzione,
l’ISPESL svolge attività di accerta-
SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Articolo
mento tecnico a campione ai fini
del controllo del mercato degli
ascensori marcati CE e dei relativi
componenti di sicurezza. Al riguardo
l’ISPESL richiede fascicoli tecnici
ai soggetti interessati e interviene
presso i luoghi dove sono installati
gli ascensori commercializzati e
messi in servizio secondo le procedure
della direttiva 95/16/CE.
Inoltre l’ISPESL è autorizzato a
predisporre, in nome e per conto
del Ministero delle Attività Produttive,
una banca dati sulle certificazioni
CE eseguite dagli organismi
notificati e dalle ditte installatrici
che operano con sistema di qualità,
utilizzando i supporti magnetici inviati
trimestralmente dagli organismi
notificati, previo aggiornamento
del formato secondo le esigenze
operative.
La banca dati di cui sopra è finalizzata,
per una parte, alla gestione
degli accertamenti tecnici connessi
all’attività di sorveglianza del mercato
di cui all’art. 8 del D.P.R. n.
162/1999.
Inoltre, essa è finalizzata alla valutazione
dell’attività di verifica periodica
e straordinaria, svolta dagli
organismi ai sensi degli articoli 13 e
14 del D.P.R. n. 162/1999, nonché
all’esame delle modalità operative e
gestionali del servizio eseguito dagli
organismi medesimi. Al riguardo
l’ISPESL esegue anche controlli
casuali sugli impianti.
Le attività suddette sono eseguite
in collegamento e in modo coordinato
con il Ministero delle Attività
Produttive, al quale verranno inviati
periodicamente gli esiti degli accertamenti
eseguiti dall’ISPESL per i
provvedimenti di competenza.
L’attività di accertamento tecnico
per la sorveglianza del mercato
prevista dalla convenzione è condotta
dall’ISPESL tramite un Gruppo
di lavoro per gli accertamenti tecnici
sugli ascensori (denominato
GLAT-Ascensori) costituito ad hoc
e istituito con la circolare n.
43/2001 del direttore dell’Istituto.
L’attività è svolta tramite un te-
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 29

SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Articolo
Giulio Lusardi, direttore dipartimento
ISPESL di Palermo
Franco Pagani
Decreto del Presidente della Repubblica
7 maggio 2002, n. 129
am di ingegneri distribuiti su tutto il
territorio nazionale (dislocati nei Dipartimenti
periferici) depositari dell’esperienza
accumulata in decenni
di attività di controlli e collaudi eseguiti
dall’ISPESL.
Il personale incaricato degli accertamenti
partecipa periodicamente a seminari
di studio e aggiornamento sull’evoluzione
normativa europea.
Il GLAT-Ascensori promuove
inoltre iniziative volte a uniformare
Articoli
In attesa della proroga al 30 settembre 2002
alcuni chiarimenti sul rilascio delle licenze d’esercizio
Adeguamento ascensori e primo collaudo: il 30
giugno scade il termine
Legislazione
Regolamento recante ulteriore modifica al decreto
del Presidente della Repubblica 30 aprile 1999,
n. 162, in materia di collaudo degli ascensori
le attività connesse agli accertamenti
tecnici.
L’attività viene coordinata centralmente
attraverso il Dipartimento
Omologazione e Certificazione e il
Dipartimento Tecnologie di Sicurezza
dell’ISPESL.
Tutte le attività di pertinenza del
GLAT-Ascensori sono gestite mediante
un proprio Sistema di Gestione
per la Qualità, in ottemperanza alle
norme UNI EN ISO 9001: 2000.
in Ambiente&Sicurezza n.
6/2002, pag. 18
in Ambiente&sicurezza n.
12/2001, pag. 46
in Ambiente&Sicurezza n.
15/2002, pag. 31
Componenti di sicurezza
Allegato - Modulo Attività
Allegato V - (modulo B) Esame CE del tipo eseguito da O.N.
Allegato VIII - (modulo E)
Valutazione e sorveglianza del sistema qualità prodotti (prove finali) del
fabbricante del componente, eseguita da O.N.
Allegato IX - (modulo H)
Valutazione e sorveglianza del sistema qualità totale (progetto, produzione,
prove finali) del fabbricante del componente, eseguita da O.N.
Allegato XI - (modulo C) Conformità al tipo con controllo a campione, eseguito da O.N.
Ascensori
Allegato - Modulo Attività
Allegato V - (modulo B) Esame CE del tipo o modello di ascensore eseguito da O.N.
Allegato VI - (modulo F) Esame finale di ascensore conforme a tipo o modello, eseguito da O.N.
Allegato X - (modulo G) Verifica di un unico prodotto di ascensore, eseguita da O.N.
Allegato XII - (modulo E)
Allegato XIII - (modulo H)
Allegato XIV - (modulo D)
IGIENE E SICUREZZA
La sicurezza degli ascensori
in Ambiente&Sicurezza 2002
Direttiva 95/16/CE procedure
di valutazione della conformità
TABELLA 1
Valutazione e sorveglianza del sistema qualità prodotti (collaudo finale)
dell’installatore di ascensori, eseguita da O.N
Valutazione e sorveglianza del sistema qualità totale (progetto, produzione,
collaudo finale) dell’installatore di ascensori, eseguita da O.N.
Valutazione e sorveglianza del sistema qualità produzione (produzione,
collaudo finale) dell’installatore di ascensori, eseguita da O.N.
In definitiva, l’attività dell’Istituto
si svolge principalmente attraverso le
seguenti linee programmatiche: gestione
riservata della banca dati sopra
menzionata, formazione periodica del
campione di ascensori da controllare,
esecuzione degli accertamenti tecnici
da parte dei Dipartimenti periferici
ISPESL, formazione dei rapporti da
inviare al Ministero delle Attività Produttive
relativi agli esiti degli accertamenti
eseguiti. l
30 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

IGIENE E SICUREZZA
Direttiva 95/16/CE combinazioni delle procedure
(Progetto + Produzione e Collaudo)
Componenti di sicurezza
Progetto
Produzione
e prove finali
Attività Direttiva 95/16/CE
V-A XI Esame CE del tipo + Conformità al tipo con
controllo a campione, eseguiti da O.N.
art. 8.1 a) i)
V-A VIII Esame CE del tipo eseguito da O.N. + Prove
finali sui prodotti eseguite dal fabbricante
dotato di sistema qualità prodotti.
UNI EN ISO 9003
IX IX Progettazione, produzione e prove finali eseguite
dal fabbricante dotato di sistema qualità
totale.
UNI EN ISO 9001
Ascensori
Progetto
Produzione
e collaudo finale
V-B VI Esame CE del tipo o modello di ascensore +
Conformità al tipo con collaudo, eseguiti
da O.N.
art. 8.1 a) ii)
art. 8.1 a) iii)
Attività Direttiva 95/16/CE
V-B XII Esame CE del tipo o modello di ascensore
eseguito da O.N. + Collaudo finale eseguito
dall’installatore dell’ascensore dotato di sistema
qualità prodotti.
UNI EN ISO 9003
V-B XIV Esame CE del tipo o modello di ascensore
eseguito da O.N. + Controllo della produzione
e collaudo finale eseguiti dall’ installatore
dell’ascensore dotato di sistema qualità produzione.
UNI EN ISO 9002
XIII VI o XII o XIV Progetto eseguito dall’installatore dell’ascensore
dotato di sistema qualità totale + Controllo
e collaudo eseguito come una delle tre
procedure suddette.
X X Verifica di ascensore in esemplare unico eseguito
da O.N.
XIII XIII Progettazione, produzione e collaudo finale
eseguiti dall’installatore dell’ascensore dotato
di sistema qualità totale. UNI EN ISO 9001
SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Articolo
art. 8.2 i)
art. 8.2 ii)
art. 8.2 i)
art. 8.2 ii)
art. 8.2 i)
art. 8.2 ii)
art. 8.2 iii)
art. 8.2 iv)
art. 8.2 v)
TABELLA 2
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 31

SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
Articolo
IGIENE E SICUREZZA
32 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

di Gianandrea Gino, consulente sicurezza, igiene del lavoro e protezione ambientale,
Studio Sirt, Milano
A causa delle sue caratteristiche
di reattività e della struttura molecolare,
l’aldeide glutarica o
1,5-pentan-diale, più nota come
glutaraldeide, si è largamente
diffusa nei settori tessile, cartario
e conciario, ma anche nella
sintesi nei processi chimici, come
agente di reticolazione nella
produzione di collanti e adesivi
o plastiche, come indurente dei
tessuti nella microscopia elettronica
o per lo sviluppo di lastre fino
alla disinfezione e alla sterilizzazione
a freddo in ambito sanitario
Tuttavia, l’uso di questa
sostanza non è immune da rischio,
vista la tendenza, una volta
assorbita dalla cute e per inalazione,
a ossidarsi ad acido glutarico,
fino a venire successivamente
metabolizzata, per la
maggior parte, ad anidride carbonica
con un lungo periodo di
eliminazione.
IGIENE E SICUREZZA
Il D.Lgs. n. 25/2002 [1] , attuativo
del titolo VII-bis, D.Lgs. n.
626/1994 sugli agenti chimici,
richiede un attento esame delle numerose
mansioni nelle quali si rende
necessario l’impiego di prodotti
chimici.
In presenza di agenti pericolosi,
le cautele potranno essere ritenute
sufficienti solo all’esito di una verifica
analitica e circostanziata,
con un processo che, senza inopportune
o frettolose semplificazioni,
può consentire, solo in alcuni
casi, di classificare il rischio come
“moderato” ai sensi dell’articolo
art. 72-quinquies, comma 2,
D.Lgs. n. 626/1994 e succ. modd.
Anche in questo caso, però, è
obbligatorio adottare le azioni minime
di prevenzione e protezione
che sono richieste dall’articolo
72-quinquies, comma 1, e cioè:
l il rispetto dei principi generali di
sicurezza e salute di cui all’articolo
3, D.Lgs. n. 626/1994;
l l’eliminazione o la minimizzazione
dei rischi con le misure sintetizzate
in tabella 1.
SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
Tra la normativa di riferimento, il D.Lgs. n. 25/2002, il D.Lgs. n. 334/1999 e il D.M. 14 giugno 2002
Deposito e utilizzo de la glutaraldeide:
procedure per la gestione del rischio
Un riepilogo degli articoli dedicati al rischio chimico in azienda
e alle sostanze pericolose più utilizzate è stato pubblicato a
pag. 34 del n. 1/2003
di Ambiente&Sicurezza
Contrariamente a quanto percepito
da alcuni, solo se tutti questi
interventi si rivelano sufficienti a
ridurre il rischio è possibile classificare
il pericolo come moderato e
non applicare le norme integrative
che, in sintesi, richiedono:
l misure specifiche di protezione e
di prevenzione;
l disposizioni speciali (cioè non già
previste dal D.M. 10 marzo 1998) [2]
in caso di incidenti o di emergenze;
l sorveglianza sanitaria e la predisposizione
delle cartelle sanitarie e
di rischio.
Di seguito, viene preso in considerazione
un agente chimico pericoloso,
la glutaraldeide, che trova
applicazione in molti settori produttivi
e che, per impieghi con
soluzioni diluite, potrebbe costituire
un rischio chimico moderato.
Caratteristiche
La glutaraldeide (C 5H 8O 2), altresì
conosciuta come aldeide glutarica
o 1,5-pentan-diale, appartiene
alla famiglia delle di-aldeidi
alifatiche sature.
[1] «Attuazione della direttiva 98/24/CE sulla protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori contro i rischi derivanti da
agenti chimici durante il lavoro» (in S.O. n. 40 alla Gazzetta Ufficiale dell’8 marzo 2002, n. 57). Si vedano anche i nn.
7-9-10-14/2002 di Ambiente&Sicurezza.
(segue)
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 33

SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
Chimicamente, si caratterizza
per la presenza di due gruppi funzionali
(- HC=O ) e con la mancanza
di legami insaturi nella catena
lineare.
Ben riconoscibile per il caratteristico
odore pungente (a volte ingentilito
dalla formulazione con essenze di limone),
si presenta come un liquido di
IGIENE E SICUREZZA
Misure per la prevenzione dei rischi chimici
Progettazione e organizzazione dei sistemi di lavorazione.
Fornitura di attrezzature idonee per il lavoro specifico e procedure di manutenzione adeguate.
Riduzione al minimo del numero di lavoratori che sono o che potrebbero essere esposti.
Riduzione al minimo della durata e dell’intensità dell’esposizione.
Misure igieniche.
Riduzione al minimo delle quantità di agenti in funzione delle necessità.
Applicazione di metodi di lavoro appropriati, comprese le procedure e le disposizioni per l’immagazzinamento e il
trasporto degli agenti chimici pericolosi e dei rifiuti che contengono detti agenti chimici.
consistenza oleosa, limpido, privo di
particelle sospese che con la diluizione
assume sfumature meno intense,
dal giallino all’incolore.
Proprietà fisico-chimiche
I valori di alcune proprietà fisiche
sono riportate in tabella 2.
La glutaraldeide pura ha un ele-
Principali proprietà chimico-fisiche
vato punto di ebollizione (188˚C),
temperatura che non viene raggiunta
in quanto, se riscaldata, decompone
a 71˚C.
La sostanza mostra solubilità
completa in acqua, etanolo, acetone,
benzene, etere e altri solventi
organici.
I prodotti commercialmente più
Proprietà Valore
Peso Molecolare [g/mol] 100.13
Densità a 20˚C (acqua = 1) - soluzione 25%
1.063
- soluzione 50%
1.135
Densità dei vapori (aria = 1) 3.4
Tensione di vapore a 20˚C [kPa] - soluzione 2%
0.00016
- soluzione 50%
0.002
Conc. vapore sat. [mg/m 3 ] - soluzione 2%
6.6
- soluzione 50%
82
T eb 1 atm [˚C] - composto puro
188
- soluzioni < 50%
100
T decomposizione [˚C] (prodotto puro) 71
T sol [˚C] - composto puro
- soluzione 20%
- soluzione 50%
pH - non attivate
- soluzioni attivate
-14
-21
-6
3-4
7,5 - 8
Fattore di conversione a 20˚ 1 ppm = 4 mg/m 3
TABELLA 1
TABELLA 2
[2] «Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro» (in S.O. n. 64 alla Gazzetta
Ufficiale del 7 aprile 1998, n. 81).
34 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

Rischi per la salute
Concentrazione Classificazione Frasi R
C ≥ 50% T 23/25-34-42/43
25 % ≤ C ≤ 50% T 22-23-34-42/43
10 % ≤ C ≤ 25% C 20/22-34-42/43
2%≤ C ≤ 10% Xn 20/22-37/38-41-42/43
1%≤ C ≤ 2% Xn 36/37/38-42/43
0,5 % ≤ C ≤ 1% Xi 36/37/38-43
< 0,5% Non classificata
diffusi prevedono le concentrazioni
in soluzione acquosa pari a 1%,
2%, 25% e 50%; tuttavia sono disponibili
anche altre formulazioni.
La stabilità delle soluzioni è
molto influenzata dalla temperatura
e dal pH. In particolare, al crescere
di questi due parametri, l’attività
del prodotto viene compromessa.
Le soluzioni destinate all’impiego
sono in ambiente acido (pH =
3÷4) e vengono successivamente
attivate portandole a pH basico tra
7e8.
La formulazione con stabilizzanti
(ad esempio metanolo) garantisce
la stabilità del prodotto nel
tempo.
Classificazione
Per la glutaraldeide, la normativa
di classificazione delle sostanze pericolose
(XXVIII adeguamento), recentemente
integrata con il D.M. 14
giugno 2002 [3] , prevede quanto indicato
in tabella 3, in funzione dei
limiti di concentrazione e delle rispettive
proprietà associate.
IGIENE E SICUREZZA
Allo stato puro o concentrata, è
anche classificata come N, pericolosa
per l’ambiente, con frase di
rischio R50.
In dipendenza della concentrazione
e delle caratteristiche quali-quantitative
degli additivi impiegati
per la stabilizzazione del
prodotto, le soluzioni commerciali
saranno caratterizzate specificamente.
È, pertanto, indispensabile riferirsi
sempre alla scheda di sicurezza
aggiornata emessa dal fornitore
relativamente al prodotto
utilizzato, richiedendo al responsabile
della fornitura, se necessario,
le informazioni aggiuntive
previste per gli utilizzatori professionali.
Anche per le soluzioni più diluite,
quali i preparati in cui la percentuale
di glutaraldeide è minore
del 5 per mille, è possibile richiedere
gratuitamente, al responsabile
dell’immissione del prodotto
sul mercato, la scheda informativa
in materia di sicurezza [4] .
SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
TABELLA 3
Utilizzo
Le caratteristiche di reattività e
la struttura molecolare hanno consentito
di sviluppare un impiego diversificato
della glutaraldeide che si
estende dai settori tessile, cartario e
conciario (rinforzante), alla sintesi
nei processi chimici e come agente
di reticolazione nella produzione di
collanti e adesivi o plastiche.
Soluzioni a concentrazioni medie
(> 20%) possono essere impiegate
come indurente dei tessuti nella
microscopia elettronica o per lo
sviluppo di lastre.
L’aldeide glutarica è un ottimo
disinfettante che ha trovato diffuso
impiego in molti ambiti sanitari
per la disinfezione e la sterilizzazione
a freddo.
Diluita in soluzioni contenenti
non più dell’1-2%, è un biocida [5]
ad ampio spettro, adatto per la sterilizzazione
per immersione di
strumenti medicali (strumenti endoscopici
con lenti e con fibre ottiche
e plastiche).
In conseguenza delle sue caratteristiche
di pericolosità e delle caute-
[3] «Recepimento della direttiva 2001/59/CE recante XXVIII adeguamento al progresso tecnico della direttiva 67/548/CEE, in
materia di classificazione, imballaggio ed etichettatura di sostanze pericolose» (in Gazzetta Ufficiale del 17 ottobre 2002, n.
244).
[4] D.M. 7 settembre 2002 «Recepimento della direttiva 2001/58/CE riguardante le modalità della informazione su sostanze e
preparati pericolosi immessi in commercio» (in Gazzetta Ufficiale del 26 ottobre 2002, n. 252). Si vedano anche i nn. 21/2002 e
4/2003 di Ambiente&Sicurezza.
[5] Agisce su spore, batteri, virus, funghi
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 35

le richieste nell’impiego e nello smaltimento
delle soluzioni esauste, è spesso
sostituita dall’acido peracetico [6] o
da altri metodi di disinfezione.
Rischi
SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
Pericoli per la salute
La glutaraldeide viene assorbita
dalla cute e per inalazione; nell’organismo
si ossida ad acido glutarico
ed è successivamente metabolizzata,
per la maggior parte, ad anidride
carbonica con un lungo periodo di
eliminazione (fino a 4 giorni).
In caso di esposizione a vapori
da soluzioni anche diluite (≅ 1%), i
sintomi più frequenti sono l’irritazione
delle mucose oculari e nasali,
fino a tosse ed emicranie.
Per quanto riguarda il contatto
cutaneo, le osservazioni di letteratura
riportate in tabella 4 sono sostanzialmente
coerenti con i criteri di
classificazione di tabella 3.
Gli effetti irritanti aumentano
con la temperatura.
Non si sono individuati effetti cancerogeni
e mutageni per l’uomo, ma
sono state descritte alterazioni del sistema
nervoso centrale e fetotossicità
negli animali.
IGIENE E SICUREZZA
Valori limite di esposizione
In assenza di soglie comunitarie
(direttiva 2000/39/CE) [7] , si riportano
in tabella 5 i valori limite di
esposizione stabiliti dall’ACGHI.
L’agenzia ACGIH per la glutaraldeide
indica, dal 1995, un TVL-ceiling
di 0,05 ppm, di poco superiore
alla sua soglia olfattiva e inferiore
di ben quattro volte rispetto al suo
precedente valore di 0,2 ppm.
La maschera con filtro combinato
è indicata anche ove risulti possibile
la formazione di spray o aerosol.
Per selezionare gli apparati di protezione
delle vie respiratorie più corretti,
individuando anche le fasi dove effettivamente
permane o può manifestarsi
un rischio residuo, occorreranno
adeguate campagne di misura degli
inquinanti aerodispersi in ambiente.
Le determinazioni sono da condurre
secondo i criteri di buona tecnica,
UNI EN 689 [8] , e devono caratterizzare
le condizioni reali di impiego.
Il limite di tetto (ceiling), èil
valore massimo di breve periodo
non superabile e richiede campionamenti
per corti intervalli, diversamente
da quelli adottati per il confronto
con il TWA. Occorreranno,
pertanto, verifiche su tutte le fasi
Schematizzazione degli effetti per contatto
critiche, occasionali, di manutenzione
e di intervento.
Ulteriori riferimenti per il corretto
campionamento in ambiente di lavoro
sono riportati in Allegato VIIIsexties
al D.Lgs. n. 626/1994.
Come per tutte le sostanze con
limiti bassi e molto bassi, le non
conformità possono essere sorprendenti
o determinarsi in fasi inaspettate.
Infatti, per i filtri antigas con un
FPO [9] di 30, il valore massimo della
concentrazione in aria potrà essere
di [0,05 x 30] = 1,5 ppm, facilmente
superabile.
Per concentrazioni ambientali superiori
è necessario adottare la maschera
intera, con FPO di 400, impiegabile
fino a [0,05 x 400] = 20 ppm.
In caso di interventi in condizioni
eccezionali o di emergenza con
esposizione a concentrazioni superiori
potrà, pertanto, risultare indispensabile
l’impiego di un auto-respiratore.
A titolo di esempio, in figura 1 si
riportano valori di concentrazione
ambientale di glutaraldeide misurati
con dosimetria personale in diversi
ambiti ospedalieri ove è impiegata,
per il lavaggio di endoscopi, in soluzione
al 2%. I dati confermano la
TABELLA 4
Concentrazione Effetto
< 0,1% Nessuna reazione [1]
0,2-5% Lievi arrossamenti locali
> 5% Gonfiori e arrossamenti
> 20% Forti irritazioni cutanee e sensibilizzazioni
> 45% Corrosione della cute o della parte esposta al contatto
(1) Gli effetti più segnalati per esposizione professionale sono eczema allergico alle mani e alle dita. Non esistano prove evidenti
di allergie alla glutaraldeide, ma è accertata una sensibilizzazione simultanea incrociata (es. con altre aldeidi).
[6] Si veda, dello stesso Autore, Prevenzione del rischio da agenti chimici: indicazioni per l’utilizzo dell’acido peracetico, in
Ambiente&Sicurezza n. 1/2003, pag. 29.
[7] «Direttiva 2000/39/CE della Commissione 8 giugno 2000 relativa alla messa a punto di un primo elenco di valori limite
indicativi in applicazione della direttiva 98/24/CE del Consiglio sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall
esportazione ad agenti chimici sul luogo di lavoro» (in G.U.C.E. L del 16 giugno 2000, n. 142).
[8] Guida alla valutazione dell’esposizione per inalazione.
[9] Fattore di protezione operativo.
36 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

Sostanza
Valore limite
TLV ceiling
Glutaraldeide 0,05
(ppm)
necessità di una particolare attenzione
nella valutazione del rischio, supportata
da un attento monitoraggio
periodico.
Stabilità, decomposizione
e reazioni pericolose
L’evaporazione dell’acqua presente
in soluzione, ad esempio per
riscaldamento, può condurre a una
rapida polimerizzazione che produce
un residuo solido combustibile.
La contaminazione delle soluzioni
concentrate di glutaraldeide con
impurità acide o alcaline, con detergenti
anionici o cationici ad alta concentrazione
e con derivati della cellulosa
può dare origine, attraverso
fenomeni di condensazione, a reazioni
di polimerizzazione esotermiche
e conseguente rilascio di calore.
Rischi di incendio
La glutaraldeide in soluzione
IGIENE E SICUREZZA
Valori limite e soglia olfattiva
Soglia olfattiva DPI impiegabili
0,039
(ppm)
non presenta specifici pericoli di infiammabilità.
Ai fini della valutazione
del rischio incendio è da tenere
in conto, a seconda dei casi, la potenziale
presenza di metanolo, impiegato
come stabilizzante. Anidride
carbonica, schiume ad alta espansione
e polveri sono agenti estinguenti
idonei.
Precauzioni per la gestione
del rischio
Deposito
Le aree di stoccaggio e i percorsi
per raggiungerle, devono essere liberi
da ostruzioni, ben identificati e
segnalati. I magazzini, il cui accesso
deve essere limitato al personale
autorizzato, devono contenere i
quantitativi minimi per le necessità
effettive.
I locali (o gli arredi) da adibire al
deposito dovrebbero rispettare i se-
SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
TABELLA 5
Facciale filtrante/Maschera o semimaschera con filtro
combinato per gas e vapori “A” (marrone) [1] .
(1) La tipologia degli APVR è da selezionare in funzione della concentrazione della sostanza aerodispersa e delle condizioni
operative, metaboliche e ambientali in cui opera l’addetto.
guenti requisiti di principio:
l pavimentazione impermeabilizzata,
con sistemi di contenimento e
mezzi di raccolta;
l adeguata ventilazione e aerazione;
l adeguate condizioni di temperatura.
I cicli di congelamento-scongelamento
della soluzione sembrano non
comprometterne l’attività battericida.
Tuttavia, onde evitare una stratificazione,
è opportuno evitare il passaggio
di stato conservando le scorte
in ambienti protetti o riscaldati.
Prestare attenzione alle sostanze
incompatibili quali acidi forti, alcali
e ammine, che dovranno essere immagazzinate
a debita distanza. Per
evitare il contatto accidentale, mantenere
i recipienti sempre ben chiusi
quando non in uso.
I materiali raccomandati sono l’acciaio
inox 304 e 316, il nickel, i
PRFV, il poliestere e vinilestere e il
polietilene ad alta densità. Con la
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 37

SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
Categoria
Quantità limite
articoli 6 e 7 articolo 8
Tossici 50 tonnellate 200 tonnellate
Pericolosi per l’ambiente 200 tonnellate 500 tonnellate
stessa cautela devono essere scelti i
materiali per le guarnizioni preferibilmente
in Teflon®, silicone e
Kalrez®.
È opportuno programmare controlli
periodici, ispezionando lo stato dei
contenitori, delle etichette e dei sistemi
di aerazione. Attenzione va posta
anche ai recipienti vuoti non bonificati
che vanno allontanati poiché potrebbero
contenere residui pericolosi.
Impiego
Tenuto conto del basso valore limite
di esposizione, l’impiego deve
essere oggetto di severe verifiche impiantistiche
e di manutenzione.
Una decisa sensazione olfattiva è
da considerare sempre un indicatore
guida cui prestare forte attenzione (si
veda la tabella 5).
È necessario adottare procedure
formalizzate per la gestione della sostanza
e permessi di lavoro per le
attività critiche quali le modifiche di
impianto e di modalità operative:
l prestare particolare attenzione ai
sistemi di travaso, al carico/scarico,
alle giunzioni di pompe, alle tubazioni
per distribuzione in pressione
e a tutti gli interventi di manutenzione
ordinaria e straordinaria;
l dopo ogni intervento di manutenzione,
è necessario pulire accuratamente
le linee e/o i recipienti per garantire
l’assenza di contaminanti in
grado di innescare la decomposizione;
l travasare e utilizzare solo in ciclo
chiuso, sotto aspirazione o cappa, in
ambienti idonei e con i mezzi di protezione
preselezionati a disposizione;
l per limitare i rischi è come sempre
necessario mantenere in ogni fase
di impiego una chiara identifica-
IGIENE E SICUREZZA
Soglie Allegato I, parte 2, D.Lgs. n. 334/1999
zione di impianti, linee e recipienti;
l etichettare sempre tutti i contenitori,
anche per soluzioni a bassa concentrazione,
evitando l’uso promiscuo.
Controllare che l’etichetta sia
ben fissata e, in caso d’usura e/o
frazionamento dell’imballaggio, riprodurla;
l per evitare rischi da inalazione di
vapori e nebbie è sempre preferibile
l’adozione di impianti e cicli chiusi;
in subordine l’aspirazione localizzata
dei punti d’emissione, integrata,
se del caso, da ventilazione generale;
l mettere a disposizione del personale,
in funzione dei rischi effettivamente
individuati, adeguati DPI per
la protezione delle mani, degli occhi,
APVR e indumenti di protezione.
A causa delle loro proprietà assorbenti
nei confronti della glutaraldeide
sono inidonei i DPI in neoprene
e PVC;
l anche per esposizioni occasionali
o di breve durata è necessario predisporre
degli apparecchi di protezione
respiratoria;
l la scheda di sicurezza in dotazione,
deve essere disponibile, aggiornata
e facilmente accessibile agli utilizzatori
e a tutti coloro che possono
essere coinvolti. Per un impiego sicuro
è essenziale informare e formare
tutto il personale sui rischi, ivi
inclusi gli addetti alla manutenzione,
i responsabili e preposti. Per i
DPI, dev’essere previsto l’addestramento
degli utilizzatori;
l nelle strutture sanitarie è opportuno
verificare ed aggiornare la preparazione
specifica del personale, integrando
i protocolli di pulizia, disinfezione
e sterilizzazione delle attrezzature
con le procedure di stoccag-
TABELLA 6
gio, impiego e smaltimento;
l importante è anche il ruolo e il
coinvolgimento consapevole dell’ufficio
o funzione tecnica, dei progettisti
nonché delle imprese esterne che
debbano effettuare interventi o realizzare
opere e impianti.
Emergenza
Queste le azioni da metter in atto:
l in caso di perdita o versamento
accidentale, evacuare dalla zona tutto
il personale e limitare la presenza
agli addetti necessari all’intervento;
l a seconda dell’entità del versamento
e dell’adeguatezza della ventilazione,
indossare i dispositivi di
protezione adatti (tuta, maschera, occhiali
protettivi, visiere e guanti),
avendo cura di non calpestare le
pozze, in quanto la maggior parte
delle scarpe sono in grado di assorbire
la glutaraldeide;
l lo sversamento, secondo le dimensioni,
potrà essere circoscritto
con assorbenti, sabbia o quanto altro
non reagisca chimicamente con
la glutaraldeide e raccolto in recipienti,
lavando infine con abbondante
acqua senza detergenti;
l è buona norma avere a disposizione
recipienti vuoti, di volume proporzionato
al massimo incidente ragionevolmente
prevedibile, atti alla
raccolta del materiale e/o al travaso
in caso di perdita da contenitori e
serbatoi;
l nei luoghi dove è ipotizzabile
un’emergenza con proiezione di sostanza,
occorre prevedere l’installazione
di fontanelle oculari o docce
di emergenza ben segnalate; il contatto
incidentale con occhi e/o cute,
infatti, richiede sempre l’impiego di
38 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

abbondante acqua per risciacquare
la parte colpita;
l in caso di ingestione accidentale,
non si deve far bere l’infortunato né
provocare il vomito.
Altri riferimenti normativi
La glutaraldeide rientra fra le
sostanze nel campo di applicazione
del D.Lgs. n. 334/1999 [10] , sulle
attività a rischio di incidente
rilevante (cosiddetta “Seveso-
IGIENE E SICUREZZA
bis”) con le soglie, riportate in sintesi
in tabella 6.
Conclusioni
La glutaraldeide è un agente pericoloso
che assume caratteristiche di
rischio diversificate in funzione delle
concentrazioni e delle modalità di
impiego.
Anche in soluzione diluita, il suo
basso valore limite consentito determina
la necessità di un impiego in
condizioni rigorosamente controllate
con un approccio di prevenzione integrato
e monitorato, tecnico, procedurale
e organizzativo.
La classificazione degli esposti come
soggetti a rischio chimico
“moderato” secondo il D.Lgs. n.
25/2002, potrà essere definita correttamente
solo in alcuni casi, all’esito
di una valutazione dei rischi molto
approfondita, accompagnata dalla verifica
di tutti i fattori illustrati. l
[10] «Attuazione della direttiva 98/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze
pericolose» (in S.O. n. 177 alla Gazzetta Ufficiale del 28 settembre 1999, n. 228). Si veda anche il n. 19/1999 di
Ambiente&Sicurezza.
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SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 39

SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
di Enrico Cagno, Antonio Calabrese e Paolo Trucco, Dipartimento di meccanica, Politecnico di Milano
Il raggiungimento di elevati livelli
di sicurezza nei luoghi di
lavoro dipende da molti fattori,
ma in modo particolare da
come viene condotta la valutazione
del rischio e dalla congruenza
delle decisioni prese
per l’eliminazione o la limitazione
del rischio stimato. L’efficacia
degli interventi che ne
conseguono è in generale legata
ad un insieme complesso di
fattori, tangibili e intangibili,
tecnici e umani, che determinano
un trade-off tra benefici attesi
e costo stimato per il raggiungimento
dell’obiettivo. In
questo contesto emerge come
la valutazione del rischio rappresenti
un’attività fortemente
critica, da cui dipende l’efficacia
dell’attività complessiva
di gestione della sicurezza nel
contesto produttivo. Questo
approfondimento segue il contributo
degli stessi autori pubblicato
in Ambiente&Sicurezza
n. 15/2002, pag. 67, sul tema
«Controllo dei costi della sicurezza:
il caso di un’azienda metallurgica»
IGIENE E SICUREZZA
La lettura e il confronto dei dati infortunistici supportano la pianificazione degli interventi aziendali
Stima del rischio e infortuni:
una co re ta analisi migliora la sicurezza
Idati che vengono presentati in questo
approfondimento sono il risultato
di uno studio svolto presso
un’azienda metalmeccanica con lo
scopo di verificare la corretta impostazione
della valutazione del rischio e
di fornire criteri e strumenti per il suo
miglioramento. È stata svolta, infatti,
una approfondita analisi sia della documentazione
di sicurezza presente in
azienda sia degli infortuni occorsi nel
periodo 1990-1999. I risultati ottenuti
sono stati utilizzati, da un lato, per la
verifica della congruenza tra la valutazione
del rischio contenuta nel documento,
redatto ai sensi dell’art. 4 del
D.Lgs. n. 626/1994, e quanto emerge
dall’analisi del fenomeno infortunistico
nel medesimo periodo; dall’altro,
nella predisposizione di un data base
di registrazione, analisi e reporting
dell’andamento degli infortuni, quale
strumento di supporto alla gestione
della sicurezza in azienda.
Analisi degli infortuni
e report periodico
Verifica dell’adeguatezza
della valutazione del rischio
L’obiettivo dell’analisi è stato quello
di identificare se e dove si siano
verificate delle incongruità tra la stima
del rischio e l’accadimento del fenomeno
infortunistico (ovvero l’effettiva
manifestazione del rischio); questo ha
permesso di individuare e analizzare
le cause di eventuali errori nella stima.
Poiché la valutazione del rischio
esistente al momento dell’inizio del-
l’analisi era stata effettuata per luoghi
di lavoro (reparti), al fine di garantire
una confrontabilità dei risultati, anche
l’analisi della manifestazione del rischio
(gli infortuni effettivamente accaduti)
è stata condotta seguendo questo
stesso criterio.
Dalla valutazione iniziale del rischio
(effettuata nel 1997) è stato calcolato
un indice sintetico di rischio per
reparto, che è stato messo a confronto
con un secondo indice calcolato sulla
base del registro degli infortuni nel
periodo giugno 1997 - ottobre 1999. I
due indici sono stati confrontati in termini
di distribuzione percentuale del
rischio nei diversi reparti; in questo
modo la struttura e i parametri utilizzati
per il calcolo dei due indici, che pure
sono differenti in valore assoluto, non
incidono sulla confrontabilità del dato.
L’indice di rischio per reparto è
stato ottenuto aggregando per ogni reparto
i valori di rischio relativamente
all’ambiente e all’attrezzatura. È stato
inoltre necessario, per problemi di
confrontabilità, aggregare più luoghi
di lavoro appartenenti ad un singolo
reparto. In tabella 1 vengono riportati
per ogni reparto la stima del rischio in
valore assoluto e percentuale.
Da tale analisi risulta che il documento
di valutazione del rischio presente
in azienda (riferito all’anno
1997) indica come reparti a maggior
rischio i seguenti [1] : C (24%),
D (23%) e A (22%).
L’indice di rischio sintetico deducibile
dai dati del registro infortuni
[1] I dati presentati e i riferimenti utilizzati, pur restando pienamente significativi, sono stati opportunamente modificati per motivi
di riservatezza.
40 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

Sistema del rischio
è stato calcolato per ogni reparto
come prodotto tra l’indice di frequenza
(probabilità di accadimento)
e la durata media dell’assenza (driver
della magnitudo del danno). In
tabella 2 è stato riportato anche l’indice
sintetico percentuale (manifestazione
del rischio percentuale).
Da tale analisi risulta che i reparti
più soggetti ad infortuni e pertanto
quelli a maggior rischio sono: D
(40%), B (28%) ed E (10%).
Il confronto del documento di valutazione
del rischio con l’analisi degli
Confronto tra stima e manifestazione
del rischio (periodo 1997- 1999)
Reparto
Reparto
N.
Infortuni Giorni
assenza
Rischio
ambiente
infortuni verificatisi nel periodo
1997-99 ha messo in evidenza forti
scostamenti tra stima e manifestazione
del rischio (si veda la figura 1).
In particolare, il rischio è stato
ampiamente sovrastimato nei reparti
C (+280%), A (+165%) e F
(+141%), mentre è stato sottostimato
nei reparti B e D.
D’altro canto è possibile ravvisare
come non vi siano state variazioni
di così notevole entità, a carico
delle tecnologie, dell’organizzazione
o di quant’altro in azienda, tali
Ore
lavorate
IGIENE E SICUREZZA
TABELLA 1
Rielaborazione sintetica della valutazione del rischio
(fonte: documento aziendale di valutazione del rischio, giugno 1997)
Rischio
attrezzatura
Indice
frequenza
Assenza
media
Stima
rischio
da giustificare gli scostamenti rilevati.
Si può quindi concludere che la
valutazione del rischio attualmente
in uso non costituisce un riferimento
affidabile per la definizione di
azioni correttive efficaci; essa deve
pertanto essere aggiornata ricorrendo
a criteri e metodi più adeguati.
Analisi degli infortuni
e report periodico
Un’analisi sistematica degli infortuni
ha consentito di evidenziare in
modo specifico gli aspetti più critici
Manifestazione
del rischio
Stima
del rischio (%)
A 182 167 349 22%
B 94 74 168 11%
C 213 170 383 24%
D 199 166 364 23%
E 115 56 171 11%
F 59 44 103 7%
G 18 18 36 2%
1574 100%
Andamento per reparto
dell’indice di manifestazione del rischio
(fonte: registro degli infortuni, 1997-1999)
SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
TABELLA 2
Manifestazione
del rischio (%)
A 78 466 517.440 150,7 6,0 900,6 8,4%
B 43 693 227.040 189,4 16,1 3.052,3 28,3%
C 21 226 327.360 64,1 10,8 690,4 6,4%
D 27 405 184.800 146,1 15,0 4.279,4 39,7%
E 14 67 63.360 221,0 4,8 1.057,4 9,8%
F 5 65 221.760 22,5 13,0 293,1 2,7%
G 2 25 49.283 40,6 12,5 507,3 4,7%
10.780,5 100,0%
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 41

SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
IGIENE E SICUREZZA
TABELLA 3
Codifica utilizzata per la classificazione degli infortuni
In generale, si può fare riferimento anche alla classificazione INAIL
Codice Reparto Mansione Dinamica
Agente
materiale
Lesione
1 A alesatore a contatto con ... aria compressa altre lesioni occhio
2 B attrezzista caduto dall’alto attrezzo manuale amputazione
3 C autista colpito/investito da ... auto corpo estraneo
4 D capo reparto esplosione di ... fiamma ossidrica corpo estraneo nell’occhio
5 E carrellista ha calpestato ... filettatrice distorsione
6 F dentatore ha urtato contro ... fossa ferita
7 G disegnatore impigliato/agganciato fresa frattura
8 H falegname incidente alla guida di ... lubrificante lombalgia e traumi muscolari
9 I imbastitore movimentando ... mezzi sollevamento traumi contusivi, escoriazioni
10 L lavoraz. esterne piede in fallo/scivolando mola/smerigliatrice ustione
11 M magazziniere ricaduta oggetto incandescente
12 N manovale schiacciato/punto oggetto pesante
13 manutentore sforzando ...
oggetto/utensile
glienteta-
14 montatore si è colpito con ... pavimento
15 sabbiatore pezzo in lavorazione 1
16 saldatore pezzo in lavorazione 2
17 tornitore piallatrice
18 trapanista pressa
19 verniciatore saldatrice
20 saldatrice (robot)
21 scala/gradino
22 scheggia/truciolo
23 sega
24 tornio
25 trapano
42 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

dell’esposizione a rischio dei lavoratori.
Le informazioni contenute nel registro
degli infortuni e relative al periodo
1990-1999 sono state elaborate secondo
le seguenti dimensioni:
l durata dell’assenza;
l età dell’operaio;
l reparto;
l mansione;
l dinamica di infortunio (estrapolata
dalla descrizione dell’incidente);
l agente materiale (estrapolata dalla
descrizione dell’incidente);
l tipo di lesione.
In tabella 3 è riportata la codifica
utilizzata per ciascuna delle dimensioni
indicate.
L’analisi è stata strutturata secondo
cinque sezioni principali:
1) andamento storico degli infortuni;
2) gravità degli eventi infortunistici;
3) distribuzione degli infortuni
nei reparti;
4) analisi delle mansioni;
5) incidenza infortunistica per
classe di età dei lavoratori.
Il data base realizzato per condurre
l’analisi degli infortuni è stato strutturato
in modo da consentirne un utilizzo
sistematico per il monitoraggio dell’evoluzione
delle condizioni di rischio
e per verificare gli effetti degli
interventi di miglioramento della sicurezza
nelle attività produttive. Parallelamente,
è stata definita la struttura di
un report aziendale semestrale per il
monitoraggio e l’analisi dell’andamento
degli infortuni.
Di seguito si riportano gli elementi
essenziali della valutazione emersa a
fronte dell’analisi condotta:
l negli ultimi anni la durata media
dell’assenza per infortunio (gravità) è
andata sensibilmente riducendosi (da
15 a 12 giorni circa), mentre sono aumentati
in modo considerevole tanto il
numero totale degli infortuni quanto
IGIENE E SICUREZZA
l’Indice di Frequenza (IF) [2] (da 140 a
180 circa), che nel 1999 ha raggiunto
un valore cinque volte superiore a quello
medio del settore di appartenenza;
l il fenomeno infortunistico è caratterizzato
da un elevato numero di
incidenti di entità limitata (il 30%
producono assenze inferiori a 3 giorni;
si veda la figura 2);
l il reparto nel quale si verifica il
maggior numero di infortuni è A:
78 infortuni in 3 anni con durata
media dell’assenza pari a 6 giorni;
seguono B e C (si veda la figura 3);
l il 50% degli infortuni può essere
ridotto tenendo sotto controllo l’azione
di soli 3 agenti materiali: schegge/
trucioli (107 infortuni in 10 anni), oggetti
pesanti (61 infortuni in 10 anni)
e attrezzi manuali (32 infortuni in 10
anni; si veda la figura 4);
l le cause di infortunio più frequenti
sono molto simili nelle tre mansioni
critiche (montatore, saldatore e imbastitore;
si veda la figura 5): urti e/o
proiezioni di oggetti pesanti o schegge
e trucioli derivanti dalle attività di
molatura, smerigliatura e saldatura;
l la classe di età 37-46 anni è quella
soggetta al maggior numero di
infortuni, ma di gravità mediamente
inferiore rispetto alle altre classi (si
veda la figura 6).
Indicazione di alcune azioni
di miglioramento
Dall’analisi effettuata risulta evidente
la notevole incidenza degli infortuni
di scarsa entità dovuti sia all’azione
di schegge e trucioli (prodotti
dalle operazioni di molatura, smerigliatura
e saldatura) sia all’interazione
degli operai con oggetti pesanti in
lavorazione e/o movimentazione (urti,
schiacciamenti, ferite, ecc.). È quindi
possibile per l’azienda mettere in
atto nel breve periodo alcune azioni,
relativamente poco onerose, finalizzate
a ridurre gli eventi più frequenti ed
elevare il livello di sicurezza comples-
[2] L’Indice di Frequenza è definito per convenzione nel modo seguente:
SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
sivo della fabbrica, ovvero:
l la definizione di procedure di lavoro
sicure per quanto riguarda la movimentazione
dei materiali (materie prime,
semilavorati e prodotti finiti),
l’utilizzo di attrezzature manuali e le
attività di montaggio;
l l’analisi di adeguatezza dei DPI
in dotazione e informazione/addestramento
al loro uso corretto;
l un programma di formazione differenziato
per fasce d’età e per mansioni.
Conclusioni
A fronte del quadro tracciato in
termini di:
l definizione delle esigenze specifiche
dell’azienda per quanto riguarda
le modalità di gestione della sicurezza;
l caratterizzazione dell’esposizione
a rischio dei lavoratori attraverso
l’analisi degli infortuni;
l verifica del grado di adeguatezza
del documento di valutazione del rischio
e delle attività di prevenzione
attualmente svolte in azienda,
è possibile identificare alcuni criteri
guida con cui affrontare una nuova
valutazione del rischio, individuando
metodi opportuni per l’analisi delle
attività, per la valutazione del rischio
e delle sue principali cause, oltre che
per la definizione delle priorità di intervento.
In particolare, considerate la tecnologia
impiegata e le modalità di
lavoro adottate dall’azienda, sono
state definite le seguenti caratteristiche
prioritarie della metodologia di
valutazione del rischio adeguata allo
specifico caso:
1) analisi sistematica svolta per lavorazioni
e mansioni specifiche, che
consente di identificare lavorazioni
e/o attività standard, in qualche misura
indipendenti dalla singola commessa,
a cui fare riferimento in fase di
definizione del ciclo di produzione e
di allestimento delle linee; inoltre,
un’analisi del rischio focalizzata sulle
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 43

SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
mansioni appare congruente con le caratteristiche
specifiche dell’esposizione
a rischio dei lavoratori e fortemente
dipendente dalle procedure di lavoro
adottate (come emerso dall’analisi
degli infortuni);
2) capacità di utilizzare in modo
sinergico e congruente dati storici
di infortuni e/o guasti con giudizi e
stime di esperti della sicurezza;
3) adozione di un modello del sistema
di lavoro e di criteri di analisi
attraverso i quali valutare il contributo
delle principali cause di rischio e
supportare l’individuazione di obiettivi
di intervento in specifiche aree [3] ,
quali tecnologia e mezzi di produzione,
procedure di lavoro, formazione,
DPI, ecc. (si veda la figura 7);
4) facilitare un monitoraggio costante
ad intervalli di tempo predefiniti
in un’ottica di aggiornamento
della valutazione anche a seguito di
programmi di intervento (valutazione
del rischio residuo).
In particolare, è stato predisposto
uno schema per la realizzazione di
IGIENE E SICUREZZA
“schede macchina” allo scopo di racchiudere
in un unico documento tutte
le informazioni inerenti gli impianti
e le attrezzature in uso. Tale
strumento è di grande utilità per una
corretta gestione degli interventi di
manutenzione e/o adeguamento delle
attrezzature, potendo essere direttamente
correlato alla manifestazione
del fenomeno infortunistico. Infatti,
volendo sintetizzare in un quadro
semplificato le cause che danno
luogo agli infortuni, si può ritenere
che questi avvengono in seguito a:
l esecuzione di lavorazioni intrinsecamente
pericolose;
l imperizia e/o disattenzione degli
operatori;
l uso di macchine e/o attrezzature
con un livello di sicurezza insufficiente;
l condizioni dell’ambiente di lavoro
insoddisfacenti.
Un’organica valutazione dei rischi
dovrebbe prendere in considerazione
questi quattro aspetti, tenendo conto
di alcune osservazioni. Di solito, se
un ciclo tecnologico presenta dei rischi
elevati, un aumento del livello di
sicurezza può essere conseguito solo
attraverso un cambiamento tecnologico.
Questa soluzione comporta, in genere,
costi elevati e tempi di realizzazione
lunghi, per cui se l’orizzonte
temporale è di medio/breve periodo
e/o se non si dispone di risorse economiche
sufficienti, la tecnologia rappresenta
un vincolo su cui non è possibile
intervenire.
Gli infortuni derivanti da imperizia
o disattenzione degli operatori dipendono
da varie cause, ad esempio una
formazione non adeguata, un sistema
di controllo insufficiente da parte dei
preposti, una scarsa esperienza degli
operatori o, al contrario, una notevole
esperienza associata a una sottovalutazione
dei rischi delle operazioni che
vengono svolte e a una conseguente
disattenzione. In questo caso gli interventi
sono legati allo svolgimento di
uno specifico processo formativo, alla
definizione delle mansioni e a un continuo
impegno nel controllo dell’appli-
[3] Cagno E., Di Giulio A., Trucco P., Risk and Causes-of-Risk Assessment for an Effective Industrial Safety Management,
International Journal of Reliability, Quality and Safety Engineering, 7, 2000.
44 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

IGIENE E SICUREZZA
SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 45

SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
IGIENE E SICUREZZA
46 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

cazione delle procedure operative.
Pertanto, da un punto di vista tecnico,
ciò su cui si può concretamente
intervenire è rappresentato dalle
attrezzature e dalle condizioni dell’ambiente
di lavoro.
Il punto di partenza può essere
efficacemente rappresentato dall’analisi
storica degli infortuni che,
nel caso dell’azienda considerata,
ha permesso di acquisire una notevo-
IGIENE E SICUREZZA
le quantità di informazioni quali le
tipologie degli infortuni più ricorrenti
(oltre alle cause e alle modalità
con cui si sono verificati), la distribuzione
degli infortuni in funzione
dei reparti e delle lavorazioni, ecc.
Incrociando i risultati di questa
analisi con i dati delle macchine
relativi alle loro caratteristiche tecniche
e al loro stato d’uso e di
manutenzione, si può verificare se
Dal Sole 24 ORE un libro e un software
per la pianificazione della sicurezza in azienda
SICUREZZA DEL LAVORO
Articolo
esistono delle correlazioni tra gli
infortuni e una eventuale inadeguatezza
delle macchine stesse. Il risultato,
in termini di programmazione
degli interventi sulla sicurezza,
consiste nella definizione di una
scala di priorità determinata sulla
base di dati ragionevolmente certi
e giustificati. l
È in pubblicazione da parte del Sole 24 ORE il volume, corredato di software, Costi e pianificazione della sicurezza di
Antonio Calabrese, Enrico Cagno e Paolo Trucco.
Il volume fornisce modelli e strumenti operativi per gestire la sicurezza utilizzandola come leva competitiva.
La definizione del budget della sicurezza e la pianificazione degli interventi sono, infatti, aspetti fondamentali nel
processo di gestione aziendale. Per questo motivo è necessario comprendere che, a fronte degli oneri sostenuti per
l’abbattimento dei rischi, si conseguono benefici in buona parte quantificabili anche dal punto di vista economico. L’opera
valuta i limiti dell’approccio tradizionale e presenta un serie di casi di gestione efficace attuata mediante la costruzione di
un SGS. Il corpo centrale del volume esplicita i costi della sicurezza che vengono approfonditi differenziandone la
tipologia, la classificazione e i metodi di stima. Questa analisi introduce la pianificazione del budget riservando una
particolare attenzione alle voci di costo da considerare, ai fenomeni dinamici, sia interni che esterni all’azienda, e
all’analisi dei costi a consuntivo dell’anno precedente, la stima degli effetti di interventi di riduzione del rischio e la
definizione del “nuovo punto di ottimo economico”. Un ultimo sguardo viene dedicato ai criteri di pianificazione degli
interventi di sicurezza, al coinvolgimento del personale nel processo di miglioramento (l’approccio comportamentale -
Behaviour-Based Safety Process) e all’auditing dei sistemi di gestione della sicurezza (SGS).
Il software, allegato al volume, è uno strumento per il monitoraggio e l’analisi degli infortuni e di altri eventi
incidentali in azienda. Questo strumento informatico consente la registrazione delle informazioni relative a infortuni,
medicazioni e mancati infortuni e la loro elaborazione per ottenere una serie articolata di dati e di statistiche utili
al management aziendale e al responsabile del servizio di prevenzione e protezione per le attività di monitoraggio e
pianificazione di eventuali interventi di miglioramento.
Per conoscere l’elenco delle librerie specializzate più vicine
chiama il numero del servizio clienti 02 4587010
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 47

SICUREZZA DEL LAVORO
Commento
di Giulio Benedetti, magistrato
La difesa legale di un’azienda
coinvolta in un infortunio sul
lavoro con l’accusa di non aver
dotato un suo lavoratore di
idonei dispositivi sosteneva,
quale prova del rispetto delle
procedure adottate e dell’alto
livello di sicurezza dei processi
lavorativi, che la società aveva
ottenuto la certificazione UNI
EN ISO 14001. La sentenza del
Tribunale di Mondovì del 24
aprile 2001, n. 257, esamina il
quesito se l’ottemperanza da
parte del datore di lavoro delle
procedure di certificazione
della qualità aziendale garantisce
il rispetto delle norme di sicurezza
sul lavoro penalmente
sanzionate.
IGIENE E SICUREZZA
Una sentenza del Tribunale di Mondovì considera la rilevanza penale della certificazione aziendale
Quando la qualità
non basta a garantire la sicurezza
Il caso trattato riguarda un infortunio
sul lavoro e l’imputazione contestata
al datore di lavoro consisteva
nell’avere adibito il lavoratore ad
un’attività in un’area sospesa dal suolo
senza averlo previamente dotato di
mezzi idonei (quali un cestello di lavoro
autosollevante o un’apposita imbracatura
di sicurezza) a consentirne l’accesso
sicuro in una zona elevata. La
difesa, invero, sosteneva, quale prova
dell’adozione della correttezza delle
procedure adottate e dell’alto livello
di sicurezza dei processi lavorativi,
che la società del datore di lavoro
aveva ottenuto la certificazione UNI
EN ISO 14001. Pertanto nella sentenza
viene esaminato il quesito se l’ottemperanza
da parte del datore di lavoro
delle procedure di certificazione
della qualità aziendale garantisce il
rispetto delle norme di sicurezza sul
lavoro penalmente sanzionate. Dopo
avere considerato che nel caso di specie
il lavoratore, allorquando ebbe a
verificare l’avaria dei sistemi di produzione,
avrebbe dovuto adottare una
serie di operazioni idonee ad evitare
l’infortunio, il giudice enuncia il principio
secondo il quale la previsione
della realizzazione di procedure produttive
in occasione della richiesta di
certificazione è un primo significativo
passo verso il conseguimento di
una quota di sicurezza adeguata.
La sentenza è sicuramente innovativa
poiché per la prima volta viene
esaminata la rilevanza penale della
procedura di certificazione di qualità
aziendale, anche se si afferma,
sia pure riduttivamente, che il suo
contenuto è essenzialmente economico.
Vale a dire che l’avvenuta
ottemperanza da parte della società
delle procedure della certificazione
aziendale è «condizione necessaria,
anche se non sufficiente, a dimostrare
che qualche cosa si è fatto e che
il corretto procedimento produttivo
non può non passare attraverso adeguate
misure di sicurezza che ne
garantiscano un efficace e proficuo
svolgimento». La proposizione secondo
la quale la certificazione è condizione
necessaria, ma non sufficiente
a garantire la sicurezza sul lavoro, trova
il suo fondamento nella constatazione
per la quale non può essere a
priori escluso che un’impresa certificata
non sia in regola con le norme in
materia di sicurezza.
Invero, il giudice, a tal proposito
chiosa: «a ben vedere, se così fosse,
la certificazione sarebbe stata concessa
sulla scorta di valutazioni errate,
perché avrebbe avallato un processo
produttivo rischioso per gli addetti e,
dunque, contrario ai precetti di legge».
Conseguentemente la sentenza
conclude rilevando che alla data attuale
la certificazione di qualità persegue
scopi che non intersecano la strada
della sicurezza: «altrettanto vero, però,
è che non c’è qualità vera in assenza
di sicurezza».
L’importanza della sentenza esaminata
consiste nel rilievo per il quale in
precedenza la prevalente dottrina aveva
ritenuto che la certificazione di qualità
assolvesse esclusivamente finalità
civili e commerciali. Si riteneva, infatti,
che il mondo della certificazione di
qualità delle imprese fosse assolutamente
confinato nel novero delle regole
dell’arte previste dall’articolo 1176,
comma 2, del codice civile per valutare
il corretto adempimento delle obbligazioni
inerenti all’esercizio di un’attività
professionale. Da tale assunto conseguiva
la constatazione per la quale
la violazione delle norme della certificazione
aziendale fosse soltanto san-
48 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

zionata dalle azioni civili di recesso
dal contratto e di richiesta di risarcimento
dei danni, previste dall’articolo
2224 del c.c., laddove il prestatore dell’opera
non avesse proceduto all’esecuzione
dell’opera secondo le regole
dell’arte entro il termine congruo fissato
dal committente.
D’altra parte occorre osservare che
la nuova strada intrapresa dalla certificazione
di qualità si affranca da contenuti
esclusivamente economici e sempre
più riveste contenuti di sicurezza
ambientale e di tutela dei lavoratori.
Infatti, in Italia alla data del 31
dicembre 2002 ben 152 imprese han-
IGIENE E SICUREZZA
no ottenuto dai competenti organismi
la certificazione aziendale OHSAS
(Occupational Health and Safety Assessment
Series) 18001:1999 e
18002:1999 consistente in una norma
a formazione volontaria, emessa dall’ente
normatore britannico, avente ad
oggetto i sistemi di gestione della tutela
della salute e della sicurezza sul
posto di lavoro. In particolare, deve
osservarsi che la OHSAS 18001 è stata
elaborata in modo da essere compatibile
con i sistemi di gestione ISO
9001/1994 (qualità) e ISO 14001/
1996 (ambiente) per agevolare l’integrazione
da parte delle organizzazioni
CENTRO DI FORMAZIONE DE IL SOLE 24 ORE
Milano, 10 e 11 aprile 2003 - Centro di formazione de il Sole 24 ORE
DISCIPLINA IN MATERIA DI EDILIZIA ALLA LUCE DELLE NOVITÀ
DEL T.U. E DELLA LEGGE OBIETTIVO
interessate a tale processo dei sistemi
di gestione di qualità, ambiente, sicurezza
e tutela della salute. Proprio perché
intento della predetta certificazione
di qualità è l’identificazione dei
pericoli, la valutazione ed il controllo
dei rischi i quali devono essere idonei
e sufficienti e devono consentire all’organizzazione
di identificare, valutare
e controllare in modo dinamico i
propri rischi, le norme OHSAS
18001 e ISO 14001 costituiscono il
raccordo tra il mondo della produzione
economica e la cultura e la tutela
della sicurezza dei lavoratori e la loro
adozione sarà sicuramente produttiva
di ripercussioni giurisprudenziali. l
Tribunale di Mondovì, sentenza 24 aprile 2001, n. 257, n. 2/99 RGP,
RGNR 2181/97, Giudice Monocratico Dott. Mauro Anetrini
Sicurezza sul lavoro e violazione degli articoli 375 comma 1, 376 e 386 del DPR 547/1955 e 35 D.Lgs 926/1994 - Certificazione
UNI EN ISO 4001 e rilevanza penale - Procedure di sicurezza aziendali per la prevenzione degli infortuni - Fondamento della colpa
del datore di lavoro - Condotta imprudente del lavoratore - Finalità della certificazione di qualità e la tutela dei lavoratori
«Il fondamento della colpa consiste nella esigibilità della condotta e nella prevedibilità dell’evento: il responsabile
della sicurezza deve cioè fare tutto quanto è possibile per attuare misure di sicurezza adeguate in vista della
prevenzione degli incidenti, con copertura anche delle evenienze impreviste. Certo non si può pretendere (né la
legge impone) che l’adozione delle misure preventive abbracci anche l’imprevedibile, per il solo fatto che ciò che
non è prevedibile non è prevenibile».
Il Centro di Formazione de Il Sole 24 ORE organizza il corso di formazione “Disciplina in materia di edilizia alla luce del T.U. e della
Legge Obiettivo” che si terrà a Milano il 10 e 11 aprile 2003, presso il Centro di Formazione de Il Sole 24 ORE, di Via Brisa 3.
Il corso ha l’obiettivo di fornire ai professionisti, alle imprese e alla P.A. gli strumenti per coordinare le nuove disposizioni di legge
e la competenza legislativa tra Stato, regioni e comuni, per individuare la tipologia dei diversi interventi edilizi e dei rispettivi titoli
abilitativi: dall’indizione dell’istruttoria all’emanazione del provvedimento finale.
Inoltre verrà esaminata la fase di vigilanza sulle attività urbanistico-edilizie, la classificazione dei reati edilizi e i criteri di
emanazione delle sanzioni previste in caso di violazione delle norme.
Interverranno: Diego Foderini (Comune di Affi - Verona) - Elisabetta Mariotti (Politecnico di Milano) - Roberto Ollari (Studio
Legale Ollari) - Umberto Realfonzo (T.A.R. per il Lazio - Ministero delle Comunicazioni)
Per informazioni:
Centro di Formazione de Il Sole 24 ORE
Tel. 02/56601310 oppure 02/30223649
Fax 02/56609067
Sito: www.24oreformazione.com
E-mail: formazioni.iscrizioni@ilsole24ore.com
SICUREZZA DEL LAVORO
Commento
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 49

NORME TECNICHE
Osservatorio UNI
NORME UNI
GENNAIO - FEBBRAIO 2003
Numero norma Titolo
Linee guida
UNI EN ISO 14031:2002 e 19011:2003
Italiano
UNI EN ISO 19011 e UNI EN ISO 9004
Italiano
UNI EN ISO 9000-9001-9004 e 19011
Italiano
IGIENE E SICUREZZA
Norme UNI e CEI
gennaio - febbraio 2003
PACCHETTO INDICATORI E AUDIT: Gestione ambientale - Valutazione
della prestazione ambientale - Linee guida - Audit
È la raccolta delle 2 norme UNI EN ISO 14031:2000 e UNI EN ISO
19011:2003.
Contiene una guida per progettare e utilizzare la valutazione della
prestazione ambientale in un’organizzazione. È applicabile a qualsiasi
organizzazione, senza riguardo alla tipologia, alle dimensioni, alla localizzazione
e alla complessità. La norma non stabilisce livelli di prestazione
ambientale. Essa non è finalizzata ad essere utilizzata come norma
prescrittiva ai fini della certificazione o della registrazione e nemmeno
per definire qualsiasi altro requisito di conformità dei sistemi di gestione
ambientale; le linee guida sui principi dell’attività di audit, sulla
gestione dei programmi di audit, sulla conduzione dell’audit del sistema
di gestione per la qualità e del sistema di gestione ambientale come
pure sulla competenza degli auditor di tali sistemi di gestione.
PACCHETTO MIGLIORAMENTO E AUDIT: Sistemi di gestione per la qualità
- Linee guida per il miglioramento delle prestazioni - Audit
È la raccolta delle 2 norme UNI EN ISO 9004:2000 e UNI EN ISO
19011:2003. Contiene: le linee guida complementari ai requisiti della
ISO 9001 per migliorare l’efficacia e l’efficienza di un sistema di gestione
per la qualità e le prestazioni dell’organizzazione per il conseguimento
del miglioramento progressivo attraverso la soddisfazione dei
clienti e delle altre parti interessate (dipendenti, collettività, soci dell’organizzazione,
fornitori); le linee guida sui principi dell’attività di audit,
sulla gestione dei programmi di audit, sulla conduzione dell’audit del
sistema di gestione per la qualità e del sistema di gestione ambientale
come pure sulla competenza degli auditor di tali sistemi di gestione.
PACCHETTO VISION 2000 COMPLETO: Sistemi di gestione per la qualità -
Fondamenti e terminologia - Requisiti - Linee guida per il miglioramento
delle prestazioni - Audit
È la raccolta delle 4 norme di base dei sistemi di gestione per la qualità.
Contiene: i principi e i concetti fondamentali dei sistemi di gestione per
la qualità su cui si basano le norme ISO 9000, inclusi i termini e le
definizioni; i requisiti di un modello di sistema di gestione per la
qualità per tutte le organizzazioni, indipendentemente dal tipo e
dimensione delle stesse e dai prodotti forniti (utilizzabile per uso
interno, per scopi contrattuali e di certificazione); le linee guida complementari
ai requisiti della ISO 9001 per migliorare l’efficacia e l’efficienza
di un sistema di gestione per la qualità e le prestazioni dell’organizzazione
per il conseguimento del miglioramento progressivo attraverso
la soddisfazione dei clienti e delle altre parti interessate (dipendenti,
collettività, soci dell’organizzazione, fornitori); le linee guida sui principi
dell’attività di audit, sulla gestione dei programmi di audit, sulla
conduzione dell’audit del sistema di gestione per la qualità e del
sistema di gestione ambientale come pure sulla competenza degli
auditor di tali sistemi di gestione.
50 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

UNI ISO 14050-14004/UNI EN ISO
14001-19011
Italiano
UNI EN ISO 19011:2003
Italiano
STANIMUC UNI EN ISO 11688-2: 2002
Italiano
UNI EN ISO 3740: 2002
Italiano
IGIENE E SICUREZZA
NORME TECNICHE
Osservatorio UNI
PACCHETTO AMBIENTE: Sistemi di gestione ambientale. Requisiti
e guida per l’uso - Linee guida generali su principi, sistemi e
tecniche di supporto - Vocabolario - Audit
È la raccolta delle 4 norme di base dei sistemi di gestione ambientale.
Contiene: i principi e i concetti fondamentali di un sistema di gestione
ambientale che consente a un’organizzazione di formulare una politica
ambientale e stabilire degli obiettivi, tenendo conto degli aspetti legislativi
e delle informazioni riguardanti gli impatti ambientali significativi; le linee
guida per stabilire e sviluppare sistemi e principi di gestione ambientale e
coordinarli con altri sistemi di gestione; le definizioni di concetti fondamentali
relativi alla gestione ambientale; le linee guida sui principi dell’attività
di audit, sulla gestione dei programmi di audit, sulla conduzione dell’audit
del sistema di gestione per la qualità e del sistema di gestione ambientale
come pure sulla competenza degli auditor di tali sistemi di gestione.
Linee guida per gli audit dei sistemi di gestione per la qualità
e/o di gestione ambientale - La presente norma è la versione ufficiale
in lingua italiana della norma europea EN ISO 19011 (edizione
ottobre 2002) e tiene conto delle correzioni introdotte il 30 ottobre
2002. La norma fornisce linee guida sui principi dell’attività di audit,
sulla gestione dei programmi di audit, sulla conduzione dell’audit del
sistema di gestione per la qualità e del sistema di gestione ambientale
come pure sulla competenza degli auditor di tali sistemi di gestione.
Essa è destinata ad una estesa gamma di potenziali utilizzatori, che
comprendono gli auditor, le organizzazioni che attuano sistemi di
gestione per la qualità e/o di gestione ambientale, le organizzazioni
che hanno l’esigenza di condurre audit di sistemi di gestione per la
qualità e/o di gestione ambientale per ragioni contrattuali e le organizzazioni
che operano nella certificazione o nella formazione ed addestramento
degli auditor, nella certificazione di sistemi di gestione,
nell’accreditamento o nella normazione nel campo della valutazione
della conformità.
Acustica - Suggerimenti pratici per la progettazione di macchine
ed apparecchiature a bassa emissione di rumore - Elementi di
fisica per la progettazione a bassa emissione - La presente norma è
la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN ISO
11688-2 (edizione dicembre 2000). La norma fornisce le cognizioni tecnico-fisiche
per comprendere le regole di progettazione a bassa rumorosità.
Essa è di aiuto ai progettisti di macchine e apparecchiature, agli utenti
e/o agli acquirenti di macchine oltre che all’autorità per la supervisione o
ispezione. Le equazioni fornite nella norma contribuiscono al miglioramento
della comprensione generale del controllo della rumorosità. In
molti casi permettono un confronto tra versioni diverse del progetto, ma
non sono utili per la previsione dei valori di emissione di rumore assoluta.
Le informazioni sulle sorgenti sonore interne, sui percorsi di trasmissione
e sulle componenti acusticamente attive di una macchina costituiscono la
base per il controllo della rumorosità nelle macchine.
Acustica - Determinazione dei livelli di potenza sonora delle sorgenti
di rumore - Linee guida per l’uso delle norme di base - La presente
norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN ISO
3740 (edizione novembre 2000). La norma offre linee guida per l’impiego
della serie di norme comprendenti la UNI EN ISO 3741, UNI EN ISO 3743
parti 1 e 2, dalla UNI EN ISO 3744 alla UNI EN ISO 3747 e le due parti della
UNI EN ISO 9614. Tutte queste norme descrivono vari metodi per la determinazione
dei livelli di potenza sonora di tutti i tipi di macchine e apparecchiature.
La norma offre: - brevi sommari delle norme di base sopra indicate;
- una guida alla selezione di una o più di queste norme ove appropriate a
un tipo particolare. Queste linee guida si applicano solo al suono
irradiato per via aerea. La norma può essere utilizzata nella preparazione
della procedura per prova di rumorosità, secondo la UNI EN ISO
12001, e laddove non esista una specifica procedura di prova.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 51

NORME TECNICHE
Osservatorio UNI
UNI 11022: 2003
Italiano
UNI 11020: 2002
Italiano
UNI ISO 10397: 2002
Italiano
UNI 10996-4: 2003
Italiano
UNI EN 13284-1: 2003
Italiano
UNI EN 13211:2003
Italiano
UNI EN 1492-1: 2002
Italiano
IGIENE E SICUREZZA
Acustica - Misurazione dell’efficacia acustica dei sistemi
antirumore (insertion loss), per infrastrutture di trasporto,
installati in ambiente esterno - La norma specifica il metodo
per misurare l’insertion loss di sistemi antirumore di qualunque
tipo, per infrastrutture di trasporto.
Alimenti e bevande
Sistema di rintracciabilità nelle aziende agroalimentari -
Principi e requisiti per l’attuazione - La norma definisce i
principi e specifica i requisiti per l’attuazione di un sistema di
rintracciabilità nelle aziende agroalimentari.
Ambiente
Emissioni da sorgente fissa - Determinazione delle emissioni
da opere di amianto - Metodo di misurazione mediante
conteggio delle fibre - La norma descrive un metodo di analisi
mediante conteggio delle fibre di amianto emesse da processi
industriali. Il metodo è applicabile per concentrazioni di fibre
comprese tra 0,05 fibre/cm 3 e 10 fibre/cm 3 .
Impianti di abbattimento dei composti organici volatili
(VOC) - Criteri e requisiti per l’ordinazione, la fornitura, il
collaudo e la manutenzione - Impianti di biofiltrazione - La
norma definisce i criteri ed i requisiti per l’ordinazione, la fornitura,
il collaudo e la manutenzione degli impianti di biofiltrazione
per l’abbattimento dei composti organici volatili (VOC) presenti
nelle emissioni aeriformi di processi industriali.
Emissioni da sorgente fissa - Determinazione della concentrazione
in massa di polveri in basse concentrazioni - Metodo
manuale gravimetrico - La presente norma è la versione
ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 13284-1 (edizione
novembre 2001). La norma specifica un metodo di riferimento
per la misurazione di basse concentrazioni di polveri in
flussi gassosi convogliati in concentrazioni minori di 50 mg/m 3 in
condizioni normali.
Qualità dell’aria - Emissioni da sorgente fissa - Metodo
manuale per la determinazione della concentrazione di
mercurio totale - La presente norma è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea EN 13211 (edizione gennaio
2001). La norma specifica un metodo manuale di riferimento per
la determinazione della concentrazione in massa del mercurio in
effluenti gassosi o camini. Essa è stata validata per la determinazione
della concentrazione in massa di mercurio totale da effluenti
gassosi provenienti dall’incenerimento dei rifiuti per l’intervallo
di concentrazione del mercurio totale da 0,001 mg/m 3 a 0,5
mg/m 3 . Il metodo può essere applicato anche per effluenti gassosi
provenienti da altre fonti.
Apparecchi di sollevamento e accessori
Brache di tessuto - Sicurezza - Brache di nastro tessuto
piatto di fibra chimica, per uso generale - La presente
norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma
europea EN 1492-1 (edizione luglio 2000). La norma specifica i
requisiti relativi alla sicurezza, compresi i metodi di valutazione
e di prova, di brache piatte cucite in nastro tessuto a braccio
singolo, due, tre e quattro bracci e ad un anello continuo con o
senza accessori, di fibra chimica di poliammide, poliestere e
polipropilene nella gamma di larghezza compresa tra 25 mm e
450 mm compresi.
52 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

UNI EN 1492-2: 2002
Italiano
UNI EN 624: 2002
Italiano
UNI EN 1547: 2003
Italiano
UNI EN 378-4:2003
Italiano
UNI 10989-1: 2003
Italiano
UNI 10989-2: 2003
Italiano
IGIENE E SICUREZZA
NORME TECNICHE
Osservatorio UNI
Brache di tessuto - Sicurezza - Brache ad anello continuo di
tessuto di fibra chimica, per uso generale - La presente norma è la
versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 1492-2
(edizione luglio 2000). La norma specifica i requisiti relativi alla sicurezza,
compresi i metodi di valutazione e di prova, di brache ad anello
continuo con carico massimo di esercizio fino a 40 tonnellate (in sollevamento
diritto) e di brache ad anello continuo a due, tre e quattro bracci,
con o senza terminali, di poliammide, poliestere e polipropilene.
CIG
Prescrizioni per apparecchi funzionanti esclusivamente a gas di
petrolio liquefatti (GPL) - Apparecchi di riscaldamento, a circuito
stagno, funzionanti a GPL per veicoli e natanti - La presente
norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN
624 (edizione settembre 2000). La norma specifica le caratteristiche di
sicurezza, costruzione, funzionamento e rendimento, i metodi di prova
e la marcatura degli apparecchi di riscaldamento con circuito a tenuta
stagna, che utilizzano GPL, per veicoli da strada e natanti.
CTI
Apparecchiature di processo termico industriale - Procedura per
prove di rumorosità per apparecchiature di processo termico
industriale, incluse le attrezzature di manipolazione ausiliarie - La
presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma
europea EN 1547 (edizione gennaio 2001) La norma riguarda la procedura
per prove di rumorosità che specifica le informazioni necessarie per
eseguire in modo efficiente e in condizioni normalizzate la determinazione
la dichiarazione e la verifica delle caratteristiche di emissione sonora
delle apparecchiature di processo termico industriale. Indica anche la
posizione dei posti di lavoro dove devono essere effettuate le misurazioni.
La norma specifica inoltre i metodi di misurazione del rumore disponibili
e le condizioni di funzionamento e di montaggio che devono essere
utilizzati per la prova. La norma riguarda la riproducibilità della determinazione
delle caratteristiche di emissione sonora entro i limiti specificati,
determinata dal grado di accuratezza del metodo di misurazione di base
del rumore utilizzato. I metodi di misurazione del rumore considerati
sono metodi tecnico-progettuali e metodi di controllo. La norma non
tratta il calcolo dell’esposizione personale giornaliera al rumore.
Impianti di refrigerazione e pompe di calore - Requisiti di sicurezza
ed ambientali - Esercizio, manutenzione, riparazione e
riutilizzo - La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana
della norma europea EN 378-4 (edizione gennaio 2000). La norma
prescrive i requisiti di sicurezza e gli aspetti ambientali relativi al
funzionamento, la manutenzione e la riparazione degli impianti frigoriferi
e il recupero, riutilizzo e lo smaltimento di tutti i tipi di fluidi
frigorigeni.
Comportamento all’incendio
Analisi su scala di laboratorio delle emissioni prodotte dalla
combustione dei materiali in condizioni rappresentative della
prima fase dell’incendio - Condizioni di elevata ventilazione - La
norma descrive le procedure analitiche atte a determinare quantitativamente
gli effluenti dell’incendio prodotti da un campione di materiale,
in una condizione di combustione rappresentativa di un incendio che si
sviluppa in un ambiente aperto o ad esso assimilabile.
Analisi su scala di laboratorio delle emissioni prodotte dalla
combustione dei materiali in condizioni rappresentative della
prima fase dell’incendio - Condizioni di accumulo - La norma
descrive le procedure analitiche atte a determinare qualitativamente
e quantitativamente gli effluenti dell’incendio prodotti da un
campione di materiale, in una condizione di combustione rappresentativa
di un incendio che si sviluppa in un ambiente chiuso o ad esso
assimilabile.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 53

NORME TECNICHE
Osservatorio UNI
UNI 10989-3: 2003
Italiano
UNI EN 1634-3: 2003
Italiano
UNI ENV 1729-1:2003
Italiano
UNI EN 12320:2002
Italiano
UNI EN ISO 12567-1:2002
Italiano
UNI EN 12416-1:2003
Italiano
UNI EN 1442:2002
Italiano
IGIENE E SICUREZZA
Analisi su scala di laboratorio delle emissioni prodotte dalla combustione
dei materiali in condizioni rappresentative della prima
fase dell’incendio - Guida all’uso dei risultati - La norma, sperimentale,
propone un metodo di facile interpretazione e di pratico utilizzo,
che consenta di rappresentare l’insieme delle informazioni ottenute
dalla sperimentazione atta a determinare gli effluenti dell’incendio.
Prove di resistenza al fuoco per porte ed elementi di chiusura -
Porte e chiusure a tenuta fumo - La presente norma è la versione
ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 1634-3 (edizione
aprile 2001). La norma specifica un metodo per la determinazione delle
perdite di fumo freddo e caldo da un lato all’altro di un insieme porta,
nelle condizioni di prova specificate. La prova può essere applicata a
porte ed elementi di chiusura di diversi tipi, in grado di limitare il
passaggio del fumo in caso di incendio.
Mobili
Mobili - Sedie e tavoli per istituzioni scolastiche - Dimensioni
funzionali - La presente norma sperimentale è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea sperimentale ENV 1729-1 (edizione
maggio 2001). La norma sperimentale specifica le dimensioni funzionali
e la marcatura per sedie e tavoli di utilizzo generico all’interno
delle istituzioni scolastiche. La norma sperimentale non si applica alle
stazioni di lavoro con computer e per funzioni specifiche (per esempio
uffici, laboratori, sedute in linea, officine, e spazi per la progettazione).
Prodotti /sistemi per organismo edilizio
Accessori per serramenti - Lucchetti e accessori - Requisiti e
metodi di prova - La presente norma è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea EN 12320 (edizione gennaio
2001). La norma specifica i requisiti e descrive i metodi di prova per
la resistenza meccanica, la sicurezza, la funzionalità e la resistenza
alla corrosione di lucchetti e relativi accessori, usati in edilizia,
esclusi cavi e catene.
Isolamento termico di finestre e porte - Determinazione della
trasmittanza termica con il metodo della camera calda - Finestre
e porte complete - La presente norma è la versione ufficiale
in lingua italiana della norma europea EN ISO 12567-1 (edizione
settembre 2000). La norma specifica un metodo per misurare la
trasmittanza termica di una finestra o porta. Essa tiene conto di tutti
gli effetti dei telai, dei telai scorrevoli, delle imposte, delle ante
delle porte e dei montaggi.
Protezione attiva contro gli incendi
Sistemi fissi di lotta contro l’incendio - Sistemi a polvere -
Requisiti e metodi di prova per componenti - La presente
norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea
EN 12416-1 (edizione marzo 2001). La norma specifica i requisiti e i
metodi di prova per i materiali, la costruzione e le prestazioni di
componenti destinati all’utilizzo in sistemi di lotta contro l’incendio
a polvere, destinati all’impiego in edifici.
Recipienti per il trasporto di gas compressi, disciolti o liquefatti
Recipienti portatili e ricaricabili di acciaio saldato per gas di
petrolio liquefatto (GPL) - Progettazione e costruzione - La
presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma
europea EN 1442 (edizione febbraio 1998) e dell’aggiornamento A1
(edizione marzo 2002) e tiene conto delle correzioni introdotte il 18
agosto 1999. La norma specifica i requisiti minimi relativi a materiali,
progettazione, costruzione ed esecuzione, procedimenti e prove
di fabbrica dei recipienti trasportabili e ricaricabili di acciaio saldato
per gas di petrolio liquefatto (GPL) di capacità geometrica compresa
tra 0,5 litri e 150 litri, esposti a temperatura ambiente.
54 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

NORME TECNICHE
Osservatorio UNI
UNI 10989-3: 2003
Italiano
UNI EN 1634-3: 2003
Italiano
UNI ENV 1729-1:2003
Italiano
UNI EN 12320:2002
Italiano
UNI EN ISO 12567-1:2002
Italiano
UNI EN 12416-1:2003
Italiano
UNI EN 1442:2002
Italiano
IGIENE E SICUREZZA
Analisi su scala di laboratorio delle emissioni prodotte dalla combustione
dei materiali in condizioni rappresentative della prima
fase dell’incendio - Guida all’uso dei risultati - La norma, sperimentale,
propone un metodo di facile interpretazione e di pratico utilizzo,
che consenta di rappresentare l’insieme delle informazioni ottenute
dalla sperimentazione atta a determinare gli effluenti dell’incendio.
Prove di resistenza al fuoco per porte ed elementi di chiusura -
Porte e chiusure a tenuta fumo - La presente norma è la versione
ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 1634-3 (edizione
aprile 2001). La norma specifica un metodo per la determinazione delle
perdite di fumo freddo e caldo da un lato all’altro di un insieme porta,
nelle condizioni di prova specificate. La prova può essere applicata a
porte ed elementi di chiusura di diversi tipi, in grado di limitare il
passaggio del fumo in caso di incendio.
Mobili
Mobili - Sedie e tavoli per istituzioni scolastiche - Dimensioni
funzionali - La presente norma sperimentale è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea sperimentale ENV 1729-1 (edizione
maggio 2001). La norma sperimentale specifica le dimensioni funzionali
e la marcatura per sedie e tavoli di utilizzo generico all’interno
delle istituzioni scolastiche. La norma sperimentale non si applica alle
stazioni di lavoro con computer e per funzioni specifiche (per esempio
uffici, laboratori, sedute in linea, officine, e spazi per la progettazione).
Prodotti /sistemi per organismo edilizio
Accessori per serramenti - Lucchetti e accessori - Requisiti e
metodi di prova - La presente norma è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea EN 12320 (edizione gennaio
2001). La norma specifica i requisiti e descrive i metodi di prova per
la resistenza meccanica, la sicurezza, la funzionalità e la resistenza
alla corrosione di lucchetti e relativi accessori, usati in edilizia,
esclusi cavi e catene.
Isolamento termico di finestre e porte - Determinazione della
trasmittanza termica con il metodo della camera calda - Finestre
e porte complete - La presente norma è la versione ufficiale
in lingua italiana della norma europea EN ISO 12567-1 (edizione
settembre 2000). La norma specifica un metodo per misurare la
trasmittanza termica di una finestra o porta. Essa tiene conto di tutti
gli effetti dei telai, dei telai scorrevoli, delle imposte, delle ante
delle porte e dei montaggi.
Protezione attiva contro gli incendi
Sistemi fissi di lotta contro l’incendio - Sistemi a polvere -
Requisiti e metodi di prova per componenti - La presente
norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea
EN 12416-1 (edizione marzo 2001). La norma specifica i requisiti e i
metodi di prova per i materiali, la costruzione e le prestazioni di
componenti destinati all’utilizzo in sistemi di lotta contro l’incendio
a polvere, destinati all’impiego in edifici.
Recipienti per il trasporto di gas compressi, disciolti o liquefatti
Recipienti portatili e ricaricabili di acciaio saldato per gas di
petrolio liquefatto (GPL) - Progettazione e costruzione - La
presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma
europea EN 1442 (edizione febbraio 1998) e dell’aggiornamento A1
(edizione marzo 2002) e tiene conto delle correzioni introdotte il 18
agosto 1999. La norma specifica i requisiti minimi relativi a materiali,
progettazione, costruzione ed esecuzione, procedimenti e prove
di fabbrica dei recipienti trasportabili e ricaricabili di acciaio saldato
per gas di petrolio liquefatto (GPL) di capacità geometrica compresa
tra 0,5 litri e 150 litri, esposti a temperatura ambiente.
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UNI EN 1920: 2002
Italiano
UNI EN 849: 2002
Italiano
UNI EN 962: 2002
Italiano
UNI EN ISO 11439: 2002
Italiano
UNI EN 850: 2003
Italiano
UNI EN 1870-9: 2002
Italiano
IGIENE E SICUREZZA
NORME TECNICHE
Osservatorio UNI
Bombole trasportabili per gas - Bombole per gas compressi
(escluso l’acetilene) - Controlli in occasione del riempimento -
La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della
norma europea EN 1920 (edizione luglio 2000). La norma specifica i
requisiti di controllo in occasione del riempimento e si applica a
bombole trasportabili per gas saldate o prive di saldature realizzate
in acciaio o in lega di alluminio per gas compressi (ad esclusione
dell’acetilene) con capacità in acqua da 0,5 litri fino a 150 litri.
Inoltre, essa si applica, per quanto possibile, a bombole con capacità
in acqua minore di 0,5 litri. La norma non si applica a pacchi di
bombole collegate fra di loro o a bombole da rimorchio collegate
fra di loro.
Bombole trasportabili per gas - Valvole per bombole - Specifiche
e prove di tipo - La presente norma è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea EN 849 (edizione luglio 1996),
dell’aggiornamento A1 (edizione aprile 1999) e dell’aggiornamento
A2 (edizione giugno 2001). La norma specifica i requisiti per le
valvole delle bombole per gas e il metodo di esecuzione delle prove
di tali valvole per l’approvazione del tipo ed è applicabile a valvole
con funzionamento a volantino o a chiave da montare su bombole
per gas aventi capacità fino a 150 litri, non è applicabile a valvole
per apparecchiature di respirazione, estintori, attrezzature di criochirurgia
o gas di petrolio liquefatto (GPL).
Bombole trasportabili per gas - Cappellotti chiusi e cappellotti
aperti di protezione delle valvole delle bombole per gas
industriali e medicali - Progettazione, costruzione e prove - La
presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma
europea EN 962 (edizione luglio 1996), dell’aggiornamento A1 (edizione
settembre 1999) e dell’aggiornamento A2 (edizione agosto
2000). La norma riguarda i dispositivi di protezione delle valvole per
bombole di gas, che non siano sufficientemente robuste da consentire
trasporto, manipolazione e immagazzinaggio senza tale protezione.
La norma specifica le dimensioni, i requisiti dell’attrezzatura e
della procedura della prova d’idoneità e di caduta.
Bombole per gas - Bombole ad alta pressione per stoccaggio
di gas naturale utilizzato come carburante a bordo di autovetture
- La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana
della norma europea EN ISO 11439 (edizione settembre 2000) e
tiene conto delle correzioni introdotte il 28 marzo 2001. La norma
specifica i requisiti minimi per bombole per gas leggere ricaricabili
prodotte in serie destinate unicamente allo stoccaggio di gas naturale
compresso ad alta pressione come carburante a bordo di autovetture,
alle quali tali bombole devono essere fissate.
Bombole trasportabili per gas - Connessioni di uscita delle
valvole a staffa con spine di sicurezza per uso medicale - La
presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma
europea EN 850 (edizione luglio 996), dell’aggiornamento A1 (edizione
novembre 2000) e tiene conto dell’errata corrige dell’aprile
1998.
Sicurezza
Sicurezza delle macchine per la lavorazione del legno -
Seghe circolari - Troncatrice doppia con avanzamento integrato
e con carico e/o scarico manuale - La presente norma è
la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN
1870-9 (edizione giugno 2000). La norma specifica i requisiti o le
misure da prendere per l’eliminazione dei pericoli e la limitazione
dei rischi nelle troncatrici doppie con avanzamento integrato
e con carico e/o scarico manuale, progettate per il taglio di legno
massiccio, pannelli truciolari, pannelli di fibra o compensato, e
anche degli stessi materiali con rivestimento o bordature in laminato
plastico. La norma non si applica a troncatrici per tronchi e
troncatrici superiori doppie.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 55

NORME TECNICHE
Osservatorio UNI
UNI EN 795: 2002
Italiano
UNI EN 12874: 2003
Italiano
UNI EN 13087-1: 2003
Italiano
UNI EN 13087-2: 2003
Italiano
UNI EN 13087-3: 2003
Italiano
UNI EN 13087-6: 2003
Italiano
UNI EN 13274-3: 2003
Italiano
UNI EN 13356: 2003
Italiano
IGIENE E SICUREZZA
Protezione contro le cadute dall’alto - Dispositivi di ancoraggio
- Requisiti e prove - La presente norma è la versione
ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 795 (edizione
luglio 1996) e dell’aggiornamento A1 (edizione ottobre 2000). La
norma specifica i requisiti, i metodi di prova e le istruzioni per
l’uso e la marcatura di dispositivi di ancoraggio progettati esclusivamente
per l’uso con dispositivi di protezione individuale contro
le cadute dall’alto.
Fermafiamma - Requisiti prestazionali, metodi di prova e limiti
di utilizzazione - La presente norma è la versione ufficiale in lingua
italiana della norma europea EN 12874 (edizione gennaio 2001). La
norma specifica i requisiti per i fermafiamma che impediscono la trasmissione
delle fiamme quando sono presenti miscele di gas/aria o
vapore/aria infiammabili.
Caschi/elmetti di protezione - Metodi di prova - Condizioni e
condizionamento - La presente norma è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea EN 13087-1 (edizione marzo
2000) e dell’aggiornamento A1 (edizione dicembre 2001). La norma
specifica i metodi di prova per la valutazione delle prestazioni dei
caschi/elmetti di protezione.
Caschi/elmetti di protezione - Metodi di prova - Assorbimento
degli urti - La presente norma è la versione ufficiale in lingua
italiana della norma europea EN 13087-2 (edizione marzo 2000) e
dell’aggiornamento A1 (edizione dicembre 2001). La norma specifica
i metodi di prova per la valutazione delle prestazioni dei caschi/elmetti,
in particolare il metodo per la determinazione dell’assorbimento
degli urti.
Caschi/elmetti di protezione - Metodi di prova - Resistenza
alla penetrazione - La presente norma è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea EN 13087-3 (edizione marzo
2000) e dell’aggiornamento A1 (edizione dicembre 2001). La norma
specifica i metodi di prova per la valutazione delle prestazioni dei
caschi/elmetti, in particolare il metodo di prova per la resistenza alla
penetrazione.
Caschi/elmetti di protezione - Metodi di prova - Campo visivo -
La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana alla norma
europea EN 13087-6 (edizione marzo 2000) e dell’aggiornamento A1
(edizione dicembre 2001). La norma specifica i metodi di prova per la
valutazione delle prestazioni dei caschi/elmetti, in particolare il metodo
di prova per il campo visivo.
Apparecchi di protezione delle vie respiratorie - Metodi di prova
- Determinazione della resistenza respiratoria - La presente
norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma europea EN
13274-3 (edizione settembre 2001). La norma specifica il procedimento
generale per la misurazione della resistenza respiratoria dei filtri per gli
apparecchi di protezione delle vie respiratorie e gli apparecchi di
protezione delle vie respiratorie che incorporano facciali, ad eccezione
degli apparecchi destinati all’uso subacqueo.
Accessori di visualizzazione per uso non professionale - Metodi
di prova e requisiti - La presente norma è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea EN 13356 (edizione luglio 2001). La
norma specifica i requisiti prestazionali ottici di accessori che devono
essere indossati, attaccati o portati da persone e progettati per l’uso
non professionale.
UNI EN 13274-6:2003 Apparecchi di protezione delle vie respiratorie - Metodi di
prova - Determinazione del tenore di anidride carbonica dell’aria
di inspirazione - La presente norma è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea EN 13274-6 (edizione dicembre
2001). La norma specifica il procedimento di prova per la misurazione
del tenore di anidride carbonica nell’aria di inspirazione (spazio
morto) degli apparecchi di protezione delle vie respiratorie.
56 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

UNI EN 149:2003 Apparecchi di protezione delle vie respiratorie - Semimaschera
filtrante contro particelle - Requisiti, prove, marcatura - La presente
norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma
europea EN 149 (edizione aprile 2001) e tiene conto dell’errata corrige
di luglio 2002 (AC:2002). La norma specifica i requisiti minimi per le
semimaschere filtranti utilizzate come apparecchi di protezione delle
vie respiratorie contro le particelle salvo che per scopi di fuga.
Trasporti interni
UNI EN 1551: 2002
Italiano
UNI EN 1726-2: 2002
Italiano
UNI ENV 852: 2002
Italiano
UNI EN 13490: 2003
Italiano
Sicurezza dei carrelli industriali - Carrelli semoventi con portata
maggiore di 10.000 kg - La presente norma è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea EN 1551 (edizione aprile 2000). La
norma si applica ai carrelli elevatori semoventi con portata nominale
maggiore di 10 000 kg. Essa specifica i requisiti tecnici necessari per
minimizzare i pericoli specifici che potrebbero verificarsi durante l’usuale
funzionamento e manutenzione dei carrelli industriali, in conformità
ai dati forniti dal costruttore o dai suoi rappresentanti autorizzati.
Sicurezza dei carrelli industriali - Carrelli semoventi con portata
fino a 10.000 kg compresi e trattori con forza di trazione fino a
20.000 N compresi - Requisiti supplementari per carrelli con
posto di guida elevabile e carrelli specificatamente progettati
per circolare con carichi elevati - La presente norma è la versione
ufficiale in lingua italiana della norma europea EN 1726-2 (edizione
settembre 2000). La norma si applica, oltre alla EN 1726-1, ai carrelli
industriali progettati per circolare in ambienti chiusi su superfici preparate
orizzontali lisce e dotati di sollevatore non inclinabile verticale.
UNIPLAST
Sistemi di tubazioni di materia plastica per il trasporto di acqua
destinata al consumo umano - Valutazione della migrazione -
Guida sulla interpretazione dei valori di migrazione derivati di
laboratorio - La presente norma sperimentale è la versione ufficiale in
lingua italiana della norma europea sperimentale ENV 852 (edizione
agosto 2001). La norma, sperimentale, specifica un metodo per la
determinazione della migrazione dei costituenti della superficie interna
dei tubi, dei raccordi, dei giunti di materia plastica. Non sono incluse
valutazioni organolettiche e microbiologiche.
Vibrazioni
Vibrazioni meccaniche - Carrelli industriali - Valutazione in
laboratorio e specifica delle vibrazioni trasmesse all’operatore
dal sedile - La presente norma è la versione ufficiale in lingua
italiana della norma europea EN 13490 (edizione ottobre 2001). La
norma è applicabile ai sedili dell’operatore utilizzati sui carrelli
industriali come definiti nella UNI ISO 5053 senza tener conto della
forza motrice, del tipo di equipaggiamento, dei meccanismi di
sollevamento e dei pneumatici. Essa inoltre si applica ai sedili di altri
tipi di veicoli non coperti dalla UNI ISO 5053 quali carrelli a braccio
telescopico e sollevatori per preparazione ordine “low-lift order
picking trucks”. La norma specifica, in accordo con la UNI EN
30326-1, un metodo di laboratorio per la misurazione e la valutazione
dell’efficacia della sospensione del sedile nel ridurre le vibrazioni
verticali del corpo intero trasmesse all’operatore dei carrelli industriali
per frequenze comprese tra 1 Hz e 20 Hz.
NORME CEI
GENNAIO – FEBBRAIO 2003
Numero norma Titolo
13 - Apparecchi per la misura dell’energia elettrica e per il controllo del carico
CEI 13-35
(Prime edizione (Italiano)
IGIENE E SICUREZZA
NORME TECNICHE
Osservatorio UNI
Guida all’applicazione delle Norme sulla misura dell’energia
elettrica - La Guida fornisce un aiuto alla scelta della normativa
tecnica più idonea per la misura di energia e i sistemi di telecomunicazione
e i protocolli di trasmissione dei dati di misura.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 57

20-70 CEI EN 50356
(Prima edizione) (Inglese - Italiano)
26-21 CEI EN 60974-5
(Prima edizione) (Inglese - Italiano)
CEI 31-35/A
(Italiano)
NORME TECNICHE
Osservatorio CEI
20 - Cavi per energia
Metodi di prova per la rivelazione di falle nei cavi - La presente
norma specifica le prescrizioni per l’apparecchiatura di prova per la
rivelazione di falle nei cavi nonché le procedure di taratura delle
apparecchiature di prova.
26 - Macchine ed apparecchiature per saldatura elettrica
Apparecchiatura per la saldatura ad arco - Parte 5: Unità di
avanzamento del filo - La presente Norma specifica le prescrizioni
di sicurezza e di prestazione per le apparecchiature industriali e
professionali impiegate nella saldatura ad arco e nei processi di
avanzamento del filo di apporto.
La presente Norma deve essere utilizzata insieme alle CEI EN
60974-1 e CEI EN 60974-7.
31 - Materiali antideflagranti
Costruzioni elettriche per atmosfere potenzialmente esplosive
per la presenza di gas - Guida all’applicazione della Norma
CEI EN 60079-10 (CEI 31-30) - Classificazione dei luoghi pericolosi.
Esempi di applicazione - La presente variante riguarda il
nuovo esempio GD.11 “Classificazione dei luoghi con pericolo di
esplosione dei distributori fissi di gas naturale compresso (GNC) per
autotrazione”.
59/61 - Apparecchi utilizzatori elettrici per uso domestico e similare (ex CT 107)
72-6 CEI EN 60730-2-9
(Seconda edizione) (Inglese - Italiano)
72-14 CEI EN 60730-2-8
(Seconda edizione) (Inglese - Italiano)
107-51 CEI EN 50304
(Seconda edizione) (Inglese - Italiano)
IGIENE E SICUREZZA
Dispositivi elettrici automatici di comando per uso domestico
e similare - Parte 2: Norme particolari per dispositivi
di comandotermosensibili - La presente norma si applica ai dispositivi
di comando sensibili alla temperatura per l’uso o in associazione
con apparecchi elettrodomestici,
compresi i dispositivi per gli apparecchi da riscaldamento, i
condizionatori d’aria e similari. L’apparecchiatura può utilizzare
energia elettrica, gas, gasolio, altri combustibili solidi o energia
solare.
La norma si applica ai dispositivi elettrici di comando automatici
che utilizzano termistori NTC o PTC. Non si applica ai dispositivi
per applicazioni esclusivamente industriali.
La norma si applica ai dispositivi di comando con tensione nominale
non superiore a 660 V o con corrente nominale non superiore
a 63 A.
Dispositivi elettrici automatici di comando per uso domestico e
similare - Parte 2: Norme particolari per le valvole idrauliche ad
azionamento elettrico, comprese le prescrizioni meccaniche - La
norma si applica alle valvole idrauliche ad azionamento elettrico utilizzate
all’interno o insieme a elettrodomestici che possono utilizzare
elettricità, gas, gasolio, combustibile solido o energia termica solare.
Non si applica:
- alle valvole idrauliche ad azionamento elettrico con valore nominale
superiore a DN 50;
- alle valvole idrauliche ad azionamento elettrico per le quali la pressione
nominale ammissibile è superiore a 1,6 MPa;
- ai distributori di cibo;
- ai distributori di detergenti;
- alle valvole di vapore.
Forni elettrici per uso domestico - Metodi per la misura del
consumo di energia - La Norma tratta delle procedure di prova
richieste dalla Direttiva CE 92/75/EEC relativa all’etichettatura del consumo
di energia per i forni.
Si applica ai forni elettrici per uso domestico, di tipo convenzionale, a
circolazione di aria forzata e a vapore caldo.
58 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

Non si applica ai:
- forni a microonde, compresi quelli combinati,
- forni per cavità piccole (ampiezza e profondità < 250 mm oppure
altezza 120 mm);
- forni senza comando di regolazione della temperatura;
- forni con funzioni di temperatura diverse da quelle specificate più sopra.
69 - Macchine elettriche dei veicoli stradali elettrici
69-7 CEI EN 61851-1
(Prima edizione) (Inglese - Italiano)
76-2 CEI EN 60825-1
(Quarta edizione) (Inglese - Italiano)
Carica conduttiva dei veicoli elettrici - Parte 1: Aspetti generali -
La presente Norma sostituisce completamente la CEI ENV 50275-1:1999-11,
Fasc. 5436, ma non ne costituisce una nuova edizione.
La presente Norma si applica alle apparecchiature per la carica dei
veicoli elettrici (VE) di classe I con tensioni di alimentazione in c.a. fino
al valore di 690 V e con tensioni di alimentazione in c.c. fino a 1000 V. Si
applica, se previsti, all’alimentazione dei dispositivi ausiliari quando il
veicolo elettrico è collegato alla rete.
In particolare la presente Norma riguarda le caratteristiche e le condizioni
operative dei dispositivi di alimentazione, il loro collegamento al
veicolo, la sicurezza elettrica dell’operatore e di terzi, i requisiti del
veicolo in relazione all’apparecchiatura di carica.
76 - Apparecchiature laser
Sicurezza degli apparecchi laser - Parte 1: Classificazione delle
apparecchiature, prescrizioni e guida per l'utilizzatore - La presente
norma riporta le prescrizioni minime relative alla sicurezza degli
apparecchi laser, che possono essere composti da un solo laser con o
senza dispositivo di alimentazione separato, oppure può incorporare
uno o più laser in un sistema complesso ottico, elettrico o meccanico.
Le applicazioni dei laser a cui si riferisce la norma sono le più disparate,
sia per dimostrare fenomeni fisici e ottici, sia per lavorare materiali, sia
per la lettura e registrazione dei dati come per la trasmissione e
visualizzazione dell'informazione. Sono inclusi i diodi che emettono
luce (LED).
Nel caso in cui un sistema laser costituisca una parte di un'apparecchiatura
che è soggetta a un'altra norma per la sicurezza, ad esempio
applicazione medica, si utilizza la presente norma che si applica in
relazione ai rischi specifici derivanti dalle radiazioni laser. La presente
Norma comprende la variante A2 CENELEC alla Pubblicazione base che
modifica la classificazione delle apparecchiature della norma in modo
rilevante. Si è quindi ritenuto utile mettere a disposizione la presente
edizione che ingloba il contenuto della norma-base (CEI EN
60825-1:1998-05), la variante V1 (CEI EN 60825-1/A11:1999-01, che corrisponde
all'A11 CENELEC:1996-10), e le varianti A1 e A2 (IEC e CENE-
LEC), quest'ultima non esiste separatamente perché modifica in modo
rilevante tutto il contenuto della norma base e relativa Variante.
79 - Sistemi di rilevamento e segnalazione per incendio, intrusione, furto, sabotaggio e aggressione
79-36 CEI EN 50134-1
(Prima edizione) (Inglese - Italiano)
79-37 CEI EN 50134-3
(Prima edizione) (Inglese - Italiano)
Sistemi di allarme - Sistemi di allarme sociale - Parte 1: Requisiti
dei sistemi - La Norma specifica i requisiti minimi per un sistema di
allarme sociale.
Per le persone con invalidità si possono applicare prescrizioni supplementari
non coperte dalla presente serie di Norme.
Sistemi di allarme - Sistemi di allarme sociale - Parte 3: Unità
locale e controllore - La presente Norma specifica i requisiti e le
prove per le unità locali e i controllori che fanno parte di un sistema di
allarme sociale.
108 - Sicurezza delle apparecchiature elettroniche per tecnologia audio/video, dell’informazione
e delle telecomunicazioni (ex CT 74, CT 92)
92-1 CEI EN 60065
(Ottava edizione) (Inglese - Italiano)
IGIENE E SICUREZZA
NORME TECNICHE
Osservatorio CEI
Apparecchi audio, video ed apparecchi elettronici similari - Requisiti
di sicurezza - La presente Norma si applica agli apparecchi
elettronici alimentati da rete, da un alimentatore, da batterie o da
alimentazione remota e
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 59

NORME TECNICHE
Osservatorio CEI
IGIENE E SICUREZZA
destinati alla ricezione, generazione, registrazione o riproduzione di
segnali audio, video e associati.
Vengono trattati principalmente gli aspetti della sicurezza degli apparecchi
destinati ad usi domestici o che possono essere usati in comunità e luoghi
pubblici. La Norma riguarda anche gli apparecchi professionali destinati agli
impieghi di cui sopra e gli apparecchi collegati a reti di Telecomunicazioni.
Esempi di apparati che rientrano nella Norma sono:
apparecchi ricevitori e amplificatori per segnali sonori e TV, trasduttori di
carico e di sorgente, alimentatori, strumenti musicali elettronici, apparecchi
didattici, videoproiettori, monitor, videocamere, videogiochi, juke box, teletext,
registratori e riproduttori di nastri e dischi ottici, sistemi di allarme, ecc.
L’applicazione della presente Norma è destinata ad impedire ferite o
danni dovuti ai seguenti rischi:
scossa elettrica, temperatura eccessiva, radiazioni, implosione, rischi
meccanici, incendio.
ISPESL
Istituto Superiore Per La Prevenzione E la Sicurezza del Lavoro
SANITÀ FUTURA 2003
Centro Congressuale Villa Erba - Cernobbio, Como
CONVEGNO
“Prevenzione degli infortuni e tutela della salute dei lavoratori nel sistema sanitario”
25 MARZO 2003, SALA ERBA
PROGRAMMA DEL CONVEGNO
10.00 Presiede: M. Condorelli - Presidente del Consiglio Superiore di Sanità
10.15 Apertura dei Lavori - “Ruolo dell’ISPESL a supporto del settore sanitario”, Antonio Moccaldi, Direttore
ISPESL.
10.30 “Recenti orientamenti del Ministero della Salute per la revisione del decreto legislativo 626/1994”, F.
Oleari, Dirigente Generale del Ministero della Salute.
10.45 “Qualità nelle figure professionali dei servizi di prevenzione - Recenti orientamenti del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali”, P. Onelli, Dirigente Generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
11.00 “Accordo ISPESL - INAIL - Regioni, per i flussi informativi”, B. Cravedi, Coordinamento tecnico interregionale
11.15 “Il contributo dell’INAIL nel campo della prevenzione sul lavoro e riabilitazione dei lavoratori”. M.
Fanti, Direttore Centrale Prevenzione – INAIL
11.30 “L’attuazione del decreto legislativo 626/94 nelle strutture sanitarie. Risultati ottenuti e problemi
aperti“, F. Testa, Vicepresidente FIASO
11.45 “Il Consorzio Sicur-ANCI - Il contributo per l’attuazione del decreto legislativo 626/94 nel Servizio
Sanitario Nazionale”, R. Faillace, Direttore Generale ASL di Pisa
12.00 “Ruolo dei servizi di prevenzione nelle strutture sanitarie per il miglioramento della prevenzione e
della sicurezza”, D. Sossai, Presidente dell’AIRESPSA
12.15 “Indipendenza del servizio di prevenzione e protezione in ambito ospedaliero”, G.R. Croce, Magistrato
di Cassazione con funzione di Giudice per l’indagini preliminari del Tribunale di Roma
12.30 Conlusioni e Dibattito
25 MARZO 2003 - SALA 2 - FORUM & FORMAZIONE
PROGRAMMA DEL SEMINARIO
Ore 15.30 - 18.00
l PRIMA SESSIONE
“Qualità e sicurezza nell’impiego dei dispositivi medici”
l SECONDA SESSIONE
“Linee guida e protocolli sanitari per il miglioramento della tutela della salute e la prevenzione degli
infortuni nelle strutture sanitarie pubbliche e private”
l TERZA SESSIONE
“L’osservatorio ISPESL - INAIL - Regioni per l’implementazione e la razionalizzazione dei flussi informativi per
la riduzione degli infortuni e delle malattie professionali”
ORGANIZZAZIONE
Celestino Oddi, Direttore del Dipartimento Relazioni Esterne; Rita Bisegna, Direttore dell’Ufficio Relazioni
con il Pubblico; Maria Stella Natale, URP; Coletti Barbara, URP
U.R.P. : Tel. 06 4714284, Fax. 06 48906750, e-mail urp_ispesl@tin.it
Le iscrizioni per il seminario sono a numero chiuso e il modello di iscrizione è disponibile sul sito
www.sanitafutura.it nella sezione FORUM & FORMAZIONE.
60 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE
a cura di Marco Fabrizio, avvocato in Roma
EUROPA
IMBALLAGGI
«Rettifica della direttiva 2002/272/CE della
Commissione, del 6 agosto 2002, relativa ai
materiali e agli oggetti di materia plastica destinati
a venire a contatto con i prodotti alimentari»
(G.U.C.E. L del 13 febbraio 2003, n. 39)
Viene riprodotto per intero il testo della direttiva
indicata al titolo, già pubblicata in G.U.C.E. L del
15 agosto 2002, n. 220, e finalizzata a disciplinare
le specifiche tecniche dei materiali e degli oggetti
in plastica destinati a contenere prodotti alimentari,
con i relativi limiti globali di migrazione.
ALIMENTI PER BAMBINI
Direttiva 2003/13/CE della
Commissione 10 febbraio 2003
«Direttiva 2003/13/CE della Commissione del
10 febbraio 2003 che modifica la direttiva
96/5/CE sugli alimenti a base di cereali e gli altri
alimenti destinati ai lattanti e ai bambini»
(G.U.C.E. L del 14 febbraio 2003, n. 41)
La direttiva modifica l’art. 6, direttiva indicata al
titolo, sostanzialmente rendendo più stringenti i
limiti massimi ammissibili di residui di antiparassitari
tollerabili negli alimenti a base di cereali e negli
altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini (Allegato
I, direttiva in questione, già Allegato VII, direttiva
96/5/CE) nonché le tipologie stesse di antiparassitari
utilizzabili in prodotti agricoli destinati all’alimentazione
per lattanti (Allegato II, direttiva in
questione, già Allegato VIII, direttiva 96/5/CE).
Direttiva 2003/14/CE della
Commissione 10 febbraio 2003
«Direttiva 2003/14/CE della Commissione
del 10 febbraio 2003 che modifica la diret-
IGIENE E SICUREZZA
tiva 91/321/CEE sugli alimenti per lattanti e
alimenti di proseguimento» (G.U.C.E. L del 14
febbraio 2003, n. 41)
La direttiva modifica l’art. 6 della direttiva indicata al
titolo, concernente le quantità massime ammissibili
di sostanze presenti negli alimenti di proseguimento
e per lattanti. In particolare, risultano rivisti, in modo
maggiormente stringente, le tipologie di antiparassitari
utilizzabili nella produzione agricola destinata
alla produzione degli alimenti in questione (Allegato
I, direttiva in questione, già Allegato IX, direttiva
91/321/CEE) e le quantità massime specifiche dei residui
di antiparassitari o dei loro metaboliti presenti
nella medesima tipologia di alimenti (Allegato II, direttiva
in questione, già Allegato X, direttiva 96/5/CE).
PVC MORBIDO CONTENENTE FTALATI
Decisione della Commissione
19 febbraio 2003
«Decisione della Commissione del 19 febbraio
2003 che modifica la decisione 1999/815 /CE riguardante
provvedimenti che vietano l’immissione sul
mercato di giocattoli e articoli di puericultura destinati
ad essere messi in bocca da bambini d’età inferiore a
tre anni e fabbricati in PVC morbido contenente taluni
ftalati» (G.U.C.E. L del 20 febbraio 2003, n. 46)
La decisione reca la nuova “proroga trimestrale”
relativa alla validità del divieto contenuto nella decisione
1999/815/CE, riguardo l’immissione in commercio
di giocattoli e articoli di puericultura fabbricati in
PVC morbido contenente taluni ftalati. La proroga si
rende necessaria per permettere il proseguimento
dei test scientifici sulla migrazione delle sostanze in
questione. Il nuovo termine di efficacia della decisione
citata è ora fissato al 20 maggio 2003.
ITALIA
LEGISLAZIONE
In breve
PRODOTTI DESTINATI A UN’ALIMENTAZIONE
PARTICOLARE
D.Lgs. 14 febbraio 2003, n. 31
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 61

LEGISLAZIONE
In breve
«Attuazione della direttiva 2001/15/CE sulle
sostanze che possono essere aggiunte a
scopi nutrizionali specifici ai prodotti destinati
ad un’alimentazione particolare» (G.U. del 26
febbraio 2003, n. 47)
Il decreto fissa, per ciascuna delle categorie di
sostanze aggiunte per scopi nutrizionali specifici
agli alimenti destinati a un’alimentazione particolare
ex D.Lgs. n. 111/1992, le tipologie di sostanze
chimiche che possono essere usate per la
fabbricazione dei prodotti di cui al D.Lgs. medesimo.
Il mancato inserimento nell’elenco non
pregiudica, comunque, la possibilità di utilizzare
altre sostanze aggiunte per scopi nutrizionali
specifici per la produzione di alimenti destinati
a una alimentazione particolare, ferme restando
le limitazioni in questo senso previste dal
IGIENE E SICUREZZA
SEMINARIO
regolamento (CE) n. 258/1997. I prodotti non
conformi alla nuova disciplina potranno essere
commercializzati fino al 31 marzo 2004.
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE (DPI)
Decreto del Ministero delle Attività
produttive 13 febbraio 2003
«Terzo elenco armonizzato concernente
l’attuazione della direttiva n. 89/686/CEE relativa
ai dispositivi di protezione individuale»
(G.U. del 20 febbraio 2003, n. 42)
Il decreto reca il terzo elenco riepilogativo delle
norme nazionali (UNI EN) di trasposizione delle
norme armonizzate europee (CEN) in materia di
dispositivi di protezione individuale. l
I SUBAPPALTI, LE FORNITURE CON POSA IN OPERA
E GLI AFFIDAMENTI DI SERVIZI PUBBLICI
Hotel President, Lecce
GIOVEDÌ 27 MARZO 2003
MATTINO: 8.30 - 13.00
l Introduzione generale alla disciplina del subappalto nei lavori pubblici; quadro di riferimento normativo; ambito
soggettivo di applicazione
l La qualificazione dei subappaltatori; i requisiti per i subappaltatori; i limiti di legge per il ricorso al subappalto; le
procedure autorizzative; obblighi nei confronti dell’Osservatorio
POMERIGGIO: 15.30 - 19.00
l Obblighi, divieti e responsabilità per gli appaltatori; obblighi, divieti e responsabilità per i subappaltatori; verifiche;
sanzioni in caso di accertata violazione; obblighi nei confronti dell’Osservatorio
l Le responsabilità dei Direttori dei Lavori; la responsabilità delle stazioni appaltanti; presentazione di modulistica
VENERDÌ 28 MARZO 2003
MATTINO: 9.00 - 13.00
l Gli appalti di forniture: definizioni generali: quadro normativo di riferimento, ambito soggettivo di applicazione: il
contratto di forniture;
l Gli appalti di servizi: quadro normativo di riferimento; ambito soggettivo di applicazione; il contratto di servizi
l Il contratto d’appalto pubblico misto; l’Autorità di Vigilanza sui Lavori pubblici; il subappalto di fornitura con posa
in opera
POMERIGGIO: 15.30 - 19.00
l La nuova normativa sui lavori pubblici per i contratti di fornitura con posa in opera; il sistema delle garanzie nel
contratto di fornitura con posa in opera; le subforniture nei lavori pubblici; obblighi, divieti e responsabilità per gli
appaltatori; obblighi, divieti e responsabilità per i subappaltatori; verifiche; sanzioni in caso di accertata violazione
l La responsabilità degli appaltatori e dei subappaltatori; la responsabilità delle stazioni appaltanti; le responsabilità
dei Direttori dei Lavori; presentazione di modulistica
_______________________________________________________________________
Per eventuali informazioni contattare la segreteria organizzativa: ROMA MULTISERVIZI srl, via A. Dell’Abate 37,
Lecce, Tel./Fax: 0832.231822/2232168, e-mail: info@romamultiservizi.com, http://www.romamultiservizi.com
62 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

IL CASO
di Pierguido Soprani, magistrato
LA SICUREZZA NELLA SCUOLA
«Sono Preside in un istituto scolastico di
istruzione secondaria. Vorrei conoscere
in che modo si configura la mia responsabilità,
quale datore di lavoro, ai fini della tutela della
sicurezza e della salute del personale docente
e ausiliario. In particolare vorrei sapere come
si caratterizza l’obbligo della valutazione
dei rischi, con riguardo ai rapporti con l’ente
locale gestore dell’edificio scolastico, e alla limitatezza
delle risorse finanziarie disponibili»
Prima di affrontare, nello specifico, il quesito
proposto, va messo in rilievo che le
problematiche relative alla tutela della sicurezza
e della salute negli istituti pubblici scolastici,
presentano tratti e caratteristiche peculiari,
dipendenti dalla particolare fisionomia del
modello organizzativo di lavoro, nonché delle
procedure interne di impegno della spesa, proprie
del settore pubblico.
Nondimeno, uno degli elementi che contraddistingue
la normativa prevenzionale è il principio
di “circolarità” della sicurezza: il che equivale
ad affermare che la normativa prevenzionistica
e di igiene del lavoro si applica, con
valenza trasversale, a tutti i settori della vita
associata, cosa che del resto è stata da tempo
affermata sia dalla legislazione sia dalla Giurisprudenza.
Il principio di “circolarità” della sicurezza, già
contenuto nel testo delle normative prevenzionistiche
e di igiene del lavoro varate negli
anni ’50, è stato confermato da quelle successive
che, come il D.Lgs. n. 626/1994, hanno recepito
gli standard Comunitari di settore, tant’è
che l’art. 1 del citato decreto legislativo, con
un’espressione e una formula linguistica che
va ben oltre la dizione dell’art. 2093 del Codice
civile, e degli stessi artt. 1 del D.P.R. n.
547/1955 e 1 del D.P.R. n. 303/1956, ha parificato
i datori di lavoro del settore pubblico e
quelli del settore privato, accomunandoli nell’obbligo
- in linea generale indifferenziato -
dell’attuazione degli adempimenti inerenti la
tutela della sicurezza e della salute sul luogo
di lavoro.
Una delle pronunce più significative sul tema
IGIENE E SICUREZZA
LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
è quella di Cass. pen., sez. III, 4-18 marzo 1993,
Mirabelli, secondo cui «In tema di prevenzione
infortuni, i precetti relativi vanno osservati
in tutte le attività nelle quali siano addetti
lavoratori subordinati, comprese quelle esercitate
da Stato, regioni, province e comuni, e
non soltanto nei casi in cui i menzionati enti
pubblici esercitino una impresa. Le norme di
prevenzione infortuni e di igiene del lavoro
dettate dai D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 e 19
marzo 1956, n. 303 sono applicabili anche agli
enti pubblici che non esercitano un’impresa».
Il caso affrontato dalla Suprema Corte riguardava
i locali di un Tribunale, ove erano state
accertate violazioni alle norme di prevenzione
infortuni e igiene del lavoro.
A far data dall’entrata in vigore del D.Lgs. n.
626/1994, esistono dunque statuti di tutela differenziati,
che sono stati previsti in relazione
alle «particolari esigenze» proprie di ciascun
settore e dei servizi (cui corrispondono attività
di lavoro) in essi espletati, come dispone
espressamente l’art. 1, comma 2, del suddetto
decreto legislativo: tale regime di applicazione
della normativa di tutela della sicurezza e
della salute può essere efficacemente definito,
per i settori particolari, come regime di
«applicazione compatibile».
Tra i settori particolari previsti dall’art. 1, comma
2, del D.Lgs. n. 626/1994, soggetti al regime
di “applicazione compatibile” della normativa
di tutela della sicurezza e della salute
durante il lavoro, rientrano anche le università,
gli istituti di istruzione universitaria, e gli
istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine
e grado. E, secondo quanto dispone l’art.
1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001 (cosiddetto
T.U. sul pubblico impiego), tanto gli istituti e
le scuole di ogni ordine e grado, e le istituzioni
educative, quanto le istituzioni universitarie,
sono classificate quali amministrazioni
pubbliche; per esse dunque, con riguardo alle
qualifiche soggettive, ai profili funzionali e di
responsabilità e alle procedure di impegno
della spesa vale, in linea generale, la disciplina
stabilita per l’azione della Pubblica amministrazione.
Peraltro, in base all’art. 25 del D.Lgs. n.
165/2001, è stata istituita, nell’ambito dell’am-
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 63

LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
ministrazione scolastica periferica, la qualifica
dirigenziale (con ruoli di dimensione regionale)
per i capi di istituto preposti alle istituzioni
scolastiche ed educative dotate di personalità
giuridica e di autonomia (con equiparazione,
a questo fine, della direzione dei conservatori
di musica, delle accademie di belle arti, degli
istituti superiori per le industrie artistiche e
delle accademie nazionali di arte drammatica
e di danza). A detti capi di istituto, oltre alla
legale rappresentanza, è stato attribuito il
compito di assicurare la gestione unitaria dell’istituzione
e la responsabilità della gestione
delle risorse finanziarie e strumentali e dei
risultati del servizio, mediante l’esercizio, nel
rispetto delle competenze degli organi collegiali
scolastici, di autonomi poteri di direzione,
di coordinamento e di valorizzazione delle
risorse umane, e di adozione dei provvedimenti
di gestione delle risorse e del personale. Il
comma 5 del citato art. 25 prevede altresì che
nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative
e amministrative il dirigente scolastico/datore
di lavoro «può avvalersi di docenti
da lui individuati, ai quali possono essere delegati
specifici compiti, ed è coadiuvato dal responsabile
amministrativo, che sovrintende,
con autonomia operativa, nell’ambito delle direttive
di massima impartite e degli obiettivi
assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi
generali dell’istituzione scolastica, coordinando
il relativo personale»; non a caso, a questo
riguardo, l’art. 1 del D.M. n. 292/1996, in sede
di individuazione del datore di lavoro ai fini
della sicurezza negli uffici e nelle istituzioni
scolastiche di dipendenza ministeriale, ha
mantenuto ferme «le attribuzioni e le competenze
dei dirigenti degli uffici (da individuarsi
nel novero del corpo docente) e dei preposti
(ad esempio, il personale ausiliario e/o tecnico
non docente), ove presenti», da valutarsi in
base al noto principio cosiddetto di
“scalettamento” degli obblighi, espresso con
valenza generale dall’art. 1, comma 4-bis, del
D.Lgs. n. 626/1994, in forza del quale tenuti
all’osservanza della normativa prevenzionistica
sono il datore di lavoro che esercita l’attività
gravata del dovere di sicurezza e di salute
e, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e
competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono
o sovraintendono la stessa attività.
Al fine di adeguare il settore “scuola” alle
particolari esigenze connesse al servizio esple-
IGIENE E SICUREZZA
tato, sono stati emanati il decreto del Ministero
dell’Università e della Ricerca scientifica 5
agosto 1998, n. 363 (Regolamento recante norme
per l’individuazione delle particolari esigenze
delle università e degli istituti di istruzione
universitaria ai fini delle norme contenute
nel decreto legislativo 19 settembre 1994,
n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni),
e il decreto del Ministero della Pubblica
Istruzione 29 settembre 1998, n. 382 (Regolamento
recante norme per l’individuazione delle
particolari esigenze negli istituti di istruzione
ed educazione di ogni ordine e grado, ai
fini delle norme contenute nel decreto legislativo
19 settembre 1994, n. 626, e successive
modifiche ed integrazioni), nonché due circolari
del Ministero della Pubblica Istruzione (circolare
29 aprile 1999, n. 119 e circolare 3 ottobre
2000, n. 223).
La generale applicabilità della normativa prevenzionistica
e di igiene del lavoro alle strutture
scolastiche è stata da tempo affermata dalla
Giurisprudenza. Sul tema è significativa la
pronuncia di Cass. pen., sez. III, 19 novembre
1991, Galgano («Le norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro di cui al D.P.R. 27
aprile 1955, n. 547 sono applicabili a una scuola,
pur quando si inibisca agli allievi l’uso delle
apparecchiature, sia perché la scuola è comunque
frequentata da personale docente e non
docente, sia perché la scuola è frequentata da
altre persone, ivi compresi gli stessi allievi; ne
consegue che il sequestro preventivo di una
scuola sprovvista di un numero adeguato di
uscite di sicurezza non può essere legittimamente
revocato per il solo fatto che vi sia
vietato agli allievi l’uso di apparecchiature»).
Sul tema si sono espresse anche Cass. pen.,
sez. III, 3 ottobre 1984, Barni, Cass. pen., sez.
III, 3 aprile 1992, Bodo, e Cass. pen., sez. III, 12
novembre 1993, Deorsola e altro. Più recentemente,
con riguardo anche alla responsabilità
del docente di una materia tecnica, in concorso
con il preside, per avere avallato l’acquisto
di una macchina risultata non a norma (Cass.
pen., sez. IV, 22 gennaio 2001, Renzi e altro).
Ancora Cass. pen., sez. III, 7 giugno 2001, Altamore,
ha lapidariamente affermato che, in tema
di prevenzione infortuni nelle istituzioni
scolastiche, «soggetto destinatario dell’obbligo
di sicurezza è il dirigente che abbia poteri
di gestione». Da ultimo, in termini, Cass. pen.,
sez. III, 28 novembre 2002, Pirri.
64 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

Gli allievi degli istituti di istruzione e di laboratori-scuola
nei quali si faccia uso di macchine,
attrezzature, utensili ed apparecchi in genere,
sono poi equiparati, agli effetti dell’applicazione
della normativa prevenzionistica e di
igiene del lavoro, ai lavoratori subordinati, come
dispone espressamente l’art. 3, comma 2,
del D.P.R. n. 547/1955, con previsione da ultimo
confermata dall’art. 2 del D.Lgs. n.
626/1994.
La conclusione dunque è che il settore scolastico
non si sottrae affatto alla normativa e alle
esigenze di tutela della sicurezza e della salute;
ma, nell’applicazione delle norme, occorre
tuttavia tenere conto delle problematiche derivanti
dalla natura pubblicistica dei servizi, e
della particolare fisionomia strutturale e funzionale
degli addetti.
Vediamo ora quali siano le “particolari esigenze”,
connesse al servizio espletato, inerenti
alle strutture scolastiche.
In base a ciò che prevede il D.M. n. 382/1998,
nelle istituzioni scolastiche o educative fino a
200 dipendenti (esclusi gli allievi), il datore di
lavoro ha la facoltà di svolgere direttamente i
compiti propri del responsabile del servizio di
prevenzione e protezione dai rischi. Quanto
alla designazione del RSPP, questa figura può
essere individuata tra le seguenti categorie:
a) personale interno all’unità scolastica, provvisto
di idonea capacità adeguatamente comprovata
da iscrizione ad albi professionali attinenti
all’attività da svolgere e che si dichiari a
tal fine disponibile;
b) personale interno all’unità scolastica in possesso
di attitudini e capacità adeguate che si
dichiari a tal fine disponibile;
c) personale interno ad una unità scolastica, in
possesso di specifici requisiti adeguatamente
documentati e che sia disposto ad operare per
una pluralità di istituti; con l’ulteriore possibilità
che gruppi di istituti possano avvalersi in
comune dell’opera di un unico esperto esterno
al fine di integrare l’azione di prevenzione
e protezione svolta dai dipendenti all’uopo
individuati dal datore di lavoro, da attuarsi
preferibilmente in regime di convenzione con
gli enti locali competenti per la fornitura degli
edifici scolastici e dei relativi interventi in materia
di sicurezza o, subordinatamente, con
enti o istituti specializzati in materia di sicurezza
sul lavoro, o con altro esperto esterno.
Per ciò che concerne l’attività di valutazione
IGIENE E SICUREZZA
LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
dei rischi, anche per le strutture scolastiche
vale lo statuto di valutazione cosiddetta differenziata
dei rischi, riconducibile, in linea generale,
alla previsione dell’art. 4, comma 12 del
D.Lgs. n. 626/1994 («Gli obblighi relativi agli
interventi strutturali e di manutenzione necessari
per assicurare, ai sensi del presente decreto,
la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati
in uso a pubbliche amministrazioni o a
pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche
ed educative, restano a carico dell’amministrazione
tenuta, per effetto di norme o
convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione.
In tal caso gli obblighi previsti dal presente
decreto, relativamente ai predetti interventi,
si intendono assolti, da parte dei dirigenti o
funzionari preposti agli uffici interessati, con
la richiesta del loro adempimento all’amministrazione
competente o al soggetto che ne ha
l’obbligo giuridico»).
Più specificamente dispongono poi gli artt. 3 e
5 del D.M. n. 382/1998: il primo, limitatamente
alle scuole statali, stabilisce che il datore di
lavoro, al fine di redigere il Piano di sicurezza,
«può avvalersi della collaborazione degli
esperti degli enti locali tenuti alla fornitura
degli immobili, nonché degli enti istituzionalmente
preposti alla tutela e alla sicurezza dei
lavoratori»; il secondo, dopo l’enunciazione,
in linea con la normativa di legge, che, ogni
qualvolta se ne presenti l’esigenza, il datore di
lavoro «deve richiedere agli enti locali la realizzazione
degli interventi a carico degli enti
stessi», e che con tale richiesta «si intende
assolto l’obbligo di competenza del datore di
lavoro medesimo», prevede che, nelle situazione
di grave ed immediato pregiudizio alla sicurezza
ed alla salute dei lavoratori e degli allievi,
sia il datore di lavoro a dover adottare in
via personale ed esclusiva, sentito il responsabile
del servizio di prevenzione e di protezione,
«ogni misura idonea a contenere o eliminare
lo stato di pregiudizio, informandone
contemporaneamente l’ente locale per gli
adempimenti di obbligo». Ove ciò egli non
faccia, ne risponderà penalmente secondo il
meccanismo di attribuzione della responsabilità
legato alla ricopertura e all’assunzione di
una specifica posizione di garanzia, previsto
dall’art. 40 cpv., del Codice penale, in base al
quale «non impedire un evento, che si ha l’obbligo
giuridico di impedire, equivale a cagionarlo».
Sulle competenze riconosciute ai dirigenti
scolastici, per l’attività gestionale e la
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 65

LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
realizzazione degli obiettivi definiti nel cosiddetto
“programma annuale”, si veda il decreto
del Ministero della Pubblica Istruzione 1˚
febbraio 2001, n. 44, nonché la citata circolare
ministeriale n. 119/1999, la quale ha indicato
chiaramente che i dirigenti scolastici possono
fronteggiare le spese attingendo dagli ordinari
stanziamenti di bilancio concernenti il
funzionamento amministrativo e didattico
dell’istituzione scolastica interessata.
Altro compito del datore di lavoro, quale autorità
scolastica amministrativa territorialmente
competente, è quello di promuovere ogni opportuna
iniziativa di raccordo e di coordinamento
tra l’istituzione scolastica (od educativa)
da lui diretta e gli enti locali, al fine dell’attuazione
della normativa prevenzionistica e di
igiene del lavoro.
In base a quanto dispone l’art. 3 della legge
11 gennaio 1996, n. 23, recante norme per
l’edilizia scolastica, obbligati alla realizzazione,
alla fornitura e alla manutenzione ordinaria
e straordinaria degli edifici scolastici (comprese
le spese varie di ufficio e per l’arredamento,
le spese per le utenze elettriche e telefoniche,
per la provvista dell’acqua e del gas,
per il riscaldamento ed i relativi impianti), sono
i Comuni e le Province: i primi in relazione
agli edifici destinati a sede di scuole materne,
elementari e medie; le seconde con riguardo
agli edifici destinati a sede di istituti e scuole
di istruzione secondaria superiore, compresi i
licei artistici e gli istituti d’arte, di conservatori
di musica, di accademie, di istituti superiori
per le industrie artistiche, nonché di convitti e
di istituzioni educative statali.
Quanto alla problematica, di persistente attualità,
derivante dall’esigenza di conciliare l’obbligo
di attuazione degli obblighi di sicurezza
e di salute con la limitatezza delle risorse finanziarie
facenti capo a ciascun ente, ne è
significativo paradigma la pronuncia di Cass.
pen., sez. III, 3 ottobre 1984, Barni e altri,
relativa alla condanna di un amministratore
comunale e di due direttori di istituti scolastici
per l’omessa dotazione alle strutture dei prescritti
presidi infortunistici.
Fermo restando che le implicazioni di natura
economica non possono, di per se stesse, costituire
un salvacondotto rispetto all’obbligo di
attuazione degli obblighi e degli adempimenti
legati alla sicurezza e alla salute, si pone
tuttavia il problema di come intervenire in
assenza di fondi immediatamente reperibili, o
IGIENE E SICUREZZA
di sufficiente capienza di quelli disponibili.
Messa di fronte a tale stringente scelta di campo,
la Corte di Cassazione ha dato, nella pronuncia
citata, una risposta e un’indicazione
netta: si dovevano stornare i fondi già disponibili,
posto che l’adempimento degli obblighi
prevenzionistici «aveva indubbiamente carattere
prioritario rispetto ad altre esigenze pur
da soddisfare con i fondi stanziati in bilancio».
E, quanto al profilo della pretesa non sindacabilità
delle scelte della P.A. ad opera dell’Autorità
giudiziaria, la Cassazione afferma un importante
principio: anche se è vero che l’Autorità
giudiziaria «non ha il potere di censurare
le scelte discrezionalmente operate dalla pubblica
amministrazione di destinare i fondi di
cui dispone per soddisfare alcuni bisogni della
collettività a preferenza di altri, tuttavia tale
limite viene meno ed il sindacato è ammissibile
quando dette scelte diventano illegittime in
quanto la pubblica amministrazione, nel graduare
le esigenze collettive da appagare, ne
privilegia alcune e trascura del tutto quelle
che derivano da un obbligo giuridico sanzionato
penalmente. In tal caso, infatti, il magistrato
deve affermare la responsabilità penale del
pubblico amministratore perché costui si sottrae
volontariamente ad un obbligo impostogli
dalla legge penale e dimostra di preferire il
soddisfacimento di altri bisogni collettivi, anche
se la loro violazione non comporta una
sanzione penale».
L’antitesi tra il precetto della norma penale,
cogente e imperativo, e il profilo di concreta
esigibilità della condotta, si può comporre,
per la delimitazione dei confini della responsabilità,
affermando che il dirigente/funzionario
pubblico, previa verifica dell’entità (e dell’effettiva
disponibilità) delle risorse finanziarie,
dovrà impiegarle, per fronteggiare situazioni
di non osservanza alla normativa di prevenzione
e di igiene del lavoro, rispettando i criteri
della priorità e della gradualità nell’impegno
della spesa. Come dire che, in una situazione
di limitatezza delle risorse, nel dare attuazione
ai programmi, ai progetti, agli obiettivi
definiti dall’Amministrazione di appartenenza,
ovvero direttamente dalla legge, non si
potranno considerare subvalenti quelli la cui
priorità è chiaramente indicata dalla previsione
dell’assoggettamento a sanzione penale
per il caso di inosservanza. Posto che l’azione
della Pubblica Amministrazione è sempre finalizzata
all’appagamento di bisogni collettivi,
66 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

la scelta di quali privilegiare - rientrante nella
sfera della discrezionalità cosiddetta amministrativa
- diventa censurabile laddove, nel graduare
il soddisfacimento dei bisogni, se ne
privilegino alcuni trascurandone - in tutto o in
parte - altri che sono invece prioritari. Tali
sono sicuramente - in ragione del rilievo anche
costituzionale riconosciuto ai beni protetti
(salute dell’uomo-lavoratore; sicurezza e
igiene del lavoro) - quelli imposti dalla normativa
di prevenzione, il che è perfettamente in
linea con l’orientamento della Cassazione nella
pronuncia qui in commento. Va inoltre chiarito
che l’indisponibilità di risorse finanziarie
sufficienti ad assicurare l’attuazione degli
adempimenti e degli obblighi legati alla sicurezza
deve essere tempestivamente segnalata
IGIENE E SICUREZZA
LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
nella sede gerarchica, agli organi di direzione
politico-amministrativa dell’ente, adottando
provvisoriamente, ove (tecnologicamente ed
economicamente) possibile, misure interinali
alternative, che garantiscano un livello di sicurezza
il più possibile equivalente a quello imposto
dalla legge. Quanto alla possibilità di
sospendere l’attività lavorativa, a fronte di riscontrate
carenze alla normativa di prevenzione
degli infortuni e di igiene del lavoro, non
la si può escludere in linea teorica, anche se,
ove si tratti di servizi pubblici essenziali per la
collettività, occorre procedere alla preliminare
valutazione, comparazione e bilanciamento
degli interessi in gioco in ciascuna situazione
concreta. l
GIURISPRUDENZA
Cass. pen., sez. III, 3 ottobre 1984, n. 7936, - Pres. Corbelli - Est. Billa - Imp. Barni
Giurisdizione penale - Poteri e obblighi del giudice - Nei confronti della pubblica amministrazione -
Sindacato del giudice ordinario - Limiti - Fattispecie.
Anche se è vero che l’autorità giudiziaria non ha il potere di censurare le scelte discrezionalmente operate
dalla pubblica amministrazione di destinare i fondi di cui dispone per soddisfare alcuni bisogni della collettività
a preferenza di altri, tuttavia tale limite viene meno ed il sindacato è ammissibile quando dette scelte
diventano illegittime in quanto la pubblica amministrazione, nel graduare le esigenze collettive da appagare,
ne privilegia alcune e trascura del tutto quelle che derivano da un obbligo giuridico sanzionato penalmente. In
tal caso, infatti, il magistrato deve affermare la responsabilità penale del pubblico amministratore perché
costui si sottrae volontariamente ad un obbligo impostogli dalla legge penale e dimostra di preferire il
soddisfacimento di altri bisogni collettivi, anche se la loro violazione non comporta una sanzione penale.
Cass. pen., sez. III, 3 aprile 1992, n. 3844 - Pres. Glinni - Rel. Raimondi - Imp. Bodo
Lavoro - Prevenzione infortuni - Sul lavoro - Destinatario della norma incriminatrice - Sindaco -
Delega dei poteri ad un assessore - Mancata adozione delle misure di prevenzione - Sindaco
personalmente sollecitato - Omissione di esercizio dei poteri di autorità delegante - Responsabilità
- Sussistenza - Fattispecie: scuola materna.
Il sindaco, delegando l’assessore all’uopo designato, gli trasferisce l’esercizio dei poteri-doveri nella materia
delegata e, con essi, anche la responsabilità per la mancata adozione delle misure di prevenzione degli
infortuni sul lavoro e per le relative contravvenzioni. Tuttavia il sindaco, quale destinatario delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro ex art. 4 D.P.R. 24/4/1955 n. 547, è responsabile delle contravvenzioni in
materia, anche nel caso in cui abbia delegato l’esercizio dei poteri ad assessore all’uopo designato, quando sia
stato, esso sindaco, personalmente sollecitato circa i pericoli che derivavano agli interessati dalla mancata
adozione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro e ciò nondimeno abbia omesso i poteri di
autorità delegante - di vigilanza, di direttive, e, al limite, di revoca delle delega nei confronti dell’assessore
delegato - e comunque di intervenire per porre rimedio alla situazione di pericolo lamentata. (Fattispecie in cui
il sindaco di una città di medie dimensioni - Vercelli - malgrado fosse stato personalmente informato e
reiteratamente sollecitato dal direttore didattico e dagli ispettori della locale USL in merito a una situazione di
pericolo per i bambini e il personale di una scuola materna, aveva omesso di impartire le opportune direttive
all’assessore delegato e comunque di adottare le iniziative volte a porre rimedio alla situazione stessa).
Cass. pen., sez. III, 4 maggio 2000, n. 5206 - Pres. Zumbo - Rel. Grillo - Imp. Pezzini
Prevenzione incendi - Istituto scolastico - Mancanza del certificato di prevenzione incendi - Riconducibilità
della condotta a norma abrogata - Valutazione - Insussistenza - Obbligo di richiedere il
C.P.I. per gli istituti scolastici - Valutazione - Sussistenza - Omessa richiesta - Sanzionabilità penale
- Esclusione.
Devono ritenersi tuttora penalmente assoggettate al rilascio del certificato di prevenzione incendi quelle
«aziende e lavorazioni specificamente indicate nelle tabelle “A” e “B” approvate con D.P.R. 26 maggio 1959,
n. 689 (...) non lo sono, invece, le “attività” individuate con il Decreto del Ministro dell’Interno del 16.2.1982».
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 67

LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
SCHEMA 1
Individuazione del datore di lavoro prevenzionale
negli uffici e nelle istituzioni scolastiche dipendenti
dal Ministero (ai sensi dell’art. 30, comma 1, del D.Lgs.
n. 242/96) [1]
(Schema tratto dal volume di Pierguido Soprani, Sicurezza e salute negli enti
pubblici, Il Sole 24 ORE, 2002)
Datore di lavoro
Ufficio o istituzione
(ai sensi del D.M. Pubblica Istruzione
21 giugno 1996, n. 292)
Ufficio dell’Amministrazione Centrale Direttore Generale del Personale e degli Affari Generali
ed Amministrativi
Uffici dell’Amministrazione Periferica Sovrintendenti Scolastici e Provveditori agli Studi
Istituzioni scolastiche ed educative statali I rispettivi Capi
Conservatori di Musica, Accademie di Belle Arti,
Accademie Nazionali di Arte Drammatica e di
Danza
Istituti di ricerca, sperimentazione e aggiornamento
educativi (ivi compreso il Centro europeo
dell’educazione)
I Presidenti dei Consigli di Amministrazione
Il Segretario cui spettano poteri di gestione
Biblioteca di documentazione pedagogica Il Direttore cui spettano poteri di gestione
(1) Per le strutture scolastiche ed educative private (non statali, legalmente riconosciute, parificate e pareggiate), il D.M. n.
382/1998 si applica parzialmente (artt. 1, 2, comma 1, 3, comma 1, 4, comma 1), e per datore di lavoro prevenzionale si
intende il soggetto gestore, quale persona fisica (in caso di soggetto gestore avente personalità giuridica, per datore di
lavoro si intende il rappresentante legale dell’ente).
Ufficio o istituzione
IGIENE E SICUREZZA
SCHEMA 2
Individuazione del datore di lavoro prevenzionale
nelle Università e negli Istituti di istruzione universitaria
(ai sensi dell’art. 30, comma 1, del D.Lgs. n. 242/96)
(Schema tratto dal volume di Pierguido Soprani, Sicurezza e salute negli enti
pubblici, Il Sole 24 ORE, 2002)
Datore di lavoro
(ai sensi del D.M. Università e Ricerca scientifica
5 agosto 1998, n. 363)
Datore di lavoro: Rettore o soggetto di vertice di ogni singola struttura
o raggruppamento di strutture omogenee, qualificabile
come “unità produttiva” [1] , dotata di poteri di
spesa e di gestione.
(1) In base all’art. 1, comma 2, del D.M. n. 363/1998, per unità produttive devono intendersi «le strutture amministrative, le
presidenze di facoltà, i dipartimenti, gli istituti, i centri di servizio o di assistenza, le aziende universitarie istituite ai sensi
dell'articolo 4, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, nonché ogni altra struttura singola o
aggregazione di strutture omogenee, dotate di poteri di spesa e di gestione, istituite dalle università ed individuate negli
atti generali di ateneo».
68 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

a cura di Alessandro Jazzetti, magistrato e Maria Melizzi, consulente legale
LAVORATORI AUTONOMI
ESPOSTI ALL’AMIANTO
Cassazione, sezione lavoro, 26 luglio 2002
(ud. 30 aprile 2002), n. 11110
Norme relative alla cessazione dell’impiego
dell’amianto - Lavoratori del settore
dell’amianto - Rischio - Misure di sostegno
per i lavoratori - Lavoratori autonomi
Le esigenze di tutela perseguite dal legislatore
con l’apprestare una misura di sostegno per
i lavoratori esposti all’amianto non possono
ravvisarsi con riguardo ai lavoratori autonomi,
i quali, diversamente dai subordinati, dispongono
di ogni potere di autorganizzazione e,
dunque, non hanno bisogno di tutele volte a
contrastare la sottoprotezione che (quanto a
modi e tempi di lavoro) è conseguenza ineludibile
dell’eterodirezione.
Nota
L’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale)
ha chiesto la cassazione della sentenza
con cui la Corte d’appello del lavoro di Firenze
ha accolto il ricorso del lavoratore che lamentava
la mancata condanna dell’Istituto al riconoscimento
del diritto alla pensione di anzianità
in relazione all’attività di lavoro autonomo
svolta come artigiano con esposizione ultradecennale
all’amianto, diritto negato dal primo
giudice per insussistenza del requisito contributivo.
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati i
motivi addotti dalla parte ricorrente che ha
denunciato la violazione dell’articolo 13, comma
8, della legge n. 257/1992, come modificato
dal D.L. n. 169/1993, chiaramente riferibile
ai soli lavoratori subordinati.
La formulazione originaria del comma 8 dell’articolo
13 della legge n. 257/1992 è stata
modificata dal D.L. n. 169 del 1993 proprio
per chiarire che il beneficio della rivalutazione
dei periodi assicurativi spettava unicamente ai
lavoratori «dipendenti delle imprese che
IGIENE E SICUREZZA
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
GIURISPRUDENZA
Massime
estraggono amianto o utilizzano amianto come
materia prima, anche se in corso di dismissione
o sottoposte a procedure fallimentari o
fallite o dismesse» e che il periodo di contribuzione
da rivalutare era tutto quello di esposizione
al rischio amianto e non soltanto quello
eccedente il decennio; mentre la sostituzione,
ad opera della legge di conversione 4 agosto
1993, n. 271, della espressione suddetta con
quella “per i lavoratori” fu disposta per negare
la rilevanza, ai fini dell’attribuzione del beneficio
previdenziale, alla tipologia dell’attività
del datore di lavoro, onde evitare l’esclusione
di coloro che non potessero vantare, alla
data di entrata in vigore della suddetta legge,
un’occupazione in imprese direttamente investite
dall’intervento legislativo, e non certo
per individuare altre categorie di lavoratori
destinatari del beneficio suddetto, fino ad
estenderlo ai lavoratori autonomi.
Con riferimento, dunque, alla situazione controversa,
è risultata evidente, a giudizio della
Suprema Corte, l’inapplicabilità della disposizione
dell’articolo 13, comma 8, della legge n.
257/1992 al lavoratore che, nel periodo indicato
e per il quale ha chiesto la rivalutazione
contributiva, era un artigiano e, in quanto
tale, non poteva invocare a suo favore il reclamato
beneficio.
Inoltre, in quanto artigiano, il lavoratore esercitava
un’attività professionale organizzata
che l’articolo 2083 del codice civile qualifica
espressamente di “piccolo imprenditore” e
che, per ciò stesso, lo ha reso estraneo ad una
tutela riservata in modo specifico ai “lavoratori”.
La diversità di trattamento tra lavoratori dipendenti
e lavoratori autonomi, ha osservato
la Cassazione, in questo contesto specifico, è
da ritenersi giustificabile anche in relazione
all’articolo 3 della Costituzione, sia nelle peculiarità
che connotano i rapporti di lavoro di
tali categorie - cui si collegano diversità previdenziali
- sia nelle particolari condizioni in cui
operano i lavoratori dipendenti, costretti a
svolgere la loro attività negli ambienti e con
gli orari stabiliti dal datore di lavoro e impos-
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 69

GIURISPRUDENZA
Massime
sibilitati a ricorrere a misure di protezione,
contro i rischi derivanti dall’esposizione all’amianto,
che non siano quelle apprestate
dall’azienda.
INFORTUNIO: NECESSARIO
IL CARATTERE VIOLENTO DELLA CAUSA
Cassazione, sezione lavoro, (ud. 14 maggio
2002) 10 gennaio 2003, n. 00239
Infortuni sul lavoro e malattie professionali
- Assicurazione obbligatoria - Oggetto
dell’assicurazione - Causa violenta - Occasione
di lavoro
La deduzione di un evento come infortunio
sul lavoro implica la deduzione dell’esistenza
di una causa violenta.
Nota
La Suprema Corte ha cassato la sentenza contro
cui hanno proposto ricorso due dipendenti
che, prima dal pretore e poi in sede di appello,
si sono vista respinta la domanda di condanna
dell’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione
contro gli Infortuni sul Lavoro) alla
corresponsione di una rendita per inabilità
temporanea, rispettivamente di giorni tredici
e dieci, per infortunio o malattia professionale,
assumendo di avere contratto tendinite
acuta alla mano ed all’avambraccio destri, con
conseguente inabilità assoluta, entrambi in occasione
di lavoro.
La sentenza, a giudizio della Cassazione, è inficiata,
innanzitutto, nella parte in cui nega la
deduzione dell’esistenza della «causa violenta»,
intesa dal Tribunale quale evento traumatico,
ritenuto, nella specie, inesistente.
La sentenza impugnata, avendo escluso la sussistenza
di una causa violenta, non ha esaminato
se la lavorazione svolta abbia avuto
un’incidenza, anche solo concausale, sulle patologie
riscontrate.
L’espressione «causa violenta» risale alla legge
17 marzo 1898, n. 80, istitutiva dell’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro
nel nostro Paese, ma il suo significato giuridico
si è profondamente evoluto parallelamente
allo sviluppo del sistema di tutela infortunistica.
IGIENE E SICUREZZA
Originariamente tale espressione, «causa violenta»,
evocava il carattere traumatico delle
cause meccaniche che costituivano la categoria
prevalente dei fattori infortunistici, e veniva
intesa, dalla dottrina, come una causa esterna
al lavoratore, caratterizzata da «un’energia
abnorme con un’abnorme intensità».
Successivamente la giurisprudenza ha ridimensionato
la portata di tale espressione, ritenendo
indispensabili i requisiti della straordinarietà,
accidentalità e imprevedibilità del fatto lesivo:
la “causa violenta” viene definita come
un’azione rapida e concentrata nel tempo che
agisce dall’esterno in modo da recare danno
all’organismo del lavoratore (Cass. 12 dicembre
1989, n. 5514; Cass. 9 giugno 1994, n.
5602).
Vengono, così, fissati gli elementi che tradizionalmente
individuavano la nozione di “causa
violenta”: l’efficienza causale, l’esteriorità, la
rapidità e concentrazione.
L’elaborazione del concetto di «causa violenta»
si è sviluppato particolarmente su un tema
di grande interesse giurisprudenziale, quello
dello «sforzo»: lo sforzo muscolare è stato riconosciuto
quale causa di infortunio già dall’articolo
26 del R.D. n. 1765/1935, ora articolo 91
del Testo Unico n. 1124/1965.
La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto,
in un primo momento, che lo sforzo richiedesse
una erogazione di energia fisica, concentrata
nel tempo, necessaria per vincere una forza
antagonista, pur rientrante nell’ambito delle
condizioni abituali di lavoro (Cass. 27 maggio
1994, n. 2639): fino a questo momento, dunque,
la necessità del carattere esterno della
causa violenta non era messa in dubbio.
È con l’elaborazione in tema di infarto che il
suddetto elemento viene messo in crisi.
La giurisprudenza di legittimità ha, recentemente,
ammesso che «il carattere violento della
causa va individuato nella natura stessa dell’infarto,
dove si ha una rottura dell’equilibrio
dell’organismo del lavoratore concentrata in
una minima frazione temporale, anche se per
una serie di atti accumulati sfociati, infine,
nell’infarto» (Cass. 24 ottobre 2000, n. 13982),
pertanto è riconoscibile un’eziologia lavorativa
ogni volta che sia accertato che gli atti
lavorativi compiuti abbiano avuto l’efficienza
70 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

di un contributo causale, anche concorrente,
nella verificazione dell’infarto.
Il processo di riduzione della nozione di «causa
violenta» alle mere condizioni lavorative
abituali è portato a compimento dalla giurisprudenza
costituzionale con la sentenza 8/21
marzo 1989, n. 137 in cui la Corte ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1,
comma 3, numero 27 del D.P.R. 30 giugno
1965, n. 1124, in relazione all’articolo 4 dello
stesso decreto, nella parte in cui non comprende
tra le persone soggette all’assicurazione
obbligatoria «i ballerini ed i tersicorei (ballerini
di fila) addetti all’allestimento, prova ed
esecuzione di pubblici spettacoli»: è evidente
l’incidenza di siffatta pronuncia sull’evoluzione
delle nozioni sia di causa violenta, sia di
manualità, sia di rischio assicurato; essa implica
che la causa violenta si risolva nella stessa
gestualità del lavoratore.
I tradizionali caratteri che individuavano la
«causa violenta», l’abnormità dell’energia dispiegata
e la sua esteriorità sono, dunque,
evoluti verso i normali atti lavorativi, la necessaria
funzione di discrimine della «causa violenta»
tra infortuni sul lavoro e malattie professionali
è ora affidata alla «rapidità e concentrazione
della causa», le quali, in mancanza
di elementi più specifici, vanno individuate
nell’unità cronologica costituita dal turno di
lavoro.
INFORTUNIO IN ITINERE
Cassazione, sezione lavoro, 26 luglio 2002
(ud. 23 aprile 2002), n. 11112
Infortuni sul lavoro e malattie professionali
- Assicurazione obbligatoria - Rischio
generico e rischio specifico - Distanza dal
posto di lavoro - Uso del mezzo privato di
trasporto - Necessità
Il generico rischio della strada può diventare
rischio specifico di lavoro nei casi in cui il lavoratore
sia costretto a far uso di un mezzo
privato di trasporto per recarsi sul posto di
lavoro, ma l’indennizzabilità dell’infortunio,
occorso al lavoratore recandosi sul posto di
lavoro, deve escludersi se la necessità di fare
ricorso al veicolo privato sia esclusa dalla vici-
IGIENE E SICUREZZA
GIURISPRUDENZA
Massime
nanza del posto di lavoro all’abitazione dell’interessato
e dalla possibilità di effettuare il suddetto
percorso sia interamente a piedi, sia utilizzando
un mezzo di trasporto pubblico.
Nota
La Corte di Cassazione, esaminando il caso in
questione, ha confermato il suddetto orientamento
giurisprudenziale (Cass. n. 14681/2000;
Cass. dell’11 dicembre 2001, n. 15617) ed ha
rigettato il ricorso proposto dal lavoratore infortunatosi
mentre in bicicletta si recava dall’abitazione
alla sede di lavoro distante circa
1300 metri.
L’infortunato ha proposto ricorso avverso la
pronuncia del giudice del riesame che, adito
dall’INAIL contro la sentenza del Pretore che
aveva riconosciuto l’indennizzabilità del lavoratore,
non aveva ritenuto riscontrabile, nelle
modalità di svolgimento dell’infortunio (mentre
percorreva con la propria bicicletta la strada
statale il lavoratore era stato investito da
un furgone proveniente dalla sua stessa direzione),
quel “quid pluris” necessario a caratterizzare
la relazione con l’attività lavorativa: il
fatto rientrava, dunque, nel rischio generico
di qualunque utente della strada che era priva
di caratteristiche tali da aggravare il rischio.
La Cassazione ha fatto riferimento al principio
di diritto secondo cui la legittimità dell’uso
del mezzo privato, in relazione all’infortunio
in itinere, «va individuata in relazione ad un
criterio di “normalità - razionalità” che tenga
conto delle abitudini comportamentali esistenti
nella società civile rispondenti a valori-guida
dell’ordinamento, quali un più intenso legame
con la comunità familiare ed un rapporto
con l’attività lavorativa diretto ad una maggiore
efficienza del conflitto fra la stessa ed il
tempo libero».
Questo principio, però, non può essere condiviso
se è sganciato dal concetto della «necessità»
dell’uso del mezzo privato per il raggiungimento
del posto di lavoro o per fare ritorno a
casa, perché, nella sua astrattezza e genericità,
potrebbe giustificare, in questi termini,
qualsiasi comportamento: nel caso di specie,
infatti, il percorso dall’abitazione al luogo di
lavoro era così breve da poter essere agevolmente
effettuato a piedi e, quindi, non vi era
alcuna necessità di adoperare la bicicletta. l
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 71

FINANZIAMENTI
Articolo
di Daniele Verdesca, Dipartimento di Economia Politica, Università di Siena
Con il decreto 29 novembre
2002, il Ministero delle Attività
produttive ha stabilito i criteri e
le modalità per la concessione
degli incentivi per i rilievi geofisici
condotti dai titolari di permessi
di ricerca, per le concessioni di
coltivazione per idrocarburi
e per gli accertamenti minerari
riguardanti lo stoccaggio di gas
naturale, previsti, rispettivamente,
dall’art. 4, comma 5, e dall’art.
13, comma 3, D.Lgs. n.
164/2000 (cosiddetto “decreto
Letta”). Le domande vanno inoltrate
alla regione competente
territorialmente per i programmi
su terraferma o al MAP per i
programmi in mare. Sono ammesse
le spese per l’esecuzione
delle indagini, l’elaborazione
dei dati geofisici, l’acquisizione
di dati di pozzo, la realizzazione
di modelli dinamici e geomeccanici
del giacimento e gli interventi
sui pozzi, finalizzati all’esecuzione
di prove di iniezione.
AMBIENTE
A partire dal 2003, le domande devono essere presentate entro il 31 marzo di ogni anno
Per rilievi geofisici e stoccaggio di gas naturale
nuova linfa vitale dal D.M. 29 novembre 2002
Il Ministero delle Attività produttive,
con il decreto 29 novembre
2002 [1] , ha stabilito gli incentivi
economici per lo svolgimento dei rilievi
geofisici e degli accertamenti minerari
condotti dai titolari di permessi di
ricerca e concessioni di coltivazione
per idrocarburi.
I fondi rientrano all’interno delle
politiche di sostegno economico pubblico
definite dal “decreto Letta” [2]
per supportare le imprese che operano
nel settore dell’approvvigionamento
del gas naturale e che hanno nelle
fasi di prospezione e ricerca, uno dei
momenti più costosi e tecnicamente
complessi dell’intera filiera.
In particolare, il summenzionato
decreto prevedeva che, a decorrere
dal 1˚ gennaio 2000:
l il 5% delle entrate derivanti allo
Stato dal versamento delle aliquote di
prodotto della coltivazione per idrocarburi
da parte dei titolari di concessione
di coltivazione fosse destinato a
un contributo [3] per coprire parzialmente
i costi derivanti dai rilievi geofisici
che gli stessi titolari di concessione
avrebbero svolto, con l’eccezione
degli oneri derivanti dai rilievi geologici
e dal riprocessamento dei dati
geofisici (articolo 4, comma 5);
l al fine di incentivare la conversione
a stoccaggio di gas naturale dei
giacimenti in fase avanzata di coltivazione
[4] , il 5% delle entrate derivanti
allo Stato dal versamento delle
aliquote di prodotto della coltivazione
venisse destinato a un contributo
[5] ai titolari di concessione per
l’effettuazione di studi, analisi e prove
d’iniezione, volte ad accertare
l’idoneità del giacimento all’attività
o all’incremento della capacità di
stoccaggio (articolo 13, comma 13).
Sulla base di questa disponibilità
economica, il Ministero delle Attività
produttive, sentita la Conferenza unificata
[6] , ha aperto le procedure per la
presentazione di domande di contributo,
sia per i rilievi geofisici che per gli
studi per la verifica dell’idoneità degli
stoccaggi.
Soggetti richiedenti
La domanda può essere presentata
solo dai titolari di permessi di
ricerca e di concessioni di coltivazione
e/o stoccaggio di idrocarburi;
in caso di programmi in compartecipazione,
il soggetto a favore del quale
possono essere concessi ed erogati
contributi deve essere indicato dai
partecipanti per la presentazione del-
[1] «Criteri e modalità per la concessione degli incentivi previsti dall’art. 4, comma 5, e dall’art. 13, comma 3, del decreto
legislativo 23 maggio 2000, n. 164, rispettivamente per rilievi geofisici condotti dai titolari di permessi di ricerca e concessioni
di coltivazione per idrocarburi e per accertamenti minerari riguardanti lo stoccaggio di gas naturale» (in Gazzetta Ufficiale del
23 gennaio 2003, n. 18).
[2] Decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 «Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno
del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144» (in Gazzetta Ufficiale del 20 giugno 2000, n.
142).
[3] Il contributo non può essere superiore al 40% del costo complessivo delle operazioni ammesse.
[4] Obiettivo strategico di questa riconversione è garantire un maggior grado di sicurezza al sistema nazionale del gas.
[5] Anche in questo caso, il contributo non può eccedere il 40% dei costi documentati.
[6] La conferenza unificata, nella riunione dell’11 luglio 2002, ha espresso parere positivo sullo schema di decreto.
74 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

la domanda, anche in nome e per
conto degli stessi. Per quel che riguarda,
inoltre, i programmi da eseguire
nell’ambito di titoli minerari,
il soggetto richiedente va a coincidere
con il rappresentante unico, divenendo,
di conseguenza, il beneficiario
del contributo stesso, all’atto della
concessione.
Destinatari della domanda
Diverso è il soggetto pubblico a
cui deve essere presentata la domanda,
la cui competenza deriva dal luogo
fisico dove sono svolte le operazioni
[7] ; infatti, la richiesta deve essere
presentata:
l alla regione competente territorialmente
se i rilievi e gli studi di
svolgono sulla terraferma [8] ;
l al Ministero delle Attività produttive
se i rilievi e gli studi si svolgono
in area marina [9] .
Spese ammissibili
La tabella 1 sintetizza i termini indi-
Spese ammissibili
Programmi relativi ai rilievi
geofisici
Programmi relativi all’accertamento
dell’idoneità
viduati dal Ministero delle Attività produttive
relativi alle spese ammissibili.
Non sono ammissibili a contributo
le spese generali e le spese amministrative
dell’impresa; sono, comunque,
escluse, per entrambe le tipologie di
intervento, le spese di acquisto di macchine
operatrici e di mezzi di trasporto.
Annualità dei programmi
Gli interventi agevolativi sono attuati
con l’adozione di una procedura
valutativa e con relativo procedimento
a graduatoria; per fare questo, in
prima applicazione del D.M. 29 novembre
2002 ed entro 90 giorni dalla
data di pubblicazione dello stesso,
possono essere presentate domande
per programmi svolti (iniziati) negli
anni 2000 e 2001 o, comunque, partiti
nel 2002.
A decorrere dall’anno 2003, le domande
di contributo devono essere inviate
dal 1˚ gennaio al 31 marzo di
ogni anno, per programmi da iniziare
nel medesimo anno; questi ultimi non
Esecuzione delle indagini.
AMBIENTE
Opere e altri lavori necessari all’esecuzione delle indagini.
Elaborazione dei dati derivanti dalle indagini.
Esecuzione dei rilievi sismici di dettaglio e relative elaborazioni.
possono, però, avere una durata superiore
a tre anni, in relazione alla complessità
e difficoltà tecnica della ricerca.
Di particolare interesse, nei criteri
di formazione delle graduatorie delle
domande, è l’attenzione posta dal Legislatore
verso le imprese certificate
ambientalmente EMAS o ISO 14000:
l sia come punteggio premiale per
le domande in caso di esaurimento
dei fondi;
l sia come dichiarazione dell’impegno
a usare, nello svolgimento delle
gare di appalto per l’esecuzione di
subfasi dei programmi, di un criterio
di selezione legato al possesso
da parte delle società contrattiste di
certificazione ambientale conforme
EMAS e/o ISO 14000.
Procedure istruttorie
Regioni
Dal punto di vista delle procedure
istruttorie, le regioni interessate, entro
sessanta giorni dal ricevimento delle
Acquisizione dei dati di pozzo, diretti ed indiretti, per la caratterizzazione meccanica
e idraulica della copertura e del reservoir.
Realizzazione di modelli dinamici e geomeccanici del giacimento.
Esecuzione di prove di iniezione.
Interventi sui pozzi finalizzati alla loro realizzazione.
FINANZIAMENTI
Articolo
TABELLA 1
[7] I titolari di permessi di ricerca e di concessioni di coltivazione rilasciati dalla Regione Sicilia, in base alla normativa regionale,
devono presentare al Ministero, oltre alla documentazione prevista, l’atto amministrativo di rilascio del titolo minerario di cui
sono in possesso e gli eventuali provvedimenti di proroga.
[8] Copia della domanda deve essere presentata al Ministero delle Attività produttive, Direzione generale per il coordinamento
degli incentivi alle imprese.
[9] Copia della domanda deve essere presentata all’ufficio decentrato dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e la
geotermia, competente territorialmente.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 75

domande, effettuano l’analisi delle
stesse, tenendo conto anche della compatibilità
degli interventi previsti con
gli strumenti di pianificazione e di
programmazione territoriale ed energetica
territoriale; alla conclusione
dell’istruttoria, le regioni stesse trasmettono
al Ministero delle Attività
produttive l’elenco delle domande valutate
positivamente, ai fini dell’inserimento
nella graduatoria per la concessione
del contributo, evidenziando il
fabbisogno finanziario previsto.
Ministero delle Attività produttive
Procedura autonoma, invece, per il
dicastero delle attività produttive, che
effettua l’istruttoria dei programmi
che si svolgono in mare, avvalendosi
del decentrato ufficio nazionale minerario
per gli idrocarburi e la geotermia,
calcolando i contributi concedibili,
anche in questo caso in misura non
superiore al 40% dei costi ammessi
Nel caso l’importo delle richieste
complessive di contributi concedibili
superi la disponibilità del fondo nell’anno,
il Ministero convoca una conferenza
di servizi con le regioni interessate
e formula una proposta di graduatoria
dei programmi agevolabili,
ordinando le iniziative in funzione della
novità dell’area o del tema di ricerca
o degli obiettivi minerari interessati
dai rilievi in programma; in caso di
equipollenza, costituisce criterio preferenziale,
per i rilievi geofisici:
l il possesso delle autorizzazioni
previste dall’articolo 4, comma 2,
“decreto Letta”;
l l’elaborazione dei rilievi anche
ai fini della conoscenza degli acquiferi
profondi;
l il possesso della certificazione
ambientale;
l il grado di innovazione delle tecniche
di acquisizione e processamento
dei dati.
Analogamente, per l’accertamento
dell’idoneità, le iniziative sono ordinate
in funzione della capacità potenziale
del serbatoio interessato dal programma
o dal suo incremento; in caso
di equipollenza, costituiscono criteri
preferenziali:
l la localizzazione favorevole del
serbatoio interessato dal programma
in relazione ai centri di consumo;
l la prevalenza di alcune specifiche
tipologie di spesa [10] .
Le regioni interessate e il Ministe-
ro, nell’ambito dei fondi assegnati,
stabiliscono l’entità del contributo per
ciascuna delle domande di propria
competenza ed emanano i provvedimenti
di concessione del contributo o
di eventuale rigetto delle domande;
con lo stesso decreto sono anche specificati:
l gli obiettivi;
l i tempi e modalità di realizzazione
del programma;
l gli adempimenti a carico del realizzatore;
l i preventivi di spesa ammessi;
l le condizioni e piano delle erogazioni;
l i provvedimenti adottabili in caso
di inadempienza.
Per quel che riguarda l’accertamento
dell’idoneità, su richiesta del
beneficiario, e all’avvio dell’iniziativa,
il soggetto gestore può erogare
un’anticipazione del contributo concesso;
nel caso che il gestore sia il
Ministero delle Attività produttive,
l’anticipazione non può essere superiore
al 30% del contributo previsto
[11] .
In tabella 2 è riportata un’analisi
sintetica del D.M. 29 novembre
2002. l
[10] Le spese sono quelle previste per le attività individuate ai punti a), b) e d) nella lettera A), punto 2 dell’Allegato 1, D.M. 29
novembre 2002, qualora prevalenti rispetto a quelle individuate con la restante lettera c).
[11] Per l’ottenimento dell’anticipazione, il richiedente deve presentare apposita fideiussione o polizza assicurativa per l’ammontare
dell’importo richiesto emessa a favore del soggetto gestore esclusivamente da istituti di credito o da imprese di assicurazione
a questo fine autorizzati o da società finanziarie iscritte nell’elenco speciale.
Luogo convegno Data Titolo
Roma
Associazione Civita
Piazza Venezia, 11
Piano V
FINANZIAMENTI
Articolo
Catanzaro
Sala convegni
Associazione provinciale
Industriali di Catanzaro
Via Eroi 1799, 23
Giovedì 20 marzo 2003
Ore 14.30
Venerdì 28 marzo 2003
Ore 15
AMBIENTE
Banca Intesa sostiene le iniziative che Confindustria realizza nell’ambito
del progetto Ecoimpresa.
Per illustrare gli strumenti di ecogestione e coinvolgere le aziende sul
tema della certificazione ambientale e dei vantaggi connessi sono stati
organizzati i seguenti convegni:
Il Progetto Ecoimpresa:
il rapporto ambientale
come strumento di gestione
I sistemi di gestione
ambientale:
le opportunità per le imprese
Segreteria
convegno
Assocarta Milano
Tel. 02/29003018
Fax 02/29003396
Assocarta Roma
Tel. 06/5919148
Fax 06/5910876
Segreteria organizzativa
Tel. 0961/507811
Fax 0961/726895
76 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

DISPOSIZIONE
NORMATIVA IN ESAME
OBIETTIVO
DELLE CONCESSIONI
Decreto del Ministero delle Attività produttive 29 novembre 2002 «Criteri e modalità
per la concessione degli incentivi previsti dall’art. 4, comma 5, e dall’art. 13, comma 3,
del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, rispettivamente per rilievi geofisici
condotti dai titolari di permessi di ricerca e concessioni di coltivazione per idrocarburi
e per accertamenti minerari riguardanti lo stoccaggio di gas naturale» (in Gazzetta
Ufficiale del 23 gennaio 2003, n. 18).
Incentivi per:
l rilievi geofisici per ricerca idrocarburi;
l accertamenti minerari per lo stoccaggio di gas naturale.
ENTRATE DEL FONDO Il 5% dei versamenti delle aliquote del:
l prodotto della coltivazione per idrocarburi;
l prodotto della coltivazione e dello stoccaggio.
SOGGETTI AMMESSI l titolari di permessi di ricerca e di concessioni di coltivazione per idrocarburi;
l titolari di concessione di coltivazione o stoccaggio.
ENTITÀ
DEI FINANZIAMENTI
CONCESSI
AMBIENTE
D.M. 29 novembre 2002: analisi sintetica
l non superiori al 40% dei costi documentati;
l non sono ammesse le spese generali ed amministrative dell’impresa;
l non sono ammessi i costi di acquisto di macchine operatrici e mezzi di trasporto.
SOGGETTI COMPETENTI Le competenze sono distribuite sulla base del luogo in cui avvengono i programmi:
l la regione è competente territorialmente per i programmi su terraferma;
l il Ministero delle Attività produttive per i programmi in mare.
TEMPISTICA Le domande devono essere presentate:
l entro 90 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale per i programmi
avvenuti nel 2000, 2001, 2002;
l entro il 31 marzo di ogni anno dal 2003.
Il programma non deve essere più lungo di 3 anni, in relazione alla complessità del
luogo e delle operazioni da effettuare.
SPESE AMMISSIBILI l Per rilievi geofisici:
- esecuzione delle indagini;
- opere e altri lavori necessari all’esecuzione delle indagini;
- elaborazione dei dati geofisici.
l Per accertamento capacità di stoccaggio:
- esecuzione di rilievi sismici di dettaglio e relative elaborazioni;
- acquisizione di dati di pozzo, diretti e indiretti;
- realizzazione di modelli dinamici e geomeccanici del giacimento;
- interventi sui pozzi finalizzati all’esecuzione di prove di iniezione.
FINANZIAMENTI
Articolo
TABELLA 2
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 77

Decreto del Ministero delle Attività produttive 29 novembre 2002
Criteri e modalità per la concessione degli incentivi previsti dall’art. 4, comma 5, e dall’art. 13,
comma 3, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, rispettivamente per rilievi geofisici
condotti dai titolari di permessi di ricerca e concessioni di coltivazione per idrocarburi
e per accertamenti minerari riguardanti lo stoccaggio di gas naturale
in Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2003, n. 18
(omissis)
Attività
(LM/Euro)
Voce a)
Voce b)
Voce c)
Voce d)
FINANZIAMENTI
Modulistica
RIEPILOGO DELLE SPESE DEL PROGRAMMA
Direzione
tecnica
Personale
operativo
AMBIENTE
Quote
d’uso
ALLEGATO 1
A) Le spese esposte nel programma sono classificate, secondo il tipo di intervento, per voci di attività
secondo il seguente prospetto:
1. Rilievi geofisici.
Euro
a) esecuzione delle indagini .............................................................................................................................
b) opere e altri lavori necessari alla esecuzione delle indagini......................................................................
c) elaborazione dei dati geofisici .....................................................................................................................
Totale .................................................................................................................................................................
2. Accertamento capacità di stoccaggio.
Euro
a) esecuzione di rilievi sismici di dettaglio e relative elaborazioni................................................................
b) acquisizione di dati di pozzo, diretti ed indiretti .......................................................................................
c) realizzazione di modelli dinamici e geomeccanici del giacimento............................................................
d) interventi su pozzi finalizzati alla esecuzione di prove di iniezione..........................................................
Totale .................................................................................................................................................................
B) Le stesse spese sono altresì classificate per voci di spesa secondo il seguente prospetto:
Euro
B1 - Prestazione di terzi per servizi ..................................................................................................................
B2 - Prestazione di terzi per lavori/forniture ...................................................................................................
B3 - Commesse interne di lavorazione .............................................................................................................
Totale .................................................................................................................................................................
Prestazioni di terzi (B1 e B2) - Le consulenze e/o le commesse a terzi sono attribuite attraverso lettere di
incarico o contratti. I relativi costi sono documentati mediante fattura e sono calcolati sulla base
dell’ammontare delle fatture al netto di IVA.
Per quanto riguarda le spese relative al punto B3, le stesse sono esposte mediante specifica indicazione,
con riferimento alle voci d’attività di cui al punto A), dei costi relativi alla direzione tecnica, al
personale operativo, alle quote d’uso degli eventuali macchinari/attrezzature ed al materiale di
consumo utilizzati (1):
(1) Elementi per valutare le singole voci relative al punto B3.
Materiali Totale
78 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

AMBIENTE
FINANZIAMENTI
Modulistica
Commesse interne - Si intendono per commesse interne tutte ed esclusivamente le prestazioni
effettuate da personale e/o da reparti dell’azienda. Dette prestazioni devono comunque essere
documentate con l’emissione di appositi ordini scritti e numerati e/o attraverso l’apertura di apposite
commesse, anche numerate. I costi delle varie voci di spesa sono determinati con i criteri esposti ai
punti seguenti della presente nota.
Spese di direzione tecnica - Riguardano le sole spese per la funzionalità organizzativa delle attività.
Sono da suddividere, qualora ricorrano le condizioni, in costi sopportati nel luogo ove si svolge la
ricerca e costi sopportati in altre sedi. In quest’ultimo caso, è fornita, per ciascuna spesa, la giustificazione
della percentuale adottata per definire i costi da attribuire al programma.
Costo del personale operativo - È determinato in base alle ore lavorative effettivamente prestate e
valutate al costo industriale.
Attrezzature, strumentazione, macchinari e impianti - In questa voce sono incluse attrezzature, strumentazione,
macchinari e impianti acquistati da terzi per la realizzazione del programma di ricerca. I criteri
che saranno applicati per la determinazione del costo sono i seguenti:
1. le attrezzature, la strumentazione, i macchinari e gli impianti esistenti e già ammortizzati non sono
computabili ai fini del finanziamento;
2. il costo delle attrezzature, della strumentazione, del macchinario e impianti in corso di ammortamento
o di nuovo acquisto, da utilizzare esclusivamente per il programma di ricerca è determinato, nel caso
di beni in corso di ammortamento dalle risultanze contabili ufficiali (libro dei cespiti), nel caso di beni di
nuovo acquisto in base alle fatture (al netto di IVA più dazi doganali, trasporto, imballo ed eventuale
montaggio, con esclusione di qualsiasi ricarico per spese generali). Il costo da imputare alla ricerca è
individuato in ragione della quota d’uso per i periodi stabiliti di durata della ricerca stessa (per quota
d’uso si intende l’ammortamento fiscale riconosciuto per il bene in questione);
3. il costo, da calcolarsi con il sistema di cui al punto precedente, relativo ad attrezzature, strumentazione,
macchinari e impianti il cui uso sia necessario ma non esclusivo per la realizzazione del programma, è
ammesso al finanziamento in rapporto all’impiego effettivo per il programma di ricerca.
Materiali - In questa voce si comprendono le materie prime, i semilavorati, i materiali di consumo
specifico e quelli durevoli impiegati dagli addetti per lo svolgimento del programma. I costi relativi, in
caso di acquisto, sono documentati con fattura e calcolati in base al prezzo di fattura al netto di IVA più
dazi doganali, trasporto e imballo, con esclusione di qualsiasi ricarico per spese generali. Nel caso di
utilizzo di materiali esistenti in magazzino, la loro individuazione è fatta risultare dai buoni di prelievo
ed il loro costo è quello di inventario di magazzino, con esclusione di qualsiasi ricarico per spese
generali.
Sono escluse in generale tutte le spese riconducibili al funzionamento dell’attività ed all’acquisto di
macchine operatrici e di mezzi di trasporto.
DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA DELL’ATTO DI NOTORIETÀ
(Art. 47 del decreto D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445)
ALLEGATO 2
Il/la sottoscritto/a................................................................................................................................................
(cognome) (nome)
nato/a a .................................................... (..........) il ........................................................................................
(luogo) (prov.)
residente a........................................................ (..........) in via........................................................... n. ...........
(luogo) (prov.) (indirizzo)
in qualità di ................................................................dell’impresa ................................................................,
con sede legale in ............................................via............................................ n.............................................
consapevole delle sanzioni penali, in caso di dichiarazioni non veritiere, di formazione o uso di atti falsi,
richiamate dall’art. 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 79

FINANZIAMENTI
Modulistica
AMBIENTE
Dichiara:
che a carico della sopra citata ditta negli ultimi cinque anni non sono stati emessi provvedimenti dichiarativi
di fallimento, liquidazione amministrativa coatta, ammissione in concordato o amministrazione controllata;
che in riferimento ai soggetti controllati (art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno
1998, n. 252):
codice fiscale denominazione prov. Sede
.................... ............................. ........................................
cognome nome sesso prov. nascita data nascita
........................ ....................... ....................... ...................... ........................
“nulla osta” ai fini dell’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.
Dichiaro di essere informato, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 della legge n. 675/1996, che i dati
personali raccolti saranno trattati, anche con strumenti informatici, esclusivamente nell’ambito del
procedimento per il quale la presente dichiarazione viene resa.
......................................................................................................
(luogo, data)
Il dichiarante
.....................................
Ai sensi dell’art. 38, decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, la dichiarazione è
sottoscritta dall’interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritta e inviata insieme alla
fotocopia non autenticata di un documento di identità del dichiarante, all’ufficio competente via fax,
tramite un incaricato, oppure a mezzo posta.
DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE DI CERTIFICAZIONI
(Art. 46 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445)
ALLEGATO 3
Il/la sottoscritto/a.................................................................................................................................................
(cognome) (nome)
nato/a a .................................................... (..........) il ........................................................................................
(luogo) (prov.)
residente a........................................................ (..........) in via........................................................... n. ...........
(luogo) (prov.) (indirizzo)
in qualità di ................................................................dell’impresa ................................................................,
con sede legale in ............................................via............................................ n.............................................
consapevole delle sanzioni penali, in caso di dichiarazioni non veritiere, di formazione o uso di atti falsi,
richiamate dall’art. 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445
Dichiara:
Generalità dell’impresa
codice fiscale e numero d’iscrizione: .................................................................................................................
del registro delle imprese di .................................................................. data di iscrizione: ......./......./.............
iscritta nella sezione .............................................................................................................. il...... /...../............
iscritta con il numero repertorio economico amministrativo ............................................. il....../....../............
denominazione: .................................................................................................................................................
forma giuridica: ..................................................................................................................................................
partita IVA:.................................................................... sede: ....................................................................(.....)
Internet:............................. e-mail: ............................ telefono: ....../..........................telefax: ......../................
80 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

AMBIENTE
costituita con atto del ....../......./............. totale quote in lire/euro..../..............................................................
durata della società: data termine: ....../....../.......... con proroga tacita ogni ..................................................
data inizio attività: ....../......./............................
attività: .................................................................................................................................. dal ....../....../.........
.............................................................................................................................................. dal ....../....../...........
Codice attività ’91 Codice importanza Data inizio
.............................. ................................. ............................
Licenze ed autorizzazioni.
Titolari di cariche o qualifiche
Socio.............................................................................. nato a ......................................... (....) il ..../....../..........
codice fiscale: .............................................. residente a: ........................................................................... (.....)
amministratore unico dal ......./......./.............. Socio................ nato a ........... (....) il ..../....../............................
codice fiscale: ............................... residente a: ..........................................................................................(.....)
Presidente del collegio sindacale - nominato il ...../...../......... sino al ....../....../.........
durata in carica per .............................. anni..................... nato a ...................................... (.....) il ..../...../........
codice fiscale ............................................... residente a: .......................................................................... (.....)
Dichiaro di essere informato, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 della legge n. 675/1996, che i dati
personali raccolti saranno trattati, anche con strumenti informatici, esclusivamente nell’ambito del
procedimento per il quale la presente dichiarazione viene resa.
............................................. ........................................................
(luogo, data) Il dichiarante
Ai sensi dell’art. 38, decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, la dichiarazione è
sottoscritta dall’interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritta e inviata insieme alla
fotocopia non autenticata di un documento di identità del dichiarante, all’ufficio competente via fax,
tramite un incaricato, oppure a mezzo posta.
DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE DI CERTIFICAZIONI
(Art. 46 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445)
ALLEGATO 4
DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA DELL’ATTO DI NOTORIETÀ
(Art. 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445)
Il/la sottoscritto/a...................................................................................................................................................
(cognome) (nome)
nato/a a .................................................... (..........) il ........................................................................................
(luogo) (prov.)
residente a........................................................ (..........) in via........................................................... n. ...........
(luogo) (prov.) (indirizzo)
in qualità di ................................................................. dell’impresa .................................................................,
con sede legale in .............................................via............................................. n..............................................
consapevole delle sanzioni penali, in caso di dichiarazioni non veritiere, di formazione o uso di atti falsi,
richiamate dall’art. 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445
Dichiara:
FINANZIAMENTI
Modulistica
.................................... .................................
(luogo, data) (Il dichiarante)
Ai sensi dell’art. 38, decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, la dichiarazione è
sottoscritta dall’interessato in presenza del dipendente addetto ovvero sottoscritta e inviata insieme alla
fotocopia non autenticata di un documento di identità del dichiarante, all’ufficio competente via fax,
tramite un incaricato, oppure a mezzo posta.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 81

RIFIUTI
Articolo
di Valerio Cicchiello, avvocato
Il regolamento (CE) n.
2150/2002, relativo alle statistiche
sui rifiuti, consolida, in termini
precisi e secondo cadenze
prestabilite, il processo di censimento
comunitario dei rifiuti, individuando
nuove funzioni amministrative
in capo agli Stati
membri e, di riflesso, nuovi oneri
per gli operatori del settore,
ma riconoscendo, dall’altro, opportunità
per l’assolvimento di
parte degli stessi, grazie a finanziamenti
comunitari. Una volta
rielaborati, i dati sui rifiuti dovranno
essere trasmessi all’Istituto
Statistico delle Comunità Europee
Eurostat. È opportuno,
ora, che il Legislatore italiano
proceda a una lettura d’insieme
della normativa comunitaria così
introdotta che si coordini con
il “decreto Ronchi” e che tenga
conto delle possibilità che questo
riserva all’esercizio decentrato
e, laddove possibile, con moduli
privatistici, delle funzioni
amministrative in materia.
AMBIENTE
La misura per effetto del regolamento (CE) 25 novembre 2002, n. 2150/2002
Al via il censimento comunitario dei rifiuti
Il testo integrale del regolamento (CE) del Parlamento europeo
e del Consiglio del 25 novembre 2002, n. 2150/2002, è
disponibile on-line all’indirizzo
Finalità del regolamento
Il regolamento (CE) del Parlamento
europeo e del Consiglio del 25 novembre
2002, n. 2150/2002 «relativo
alle statistiche sui rifiuti» [1] , si occupa
di un obiettivo prioritario, evincibile
sin dal suo incipit, allorché viene
riportata l’intenzione del Legislatore
di fissare, nel dettaglio e in modo uniforme,
«un ambito per la produzione
di statistiche comunitarie sulla produzione,
il recupero e lo smaltimento
dei rifiuti» (art. 1).
Che questa esigenza conoscitiva
sia stata ritenuta improcrastinabile
lo si evince dalla volontà di superare,
integrandoli e arricchendoli, i dati
normativi comunitari preesistenti
sia nella loro veste formale come in
quella contenutistica.
È noto, infatti, che una normativa
comunitaria, a livello di nomenclatura,
già esisteva (il riferimento è
al Catalogo Europeo dei rifiuti - cosiddetto
CER -, istituito con la decisione
n. 94/3/CE [2] , poi più volte
sostituito e aggiornato, da ultimo
con la decisione n. 2001/573 [3] ) come,
del resto, un sistema di raccolta
dei dati era stato introdotto dal Legislatore
nazionale con la legge 25
gennaio 1994, n. 70 [4] .
Il Legislatore comunitario, però,
avvalendosi dello strumento normativo
del regolamento, ha ritenuto
che fosse giunto il momento di dotare
tutti gli Stati membri di una normativa
dal carattere cogente immediato,
generale e uniforme.
La raccolta dei dati
sui rifiuti
Circa i contenuti, balza da subito
come gli Stati membri siano stati coinvolti
attivamente nel processo di raccolta
ed elaborazione dei dati conoscitivi
inerenti i rifiuti e, ancor più, come
la stessa metodologia di assolvimento
dei nascenti obblighi comunitari, debba
essere omogenea.
Viene, infatti, precisato che «gli Stati
Membri raccolgono i dati necessari»
all’esigenza di «specificazione delle caratteristiche»
dei rifiuti, così come
«elencate negli allegati I e II» (art. 3,
comma 1, regolamento n. 2150/2002).
Subito dopo, sono ulteriormente
specificate le quattro diverse meto-
[1] In G.U.C.E. del 9 dicembre 2002, n. 332 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com/.
[2] «Decisione 94/3/CE della Commissione, del 20 dicembre 1993, che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all’articolo 1 a)
della direttiva 75/442/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti» (in G.U.C.E L del 7 gennaio 1994, n. 5).
[3] «Decisione del Consiglio 2001/573/CE del 23 luglio 2001 che modifica l’elenco dei rifiuti contenuto nella decisione
2000/532/CE» (in G.U.C.E. L del 28 luglio 2001, n. 203). Si veda anche il Supplemento n. 5/2001 di Ambiente&Sicurezza.
[4] «Norme per la semplificazione degli adempimenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza pubblica nonché per
l’attuazione del sistema di ecogestione e di audit ambientale» (in Gazzetta Ufficiale del 31 gennaio 1994, n. 24).
82 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

dologie di raccolta a disposizione
degli Stati membri:
l indagini ad hoc;
l utilizzazione di fonti conoscitive
già a disposizione, quali i dati risultanti
da obblighi di dichiarazione già previsti
(di immediata evidenza il riferimento
implicito all’obbligo nazionale
di presentazione del MUD);
l procedure di stima statistica;
l combinazione dei tre metodi precedenti.
A fronte di quest’obbligo di
raccolta da parte degli Stati membri,
sta quello cui possono essere
soggetti, secondo la metodologia
che presceglierà ciascuno Stato
membro, gli stessi operatori del
settore.
Con una precisazione, posta dalla
stesso regolamento, viene, infatti,
stabilito che «al fine di ridurre
gli oneri amministrativi per le piccole
imprese», le«imprese con meno
di 10 dipendenti sono escluse
dalle indagini», sempre, però, che
non «contribuiscano in maniera significativa
alla produzione dei rifiuti»
(art. 3, comma 2).
Rileva, d’altronde, l’art. 11 del
cosiddetto “decreto Ronchi” riguardante
il «catasto dei rifiuti»
e, precisamente, il suo comma 3,
che sancisce l’obbligo per «chiunque
effettua a titolo professionale
attività di raccolta e di trasporto
di rifiuti, (...) ovvero svolge le operazioni
di recupero e di smaltimento
dei rifiuti, nonché le imprese e
gli enti che producono rifiuti pericolosi
e le imprese e gli enti che
producono rifiuti non pericolosi
di cui all’articolo 7, comma 3, lettere
c), d) e g)» (sinteticamente
gli operatori del settore), di «comunicare
annualmente (...) le quantità
e le caratteristiche qualitative
dei rifiuti oggetto delle predette
attività». L’articolo ora in commento
prevede un esonero dall’obbligo
della denuncia dei rifiuti;
AMBIENTE
precisamente, ciò è stabilito «per
gli imprenditori agricoli di cui all’articolo
2135 del codice civile
con un volume di affari annuo non
superiore a lire quindicimilioni e,
limitatamente alla produzione dei
rifiuti non pericolosi, i piccoli imprenditori
artigiani di cui all’articolo
2083 del codice
civile che
non hanno più di
tre dipendenti».
Ne discende,
da una combinata
lettura della disposizionecomunitaria
con quella
italiana, che
le piccole imprese
con meno di
dieci dipendenti
non possono essere
oggetto delle
indagini conoscitive
nascenti
dal regolamento
[5] , mentre le piccole imprese, secondo
l’articolata definizione fornita
dal D.Lgs. n. 22/1997, sono esonerate
dall’obbligo di dover procedere
a comunicazione annuale.
Elaborazione
e trasmissione dei dati
Per quanto se ne faccia accenno
sin dall’articolo 1, la fase dell’elaborazione
dei dati è logicamente successiva
a quella della loro raccolta,
sì che il sibillino articolo 3, comma
3, secondo cui «gli Stati membri
producono i risultati statistici conformemente
alla disaggregazione di
cui agli allegati I e II» va riletto e
coordinato con quanto incidentalmente
accennato nel primo articolo,
in base al quale «nell’elaborazione
delle statistiche, gli Stati membri e
la Commissione osservano la nomenclatura
statistica stabilita principalmente
in base alle sostanze,
che figura all’allegato III».
In base a quanto
disposto dalla
novella, è evidente che
le piccole imprese con
meno di dieci dipendenti
non possono essere
oggetto delle indagini
conoscitive nascenti dal
nuovo regolamento
comunitario
RIFIUTI
Articolo
Il che equivale a dire che i dati
sui rifiuti, poiché devono convergere
e confluire in un censimento comunitario
uniforme, è necessario
che parlino la stessa lingua e, per
far sì che ciò accada, occorre che gli
Stati membri si dotino di uno strumento
di conversione dei propri codiciterminologici;
questo è il senso
del rinvio ai diversi
allegati del
regolamento e ai
quali va aggiunto,
per completare il
quadro degli strumenti
di lettura
uniforme dei dati
sui rifiuti, quanto
il regolamento n.
2150/ 2002, demanda
alla Commissione,
la quale,
infatti, dovrà
stabilire «una tavola
di equivalenze
tra la nomenclatura statistica riportata
nell’allegato III e l’elenco
dei rifiuti stabilito dalla decisione
2000/ 532/CE della Commissione»
(art. 1, comma 5).
Una volta rielaborati i dati sui
rifiuti, sempre gli Stati membri li
dovranno trasmettere a “Eurostat”,
l’Istituto Statistico delle Comunità
Europee.
Le nuove funzioni di
carattere conoscitivo
Se questo è il quadro di massima
dei nuovi compiti che spettano
agli Stati membri, il regolamento
comunitario va, non di meno,
contestualizzato all’interno
della cornice giuridica italiana
che, come noto, è stata recentemente
attraversata da un fenomeno
di federalizzazione amministrativa
e normativa.
Il dato normativo da cui muovere,
nello specifico settore dei rifiuti,
[5] Ciò, ovviamente, renderà meno attendibili i dati raccolti, che saranno lo “specchio” di una realtà parziale.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 83

RIFIUTI
Articolo
è l’art. 85, D.Lgs. n. 112/1998 [6]
(meglio noto come la “Bassaniniquater”),
secondo il quale «restano
attribuiti allo Stato, in materia di
rifiuti, esclusivamente le funzioni e i
compiti indicati dal decreto legislativo
5 febbraio 1997, n. 22, (...).
Restano ferme le competenze dello
Stato previste dagli articoli 11, 31,
32 e 33 del decreto legislativo 5
febbraio 1997, n. 22».
Poiché l’art. 11 del “decreto Ronchi”,
espressamente richiamato tra
le norme cogenti in materia di ripartizione
di competenze, è la disposizione
italiana che più si approssima
alle nuove funzioni amministrative
introdotte dal nuovo regolamento
comunitario, essendo, come si è visto,
dedicato al «catasto dei rifiuti»,
è a esso che bisogna fare specifico
riferimento.
Sinteticamente, il sistema di riparto
di competenze ivi previsto,
pur sostanzialmente immutato, ne
risulta arricchito dal regolamento
n. 2150/2002; così, al Ministero dell’Ambiente
e della Tutela del territorio
permane il compito di organizzare
e aggiornare il sistema dei dati
via via raccolti, previa l’elaborazione
degli stessi da parte delle sezioni
regionali del Catasto in collaborazione
con l’APAT, a cui i dati
provengono dalla raccolta degli
stessi da parte di «comuni, consorzi,
comunità montane ovvero aziende
speciali».
Se questo è il quadro di massima
della ripartizione delle competenze
secondo l’ottica della sussidiarietà
verticale, l’applicazione del nuovo
regolamento nell’ordinamento italiano
deve, altresì, tener conto di un
altro principio, consacrato anch’esso
nella Costituzione, quello della
sussidiarietà orizzontale, che trova
espresso riconoscimento all’interno
dello stesso “decreto Ronchi”.
AMBIENTE
Se, infatti, si considera che da un
lato «la gestione dei rifiuti si conforma
ai principi di responsabilizzazione
e di cooperazione di tutti i soggetti
coinvolti nella produzione, nella
distribuzione, nell’utilizzo e nel
consumo dei beni da cui originano i
rifiuti, nel rispetto dei principi dell’ordinamento
nazionale e comunitario»
(art. 2, comma 3 D.Lgs. n.
22/1997), dall’altro viene ulteriormente
precisato che «per il conseguimento
delle finalità del presente
decreto lo Stato, le Regioni e gli
enti locali, nell’ambito delle rispettive
competenze ed in conformità alle
disposizioni che seguono, adottano
ogni opportuna azione avvalendosi,
anche mediante accordi e contratti
di programmi, di soggetti pubblici e
privati».
Si può, quindi, ben ipotizzare
che le nuove funzioni amministrative
di raccolta, elaborazione e trasmissione
dei dati possano essere
svolte da soggetti privati qualificati
nel settore, sempre che, s’intende,
le pubbliche amministrazioni
competenti stipulino con questi accordi
e/o contratti di programma
idonei a regolamentare l’esercizio
concreto delle suddette funzioni.
Lo svolgimento delle nuove
funzioni amministrative
Il regolamento, infine, consapevole
che «gli Stati membri possono
necessitare di un periodo transitorio
per l’elaborazione delle loro
statistiche sui rifiuti (...) per le
quali i sistemi statistici nazionali
richiedono adattamenti di rilievo»
(VII considerando), ha individuato
un «periodo transitorio»,
azionabile «su richiesta di uno
Stato membro» che non può superare
i due anni e, in alcuni casi, i
tre anni dall’entrata in vigore del
regolamento, per quanto attiene
alla produzione dei risultati.
Si evince, dunque, che gli Stati
membri sono da subito [7] obbligati
ad attivarsi in ordine agli adempimenti
statistici così introdotti, a
meno che si vogliano avvalere del
regime transitorio nei termini accennati
più sopra.
Il Legislatore comunitario, d’altronde,
con l’evidente intento di
incentivare comportamenti diligenti
e responsabilizzanti degli Stati
membri, ha altresì precisato che la
Commissione elabori un programma
concernente studi pilota sui rifiuti
«la cui esecuzione è affidata
agli Stati membri». A prima vista,
sembrerebbe trattarsi di un ulteriore
adempimento gravante sugli Stati
membri. Se, però, si legge questa
disposizione coordinatamente
con quella che ne precisa il contenuto,
secondo cui «il programma
di studi pilota della Commissione
è coerente con il contenuto degli
allegati I e II» (che, come visto,
costituiscono il quadro tecnico sulla
base del quale ciascuno Stato
membro deve elaborare le proprie
elaborazioni statistiche) e, ancor
più, con l’altra misura secondo cui
«la Commissione finanzia sino al
100% dei costi per la realizzazione
degli studi pilota», non si può
non coglierne la portata positiva
insita nell’avviare, sin d’ora, tutti
quegli adempimenti normativi, regolamentari
organizzativi e consensuali
idonei a consentire
un’esecuzione della normativa comunitaria,
così inserita a costo minimo
per lo Stato e per gli stessi
operatori del settore. Su questa base,
il sistema Italia ha la possibilità,
volendo, di dare esecuzione a
una normativa comunitaria giocando,
una volta tanto, d’anticipo e,
così facendo, raccogliendone i
frutti. l
[6] «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15
marzo 1997, n. 59» (in Gazzetta Ufficiale del 21 maggio 1998, n. 116).
[7] Il regolamento n. 2150/2002, infatti, dovendo, ai sensi dell’art. 9, entrare in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua
pubblicazione, avvenuta nella G.U.C.E. L del 9 dicembre 2002, n. 332, è entrato in vigore a partire dal 29 dicembre 2002.
84 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

di Luigi Lovecchio, dottore commercialista
Prima pronuncia ufficiale sulla
tariffa sui rifiuti. È la risoluzione
dell’Agenzia delle Entrate,
Direzione Centrale Normativa
e Contenzioso, 5 febbraio
2002, n. 25/E, con la quale viene
stabilito l’assoggettamento a
IVA dell’entrata in esame. A parte
la sinteticità della nota, resta
arduo delineare la sussistenza
del presupposto assunto nella risoluzione
per affermare l’imponibilità
IVA, visto che, alla luce
della disciplina complessiva, difficilmente
può essere sostenuto
che «l’espletamento del servizio
avviene secondo le regole di diritto
comune», essendovi, al contrario,
una forte base di cogenza
legislativa. L’Agenzia, tuttavia,
non manca di ricordare come
le entrate tributarie non abbiano
natura di corrispettivo, essendo,
conseguentemente,
escluse da IVA. È auspicabile,
quindi, un chiarimento giudiziale
sul tema.
AMBIENTE
La pronuncia, seppur sintetica, con la risoluzione 5 febbraio 2003, n. 25/E
A la tari fa sui rifiuti si applica l’IVA?
Da le Entrate la prima risposta u ficiale
La tariffa rifiuti, prevista nell’articolo
49, D.Lgs. n. 22/1997, è
soggetta a IVA. È quanto afferma
l’Agenzia delle Entrate che, nella
risoluzione 5 febbraio 2002, n. 25/E,
ha risposto a una serie di quesiti proposti
da un comune in ordine alla disciplina
IVA di talune attività svolte
dall’ente.
Si tratta della prima presa di posizione
ufficiale dell’Amministrazione
finanziaria in ordine a un tema molto
controverso che coinvolge, tra le tante,
realtà come quella del comune di
Roma, passato in tariffa dal 1˚ gennaio
2003, malgrado la proroga di un
anno disposta nell’articolo 31, legge
n. 289/2002.
A questo punto, gli operatori possono
trarre alcune immediate indicazioni
utili, tenuto conto che, alla luce
dell’articolo 10, n. 212/2000 (cosiddetto
“statuto dei diritti del contribuente”),
il soggetto che si sia adeguato a
una interpretazione dell’Amministrazione
finanziaria è esente da sanzioni
ed interessi, nell’ipotesi in cui il Fisco
cambi successivamente opinione.
La risposta dell’Agenzia è in verità
piuttosto sintetica, poiché si limita a
osservare, sulla questione specifica,
che, poiché l’articolo 49, D.Lgs. n.
22/1997, configura il prelievo in oggetto
alla stregua di un “corrispettivo”
«nel presupposto che l’espletamento
del servizio avvenga secondo regole
di diritto comune», la tariffa deve essere
assoggettata a IVA.
In realtà, appare fortemente dubbia
proprio la sussistenza del presupposto
assunto nella risoluzione per affermare
l’imponibilità IVA, atteso che, alla
RIFIUTI
Commento
luce della disciplina complessiva, è
arduo sostenere che «l’espletamento
del servizio avviene secondo le regole
di diritto comune».
Senza voler in questa sede ripetere
considerazioni espresse già molte volte
su Ambiente&Sicurezza, è sufficiente
ricordare:
l l’autoritatività della posizione del
comune, il quale detta la disciplina
del servizio in un regolamento che
non richiede l’accettazione dell’utente
(si veda l’Inserto sul n. 1/2003);
l la commisurazione del prelievo
non già alla effettiva produzione di
rifiuti, ma alla teorica attitudine alla
formazione degli stessi, desunta dagli
indici precisati nelle tabelle allegate
al D.P.R. n. 158/1999, con possibilità
di applicazione della tariffa,
seppure nella sola quota fissa, anche
al soggetto che in realtà non
conferisce nulla al servizio pubblico
(così la risoluzione 9 febbraio 1999,
n. 16/E; si veda il n. 3/1999);
l l’impossibilità del privato di scegliere
il gestore, stante la privativa
assicurata al comune dall’articolo
21, D.Lgs. n. 22/1997.
In buona sostanza, è difficile scorgere
in un simile assetto normativo i
tratti della volontarietà e corrispettività
che sono tipici delle obbligazioni di
natura contrattuale, mentre al contrario
sono ben presenti, e anche fortemente
caratterizzanti, gli indici propri
delle obbligazioni ex lege (altrimenti
note come “prestazioni patrimoniali
imposte”).
La risoluzione, peraltro, conferma,
seppure con riferimento a una diversa
prestazione patrimoniale (il diritto sul-
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 85

RIFIUTI
Commento
le pubbliche affissioni), che le entrate
tributarie «non hanno invero natura
di corrispettivo, poiché non sussiste
tra il comune e l’utente un rapporto
sinallagmatico»; conseguentemente,
le stesse sono escluse da IVA «per
carenza del presupposto oggettivo».
Con istanza di interpello in oggetto, concernente
l’esatta applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 633, è stato posto il seguente
QUESITO
Il Comune di …. ha indetto una procedura per l’affidamento
in concessione del servizio di riscossione,
liquidazione ed accertamento delle seguenti entrate comunali:
- canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari;
- diritto sulle pubbliche affissioni e relativo servizio;
- canone per l’occupazione di suolo ed aree pubbliche;
- tariffa di igiene ambientale giornaliera.
A fronte di detto servizio al concessionario verrà
riconosciuto un aggio.
Il suddetto ente locale ha chiesto di conoscere il
trattamento tributario, agli effetti dell’imposta sul valore
aggiunto, applicabile alle diverse tipologie di entrate
innanzi richiamate nonché all’aggio corrisposto al concessionario
per il suddetto servizio.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA
PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
Non viene fornita alcuna soluzione.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
In via preliminare si ritiene utile precisare che, in base
a quanto disposto, tra l’altro, dall’articolo 3, comma 1, del
decreto ministeriale 26 aprile 2001, n. 209, l’istanza di
interpello deve contenere a pena di inammissibilità «la
sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante».
Nell’eventualità in cui non si verifichi tale condizione,
ovvero una delle altre, previste dal citato articolo 3,
comma 1, l’istanza di interpello deve ritenersi inammissibile.
AMBIENTE
Le tasse, infatti, sono commutative,
nel senso che non originano alcun diritto
di tipo negoziale nel contribuente,
e non corrispettive, rispetto al servizio
reso dall’ente impositore.
Ne deriva che, una volta che dovesse
essere accertata giudizialmente la
natura tributaria della tariffa (non potendo
ovviamente ritenersi risolutiva,
sul punto, la sbrigativa nota delle Finanze
n. 25/E), l’esclusione da IVA
conseguirà in via automatica, a prescindere
dal soggetto (pubblico o privato)
che riscuote l’entrata.
Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa
e Contenzioso 5 febbraio 2003, n. 25/E
Istanza di interpello - Art. 11, legge 27/7/2000, n. 212. Comune di ...
IVA - Trattamento tributario applicabile a determinate tipologie di entrate nonché all’aggio
riconosciuto al concessionario per il servizio di riscossione, liquidazione ed accertamento
Nella fattispecie prospettata l’istanza di interpello non
risulta sottoscritta dal legale rappresentante, conseguentemente
l’interpello deve ritenersi inammissibile.
Ciò nondimeno, si reputa opportuno esaminare nel merito
la questione prospettata, rappresentando qui di seguito
un parere che non è produttivo degli effetti tipici dell’interpello
di cui all’articolo 11, commi 2 e 3, della legge 27
luglio 2000, n. 212.
Al fine di addivenire ad una corretta soluzione circa il
trattamento IVA da riservare alle prestazioni rese dal comune
in argomento, a fronte delle quali vengono richieste
le entrate innanzi richiamate necessita valutare preliminarmente
quando ricorrano congiuntamente il presupposto
impositivo soggettivo, di cui all’articolo 4 del suddetto
DPR n. 633 del 1972 ed oggettivo, ai sensi dell’articolo 3
del medesimo decreto, dando per scontato la sussistenza
nella fattispecie di cui trattasi del presupposto territoriale.
a) presupposto oggettivo
L’articolo 3, del citato DPR n. 633 del 1972 dispone,
tra l’altro, che «Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni
verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera,
appalto, trasporto, mandato, … e in genere da obbligazioni
di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la
fonte.».
Relativamente al diritto sulle pubbliche affissioni di cui
al decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, si osserva
che con circolare ministeriale n. 10 del 17 marzo 1994 si è
chiarito che il servizio delle pubbliche affissioni rappresenta
un servizio che riveste natura pubblicistica a fronte del
quale deve essere corrisposto il relativo “tributo”; pertanto,
tale diritto ha natura tributaria.
Conseguentemente, l’entrata relativa al servizio di pubbliche
affissioni non deve considerarsi rilevante agli effetti
dell’IVA.
Le entrate tributarie non hanno invero natura di corrispettivo,
poiché non sussiste tra il comune e l’utente un
rapporto sinallagmatico; si deve, viceversa, riconoscere ad
esse innegabilili caratteristiche di generalità tipiche del
tributo. Conseguentemente, le suddette entrate non assumo-
86 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

no rilevanza agli effetti dell’IVA, per carenza del presupposto
oggettivo di cui al citato articolo 3 del citato DPR n.
633 del 1972.
Diversamente, come in passato chiarito dal Ministero
delle finanze con le circolari n. 256 del 1998 e n. 111 del
1999, le restanti entrate, costituite dal canone per l’installazione
dei mezzi pubblicitari (CIMP), canone per l’occupazione
di spazi ed aree pubbliche (COSAP) e tariffa di
igiene ambientale (TIA), non hanno natura tributaria.
Ciò premesso, per quanto attiene alle prestazioni che
danno luogo ad entrate per le quali è stata esclusa la natura
tributaria (CIMP, COSAP e TIA), al fine di stabilire la
loro rilevanza o meno ai fini dell’imposta sul valore aggiunto,
occorre esaminare se ricorra anche il presupposto
impositivo soggettivo, di cui all’articolo 4 del citato DPR
n. 633 del 1972.
b) presupposto soggettivo
Per gli enti aventi natura non commerciale, tra i quali
devono annoverarsi anche i comuni, il citato articolo 4,
quarto comma prevede, tra l’altro, che «…, si considerano
effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di
beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività
commerciali o agricole. … ».
Nell’ambito del requisito soggettivo, occorre tuttavia
precisare che l’articolo 4, paragrafo 5, della sesta Direttiva
CEE n. 77/388 del 17 maggio 1977, dispone, tra l’altro,
che «Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri
organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti
passivi per le attività od operazioni che esercitano in
quanto pubbliche autorità, anche quando in relazione a
tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni,
contributi o retribuzioni…».
Relativamente al concetto di “pubblica autorità” sussiste
una consolidata giurisprudenza comunitaria in base alla
quale le attività esercitate in quanto pubbliche autorità
sono quelle svolte dagli enti di diritto pubblico nell’ambito
del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi
svolte in forza del regime giuridico cui sono sottoposti gli
operatori economici privati; più precisamente per verificare
se l’ente pubblico esercita una tale attività occorre esaminare
l’insieme delle modalità di svolgimento dell’attività
in causa previste dal diritto nazionale.
Al riguardo, considerate le disposizioni che disciplinano
il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP)
ed il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche
(COSAP), si rileva che le modalità con le quali vengono
rilasciate le autorizzazioni necessarie per l’installazione dei
mezzi pubblicitari, nonché le concessioni per l’occupazione
delle aree pubbliche, a fronte delle quali sono dovuti i
rispettivi canoni, richiedono l’esercizio di poteri pubblicistici
- amministrativi tipici degli enti pubblici.
Quindi, essendovi, da parte del Comune di …, un esercizio
del proprio potere autoritativo nel rilascio delle suddette
autorizzazioni e concessioni a fronte delle quali viene
richiesto il corrispondente canone, si ritiene che non
sussista il presupposto soggettivo d’imposta ai sensi della
citata disposizione comunitaria.
AMBIENTE
RIFIUTI
Documento
Non configurandosi, pertanto, l’esercizio di un’attività
commerciale da parte del medesimo ente locale, ai sensi
del citato articolo 4 del DPR n. 633, il canone non risulta
assoggettabile ad IVA.
Relativamente alla tariffa di igiene ambientale (TIA), si
osserva che essa, come si rileva dall’articolo 49 del d.lgs.
n. 22 del 1997, si configura alla stregua di un
“corrispettivo”, nel presupposto che l’espletamento del servizio
avvenga secondo regole di diritto comune.
Verificandosi pertanto i presupposti impositivi soggettivo
ed oggettivo, la medesima deve essere assoggettata
all’IVA, con aliquota agevolata del 10 per cento, come
previsto dalla Tabella A, parte terza, n. 127-sexiesdecies),
allegata al suddetto DPR n. 633 del 1972, nel caso che
trattasi della gestione di rifiuti urbani e/o dei rifiuti speciali
ad essi assimilati.
Infine, per quanto riguarda il quesito relativo al trattamento
applicabile, ai fini dell’IVA, all’aggio riconosciuto
al concessionario a cui verrà affidato il servizio di riscossione,
liquidazione ed accertamento delle entrate innanzi
richiamate, si osserva quanto segue.
Si precisa, preliminarmente, che detto aggio costituisce
un corrispettivo a fronte di una specifica prestazione di
servizi (obbligazione di fare), di cui all’articolo 3 del DPR
n. 633 del 1972, resa da un soggetto nell’ambito della
propria attività d’impresa ed è, quindi, rilevante agli effetti
dell’IVA. Ciò premesso, occorre stabilire se detta prestazione
rientri o meno tra le operazioni esenti dall’imposta
elencate nell’articolo 10 del citato DPR n. 633.
In base a quanto disposto dall’art. 10, n. 5), del DPR n.
633 del 1972, sono esenti dall’IVA «le operazioni relative
alla riscossione dei tributi».
Pertanto, in forza di detta disposizione, è riconducibile
nell’esenzione dall’IVA l’aggio relativo al servizio di riscossione
concernente il diritto sulle pubbliche affissioni,
in considerazione della qualificazione della medesima entrata
come tributo.
Tuttavia, nel caso in cui al concessionario venga corrisposto
un aggio unico per un servizio pattuito unitariamente
che comprenda anche l’accertamento e la liquidazione
del tributo, si ritiene che l’intero aggio debba essere assoggettato
ad IVA nella misura ordinaria, atteso che la norma
di esenzione è espressamente riferita alle sole «operazioni
relative alla riscossione dei tributi».
La norma richiamata, che prevede un’esenzione tributaria,
non è suscettibile, infatti, di interpretazione analogica e
non consente di assimilare il trattamento relativo al servizio
di riscossione a quelli concernenti l’accertamento e la
liquidazione.
Si precisa, infine, che l’aggio corrisposto al concessionario
per il servizio relativo alle restanti entrate (CIMP,
COSAP e TIA), deve essere assoggettato ad IVA, in quanto
dette entrate non sono qualificabili come “tributi”.
La riposta di cui alla presente risoluzione, sollecitata
con istanza di interpello presentata alla Direzione regionale,
viene resa dalla scrivente ai sensi dell’articolo 4, ultimo
periodo, del D.M. 26 aprile 2001, n. 209. l
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 87

SVILUPPO SOSTENIBILE
Commento
Interessante la relazione, in prospettiva, con i due decreti ministeriali 24 aprile 2001
Con la dire tiva comunitaria 2002/91/CE
consumi energetici ed edilizia “a bracce to”
di Cettina Gallo, architetto - ENEA
La direttiva 2002/91/CE , relativa
al rendimento energetico nell’edilizia,
rappresenta una misura
a lungo attesa, a fronte di un
generico trend in crescita nei
consumi nel settore del mattone.
Tra le novità, un’attenzione
maggiore alle tematiche del raffrescamento
e del condizionamento
d’aria, la possibilità di sostanziali
risparmi energetici grazie
all’edilizia bioclimatica e
l’istituzione di ispezioni periodiche
obbligatorie per i sistemi di
condizionamento d’aria; non è
una novità, invece, l’attestato di
certificazione energetica degli
edifici. Le misure valgono anche
per gli edifici già esistenti, purché
di metratura superiore ai
1000 m 2 , che subiscano degli interventi
di “ristrutturazione importante”.
In Italia, la direttiva
va a intrecciarsi con i due DD.
MM. 24 aprile 2001, che, in tema
di risparmio energetico, insistono,
soprattutto, sull’edilizia,
o con casi come quello di Bologna
dove la riduzione dei consumi
passa attraverso la conversione
delle lampadine tradizionali
a quelle fluorescenti compatte a
basso consumo.
AMBIENTE
La direttiva 2002/91/CE del Parlamento
Europeo e del Consiglio
16 dicembre 2002 «sul rendimento
energetico nell’edilizia»,
pubblicata sulla G.U.C.E. L del 4
gennaio 2003, n. 1, era stata annunciata
da tempo. La sua preparazione
era stata curata dalla Direzione Generale
Trasporti ed Energia (DG-
TREN) della Commissione, con un
ampio processo di consultazione; di
conseguenza, il suo contenuto non
riserva particolari sorprese. Ciò non
vuol dire che non sia una direttiva
utile e tempestiva; al contrario, forse
è già in ritardo rispetto alle necessità.
I consumi di energia in edilizia, a
livello Unione europea, sono aumentati
sia in valore assoluto sia in percentuale
(anche se in misura inferiore
a quelli nel settore dei trasporti),
grazie alla diminuzione dell’approvvigionamento
nel settore industriale,
e rappresentano, oggi, circa il
40% della domanda di energia. Queste
considerazioni, oltre che per
l’Unione europea, valgono in particolare
anche per l’Italia. In parallelo
al consumo di energia crescono
anche le emissioni di anidride carbonica
(anche se in misura inferiore a
causa dell’aumento della penetrazione
del metano rispetto al gasolio per
il riscaldamento). Se l’Europa ha seriamente
intenzione di rispettare gli
impegni presi con la firma del trattato
di Kyoto [1] , è probabilmente il
settore edilizio quello prioritario su
cui intervenire.
La direttiva 2002/91/CE fissa
una serie di linee-guida cui i diversi
Paesi membri dovranno adeguarsi
promulgando un’apposita legislazione
o adattando quella esistente. È
chiaro che in questo campo le differenze
tra i vari Paesi sono profonde
e riguardano:
l il clima;
l le tipologie edilizie;
l le tecnologie e pratiche costruttive;
l i regimi di proprietà;
l la cultura;
l le abitudini e l’atteggiamento dei
consumatori;
l il quadro legislativo esistente e
nella sua articolazione nazionale-regionale-locale.
In questo contesto, la direttiva è
necessariamente flessibile e potrà
condurre a soluzioni molto diverse
tra un Paese e un altro.
Le principali novità
[1] Sulla legge n. 120/2002 di ratifica del Protocollo di Kyoto, si veda il n. 15/2002 di Ambiente&Sicurezza.
Raffrescamento
e condizionamento d’aria
Rispetto al passato, vi è un’attenzione
molto maggiore al raffrescamento
e al condizionamento d’aria.
Un motivo è certamente quello che
l’aumento del tenore di vita e della
richiesta di comfort ha fatto aumentare,
nell’ultimo decennio, la domanda
energetica per il condizionamento
molto più che non quella per il
riscaldamento degli edifici; anche
se quest’ultima è ancora prevalente,
non è più lecito trascurare la prima.
Una seconda causa può essere quella
della crescente integrazione tra
88 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

sistemi di riscaldamento e quelli di
raffrescamento, sia attraverso le
pompe di calore reversibili sia attraverso
i sistemi “passivi” (si veda
oltre). Un terzo motivo è rappresentato
da una maggiore attenzione verso
i Paesi dell’Europa mediterranea,
dove il condizionamento sta diventando
una necessità, rispetto all’interesse
per il Nord Europa, in passato
prevalente.
Risparmi energetici
Giusta attenzione è stata anche
posta alle opportunità offerte dall’edilizia
bioclimatica, cioè dalla
possibilità di sostanziali risparmi
energetici nel riscaldamento, nel raffrescamento
e nell’illuminazione,
ottenibili con una
progettazione
“intelligente” che
ottimizzi la tipologia
e l’orientamento
degli edifici, la
scelta dei materiali
(in base non solo
alla coibentazione
ma anche all’inerzia
termica),
le dimensioni e la
disposizione delle
finestre (per avere
un adeguato equilibrio
tra apporti
solari al riscaldamento, ventilazione
naturale e illuminazione diurna rispetto
alle dispersioni termiche),
l’adozione di frangisoli fissi o orientabili,
l’apporto della vegetazione e
dell’acqua ecc. Gli interventi di tipo
bioclimatico sono particolarmente
semplici, efficaci ed economicamente
convenienti quando si realizzano
nuovi edifici, ma possono fornire
contributi importanti anche nel caso
di ristrutturazioni di edifici esistenti.
Tutto questo richiede un’adeguata
attenzione alle condizioni climatiche
locali, non più esprimibili, come
avviene di solito, nei soli
“gradi-giorno” (cioè nella somma
degli scostamenti giornalieri della
temperatura media da quella di rife-
In sede di applicazione
della direttiva
2002/91/CE, andrà
trovato un compromesso
accettabile tra spinte
verso la riduzione dei
consumi energetici degli
edifici e la conseguente
complessità del
procedimento di calcolo
AMBIENTE
rimento) ma in maniera tale da tener
conto dell’insolazione, dell’umidità,
dei venti prevalenti ecc. Proprio
su questo punto si riscontrano
le prime difficoltà. La direttiva
2002/91/CE, infatti, agli artt. 1 e 3,
richiede che si calcoli il rendimento
energetico degli edifici, tenendo proprio
conto:
l del microclima locale;
l degli apporti dei sistemi solari
passivi;
l della protezione solare;
l della ventilazione naturale;
l dell’illuminazione naturale.
Questo è certamente possibile e
non mancano gli strumenti di calcolo
da utilizzare; ma la valutazione
risulta diversa da
un sito all’altro,
anche se vicini, richiede
una disponibilità
di dati climatici
su scala locale
ed è differente
da edificio a
edificio, persino
tra due stabili
identici e vicini,
se varia l’orientamento
o l’esposizione
al sole e al
vento. Il calcolo
di alcune delle
grandezze di interesse,
come la
ventilazione naturale e l’illuminazione
naturale, non è facile ed è, generalmente,
al di fuori delle conoscenze
del progettista di medio livello.
Si tratterà, dunque, di trovare, in
sede di applicazione della direttiva
2002/91/CE, un compromesso accettabile
tra la necessità (e l’indubbia
opportunità) di tenere conto di questi
apporti alla riduzione della domanda
di energia di un edificio e la
complessità del procedimento di calcolo
che ne potrebbe risultare. Una
soluzione, in questo senso, sembra
indicata nella 12 a premessa della direttiva,
che suggerisce, agli Stati
membri, di accertare la fattibilità
tecnica, ambientale ed economica
dei sistemi energetici alternativi
SVILUPPO SOSTENIBILE
Commento
«mediante uno studio che indichi un
elenco di misure di conservazione
dell’energia, per condizioni medie
di mercato locale, che soddisfino
criteri relativi al rapporto costo/efficacia».
Questa realizzabilità va valutata
e tenuta presente (art. 5) prima
dell’inizio dei lavori di costruzione.
È ragionevole pensare che a queste
considerazioni corrispondano delle
variazioni in più del rendimento
energetico, analizzate con criteri medi
ove sia troppo dispendiosa una
stima dettagliata per il caso specifico.
Un’iniziativa in questa direzione,
basata su semplice lista di criteri
che possono essere rispettati o meno
nel progetto è già da tempo in
corso in Olanda su base volontaria.
La valutazione del rendimento
energetico dell’edificio serve, prima
di tutto, a fissare requisiti minimi di
rendimento. Per stabili nuovi, questo
viene già fatto in Italia e negli
altri Paesi, ma soltanto relativamente
alla coibentazione termica, con
riferimento ai fabbisogni di energia
per il riscaldamento (e senza tener
conto degli apporti bioclimatici). La
prima novità è, quindi, quella dell’estendere
la valutazione del rendimento
energetico anche al raffrescamento
o condizionamento dell’aria
e all’illuminazione (almeno per
quanto riguarda gli impianti di illuminazione
fissi e, in particolare, negli
edifici per servizi).
Edifici esistenti
Un’altra novità di rilievo consiste
nell’aver considerato non solo
gli edifici di nuova costruzione, ma
anche quelli esistenti, purché di metratura
superiore ai 1000 m 2 , che
subiscano degli interventi di
“ristrutturazione importante” (definita
con precisione al punto 13 delle
premesse). In sostanza, una ristrutturazione
che investa la muratura periferica
dell’edificio e/o gli impianti
di riscaldamento, condizionamento,
ventilazione, illuminazione e produzione
di acqua calda di edifici preesistenti,
deve essere l’occasione per
migliorare il loro rendimento ener-
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 89

SVILUPPO SOSTENIBILE
Commento
getico, anche se non è possibile pretendere
che si adeguino agli standard
più esigenti delle nuove costruzioni.
Anche in questo caso, si parla
di rendimento energetico integrale e
non solo di isolamento termico e di
impianti di riscaldamento.
Attestato di certificazione
energetica degli edifici
L’art. 7 è relativo al già noto
“attestato di certificazione energetica
degli edifici”. Il principio, semplice
nella sua logica, è tale per cui
una casa ben progettata porta a un
risparmio di energia e, quindi, economico.
Giustamente, questa considerazione
deve pesare sulla valutazione
economica dell’edificio, che
sia esso in vendita o in affitto, ed è
logico che l’acquirente o l’affittuario
ne abbia una conoscenza certificata
per fare i propri conti; è, infine,
prevedibile che il riflesso sul valore
di mercato spinga il costruttore a
migliorare le prestazioni di un edificio
se queste si ripagano [2] .
Ispezione delle caldaie
L’ispezione periodica obbligatoria
delle caldaie (art. 8) è una pratica
già introdotta in molti Paesi, compresa
l’Italia; la direttiva 2002/
91/CE, prevede, in alternativa, la
fornitura alle utenze di una consulenza
atta a individuare l’opportunità
e la convenienza nella sostituzione
delle caldaie o alla modifica dell’impianto,
purché i risultati ottenuti
siano equivalenti a quelli dell’ispezione
obbligatoria.
Ispezione dei sistemi
di condizionamento d’aria
Una novità di rilievo è costituita,
invece, dall’ispezione periodica dei
sistemi di condizionamento d’aria
(art. 9). L’estensione dei controlli
AMBIENTE
dalle sole caldaie ai sistemi di condizionamento
porrà qualche problema
di reperimento e qualificazione del
personale che deve svolgere tale
compito; questo punto è richiamato
dalla direttiva all’art. 10 («Esperti
indipendenti»), relativo alle necessità
di reperire e formare queste nuove
figure professionali i cui costi,
nell’economia generale, si ripagano
con i risparmi energetici che ne conseguono
e, quindi, con le minori
importazioni.
Informazione agli utilizzatori
degli edifici
Infine, in varie parti della direttiva
2002/91/CE e, specificamente, all’art.
12, si richiama la necessità di
migliorare l’informazione agli utilizzatori
degli edifici sulle tecnologie
e sui possibili interventi per aumentare
l’efficienza energetica e ridurre
i consumi; a questo proposito, la
Commissione è pronta ad assistere
gli Stati membri nella realizzazione
di campagne di informazione. Tali
iniziative, oltre a diffondere notizie
e sottolineare le opportunità, dovrebbero,
in teoria, servire anche a fornire
un riferimento serio e obiettivo
rispetto alle campagne oggi prevalenti,
portate avanti da operatori
non disinteressati che mirano alla
promozione di particolari impianti o
di una sorgente di energia rispetto
alle altre.
La situazione in Italia
Sulla necessità di recepire questa
iniziativa, l’Italia non versa certo in
condizioni peggiori rispetto a molti
altri Paesi dell’Unione europea. La
legge n. 10/1991 [3] , sull’utilizzo razionale
dell’energia ha preceduto di due
anni la prima “direttiva SAVE” della
Commissione Europea del 1993 [4] , anche
se in Italia il pesante ritardo nel-
l’emanazione dei decreti attuativi della
legge n. 10/1991, ne ha attenuato
l’azione riformatrice.
La prassi instaurata per il calcolo
delle dispersioni termiche degli edifici
dovrà essere ampliata per introdurre
la valutazione del rendimento
energetico complessivo, che tenga
conto, oltre che del riscaldamento,
anche dell’energia spesa per il condizionamento,
la ventilazione, l’illuminazione
e la produzione di acqua
calda; non solo, ma a differenza di
quanto si fa oggi, si dovranno mettere
in conto i contributi bioclimatici
di cui sopra. È presumibile che, a
seguito della complessità accennata
precedentemente in relazione ai calcoli
esatti, almeno in un primo tempo
sia opportuno introdurre criteri
approssimati di valutazione sia dei
consumi presunti sia dei contributi
derivanti dal microclima e dai criteri
di progettazione bioclimatica, come
pure dall’adozione di sistemi alternativi
(pompe di calore, cogenerazione,
fonti rinnovabili, ecc.), basati
su calcoli semplici in alcune situazioni
standardizzate.
Varie scelte saranno possibili per
quanto riguarda l’individuazione di requisiti
minimi per il rendimento energetico,
in particolare, se fissare valori
minimi separati per ciascuna categoria
di usi energetici (riscaldamento,
condizionamento, illuminazione ecc.)
oppure se fissare un valore complessivo
di rendimento globale, permettendo
così di consumare di più per una
categoria a patto si risparmi maggiormente
in un’altra e dando così maggior
spazio all’iniziativa individuale e
ai meccanismi di mercato. Particolare
importanza potrebbe avere la fissazione
di questi limiti per gli edifici commerciali
e del terziario, dove spesso la
domanda energetica per il condizionamento
e per l’illuminazione (finora
[2] Del resto, si pensi come, attualmente, il consumo venga considerato un fattore primario nella scelta delle autovetture.
[3] «Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di
sviluppo delle fonti rinnovabili di energia» (in Gazzetta Ufficiale del 16 gennaio 1991, n. 13).
[4] «Direttiva 93/76/CEE del Consiglio intesa a limitare le emissioni di biossidi di carbonio migliorando l’efficienza energetica» (in
G.U.C.E. L del 22 settembre 1993, n. 237).
90 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

non regolamentate) sono superiori a
quella per il riscaldamento. Casi di
specifico interesse nel terziario possono
essere anche gli ospedali, gli alberghi
e gli impianti sportivi, dove la
richiesta di energia per il riscaldamento
dell’acqua è spesso molto importante
e dove vi sono rilevanti opportunità
per la cogenerazione, per le pompe di
calore e per l’utilizzo di energia solare
termica.
Da molti anni si parla in Italia
dei certificati di efficienza energetica
degli edifici; a questo proposito,
la pubblicazione della direttiva
2002/91/CE, rappresenta l’occasione
per “rispolverare” alcuni progetti
di legge mai discussi.
Un altro “nodo” da affrontare
in Italia riguarderà l’articolazione
delle responsabilità a livello nazionale,
regionale, provinciale e comunale.
La riforma del Titolo V
della Costituzione [5] ha posto
l’energia tra le materie “a legislazione
concorrente” tra Stato e Regioni;
in particolare, a livello nazionale
si dovrebbero fissare quindi
le linee guida e i criteri generali,
mentre alle Regioni spetterebbe
la definizione delle norme di dettaglio
[6] . Se il principio è semplice,
la sua applicazione pratica lo è
molto meno. Il problema è stato
affrontato nel “disegno di legge
Marzano” che ha avuto un iter di
approvazione non semplice e non
indolore. La situazione non è ancora
del tutto chiarita, vista anche la
precedente stratificazione di competenze,
frutto di interventi successivi
non sempre rispondenti a un
disegno complessivo. Nella situazione
attuale, per esempio, vi è un
AMBIENTE
ruolo importante delle province
per quanto riguarda l’ispezione
delle caldaie e la preparazione dei
tecnici.
Ma la maggiore peculiarità della
situazione italiana e quella cui sarà
forse necessario dedicare più attenzione,
deriva dall’esistenza dei due
decreti 24 aprile 2001 [7] sul risparmio
energetico. Questi provvedimenti
attribuiscono alle aziende distributrici,
rispettivamente, di elettricità
e di gas, la responsabilità di
realizzare incrementi di efficienza
negli usi finali dell’energia, secondo
un programma di obiettivi crescenti
con il tempo. I risparmi di
energia sono certificati da “titoli di
efficienza energetica” scambiabili e
negoziabili sul mercato, che le compagnie
distributrici devono procurarsi
in proporzione alla quota di elettricità
o di gas distribuita o con interventi
propri o acquistando i certificati
da terzi. Questo approccio, che è
formalmente entrato in vigore già
dal 2002, ma che è in sostanza ancora
in fase sperimentale, è fortemente
innovativo, non essendo ancora
stato adottato in altri Paesi dell’Unione
europea né fuori Europa, e
ha destato un forte interesse in campo
internazionale.
La relazione tra questi decreti
datati 24 aprile 2001 e la nuova
direttiva europea 2002/91/CE, sta
nel fatto che anche i provvedimenti
nazionali insistono principalmente
sul campo dell’edilizia. L’elenco
(sia pure indicativo e non esaustivo)
delle tipologie di intervento
proponibili per l’emissione dei titoli
di efficienza energetica è, infatti,
prevalentemente indirizzato all’edi-
SVILUPPO SOSTENIBILE
Commento
lizia residenziale e terziaria, anche
se sono previsti interventi nel settore
industriale e, marginalmente, in
quello dei trasporti. Le due iniziative
tendono, quindi, sostanzialmente
allo stesso obiettivo - il risparmio
energetico negli edifici - con
due approcci metodologicamente
molto differenti:
l i decreti italiani, con una prescrizione
degli obiettivi di risparmio e
con l’adozione di strumenti di mercato
per raggiungerli;
l la direttiva europea prevalentemente
con strumenti più tradizionali
di tipo normativo.
L’applicazione contemporanea
dei due strumenti è in linea di
massima possibile e può essere
complementare, purché sia studiata
bene. Per esempio, i titoli di
efficienza energetica non possono
essere assegnati quando l’intervento
riporta semplicemente a norma
quello che non lo è e premia solo
chi si spinge al di là dei valori
minimi di rendimento prescritti.
Normative troppo esigenti ridurrebbero
il campo di azione dei titoli
di efficienza energetica e, quindi,
la positiva azione di ottimizzazione
delle risorse svolta dal mercato.
Sarà, infine, anche utile esaminare
l’influenza che sia i decreti
sia la direttiva 2002/91/CE, potranno
avere sull’organizzazione
dell’offerta di interventi di risparmio
energetico, con particolare riferimento
alle Compagnie per i
Servizi Energetici (o ESCO) che
potrebbero rappresentare uno strumento
operativo snello ed efficace,
creato dal mercato. l
[5] Sulle riforme post legge costituzionale n. 3/2001, si vedano i nn. 7-17-21/2002 di Ambiente&Sicurezza.
[6] Si veda il testo dell’accordo della Conferenza unificata Stato-Regioni e Stato-città ed autonomie locali 5 settembre 2002
«Accordo tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane per l’esercizio dei compiti e delle funzioni di rispettiva
competenza in materia di produzione di energia elettrica» (in Gazzetta Ufficiale del 19 settembre 2002, n. 220), pubblicato, con
breve commento, sul n. 21/2002 di Ambiente&Sicurezza.
[7] Decreti del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato 24 aprile 2001 recanti «Individuazione degli obiettivi
quantitativi nazionali di risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili di cui all’art. 16, comma 4, del decreto legislativo
23 maggio 2000, n. 164» e «Individuazione degli obiettivi quantitativi per l’incremento dell’efficenza energetica negli usi finali
ai sensi dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79» (in S.O. n. 125 alla Gazzetta Ufficiale del 22 maggio
2001, n. 117).
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 91

SVILUPPO SOSTENIBILE
Legislazione
Direttiva 2002/91/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio
del 16 dicembre 2002 sul rendimento energetico nell’edilizia
IL PARLAMENTO EUROPEO
E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA
visto il trattato che istituisce la Comunitàeuropea, in
particolare l’articolo 175, paragrafo 1,
vista la proposta della Commissione (1) ,
visto il parere del Comitato economico e sociale (2) ,
visto il parere del Comitato delle regioni (3) , deliberando
secondo la procedura di cui all’articolo 251 del
trattato (4) ,
considerando quanto segue:
(1) Ai sensi dell’articolo 6 del trattato, le esigenze
connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate
nella definizione e nell’attuazione delle politiche
e azioni comunitarie.
(2) Le risorse naturali, alla cui utilizzazione accorta e
razionale fa riferimento l’articolo 174 del trattato, comprendono
i prodotti petroliferi, il gas naturale e i combustibili solidi,
che pur costituendo fonti essenziali di energia sono anche le
principali sorgenti delle emissioni di biossido di carbonio.
(3) L’aumento del rendimento energetico occupa un
posto di rilievo nel complesso delle misure e degli interventi
necessari per conformarsi al protocollo di Kyoto e dovrebbe
far parte integrante anche dei pacchetti di proposte
volte ad assolvere agli impegni assunti in altre sedi.
(4) La gestione del fabbisogno energetico è un importante
strumento che consente alla Comunità di influenzare
il mercato mondiale dell’energia e quindi la sicurezza
degli approvvigionamenti nel medio e lungo termine.
(5) Nelle conclusioni del 30 maggio 2000 e del 5
dicembre 2000 il Consiglio ha approvato il piano d’azione
della Commissione sull’efficienza energetica ed ha
richiesto interventi specifici nel settore dell’edilizia.
(6) L’energia impiegata nel settore residenziale e terziario,
composto per la maggior parte di edifici, rappresenta
oltre il 40% del consumo finale di energia della Comunità.
Essendo questo un settore in espansione, i suoi consumi
di energia e quindi le sue emissioni di biossido di
carbonio sono destinati ad aumentare.
(7) La direttiva 93/76/CEE del Consiglio, del 13 settembre
1993, intesa a limitare le emissioni di biossido di
carbonio migliorando l’efficienza energetica (SAVE) (5) ,
che impone agli Stati membri di elaborare, attuare e comunicare
i programmi per il rendimento energetico nel settore
dell’edilizia, ha iniziato a produrre notevoli benefici. Si
avverte tuttavia l’esigenza di uno strumento giuridico complementare
che sancisca interventi più concreti al fine di
realizzare il grande potenziale di risparmio energetico tuttora
inattuato e di ridurre l’ampio divario tra le risultanze dei
diversi Stati membri in questo settore.
AMBIENTE
in G.U.C.E. L del 4 gennaio 2003, n. 1
(8) Ai sensi della direttiva 89/106/CEE del Consiglio,
del 21 dicembre 1988, relativa al ravvicinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli
Stati membri concernenti i prodotti da costruzione (6) ,
l’edificio ed i relativi impianti di riscaldamento, condizionamento
ed aerazione devono essere progettati e realizzati
in modo da richiedere, in esercizio, un basso consumo di
energia, tenuto conto delle condizioni climatiche del luogo
e nel rispetto del benessere degli occupanti.
(9) Le misure per l’ulteriore miglioramento del rendimento
energetico degli edifici dovrebbero tenere conto
delle condizioni climatiche e locali, nonché dell’ambiente
termico interno e dell’efficacia sotto il profilo dei costi.
Esse non dovrebbero contravvenire ad altre prescrizioni
essenziali sull’edilizia quali l’accessibilità, la prudenza
e l’uso cui è destinato l’edificio.
(10) Il rendimento energetico degli edifici dovrebbe
essere calcolato in base ad una metodologia, che può
essere differenziata a livello regionale, che consideri, oltre
alla coibentazione, una serie di altri fattori che svolgono
un ruolo di crescente importanza, come il tipo di impianto
di riscaldamento e condizionamento, l’impiego di fonti di
energia rinnovabili e le caratteristiche architettoniche dell’edificio.
L’impostazione comune di questa analisi, svolta
da esperti qualificati e/o accreditati, la cui indipendenza
deve essere garantita in base a criteri obiettivi, contribuirà
alla creazione di un contesto omogeneo per le iniziative di
risparmio energetico degli Stati membri nel settore edile e
introdurrà un elemento di trasparenza sul mercato immobiliare
comunitario, a beneficio dei potenziali acquirenti o
locatari dell’immobile.
(11) La Commissione intende sviluppare ulteriormente
norme quali la EN 832 e la prEN 13790, anche per
quanto riguarda i sistemi di condizionamento d’aria e
l’illuminazione.
(12) Poiché gli edifici influiscono sul consumo energetico
a lungo termine, tutti i nuovi edifici dovrebbero essere
assoggettati a prescrizioni minime di rendimento energetico
stabilite in funzione delle locali condizioni climatiche.
(1) G.U. C 213 E del 31/7/2001, pag. 266 e G.U. C 203 E del
27/8/2002, pag. 69.
(2) G.U. C 36 dell’8/2/2002, pag. 20.
(3) G.U. C 107 del 3/5/2002, pag. 76.
(4) Parere del Parlamento europeo del 6 febbraio 2002 (non ancora
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale). Posizione comune del Consiglio
del 7 giugno 2002 (G.U. C 197 E del 20/8/2002, pag. 6) e decisione
del Parlamento europeo del 10 ottobre 2002 (non ancora pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale).
(5) G.U. L 237 del 22/9/1993, pag. 28.
(6) G.U. L 40 dell’11/2/1989, pag. 12. Direttiva modificata dalla direttiva
93/68/CEE (G.U. L 220 del 30/8/1993, pag. 1).
92 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

A questo proposito le migliori prassi dovrebbero
essere destinate ad un uso ottimale degli elementi relativi
al miglioramento del rendimento energetico. Dato
che in genere il potenziale dell’applicazione dei sistemi
energetici alternativi non è analizzato in profondità, la
fattibilità tecnica, ambientale ed economica dei sistemi
energetici alternativi dovrebbe essere accertata una volta,
ad opera dello Stato membro, mediante uno studio
che indichi un elenco di misure di conservazione dell’energia,
per condizioni medie di mercato locale, che
soddisfino criteri relativi al rapporto costi/efficacia. Se
la o le misure sono considerate fattibili, prima dell’inizio
dei lavori possono essere necessari studi specifici.
(13) Per gli edifici che superano determinate dimensioni,
la ristrutturazione importante dovrebbe essere
considerata un’opportunità di migliorare il rendimento
energetico mediante misure efficaci sotto il profilo dei
costi. Ristrutturazioni importanti si hanno quando il
costo totale della ristrutturazione connesso con le murature
esterne e/o gli impianti energetici quali il riscaldamento,
la produzione di acqua calda, il condizionamento
d’aria, la ventilazione e l’illuminazione è superiore al
25% del valore dell’edificio, escluso il valore del terreno
sul quale questo è situato, o quando una quota
superiore al 25% delle murature esterne dell’edificio
viene ristrutturata.
(14) Tuttavia, il miglioramento del rendimento energetico
globale di un edificio esistente non implica necessariamente
una completa ristrutturazione dell’edificio e potrebbe
invece limitarsi alle parti che sono più specificamente
pertinenti ai fini del rendimento energetico dell’edificio
e che rispondono al criterio costi/efficienza.
(15) I requisiti di ristrutturazione per gli edifici esistenti
non dovrebbero essere incompatibili con la funzione,
la qualità o il carattere previsti dell’edificio.
Dovrebbe essere possibile ricuperare i costi supplementari
dovuti ad una siffatta ristrutturazione entro un lasso
di tempo ragionevole rispetto alla prospettiva tecnica di
vita degli investimenti tramite un maggiore risparmio
energetico.
(16) Il processo di certificazione può essere accompagnato
da programmi per agevolare un accesso equo al
miglioramento del rendimento energetico, basato su accordi
tra associazioni di soggetti interessati e un organismo
designato dagli Stati membri e attuato da società di
servizi energetici che accettano di impegnarsi a realizzare
gli investimenti prestabiliti. I progetti adottati dovrebbero
essere oggetto di sorveglianza e controllo da parte
degli Stati membri che dovrebbero inoltre facilitare il
ricorso a sistemi incentivanti. Per quanto possibile, l’attestato
dovrebbe descrivere la reale situazione dell’edificio
in termini di rendimento energetico e può essere riveduto
di conseguenza. Gli edifici occupati dalle pubbliche autorità
o aperti al pubblico dovrebbero assumere un approc-
AMBIENTE
SVILUPPO SOSTENIBILE
Legislazione
cio esemplare nei confronti dell’ambiente e dell’energia
assoggettandosi alla certificazione energetica ad intervalli
regolari. I relativi dati sulle prestazioni energetiche
andrebbero resi pubblici affiggendo gli attestati in luogo
visibile. Potrebbero inoltre essere affisse le temperature
ufficialmente raccomandate per gli ambienti interni, raffrontate
alle temperature effettivamente riscontrate, onde
scoraggiare l’uso scorretto degli impianti di riscaldamento,
condizionamento e ventilazione. Ciò dovrebbe contribuire
ad evitare gli sprechi di energia e a mantenere
condizioni climatiche interne confortevoli (comfort termico)
in funzione della temperatura esterna.
(17) Gli Stati membri possono altresì avvalersi di
altri mezzi/misure, non previsti dalla presente direttiva,
per promuovere un rendimento energetico maggiore.
Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare una buona
gestione energetica, tenendo conto dell’intensità di impiego
degli edifici.
(18) Negli ultimi anni si osserva una crescente proliferazione
degli impianti di condizionamento dell’aria
nei paesi del sud dell’Europa. Ciò pone gravi problemi
di carico massimo, che comportano un aumento del
costo dell’energia elettrica e uno squilibrio del bilancio
energetico di tali paesi. Dovrebbe essere accordata priorità
alle strategie che contribuiscono a migliorare il
rendimento termico degli edifici nel periodo estivo.
Concretamente, occorrerebbe sviluppare maggiormente
le tecniche di raffreddamento passivo, soprattutto quelle
che contribuiscono a migliorare le condizioni climatiche
interne e il microclima intorno agli edifici.
(19) La manutenzione regolare, da parte di personale
qualificato, delle caldaie e degli impianti di condizionamento
contribuisce a garantire la corretta regolazione in base
alle specifiche di prodotto e quindi un rendimento ottimale
sotto il profilo ambientale, energetico e della sicurezza.
È bene sottoporre il complesso dell’impianto termico
ad una perizia indipendente qualora la sostituzione possa
essere presa in considerazione in base a criteri di
efficienza sotto il profilo dei costi.
(20) La fatturazione, per gli occupanti degli edifici,
dei costi relativi al riscaldamento, al condizionamento
dell’aria e all’acqua calda, calcolati in proporzione al
reale consumo, potrebbero contribuire ad un risparmio
energetico nel settore residenziale. Gli occupanti dovrebbero
essere messi in condizione di regolare il proprio
consumo di calore ed acqua calda, in quanto tali
misure siano economicamente proficue.
(21) Secondo i principi della sussidiarietà e della
proporzionalità di cui all’articolo 5 del trattato, i principi
generali e gli obiettivi della disciplina in materia di
rendimento energetico devono essere fissati a livello
comunitario, mentre le modalità di attuazione restano di
competenza degli Stati membri, cosicché ciascuno di
essi possa predisporre il regime che meglio si adatta
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 93

SVILUPPO SOSTENIBILE
Legislazione
alle sue specificità.
La presente direttiva si limita al minimo richiesto e
non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento
di tali obiettivi.
(22) Occorrerebbe prevedere la possibilità di un rapido
adeguamento del metodo di calcolo e della revisione periodica
da parte degli Stati membri delle prescrizioni minime
nel campo del rendimento energetico degli edifici nei confronti
del progresso tecnologico, per quanto riguarda, tra
l’altro, le proprietà (o qualità) isolanti dei materiali di
costruzione e dell’evoluzione futura degli standard.
(23) Le misure necessarie per l’attuazione della presente
direttiva sono adottate secondo la decisione
1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante
modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione
conferite alla Commissione (7) ,
HANNO ADOTTATO
LA PRESENTE DIRETTIVA:
Articolo 1
Obiettivo
L’obiettivo della presente direttiva è promuovere il
miglioramento del rendimento energetico degli edifici
nella Comunità, tenendo conto delle condizioni locali e
climatiche esterne, nonché delle prescrizioni per quanto
riguarda il clima degli ambienti interni e l’efficacia
sotto il profilo dei costi.
Le disposizioni in essa contenute riguardano:
a) il quadro generale di una metodologia per il
calcolo del rendimento energetico integrato degli edifici;
b) l’applicazione di requisiti minimi in materia di rendimento
energetico degli edifici di nuova costruzione;
c) l’applicazione di requisiti minimi in materia di
rendimento energetico degli edifici esistenti di grande
metratura sottoposti a importanti ristrutturazioni;
d) la certificazione energetica degli edifici, e
e) l’ispezione periodica delle caldaie e dei sistemi di
condizionamento d’aria negli edifici, nonché una perizia
del complesso degli impianti termici le cui caldaie
abbiano più di quindici anni.
Articolo 2
Definizioni
Ai fini della presente direttiva valgono le seguenti
definizioni:
1) «edificio»: una costruzione provvista di tetto e
di muri, per la quale l’energia è utilizzata per il
condizionamento del clima degli ambienti interni; il
termine può riferirsi a un intero edificio ovvero a
parti di edificio progettate o ristrutturate per essere
(7) G.U. L 184 del 17/7/1999, pag. 23.
utilizzate come unità abitative a sé stanti;
AMBIENTE
2) «rendimento energetico di un edificio»: la quantità
di energia effettivamente consumata o che si prevede
possa essere necessaria per soddisfare i vari bisogni
connessi ad un uso standard dell’edificio, compresi, tra
gli altri, il riscaldamento, il riscaldamento dell’acqua, il
raffreddamento, la ventilazione e l’illuminazione. Tale
quantità viene espressa da uno o più descrittori calcolati
tenendo conto della coibentazione, delle caratteristiche
tecniche e di installazione, della progettazione e della
posizione in relazione agli aspetti climatici, dell’esposizione
al sole e dell’influenza delle strutture adiacenti,
dell’esistenza di sistemi di generazione propria di energia
e degli altri fattori, compreso il clima degli ambienti
interni, che influenzano il fabbisogno energetico;
3) «attestato del rendimento energetico di un edificio»:
un documento riconosciuto dallo Stato membro o
da una persona giuridica da esso designata, in cui figura
il valore risultante dal calcolo del rendimento energetico
di un edificio effettuato seguendo una metodologia
sulla base del quadro generale descritto nell’allegato;
4) «cogenerazione (generazione combinata di energia
elettrica e termica)»: la produzione simultanea di
energia meccanica o elettrica e di energia termica a
partire dai combustibili primari nel rispetto di determinati
criteri qualitativi di efficienza energetica;
5) «sistema di condizionamento d’aria»: il complesso
di tutti i componenti necessari per un sistema di
trattamento dell’aria in cui la temperatura è controllata
o può essere abbassata, eventualmente in combinazione
con il controllo della ventilazione, dell’umidità e della
purezza dell’aria;
6) «caldaia»: il complesso bruciatore-focolare che
permette di trasferire all’acqua il calore prodotto dalla
combustione;
7) «potenza nominale utile (espressa in kW)»: la
potenza termica massima specificata e garantita dal
costruttore come potenza che può essere sviluppata all’acqua
in regime di funzionamento continuo rispettando
i rendimenti utili indicati dal costruttore;
8) «pompa di calore»: un dispositivo/impianto che
sottrae calore a bassa temperatura dall’aria, dall’acqua
o dal suolo e lo trasferisce all’impianto di riscaldamento
di un edificio.
Articolo 3
Adozione di una metodologia
Gli Stati membri applicano a livello nazionale e regionale
una metodologia di calcolo del rendimento energetico
degli edifici sulla base del quadro generale di cui
all’allegato. Le parti 1 e 2 di tale quadro sono adeguate al
progresso tecnico secondo la procedura di cui all’articolo
14, paragrafo 2, tenendo conto dei valori o delle norme
applicati nella normativa degli Stati membri.
Tale metodologia è stabilita a livello nazionale o
94 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

egionale.
Il rendimento energetico degli edifici è espresso in
modo trasparente e può indicare il valore delle emissioni
di CO 2.
Articolo 4
Fissazione di requisiti di rendimento energetico
1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per
garantire che siano istituiti requisiti minimi di rendimento
energetico per gli edifici, calcolati in base alla metodologia
di cui all’articolo 3. Nel fissare tali requisiti, gli Stati
membri possono distinguere tra gli edifici già esistenti e
quelli di nuova costruzione, nonché diverse categorie di
edifici. Tali requisiti devono tener conto delle condizioni
generali del clima degli ambienti interni allo scopo di
evitare eventuali effetti negativi quali una ventilazione
inadeguata, nonché delle condizioni locali, dell’uso cui
l’edificio è destinato e della sua età. I requisiti sono riveduti
a scadenze regolari che non dovrebbero superare i cinque
anni e, se necessario, aggiornati in funzione dei progressi
tecnici nel settore dell’edilizia.
2. I requisiti di rendimento energetico sono applicati a
norma degli articoli 5 e 6.
3. Gli Stati membri possono decidere di non istituire
o di non applicare i requisiti di cui al paragrafo 1 per le
seguenti categorie di fabbricati:
- edifici e monumenti ufficialmente protetti come
patrimonio designato o in virtù del loro speciale valore
architettonico o storico, nei casi in cui il rispetto delle
prescrizioni implicherebbe un’alterazione inaccettabile
del loro carattere o aspetto,
- edifici adibiti a luoghi di culto e allo svolgimento
di attività religiose,
- fabbricati temporanei con un tempo di utilizzo
previsto non superiore a due anni, siti industriali, officine
ed edifici agricoli non residenziali a basso fabbisogno
energetico, nonché edifici agricoli non residenziali
utilizzati in un settore disciplinato da un accordo nazionale
settoriale sul rendimento energetico,
- edifici residenziali destinati ad essere utilizzati meno
di quattro mesi all’anno,
- fabbricati indipendenti con una metratura utile totale
inferiore a 50 m 2 .
Articolo 5
Edifici di nuova costruzione
Gli Stati membri provvedono affinché gli edifici di
nuova costruzione soddisfino i requisiti minimi di rendimento
energetico di cui all’articolo 4.
Per gli edifici di nuova costruzione la cui metratura
utile totale supera i 1000 m 2 , gli Stati membri provvedono
affinché la fattibilitàtecnica, ambientale ed economica
di sistemi alternativi quali:
- sistemi di fornitura energetica decentrati basati su
AMBIENTE
SVILUPPO SOSTENIBILE
Legislazione
energie rinnovabili,
- cogenerazione,
- sistemi di riscaldamento e climatizzazione a
distanza (complesso di edifici/condomini), se disponibili,
- pompe di calore, a certe condizioni, sia valutata e
sia tenuta presente prima dell’inizio dei lavori di costruzione.
Articolo 6
Edifici esistenti
Gli Stati membri provvedono affinché, allorché edifici
di metratura totale superiore a 1000 m 2 subiscono ristrutturazioni
importanti, il loro rendimento energetico sia migliorato
al fine di soddisfare i requisiti minimi per quanto
tecnicamente, funzionalmente ed economicamente fattibile.
Gli Stati membri ricavano i requisiti minimi di rendimento
energetico sulla base dei requisiti di rendimento
energetico fissati per gli edifici a norma dell’articolo 4. I
requisiti possono essere fissati per gli edifici ristrutturati
nel loro insieme o per i sistemi o i componenti ristrutturati,
allorché questi rientrano in una ristrutturazione da attuare
in tempi ristretti, con l’obiettivo succitato di migliorare il
rendimento energetico globale dell’edificio.
Articolo 7
Attestato di certificazione energetica
1. Gli Stati membri provvedono a che, in fase di
costruzione, compravendita o locazione di un edificio,
l’attestato di certificazione energetica sia messo
a disposizione del proprietario o che questi lo metta a
disposizione del futuro acquirente o locatario, a seconda
dei casi. La validità dell’attestato è di dieci
anni al massimo.
La certificazione per gli appartamenti di un condominio
può fondarsi:
- su una certificazione comune dell’intero edificio
per i condomini dotati di un impianto termico comune
ovvero
- sulla valutazione di un altro appartamento rappresentativo
dello stesso condominio.
Gli Stati membri possono escludere le categorie di
cui all’articolo 4, paragrafo 3, dall’applicazione del
presente paragrafo.
2. L’attestato di certificazione energetica degli edifici
comprende dati di riferimento, quali i valori vigenti a
norma di legge e i valori riferimento, che consentano ai
consumatori di valutare e raffrontare il rendimento energetico
dell’edificio. L’attestato è corredato di raccomandazioni
per il miglioramento del rendimento energetico
in termini di costi-benefici.
L’obiettivo degli attestati di certificazione è limitato
alla fornitura di informazioni e qualsiasi effetto di
tali attestati in termini di procedimenti giudiziari o di
altra natura sono decisi conformemente alle norme
nazionali. l
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 95

SVILUPPO SOSTENIBILE
Legislazione
3. Gli Stati membri adottano le misure necessarie a
garantire che negli edifici la cui metratura utile totale
supera i 1000 m 2 occupati da autorità pubbliche e da
enti che forniscono servizi pubblici a un ampio numero
di persone e sono pertanto frequentati spesso da tali
persone sia affisso in luogo chiaramente visibile per il
pubblico un attestato di certificazione energetica risalente
a non più di dieci anni prima.
Per i suddetti edifici può essere chiaramente esposta
la gamma delle temperature raccomandate e reali per
gli ambienti interni ed eventualmente le altre grandezze
meteorologiche pertinenti.
Articolo 8
Ispezione delle caldaie
Al fine di ridurre il consumo energetico e i livelli di
emissione di biossido di carbonio, gli Stati membri o:
a) adottano le misure necessarie per prescrivere ispezioni
periodiche delle caldaie alimentate con combustili
liquidi o solidi non rinnovabili con potenza nominale
utile compresa tra i 20 ed i 100 kW. Tali ispezioni
possono essere effettuate anche su caldaie che utilizzano
altri combustibili.
Le caldaie la cui potenza nominale utile è superiore a
100 kW sono ispezionate almeno ogni due anni. Per le
caldaie a gas, questo periodo può essere esteso a quattro
anni.
Per gli impianti termici dotati di caldaie di potenza
nominale utile superiore a 20 kW e di età superiore a
quindici anni, gli Stati membri adottano le misure necessarie
per prescrivere un’ispezione una tantum dell’impianto
termico complessivo. Sulla scorta di tale ispezione,
che include una valutazione del rendimento della
caldaia e del suo dimensionamento rispetto al fabbisogno
termico dell’edificio, gli esperti forniscono alle
utenze una consulenza in merito alla sostituzione della
caldaia, ad altre modifiche dell’impianto termico o a
soluzioni alternative; ovvero
b) adottano provvedimenti atti ad assicurare che sia
fornita alle utenze una consulenza in merito alla sostituzione
delle caldaie, ad altre modifiche dell’impianto
termico o a soluzioni alternative, che possono comprendere
ispezioni intese a valutare l’efficienza e il corretto
dimensionamento della caldaia. L’impatto globale di
tale approccio dovrebbe essere sostanzialmente equipollente
a quello di cui alla lettera a).
Gli Stati membri che si avvalgono di questa formula
presentano alla Commissione, con scadenza biennale,
una relazione sull’equipollenza dell’approccio da essi
adottato.
Articolo 9
Ispezione dei sistemi di condizionamento d’aria
Al fine di ridurre il consumo energetico e le emissioni
di biossido di carbonio, gli Stati membri stabiliscono
AMBIENTE
le misure necessarie affinché i sistemi di condizionamento
d’aria la cui potenza nominale utile è superiore a
12 kW vengano periodicamente ispezionati.
L’ispezione contempla una valutazione dell’efficienza
del sistema di condizionamento d’aria e del suo
dimensionamento rispetto al fabbisogno di condizionamento
dell’edificio. Viene data alle utenze un’opportuna
consulenza in merito ai possibili miglioramenti o
alla sostituzione del sistema di condizionamento ovvero
a soluzioni alternative.
Articolo 10
Esperti indipendenti
Gli Stati membri si assicurano che la certificazione
degli edifici e l’elaborazione delle raccomandazioni che
la corredano nonché l’ispezione delle caldaie e dei sistemi
di condizionamento d’aria vengano effettuate in maniera
indipendente da esperti qualificati e/o riconosciuti,
qualora operino come imprenditori individuali o impiegati
di enti pubblici o di organismi privati.
Articolo 11
Revisione
La Commissione, assistita dal comitato di cui all’articolo
14, valuta la presente direttiva alla luce dell’esperienza
acquisita nel corso della sua applicazione e, se
necessario, presenta proposte concernenti tra l’altro:
a) eventuali misure complementari relative alla ristrutturazione
degli edifici di superficie utile totale inferiore
a 1000 m 2 ;
b) incentivi generali a favore di misure di efficienza
energetica negli edifici.
Articolo 12
Informazione
Gli Stati membri adottano le misure necessarie per
informare gli utilizzatori di edifici sui diversi metodi e
sulle diverse prassi che contribuiscono a migliorare il
rendimento energetico. Su richiesta degli Stati membri,
la Commissione assiste gli Stati membri nella realizzazione
di queste campagne di informazione, che possono
essere oggetto di programmi comunitari.
Articolo 13
Adeguamento del contesto
Le parti 1 e 2 dell’allegato sono rivedute a scadenze
regolari, non inferiori a due anni.
Le eventuali modifiche necessarie per adeguare le
parti 1 e 2 dell’allegato al progresso tecnico sono adottate
secondo la procedura di cui all’articolo 14, paragrafo
2.
Articolo 14
Comitato
1. La Commissione è assistita da un comitato.
2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente
96 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7 della decisione
1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo
8 della stessa.
Il termine di cui all’articolo 5, paragrafo 6, della
decisione 1999/468/CE è fissato a tre mesi.
3. Il comitato adotta il proprio regolamento interno.
Articolo 15
Recepimento
1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative necessarie
per conformarsi alla presente direttiva entro il 4
gennaio 2006. Essi ne informano immediatamente la
Commissione.
Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni,
queste contengono un riferimento alla presente direttiva
o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della
pubblicazione ufficiale.
Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati
membri.
AMBIENTE
SVILUPPO SOSTENIBILE
Legislazione
2. In caso di mancata disponibilità di esperti qualificati
e/o riconosciuti, gli Stati membri dispongono
di un ulteriore periodo di tre anni per applicare integralmente
gli articoli 7, 8 e 9. Se si avvalgono di tale
possibilità, essi ne danno comunicazione alla Commissione,
fornendo le appropriate motivazioni, insieme
ad un calendario per l’ulteriore attuazione della
presente direttiva.
Articolo 16
Entrata in vigore
La presente direttiva entra in vigore il giorno della
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità
europee.
Articolo 17
Destinatari
Gli Stati membri sono i destinatari della presente
direttiva. l
Quadro generale per il calcolo del rendimento energetico degli edifici (articolo 3)
ALLEGATO
1. Il metodo di calcolo del rendimento energetico degli edifici deve comprendere almeno i seguenti aspetti:
a) caratteristiche termiche dell’edificio (murature esterne e divisioni interne, ecc.). Tali caratteristiche possono anche
includere l’ermeticità;
b) impianto di riscaldamento e di produzione di acqua calda, comprese le relative caratteristiche di coibentazione;
c) sistema di condizionamento d’aria;
d) ventilazione;
e) impianto di illuminazione incorporato (principalmente per il settore non residenziale);
f) posizione ed orientamento degli edifici, compreso il clima esterno;
g) sistemi solari passivi e protezione solare;
h) ventilazione naturale;
i) qualità climatica interna, incluso il clima degli ambienti interni progettato.
2. Il calcolo deve tener conto, se del caso, dei vantaggi insiti nelle seguenti opzioni:
a) sistemi solari attivi ed altri impianti di generazione di calore ed elettricità a partire da fonti energetiche
rinnovabili;
b) sistemi di cogenerazione dell’elettricità;
c) sistemi di riscaldamento e condizionamento a distanza (complesso di edifici/condomini);
d) illuminazione naturale.
3. Ai fini del calcolo è necessario classificare adeguatamente gli edifici secondo categorie quali:
a) abitazioni monofamiliari di diverso tipo;
b) condomini (di appartamenti);
c) uffici;
d) strutture scolastiche;
e) ospedali;
f) alberghi e ristoranti;
g) impianti sportivi;
h) esercizi commerciali per la vendita all’ingrosso o al dettaglio;
i) altri tipi di fabbricati impieganti energia.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 97

SVILUPPO SOSTENIBILE
Articolo
AMBIENTE
A Bologna, il risparmio energetico è a scala comunale
a cura di Silvia Zamboni, Presidente Quartiere Reno, Comune di Bologna
Le possibili soluzioni per lo sviluppo ambientalmente sostenibile passano anche attraverso gli enti locali, che possono
assumere decisioni positive dal punto di vista sia della difesa dell’ambiente che delle loro casse economali. Un esempio
arriva dal caso-Bologna.
Nel dicembre 1998, in occasione della Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici tenutasi a Kyoto, il Comune di
Bologna ha ricevuto un premio per l’impegno che si era assunto autonomamente di ridurre entro il 2010 del 6,5 per cento le
emissioni di anidride carbonica (che com’è noto è uno dei cosiddetti gas di serra considerati corresponsabili del fenomeno di
surriscaldamento della superficie terrestre) rispetto ai livelli del 1990.
Un paio di mesi prima, il 20 ottobre 1998, con delibera di Giunta n. 1577, su proposta dell’Agenzia per il risparmio
energetico fondata dal Comune nel 1996, era stato approvato il progetto di sostituzione delle lampade tradizionali a
incandescenza da 100 watt con lampade fluorescenti compatte a basso consumo da 23 watt in circa 100 edifici
comunali, per la quasi totalità asili nido e scuole materne. Obiettivo del progetto era ridurre sensibilmente i consumi di
energia elettrica in un totale di 7600 punti luce, sì da alleggerire, in proporzione, il bilancio di emissioni di anidride
carbonica connesse alla produzione di energia elettrica a carico della città.
Più precisamente, la relazione tecnica firmata dall’allora direttore dell’Agenzia per il risparmio energetico, parlava di un
risparmio nei consumi di elettricità pari a 585.000 kwh/anno (chilowattore per anno), con un risparmio di potenza di punta
pari a 585kW. Tradotto in contenimento delle emissioni di anidride carbonica, il ridotto consumo di elettricità così calcolato
corrisponde a una diminuzione di 380 tonnellate/anno di CO 2 eq (anidride carbonica equivalente).
Ma, come anticipato, la riduzione dei consumi energetici è andata di pari passo con il risparmio sulla bolletta
energetica e sui costi di manutenzione, visto che le lampade fluorescenti hanno una durata dieci volte superiore ai
normali “bulbi” a incandescenza. Questi ultimi, essendo dotati di un filamento sottoposto a elevate temperature, si
usurano più facilmente e, pertanto, vanno cambiati più frequentemente delle lampade fluorescenti compatte.
Considerati tutti questi elementi - riduzione dell’ammontare della bolletta, riduzione dei costi di manutenzione e di
sostituzione - il risparmio totale ottenuto con la sostituzione delle lampadine nei 7600 punti-luce veniva valutato, nella
relazione, pari a 344 milioni di lire all’anno (oltre 177mila euro). Disaggregando i 344 milioni di lire, si vede che:
l 183 milioni sono attribuiti al risparmio nei consumi di energia (a costi 1998);
l 60 milioni di lire all’anno sono attribuiti al risparmio per ridotto impegno di potenza (mobilizzabile - recitava la
relazione - con la revisione dei contratti di fornitura);
l 101 milioni di lire all’anno, infine, restano nelle casse del Comune grazie ai ridotti costi di manutenzione dei
punti-luce.
Va detto, però, che la relazione tecnica partiva da un costo pieno di appalto presunto di 288 milioni di lire (IVA
compresa). Questo dato presunto, raffrontato con i 344 milioni risparmiati all’anno, dava come risultato un ritorno del
capitale investito nell’arco di dieci mesi. In realtà, l’operazione di sostituzione delle lampade nelle scuole è stata
realizzata con una cifra di molto inferiore a quella preventivata; la ditta appaltatrice dell’intervento ha presentato,
infatti, un’offerta al ribasso del 30,75%. E anziché sui 7600 punti-luce calcolati “a tavolino”, si era intervenuti, al 2
luglio 1999, su un totale - pur sempre ragguardevole - di 5839 lampadine sostituite. Ciò ha consentito non solo di
ridurre i tempi di ammortamento precedentemente calcolati sulla carta, ma, più concretamente, di dare corso a un
ulteriore intervento; il residuo derivante dalla differenza fra lo stanziamento per le lampade nelle scuole e il costo di
aggiudicazione dei lavori - 100 milioni 427 mila lire - è stato, infatti, quasi interamente investito per la sostituzione dei
punti-luce nella vetrina per eccellenza del Comune, ovvero Palazzo d’Accursio, sede istituzionale del Sindaco, della Sala
di Giunta, del Consiglio Comunale e uffici vari. Più in dettaglio, con poco più di 98 milioni di lire sono state installate
lampadine a basso consumo nella ex Sala Assessori, nella Sala di Consiglio, nel bar, in uffici e bagni al secondo piano,
nella Sala Azzurra antistante la Sala di Consiglio, in locali operativi della Polizia Municipale e nelle scale.
Da notare che, in alcuni bagni, nel 1997, erano state installate anche delle apparecchiature per il contenimento dei
risparmi idrici, quali riduttori di flusso negli sciacquoni dei WC e miscelatori aria-acqua nelle bocchette dei rubinetti.
Due tipologie di intervento - finalizzate alla riduzione dei consumi elettrici e idrici - che avevano una deliberata e
dichiarata valenza educativa e di sensibilizzazione della popolazione a favore di quelle azioni ambientalmente positive
che non diminuiscono il comfort delle prestazioni, bensì solo i consumi energetici o di risorse naturali. In altre parole,
accanto all’obiettivo diretto di contrarre i consumi e di svolgere un’azione virtuosa di autocontenimento del bilancio
ambientale del Comune, si era inteso perseguire l’obiettivo indiretto dell’esemplarità, mostrando ai cittadini bolognesi,
nei fatti e non solo a parole, che lo sviluppo ambientalmente sostenibile si può fare con interventi semplici, a portata
di consumi quotidiani, in grado, tra le altre cose, di generare un ritorno economico positivo.
98 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE
a cura di Marco Fabrizio, avvocato in Roma
ECOLABEL
Decisione della Commissione
11 febbraio 2003, n. 2003/121/CE
«Decisione (2003/121/CE) della Commissione
dell’11 febbraio 2003 che stabilisce i
criteri ecologici per l’assegnazione del marchio
comunitario di qualità ecologica agli aspirapolvere»
(G.U.C.E. L del 21 febbraio 2003, n. 47)
La decisione reca i criteri di qualità ecologica
validi per l’assegnazione del marchio comunitario
di qualità ecologica ex regolamento (CE)
n. 1980/2000 agli “aspirapolvere”, intendendo
come tali «tutti gli aspirapolvere autonomi,
come gli aspirapolvere a cilindro e verticali,
adatti per aspirare polvere su superfici di
almeno 10 m 2 per ogni utilizzo», eccezion fattasi
degli aspirapolvere senza cavo (cordless)o
a batteria ed esclusi gli impianti centralizzati
di aspirazione per pulizia (art. 2). I criteri dovranno
promuovere la diminuzione del danno
o dei rischi ambientali connessi all’uso dell’energia,
favorendo la riduzione del consumo
energetico; incentivare la riduzione del danno
ambientale connesso all’uso di risorse naturali,
incoraggiando la curabilità, riciclabilità e
possibilità di manutenere un aspirapolvere; favorire
la riduzione del danno o dei rischi ambientali
connessi all’uso di sostanze pericolose,
limitandone l’utilizzo. Per l’effetto, risultano
presi in considerazione il criterio del consumo
energetico e dell’efficienza di rimozione
della polvere, della durabilità del prodotto,
della riciclabilità e riciclaggio dell’apparecchio,
del contenimento del rumore (non oltre
i 76 dBA), della minimizzazione contenimento
delle emissioni di polvere e della bassa resistenza
al movimento della testa aspirante (inferiore
a 25 N). Il prodotto dovrà essere posto
in vendita corredato da un manuale di istruzioni,
corredato dalle modalità d’uso a tutela del-
AMBIENTE
l’ambiente, mentre sul secondo riquadro del
marchio di qualità ecologica dovranno essere
inserite informazioni minime concernenti il livello
di emissioni di polvere e di rumore, il
basso consumo energetico, la maggiore curabilità
e riciclabilità. La nuova disciplina sarà
applicabile dal 1˚ aprile 2003 al 31 marzo
2007, con possibilità di proroga di un ulteriore
anno in ipotesi di assenza, al 31 marzo 2007,
di nuovi criteri aggiornati.
CONTAMINAZIONE RADIOATTIVA
LEGISLAZIONE
In breve
Raccomandazione della Commissione
20 febbraio 2003, n. 2001/120/CE
«Raccomandazione (2001/120/CE) della
Commissione del 20 febbraio 2003 sulla
protezione e l’informazione del pubblico per
quanto riguarda l’esposizione risultante dalla
continua esposizione radioattiva da cesio di
taluni prodotti di raccolta spontanei a seguito
dell’incidente verificatosi nella centrale
nucleare di Chernobyl» (G.U.C.E. L del 21 febbraio
2003, n. 47)
Raccomandazione rivolta agli Stati comunitari
affinché i medesimi adottino disposizioni idonee
per garantire che i livelli massimi consentiti
in termini di cesio-134 e 137, ex regolamento
(CE) n. 737/1990, siano rispettati nella Comunità
in riferimento all’immissione sul mercato
di selvaggina, bacche selvatiche, funghi
selvatici e pesci carnivori da lago, e affinché
gli Stati comunitari informino la popolazione,
nelle regioni in cui esiste un pericolo per taluni
prodotti di superare i livelli massimi consentiti,
del rischio per la salute che ne deriva. La
raccomandazione si rende necessaria a seguito
del lento periodo di dimezzamento fisico
del cesio (pari a circa 30 anni) e ai riscontrati
livelli di questo radionuclide in taluni campioni
dei prodotti sopra indicati, rinvenuti in Ger-
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 99

mania e in alcuni dei Paesi di prossima adesione
alla Comunità europea. La Commissione
auspica, infine, un tempestivo scambio di informazioni
tra Stati e Commissione medesima,
circa i casi registrati di questi beni immessi
sul mercato comunitario ed eccedenti i livelli
massimi consentiti.
ITALIA
LEGISLAZIONE
In breve
SERVIZIO IDRICO INTEGRATO
Ordinanza del Commissario governativo
per l’emergenza idrica in Sardegna
31 dicembre 2002, n. 336
«Definizione forma di gestione e modalità
di affidamento del Servizio idrico integrato
di cui alla legge n. 36 del 5 gennaio
1994, e legge regionale n. 29 del 17 ottobre
1997» (G.U. del 24 febbraio 2003, n. 45)
L’ordinanza prevede come la gestione del Servizio
idrico integrato (SII) di cui all’art. 4, lettera f),
legge n. 36/1994 (”legge Galli”), dovrà essere
affidata, in Sardegna, transitoriamente a un unico
soggetto gestore, costituito in forma societaria
quale aggregazione dei soggetti gestori ivi
esistenti e operanti nell’ambito territoriale ottimale
(ATO) della Regione Sardegna.
SGA. CONTRIBUTI E FINANZIAMENTI
Decreto del Ministero delle Attività
produttive 21 novembre 2002
«Modalità semplificate per l’accesso delle
imprese artigiane alle agevolazioni di
cui all’art. 1, comma 2, del decreto-legge 22
ottobre 1992, n. 415, convertito, con modificazioni,
dalla legge 19 dicembre 1992, n. 488»
(G.U. del 15 febbraio 2003, n. 38)
Il decreto reca le modalità semplificate per
l’accesso delle imprese artigiane agli interventi
di cui all’art. 1, comma 2, D.L. n.
415/1992, convertito, con modifiche, nella
AMBIENTE
legge n. 488/1992. Trattasi delle agevolazioni
destinate alle imprese iscritte all’Albo delle
imprese artigiane di cui alla legge n.
443/1985 e successive attuazioni, e appartenenti
ai settori estrattivo, manifatturiero,
delle costruzioni, della produzione e distribuzione
di energia elettrica, di vapore e acqua
calda e dei servizi, fatti salvi gli eventuali
divieti e/o limitazioni in linea con le disposizioni
comunitarie di settore. Saranno ammissibili
di finanziamento i programmi di
investimento organici e funzionali, promossi
nell’ambito della singola unità produttiva,
da soli sufficienti a conseguire gli obiettivi
economici, produttivi e occupazionali prefissati,
relativi a una spesa complessivamente
ammissibile compresa tra 52.000,00 euro (limite
minimo) e 1.549.370,70 euro (limite
massimo). Inserendosi nella consolidata tendenza
a ritenere premiante lo sviluppo di
sistemi internazionali di certificazione ambientale
conformi alla norma ISO 14001 o al
regolamento comunitario EMAS (regolamento
n. 761/2000), il decreto riconosce come lo
sviluppo di un sistema di gestione ambientale
(SGA) in seno all’impresa richiedente varrà
quale condizione tale da incrementare
del 5% il valore degli indicatori in base ai
quali sarà stilata la graduatoria delle domande
di finanziamento. Al riguardo saranno
calcolati e sommati per ciascun programma
di investimento i valori normalizzati dei due
indicatori relativi al numero degli occupati
attivati dal programma rispetto all’investimento
complessivo, nonché il punteggio
complessivo conseguito dal programma sulla
base di specifiche priorità regionali (art.
9). Ai fini del detto incremento del 5%, l’impresa
dovrà avere già aderito o dovrà dimostrare
di voler aderire allo SGA entro l’esercizio
“a regime” dell’iniziativa da agevolare.
L’azienda dovrà, inoltre, tenere a disposizione
per eventuali controlli e/o ispezioni la
documentazione idonea a comprovare l’avvenuta
adesione ai suddetti sistemi.
Decreto del Ministero delle Attività
produttive 7 febbraio 2003
100 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

«Fissazione del termine iniziale di presentazione
delle domande di agevolazione
di cui al decreto-legge 22 ottobre 1992, n.
415, convertito, con modificazioni, dalla legge
19 dicembre 1992, n. 488, valido per il bando
del 2003 del settore industria» (G.U. del 20
febbraio 2003, n. 42)
Il decreto fissa, alla data di pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale del D.M. medesimo, il termine
iniziale di presentazione delle domande
per l’accesso alle agevolazioni di cui alla legge
n. 488/1992 per il bando del 2003 del settore
“industria” (attività estrattive, manifatturiere,
di produzione e distribuzione di energia elettrica,
vapore e acqua calda, delle costruzioni e
dei servizi reali). Il termine finale sarà determinato
attraverso apposito decreto ministeriale,
emanato affinché non decorrano meno di
trenta giorni dalla pubblicazione del decreto
di approvazione delle relative proposte regionali.
Le domande di finanziamento dovranno avvenire
esclusivamente utilizzando il modulo di
domanda a stampa, in originale, secondo il
fac-simile allegato alla circolare 14 luglio
2000, n. 9000315 e successive modifiche, da
inoltrare alle banche concessionarie convenzionate
con il Ministero delle Attività produttive,
secondo le modalità indicate ai punti 5.2 e
seguenti della citata circolare n. 900315/2000.
Decreto del Ministero delle Attività
produttive 7 febbraio 2003
«Proroga del termine di presentazione da parte
delle banche concessionarie degli accertamenti
istruttori relativi alle domande del bando
della legge n. 488/1992 per il settore industria
dell’anno 2002» (G.U. del 20 febbraio
2003, n. 42)
Il decreto proroga al 21 marzo 2003 il termine
finale (già scaduto il 19 febbraio 2003) per la
presentazione, da parte delle banche al Ministero
delle Attività produttive, degli accertamenti
istruttori relativi alle domande del bando
del “settore industria” per l’anno 2002.
AMBIENTE
TASSE E TARIFFE
LEGISLAZIONE
In breve
D.L. 18 febbraio 2003, n. 25
«Disposizioni urgenti in materia di oneri
generali del sistema elettrico» (G.U. del
19 febbraio 2003, n. 41)
Il decreto ridefinisce gli oneri generali del sistema
elettrico ex art. 3, comma 11, D.Lgs. n.
79/1999, considerando gli stessi come costituiti:
dai costi connessi allo smantellamento delle
centrali elettronucleari dimesse, alla chiusura
del ciclo del combustibile nucleare e alla attività
connesse e conseguenti (nell’ambito delle
quali - si ritiene - dovrebbero essere computati
i costi di gestione e smaltimento delle scorie
nucleari al momento accumulate); dai costi
relativi all’attività di ricerca e sviluppo finalizzata
all’innovazione tecnologica di interesse
generale per il sistema elettrico; dall’applicazione
di condizioni tariffarie favorevoli per le
forniture di energia elettrica previste dalle disposizioni
richiamate dall’art. 2, punto 2.4.,
deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica
e il gas, n. 70/1997, e dal D.M. 19 dicembre
1995; dalla reintegrazione dei maggiori
costi derivanti dalla forzata rilocalizzazione
all’estero delle attività di scarico a terra e dalla
rigassificazione del gas naturale importato
dall’ENEL S.p.A. dalla Nigeria e non recuperabili
a causa della direttiva 96/92/CE. L’art. 3 del
decreto, recante «Criteri per nuove installazioni
e potenziamento di impianti esistenti», introduce,
a sua volta, importanti disposizioni
per quanto riguarda la valutazione di impatto
ambientale relativa ai progetti di nuova installazione
o di modifica o ripotenziamento di
impianti di produzione di energia elettrica di
potenza superiore a 300 Mw termici ex D.L. n.
7/2002, convertito, con modifiche, in legge n.
55/2002. Al riguardo, introducendo una disposizione
di favore per le centrali esistenti, il
decreto afferma espressamente la considerazione
prioritaria dei progetti di ambientalizzazione
delle centrali esistenti in grado di garantire
una riduzione delle emissioni complessive,
nonché dei progetti tali da comportare il riuti-
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 101

LEGISLAZIONE
In breve
lizzo di siti già dotati di infrastrutture di collegamento
alle rete elettrica nazionale, ovvero
in grado di garantire la diversificazione verso
fonti primarie competitive, o, ancora, in grado
di comportare un miglioramento dell’equilibrio
tra domanda e offerta di energia elettrica,
almeno a livello regionale. In questo senso,
da un lato viene prorogato di 90 giorni (decorrenti
dalla data di trasmissione delle eventuali
integrazioni progettuali) il termine per l’espletamento
della VIA ex D.L. n. 7/2002, convertito
in modifiche nella legge n. 55/2002 (anche
per i procedimenti in corso), mentre dall’altro
è rimesso a carico del Gestore della rete di
trasmissione nazionale l’onere di inviare al Ministero
delle Attività produttive un’analisi revisionale
sui flussi di energia e l’assetto della
rete e sull’evoluzione della potenza installata.
Un decreto interministeriale del dicastero delle
Attività produttive e di quello dell’Ambiente
e della tutela del territorio provvederà ad
approvare, periodicamente, l’elenco dei progetti
ritenuti prioritari in base alla disciplina
oggi introdotta.
MODELLO UNICO DI DICHIARAZIONE
AMBIENTALE (MUD)
D.P.C.M. 24 febbraio 2003
«Rettifica del decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri del 24 dicembre
2002, recante approvazione del nuovo modello
unico di dichiarazione» (G.U. del 27 febbraio
2003, n. 48)
Il decreto reca integrazioni al D.P.C.M. 24 dicembre
2002, «Approvazione del nuovo modello
unico di dichiarazione ambientale per
l’anno 2003» (si veda anche il n. 3/2003 di
Ambiente&Sicurezza). In particolare, risultano
inserire al nuovo MUD talune preziose schede
informative, “sfuggite” alla stampa del precedente
decreto. Si legge, tra l’altro, la «Scheda
anagrafica semplificata», da compilare in ipotesi
della produzione di sole tre tipologie di
rifiuti, in riferimento a ciascuna delle quali
potranno sussistere tre diversi trasportatori e
tre diversi destinatari finali del rifiuto (allega-
AMBIENTE
to A, D.P.C.M. 24 febbraio 2003); una nuova
versione della “Scheda anagrafica” (Allegato
B), corredata della scheda CS, relativa ai rifiuti
prodotti dai consorzi di comuni (o associati),
con un nuovo modulo “Gestione”, relativa alle
operazioni di recupero o smaltimento dei
rifiuti; un nuovo modulo “Articolo 13”, relativo
alle operazioni di smaltimento, ovvero a un
deposito, svolte nell’unità locale in base a
un’ordinanza ex art. 13, D.Lgs. n. 22/1997; un
nuovo modulo RST, relativo alle attività di raccolta
di rifiuti urbani svolta da terzi, bipartita
a seconda che si tratta di rifiuti provenienti o
meno dalla raccolta differenziata (Allegato B,
D.P.C.M. in commento). Sono, infine, inserite
talune nuove schede relative a una «Sezione
costi e ricavi servizio RU», dove dovranno essere
riportate tutte le informazioni relative ai
costi di gestione del ciclo sui rifiuti urbani indifferenziati
e sugli oneri di gestione del ciclo
di raccolta differenziata (con i differenti ricavi,
distinti a seconda della provenienza - tassa
o tariffa), a una «Sezione intermediazione e
commercio», dedicata alle informazioni provenienti
dalle attività omonime, e a una «Sezione
imballaggi».
Ulteriori approfondimenti sui prossimi numeri
di Ambiente&Sicurezza.
CONTRIBUTI E FINANZIAMENTI
Decreto del Ministero dell’Economia e
delle Finanze 23 dicembre 2002, n. 44
«Cofinanziamento nazionale del programma
“Protezione delle foreste contro l’inquinamento
atmosferico - Italia 2002” di cui al regolamento
CEE n. 3528/86 e successive modificazioni
ed integrazioni, ai sensi delle legge n.
183/1987» (G.U. del 25 febbraio 2003, n. 46)
Il decreto dispone un finanziamento di
522.083,00 euro, per l’anno 2002, a favore del
Ministero delle Politiche agricole, Corpo forestale
dello Stato, per la realizzazione del programma
per la protezione delle foreste contro
l’inquinamento atmosferico. l
102 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

IL CASO
di Cesare Parodi, Procura della Repubblica di Torino
ABBANDONO
E DEPOSITO DI RIFIUTI
Quali sono le concrete differenze tra le
ipotesi di abbandono, deposito incontrollato,
preliminare e temporaneo di rifiuti? Quali
conseguenze sul piano sanzionatorio possono
derivare dall’essere un “quantitativo” di
rifiuti riconducibile all’una piuttosto che all’altra
categoria?
Certamente il “decreto Ronchi” ha costituito
un momento di chiarificazione sull’annoso
tema della distinzione tra stoccaggio
e deposito temporaneo. Nel precedente sistema,
la Suprema Corte aveva precisato che in
«materia di smaltimento dei rifiuti, di cui al
D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, per stoccaggio
provvisorio deve intendersi la raccolta e
l’immagazzinamento dei rifiuti in attesa della
loro eliminazione sia che il detto immagazzinamento
avvenga nei luoghi di produzione
sia che esso venga effettuato altrove; conseguentemente
solo nell’ipotesi di rifiuti trattenuti
in attesa del loro ritiro da parte di ditte
specializzate - ritiro frequente e, comunque, a
scadenze molto ravvicinate - poteva escludersi
che la detenzione dei rifiuti per brevissimi
periodi potesse integrare lo stoccaggio provvisorio.
Proprio per questa caratteristica lo
“stoccaggio provvisorio” differiva dall’“accumulo
temporaneo”, ritenuto il risultato
finale della “produzione” del rifiuto stesso,
precariamente ammassato, sotto il diretto controllo
del produttore, in attesa di smaltimento,
mentre lo “stoccaggio provvisorio” si qualificava
per il carattere non precario dell’ammasso,
non più direttamente controllato dal
produttore (quale fase finale del ciclo) e oggettivamente
destinato alle ulteriori fasi di
smaltimento contemplate nell’art. 16 del
D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915» [1] .
La piena comprensione del problema impone
AMBIENTE
LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
un approfondimento sul concetto di
“abbandono” e di “deposito incontrollato”; il
primo è identificabile nel comportamento di
chi si disfi definitivamente di rifiuti depositandoli
sul suolo, in modo occasionale e in misura
limitata, ossia senza quelle caratteristiche
quantitative o di sistematicità che connotano
l’esistenza di una discarica.
Nel secondo caso, atteso che per “deposito”
in generale deve intendersi un’attività
“temporanea”, tendenzialmente continuativa,
di collocazione di materiali destinati comunque
a una successiva movimentazione (e
in questo senso sono riconducibili, seppur in
termini differenti, le ipotesi sopra descritte di
deposito temporaneo, deposito preliminare e
messa in riserva), resta da comprendere, per
altro, in cosa il deposito incontrollato si differenzi
da un lato dall’abbandono e dall’altro
da queste attività.
Certamente, l’uso del termine “deposito” presuppone
che il proprietario non intenda
“liberarsi” definitivamente della sostanza,
che permane, quindi, nella sua - seppure indiretta
- sfera economica, in attesa di una successiva
differente destinazione; quel che pare certo
è che questo deposito viene a verificarsi al
di fuori della diretta sfera di controllo
“tecnico-aziendale” del soggetto che lo pone
in essere, in circostanze tali per cui non può
non presumersi una situazione di concreto e
attuale “rischio” per l’ambiente.
In relazione al sistema previsto dal D.P.R. n.
915/1982 [2] (art. 9: «è vietato (...) il deposito
incontrollato dei rifiuti in aree pubbliche e
provate soggette ad uso pubblico»), in assenza
di una espressa definizione, si era sostenuto
che il deposito incontrollato dovesse ritenersi
quello realizzato al di fuori o in contrasto
con le previsioni di natura tecnica del decreto
o, comunque, quello che avviene al di
fuori dei momenti di controllo e regolamentazione
dell’attività prevista dal decreto stesso
(ossia quello “non autorizzato”); si tratta di
[1] Sentenza CED 206388.
[2] «Attuazione delle direttive (CEE) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei
policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi» (in Gazzetta Ufficiale del 15 dicembre 1982, n. 343).
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 103

LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
soluzioni non accettabili, che portano a confondere
il deposito incontrollato con quello
tout court “abusivo”, laddove, al contrario,
tale deve ritenersi quello realizzato al di fuori
dei casi in cui la legge consente che possa
essere effettuato un ammasso provvisorio di
rifiuti, sia pure subordinato al controllo della
pubblica amministrazione (ossia non autorizzabile,
quale, ad esempio, il deposito di qualsiasi
tipologia di rifiuti effettuato da un titolare
di ente o impresa, su area pubblica o privata
soggetta ad uso pubblico).
Questo principio deve ritenersi applicabile anche
al sistema introdotto dal D.Lgs. n.
22/1997, fermo restando che anche al privato
attualmente non è più consentito un ammasso
provvisorio dei propri rifiuti.
In relazione ai titolari di enti o imprese risulta
che:
l l’accumulo di rifiuti prodotti da terzi destinati
allo smaltimento/recupero deve essere autorizzato
(e quindi è sanzionato ex art. 51
laddove sia carente l’autorizzazione);
l l’accumulo dei propri rifiuti all’interno dello
stabilimento/luogo di produzione - a determinate
condizioni - costituisce deposito temporaneo;
l l’accumulo dei propri rifiuti su area esterna
allo stabilimento di produzione - non autorizzabile
- costituisce deposito incontrollato.
In questo senso occorre solo chiarire se - laddove
il deposito all’interno del luogo di produzione
avvenga in spregio delle condizioni previste
dall’art. 6 - sia applicabile la fattispecie di
cui all’art. 51, comma 1, D.Lgs. n. 22/1997,
quale attività “non autorizzata”, o piuttosto il
reato di cui all’art. 51, comma 2, seconda ipotesi,
sul presupposto che non sarebbe assogettabile
al regime delle autorizzazioni allo smaltimento
rifiuti una fase certamente prodromica
rispetto alla vera e propria attività di smaltimento,
ossia antecedente rispetto all’attività
di gestione; fase che troverebbe la sua sanzione
nel divieto di “deposito incontrollato”.
Nell’attuale sistema, in particolare, lo stoccaggio,
inteso come deposito preliminare e messa
in riserva, è stato definito la fase iniziale ricompresa
in una delle operazioni di smaltimento
o di recupero e, come tale, rientrante
tra le attività di gestione dei rifiuti per le quali
sono necessari, in via di principio, i provvedimenti
autorizzatori previsti dagli artt. 27 e 28
del “Ronchi”; al contrario, il deposito temporaneo
presso il produttore non solo non può
AMBIENTE
essere considerato come stoccaggio - in forza
di quanto disposto dagli allegati al D.Lgs. n.
22/1997 - ma, in quanto operazione precedente
alla raccolta del rifiuto, non rientrerebbe
neanche tra le attività di gestione (rispettivamente
di smaltimento o di recupero).
La distinzione tra tali due differenti “realtà”
è, ovviamente, fondamentale per valutare
l’applicabilità o meno di una sanzione penale.
La massima chiarezza espressiva è condizione
di “effettività” di applicazione della norma.
Se, in realtà, può essere relativamente semplice
a livello teorico distinguere tra le varie ipotesi,
riconducendo i casi astratti all’una piuttosto
che all’altra, l’applicazione della disciplina
di settore risulta in concreto ardua per chi - sul
territorio, a fronte di un cumulo di rifiuti nel
cortile di un’azienda - deve valutarne natura,
entità, destinazione per poter correttamente
trarne le conseguenze di legge (ed eventualmente
ravvisare fatti penalmente rilevanti).
L’interprete deve, in effetti, valutare non soltanto
la precisa natura del rifiuto (in base all’accertamento
del ciclo produttivo di provenienza
e, se necessario, anche attraverso idonei
campionamenti e analisi, ove sorgano dubbi
sulla effettiva composizione delle sostanza
in oggetto), ma altresì ovviamente la quantità
di rifiuti presenti, il volume effettivo dei rifiuti
nonché i tempi di “permanenza” e di smaltimento
dei rifiuti medesimi.
Prevedendo all’art. 6, lettera m), D.Lgs. n.
22/1997, una serie di requisiti di quantità, tipologia
e tempo di sosta dei rifiuti, presso lo
stesso produttore, quali presupposti del deposito
temporaneo, il Legislatore introduce una
deroga al regime generale, che esclude il deposito
temporaneo sia dalle operazioni di
smaltimento sia da quelle di recupero; in questo
modo, non è necessaria l’autorizzazione di
cui all’art. 28, comma 5, D.Lgs. n. 22/1997, se il
deposito in esame è effettuato nel rispetto
dei requisiti stabiliti dal citato art. 6, comma 1,
lettera m) (restano, in effetti, prescritti solo il
divieto di miscelazione di cui all’art. 9 e la
tenuta di un registro di carico e scarico, prevista
dall’art. 12 dello stesso decreto).
Al contrario, tutti i depositi temporanei attivati
senza il rispetto dei medesimi requisiti, devono
sottostare non solo all’obbligo autorizzatorio
ex art. 28 (relativo all’esercizio delle operazioni,
rispettivamente di smaltimento o di recupero),
ma anche a quello previsto dall’art.
104 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

27 (approvazione del progetto dell’impianto).
Pertanto potranno esservi depositi temporanei
(presso l’azienda produttrice) di rifiuti pericolosi
esonerati in caso di rispetto delle condizioni
di cui all’art. 6 dall’obbligo di autorizzazione,
laddove il sistema del D.P.R. n.
915/1982, non prevedeva, per corrispondenti
rifiuti tossico-nocivi, questa necessità.
Allo stesso modo, se il deposito temporaneo
investe i rifiuti speciali del proprietario (ed è
sito nell’area di produzione) e non rispetta le
condizioni prescritte, lo stesso sarà, in linea di
principio, sottoposto alla procedura di assenso
di cui agli artt. 27 e 28, mentre nel regime
del D.P.R. n. 915/1982 era escluso dall’obbligo
autorizzatorio.
La logica della nuova disciplina - in parte contrastante
con il regime del D.P.R. n. 915/1982,
e con le indicazioni comunitarie - viene così a
essere, di fatto, permissiva per il deposito temporaneo
di rifiuti pericolosi e rigorosa per
quella dei rifiuti speciali. In questo senso, il
citato D.P.R. (agli artt. 6 e 16), prevedeva l’obbligo
di autorizzazione da parte delle regioni,
per ciascuna delle fasi di smaltimento (tra cui
lo stoccaggio); in particolare, la delibera interministeriale
27 luglio 1984, definiva espressamente
lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti tossici
e nocivi, quale ammasso in funzione del
previsto smaltimento degli stessi mediante
trattamento e/o stoccaggio definitivo (punto
4.l.). Pertanto, anche il deposito dei rifiuti tossici
e nocivi effettuato nel luogo di produzione,
in attesa dello smaltimento finale, veniva
considerato stoccaggio provvisorio e come tale
soggetto ad autorizzazione ex art. 16,
D.P.R. citato. Situazione, quest’ultima, che pare
non riproponibile in via integrale, non essendo
prevista alcune forma di autorizzazione
per un deposito temporaneo anche di rifiuti
pericolosi.
Anche in assenza di un’indicazione espressa
nel “decreto Ronchi”, nel caso in cui le condizioni
dell’art. 6, lettera m), D.Lgs. n. 22/1997,
non vengano rispettate, pare ragionevole ritenere
che debba considerarsi sussistente l’obbligo
di autorizzazione in capo al produttore, ai
sensi degli artt. 27 e 28; in questi casi, è neces-
AMBIENTE
[3] Cass., sez. III, 10 agosto 2001, n. 31128, CED 220104.
[4] Cass., sez. III, 20 ottobre 1999, n. 11951, CED 215520.
LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI
sario equiparare il deposito temporaneo allo
stoccaggio, come se si trattasse della fase connessa
allo smaltimento (deposito preliminare)
o al recupero (messa in riserva).
Il fatto che l’assenza delle condizioni previste
dall’art. 6, comma 1, lettera m), D.Lgs. n.
22/1997, porti al riconoscimento di un comportamento
penalmente rilevante - atteso che la
prospettazione del deposito come “temporaneo”
pare logicamente incompatibile con
una preventiva richiesta di autorizzazione - è
stato ribadito dalla Cassazione, secondo la
quale «in tema di gestione dei rifiuti, nell’ipotesi
di inosservanza delle condizioni e prescrizioni
regolanti il deposito temporaneo si configura
il reato previsto dal comma secondo dell’art.
51 dello stesso decreto, che sanziona,
con riferimento all’art. 14, l’abbandono ed il
deposito incontrollato di rifiuti, quale norma
residuale rispetto alle ipotesi tipiche previste
dallo stesso decreto n. 22» [3] .
Sul tema, si sottolinea, altresì, che interessanti
indicazione sull’individuazione dei soggetti
ai quali possono essere riferite le responsabilità
in ordine ai fatti sopra descritti
sono state fornite dalla Suprema Corte. In
questo senso, la Cassazione ha precisato che
la norma di cui all’art. 51, comma 2, D.Lgs. n.
22/1997, che pone «a carico del titolare dell’impresa
e del responsabile dell’ente l’obbligo
del rispetto delle condizioni del deposito
temporaneo dei propri rifiuti presso lo stabilimento
di produzione, non prevede un reato
proprio, considerata la regola della delegabilità
della responsabilità penale in materia
ambientale e l’ipotizzabilità del concorso
nel reato, ma definisce l’ambito della responsabilità
per l’applicazione della normativa,
facendolo coincidere con l’attività di produzione
di beni e servizi organizzata sotto forma
di impresa, individuale o societaria o gestita
in via istituzionale; ciò in quanto il sistema
della responsabilità penale risultante dall’adozione
dei vari criteri integrati, che coprono
l’intero campo del concorso nel reato,
risulta ispirato ai principi di concretezza e di
effettività, col rifiuto di qualsiasi soluzione
puramente formale ed astratta» [4] . l
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 105

GIURISPRUDENZA
Massime
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
a cura di Alessandro Jazzetti, magistrato e Maria Melizzi, consulente legale
EMISSIONI ELETTROMAGNETICHE NOCIVE
PER LA SALUTE PUBBLICA
Cassazione penale, sez. I, 14 giugno 2002
(ud. 14 marzo 2002), n. 1103
Protezione dalle esposizioni a campi elettrici,
magnetici ed elettromagnetici - Tetti
di radiofrequenza compatibili con la salute
umana - Getto pericoloso di cose - Reato
di pericolo - Sequestro preventivo
Il reato di cui all’articolo 674 del codice penale è
un reato di mero pericolo, per cui non è necessario
che l’emissione di energia derivante dalla
propagazione di onde elettromagnetiche provochi
un effettivo nocumento, essendo, invece, sufficiente
la sua attitudine ad offendere o molestare
beni primari delle persone, quale è quello,
costituzionalmente garantito (articolo 32, comma
1, della Costituzione) della salute.
Nota
La Corte di Cassazione ha ribadito la propria
costante giurisprudenza nell’esaminare il ricorso,
proposto dal legale rappresentante di una
società operante nel ramo delle telecomunicazioni,
contro l’ordinanza che confermava il decreto
di sequestro preventivo di apparecchiature
di ripetizione radiotelevisiva, collocate all’interno
di un centro abitato, disposto in seguito
all’accertato superamento dei limiti massimi
di cui al D.M. 10 settembre 1998, n. 381
(«Regolamento recante norme per la determinazione
dei tetti di radiofrequenza compatibili
con la salute umana»).
Il ricorrente era indagato per i reati di cui agli
articoli 674 («emissione di energia elettromagnetica
atta ad arrecare pericolo per la salute
pubblica da parte degli apparecchi di ripetizione
radiotelevisiva») e 650 («inottemperanza
all’ordinanza, emessa per ragioni di salute
pubblica, del sindaco del comune interessato
che ordinava la disattivazione dei su citati impianti»)
del codice penale.
La stessa Corte di Cassazione ha affermato, in
diverse pronunce (sentenza del 29 novembre
1999, n. 5592; sentenza del 1˚ marzo 2002, n.
5626 ), che «tra le cose mobili di cui è menzione
AMBIENTE
nell’articolo 674 c.p., debbono farsi rientrare anche
i campi elettromagnetici, il propagarsi delle
cui onde è riconducibile alla nozione di gettare
che costituisce una delle condotte previste nella
norma stessa», e che «il concreto pericolo di
nocività delle emissioni derivanti dalle onde elettromagnetiche
deve ritenersi sussistente per il
solo fatto che siano stati superati i limiti fissati
dalla specifica normativa vigente in materia»
(sentenza del 12 marzo 2002, n. 391).
La Suprema Corte ha ritenuto, dunque, di confermare
la giurisprudenza maggioritaria, relativamente
alla possibilità di realizzazione della
condotta materiale del reato di cui all’articolo
674 c.p., mediante l’emissione di onde cagionate
da campi elettromagnetici generati da apparecchiature
di ripetizione radiotelevisiva.
Il fatto che l’esposizione a determinati livelli di
campi elettromagnetici possa costituire un pericolo
per le persone - a prescindere dallo stato
attuale della scienza, che in ordine alla nocività
delle onde elettromagnetiche non ne ha ancora
precisato l’entità, ma neppure ne ha esclusa la
possibilità di produzione di effetti dannosi per
la salute - è un concetto di cui si è appropriato il
legislatore italiano, che con la legge 22 febbraio
2001, n. 36 («Legge quadro sulla protezione dalle
esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici»;
si veda anche il Supplemento n.
3/2001 di Ambiente&Sicurezza) ha inteso espressamente
«assicurare la tutela della salute dei
lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione
dagli effetti dell’esposizione a determinati livelli
di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici»,
riconoscendo l’esistenza di un pericolo derivante
dalla soggezione delle persone ai campi
elettromagnetici con conseguente determinazione
dei livelli, stabiliti dalla normativa secondaria,
il cui superamento pone una presunzione
ex lege in ordine all’effettività del pericolo in
questione.
Alla luce dei suddetti principi, quindi, per il caso
in questione, la Cassazione ha concluso che il
pericolo di nocività per la salute dei lavoratori e
della popolazione interessati deve ritenersi sussistente
per il solo fatto che sono stati superati i
limiti fissati dalla normativa vigente in materia;
di conseguenza, il Giudice ha ritenuto sussistere
astrattamente, come richiestogli dalla legge processuale
in tema di sequestro preventivo, la fattispecie
di reato di cui all’articolo 674, c.p. l
106 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

LINEE GUIDA
PER LE MISURE DI CONCENTRAZIONE DI RADON
IN ARIA NEI LUOGHI DI LAVORO SOTTERRANEI
A cura del
Coordinamento delle Regioni
e delle Province autonome di Trento e Bolzano
Le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. 26 maggio 2000, n. 241 al
D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230 in materia di radiazioni ionizzanti comportano
l’introduzione della tutela dei lavoratori nei confronti dei rischi da esposizione
a sorgenti di radiazioni naturali; le attività lavorative considerate sono:
l quelle durante le quali i lavoratori ed, eventualmente, le persone del
pubblico, sono esposte a prodotti di decadimento del radon e del toron, o
radiazioni gamma od ogni altra esposizione in particolari luoghi di lavoro
quali tunnel, sottovie, catacombe, grotte e, comunque, in tutti i luoghi di
lavoro sotterranei, oppure in superficie in zone ben individuate o in
luoghi di lavoro con caratteristiche determinate;
l quelle che implicano l’uso o lo stoccaggio di materiali abitualmente non
considerati radioattivi ma che contengono radionuclidi naturali, o che
comportano la produzione di residui abitualmente non considerati radioattivi
ma che contengono radionuclidi naturali, e che provocano un aumento
significativo dell’esposizione dei lavoratori e/o di persone del pubblico;
l quelle in stabilimenti termali o quelle connesse ad attività estrattive
non disciplinate dal Capo IV;
l quelle su aerei, per quanto riguarda il personale navigante.
Il D.Lgs. n. 241/2000 prevedeva, inoltre, l’attivazione, nell’ambito della
“Commissione tecnica per la sicurezza nucleare e la protezione sanitaria”
già istituita presso l’ANPA, di una apposita “Sezione speciale per le esposizioni
a sorgenti naturali di radiazioni”, cui sono stati assegnati una serie di
compiti, il primo dei quali consiste nell’elaborare linee-guida sulle metodologie
e tecniche di misura più appropriate per le misurazioni di radon in
aria e sulle valutazioni delle relative esposizioni. Data la mancata istituzione
della “Sezione speciale” e la mancata elaborazione delle linee guida
ministeriali, il gruppo di lavoro tecnico, composto dalle Regioni Emilia-Romagna,
Lombardia, Toscana, Umbria e Veneto, e coordinato dalla Regione
Lombardia, ha predisposto le linee guida contenute nel presente documento,
che comprendono:
l la definizione di luogo di lavoro sotterraneo ed i criteri generali per
l’impostazione delle misure di radon;
l i metodi di misura delle concentrazioni di radon;
l i requisiti minimi degli organismi che effettuano le misure.
Contributi a cura di:
Versione definitiva approvata il 6 febbraio 2003
Gruppo di lavoro:
Paola Angelini Regione Emilia-Romagna
Anna Anversa Regione Lombardia
Giovanni Benzoni Regione Veneto
Rita Borio Regione Umbria
Silvia Bucci ARPA Toscana
Elisabetta Catani Regione Toscana
Maria Teresa Cazzaniga ARPA Lombardia
Laura Gaidolfi ARPA Emilia-Romagna
Alba Rongoni Università di Perugia
Flavio Trotti ARPA Veneto
l Elio Giroletti e Alberta Leonarda Vergine

SOSTANZE PERICOLOSE
Commento
di Elio Giroletti, esperto qualificato e ricercatore, Dipartimento Fisica Nucleare e Teorica, Università di
Pavia e Alberta Leonarda Vergine, docente di Diritto penale dell’ambiente, Università di Pavia
Il decreto legislativo n.
230/1995, così come modificato
dai D.Lgs. n. 241/2000 e n.
257/2001, prevede la misurazione
della concentrazione media
di radon in aria negli ambienti
di lavoro sotterranei. In attesa
che il Ministero competente nomini,
ai sensi del combinato disposto
degli artt. 9 e 10-septies
del citato D.Lgs. n. 230/1995, la
Commissione Ministeriale (che
avrebbe dovuto essere nominata
entro il 28 febbraio 2001) e la
Sezione Speciale della suddetta,
che avrebbe dovuto redigere
(entro il 1˚ marzo 2002) le linee
guida da seguire nelle misurazioni
stesse, il Coordinamento
delle Regioni italiane e delle Province
autonome di Trento e Bolzano
ha redatto una propria
proposta di linee guida.
L’iniziativa è particolarmente apprezzabile,
oltre che per la qualità
del lavoro svolto, anche in
quanto le misurazioni coinvolgono
diverse tipologie di luoghi di
lavoro.
INSERTO
I luoghi coinvolti sono gli esercizi commerciali, i ristoranti, le banche, gli ospedali, i parcheggi, le metropolitane
Misurazione di radon negli ambienti so te ranei:
le nuove Linee Guida del Coordinamento de le Regioni
Il radon è un gas radioattivo classificato,
insieme ai suoi prodotti di
decadimento, come agente al massimo
livello di cancerogenicità (gruppo
1) dall’Agenzia Internazionale per
la Ricerca sul Cancro, IARC: l’esposizione
a questo gas radioattivo naturale,
presente in special modo nei luoghi
chiusi, è considerata la seconda
causa del cancro polmonare dopo il
fumo di sigaretta.
Il problema dell’esposizione al
radon della popolazione italiana è
tutt’altro che trascurabile e la sua
importanza e problematicità sono
state ancora recentemente poste in
evidenza anche nel documento Linee-guida
per la tutela e la promozione
della salute negli ambienti
confinanti emanato dal Ministero
della Salute e dalla Conferenza Permanente
Stato, Regioni e Province
Autonome di Trento e Bolzano (in
S.O. n. 276 alla Gazzetta Ufficiale
del 27 novembre 2001), ove si afferma
che «come evidenziato nel Piano
Sanitario Nazionale 1998-2000,
il 5-20% dei casi di neoplasia polmonare
osservati nella popolazione
italiana è attribuibile all’esposizione
a radon, il che corrisponde a
circa 1500-6000 casi all’anno. Una
gran parte di questi tumori colpisce
probabilmente i fumatori, a causa
dell’effetto sinergico tra radon e fumo
(...). In Italia, l’esposizione della
popolazione è stata valutata tramite
un’indagine nazionale (...) su
un campione di oltre 5000 abitazioni.
L’indagine ha permesso di stimare
la distribuzione della concentra-
zione di radon nelle abitazioni: il
valore medio è risultato di 70-75
Bq/m 3 , a cui corrisponde, secondo
una stima preliminare, un rischio
individuale sull’intera vita dell’ordine
di 0,5%. In circa l’1% di abitazioni
è stata misurata una concentrazione
di radon superiore a 400
Bq/m 3 e in circa il 4% di esse (800
mila) la concentrazione è risultata
superiore a 200 Bq/m 3 ».
Mentre negli altri paesi europei il
problema del radon negli ambienti
domestici è stato ampiamente affrontato
(e regolamentato sotto i
suoi molteplici aspetti), in Italia si è
provveduto a disciplinare unicamente
l’esposizione alle radiazioni ionizzanti
naturali negli ambienti di lavoro
(Capo III-bis del D.Lgs. n.
230/1995, così come modificato dai
D.Lgs. n. 241/2000 e n. 257/2001).
In tale nuovo Capo III-bis si prevede
che per l’effettuazione di misurazioni
previste (le cui scadenze per
l’esercente delle attività sono indicate
in tabella 1) debbano essere seguite
le linee guida emanate da una
apposita Sezione speciale della
Commissione Ministeriale di cui all’art.
9 dello stesso decreto che
avrebbe dovuta essere costituita ormai
due anni fa. Ad oggi né la Commissione,
né, tanto più, la Sezione
Speciale sono state nominate, insediate
e rese operative.
Tuttavia, le scadenze per l’effettuazione
di dette misurazioni da parte degli
esercenti si avvicinano, e nel ragionevole
dubbio - stante l’irragionevolezza
che spesso caratterizza l’applica-
II www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

zione dei disposti normativi - che esse
possano comunque venire considerate
vincolanti pur se mancano le indicazioni
da seguire per realizzarle, il Coordinamento
delle Regioni e delle Province
autonome ha ritenuto opportuno
redigere una propria proposta di Linee
guida per le misure di concentrazione
di radon in aria nei luoghi di lavoro
sotterranei in quanto - sono parole
testuali della Premessa alle stesse - «il
mancato insediamento della Commissione
tecnica (...) e quindi l’assenza di
linee guida sulle metodologie e tecniche
di misura più appropriate per le
misurazioni del radon in aria, lascia
nell’incertezza sia gli esercenti delle
attività interessate che gli organismi
in grado di effettuare le misure di radon.
A fare fronte a tale inadempienza
da parte delle istituzioni centrali, le
Regioni si sono attivate e il Coordinamento
Interregionale per la prevenzione
ha promosso la costituzione di una
specifico gruppo di lavoro tecnico per
l’elaborazione di linee guida (...) che,
in attesa di quelle emanate secondo le
procedure previste dalla normativa,
possano costituire un valido riferimento
per gli esercenti, gli organismi di
misura e gli organi di vigilanza».
Prima di procedere alla loro illustrazione,
è utile proporre un rapido
quadro riassuntivo degli obblighi di
legge in materia di esposizione alle
radiazioni ionizzanti di origine naturale
nei luoghi di lavoro - già anticipati,
non appena pubblicato il decreto
di modifica del D.Lgs. n. 230
che li ha previsti, in questa rivista
nel numero n. 18/2000 - ricordando
come sia rilevante il numero di luoghi
di lavoro in cui si dovranno effettuare
delle valutazioni e dove,
qualora ne ricorrano gli estremi, si
dovranno adottare provvedimenti
migliorativi.
INSERTO
Esposizione a sorgenti
radioattive naturali
Ai sensi del Capo III-bis e dell’allegato
I-bis del D.Lgs. n. 230/1995, le
esposizioni lavorative (dalle quali, si
ribadisce, a tutt’oggi sono escluse le
abitazioni civili) a sorgenti naturali di
radiazioni ionizzanti riguardano:
a) l’esposizione a radiazioni naturali,
quali radon e toron e radiazioni
gamma, nei seguenti ambienti di lavoro:
tunnel, sottovie, catacombe, grotte
e, comunque, in tutti i luoghi sotterranei
(interrati, fogne, metropolitane);
b) esposizione a radiazioni naturali,
quali radon e toron e radiazioni
gamma, negli ambienti di lavoro, a
partire da seminterrati e piano terreno,
siti in aree a rischio individuate, entro
5 anni dalla pubblicazione del decreto,
dalle regioni e province autonome;
c) l’impiego o il trattamento di materiali
abitualmente non considerati radioattivi,
ma che contengono radioisotopi
naturali in quantità non trascurabile,
quali: industria dei fertilizzanti, che
utilizza minerali fosfatici, e i depositi
per il commercio all’ingrosso; lavorazione
di minerali nell’estrazione di:
stagno, ferro-niobio da pirocloro e alluminio
e bauxite; lavorazione di sabbie
zirconifere e produzione di materiali
refrattari, produzione di smalti e
piastrelle; lavorazione di terre rare; lavorazione
ed impiego di composti del
torio, per elettrodi di saldatura con torio,
produzione di vetri (industria ottica)
e reticelle per lampade a gas; produzione
di pigmento di biossido di
titanio; estrazione e raffinazione del
petrolio ed estrazione di gas: presenza
e rimozione di fanghi e incrostazioni
in tubazioni e contenitori;
d) le attività svolte in stabilimenti
termali e attività estrattive (di materiali
non propriamente considerati
radioattivi);
e) le attività che si svolgono nel
SOSTANZE PERICOLOSE
Commento
settore aeronautico per il personale navigante
(a quote superiori a 8000 m).
La differenza sostanziale tra le diverse
tipologie di attività, definite
“pratiche”, come si è già avuto modo
di evidenziare [1] , «mentre le prime -
lett. a) e b) -, insieme a quelle indicate
alla lett. e), riguardano, seppur in
forma diversa, l’esposizione al radon,
toron e radiazioni gamma negli ambienti
confinati, le seconde regolamentano
l’esposizione alle radiazioni
emesse da isotopi radioattivi naturali
presenti nei materiali oggetto dell’attività
lavorativa».
Esposizione al radon
negli ambienti interni
Gli esercenti attività che comportano
esposizione di lavoratori a radon
indoor ed indicate dalle precedenti
lett. a) e b), devono:
1. effettuare una campagna di misure,
comprovata dalla stesura di
una relazione, che valuti, seguendo
specifiche linee guida, il livello di
concentrazione ambientale medio
annuale di radon in aria, confrontandolo
con il livello di azione (definito
nell’allegato I-bis), 500 Bq [2] /m 3 ;
2. se il valore medio annuale di
concentrazione è inferiore all’80%
del livello di azione, 400 Bq/m 3 ,il
rischio è considerato contenuto ed il
compito dell’esercente è terminato,
salvo prevedere una rivalutazione
qualora variassero le condizioni di
lavoro, come ad es. sistemi di aspirazione
o condizionamento, presenza
di persone, ecc.
3. se la concentrazione è compresa
tra l’80% e il 100% del livello di
azione: occorre ripetere la valutazione
l’anno successivo;
4. se la concentrazione è superiore
al livello di azione, l’esercente
deve:
l spedire entro un mese, la relazio-
[1] Alberta Leonarda Vergine, Elio Giroletti, Radiazioni ionizzanti: protezione della popolazione, dei lavoratori e dei pazienti,
Napoli, 2003, pag. 141.
[2] Il becquerel, Bq, è l’unità di misura dell’attività (quantità) di materiale radioattivo presente: 1 Bq = 1 disintegrazione/secondo.
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com III

SOSTANZE PERICOLOSE
Commento
ne a: ARPA, AzSL e Direzione Provinciale
del Lavoro;
l avvalersi dell’esperto qualificato
[3] per progettare interventi migliorativi
e realizzarli entro tre anni ovvero
con urgenza se il livello è alto,
tenendo conto del principio di ottimizzazione
e, comunque, per mantenersi
al di sotto del livello di indagine.
Con esclusione di asili e scuole,
gli interventi possono non essere realizzati
se la dose assorbita dai lavoratori
è inferiore a 3 mSv/anno [4] .
Al termine degli interventi migliorativi,
l’esercente richiede la valutazione
all’esperto qualificato per
verificare nuovamente:
l se i valori sono nella norma, gli
obiettivi si intendono raggiunti (precedenti
punti 2 e 3), ferma restando
la ripetizione delle misure qualora
variassero le condizioni di lavoro;
l se la dose permane maggiore di 3
mSv/anno, essendo considerato livello
di rischio non trascurabile per
i lavoratori, l’esercente deve garantire
la radioprotezione dei lavoratori
prevista dal capo VIII del D.Lgs. n.
230/1995 (salvo alcune eccezioni
per una più ampia trattazione) [5] .
Le scadenze per
la misurazione del radon
I tempi a disposizione dell’esercente
sono relativamente ampi (si
veda la tabella 1); per l’effettuazione
delle misure sono concessi 24
mesi, a partire dall’inizio delle attività,
e ulteriori tre anni per gli interventi
migliorativi, a meno che il livello
non sia alto - ma quanto alto,
non è dato sapere, in quanto il legislatore
non ritiene di precisarlo - nel
qual caso occorrerà intervenire con
INSERTO
urgenza. In prima applicazione,
l’esercente avrebbe dovuto iniziare
la campagna annuale di misure entro
18 mesi dalla pubblicazione del
decreto, ciò per dare tempo alla apposita
Commissione (ex art. 10-septies)
di emanare le linee guida sulle
metodologie e tecniche di misura
più appropriate. Il termine è scaduto,
la Commissione non è stata nemmeno
costituita.
Inevitabile domandarsi se l’obbligo
di misurare sussista comunque,
anche in assenza delle linee guida e,
soprattutto, se sia assistito da sanzione
penale il suo mancato rispetto. Il
penalista non può che rispondere negativamente.
Lo impone il necessario
rispetto del principio di legalità
sub specie principio di tassatività e
divieto di analogia. Ancora una volta
l’efficacia di una norma viene
neutralizzata dal rinvio ad un atto
integrativo della fattispecie che tarda
ad arrivare. Non può essere, infatti,
il cittadino a “pagare” l’incapacità
del legislatore a scrivere in modo
corretto le norme. Oltre tutto, trattandosi
di disciplina tutta nuova,
neppure è possibile il ricorso al comma
5 dell’art. 160 che ha risolto
alcuni dei problemi interpretativi di
questo decreto. Pertanto, in assenza
delle linee guida redatte dalla Commissione
ministeriale, non può configurarsi
un obbligo cogente di misurazione,
né contestarsi il reato in
caso di inottemperanza allo stesso.
Va da sé che gli operatori del
settore vivono con grave disagio la
situazione: l’esplicita previsione
normativa rappresenta un indiscutibile
segnale di “pericolosità” nell’esercizio
di queste pratiche al di
fuori d’ogni controllo. L’inerzia del-
le competenti autorità centrali impedisce
che i controlli siano effettuati
e, di conseguenza, gli obblighi effettivamente
e correttamente rispettati.
Proprio per rimediare in qualche maniera
a questo “vuoto” la Conferenza
Permanente Stato, Regioni e Province
Autonome di Trento e Bolzano
ha prodotto la proposta il cui
testo è riportato in appendice a questo
breve commento.
L’iniziativa è, lo si ripete, assolutamente
positiva e per di più tecnicamente
d’ottima fattura, ma - purtroppo
- per nulla risolutiva.
“Queste” linee guida, infatti, possono
essere sostituite da quelle che
un ostinato testo normativo pretende
siano emanate da una ben identificata
Commissione (e non da altri)
solo per gli operatori di buona volontà.
Sicuramente non sono giuridicamente
vincolanti. Ed allora, perplessi,
ci domandiamo: quale sarà il
destino delle misurazioni eventualmente
effettuate seguendo queste linee
guida quando la Commissione
finalmente emanerà quelle “ufficiali”
nel caso le stesse non siano
identiche o comunque compatibili
con quelle oggi illustrate e quali le
conseguenze per gli esercenti le relative
pratiche? Probabilmente, però,
si tratta di un quesito soltanto “di
scuola”: la bontà tecnica delle Linee
guida in esame, infatti, è tale da
farci credere che la Commissione
Ministeriale, quando finalmente sarà
istituita, non potrà fare altro che
confermarle.
Le Linee guida
per le misure di radon
Le Linee guida predisposte dal
Comitato di Coordinamento delle
[3] Professionista della radioprotezione, riconosciuto tale dalla legge e iscritto in appositi elenchi di cui all’allegato V del D.Lgs.
n. 230/1995.
[4] Il sievert, Sv, è l’unità di misura della dose efficace, HE, grandezza che si ipotizza essere direttamente proporzionale al rischio
derivante dalla esposizione alle radiazioni ionizzanti, sulla base della pericolosità della radiazione e della differente
radiosensibilità degli organi irraggiati. 3 mSv corrisponde alla dose efficace assorbita da un lavoratore che sosti nell’interrato
per 2000 ore/anno ad una concentrazione 500 Bq/m 3 .
[5] Cfr. Alberta Leonarda Vergine, Elio Giroletti, op. cit., pag. 144 e segg.
IV www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

Regioni e delle Province autonome
di Trento e Bolzano, riportate integralmente
in questa rivista a pagina
VII, comprendono importanti aspetti
che dovevano essere chiariti per
poter procedere alla misurazione
della concentrazione media annua
di radon in aria negli ambienti di
lavoro:
l la definizione di luogo di lavoro
sotterraneo ed i criteri generali per
l’impostazione delle misure di radon;
l i metodi di misura delle concentrazioni
di radon;
l i requisiti minimi degli organismi
che effettuano le misure.
Importante non è solo la definizione
di luogo sotterraneo, ma anche
la graduazione dell’importanza
della misurazione in base all’intensità
della frequenza nei locali stessi.
Infatti, «in linea di massima le misure
non dovranno essere condotte in
locali che non siano occupati con
continuità dai lavoratori (...). Altri
ambienti (...) non dovranno essere
sottoposti a misura a meno che il
personale nel suo complesso non vi
trascorra una frazione di tempo significativa,
che viene indicativamente
fissata in 10 ore al mese».
Utile è pure l’individuazione degli
organismi idonei a effettuare tali
misurazioni. Infatti, secondo l’articolo
10-ter, comma 4, del D.Lgs. n.
230/1995 e s.m.i., l’esercente si deve
avvalere di organismi riconosciuti
ai sensi dell’articolo 107, comma
3, o, nelle more del riconoscimento,
di organismi idoneamente attrezzati.
In assenza (anche) del decreto
che stabilisce le modalità di abilitazione
degli istituti, risulta necessario
delineare seppure in via transitoria
i requisiti minimi dei laboratori
che effettuano le misure di concentrazione
di radon per conto degli
esercenti e che possono quindi essere
identificati come «idoneamente
attrezzati», così come previsto dal
D.Lgs. n. 230/1995 medesimo. I re-
INSERTO
quisiti che debbono possedere detti
organismi ed indicati dalle Linee
guida sono generali e tengono conto
della gradualità nell’applicazione
delle linee guida e della molteplicità
degli enti che potranno essere interessati.
Si considerano attrezzati gli
organismi o laboratori che siano
conformi alla norma EN ISO/IEC
17025 e che abbiano accreditato metodi
di prova (misura) idonei a misurare
la concentrazione di radon media
annua e che possiedano requisiti
tecnici.
Le linee guida precisano anche
quali debbano essere le informazioni
minime che devono essere riportate
nella relazione finale che deve
essere rilasciata all’esercente che ha
commissionato le misurazioni, come
prevedono i commi 4 e 5, dell’art.
10-ter del D.Lgs. n. 230/1995,
ed in particolare:
l intestazione dell’organismo che
rilascia il documento;
l identificazione del documento
(per esempio un numero o codice
progressivo);
l i dati anagrafici del committente;
l la tecnica di misura utilizzata;
l periodi di esposizione dei rivelatori
(sotto la responsabilità del committente)
e relativi risultati in termini
di concentrazione;
l il risultato della concentrazione di
radon media annua associato al luogo
della misura, chiaramente individuato
(se in un luogo di lavoro vengono
effettuate misure in più locali/ambienti
o più misure in uno stesso ambiente,
è necessario che nella scheda informativa
compilata dal committente sia
identificato ciascun punto di misura e
che lo stesso identificativo sia riportato
nella relazione);
l l’incertezza associata a tutti i risultati
delle misure;
l la firma della persona che ha effettuato
le misure e di chi autorizza
il rilascio del risultato;
l eventuali note relative ai risultati.
[6] Cfr. Alberta Leonarda Vergine, Elio Giroletti, op. cit., pag. 24.
SOSTANZE PERICOLOSE
Commento
Considerazioni
Come abbiamo già anticipato, le
Linee guida sono agili, complete e
tecnicamente ben articolate, anche
per quanto riguarda l’individuazione
dei luoghi di lavoro oggetto delle
misurazioni e del numero e tipo di
dosimetri che devono essere impiegati.
L’opportuna definizione di organismo
attrezzato, eviterà, poi, che
“chiunque” possa fornire un servizio
che non sia sufficientemente affidabile.
Vale, infine, la pena di sottolineare
una grave incongruenza del disposto
di legge, che inevitabilmente si
presenta anche nelle Linee guida, e
cioè che l’esperto qualificato non
sia incluso tra i soggetti autorizzati
a effettuare dette misurazioni. Detta
“non inclusione”, che altro non è
che una implicita esclusione, è contraddittoria,
per non dire paradossale.
Detto professionista, che non è
inserito tra i soggetti idonei alla effettuazione
della campagna preliminare,
è obbligatoriamente chiamato
in causa dall’esercente in un momento
successivo, qualora la concentrazione
raggiungesse valori ritenuti
assolutamente non trascurabili.
In altri termini, per il legislatore
l’esperto qualificato non è idoneo
ad effettuare la campagna di misure
preliminari di valutazione, ed al tempo
stesso è in grado di programmare
gli interventi migliorativi e tutte
le conseguenti misurazioni di verifica
e di valutazione di dose cui potrebbero
risultare esposti i lavoratori,
qualora la campagna preliminare
evidenzi concentrazioni medie annue
superiori a 500 Bq/m 3 .
Come si può agevolmente constatare,
questo testo normativo così
spesso integrato, modificato, corretto,
rettificato e implementato [6] , meriterebbe
ancora qualche (sostanzioso)
intervento migliorativo. l
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com V

SOSTANZE PERICOLOSE
Commento
Termine ultimo (^) Articolo (*) Descrizione dell’obbligo
28 febbraio 2001 37, 1˚ (˚)
1˚ marzo 2002 10-septies, comma 2
1˚ marzo 2002
37,2 (˚)
37,4 (˚)
28 febbraio 2003 10-septies, comma 2
31 agosto 2003
1˚ marzo 2004
31 agosto 2005
37,3˚ (˚)
37,4˚ (˚)
37,2 (˚)
37,4 (˚)
37,3˚ (˚)
37,4˚ (˚)
31 agosto 2005 37,5˚ (˚)
Note:
(^) si intende il termine massimo entro il quale deve essere applicata la disposizione;
(*) articoli del D.Lgs. n. 230/1995 così come modificato dal D.Lgs. n. 241/2000;
(˚) riferiti al D.Lgs. n. 241/2000.
Autore Titolo
Elio Giroletti, Alberta
Leonarda Vergine
INSERTO
Scadenze del D.Lgs. n. 230/1995 (e s.m.i.)
e radioattività naturale
Si insedia la Sezione speciale della Commissione ministeriale ex art. 9
per le esposizioni a sorgenti naturali, art. 10-septies, comma 1.
La Commissione ministeriale emana le linee guida per la effettuazione
delle misure radon di cui all'art. 10-septies, comma 2.
Inizia la campagna di misure, seguendo linee guida, per nuove attività e
per quelle in corso, e terminarla entro 2 anni, art. 10-ter, comma 1, e all.
I-bis.
La Commissione ministeriale emana linee guida per misure nelle
attività a rischio di esposizione a sorgenti naturali (diverse da radon),
art. 10-septies e all. I-bis.
Inizia la campagna di misure esposizione a sorgenti naturali (diverse
dal radon) per nuove attività e per quelle in corso; dà 2 anni di
tempo per procedere alle misurazioni, seguendo le linee guida, a
partire da questa data, art. 10-ter, comma 3, e all. I-bis.
Termina la campagna di misure di radon nei luoghi di lavoro, art.
10-ter,comma 1, e all. I-bis,
Termina la campagna di misure esposizione a sorgenti naturali diverse
dal radon, art. 10-ter, comma 3, e all. I-bis.
Individuazione, da parte di regioni e province autonome, delle aree
ad elevato rischio radon dove estendere le misure a luoghi di lavoro
diversi dagli interrati.
La radioprotezione in Ambiente&Sicurezza
Novità, termini e scadenze del nuovo decreto sulla radioprotezione
Elio Giroletti Protezione della popolazione e dei lavoratori dalle radiazioni
ionizzanti
Elio Giroletti Protezione delle persone esposte a radiazioni ionizzanti per
indagini e trattamenti medici
TABELLA 1
in
Ambiente&Sicurezza
n. 3/2001, pag. 38
n. 18/2000, pag. 44
n. 15/2000, pag. 16
Elio Giroletti Rischi fisici nei laboratori di ricerca n. 12/2000, pag. 34
VI www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 25 marzo 2003 - N. 6

AMBIENTE
Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome
di Trento e Bolzano
Linee guida per le misure di concentrazione di radon in aria
nei luoghi di lavoro sotterranei
A cura del
Coordinamento delle Regioni e delle Province autonome
di Trento e Bolzano
Versione definitiva approvata il 6 febbraio 2003
Gruppo di lavoro:
Paola Angelini Regione Emilia-Romagna
Anna Anversa Regione Lombardia
Giovanni Benzoni Regione Veneto
Rita Borio Regione Umbria
Silvia Bucci ARPA Toscana
Elisabetta Catani Regione Toscana
Maria Teresa Cazzaniga ARPA Lombardia
Laura Gaidolfi ARPA Emilia-Romagna
Alba Rongoni Università di Perugia
Flavio Trotti ARPA Veneto
SOSTANZE PERICOLOSE
Documento
INDICE
Premessa.............................................................................................................................................pag. VIII
CAPITOLO 1 - Luoghi di lavoro sotterranei
1.1 Considerazioni generali..................................................................................................................pag. VIII
1.2 Definizioni di luogo di lavoro e di ambiente sotterraneo............................................................pag. IX
1.3 Criteri per l’individuazione degli ambienti di lavoro nei quali effettuare le misure..................pag. IX
1.4 Numero di misure e posizionamento dei dosimetri......................................................................pag. IX
1.5 Particolari luoghi di lavoro sotterranei..........................................................................................pag. X
CAPITOLO 2 - Metodi di misura della concentrazione di radon nei luoghi di lavoro sotterranei
2.1 Periodo di misura ............................................................................................................................ pag. X
2.2 Tecniche di misura...........................................................................................................................pag. X
2.3 Taratura del metodo e controllo di qualità dei dati.....................................................................pag. X
2.4 Valutazione dell’esposizione di trasporto.....................................................................................pag. X
2.5 Scheda informativa ......................................................................................................................... pag. XI
CAPITOLO 3 - Requisiti degli organismi di misura
3.1 Orientamento generale..................................................................................................................pag. XI
3.2 Requisiti degli organismi di misura................................................................................................pag. XI
3.2.1 Requisiti del responsabile tecnico delle misure..........................................................................pag. XII
3.2.2 Individuazione di compiti e responsabilità.................................................................................pag. XII
3.2.3 Le tecniche di misura idonee.......................................................................................................pag. XII
3.2.4 Taratura del sistema e controllo del funzionamento delle apparecchiature...........................pag. XII
3.2.5 Controllo di qualità dei dati........................................................................................................pag. XII
3.2.6 Procedure e registrazioni.............................................................................................................pag. XIII
3.2.7 Resoconto delle misure................................................................................................................pag. XIII
BIBLIOGRAFIA .....................................................................................................................................pag. XIII
ALLEGATO - Scheda informativa sulle caratteristiche dei locali/ambienti
nei quali effettuare le misure.........................................................................................................pag. XIV
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com VII

SOSTANZE PERICOLOSE
Documento
Premessa
Le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. 26
maggio 2000, n. 241 al D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230 in
materia di radiazioni ionizzanti comportano tra l’altro
l’introduzione della tutela dei lavoratori nei confronti
dei rischi da esposizione a sorgenti di radiazioni naturali;
le attività lavorative considerate sono:
- quelle durante le quali i lavoratori ed, eventualmente,
persone del pubblico sono esposti a prodotti di decadimento
del radon e del toron, o radiazioni gamma od
ogni altra esposizione in particolari luoghi di lavoro
quali tunnel, sottovie, catacombe, grotte e, comunque,
in tutti i luoghi di lavoro sotterranei, oppure in superficie
in zone ben individuate o in luoghi di lavoro con
caratteristiche determinate;
- quelle che implicano l’uso o lo stoccaggio di materiali
abitualmente non considerati radioattivi ma che
contengono radionuclidi naturali, o che comportano la
produzione di residui abitualmente non considerati radioattivi
ma che contengono radionuclidi naturali, e che
provocano un aumento significativo dell’esposizione
dei lavoratori e/o di persone del pubblico;
- quelle in stabilimenti termali o quelle connesse ad
attività estrattive non disciplinate dal Capo IV;
- quelle su aerei, per quanto riguarda il personale
navigante.
Sono previsti una serie di obblighi per gli esercenti
le attività di cui sopra, i quali devono provvedere, a
seconda dei casi, a misurazioni di radon e/o a valutazioni
di esposizione nei luoghi di lavoro; in caso di superamento
dei livelli di azione fissati nell’Allegato 1-bis, gli
esercenti, oltre a darne comunicazione alla Azienda
Sanitaria Locale competente per territorio, all’Agenzia
Regionale per la Protezione dell’Ambiente e alla Direzione
provinciale del lavoro, devono adottare, avvalendosi
dell’Esperto qualificato, azioni di rimedio entro
tempi definiti.
Il D.Lgs. n. 241/2000 prevede inoltre l’attivazione,
nell’ambito della “Commissione tecnica per la sicurezza
nucleare e la protezione sanitaria” già istituita presso
l’ANPA, di una apposita “Sezione speciale per le esposizioni
a sorgenti naturali di radiazioni”, cui sono stati
assegnati una serie di compiti, il primo dei quali consiste
nell’elaborare linee-guida sulle metodologie e tecniche
di misura più appropriate per le misurazioni di
radon in aria e sulle valutazioni delle relative esposizioni.
L’insediamento della suddetta Sezione speciale, composta
da ventuno esperti in materia di cui cinque designati
dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e
Bolzano, doveva avvenire entro sei mesi dalla pubblicazione
del D.Lgs. n. 241/2000 (entro il febbraio 2001) e
le linee guida di cui sopra dovevano essere elaborate
entro un anno (entro il febbraio 2002).
Gli obblighi per i datori di lavoro sopra richiamati
AMBIENTE
decorrono gradatamente nel tempo; i primi adempimenti,
che sono scattati dal marzo scorso, riguardano gli
esercenti di attività che si svolgono in luoghi di lavoro
particolari, quali tunnel, sottovie, catacombe, grotte, e
luoghi di lavoro sotterranei: si tratta dell’obbligo di
procedere alla misura delle concentrazioni di attività di
radon medie in un anno, secondo le linee guida di cui
sopra, entro ventiquattro mesi. Per le misurazioni in
questione l’esercente si deve rivolgere ad organismi
riconosciuti ai sensi dell’art. 107, comma 3, del D.Lgs.
n. 230/1995 o, nelle more dei riconoscimenti, ad
“organismi idoneamente attrezzati”.
Il mancato insediamento della Commissione tecnica
di cui sopra, e quindi l’assenza di linee guida sulle
metodologie e tecniche di misura più appropriate per le
misurazioni di radon in aria, lascia nell’incertezza sia
gli esercenti delle attività interessate che gli organismi
in grado di effettuare le misure di radon. Per fare fronte
a tale inadempienza da parte delle istituzioni centrali, le
Regioni si sono attivate e il Coordinamento Interregionale
per la prevenzione ha promosso la costituzione di
uno specifico gruppo di lavoro tecnico per l’elaborazione
di linee guida per le misure nei luoghi di lavoro
sotterranei che, in attesa di quelle emanate secondo le
procedure previste dalla normativa, possano costituire
un valido riferimento per gli esercenti, gli organismi di
misura e gli organi di vigilanza.
Il gruppo di lavoro tecnico, composto dalle Regioni
Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana, Umbria e Veneto,
e coordinato dalla Regione Lombardia, ha predisposto
le linee guida contenute nel presente documento,
che comprendono:
- la definizione di luogo di lavoro sotterraneo ed i
criteri generali per l’impostazione delle misure di radon;
- i metodi di misura delle concentrazioni di radon;
- i requisiti minimi degli organismi che effettuano le
misure.
Allo scopo di favorire la continuità del percorso svolto
dal gruppo di lavoro e l’integrazione con l’attività della
Commissione tecnica una volta avviata, nel gruppo stesso
sono stati coinvolti alcuni dei membri della suddetta Sezione
speciale della Commissione tecnica designati dalla Conferenza
per i rapporti fra lo Stato e le Regioni e Province
Autonome di Trento e Bolzano.
CAPITOLO 1
LUOGHI DI LAVORO SOTTERRANEI
1.1 Considerazioni generali
La normativa vigente in materia di protezione dalle
radiazioni ionizzanti (D.Lgs. n. 230/1995 e sue successive
modificazioni) disciplina anche le attività lavorative svolte
in luoghi sotterranei al fine della tutela dei lavoratori dai
rischi dovuti a esposizione a radioattività naturale.
Per adibire tali luoghi al lavoro, devono essere tenute
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presenti le limitazioni ed i divieti posti dai regolamenti
comunali edilizi e/o di igiene, da leggi di settore (esempio
scuole) e dalle norme generali per l’igiene del lavoro.
In particolare, in materia di igiene del lavoro, l’art. 8
del D.P.R. n. 303/1956 vieta di adibire al lavoro i locali
chiusi sotterranei (locali interrati) e semisotterranei (seminterrati)
e prevede la possibilità di deroga a tale
divieto solo nei seguenti casi:
a) quando sussistano particolari esigenze tecniche
ed in questi casi si deve provvedere con mezzi idonei
alla aerazione, alla illuminazione ed alla protezione
contro l’umidità; si precisa che le particolari esigenze
tecniche devono essere individuate soltanto con riferimento
alle specifiche caratteristiche del lavoro, che
deve rendere indispensabile per il suo stesso espletamento
l’utilizzazione di locali interrati o seminterrati:
dette esigenze quindi non possono mai essere riconosciute
quando sia presente una mera opportunità di
carattere organizzativo, economico o di semplice ubicazione
(Cass. pen., Sez. III, n. 15769/1986);
b) quando vi sia espresso consenso dell’organo di
vigilanza (Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli
Ambienti di Lavoro delle Aziende USL); questi può
rilasciare l’autorizzazione al lavoro anche quando non
ricorrono particolari esigenze tecniche, purché le lavorazioni
non diano luogo ad emanazioni nocive e non
espongano i lavoratori a temperature eccessive, siano
rispettate le norme di igiene del lavoro, si provveda con
mezzi idonei alla aerazione, alla illuminazione ed alla
protezione contro l’umidità.
Luoghi di lavoro sotterranei si possono riscontrare
frequentemente nel caso di esercizi pubblici, musei,
ospedali, mense, banche, e più di rado in altri tipi di
attività quali uffici, ambulatori, laboratori artigianali e
attività industriali.
1.2 Definizioni di luogo di lavoro
e di ambiente sotterraneo
Luoghi di lavoro: devono intendersi quei luoghi destinati
a contenere posti di lavoro, ubicati all’interno
dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, nonché ogni
altro luogo nell’area della medesima azienda ovvero
unità produttiva comunque accessibile per il lavoro (art.
30 del D.Lgs. n. 626/1994).
Ambiente sotterraneo: la definizione di ambiente sotterraneo
è contenuta di solito nei regolamenti comunali edilizi
e di igiene, che vengono stilati sulla base delle linee
guida dettate a scopo di uniformità dalle singole Regioni.
Le definizioni differiscono essenzialmente per due
aspetti: in primo luogo per piccole differenze riguardanti
la posizione del solaio rispetto al piano di campagna;
in secondo luogo per la presenza o meno di un accesso
diretto dall’esterno.
Nell’ambito e per i fini delle presenti linee guida,
indipendentemente dalle definizioni di sotterraneo che
AMBIENTE
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sono contenute nei regolamenti edilizi comunali, si ritiene
di adottare per i locali o ambienti sotterranei la
seguente definizione:
- locale o ambiente con almeno tre pareti interamente
sotto il piano di campagna, indipendentemente
dal fatto che queste siano a diretto contatto con il
terreno circostante o meno.
Tale definizione include fra i locali sotterranei nei
quali effettuare le misure anche tutti quelli che hanno
una apertura verso l’esterno (per esempio i locali pubblici
che hanno di norma un ingresso sulla strada) ed i
locali che sono circondati da una intercapedine aerata.
1.3 Criteri per l’individuazione
degli ambienti di lavoro
nei quali effettuare le misure
Per decidere in quali locali o ambienti sotterranei di
uno stesso edificio effettuare le misure di concentrazione
di radon, bisogna tenere conto del fatto che le misure
devono essere pianificate in modo da essere rappresentative
dell’esposizione del personale. Perciò in linea di
massima le misure non dovranno essere condotte in
locali che non siano occupati con continuità dai lavoratori,
come per esempio i locali di servizio, gli spogliatoi
e gli ambienti di passaggio come i corridoi.
Altri ambienti come i magazzini, i bunker delle banche
e locali di utilizzo simile, nei quali il personale entra senza
occupare una vera e propria postazione di lavoro, ma che
rimangono chiusi a lungo, non dovranno essere sottoposti
a misura a meno che il personale nel suo complesso non vi
trascorra una frazione di tempo significativa, che viene
indicativamente fissata in 10 ore al mese.
1.4 Numero di misure e posizionamento
dei dosimetri
Considerato che numerosi studi hanno messo in evidenza
la variabilità della concentrazione di radon anche
fra ambienti contigui, le misure dovranno in generale
essere effettuate in ogni locale fisicamente separato; il
risultato della media annuale del singolo locale dovrà
essere confrontato con il livello di azione di 500 Bq/m 3
introdotto dalla normativa.
Nel caso di luoghi di lavoro sotterranei in cui vi sia
un numero elevato (dell’ordine delle decine) di ambienti
“analoghi” sulla base di considerazioni riguardanti
le caratteristiche della costruzione e dell’uso
degli ambienti stessi, compresa la ventilazione e il tipo
di attività, potrà essere giustificata la riduzione del
numero di misure da effettuare in uno stesso edificio.
Tale scelta dovrà essere oggetto di una relazione che
resti a disposizione degli organi di vigilanza e dovrà
necessariamente essere sottoposta a verifica: se la media
dei valori misurati risulterà sostanzialmente inferiore
al livello di azione e la loro variabilità contenuta,
l’operazione sarà giustificata anche a posteriori, in
caso contrario, sarà necessario estendere in una secon-
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da fase il programma di misura a tutti i locali.
Riguardo al numero di misure da effettuare, gli ambienti
di lavoro possono essere per semplicità classificati sulla
base delle loro dimensioni in due categorie principali, alle
quali corrisponde una differente strategia di misura raccomandata,
che è illustrata nella Tabella 1.1.
I dosimetri impiegati per effettuare le misure di radon
dovranno essere posizionati ad una altezza compresa
fra circa 1 e 3 metri, in un’area lontana dalle fonti di
calore e di ricambio d’aria.
1.5 Particolari luoghi di lavoro sotterranei
Nel caso di tunnel, sottovie, catacombe e grotte, le
misure dovranno essere eseguite nei luoghi dove normalmente
stazionano gli operatori addetti, ad esempio
lungo il percorso di visita guidata nelle grotte/catacombe
e nelle postazioni di guida dei macchinisti nel caso
delle “metropolitane” cittadine.
La frequenza e la tecnica di misura adottata dovranno
tenere conto dei possibili elevati livelli di concentrazione
di radon e delle condizioni microclimatiche peculiari
di questi particolari luoghi di lavoro.
Le procedure e le scelte adottate dovranno essere
oggetto di una relazione che resti a disposizione degli
organi di vigilanza.
CAPITOLO 2
METODI DI MISURA DELLA CONCENTRAZIONE
DI RADON NEI LUOGHI DI LAVORO SOTTERRANEI
2.1 Periodo di misura
Nell’Allegato I-bis del D.Lgs. n. 230/1995 e s.m.i. il
livello di azione per la concentrazione di radon (articolo
10-ter, commi 1 e 2) è fissato in termini di concentrazione
di attività media annua; poiché in Italia le conoscenze sui
fattori di correzione stagionali per trasformare misure di
durata inferiore all’anno in valori medi annui non sono
attualmente sufficienti, le tecniche di misura da utilizzare
devono consentire di coprire interamente l’arco di un anno
solare, mediante una o più esposizioni.
TABELLA 1.1
Numerosità delle misure
in funzione dell’ampiezza
del locale
Categoria
A: Locali separati di piccole
dimensioni (inferiori a
50 m 2 )
B: Ambienti di medie e
grandi dimensioni
Numero di misure
raccomandato
Una misura in ciascun locale,
salvo quanto sopra previsto
Una misura ogni 100 m 2
di superficie
AMBIENTE
Inoltre, resta inteso che la concentrazione media annua
comprende sia il periodo diurno che il periodo notturno.
2.2 Tecniche di misura
Le tecniche di misura della concentrazione di radon
che consentono di effettuare una valutazione della concentrazione
media annua sono quelle di lunga durata, le
cui caratteristiche sono riportate sinteticamente nella
Tabella 2.1.
I sistemi di misura (dosimetri) sono composti da un
contenitore e da un rivelatore (elemento sensibile).
Al momento della stesura delle linee guida è disponibile
un solo modello commerciale del dosimetro ad elettrete,
con diverse possibili combinazioni camera - elemento sensibile,
da scegliere in funzione della tipologia di rilevazione.
Nel caso dei rivelatori a tracce, invece, lo stesso rivelatore
può essere utilizzato con camere a diffusione, a permeazione
o aperte, differenti nel disegno, nelle caratteristiche
di funzionamento e nella sensibilità.
Nel caso di dosimetri di tipo “aperto”, viene effettuata
la rilevazione sia del radon che dei prodotti di decadimento
presenti in ambiente; dal momento che la sensibilità
del rivelatore è diversa per il radon e per i suoi
prodotti di decadimento, il fattore di equilibrio può
influenzare la corretta determinazione della concentrazione
di gas radon. Pertanto l’utilizzo di questa tipologia
di dosimetri dovrà essere attentamente valutata, a
causa delle possibili modificazioni al fattore d’equilibrio
prodotte dalle diverse abitudini degli occupanti e
dalle tipologie stesse dei luoghi di misura.
Le configurazioni utilizzabili per le misure richieste
nell’ambito della normativa sono quelle più comunemente
impiegate e conosciute, sottoposte negli ultimi
anni a diversi interconfronti svolti presso il National
Radiological Protection Board (UK); le caratteristiche
dei sistemi di misura possono essere reperite nel sito
Internet dell’ente www.nrpb.org (http://www.nrpb.org/
publications/w_series_reports/).
2.3 Taratura del metodo e controllo
di qualità dei dati
Per assicurare l’affidabilità e la ripetibilità dei risultati
delle misure, il sistema utilizzato dovrà essere sottoposto
a taratura e ad un programma di assicurazione della
qualità dei dati che comprenda la partecipazione a circuiti
di interconfronto presso un centro SIT (Sistema Italiano
di Taratura), se esistente, o presso analogo centro
europeo. La periodicità della taratura e del controllo di
qualità dei dati dipendono dal metodo utilizzato.
Ulteriori dettagli riguardo a questo argomento sono
riportati nel capitolo sui requisiti degli organismi che
effettuano le misure.
2.4 Valutazione dell’esposizione
di trasporto
I dosimetri e i rivelatori devono essere conservati
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Modalità
di campionamento
Tipo
di rivelatore
prima e dopo l’uso in modo appropriato, per evitare il
contributo di esposizioni aggiuntive in luoghi diversi da
quello di interesse, che diminuiscono la precisione del
risultato della misura.
La consegna e il ritiro dei dosimetri deve avvenire
mediante buste impermeabili al radon; i dosimetri non
protetti non devono sostare per più di poche ore in
luoghi chiusi diversi da quelli di misura, a meno che
questi non siano a bassa concentrazione di radon.
2.5 Scheda informativa
L’esercente dell’attività obbligato alla rilevazione
delle concentrazioni di radon dovrà comunicare all’organismo
idoneamente attrezzato che ha incaricato di eseguire
le misure alcune informazioni indispensabili relative
al luogo di lavoro, finalizzate alla corretta elaborazione
dei dati e alla verifica di congruità dei risultati stessi.
In allegato viene riportato un modello di scheda
contenente le informazioni che si ritengono fondamentali
e che può essere utilizzato dagli organismi che effettuano
le misure per raccogliere i dati dagli esercenti.
Oltre alle informazioni in essa contenute, andranno forniti
al laboratorio di misura anche i dati specifici relativi ad
ogni singolo dosimetro radon esposto e precisamente:
l identificativo del luogo di collocazione;
l data e ora di inizio esposizione;
l data e ora di fine esposizione.
CAPITOLO 3
REQUISITI DEGLI ORGANISMI DI MISURA
3.1 Orientamento generale
Secondo l’articolo 10-ter, comma 4, del D.Lgs. n.
230/1995 e s.m.i., per le misurazioni previste al comma 1
dello stesso articolo l’esercente si avvale di organismi riconosciuti
ai sensi dell’articolo 107, comma 3, o, nelle more
del riconoscimento, di organismi idoneamente attrezzati.
Gli organismi che effettuano le misure di concentrazio-
AMBIENTE
Caratteristiche principali delle tecniche di misura
della concentrazione di radon media annua
Durata
del campionamento
SOSTANZE PERICOLOSE
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Passivo Rivelatore a tracce nucleari Da un mese a un anno L’elemento sensibile è rappresentato
da materiale plastico
di vario tipo (LR115,
CR39, policarbonato)
Passivo Rivelatore a elettrete Da un mese a un anno L’elemento sensibile è rappresentato
da un disco di
teflon caricato elettrostaticamente
Note
TABELLA 2.1
ne di radon dovranno essere riconosciuti da istituti previamente
abilitati; in assenza del decreto che stabilisce le
modalità di abilitazione degli istituti, risulta necessario
definire seppure in via transitoria i requisiti minimi dei
laboratori che effettuano le misure di concentrazione di
radon per conto degli esercenti e che possono quindi
essere identificati come “idoneamente attrezzati”.
I requisiti che vengono indicati nel paragrafo seguente
sono sufficientemente generali da tenere conto della
gradualità necessaria nell’applicazione delle linee guida
e della diversità delle strutture o organismi che potranno
essere interessati; per tenere conto di tale diversità
non sono inclusi requisiti di tipo gestionale, che pure
contribuiscono all’affidabilità dei risultati rilasciati dall’organismo
che effettua le misure.
Gli organismi o laboratori che sono conformi alla
norma EN ISO/IEC 17025 e che hanno accreditato
metodi di prova (misura) idonei a misurare la concentrazione
di radon media annua possiedono requisiti tecnici
coerenti con quanto qui previsto.
3.2 Requisiti degli organismi di misura
Le caratteristiche degli organismi di misura dovrebbero
essere le seguenti:
1. responsabile tecnico con formazione professionale
adeguata ed esperienza documentata in materia;
2. individuazione delle persone abilitate ad eseguire
le misure e ad attestarne la validità;
3. utilizzo di una tecnica di misura idonea;
4. periodica taratura della tecnica di misura e controllo
del funzionamento delle apparecchiature prima di
ogni serie di misure;
5. periodico controllo di qualità dei dati;
6. utilizzo di procedure e istruzioni scritte per le
misure, comprese le tarature e il controllo di qualità;
7. rilascio del resoconto delle misure firmato dal
responsabile tecnico, che garantisce l’affidabilità del
dato al committente.
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SOSTANZE PERICOLOSE
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Poiché le tecniche di misura della concentrazione di
radon necessitano di diversi gradi di competenza del
personale che effettua le misure e di procedure più o
meno articolate di taratura controllo di qualità dei dati, i
requisiti minimi che gli organismi idoneamente attrezzati
dovrebbero garantire possono avere implicazioni diverse
nel caso di utilizzo di rivelatori a elettrete o di
rivelatori a tracce.
3.2.1 Requisiti del responsabile tecnico
delle misure
Il responsabile tecnico dovrebbe possedere una adeguata
formazione tecnico-scientifica e una documentata esperienza
sulla misura della concentrazione di radon in aria.
3.2.2 Individuazione di compiti
e responsabilità
Nell’ambito dell’organismo dovrebbero essere chiaramente
definiti i compiti e le responsabilità relative
agli aspetti tecnici di misura della concentrazione di
radon.
Se l’organismo è costituito da una sola persona fisica,
questa deve essere in possesso dei requisiti indicati
per il responsabile tecnico delle misure.
Se l’organismo è costituito da più persone fisiche
con compiti e formazioni professionali diverse, le rispettive
responsabilità tecniche relative alle misure di concentrazione
di radon dovranno essere definite in un
documento scritto.
3.2.3 Le tecniche di misura idonee
Le tecniche che possono essere utilizzate per le misure
di concentrazione di radon a lungo termine sono già
state presentate in termini generali al capitolo 2. Oltre a
scegliere una tecnica di misura idonea allo scopo, gli
organismi di misura dovranno garantire che le condizioni
ambientali siano adeguate alla tecnica utilizzata e che
tutto il ciclo della misura sia tenuto sotto controllo,
dalla conservazione del materiale impiegato alla manutenzione
degli strumenti.
Gli organismi che utilizzano rivelatori ad elettrete
dovranno essere dotati di strumenti o tecniche idonee
anche alla misura della dose da radiazione gamma, che
viene sottratta come un contributo di fondo. La dose da
radiazione gamma deve essere misurata indipendentemente
dalla concentrazione di radon, poiché non sono
attualmente disponibili dati medi regionali o locali negli
ambienti sotterranei, dove sia il contributo dei materiali
che della radiazione cosmica sono poco conosciuti.
Per l’affidabilità delle misure di radiazione gamma valgono
gli stessi criteri che sono enunciati per le misure
di concentrazione di radon.
Gli organismi che impiegano due rivelatori per postazione
di misura, al fine di migliorare l’affidabilità dei risultati
e abbassare l’incertezza sul risultato (come nel caso del
dosimetro ANPA, utilizzato nella indagine nazionale sulla
AMBIENTE
radioattività naturale nelle abitazioni, o di due elettreti),
dovranno fornire al committente il risultato ottenuto dalla
media delle due misure, a meno che lo scarto fra queste
non sia superiore ad un valore prefissato che può essere
indicativamente fissato intorno al 20-30%, a seconda del
livello di concentrazione di radon.
Nel caso che la concentrazione di radon media annua
sia derivata da più misure relative a periodi di esposizione
consecutivi, il valore medio dovrà essere pesato sulla
durata del periodo di esposizione.
Ai risultati delle misure dovrà essere associata l’incertezza
tipo composta, che tiene conto dei diversi contributi
e deve essere calcolata secondo la norma UNI
CEI ENV 13005.
3.2.4 Taratura del sistema e controllo
del funzionamento delle apparecchiature
Gli organismi che impiegano rivelatori ad elettrete
dovrebbero:
l tarare il sistema di lettura una volta all’anno;
l verificare il corretto funzionamento del sistema di
lettura mediante elettreti di riferimento, con una periodicità
che dipende dalla frequenza di utilizzo del sistema.
Gli organismi che impiegano rivelatori a tracce dovrebbero:
l tarare il sistema di misura utilizzato (materiale +
strumenti) una volta all’acquisto, poi ogni volta che si
modifica qualcosa (la partita del materiale, uno strumento
o le condizioni di utilizzo);
l verificare il corretto funzionamento delle apparecchiature
prima di ogni serie di misure o con una periodicità
stabilita.
La taratura dei metodi di misura deve garantire la
riferibilità a campioni primari, tramite un centro SIT (se
esistente) o istituto equivalente europeo.
Nel caso di luoghi di lavoro particolari di cui al
paragrafo 1.5, è necessario che la taratura del sistema
utilizzato sia riferita a condizioni ambientali analoghe a
quelle di misura, a meno che non siano disponibili dati
che non mostrino una dipendenza significativa da queste
del fattore di taratura.
3.2.5 Controllo di qualità dei dati
Con periodicità definita in funzione della tecnica di
misura utilizzata i dati prodotti dovranno essere sottoposti
a controllo di qualità. Parte integrante del controllo
di qualità dei dati è la partecipazione a circuiti di interconfronto
organizzati da centri SIT o istituti di valenza
analoga. Gli organismi che effettuano misure di concentrazione
di radon dovrebbero prendere parte a tali circuiti
almeno una volta ogni tre anni.
Nel caso che i risultati dei circuiti di interconfronto
non siano adeguati agli obiettivi prefissati dalla tecnica
di misura, è necessario individuare le cause e adottare
idonee azioni correttive, documentando il ripristino di
affidabilità del sistema.
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3.2.6 Procedure e registrazioni
Le misure, le tarature, i controlli di funzionamento e di
qualità dovranno essere effettuati seguendo una o più procedure
scritte, relative al metodo scelto; analogamente
tutte le procedure o istruzioni dovranno contenere una
descrizione delle operazioni da compiere e indicare le
modalità di registrazione e conservazione dei risultati.
3.2.7 Resoconto delle misure
Il risultato delle misure sarà contenuto in una relazione
tecnica o resoconto di prova rilasciato al committente.
Nella relazione tecnica o resoconto dovrebbero essere
riportate almeno le seguenti informazioni:
l intestazione dell’organismo che rilascia il documento;
l identificazione del documento (per esempio un numero
o codice progressivo);
l i dati anagrafici del committente;
l la tecnica di misura utilizzata;
l periodi di esposizione dei rivelatori (sotto la responsabilità
del committente) e relativi risultati in
AMBIENTE
BIBLIOGRAFIA
SOSTANZE PERICOLOSE
Documento
termini di concentrazione;
l il risultato della concentrazione di radon media annua
associato al luogo della misura, chiaramente individuato
(se in un luogo di lavoro vengono effettuate
misure in più locali/ambienti o più misure in uno stesso
ambiente, è necessario che nella scheda informativa
compilata dal committente sia identificato ciascun punto
di misura e che lo stesso identificativo sia riportato
nella relazione);
l l’incertezza associata a tutti i risultati delle misure;
l la firma della persona che ha effettuato le misure e di
chi autorizza il rilascio del risultato;
l eventuali note relative ai risultati.
Alla comunicazione del risultato può essere allegata
una valutazione dei dati ottenuti; in alternativa, il livello
di azione di 500 Bq/m 3 previsto dalla normativa dovrà
essere richiamato sul resoconto della misura. Inoltre,
nel caso che il risultato della misura sia superiore a 400
Bq/m 3 , dovrà essere segnalata all’esercente la necessità
degli ulteriori adempimenti previsti dalla normativa.
l Decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230 “Attuazione delle direttive Euratom 80/836, 84/467, 84/466,
89/618, 90/641 e 92/3 in materia di radiazioni ionizzanti”. Gazzetta Ufficiale n. 136 Suppl. Ordinario, 13 giugno
1995
l Decreto legislativo 26 maggio 2000, n. 241 “Attuazione della direttiva 96/29/Euratom in materia di protezione
sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti”. Gazzetta
Ufficiale n. 203 Suppl. Ordinario, 31 agosto 2000
l Decreto legislativo 9 maggio 2001, n. 257 “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 26
maggio 2000, n. 241, recante attuazione della direttiva 96/29/Euratom in materia di protezione sanitaria della
popolazione e dei lavoratori contro i rischi derivanti dalle radiazioni ionizzanti”. Gazzetta Ufficiale n. 153
Serie Generale, 4 luglio 2001
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l EN ISO/IEC 17025 “Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura”, maggio 2000
l National Radiological Protection Board “Result of the 2000 NRPB Intercomparison of Passive Radon Detectors”
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Dosalpha. Ufficio federale della sanità pubblica, Svizzera
l Bochicchio F., Campos Venuti G., Nuccetelli C., Piermattei S., Risica S., Tommasino L., Torri G., Results of the
National Survey on radon indoors in all the 21 Italian Regions. Proc. workshop “Radon in the Living Environment”,
Athens 19-23 April 1999: 997-1006; 1999a.
l Environmental Protection Agency “Indoor radon and radon decay product measurement device protocols”,
www.epa.gov/iaq/radon/pubs/devprot1.html
25 marzo 2003 - N. 6 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XIII

SOSTANZE PERICOLOSE
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Dati anagrafici
AMBIENTE
MISURE DI RADON INDOOR NEI LUOGHI DI LAVORO SOTTERRANEI
SCHEDA INFORMATIVA SULLE CARATTERISTICHE DEI LOCALI/AMBIENTI
NEI QUALI EFFETTUARE LE MISURE
Ragione sociale richiedente: ............................................ ..........................................................................................
Via: ................................................................................... n. ......................................................................................
Località:............................................................................ CAP: .................................................................................
Comune:........................................................................... Provincia ..........................................................................
Telefono:.......................................................................... Fax ...................................................................................
Nominativo referente interno: ........................................ ..........................................................................................
Per ogni locale/ambiente in cui verranno effettuate le misure:
ALLEGATO
Denominazione univoca del locale/ambiente:
Posizione del locale/ambiente di misura rispetto al piano di campagna:
1: 1ST 2: 2ST 3: 3ST
Presenza di accesso diretto dall’esterno:
1: si 2: no
Presenza di ulteriori aperture verso l’esterno:
1: si 2: no
Presenza di impianto di climatizzazione attivo:
1. solo riscaldamento
2. riscaldamento/raffrescamento
3. solo raffrescamento
4. nessuno
Le pareti sotterranee del locale/ambiente:
1. sono totalmente affacciate a cavedio aerato
2. sono solo parzialmente affacciate a cavedio aerato
3. sono completamente a contatto con il terreno
4. sono completamente (o anche parzialmente) costituite da roccia
Il pavimento:
1. Confina con un altro piano
2. È a contatto diretto con il terreno
3. È a contatto con un vespaio aerato
Presenza di condensa/tracce di umidità:
1: si 2: no
Individuazione univoca del punto/dei punti di misura all’interno del locale/ambiente:..............................
.......................................................................................................................................................................................
N.B.: Per ambienti di dimensioni superiori a 100 m 2 può essere in alternativa allegata una planimetria con l’individuazione
dei punti di misura.
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AMBIENTE
Tecniche di misura e risanamento: un volume del Sole 24 ORE
di Massimo Moroni, geofisico, direttore tecnico Geoex S.a.s.
SOSTANZE PERICOLOSE
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In Italia, l’aria del sottosuolo contenente radon che si infiltra negli edifici è responsabile di più di un terzo delle radiazioni
cui è esposta in media la popolazione.
In base alle conoscenze attuali, i prodotti del decadimento del radon sono responsabili di una notevole percentuale dei casi
di cancro al polmone, candidandosi, dopo il fumo, come causa più frequente.
Dietro al valore medio delle radiazioni dovute al radon si nasconde una realtà complessa che vede parte della popolazione
esposta a dosi di radiazioni quotidiane elevate, a differenza della restante grande parte per la quale la quantità è minima;
tuttavia, poiché sia il radon che le sue radiazioni non si possono percepire sensorialmente, le persone interessate dal
problema non sono consapevoli del pericolo a cui sono esposte e i danni compaiono solo dopo anni o decenni.
Solo da pochi anni si è scoperto che il radon è reperibile nelle zone più diverse, in intere aree geografiche o, imprevedibilmente,
in singoli edifici. È possibile, tuttavia, quantificare il rischio rappresentato dal radon. Le conoscenze sull’ubicazione,
la geologia, il tipo di costruzione permettono un apprezzamento approssimativo, ma solo la verifica per mezzo di
misurazioni dà la certezza.
Con misure preventive nelle nuove costruzioni e stime di risanamento negli edifici esistenti è possibile eliminare o ridurre a
valori accettabili l’inquinamento da radon.
Cos’è il radon
Il radon è un gas radioattivo inodore e incolore che si forma in seguito alla disintegrazione dell’uranio presente nel suolo,
nell’acqua e in molti materiali da costruzione; la disintegrazione, a sua volta, dà luogo ad altri elementi radioattivi e infine
al piombo, non radioattivo.
In termini di classificazione chimica, il radon è uno dei gas nobili, come neon, kripton e xeno; non reagisce con altri
elementi chimici ed è il più pesante dei gas conosciuti.
Tipicamente, il radon esala dal suolo e penetra nelle abitazioni attraverso le microfratture presenti nelle murature e nelle
fondazioni, ma può anche essere emesso da alcuni materiali da costruzione e dall’acqua.
La modifica dello stile di vita rappresenta un altro importante fattore di esposizione; oggi, infatti, rispetto a un secolo
fa, la tendenza a vivere al chiuso e in ambienti sempre meglio sigillati a fini di risparmio energetico è nettamente in
crescita [1] .
Tutte le maggiori organizzazioni in materia di salute pubblica, a iniziare dalla Organizzazione Mondiale della Sanità,
auspicano un controllo del livello di radon in ciascuna abitazione, dal momento che indagini su larga scala, anche se
consentono di individuare un trend, non forniscono indicazioni di dettaglio necessarie a programmare interventi strutturali
di riduzione della concentrazione.
Le autorità locali possono e devono ricoprire un ruolo essenziale. In questa sede si possono indicare tre approcci fondamentali:
l migliorare la conoscenza della situazione del luogo riguardo i rischi legati alla presenza di radon attraverso la
predisposizione di mappe di pericolo da inserire negli studi propedeutici di settore nell’ambito della pianificazione
territoriale;
l fornire informazioni alla popolazione, scientificamente corrette e prive di slogan allarmistici, sia per la misura del
radon che per le opere edilizie necessarie, modificando, se del caso, i regolamenti edilizi;
l incentivare economicamente le azioni di mitigazione, non appena il rischio sia stato identificato.
I rischi, i valori di soglia e le disposizioni legislative
I rischi da inquinamento indoor da gas radon sono da ascrivere, prevalentemente, ai prodotti di decadimento che, essendo
metalli pesanti, tendono a legarsi al corpuscolato aereo; per questo motivo, vengono spesso distinti i rischi per fumatori da
quelli per non fumatori. Infatti, il particolato aspirato durante il fumo si lega con particelle attive e irradia i polmoni
dall’interno dell’organismo, provocando effetti di danno biologico maggiori.
L’EPA (Agenzia Americana per l’Ambiente) definisce in 4 pCi/L (picocurie per litro) pari a 148 Bq/mc (Bequerel per metro
cubo) il limite oltre il quale è consigliabile prevedere tecniche di riduzione del radon.
La Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica (ICRP), già nel 1993, sottolineò la vastità del problema per la
salute pubblica e formulò specifiche raccomandazioni nella pubblicazione numero 65 dello stesso anno.
In Europa, la Comunità europea ha determinato questa soglia in 200 Bq/mc per le nuove costruzioni e 400 Bq/mc per
le abitazioni esistenti (raccomandazione Euratom n. 143/1990) [2] . In ogni caso, la determinazione europea non ha
[1] Secondo stime della UE, il cittadino europeo trascorre mediamente 22 ore al giorno in un ambiente confinato.
[2] «Raccomandazione della Commissione Europea 90/143/EURATOM sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radon in
ambienti chiusi» (in G.U.C.E. L del 27 marzo 1990, n. 83).
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AMBIENTE
forza di legge e, pertanto, questi limiti rimangono solo un’indicazione consigliata. Recentemente, la pubblicazione del
D.Lgs. n. 241/2000 [3] , ha introdotto, per la prima volta, nella legislazione italiana, il concetto di radioattività naturale,
prevedendo valori di soglia solo per gli ambienti di lavoro e gli uffici pubblici. Attualmente, quindi, in Italia esistono
obblighi solo per i luoghi di lavoro, mentre per gli ambienti residenziali e le acque destinate a uso umano i riferimenti sono
le sole raccomandazioni della Comunità Europea (rispettivamente la n. 143/1990/Euratom e la n. 928/2001/Euratom) [4] .
Infine, recentemente, la conferenza Stato Regioni ha redatto delle Linee guida che pongono l’accento, tra l’altro, sui rischi
derivanti dall’esposizione al radon.
Gli adempimenti per l’esposizione al radon nei luoghi di lavoro secondo l’art. 10-bis, comma 1, lettere a) e b) e 10-ter,
D.Lgs. n. 241/2000, prevedono che, entro 24 mesi dall’inizio dell’attivita (o 18 mesi dalla pubblicazione del D.Lgs. stesso),
venga eseguita una campagna di misure (da parte di organismo riconosciuto) con relazione finale.
La situazione in Italia
Nei primi anni ’90, l’Enea e l’Istituto Superiore di Sanità hanno condotto uno screening nazionale per la conoscenza dell’esposizione
media al radon dei cittadini italiani. I risultati di questa ricerca indicano una concentrazione media di 77 Bq/mc .
Nella pubblicazione radon dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Regione Europa sono tra l’altro riportate le indicazioni
sul numero di misure e dei risultati relativi all’Italia e alle altre nazioni dell’Ue.
Dall’analisi dei dati sulle misure effettuate dalle istituzioni di sanità pubblica europee, risulta evidente come alcuni Paesi
con un numero modesto di abitanti abbiano svolto un numero di controlli incomparabilmente più grande. Ad esempio, in
Svezia, a fronte di una popolazione di 8,4 milioni di abitanti, il numero di controlli eseguiti è di 350.000, ovvero 1 misura
ogni 24 abitanti. Se ne deduce che, in questo Paese, il valore medio ha un’attendibilità elevata. In Italia, invece, il numero
di analisi eseguite è solo di 4.800 a fronte di una popolazione di 56.8 milioni di abitanti, ovvero pari a 1 misura ogni 11.800
abitanti (senza contare che alcune regioni non sono state oggetto di controlli). Il risultato è che il valore medio italiano di
77 Bq/m 3 è solo una indicazione generica e per molti versi fuorviante.
Protezione da radon: un nuovo dovere per i professionisti dell’edilizia?
La protezione da radon, pone, per i professionisti dell’edilizia, le seguenti domande:
l la protezione dal radon significa un’ulteriore responsabilità, che richiede conoscenze tecniche supplementari?
l si è a conoscenza del fatto di essere esclusi dalla progettazione delle opere di risanamento che la legge assegna, in via
esclusiva, agli esperti qualificati?
l come possono medici e/o fisici esperti qualificati firmare le progettazioni di interventi di ristrutturazione edilizia?
Evidentemente, la cultura della protezione da radiazioni ionizzanti presente nel Paese ha fuorviato il Legislatore dal
problema reale della radioattività naturale, che è, in primo luogo, un problema geologico e, quindi, per estensione al
parco immobiliare, architettonico. Da questi vizi normativi discendono conseguenze imprevedibili, tipiche di un Paese in
cui vigono spesso norme inapplicabili e, quindi, disattese.
La risposta sta nella valutazione della problematica concernente il radon; chi è esposto a questo gas, infatti, corre un
maggiore pericolo di cancro al polmone con un livello di rischio direttamente proporzionale alla concentrazione. C’è,
infatti, concordia nel ritenere che non vi sia un livello al di sotto del quale il radon sia innocuo. In Italia, in centinaia di
migliaia di edifici, la concentrazione di radon costituisce, come detto, un rischio eccessivo per la salute di persone che non
vengono, peraltro, tutelate dalla legislazione.
La deontologia, anche in assenza di una normativa coercitiva, imporrebbe di individuare queste case mediante misurazioni
e, quindi, di risanarle. Per i professionisti dell’edilizia le conseguenze sono:
l rendere pubblica la problematica del radon in modo che venga presa in seria considerazione come suggeriscono tutte le
organizzazioni di sanità pubblica internazionali;
l per chi effettua lavori di ristrutturazione in edifici esistenti, accertare se vi sia presenza di radon. Normalmente, questo
significa stimare la concentrazione, attraverso misurazioni che risultano essere economiche e facili da eseguire. Nel caso in
cui la concentrazione di radon sia irrilevante, la questione per il risanamento viene risolta definitivamente;
l in caso di nuove costruzioni, per dovere di diligenza, chi stende il progetto deve chiarire se il terreno su cui si effettua la
costruzione sia classificato come area a elevata concentrazione di radon. Se si costruisce in un’area del genere, è necessario
adottare le misure preventive descritte nei manuali di risanamento da gas radon come quello pubblicato, recentemente, dal
Sole 24 ORE con il titolo Radon. Tecniche di misura e risanamento con elementi di calcolo, modulistica e legislazione di base
(novembre 2002; 19,00 ∴), comprendente, non a caso, un abaco per la valutazione delle perdite di carico nelle tubazioni;
l poiché non esiste una concentrazione al di sotto della quale il radon risulta innocuo, è sempre opportuno adottare
misure (senza spese aggiuntive o perlomeno economiche) in grado di aumentare la protezione da questo gas.
Per conoscere l’elenco delle librerie specializzate più vicine
chiama il numero del servizio clienti 02 4587010
[3] «Attuazione della direttiva 96/29/EURATOM in materia di protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i rischi
derivanti dalle radiazioni ionizzanti»(in S.O. n. 140, alla Gazzetta Ufficiale del 31 agosto 2000, n. 203).
[4] «Raccomandazione della Commissione del 20 dicembre 2001 sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radon nell’acqua
potabile» (in G.U.C.E. L del 28 dicembre 2001, n. 344).
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