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pag. 143-184 - Siapec

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RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

Napoli, 27-30 MAGGIO 2004


cgsdg<br />

Riunione Primaverile SIAPEC – Divisione Italiana IAP<br />

Napoli, 27-29 Maggio 2004<br />

COORDINATORI DEL COMITATO SCIENTIFICO E ORGANIZZATORE<br />

Gaetano De Rosa (Napoli)<br />

Oscar Nappi (Napoli)<br />

COMITATO SCIENTIFICO<br />

Bruno Agostini ( Napoli)<br />

Pasquale Angrisani (Salerno)<br />

Gerardo Botti (Napoli)<br />

Angelo Paolo Dei Tos (Treviso)<br />

Luigi Di Bonito (Trieste)<br />

Roberto Fiocca (Genova)<br />

Pietro Gallo (Roma)<br />

Giovannino Massarelli (Sassari)<br />

Vito Ninfo (Padova)<br />

GuidoPettinato (Napoli)<br />

Luigi Ruco (Roma)<br />

Fabio Maria Vecchio (Roma)<br />

COMITATO ORGANIZZATORE<br />

Arturo di Blasi (Benevento)<br />

Vittoria Donofrio (Napoli)<br />

Umberto Ferbo (Avellino)<br />

Giacinto Forte (Napoli)<br />

Francesco Maria Maiello (Napoli)<br />

Pietro Micheli (Napoli)<br />

Ferdinando Quarto (Castellammare di Stabia)<br />

Renato Rossi (Caserta)<br />

Raffaele Rossiello (Napoli)


Corsi Brevi<br />

INDICE PER ARGOMENTI<br />

I Linfomi Extranodali. Profili diagnostici. “Peculiarità di sede”. Mimics <strong>pag</strong>. 147<br />

Nuovi orizzonti della Citologia: dalla “Citodiagnostica” alla “Citodiagnostica biotecnologica” ” 158<br />

L’Apoptosi. Dai meccanismi molecolari agli aspetti applicativi ” 163<br />

Comunicazioni libere<br />

1. Citodiagnostica, Ematopatologia, Patologia mammaria, Biologia molecolare ” 167<br />

2. Patologia polmonare. Patologia varia ” 173<br />

3. Procedure tecniche, Patologia gastroenterologica, Dermatopatologia ” 179<br />

Indice analitico per Autori ” 185


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PATHOLOGICA 2004;96:147-157<br />

Linfomi della tiroide<br />

F. Menestrina<br />

Anatomia Patologica, Università di Verona<br />

Anche se i dati a nostra disposizione sono di relativo significato<br />

epidemiologico, in quanto fanno riferimento a segnalazioni<br />

casistiche raccolte da singole istituzioni e non a studi epidemiologici<br />

effettuati su base geografica, i linfomi della tiroide sono<br />

neoplasie rare e sono nella stragrande maggioranza dei casi<br />

forme primitive; la diffusione alla tiroide di linfomi insorti in<br />

altre sedi è infatti un fenomeno di rara osservazione. I linfomi<br />

primitivi costituiscono all’incirca il 5% delle neoplasie<br />

tiroidee, nell’ambito dei linfomi extranodali rappresentano il<br />

7% e il 9% dei linfomi extranodali della regione testa-collo. La<br />

maggior parte dei linfomi appartengono alla linea B e cadono<br />

principalmente in due categorie: a) linfoma diffuso a grandi<br />

cellule (DLBCL); b) linfoma della zona marginale (MZL).<br />

Il DLBCL è l’entità relativamente più frequente e per il fatto<br />

che può essere associato, almeno focalmente, ad aree tipo<br />

MZL, è verosimile che talora rappresenti l’evoluzione verso<br />

l’alta malignità di un precedente MZL. In circa la metà dei casi<br />

tuttavia il linfoma non mostra una componente a piccole cellule<br />

ed è verosimile che insorga primitivamente come tale. Dal<br />

punto di vista morfologico non presenta aspetti diversi dai DL-<br />

BCL ad insorgenza linfonodale e il principale problema diagnostico<br />

è rappresentato dalla diagnosi differenziale con le neoplasie<br />

non linfoidi della tiroide. In quest’ultimo ambito le<br />

indagini immunoistochimiche rappresentano uno strumento<br />

essenziale per raggiungere una precisa definizione diagnostica.<br />

Il MZL è una forma di identificazione relativamente recente<br />

che condivide le stesse caratteristiche generali comuni ai<br />

MZL ad insorgenza nelle altre sedi extranodali. La fisiologica<br />

mancanza di tessuto linfoide associato alle mucose<br />

(MALT) nella tiroide è sopperita dalla presenza di un MALT<br />

acquisito nel contesto di una tiroidite autoimmune, linfocitaria<br />

o di Hashimoto. Le indagini immunoistochimiche possono<br />

essere particolarmente utili nella sua definizione: con<br />

l’uso combinato di citocheratine e di CD20 l’identificazione<br />

delle lesioni linfo-epiteliali è notevolmente facilitata. La differenziazione<br />

plasmacellulare può essere particolarmente<br />

marcata tanto da mascherare la componente linfocitaria e da<br />

indurre alla diagnosi, verosimilmente non adeguata, di plasmocitoma<br />

extrascheletrico.<br />

Dal punto di vista clinico sono per lo più in stadio I o II e presentano<br />

una discreta risposta alla terapia. Questa può essere<br />

rappresentata dalla chirurgia da sola, soprattutto nelle forme<br />

di MZL, o in associazione alla radio e alla chemioterapia.<br />

Anche altre forme di linfomi non-Hodgkin B possono localizzarsi<br />

alla tiroide, ma sono di riscontro notevolmente più<br />

raro. Di rilevanza quasi aneddotica sono le segnalazioni di<br />

linfomi ad immunofenotipo T.<br />

CORSO BREVE<br />

I Linfomi Extranodali. Profili diagnostici.<br />

”Peculiarità di sede”. Mimics<br />

MODERATORE: F. FACCHETTI, BRESCIA<br />

I linfomi del tratto gastrointestinale<br />

G. Pettinato<br />

Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione<br />

di Anatomia Patologica e Citopatologia, Università<br />

“Federico II” di Napoli<br />

I linfomi extranodali appaiono essere di grande interesse dal<br />

momento che essi sono frequenti e vengono diagnosticati sia<br />

dal patologo generale che dall’ematopatologo. Molte delle più<br />

recenti classificazioni dei linfomi interessano proprio i linfomi<br />

extranodali riconoscendo importanti entità con diverse implicazioni<br />

cliniche e biologiche. La monografia che descrive la<br />

nuova classificazione WHO dei tumori dei tessuti linfoidi ed<br />

ematopoietici rappresenta una insostituibile fonte di informazioni.<br />

In questa classificazione più di dieci categorie di linfomi<br />

sono rappresentate da linfomi extranodali.<br />

Il tratto gastrointestinale (TGI) rappresenta la sede più frequente<br />

dei linfomi extranodali (4-18% nei paesi occidentali, più<br />

del 25% nei paesi del medio oriente); nello stomaco sono valutati<br />

come il 10% di tutte le lesioni maligne, nel piccolo intestino<br />

come il 30-50%, e nel grosso intestino come lo 0,2-0,5%).<br />

Verranno discussi tre casi paradigmatici di linfomi del TGI:<br />

1. Linfoma extranodale gastrico a cellule B della zona marginale<br />

del tessuto linfoide associato alla mucosa (MALT); 2.<br />

Linfoma mantellare intestinale (poliposi linfomatosa); 3.<br />

Linfoma a cellule T associato ad enteropatia (EATL).<br />

Linfoma gastrico della zona marginale tipo MALT<br />

Definizione<br />

Questo è un linfoma a cellule B di basso grado definito dalla<br />

sua ricapitolazione del tessuto linfoide intestinale esemplificato<br />

nelle placche di Peyer. Questo include follicoli/centri<br />

germinativi con il loro mantello, zone più periferiche marginali,<br />

plasmacellule e cellule B intraepiteliali.<br />

La grande maggioranza dei linfomi gastrici MALT è associata<br />

con infezione da Helicobacter pilori.<br />

– H. pylori origina l’accumulo di MALT (gastrite con follicoli).<br />

– H. pylori è trovato in associazione con i linfomi, sebbene i<br />

microrganismi siano più numerosi nella gastrite.<br />

– Le cellule T presenti rispondono al H. pylori e stimolano le<br />

cellule B che formano autoanticorpi.<br />

I linfomi gastrici MALT dovrebbero essere identificati per<br />

scopi clinici.<br />

– Molti linfomi gastrici MALT rispondono a terapia antibiotica<br />

eradicante l’H. Pylori (tempo medio per la remissione<br />

5 mesi, 3-18 mesi).<br />

– Trasformazione in linfoma a grandi cellule può verificarsi e<br />

questa è una ragione per il fallimento del trattamento antibiotico<br />

(insieme a disseminazione, casi H. pylori negativi, e<br />

alcune anormalità genotipiche/cariotipiche-vedi sotto).<br />

– I linfomi gastrici MALT sono indolenti e spesso le morti<br />

che si verificano avvengono per carcinomi piuttosto che<br />

per linfoma.


148<br />

Istopatologia del linfoma gastrico MALT<br />

– Infiltrato diffuso nella lamina propria con centri germinativi<br />

con o senza colonizzazione follicolare.<br />

– Infiltrazione e distruzione dell’epitelio criptico, cosiddetta<br />

lesione linfo-epiteliale (LEL).<br />

– Cellule della zona marginale/monocitoidi/simil-centrocitiche.<br />

– Piccoli linfociti B, plasmacellule (reattive o neoplastiche),<br />

sparsi immunoblasti.<br />

Lo studio immunofenotipico è critico nella valutazione degli<br />

infiltrati linfoidi gastrici per:<br />

– Stabilire la diagnosi di linfoma.<br />

– Stabilire l’origine B-cellulare (escludere un inusuale linfoma<br />

a cellule T).<br />

– Escludere linfomi a cellule B non-MALT che possono avere<br />

origine nel TGI.<br />

Immunofenotipo<br />

– CD 20+ CD79a+ CD22+ CD5- CD10- bcl-6- cyclin D1-<br />

IgM+ IgA-/+ IgD-.<br />

Alterazioni genetiche ed eventi molecolari di interesse pratico<br />

e biologico nel linfoma gastrico MALT – una corrente<br />

area di ricerca<br />

– La più comune anomalia cromosomica numerica è la trisomia<br />

3 (fino al 60%) ma questo aspetto non è specifico.<br />

– t(11;18)(q21;q21) coinvolgente i geni API2 (apoptosis<br />

inhibitor-2) e MALT1 (human paracaspase).<br />

– t(1;14)(p22;q32) coinvolgente i geni BCL10 e IgH.<br />

– Mutazioni del gene BCL10 e anormalità nella sua espressione.<br />

– t(14;18)(q32;q21) con riarrangiamento MALT1-IgH recentemente<br />

descritto in un subset di linfomi MALT (polmone,<br />

altri).<br />

– t(11;18)(q21;q21) presente in circa il 30% dei casi di linfoma<br />

gastrico MALT. Dimostrabile con la citogenetica classica,<br />

FISH & RT-PCR.<br />

– Quando presente, è di solito la sola anormalità citogenetica.<br />

– L’effetto biologico è correlato ad una diminuita apoptosi e<br />

all’attivazione di NF-kB, un fattore di trascrizione pleiotropico<br />

per molecole di sopravvivenza cellulare.<br />

– Il prodotto di fusione ma non API2 o MALT1 da soli attivano<br />

NF-kB.<br />

– Nei linfomi gastrici MALT la traslocazione è associata ad<br />

assenza di risposta agli antibiotici e a malattia disseminata.<br />

– È associata ad espressione nucleare anormale di BCL10.<br />

Linfoma a cellule del mantello (poliposi linfomatosa<br />

multipla)<br />

– Non tutti i linfomi del TGI sono di tipo MALT.<br />

– Linfomi “nodali” possono interessare sedi extranodali.<br />

– Le implicazioni clinico-terapeutiche di una diagnosi di<br />

linfoma a cellule mantellari vs. un MALT linfoma sono importanti.<br />

– La poliposi linfomatosa multipla è una entità clinico-patologica<br />

di solito associata con linfoma a cellule mantellari<br />

ma talvolta con linfoma follicolare, MALT e rari linfomi a<br />

cellule T.<br />

Istologia del linfoma a cellule mantellari del TGI<br />

– Infiltrazione monotona diffusa o vagamente nodulare di<br />

piccoli linfociti atipici con variabile irregolarità nucleare<br />

spesso attorno a centri germinativi “nudi”.<br />

– In alcuni casi colonizzazione dei centri germinativi con risultante<br />

aspetto di crescita follicolare.<br />

– In contrasto con altri linfomi a piccole cellule B, cellule neoplastiche<br />

trasformate (blasti) in genere non sono presenti.<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

– Può essere presente infiltrazione dell’epitelio (LEL) mimando<br />

un linfoma MALT.<br />

Immunofenotipo<br />

– CD20+ CD 79a+ Cyclin D1+ IgD+ CD23- CD10- BCL6-<br />

Ciclina D1<br />

– L’overespressione di ciclina D1 nel linfoma mantellare è<br />

dovuta alla traslocazione t(11;14)(q13;q32) che coinvolge<br />

il gene ciclina D1 (BCL1, CCND1, PRAD1) e il gene IgH.<br />

– Con una buona immunofenotipizzazione con colorazione<br />

per ciclina D1, studi genotipici e di citogenetica convenzionale<br />

non sono richiesti (questi sono negativi in almeno<br />

il 25% dei casi).<br />

– La FISH è un metodo molto sensibile per documentare la<br />

traslocazione t(11;14).<br />

– Attenzione! L’espressione di ciclina D1 non è specifica per<br />

linfoma a cellule mantellari (una minoranza di mielomi<br />

con t(11;14), una variabile proporzione di HCL (no traslocazione),<br />

rari casi di B-CLL e linfoma marginale splenico).<br />

Poliposi linfomatosa multipla (classicamente rappresenta<br />

un linfoma a cellule mantellari)<br />

– Polipi multipli di grandezza variabile attraverso il TGI<br />

(stomaco al retto).<br />

– Grandi masse specialmente nell’area ileocecale.<br />

– Adulti-anziani, predominanza maschile.<br />

– Frequente ampia disseminazione.<br />

– Decorso aggressivo come altri linfomi a cellule mantellari;<br />

possono rispondere a chemioterapia di combinazione (riportata<br />

una sopravvivenza a 5 anni del 59%).<br />

Linfoma a cellule T associato a enteropatia (EATL)<br />

Definizione<br />

– Specifico sottotipo di linfoma intestinale a cellule T che<br />

occorre in associazione con la malattia celiaca (MC).<br />

Aspetti clinici<br />

– La più alta prevalenza di EATL si verifica in quelle aree<br />

con la più alta incidenza di MC.<br />

– L’età media alla diagnosi è 60 anni e c’è una moderata prevalenza<br />

maschile.<br />

– Molti pazienti hanno una corta storia di MC dell’adulto<br />

complicata da dolore addominale e perdita di peso; una<br />

proporzione minore ha una storia di MC fin dall’infanzia<br />

(malattia celiaca criptogenica o refrattaria).<br />

– La presentazione come una emergenza acuta con perforazione,<br />

ostruzione o emorragia, è comune; la prognosi è<br />

scarsa.<br />

Aspetti patologici<br />

– EATL è frequente nel digiuno, ma può aver origine in qualsiasi<br />

tratto intestinale; molti casi sono caratterizzati da ulcerazioni<br />

“infiammatorie” mucose multiple.<br />

– Le cellule neoplastiche sono in genere medio-grandi, con<br />

nuclei rotondi o angolari e nucleoli prominenti; una moderata<br />

quantità di citoplasma è di solito presente; occasionalmente<br />

il pleomorfismo cellulare è marcato e il tumore può<br />

mimare un ALCL o un HL; l’ulcerazione è comune e frequentemente<br />

si osserva una significativa componente di<br />

eosinofili, istiociti e altre cellule infiammatorie.<br />

– La mucosa non interessata caratteristicamente mostra atrofia<br />

villosa e linfocitosi intraepiteliale che è talvolta marcata.<br />

Immunofenotipo e genotipo<br />

– Le cellule neoplastiche mostrano positività citoplasmatica<br />

per CD3, e sebbene siano positive per TIA-1 (antigene granulare<br />

citotossico), sono negative per CD8 e CD4; i casi<br />

con grandi cellule anaplastiche sono caratteristicamente<br />

positivi per CD30.


CORSO BREVE: LINFOMI EXTRANODALI<br />

– Un subset di casi a cellule medio-piccole può mostrare una<br />

florida infiltrazione intraepiteliale di cellule positive per<br />

CD8 e CD56.<br />

– Studi genotipici hanno confermato il riarrangiamento monoclonale<br />

del gene TCR.<br />

– Una popolazione monoclonale di cellule T può essere dimostrata<br />

sia nel linfoma franco che nella mucosa apparentemente<br />

non interessata (low-grade intra-epithelial T-cell<br />

lymphoma).<br />

– Frequentemente associata con MC e EATL è la presenza di<br />

digiunite ulcerativa dove è stata dimostrata una popolazione<br />

abnorme di cellule T con perdita di CD8 e CD3 di superficie.<br />

– Una forma di sprue refrattaria, una atrofia villosa non responsiva<br />

alla dieta gluten-free, mostra anch’essa una popolazione<br />

abnorme di cellule T intraepiteliali.<br />

Conclusioni e aspetti pratici<br />

– Il linfoma MALT è frequentemente associato con l’infezione<br />

da Helicobacter pilori.<br />

– Il trattamento anti-Helicobacter ha basse probabilità di<br />

successo nei linfomi che comportano la traslocazione<br />

t(11;18).<br />

– La progressione verso un linfoma diffuso a grandi cellule<br />

B non è descritta in presenza della traslocazione t(11;18).<br />

– Il linfoma intestinale a celluleT associato ad enteropatia<br />

(EATL) è parte di uno spettro che include la digiunite ulcerativa<br />

e la sprue refrattaria.<br />

– Le anormalità fenotipiche in EATL possono essere riconosciute<br />

mediante l’immunoistochimica.<br />

Bibliografia<br />

Isaacson PG. Gastrointestinal lymphomas of T- and B-cell types. Mod<br />

Pathol 1999;12:151-8.<br />

Du M-Q, Isaacson PG. Gastric MALT lymphoma: from aetiology to<br />

treatment. Lancet Oncol 2002;3:97-104.<br />

Kinney MC, Swerdlow SH. Diagnosing extranodal lymphomas in the<br />

new millennium. 2003 Syllabus Short Course # 54. Washington D.C.:<br />

United States and Canadian Academy of Pathology 2003.<br />

Rooney N, Dogan A. Gastrointestinal lymphoma. Current Diagnostic<br />

Pathology 2004;10:69-78.<br />

Linfomi delle ghiandole salivari<br />

V. Stracca Pansa<br />

U.O. di Anatomia Patologica, Ospedale Civile, Venezia<br />

Linfoma non Hodgkin delle ghiandole salivari<br />

• Rappresenta il 5% dei casi dei linfomi extranodali e il 10%<br />

delle neoplasie delle ghiandole salivari minori.<br />

• Quasi sempre a fenotipo B.<br />

• L’istotipo più frequente è il linfoma tipo MALT, seguito dal<br />

linfoma follicolare e dal linfoma a grandi cellule diffuse.<br />

• Più raramente sono stati segnalati il linfoma a T cellule periferiche,<br />

T/NK e linfoma di Burkitt.<br />

• Pazienti senza malattie autoimmuni possono sviluppare<br />

tutti i tipi istologici dei linfomi non Hodgkin.<br />

• Di questi, il linfoma follicolare è il più comune, probabilmente<br />

originario dai linfonodi intra- o perighiandolari.<br />

• Non sono state dimostrate differenze significative nella traslocazione<br />

t (14;18) rispetto ai linfomi follicolari di altre<br />

sedi.<br />

Linfoma follicolare della ghiandola salivare (Kojima, 2001)<br />

• Su 20 casi di linfoma primitivo delle ghiandole salivari, sono<br />

stati identificati 6 casi di linfoma follicolare.<br />

149<br />

• I pazienti, 4 donne e 2 uomini, avevano un’età media di 50<br />

anni.<br />

• In 4 casi il linfoma apparteneva alla ghiandola parotide e in<br />

2 casi alla ghiandola sottomandibolare.<br />

• Il grading dei linfomi follicolari era in 4 casi di grado 2 e<br />

in 2 casi di grado 3.<br />

• Istologicamente è stato evidenziato infiltrato linfocitico<br />

periduttale, sialoadenite mioepiteliale (2 casi).<br />

• Immunofenotipo: CD10+, CD79a+, Bcl6+, CD3-, CD5-,<br />

CD21-, CD23-, Ciclina D1-.<br />

• La proteina Bcl2 era espressa in 3 casi e p53 in 4 casi.<br />

• Genotipo: in due casi era evidente clonalità (PCR positiva<br />

per riarrangiamento clonale del gene IgH delle immunoglobuline).<br />

• La traslocazione Bcl2/IgH è stata evidenziata in un solo caso.<br />

• La prognosi è stata favorevole per tutti i casi.<br />

• I linfomi follicolari originati nelle ghiandole salivari hanno<br />

alcune delle caratteristiche dei linfomi MALT (prognosi indolente,<br />

presenza di sialoadenite mioepiteliale e rarità nel<br />

riarrangiamento del gene Bcl2).<br />

Linfoma primitivo a T cellule della ghiandola salivare (Hew<br />

et al., 2002)<br />

• Estremamente raro.<br />

• Immunoistochimica e riarrangiamento genico del TCR in<br />

PCR è indispensabile per confermare la natura feno- e genotipica<br />

della neoplasia.<br />

• Sono stati riportati finora 14 casi di linfoma primitivo a<br />

cellule T (la maggior parte in Oriente) e con prognosi estremamente<br />

variabile.<br />

• I linfomi con fenotipo T/NK sono associati a infezione da<br />

EBV.<br />

• Gli aspetti morfologici del linfoma a T cellule possono essere<br />

confusi con quelli del linfoma a B cellule extranodale<br />

marginale.<br />

Infiltrati linfoidi B delle ghiandole salivari<br />

• Benigni.<br />

• MESA/LESA, policlonale.<br />

• Borderline.<br />

• MESA/LESA, monoclonale.<br />

• MESA/LESA, con aloni di cellule B monocitoidi/centrocitosimili.<br />

• Linfoma a basso grado.<br />

• Tipo MALT.<br />

• Linfoma ad alto grado.<br />

• A grandi cellule B.<br />

LESA/MESA<br />

• La sialoadenite linfoepiteliale (LESA) può essere associata<br />

con la sindrome di Sjogren o con altre malattie del tessuto<br />

connettivo, in particolare l’artrite reumatoide; può talora<br />

manifestarsi in pazienti senza altre malattie associate.<br />

• 1952: Godwin: lesioni patologiche identificate come malattia<br />

di Mikulicz sono rappresentate nelle ghiandole salivari<br />

da iperplasia linfoide e alterazioni epiteliali: conia il<br />

termine “lesione linfoepiteliale benigna”.<br />

• 1953: Morgan e Castlemann: le lesioni linfoepiteliali sono<br />

costituite da cellule epiteliali e mioepiteliali proliferanti introducendo<br />

il termine MESA (sialoadenite mioepiteliale).<br />

• Attualmente si ritiene che le cellule non linfoidi coinvolte<br />

nelle lesioni siano cellule epiteliali basali, non mioepiteliali.<br />

Lo sviluppo delle lesioni duttali originano dall’iperplasia<br />

dei dotti striati con differenziazione aberrante in epite-


150<br />

lio multistratificato e reticolato, con profonde alterazioni<br />

del pattern delle citocheratine.<br />

• Il termine LESA/MESA viene usato per descrivere una patologia<br />

caratterizzata da strutture istologiche costituite da<br />

cellule B della zona marginale o monocitoidi che circondano<br />

e infiltrano l’epitelio nel tessuto linfoide associato alla<br />

mucosa (MALT).<br />

Struttura delle lesioni linfoepiteliali (isole epi-mioepiteliali)<br />

(Metwaly et al., 2003)<br />

• Cellule epiteliali di tipo duttale, cheratina positive (CD31-<br />

CD34+).<br />

• Cellule endoteliali vascolari (formanti “sheets” o strutture<br />

tubulari).<br />

• Linfociti CD20+, linfociti CD3+, macrofagi CD68+.<br />

• Le strutture ialine della matrice extracellulare risultano<br />

dalla angiogenesi da parte delle cellule endoteliali con la<br />

cooperazione delle cellule infiammatorie.<br />

• La vascolarizzazione intra- lesione linfoepiteliale supporta<br />

la rigenerazione e la proliferazione delle cellule epiteliali<br />

salivari.<br />

Sindrome di Sjogren (SS)<br />

• È una malattia cronica autoimmune caratterizzata da sintomi<br />

classici di secchezza degli occhi e della bocca.<br />

• Cheratocongiuntivite secca.<br />

• Xerostomia.<br />

• Infiltrati linfoidi nelle ghiandole salivari minori del labbro<br />

inferiore.<br />

• Ingrandimento delle parotide, bilaterale.<br />

• S.S. secondaria: associazione con malattie autoimmuni sistemiche<br />

(LES, sclerodermia, artrite reumatoide).<br />

• Colpisce soprattutto donne nella IV e V decade.<br />

• La biopsia del labbro inferiore mostra una o più foci di 50<br />

o più linfociti in 4 mm quadrati nelle ghiandole salivari accessorie.<br />

• I pazienti con S.S. hanno un’incidenza di linfomi maligni,<br />

usualmente un linfoma MALT, 44 volte superiore rispetto<br />

alla popolazione normale.<br />

• Dei pazienti con sindrome di Sjogren circa il 6% sviluppa<br />

linfomi nelle ghiandole salivari o lacrimali, o talora in altre<br />

sedi extranodali.<br />

• Nell’80% dei casi il linfoma si sviluppa nella parotide.<br />

• Tutti i pazienti affetti da S.S. hanno alterazioni istologiche<br />

caratterizzate da lesioni linfoepiteliali.<br />

La biopsia delle ghiandole salivari minori nella diagnosi della<br />

sindrome di Sjogren (Mahlstedt et al., 2002)<br />

• Le biopsie delle ghiandole salivari minori labiali sono state<br />

ottenute da 32 pazienti (22 con sindrome di Sjogren primitiva,<br />

e 10 secondaria).<br />

• L’osservazione istopatologica ha evidenziato ghiandole salivari<br />

minori normali nel 37,5% dei casi e scialoadenite<br />

cronica nel 59,4% dei casi. Solo uno aveva modificazioni<br />

caratteristiche di MESA.<br />

• La biopsia delle ghiandole salivari minori è un metodo non<br />

idoneo per la evidenziazione di MESA nella diagnosi della<br />

sindrome di Sjogren.<br />

Diagnosi differenziale LESA/MESA vs linfoma tipo MALT<br />

• Il punto più critico è la distinzione tra lesioni benigne tipo<br />

LESA/MESA e il linfoma a basso grado tipo MALT.<br />

• Gli aspetti istopatologici del LESA/MESA includono due<br />

pattern differenti.<br />

– pattern A: infiltrato linfoide benigno.<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

– pattern B: lesioni linfoproliferative.<br />

Pattern A: infiltrato linfoide benigno<br />

• L’architettura lobulare della ghiandola è preservata.<br />

• Le lesioni linfoepiteliali sono frequenti.<br />

• L’infiltrato linfoide monocitoide/centrocitosimile è limitato<br />

alle lesioni linfoepiteliali.<br />

• Sono comuni follicoli reattivi senza espansione della zona<br />

marginale o del mantello e un discreto numero di plasmacellule<br />

policlonali.<br />

Pattern B: lesioni linfoproliferative<br />

• Processo diffuso o multifocale.<br />

• È preservata l’architettura della maggior parte degli acini.<br />

• Sono presenti aggregati di cellule centrocitosimili nell’infiltrato<br />

linfoide diffuso.<br />

• Possono essere presenti aree di restrizione delle catene leggere<br />

delle immunoglobuline.<br />

MLDUS (monoclonal lymphoproliferative disease of undetermined<br />

significance)<br />

• Limitate in estensione.<br />

• Composti da piccoli linfociti.<br />

• Riarrangiamento delle immunoglobuline.<br />

• L’evidenza di cloni di cellule B in casi di LESA/MESA<br />

non correla con l’evidenza morfologico-clinica di linfoma<br />

MALT.<br />

• Stretto follow-up con ri-biopsia in caso di lesione ricorrente<br />

o persistente.<br />

Criteri nella diagnostica differenziale MESA/LESA vs linfoma<br />

MALT (Quintana et al., 1997)<br />

• Nei linfomi MALT è comune l’invasione dei tessuti molli<br />

e perineurale.<br />

• Il coinvolgimento dei linfonodi è prerogativa del linfoma<br />

MALT.<br />

• Il fenotipo CD43+ si osserva più frequentemente nel linfoma<br />

MALT, ma può essere presente in tutte le altre categorie,<br />

eccetto il MALT di alto grado.<br />

• Clonalità delle cellule B: nel 40% delle LESA/MESA,<br />

60% del LESA/MESA con alone, 80% nei linfomi MALT,<br />

60% nel linfoma MALT con plasmacellule monoclonali, e<br />

in tutti i linfomi MALT ad alto grado.<br />

• Vengono evidenziati due tipi di lesione borderline all’interno<br />

dello spettro della proliferazione linfoide associata a<br />

MESA/LESA.<br />

• con cellule clonali B senza aspetti istologici di neoplasia.<br />

• con cellule B monocitoidi con alone non confluenti.<br />

• È ancora da definire l’approccio terapeutico ottimale per le<br />

lesioni borderline e a basso grado.<br />

Linfoma in sindrome di Sjogren (Parke, et al.)<br />

• I linfomi maligni insorgono in meno del 10% dei pazienti<br />

con sindrome di Sjogren.<br />

• Sono usualmente di basso grado.<br />

• La trasformazione in linfoma è più frequente nella sindrome<br />

di Sjogren primitiva.<br />

• Sono particolarmente a rischio i pazienti con persistente ingrandimento<br />

della ghiandola salivare, linfoadenopatia e<br />

malattia extra-ghiandolare.<br />

• Pazienti con linfoma o sindrome di Sjogren secondaria,<br />

hanno una prognosi peggiore rispetto a pazienti con linfoma<br />

e sindrome di Sjogren primitiva.<br />

Sviluppo del linfoma MALT nella sindrome di Sjogren<br />

• Il follow-up molecolare di lesioni linfoproliferative a B<br />

cellule nella sindrome di Sjogren, dallo stadio non maligno


CORSO BREVE: LINFOMI EXTRANODALI<br />

al linfoma manifesto, indica un ruolo importante nell’accumulo<br />

di mutazioni somatiche.<br />

Linfoma MALT<br />

• Ha un discreto rischio di trasformazione in alto grado.<br />

• Non vi sono attualmente criteri istologici o immunologici<br />

per predire con attendibilità l’evoluzione e la prognosi.<br />

• Comportamento clinico indolente.<br />

• Normalmente rimane localizzato alla ghiandola salivare.<br />

• Infiltrato linfoide denso diffusamente interessante la ghiandola<br />

salivare.<br />

• Le cellule linfoidi esprimono immunoglobuline di superficie<br />

monotipiche.<br />

• Può esserci una componente ad alto grado.<br />

• Follicoli linfoidi reattivi e lesioni linfoepiteliali diffuse.<br />

• A differenza della LESA/MESA le cellule centrocitosimili<br />

formano estesi aloni attorno ai nidi di cellule epiteliali e fra<br />

le lesioni linfoepiteliali.<br />

Profilo immunofenotipico dei linfomi MALT e delle<br />

LESA/MESA<br />

• CD20+ CD43+/- Bcl2+/-.<br />

• CD43: la coespressione CD43 sulle cellule B monocitoidi<br />

non correla con istotipo, clonalità, o presenza di linfoma.<br />

• L’emergenza di una popolazione monoclonale in un quadro<br />

di LESA/MESA con cellule monocitoidi preannuncia la<br />

trasformazione in un linfoma maligno, sebbene sono probabilmente<br />

richieste alterazioni genetiche successive per la<br />

progressione e la disseminazione.<br />

Biologia Molecolare nei linfomi MALT e nelle lesioni<br />

LESA/MESA<br />

• L’espressione di cloni di cellule linfoidi B è un evento precoce.<br />

• Clonalità è stata dimostrata in più del 50% dei casi LE-<br />

SA/MESA.<br />

• I cloni persistenti possono dar luogo a linfomi maligni, ma<br />

la frequenza di questa trasformazione è sconosciuta.<br />

• È stato proposto il termine di malattia linfoproliferativa<br />

monoclonale di significato indeterminato (MLDUS).<br />

Traslocazioni cromosomiche specifiche del linfoma MALT<br />

• T (11,18) (q21; q21) è una traslocazione cromosomica specifica<br />

associata al linfoma MALT.<br />

• È presente con alta frequenza nei linfomi MALT del polmone<br />

(38%) e stomaco (24%).<br />

• Solo raramente (1%) è stato evidenziato nei linfomi<br />

MALT delle ghiandole salivari.<br />

• È assente nei linfomi MALT localizzati alla tiroide, cute,<br />

fegato e in altre sedi più rare.<br />

• IRTA 1 (immunoglobulin superfamily receptor traslocation-associated<br />

1) è un recettore di superficie delle cellule<br />

B espresso selettivamente da una popolazione di cellule B<br />

della zona marginale dei follicoli e nei linfomi MALT-associati.<br />

• IRTA 1 ha un ruolo nella funzione immunitaria delle cellule<br />

B negli epiteli.<br />

Anomalie citogenetiche nella sindrome di Sjogren e nei linfomi<br />

MALT (Ihrler et al., 2000)<br />

• Nessun caso di MESA/LESA mostra anomalie citogenetiche.<br />

• La maggior parte dei linfomi alto grado, e una bassa percentuale<br />

(circa il 10%) dei linfomi a basso grado, mostra<br />

complesse alterazioni cromosomiche e non- diploidia del<br />

DNA nella citometria a flusso.<br />

151<br />

• Circa la metà dei linfomi a basso grado mostra una o due<br />

aberrazioni cromosomiche numeriche evidenziate con ibridazione<br />

in situ.<br />

Sequenze HHV8 in linfoma MALT associato alla sindrome di<br />

Sjogren (Klussmann et al., 2003)<br />

• In un caso di linfoma MALT della parotide associato a sindrome<br />

di Sjogren, è stata evidenziata la sequenza HHV8<br />

con PCR, Elisa, IFA.<br />

• In immunoistochimica la colorazione era positiva nelle cellule<br />

aciniche e negativa nelle cellule linfomatose.<br />

Presentazioni del linfoma MALT in altre condizioni<br />

• Nelle infezioni da HIV è stata descritta una condizione infiammatoria<br />

cronica con modificazioni cistiche bilaterali<br />

delle ghiandole parotidi associate a linfoma MALT.<br />

Linfoma MALT in sialoadenite cronica sclerosante (Kuttnertumor)<br />

(Ochoa et al., 2002)<br />

• La sialoadenite sclerosante cronica è una lesione infiammatoria<br />

cronica fibrotica della ghiandola sottomandibolare<br />

derivata da una sialolitiasi e non associata a una malattia<br />

autoimmune sistemica.<br />

• Viene presentato un caso di linfoma MALT associato a tale<br />

condizione, non accom<strong>pag</strong>nato né a sindrome di Sjogren,<br />

né a LESA.<br />

• Processi infiammatori cronici diversi dalla sindrome di<br />

Sjogren, possono fornire un substrato allo sviluppo del<br />

linfoma MALT delle ghiandole salivari.<br />

Linfomi degli annessi oculari<br />

G. De Rosa, R. Franco<br />

Università “Federico II” e Istituto dei Tumori “G. Pascale”,<br />

Napoli<br />

Il significato clinico ed istopatologico degli infiltrati linfoidi<br />

dell’orbita è stato tradizionalmente assai controverso.<br />

Si stima, infatti, che in passato l’indice di accuratezza della<br />

diagnosi istopatologica in funzione della capacità di predire<br />

il decorso clinico era tra i 30-50% 1 . Da una parte la lunga<br />

sopravvivenza libera da malattia di pazienti, cui veniva formulata<br />

diagnosi di linfoma e, dall’altra, lo sviluppo di<br />

malattia sistemica in pazienti, cui venivano diagnosticati infiltrati<br />

linfoidi benigni non hanno consentito di individuare<br />

elementi clinici e patologici che potessero in modo inequivocabile<br />

definire chiari criteri diagnostici. L’errore diagnostico<br />

e l’inaccuratezza prognostica sono stati determinati da<br />

diversi problemi. In primo luogo, le lesioni linfoproliferative<br />

degli annessi oculari classificate secondo i criteri standard<br />

come linfomi hanno un decorso comunque piuttosto<br />

indolente, come già descritto per altri linfomi extranodali,<br />

con elevata percentuale di guarigione a fronte di minimi interventi<br />

terapeutici. In secondo luogo, la maggior parte<br />

degli infiltrati linfoidi degli annessi oculari sono costituiti<br />

da piccole cellule, talora di complessa interpretazione<br />

istopatologica, connessa con la definizione di malignità di<br />

queste neoplasie, spesso risolvibili solo con complessi studi<br />

di clonalità. Infine, la mancanza di estese casistiche, vista<br />

la relativa rarità di tale entità nosologica, non ha permesso<br />

una chiara distinzione delle lesioni maligne rispetto a quelle<br />

benigne 2 3 .<br />

Lo storico lavoro di Knowles, risalente a circa 20 anni fa,<br />

definì come fondamentali gli studi immunofenotipici e di


152<br />

clonalità per caratterizzare gli infiltrati linfoidi degli annessi<br />

oculari e distinguere le proliferazioni benigne dai linfomi 4 .<br />

Sempre Knowles, in una casistica di 108 casi di linfomi degli<br />

annessi oculari, osservò che spesso il quadro morfologico ed<br />

immunofenotipico aveva un valore predittivo inferiore<br />

rispetto ad alcuni aspetti clinici, quale la sede di insorgenza e<br />

l’estensione della malattia alla diagnosi, così come avviene<br />

in altri linfomi extranodali 5 .<br />

I linfomi degli annessi oculari, che mostrano aspetti di<br />

sovrapposizione con le cosiddette iperplasie linfoidi, raggruppano<br />

storicamente i linfomi dell’orbita, delle ghiandole<br />

lacrimali, della congiuntiva e delle palpebre 5 . Essi rappresentano<br />

il 90% di tutti gli infiltrati linfoidi degli annessi oculari.<br />

La maggior parte dei linfomi degli annessi oculari, con proporzioni<br />

variabili nelle diverse casistiche dal 50%-80%, derivano<br />

dal tessuto MALT (mucosa associated lymphoid tissue),<br />

acquisito a seguito di stimoli infettivi o autoimmunitari<br />

6 . Una minor quota (10-20%) è rappresentata dai linfomi<br />

follicolari, linfomi a grandi cellule B, linfomi a piccoli<br />

linfociti e linfomi mantellari. Rari i linfomi a cellule T e<br />

T/NK primitivi dell’orbita 6 .<br />

I linfomi MALT degli annessi oculari mostrano caratteristiche<br />

morfologiche ed immunofenotipiche sovrapponibili a<br />

quelle degli altri distretti. Sono caratterizzati da centri germinativi<br />

residui “colonizzati” e da una popolazione neoplastica<br />

diffusa di cellule monocitoidi, centrocyte-like e plasmocitoidi<br />

in differenti proporzioni. Possono esservi associate grandi<br />

cellule singole o raggruppate in clusters, senza, però, comportare<br />

un andamento particolarmente più aggressivo. Possono<br />

essere presenti complessi linfoepiteliali. In una serie di<br />

casi di linfomi B degli annessi cutanei da noi studiati, 39 erano<br />

rappresentati da linfomi MALT, di cui 10 con esperienza<br />

di recidiva, 1 di progressione sistemica e 2 di non remissione.<br />

Il linfoma MALT in genere è un tumore con bassa frazione di<br />

crescita, ma con alterazioni molecolari che coinvolgono<br />

pathway anti-apoptotici. L’evento critico sembrerebbe, come<br />

in tutti i linfomi indolenti, l’attività di NF-kB, un promotore<br />

genico di proteine con funzione anti-apoptotica. Tale evento<br />

parrebbe determinato nei linfomi MALT da una serie di alterazioni<br />

solo in parte note. Di queste la più frequente è la<br />

t(11;18), traslocazione responsabile della fusione del gene<br />

API2, potente inibitore delle caspasi, con MLT1. Il prodotto<br />

di fusione è responsabile di una chimera proteica in grado di<br />

favorire la traslocazione di NF-kB nel nucleo e quindi l’attivazione<br />

di proteine anti-apoptotiche. L’altra alterazione nota,<br />

ma meno frequente, è la t(1;14) (circa il 7% dei casi), responsabile<br />

del controllo del gene delle immunoglobuline sull’espressione<br />

bcl10, una proteina in grado di potenziare l’attività<br />

di MLT1, e quindi di NF-kB. Quindi due differenti<br />

traslocazioni sono state descritte come responsabili dell’attivazione<br />

di un pathway antiapototico NF-kB mediato e di<br />

un’unica entità clinico-patologica. Infine recentemente una<br />

specifica traslocazione (14;18)(q32;q21), coinvolgente il<br />

gene MLT1 è stata descritta, proponendo un’ulteriore via di<br />

attivazione cronica di MLT1 nella patogenesi di questo tipo<br />

di linfomi 7 .<br />

Il profilo di alterazioni geniche dei linfomi dell’orbita è stato<br />

poco studiato. Esiste sicuramente un dato interessante che<br />

è la relativa maggiore frequenza della t(14;18) nei linfomi<br />

MALT degli annessi oculari, descritta recentemente in 3/8<br />

casi ed una minor frequenza della t(11,18) in 3/23 casi.<br />

L’assenza di mutazioni di bcl10 è stata descritta recentemente<br />

in 11 di linfomi dell’orbita 8-12 . Lo studio multiparametrico<br />

della serie da noi raccolta, che ha riguardato le proteine fon-<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

damentali coinvolte nella regolazione de ciclo cellulare, dell’apotosi<br />

e della differenziazione cellulare, ha mostrato una<br />

localizzazione nucleare di bcl10 in una buona frazione dei<br />

linfomi MALT e una relazione statisticamente significativa<br />

della positività immunoistochimica citoplasmatica e nucleare<br />

di bcl10 con la recidive, suggerendo un ruolo importante di<br />

questa proteina e nel processo di linfomagenesi e nel rischio<br />

di ricaduta.<br />

La specificità, o homing, e l’etiopatogenesi rappresentano sicuramente<br />

gli aspetti più interessanti affrontati nello studio<br />

dei linfomi di questo distretto. La specificità, o homing, è una<br />

caratteristica tipica della maggior parte dei linfomi extranodali<br />

e fa sì che tali neoplasie difficilmente diventino malattie<br />

sistemica, tendendo piuttosto a ricadere nella sede dove<br />

sono insorte. L’espressione dell’integrina α4α7 è stata identificata<br />

come principale recettore responsabile della ricircolazione<br />

delle cellule tumorali dei linfomi MALT 7-12 .<br />

Per quanto riguarda l’etiologia, la recente descrizione dell’uso<br />

di determinate sottofamiglie VH delle catene pesanti<br />

(D63, D54 e DP47) sembra suggerire un etiopatogenesi autoimmune,<br />

differente da quello descritto per altre sedi extranodali<br />

13 . Inoltre la presenza di ongoing mutation supporterebbe<br />

ulteriormente questa ipotesi 14-16 .<br />

L’identificazione dell’agente patogeno e delle molecole responsabili<br />

della organo-specificità rappresentano gli steps<br />

fondamentali per lo studio delle neoplasie di questo distretto<br />

al fine di modulare la strategia terapeutica, come per altri linfomi<br />

extranodali.<br />

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CORSO BREVE: LINFOMI EXTRANODALI<br />

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15 Uno T, et al. Radiotherapy for extranodal marginal – zone B-cell<br />

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16 Tranfa F, et al. Primary orbital lymphoma. Orbit 2001;20:119-24.<br />

I linfomi polmonari<br />

L. Ruco<br />

II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Ospedale “Sant’Andrea”,<br />

Università di Roma “La Sapienza”<br />

I linfomi primitivi del polmone, definiti come quei linfomi<br />

che interessano selettivamente il polmone, sono neoplasie rare,<br />

rappresentando circa lo 0,3% di tutte le neoplasie polmonari,<br />

e sono linfomi rari, costituendo meno del 10% di tutti i<br />

linfomi extranodali. In realtà in sede polmonare si possono<br />

osservare localizzazioni di lesioni linfoproliferative sia benigne<br />

che maligne le più comuni delle quali sono elencate nella<br />

Tabella I, tuttavia, il linfoma a cellule B della zona marginale<br />

ad origine dal MALT è certamente il linfoma più comune<br />

costituendo circa l’80% di tutti i linfomi primitivi del polmone<br />

1 2 .<br />

Il linfoma a cellule B della zona marginale ad origine dal<br />

MALT insorge in pazienti di età compresa tra la seconda e<br />

l’ottava decade con un’età media di circa 60 anni, ed ha<br />

uguale incidenza nei due sessi. In circa il 10% dei pazienti lo<br />

sviluppo del linfoma è preceduto da malattie che causano una<br />

iperplasia del tessuto linfoide associato alla mucosa bronchiale<br />

(BALT). I pazienti sono generalmente asintomatici e la<br />

presenza della neoplasia viene spesso scoperta in esami radiologici<br />

di routine. I risultati degli esami di laboratorio sono<br />

non specifici, ma possono aiutare ad indirizzare la diagnosi.<br />

La velocità di eritrosedimentazione è elevata in molti pazienti;<br />

un picco monoclonale di IgM, o meno frequentemente di<br />

IgG o IgA, è presente in circa il 30% dei casi; compromissione<br />

da linfoma del midollo osseo è presente in circa il 15%<br />

dei casi. L’esame radiologico del torace dimostra la presenza<br />

di un nodulo unico o multipli, in sede periferica o ilare. Una<br />

linfoadenopatia ilare è presente in circa il 25% dei pazienti.<br />

La caratteristica clinica saliente di questa neoplasia è la sua<br />

tendenza a rimanere localizzata per lunghi periodi di tempo.<br />

È stato descritto che l’intervallo di tempo che può intercorrere<br />

tra la prima dimostrazione di una alterazione radiologica e<br />

Tab. I. Lesioni linfoproliferative benigne e maligne a localizzazione polmonare.<br />

Lesioni linfoidi non neoplastiche Linfomi<br />

153<br />

la diagnosi istologica di linfoma può essere compreso tra 1,5<br />

e 21 anni con una media di 5,3 anni. Le procedure diagnostiche<br />

più appropriate sono una resezione cuneiforme in toracoscopia<br />

video-assistita, o in alternativa una segmentectomia o<br />

una lobectomia. Nell’80% dei pazienti la malattia è diagnosticata<br />

al I stadio 1 3 .<br />

L’aspetto istologico del linfoma può variare sensibilmente da<br />

caso a caso, o anche in aree diverse dello stesso caso. In genere<br />

è prevalentemente composto da cellule B marginali con<br />

morfologia centrocito-simile; tuttavia, una quota variabile di<br />

cellule B monocitoidi, piccoli linfociti B ben differenziati,<br />

plasmacellule ed immunoblasti è presente in tutti i casi. Alcuni<br />

autori suggeriscono di definire “atipiche” le forme di<br />

linfoma caratterizzate da una particolare ricchezza di plasmacellule<br />

o immunoblasti. Un’altra peculiarità del linfoma<br />

può essere la presenza di numerosi centri germinativi di<br />

aspetto reattivo con una zona mantellare poco rappresentata.<br />

La maggior parte di essi è effettivamente reattiva essendo le<br />

cellule B politipiche per catene leggere; tuttavia con il progredire<br />

della malattia i centri germinativi vengono progressivamente<br />

colonizzati dalla popolazione neoplastica diventando<br />

monotipici. Le cellule B marginali sono positive per<br />

CD20 e CD79a, e sono generalmente negative per CD5,<br />

CD10, CD23, CD43, e ciclina D1. Una restrizione per le catene<br />

leggere κ e λ è dimostrabile nel 50-70% dei casi in paraffina.<br />

In circa la metà dei casi negativi è possibile dimostrare<br />

la presenza di riarrangiamenti clonali del gene delle catene<br />

pesanti utilizzando la PCR. La maggior parte dei linfomi<br />

producono immunoglobuline di tipo IgM.<br />

I linfomi del MALT del polmone hanno caratteristiche<br />

morfologiche ed immunofenotipiche simili a quelle dei linfomi<br />

del MALT originanti in altri organi. Come in qualsiasi altra<br />

neoplasia il loro sviluppo è determinato da una serie di alterazioni<br />

genomiche che consentono lo stabilirsi di una popolazione<br />

neoplastica capace di crescita autonoma.<br />

La traslocazione t(11; 18)(q21; q21) è stata identificata nel<br />

20-60% dei linfomi del MALT esaminati 4 5 . È stato dimostrato<br />

che la traslocazione provoca la fusione del gene API2<br />

sul cromosoma 11q21 e del gene MALT1 sul 18q21. Il prodotto<br />

di fusione API2-MALT1 è stato evidenziato esclusivamente<br />

nei linfomi del MALT con incidenza variabile a seconda<br />

delle sede anatomica. Il gene API2 fa parte della famiglia<br />

di geni IAP (Inhibitor of apoptosis), ed ha un ruolo importante<br />

nella soppressione dell’apoptosi. MALT1 codifica<br />

per una nuova proteina caspasi-simile definita paracaspasi.<br />

Risultati sperimentali suggeriscono che i trascritti del prodotto<br />

di fusione API2-MALT1 possono esercitare un effetto<br />

Linfonodo intraparenchimale Linfoma a cellule B della zona marginale ad origine dal MALT<br />

Bronchiolite follicolare o iperplasia diffusa del MALT Granulomatosi linfomatoide<br />

Polmonite linfocitaria interstiziale Linfoma diffuso a grandi cellule B<br />

Iperplasia linfoide nodulare Linfoma linfoplasmaocitoide<br />

Malattia di Castleman Plasmocitoma<br />

Linfoma T periferico<br />

Linfoma a grandi cellule anaplastico<br />

Linfoma intravascolare<br />

Linfoma delle cavità sierose<br />

Linfoma di Hodgkin


154<br />

inibitorio sull’apoptosi favorendo così la sopravvivenza delle<br />

cellule linfomatose.<br />

La traslocazione t(1; 14)(p22; q32) è presente in circa il 5%<br />

dei linfomi del MALT e causa una disregolazione della trascrizione<br />

del gene BCL10 dovuta alla giustapposizione della<br />

regione enhancer IgH. Come conseguenza di ciò la proteina<br />

BCL10 trasloca nel nucleo dove attiva il fattore di trascrizione<br />

nucleare NF-kB che favorisce la trascrizione di numerosi<br />

geni legati alla sopravvivenza cellulare. È stato recentemente<br />

dimostrato che anche il prodotto di fusione API2-MALT1 è<br />

un potente attivatore di NF-kB, e che anche in questi casi è<br />

presente una debole espressione della proteina BCL10 nel nucleo<br />

dimostrabile con l’immunoistochimica anche su sezioni<br />

in paraffina. Come conseguenza di questi studi è oggi disponibile<br />

un nuovo strumento diagnostico nei linfomi del<br />

MALT. Infatti, la dimostrazione immunoistochimica della<br />

proteina BCL10 nel nucleo, mai presente nei linfociti normali,<br />

è indicativa dell’esistenza delle traslocazioni t(11; 18) o<br />

t(1; 14) tipicamente associate ai linfomi del MALT. Inoltre,<br />

in alcuni studi si è osservato che i linfomi del MALT gastrici<br />

traslocati sono quelli che non rispondono alla terapia eradicante<br />

per H. pylori. Ciò ha suggerito che l’alterazione genetica<br />

API2-MALT1 possa avere un significato patogenetico<br />

indipendente.<br />

In due studi recenti effettuati su 51 e 47 casi di linfoma del<br />

MALT del polmone il trascritto API2-MALT1 è stato identificato<br />

rispettivamente in 21 e 18 casi e la proteina BCL10<br />

nucleare nella totalità dei casi con traslocazione 6 7 . È interessante<br />

notare che quando si è ricercata la presenza del trascritto<br />

di fusione API2-MALT1 in linfomi del MALT originati<br />

in diversi organi, si è osservato che i linfomi gastrici e<br />

polmonari presentavano una incidenza simile di traslocazioni<br />

pari al 20-40% dei casi, mentre i linfomi del MALT<br />

della cute, della tiroide e delle ghiandole salivari non presentavano<br />

quasi mai la traslocazione. Ciò ha portato ad ipotizzare<br />

l’esistenza di due tipi di patologia pre-maligna che<br />

precedona attraverso un meccanismo patogenetico attualmente<br />

sconosciuto. In conclusione, queste recenti acquisizioni<br />

ci dimostrano ancora una volta come la comprensione<br />

dei meccanismi molecolari coinvolti nella patogenesi si traduca<br />

spesso nella disponibilità di nuovi utilissimi strumenti<br />

per la diagnosi istologica e nell’identificazione delle possibili<br />

cause predisponenti allo sviluppo della malattia.<br />

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RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

Mycosis Fungoides (MF)<br />

M. Santucci<br />

Department of Human Pathology and Oncology. University<br />

of Florence Medical School, Florence<br />

The histopathologic diagnosis of MF is well known as one of<br />

the most difficult challenges in all histopathology, and this is<br />

especially true of early patch stage lesions. This is in part due<br />

to the relatively poor quality of cellular morphology and nuclear<br />

detail of lymphoid cells in cutaneous specimens. On the<br />

other hand, the difficulties in the histopathologic diagnosis of<br />

MF are due to the absence of reliable histologic criteria, at<br />

least for the identification of early lesions. In fact, MF may<br />

resemble a wide variety of inflammatory disorders and virtually<br />

any histologic criterion for MF may be seen episodically<br />

in other conditions, most of which are inflammatory. Although<br />

T-cell receptor gene rearrangement studies play an increasingly<br />

important role in diagnostic pathology, limitations<br />

exist concerning MF because many inflammatory disorders<br />

simulating MF (such as pityriasis lichenoides, pigmented<br />

purpuric eruptions, pseudolymphomas, etc.) have at times<br />

shown T-cell clonality with false positive results up to 20%.<br />

By contrast, in early stages of MF monoclonal T-cell populations<br />

cannot be demonstrated in approximately 50% of the<br />

cases. Similarly, early lesions of MF do not show the immunophenotypic<br />

aberrances seen in the advanced stages of<br />

the disease and, therefore, are indistinguishable from benign<br />

inflammatory cutaneous conditions by immunohistochemical<br />

criteria. Therefore, the diagnosis of MF today remains within<br />

the realm of clinical-histologic-immunophenotypic-molecular<br />

correlation and, of these parameters, histologic analysis<br />

arguably remains paramount.<br />

Three recent studies have assessed the sensitivity and specificity<br />

of various histologic criteria and have provided useful<br />

information regarding their relative value in the diagnosis of<br />

MF. The three studies in question are referred to as the Stanford<br />

study 1 , the EORTC study 2 , and the ISCL study 3 . I was<br />

privileged to have been a part of two of these studies, namely<br />

the EORTC and the ISCL study. Each of these studies involved<br />

blinded review of biopsies from early MF patients admixed<br />

with biopsies from control patients with inflammatory<br />

conditions mimicking MF.<br />

The first group of criteria investigated concerns the intraepidermal<br />

pattern of growth. The presence of lymphocytes within<br />

the epidermis that are larger than those within the dermis<br />

has been evaluated by the Stanford and ISCL studies. This<br />

criterion was present in 17-20% of MF and was rare to absent<br />

(0-3%) in controls. It is not a sensitive criterion, but it is important<br />

because it is relatively specific for MF, a disorder<br />

with few specific features. It is also an interesting criterion<br />

which reminds us that, at least initially, the neoplastic cells of<br />

MF tend to home to the epidermis. So-called Pautrier’s microabscesses,<br />

i.e. collections of lymphocytes within the epidermis,<br />

have been evaluated by all the three studies. How often<br />

one observes Pautrier’s microabscesses depends on how<br />

one defines them. In fact, their observed frequency ranged<br />

from 4% in the EORTC study, that used the most strict definition,<br />

to 37% in the Stanford study, that defined them as<br />

“four cell clusters”, a result similar to the frequency of “tiny<br />

collections” in the EORTC study (42%). Interestingly, in the<br />

ISCL study, despite a similar definition of Pautrier’s microabscesses,<br />

their observed frequency was 17% only. Pautrier’s<br />

microabscesses are rare in controls (0-to-8%), with a<br />

specificity ranging among 92-to-100%. Therefore, Pautrier’s


CORSO BREVE: LINFOMI EXTRANODALI<br />

microabscesses represent an important criterion, specific despite<br />

not sensitive, for MF. Disproportionate intraepidermal<br />

lymphocytes, i.e. a number of intraepidermal lymphocytes<br />

too high in relation to the relative paucity of spongiosis observed<br />

in the specimen, have been evaluated by the Stanford<br />

and ISCL studies. Neither of the two studies attempted to<br />

quantify them but relied on the subjective impression of the<br />

reviewing pathologists. This criterion was found to be present<br />

in 6-to-28% of controls and 37-to-58% of MF. Basilar<br />

lymphocytes, i.e. lymphocytes aligned within the basal layer<br />

of the epidermis, are known euphemistically as “toy soldiers”<br />

or “string of pearls”. Their sensitivity and specificity depend<br />

on definition (observed in 0-23% of controls and 17-67% of<br />

MF). Pagetoid pattern, namely individual lymphocytes are<br />

more prominent than those in nests and arrayed in a fashion<br />

that simulates Paget’s disease of the breast, has been evaluated<br />

by the EORTC and ISCL studies. This is an important criterion<br />

specific for MF, in fact it was never observed in controls,<br />

unfortunately it is not sensitive (observed in 0-to-33%<br />

of MF).<br />

The second group of criteria concerns the morphology of tumor<br />

cells. Cerebriform nuclei can be defined as nuclei with<br />

deep indentations resembling the sulci on the surface of the<br />

brain that, in histologic sections, have a roundish-to-oval<br />

shape with a quite smooth contour. This criterion, addressed<br />

by the Stanford and ISCL studies, was present in 12-32% of<br />

controls and 53-67% of MF. Conversely in the EORTC study,<br />

two types of cerebriform lymphocytes were identified: medium-small<br />

(so-called common type) cerebriform cells with a<br />

nuclear diameter of 5-7 µm, and medium-large cerebriform<br />

cells with a nuclear diameter of 7-9 µm. The criterion of<br />

medium-large cerebriform cells combines aspects of nuclear<br />

shape (cerebriform) and nuclear size (approximately the<br />

same diameter as that of the nuclei of basal keratinocytes).<br />

This is the most important criterion to identify early stage<br />

MF lesions in the EORTC study. In fact, it is quite specific,<br />

having been observed in 8% of controls, and sensitive, having<br />

been seen in all MF cases.<br />

Moreover, several additional ancillary features (presence of<br />

haloed lymphocytes or of thickened and wiry collagen bundles,<br />

extent of the infiltrate, epidermal response, mixed infiltrate)<br />

were investigated in the three studies. The large majority<br />

of these criteria has not been found to be a useful discriminator<br />

between MF and controls.<br />

In conclusion, and according to my personal experience, the<br />

most important features useful in achieving a reliable distinction<br />

between early MF and controls are: (i) presence of<br />

medium-large cerebriform lymphocytes in the epidermis (either<br />

singly or in collections) and in small collections in the<br />

dermis; (ii) presence of linearly arranged single basal lymphocytes;<br />

(iii) <strong>pag</strong>etoid spread; (iv) presence within the epidermis<br />

of lymphocytes larger than those within the dermis;<br />

and, finally, (v) absence of both papillary dermal fibrosis and<br />

dermal blast-like lymphocytes, these two features being observed<br />

more frequently in inflammatory conditions mimicking<br />

MF.<br />

References<br />

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3 Burg G, et al. Manuscript in preparation.<br />

155<br />

Primary bone lymphoma: a clinico-pathologic<br />

survey<br />

S.A. Pileri, E. Sabattini, R. Orduz, C. Agostinelli, L.<br />

Bodega, F. Bacci, D. Malvi, V. Stefoni, G. Carrillo1 , M.<br />

Paulli2 , P.L. Zinzani<br />

Cattedra di Anatomia Patologica e Gruppo Linfomi, Istituto<br />

di Ematologia ed Oncologia Medica “L. e A. Seràgnoli”,<br />

Università di Bologna; 1 UOC di Anatomia Patologica,<br />

Azienda Ospedaliera “A. Cardarelli”, Napoli; 2 Istituto di<br />

Anatomia Patologica, Università di Pavia<br />

Background and Objectives. Primary bone lymphoma<br />

(PBL) is a rare condition, which has been the object of a few<br />

studies based on large series and updated diagnostic and therapeutic<br />

criteria. The aim of the present study was to review<br />

all the examples of PBL collected at the Bologna Lymphoma<br />

Registry in the period May 1998-April 2004 and to assess the<br />

efficacy of various treatments in those with non-Hodgkin’s<br />

lymphoma (PBNHL) and a minimal 36 month follow-up period.<br />

Design and Methods. One-hundred sixty cases were retrieved<br />

that had all been diagnosed according to the criteria<br />

of the REAL/WHO Classification and extensively studied by<br />

immunohistochemistry. Information was obtained regarding<br />

disease presentation and clinical course in 52 previously untreated<br />

patients with PBNHL.<br />

Results. The retrieved cases represented about 1% of all<br />

nodal and extranodal lymphomas diagnosed in the same period.<br />

Ninety-nine corresponded to diffuse large B-cell lymphoma<br />

(DLBCL), more often displaying large multilobated<br />

nuclei and/or sclerosis with compartmentalisation. Ten had<br />

immunoblastic or anaplastic morphology, while only two fulfilled<br />

the criteria of T-cell rich B-cell lymphoma. Twentynine<br />

tumours were solitary plasmacytomas, twelve of which<br />

provided with plasmablastic features. There were also 7 follicular<br />

lymphomas, 6 T-cell/null anaplastic large cell lymphomas<br />

(ALCL) (4 ALK-positive), 5 peripheral T-cell lymphomas<br />

unspecified (PTCL), 4 Burkitt’s lymphomas, 2 mantle<br />

cell lymphomas, 2 B-lymphoblastic lymphomas, and 1<br />

lymphoplasmacytic lymphoma. Notably, four examples of<br />

primary Hodgkin’s lymphoma of bone (HL) were found.<br />

Regarding the 52 examples of PBNHL with follow-up available,<br />

complete response (CR) was observed in 35/41 (85%)<br />

patients treated with chemotherapy with/without radiation<br />

therapy and in 7/11 (64%) patients who received radiation<br />

therapy alone. Relapses were found in only 2/35 (6%) patients<br />

after chemotherapy (with/without radiation therapy), as<br />

compared with 4/7 (57%) patients after radiation therapy<br />

alone (p = 0.004); the relapse-free survival curves of these<br />

two subsets were significantly different. At both univariate<br />

and multivariate analysis only type of front-line therapeutic<br />

approach (chemotherapy with/without radiation therapy vs.<br />

radiation therapy alone) turned out to have a significant prognostic<br />

influence.<br />

Interpretation and Conclusions. Our data indicate that in<br />

PBL is indeed a rare event. It mostly corresponds to DLBCL,<br />

although other histological types can be encountered that<br />

might represent a diagnostic challenge for the pathologist<br />

(e.g. PTCL, ALCL and HL). The use of chemotherapy or<br />

combined-modality therapy seems to provide more durable<br />

CRs than radiation therapy alone.


156<br />

Linfoma primititivo del sistema nervoso<br />

centrale<br />

L.M. Larocca<br />

Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro<br />

Cuore, Roma<br />

Si definisce Linfoma Primitivo del Sistema Nervoso Centrale<br />

(LPSNC) una proliferazione linfomatosa ad esclusiva localizzazione<br />

nel SNC o nel midollo spinale, in assenza di linfoma<br />

sistemico. Definito in tal modo il LPSNC è da sempre<br />

considerato una forma rara, rappresentando meno dell’1% di<br />

tutti i linfomi non-Hodgkin e meno del 5% di tutte le neoplasie<br />

del SNC. Tuttavia a partire dal 1970 si è osservato uno<br />

stabile e costante incremento nella incidenza di questa forma<br />

di linfoma, in parte dovuta alla comparsa negli anni ’80 della<br />

Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS), in<br />

parte indipendente dall’AIDS e non spiegabile con il miglioramento<br />

delle tecniche diagnostiche. Oggi il LPSNC rappresenta<br />

circa il 3-5% di tutti i linfomi non-Hodgkin ed è uno<br />

dei tumori più frequenti del SNC in età adulta 1 . Il LPSNC<br />

solitamente si manifesta con una singola lesione con effetto<br />

massa intraparenchimale. Lesioni multifocali o diffuse<br />

periventricolari sono ugualmente possibili, sebbene più frequenti<br />

nel LPSNC AIDS-relati. Quale che sia la modalità di<br />

esordio, il LPSNC tende a rimanere confinato nel SNC anche<br />

nelle fasi terminali della malattia. Il principale problema<br />

clinico-terapeutico del LPSNC è la tendenza di questi linfomi<br />

a presentare recidiva precoce dopo la iniziale terapia, con<br />

malattia che tende ad interessare l’intero SNC 2 . Da qui la<br />

prognosi altamente infausta con una sopravvivenza media<br />

negli immunocompetenti di meno di 18 mesi. Recenti regimi<br />

combinati con dosi elevate di metotraxate più radioterapia,<br />

sembrano avere una migliore risposta in termini di overall<br />

survival, ma a costo di grave neurotossicità 3 . Oltre il 90%<br />

dei LPSNC sono linfomi a grandi cellule B, con una<br />

sostanziale differenza tra le forme AIDS-relate e le altre: la<br />

presenza costante di virus di Epstein-Barr (EBV) nei LPSNC<br />

AIDS-relati. Visto il carattere quasi anedottico di forme non<br />

B o di forme B indolenti, il presente lavoro avrà come oggetto<br />

esclusivamente le forme diffuse a grandi cellule B. Il SNC<br />

è completamente sprovvisto di tessuto linfatico organizzato e<br />

non contiene elementi linfoidi in condizioni normali. Il primo<br />

quesito che nasce è perché si sviluppi una proliferazione<br />

neoplastica B linfocitaria in un tessuto assolutamente<br />

sprovvisto di B linfociti. Per risolvere questo quesito basilare<br />

per prima cosa ci siamo chiesti che tipo di linfocita B era alla<br />

base della proliferazione linfomatosa. Con approccio sia<br />

fenotipico che molecolare abbiamo per primi dimostrato che<br />

i LPSNC sono di derivazione da linfociti B del centro germinativo<br />

e questo sia nelle forme AIDS-relate che negli immunocompetenti.<br />

In più abbiamo dimostrato che caratteristiche<br />

fenotipiche post-centro germinativo, esclusive di gran<br />

parte di LPSNC AIDS-relati, erano da ascrivere alla azione<br />

trasformante dell’EBV. Più precisamente la espressione della<br />

late membrane protein 1 (LMP-1) dell’EBV, determina la<br />

inibizione della espressione di BCL-6 e la contemporanea<br />

up-regolazione di geni del differenziamento post-centro germinativo,<br />

quali IRF4/MUM-1 e Sindecano 1 4-6 . Queste nostre<br />

osservazioni sono state confermate in lavori che hanno<br />

mostrato come i LPSNC AIDS-relati mostrano mutazioni somatiche<br />

a carico dei geni delle Immunoglobuline (Ig), quello<br />

che oggi viene ritenuto il più preciso indicatore di passaggio<br />

attraverso il centro germinativo 7 . Ancor più recentemente<br />

noi nei LPSNC AIDS-relati 8 e Montesinos-Rongen et<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

al. nei LPSNC dell’immunocompetente 9 , abbiamo mostrato<br />

che i LPSNC presentano ipermutazioni somatiche abberranti<br />

a carico di proto-oncogeni e geni soppressori di tumori, ad<br />

ulteriore definitiva conferma della derivazione da linfociti B<br />

del centro germinativo. A questo punto la domanda è: il<br />

fenotipo e genotipo da linfocita B del centro germinativo<br />

viene acquisito nel SNC a seguito di stimoli infiammatori<br />

cronici o al contrario il LPSNC è la conseguenza di una<br />

specifica e selettiva migrazione nel SNC di linfociti B del<br />

centro germinativo? Per rispondere a questa domanda<br />

bisogna separare i LPSNC AIDS-relati dalle forme degli immunocompetenti.<br />

Infatti i primi presentano la caratteristica di<br />

essere costantemente infetti da EBV. Questa caratteristica<br />

conferisce un ruolo patogenetico fondamentale all’EBV, confermato<br />

da uno studio molto recente che ha mostrato come<br />

sia possibile ottenere la remissione dal LPSNC, esclusivamente<br />

eradicando la infezione da EBV intracranica 10 . Una<br />

osservazione simile viene riportata dal mio gruppo nella<br />

sezione delle comunicazioni. Noi abbiamo condotto uno studio<br />

genotipico dettagliato della infezione da EBV in una<br />

ampia casistica di LPSNC AIDS-relati, concludendo che<br />

l’infezione delle cellule linfomatose ha le medesime caratteristiche<br />

delle infezioni che si hanno nella popolazione AIDS<br />

generale non affetta da LPSNC 11 . Quindi non si osservano<br />

varianti particolarmente oncogene ed il quadro complessivo<br />

che si può avanzare è il seguente: la infezione da HIV determina<br />

da un lato una stimolazione immune cronica in assenza<br />

di efficace controllo T-linfocitario, dall’altro infetta cellula<br />

astrocitarie e microgliali cerebrali, realizzando un importante<br />

sito di accumulo di virus. Nelle fasi avanzate di malattia, le<br />

uniche che si osserva la insorgenza di LPSNC, la completa<br />

disgregazione del sistema immune determina la presenza in<br />

circolo di cellule del centro germinativo EBV-infette che<br />

vengono richiamate a livello cerebrale dalla produzione di<br />

chemochine di richiamo quali SDF-1 e BCA-1 da parte degli<br />

astrociti infetti, che anche inducono espressione di chemochine<br />

di aggancio sulle cellule endoteliali del microcircolo<br />

cerebrale. Si ottiene così un iniziale accumulo di linfociti B<br />

centro germinativi EBV-infetti in un microambiente sede di<br />

stimolo immune cronico. Questa ipotesi patogenetica è supportata<br />

da numerose osservazioni prime fra tutte in ordine di<br />

importanza la quasi scomparsa dei LPSNC AIDS-relati con<br />

le terapie ad alte dosi che hanno annullato la infezione da<br />

HIV cerebrale, ma non hanno modificato la incidenza ed il<br />

livello di infezione da EBV, e la già citata possibilità di eradicare<br />

un LPSNC AIDS-relato, agendo prevalentemente<br />

tramite l’eradicazione della infezione da EBV intracerebrale.<br />

Traslare queste considerazioni ai LPSNC degli immunocompetenti<br />

è solo in parte possibile. Infatti, molto recentemente<br />

è stato dimostrato che anche in questo tipo di LPSNC si osserva<br />

la espressione di chemochine capaci di attrarre selettivamente<br />

B-linfociti, quale la BCA-1, nelle sedi di sviluppo<br />

del linfoma. Se a questo si associa la espressione sul linfocita<br />

B di CXCR5 che è il recettore che lega BCA-1, si ottiene<br />

anche per questa forma di LPSNC la dimostrazione di un<br />

homing selettivo delle cellule B-linfomatose nel SNC 12 . Rimangono<br />

tuttavia da chiarire le cause a monte rispetto questo<br />

evento terminale, cioè quali sono i meccanismi che hanno<br />

condotto alla realizzazione di tale concerto di eventi. Un dato<br />

merita di essere ricordato: i molteplici lavori che hanno<br />

studiato in dettaglio il riarrangiamento dei geni delle Ig nei<br />

LPSNC degli immunocompetenti, sono concordi nel trovare<br />

un uso altamente preferenziale del segmento V4-34 della regione<br />

variabile del gene delle Ig 13 . Queste osservazioni spingono<br />

ad ipotizzare che sia chiamata in causa una stimo-


CORSO BREVE: LINFOMI EXTRANODALI<br />

lazione cronica da parte di un antigene od auto-antigene comune,<br />

non ancora individuato.<br />

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Intervento preordinato:<br />

Rabbit monoclonal antibodies (RabMAbs)<br />

M.C. Giangarè<br />

Lab Vision, Fremont, CA USA<br />

La recente messa a punto di una particolare tecnologia capace<br />

di generare anticorpi monoclonali da coniglio<br />

(RabMAbs) costituisce una importante novità nel campo della<br />

immunofenotipizzazione. Questa nuova classe di reattivi<br />

deriva dalla fusione di linfociti B di coniglio con una linea<br />

cellulare neoplastica di plasmacitoma di coniglio (240E), che<br />

dà luogo alla nascita di un ibrido stabile coniglio-coniglio.<br />

Lav Vision Corporation è la prima azienda produttrice certificata<br />

IVD, che ha introdotto sul mercato gli anticorpi monoclonali<br />

da coniglio clone SP. La disponibilità di tali<br />

RabMAbs consente di avvalersi di anticorpi dotati di caratteristiche<br />

peculiari: infatti essi fanno proprie sia le caratteristiche<br />

degli anticorpi monoclonali da topo (uniformità, specificità<br />

e disponibilità illimitata nel tempo) sia quelle degli anticorpi<br />

policlonali (elevata affinità). I RabMAbs, come ad esempio<br />

l’anticorpo RabMAB anti-ciclina D1, clone SP4, o<br />

l’anticorpo RabMAb anti-Estrogeno clone SP1, se paragonati<br />

ai comuni monoclonali da topo si caratterizzano per maggior<br />

affinità, maggior sensibilità ed inoltre consentono di essere<br />

impiegati a più elevate diluizioni d’uso. Inoltre, risultano essere<br />

particolarmente indicati per uso in metodiche di doppia<br />

colorazione ed anche per immunocolorazioni su tessuto di<br />

topo. Gli anticorpi Lab Vision monoclonali da coniglio<br />

(RabMAbs), clone SP, rappresentano una nuova classe di<br />

reattivi di elevata qualità per applicazioni sia in patologia diagnostica<br />

che in ricerca.


PATHOLOGICA 2004;96:158-162<br />

Autoscreen: stato dell’arte e prospettive<br />

future di un progetto europeo<br />

L. Di Bonito, D. Bonifacio, I. Colautti, S. Dudine, F. Zanconati<br />

U.C.O. di Anatomia patologica, Istopatologia e Citodiagnostica,<br />

Università di Trieste<br />

L’AUTOSCREEN fa parte di una serie di progetti finanziati<br />

dalla Comunità Europea presentati dall’European Take-up of<br />

Essential Information Society Technologies nell’area delle<br />

applicazioni medicali (EUTIST-M).<br />

Nello specifico, il progetto consiste nella validazione clinica di<br />

un sistema automatizzato di screening del cervico-carcinoma<br />

(NanoScan) su strisci convenzionali o su preparati in fase liquida,<br />

con l’obiettivo di poter dotare i servizi sanitari, pubblici e<br />

privati, in ambito europeo di un Sistema competitivo per qualità<br />

ed efficienza con analoghe strumentazioni di produzione<br />

statunitense già presenti sul mercato, ma decisamente costosi.<br />

L’esigenza di una lettura computer-assistita dei Pap test è nata<br />

in tempi relativamente recenti, a fronte della complessità<br />

del lavoro dei citolettori, della responsabilità che essi devono<br />

assumersi, e dei dati non sempre confortanti sulla qualità<br />

delle prestazioni (falsi negativi e falsi positivi). Per sua natura<br />

lo screening cervicale si basa sull’individuazione di cellule<br />

atipiche (a volte quantitativamente scarse) nel contesto di elementi<br />

normali presenti in numero considerevolmente elevato<br />

(300.000-400.000 cellule). Si può facilmente comprendere<br />

la fatica della lettura al microscopio, anche in considerazione<br />

del fatto che la quota di strisci negativi per lesioni intraepiteliali<br />

o per malignità rappresenta oltre il 90% di tutti i<br />

Pap test di un laboratorio.<br />

I sistemi automatizzati di screening, concepiti inizialmente<br />

come strumenti per il controllo della qualità, sono stati utilizzati<br />

anche per lo screening primario, con la possibilità di<br />

evitare la lettura manuale di una determinata quota di Pap<br />

test. Infatti tali strumenti non forniscono una “diagnosi”, ma<br />

si limitano a classificare i preparati in “non da rivedere” e “da<br />

rivedere”, sulla base di software dedicati, in grado di analizzare<br />

e rielaborare in breve tempo una serie di parametri morfometrici<br />

rilevati da un microscopio e da una telecamera.<br />

Per i casi “non da rivedere”, che idealmente corrispondono<br />

alla negatività, è prevista la possibilità di omettere lo screen-<br />

CORSO BREVE<br />

Nuovi orizzonti della Citologia: dalla “Citodiagnostica”<br />

alla “Citodiagnostica biotecnologica”<br />

Tab. I. Performance del CCS System.<br />

MODERATORE: L. PALOMBINI, NAPOLI<br />

ing manuale, consentendo al citolettore una maggiore attenzione<br />

ai preparati classificati come “da rivedere”, cioè quelli<br />

in cui sono presenti anomalie morfometriche riconducibili ad<br />

una probabile presenza di lesione squamosa o ghiandolare. È<br />

evidente che un sistema efficiente dovrebbe garantire<br />

l’assenza di qualsiasi tipo di anomalia cellulare nella quota di<br />

casi “non da rivedere”, anche se rari casi di ASCUS o di lesione<br />

di basso grado potrebbero essere tollerati.<br />

Diversi studi che hanno sperimentato sistemi già in commercio<br />

hanno evidenziato come un cut off del 25% di casi “non<br />

da rivedere” possa essere accettabile.<br />

Tra gli obiettivi del progetto AUTOSCREEN rientra anche la<br />

possibilità di aumentare fino al 60% la quota di Pap test per<br />

la quale lo screening manuale sia evitabile. Il prototipo del<br />

sistema è stato realizzato in Danimarca mentre lo studio di<br />

validazione ha visto il coinvolgimento di diverse qualificate<br />

strutture europee, tra cui l’EPCC dell’Università di Edimburgo,<br />

che ha assunto il coordinamento del progetto; il trial clinico<br />

è stato affidato a tre Centri universitari con lunga esperienza<br />

di citologia cervico-vaginale, l’Università di Odense<br />

(Danimarca), l’Imperial College School of Medicine di Londra<br />

(UK) e l’Università di Trieste (Italia). In ciascuna sede è<br />

stato installato un prototipo del NanoScan, costituito da computer,<br />

microscopio con telecamera, monitor e stampante, in<br />

grado di scansionare fino a 400 strisci alla volta, suddivisi in<br />

4 supporti rotanti.<br />

Il protocollo per la valutazione clinica del NanoScan è stato<br />

conforme alle linee guida sugli strumenti per lo screening<br />

primario proposto dall’International Academy of Cytology<br />

nel 1997. Secondo tali linee guida “i dispositivi di screening<br />

automatizzato non devono in alcun modo scendere al di sotto<br />

di determinati standard di prestazione e non devono esporre<br />

le pazienti a nuovi rischi o aumentare il livello di rischio<br />

esistente”.<br />

Il sistema (CCS System) processa le informazioni diagnostiche<br />

in due distinti step. Nel primo, il software di analisi<br />

d’immagine ricava dalle immagini digitali a colori, catturate<br />

dalla telecamera connessa al microscopio, una serie di 448<br />

parametri descrittivi. Nel secondo step, tali parametri vengono<br />

riversati in un modello di calcolo matematico, il cui<br />

risultato, in termini di predittività diagnostica, costituisce la<br />

base della segregazione dei preparati in due gruppi: “non ulteriore<br />

revisione” (NFR) e “ulteriore revisione” (FR).<br />

Predittività<br />

Diagnosi originarie FR NFR Totale<br />

Positivi/Inadeguati 435 (99,1) 4 (0,9) 439<br />

Negativi 138 (71,9) 54 (28,1) 192<br />

Totale 573 58 631


CORSO BREVE: CITOLOGIA<br />

Tab. II. Distribuzione dei casi NFR per categorie diagnostiche.<br />

Diagnosi NFR (Totale) % sul Totale 95%-CI (%)<br />

Inadeguati 1 (49) 2,0 0,05-10,9<br />

Negativi 54 (192) 28,1 21,9-35,1<br />

Atipici 2 (100) 2,0 0,2-7,0<br />

LSIL 1 (98) 1,0 0,03-5,6<br />

HSIL 0 (192) 0,0 0,0-1,9<br />

Totale 58 (631) 9,2 7,1-11,7<br />

Tab. III. Distribuzione dei casi FR per categorie diagnostiche.<br />

Diagnosi FR (Totale) % sul Totale 95%-CI (%)<br />

Inadeguati 48 (49) 98,0 89,2-99,95<br />

Negativi 138 (192) 71,9 65,0-78,1<br />

Atipici 98 (100) 98,0 93,0-99,8<br />

LSIL 97 (98) 99,0 94,5-99,97<br />

HSIL 192 (192) 100,0 98,1-1,0<br />

Totale 573 (631) 90,8 88,3-93,0<br />

Quest’ultima categoria include i casi potenzialmente positivi<br />

e gli inadeguati.<br />

Per la prima parte dello studio, definita External Validation<br />

Study (EVS), sono stati sottoposti a scansione in ciascuna<br />

sede di sperimentazione 650 Pap test opportunamente selezionati<br />

e rappresentativi di tutte le categorie diagnostiche<br />

citologiche. La riproducibilità diagnostica è stata valutata<br />

mediante la comparazione dei dati forniti dal sistema con le<br />

diagnosi manuali originarie dei singoli laboratori.<br />

Per la parte di nostra competenza la sensibilità e la specificità<br />

sono risultate rispettivamente del 99,1% e del 28,1%, con un<br />

tasso di “falsi negativi” dello 0,9%. Va tuttavia ricordato che<br />

tra questi ultimi era compreso anche 1 caso Inadeguato.<br />

I risultati dell’EVS, relativi a 631 casi, sono riassunti nelle<br />

Tabelle I e II.<br />

La seconda parte dello studio, definita Clinical Trial, prevedeva<br />

la scansione di 7.000 Pap test non selezionati in ciascun Centro<br />

e già screenati, per un totale di almeno 20.000 casi.<br />

L’elaborazione dei risultati dei primi 2.000 casi di ciascun<br />

Centro è tuttora in corso (6.000 casi sono stati ritenuti sufficienti<br />

per un’analisi statistica attendibile).<br />

L’esperienza a cui abbiamo partecipato ha dimostrato le<br />

grandi potenzialità della ricerca europea sia in campo tecnologico<br />

sia scientifico.<br />

Certamente saranno necessari gli adeguamenti del software<br />

gestionale e delle componenti meccaniche che una fase sperimentale<br />

ha il dovere di evidenziare, tuttavia la possibilità per<br />

i laboratori europei, di cui è noto l’ottimo livello della routine<br />

e del background culturale, di utilizzare una tecnologia<br />

progettata su misura sui nostri standard costituisce senza<br />

dubbio un’allettante prospettiva futura.<br />

Citologia in strato sottile: potenzialità e limiti<br />

A. Bondi<br />

Anatomia, Istologia Patologica, Citodiagnostica e Citogenetica,<br />

Azienda USL di Cesena<br />

L’allestimento di preparati per diagnostica citologica da liq-<br />

159<br />

uidi biologici è una pratica messa a punto molti anni fa, ed in<br />

genere prevede un preliminare arricchimento del campione<br />

tramite centrifugazione o filtrazione e poi il deposito delle<br />

cellule sul vetrino e quindi la fissazione e la colorazione.<br />

Gli studi sulla preparazione di campioni “in monostrato” o<br />

almeno “in strato sottile” finalizzati alla semplificazione dei<br />

preparati citologici per messa a punto di sistemi di lettura<br />

computer assistita, hanno permesso di approfondire e migliorare<br />

notevolmente le classiche tecniche di separazione delle<br />

cellule da un liquido e l’allestimento di buoni campioni per<br />

citodiagnostica.<br />

Le tecniche descritte comprendono metodiche di filtrazione,<br />

citocentrifugazione modificata, separazione in gradiente di<br />

densità.<br />

Fra le tecniche di filtrazione la più diffusa (ThinPrep da Cytyc<br />

Corp.) contempla un cilindro con una membrana di policarbonato<br />

su un versante, che tramite uno strumento semi-automatico<br />

viene immersa dall’alto nel contenitore con la<br />

sospensione cellulare. Mentre all’interno del cilindro viene<br />

attivata una depressione per aspirate il liquido, il cilindro<br />

ruota velocemente lungo il suo asse longitudinale realizzando<br />

una efficace disaggregazione dei gruppi cellulari ed una<br />

reale randomizzazione del campione. Un presso-sensore interno<br />

al cilindro determina l’arresto dell’aspirazione quando<br />

la gran parte dei fori della membrana sono occlusi (stop<br />

flow). A questo punto la membrana viene pressata contro un<br />

vetrino porta oggetti per il trasferimento del materiale cellulare.<br />

Altra tecnica di filtrazione prevede l’impiego di una siringa<br />

chiusa da un filtro rotondo (CytoShuttle da CellPath): le operazioni<br />

sono del tutto manuali e la realizzazione di preparati<br />

cellulari monostrato è meno standardizzata ma comunque efficace.<br />

Di nuova presentazione uno strumento di filtrazione che utilizza<br />

il principio delle rampe composte da un imbuto chiuso<br />

al collo da un filtro di policarbonato di forma rettangolare<br />

(CellSlide da Menarini Diagnostics). La randomizzazione è<br />

manuale o fatta su vortex, lo stop flow viene realizzato in<br />

funzione del tempo ed il trasferimento del filtro sul vetrino è<br />

semi-automatico. I preparati sono di buona qualità.


160<br />

Con la tecnica della citocentrifugazione si ottengono<br />

preparati con una base più ampia delle originali citocentrifughe<br />

degli anni ’80, ma è necessario controllare densità<br />

e volume della sospensione cellulare, perché se la quantità<br />

degli elementi corpuscolari è troppo alta si formano ammassi<br />

illeggibili (impossibilità del controllo dello stop<br />

flow). In commercio è disponibile un kit (CytoScreen da<br />

Seroa) composto da una citocentrifuga corredata da un nefelometro<br />

col quale si controlla ed eventualmente si aggiusta<br />

la densità della sospensione e si determina il tempo di<br />

citocentrifugazione.<br />

La separazione su gradiente di densità è disponibile in commercio<br />

(PrepStain ex AutoCyte da Tripath): dopo aver centrifugato<br />

la sospensione cellulare in una soluzione densa, con<br />

un sottile capillare si aspira lo strato corpuscolato che viene<br />

depositato in un pozzetto fissato sopra un vetrino portaoggetto.<br />

La randomizzazione è data dal processo di centrifugazione,<br />

la quantità di cellule depositate viene regolata<br />

dal volume di aspirazione del capillare. Dopo sedimentazione,<br />

nello stesso pozzetto si effettua la colorazione che<br />

risulta così ben standardizzata.<br />

Biopsia aspirativa per ago sottile<br />

e fenotipizzazione citofluorimetrica<br />

nella diagnosi e nella classificazione<br />

dei linfomi non Hodgkin<br />

P. Zeppa, G. Troncone, F. Fulciniti, A. Vetrani, L. Palombini<br />

Dipartimento di Anatomia Patologica e Citopatologia, Facoltà<br />

di Medicina e Chirurgia, Università “Federico II” di<br />

Napoli<br />

Introduzione. La tipizzazione citofluorimetrica (FC) delle<br />

popolazioni linfocitarie può essere utilizzato su campioni di<br />

biopsia aspirativa per ago sottile (FNAB) nello studio delle<br />

malattie linfoproliferative. In questo studio è stata effettuata<br />

una revisione critica di 307 casi di processi linfoproliferativi<br />

linfonodali ed extra linfonodali diagnosticati mediante<br />

FNAB e FC.<br />

Metodi. La serie studiata è stata raccolta in periodo di quattro<br />

anni e comprende 307 processi linfoproliferativi linfonodali<br />

ed extra linfonodali di cui 185 palpabili e 122 non palpabili<br />

eseguiti con controllo strumentale. FC è stata eseguita<br />

utilizzando i seguenti anticorpi fluoresceinati: CD3,<br />

CD4/CD8, CD5, CD19, FMC7/CD23/CD19,<br />

CD2/CD3/CD7, CD38/CD56/CD19, bcl-2, CD13/HLA-DR.<br />

La serie comprende 15 inadeguati, 10 sospetti, 135 iperplasie<br />

reattive (BHR), 70 linfomi non-Hodgkin primitivi (NHL)<br />

and 77 recidive di NHL (rNHL). Le diagnosi citologiche e<br />

citofluorimetriche sono state controllate mediante follow-up<br />

clinico nelle iperplasie reattive e nelle recidive di NHL e/o istologico<br />

nei NHL primitivi. Sono stati calcolati la sensibilità,<br />

specificità, valore predittivo di positività (PPV) e valore<br />

predittivo di negatività (NPV) delle diagnosi citologiche e<br />

citofluorimetriche di iperplasia reattiva, NHL e rNHL e nell’identificazione<br />

dei sottotipi specifici tra i NHL a piccole e<br />

medie cellule.<br />

Risultati. Le diagnosi combinate citologiche e citofluorimetriche<br />

hanno dato i seguenti risultati: sensibilità 93%, specificità<br />

100%, valore predittivo di positività (PPV) 95%, valore<br />

predittivo di negatività (NPV) 63%. Sottotipi specifici sono<br />

stati identificati in 70/115 casi (61%) dei linfomi a piccole e<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

medie cellule con una sensibilità del 63%, specificità 88%,<br />

PPV 95% e NPV 37%.<br />

Conclusioni. La tipizzazione citofluorimetrica, utilizzata in<br />

combinazione alla biopsia aspirativa per ago sottile aumenta<br />

la precisione della diagnostica citologica nei processi linfoproliferativi<br />

linfonodali ed extralinfonodali e permette una<br />

corretta classificazione dei NHL a piccole cellule in più della<br />

metà dei casi evitando biopsie chirurgiche invasive in<br />

molti pazienti.<br />

Possibilità di estrazione del DNA<br />

da vetrini citologici di archivio<br />

A Caleo, G Troncone, L Palombini<br />

Dipartimento di scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione<br />

di Citopatologia, Università “Federico II” di Napoli<br />

L’uso di tecniche di biologia molecolare in citopatologia è<br />

diventato negli ultimi anni una pratica accettata e riproducibile<br />

per determinate applicazioni. In seguito alla progressiva<br />

conoscenza dei meccanismi molecolari coinvolti<br />

nel cancro e in altre patologie, alcune metodiche molecolari,<br />

oltre che essere utilizzate nel campo della ricerca e<br />

degli studi sperimentali, hanno assunto un ruolo di utilità<br />

clinica nella routine citopatologica. La metodica molecolare<br />

maggiormente ottimizzata su campioni citologici è la<br />

reazione di polimerasi a catena (PCR). La PCR è un metodo<br />

altamente sensibile che permette il recupero di grosse<br />

quantità di DNA da piccole quantità di materiale di partenza,<br />

e quindi facilmente adattabile a campioni relativamente<br />

piccoli come quelli ottenuti dall’aspirazione per ago sottile<br />

(FNA).<br />

Il DNA può essere estratto da diversi tipi di preparazioni citologiche:<br />

campioni citologici in sospensione freschi o fissati,<br />

vetrini di archivio, preparazioni cell block. Per l’estrazione<br />

da campioni in sospensione, parte del materiale cellulare ottenuto<br />

da un ago-aspirato può essere raccolto in pochi ml di<br />

un liquido tampone cellulare (PBS, soluzione salina) oppure<br />

in un liquido fissativo (etanolo e metanolo sono ritenuti i fissativi<br />

migliori) 1 2 . L’estrazione da vetrino prevede l’asportazione<br />

delle cellule mediante grattamento con una spatola<br />

sterile e la raccolta in tubi per PCR 3 . Sia nel caso di cellule<br />

in sospensione che di cellule asportate da vetrino si può<br />

procedere all’estrazione del DNA con metodica standard<br />

(fenolo-cloroformio) o con kit specifici per l’estrazione di<br />

DNA genomico.<br />

Le differenti preparazioni a confronto mostrano risultati<br />

sovrapponibili 4 . I campioni di archivio, indipendentemente<br />

dal tipo di colorazione effettuata e dal fissativo usato, forniscono<br />

una quantità di DNA sovrapponibile a quella ottenuta<br />

da campioni freschi. L’unica eccezione è rappresentata<br />

dalle preparazioni cell block in cui l’estrazione di una minore<br />

quantità di DNA è probabilmente condizionata dalla pregressa<br />

fissazione in formalina. La quantità di DNA estratto correla<br />

principalmente con la cellularità di partenza 4 . Per l’estrazione<br />

da cellule in sospensione una quantità adeguata di<br />

cellule è quella ottenuta da 2-5 aspirazioni con un ago 23 o<br />

25 G 2 . Per l’estrazione da campioni di archivio, un singolo<br />

vetrino anche scarsamente cellulato è sufficiente 4 . La misurazione<br />

del DNA allo spettrofotometro in genere fornisce<br />

valori non dosabili ma questo non sembra condizionare la<br />

buona riuscita di una PCR. Una piccola quantità di DNA di<br />

partenza può essere infatti compensata dalla modifica di al-


CORSO BREVE: CITOLOGIA<br />

cuni parametri tecnici nella metodica (primers altamente<br />

specifici, metodica seminested, numero di cicli di PCR). La<br />

qualità del DNA può essere valutata attraverso l’amplificazione<br />

di geni costitutivi (β-globina, β-actina). Pur non essendo<br />

un fattore particolarmente critico per la riuscita di una<br />

PCR, la qualità del DNA condiziona il tipo di applicazione<br />

che può essere eseguita.<br />

Le applicazioni più frequenti della PCR in citologia<br />

riguardano lo studio di clonalità nelle malignità ematologiche,<br />

la rilevazione di mutazioni puntiformi, la rilevazione<br />

di microrganismi (HPV su strisci cervicali, Mycobacterium<br />

tubercolosis su aspirato linfonodale), la rilevazione di traslocazioni<br />

(t 14;18 nel linfoma follicolare, t 11;14 nel linfoma<br />

mantellare, ret/PTC nel carcinoma papillifero della tiroide).<br />

Lo studio di clonalità nelle malignità ematologiche è rappresentato<br />

essenzialmente dalla valutazione del riarrangiamento<br />

delle catene pesanti delle immunoglobuline nei linfomi B<br />

cellulari 1 5 . Il razionale di questa applicazione consiste nel<br />

fatto che le proliferazioni clonali possono essere considerate<br />

markers di malignità. Nel caso delle proliferazioni linfoidi, i<br />

linfociti neoplastici sono monoclonali mentre le popolazioni<br />

B-cellulari normali e reattive sono policlonali. L’amplificazione<br />

mediante PCR rileva il riarrangiamento somatico a<br />

cui vanno incontro i geni delle immunoglobuline durante la<br />

loro maturazione. Tali riarrangiamenti sono unici per ciascuna<br />

cellula e quindi non rilevabili in una popolazione policlonale.<br />

Poiché uno studio di clonalità richiede piccole quantità<br />

di DNA, anche piccole quantità di tessuto linfoide possono<br />

essere sufficienti. Il DNA amplificato appare in un gel<br />

di elettroforesi sottoforma di una banda dominante in caso di<br />

linfomi B-cellulari e sottoforma di multiple bande nelle<br />

popolazioni linfoidi normali e reattive. Nella valutazione di<br />

uno studio di clonalità va considerata la possibilità di risultati<br />

falsi positivi e falsi negativi 5 . Ad esempio campioni contenenti<br />

un numero assai ridotto di linfociti possono dar luogo<br />

alla rilevazione di bande pseudo-clonali, così come una banda<br />

pseudoclonale può essere la conseguenza di un erroneo<br />

appaiamento dei primers. D’altra parte campioni contenenti<br />

un discreto numero di cellule non neoplastiche possono<br />

generare un background policlonale che può mascherare la<br />

banda dominante. In questi casi, la selezione accurata delle<br />

sole cellule neoplastiche tramite microdissezione può assicurare<br />

una maggiore specificità dello studio di clonalità. Infine<br />

va considerata la possibilità di risultati falsi negativi dovuti al<br />

mancato appaiamento dei primers in seguito a modificazioni<br />

geniche nelle sequenze target (ad esempio l’ipermutazione<br />

somatica nei geni VH delle immunoglobuline o la traslocazione<br />

di bcl2 nei linfomi follicolari). Da qui la necessità<br />

dell’individuazione accurata della banda prominente e la evidenza<br />

della riproducibilità della stessa per prevenire una falsa<br />

diagnosi di monoclonalità. I dati di PCR dovrebbero comunque<br />

essere sempre analizzati alla luce dei dati clinici e<br />

morfologici. La sensibilità riportata in letteratura dello studio<br />

di clonalità tramite PCR su materiale citologico varia tra il 50<br />

e l’80% (pressoché sovrapponibile a quella relativa a campioni<br />

istologici) 5 . Tale variabilità è strettamente dipendente dal<br />

tipo di linfoma B esaminato (nei linfomi follicolari e a grandi<br />

cellule la sensibilità è più bassa per la presenza di un maggior<br />

numero di alterazioni genetiche).<br />

La rilevazione di mutazioni puntiformi è un utile test diagnostico<br />

ancora oggi prevalentemente utilizzato a scopi di<br />

ricerca 1 . La conoscenza di una specifica mutazione puntiforme<br />

in un gene e la conseguente sintesi di specifici<br />

primers, permette l’amplificazione della sequenza target e<br />

quindi la identificazione della mutazione tramite sequenzia-<br />

161<br />

mento (strand specific PCR amplification). In un recente studio<br />

abbiamo dimostrato come le mutazioni dell’oncogene<br />

BRAF possono essere facilmente rilevate in DNA genomico<br />

estratto da vetrini di archivio di lesioni tiroidee permettendo<br />

una utile analisi retrospettiva 6 .<br />

In conclusione, la PCR è una metodica molecolare facilmente<br />

applicabile a campioni citologici anche di archivio, fornendo<br />

un utile ausilio diagnostico in quei casi che non possono essere<br />

conclusivi sulla base dei soli dati cito-morfologici.<br />

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Reaction for Detecting Clonality from Archival Cytologic Smears.<br />

Acta Cytologica 2002;46:349-56.<br />

6 Salvatore G, Giannini R, Faviana P, Caleo A, Migliaccio I, Fagin JA,<br />

et al. Analysis of BRAF Point Mutation and RET/PTC Rearrangement<br />

refines the Fine Needle Aspiration diagnosis of Papillary Thyroid<br />

Carcinoma. J Clin Endocr Methab 2004 (in press).<br />

Nuove prospettive nella diagnostica<br />

del nodulo tiroideo<br />

G. Troncone, G. Salvatore1 , A. Caleo, I. Migliaccio, M.<br />

Santoro1 , L. Palombini<br />

Dipartimenti di Scienze biomorfologiche e funzionali, 1 di<br />

Biologia e Patologia cellulare e molecolare, Università “Federico<br />

II” di Napoli<br />

La biopsia per ago sottile (FNB) permette la diagnosi di neoplasia<br />

tiroidea nella maggior parte dei casi; raramente, il 6%<br />

dei nostri casi, la diagnosi è dubbia 1 . Poiché l’esame intraoperatorio<br />

è anch’esso spesso inconclusivo, si esegue una<br />

lobectomia diagnostica 2 . Questa rischia di essere “troppo”,<br />

se il processo non è neoplastico, o “troppo poco” se si tratta<br />

di una neoplasia maligna che necessita di tiroidectomia totale.<br />

Sono così necessari markers di neoplasia sensibili e<br />

specifici. Tuttavia, a dispetto dei numerosi test proposti,<br />

questo problema è complesso e di difficile soluzione.<br />

Poiché il carcinoma tiroideo raccoglie entità diverse, ciascuna<br />

con una propria base molecolare, è improbabile l’esistenza<br />

di un unico marker di malignità; d’altronde, al di là del<br />

dilemma classico inerente la distinzione tra adenoma e carcinoma<br />

follicolare che per definizione è solo possibile sul campione<br />

operatorio, una citologia dubbia può sottendere numerose<br />

entità 3 . Infatti, l’iperplasia adenomatosa e la neoplasia<br />

follicolare possono a volte condividere la stessa citologia<br />

od altre volte le modificazioni nucleari classiche del carcinoma<br />

papillifero (PTC) possono essere sfumate (variante follicolare),<br />

difficilmente riconoscibili (variante ossifila), oscurate<br />

dalla colloide (variante cistica) o presenti in condizioni<br />

benigne (tiroidite di Hashimoto). In questi casi la citologia,<br />

pur non essendo autosufficiente, è comunque necessaria per<br />

riconoscere il quesito diagnostico ed indirizzare la scelta del<br />

test più adatto.


162<br />

Inoltre, nessuno dei marcatori usati fino ad oggi è espresso<br />

solo nei carcinomi; anche la molecola più promettente, la<br />

galectina-3 4 , è seppur raramente positiva negli adenomi 5 . Né<br />

pare probabile che le nuove metodiche di screening genomico<br />

possano risolvere del tutto il problema. Infatti, sebbene il<br />

profilo di espressione genica permetta in teoria di distinguere<br />

un adenoma da un carcinoma follicolare 6 , nella pratica i<br />

nuovi marker immunocitochimici ricavati dalle librerie genomiche,<br />

come DDIT3 ed ARG, mostrano anch’essi dei limiti<br />

7 . D’altro canto sono le stesse basi molecolari della neoplasia<br />

follicolare ad essere poco chiare; è infatti probabile<br />

che gli adenomi raccolgano entità biologicamente eterogenee,<br />

con una maggioranza di forme benigne ed una minoranza<br />

di forme potenzialmente maligne, ancora “in situ” al momento<br />

della diagnosi. Il riarrangiamento PPAR-gamma, presente<br />

sporadicamente negli adenomi 8 e più frequentemente<br />

nei carcinoma follicolari minimamente invasivi 9 , può essere<br />

di aiuto nella diagnosi su FNC di carcinoma follicolare incipiente.<br />

Se lo screening genomico è in grado di fornire nuovi marker<br />

immunocitochimici, sempre più specifici e sensibili, la loro<br />

introduzione diagnostica può essere vanificata da alcune difficoltà,<br />

insite nella natura stessa del campione citologico 3 .<br />

Infatti, l’immunocitochimica difficilmente genera risultati<br />

riproducibili su strisci decolorati; è quindi necessario utilizzare<br />

strisci freschi, che tuttavia non offrono garanzie precise<br />

circa la loro effettiva cellularità. D’altro canto, ciascun marcatore<br />

è dapprima testato in istologia e solo susseguentemente<br />

applicato in citologia. Tale validazione passa attraverso<br />

studi multicentrici. Tuttavia, le differenze inter-istituzionali<br />

sulle tecniche eseguite sia per l’allestimento del campione<br />

(cell-block vs. strisci vs. citocentrifugati) che per la fissazione<br />

(etanolo vs. acetone vs. formaldeide) possono ostacolare<br />

la interpretazione dei risultati 3 . È quindi necessario<br />

adottare procedure tecniche uniformi e riproducibili. A tal<br />

proposito un buon esempio sull’approccio metodologico da<br />

seguire è offerto dallo studio multicentrico, coordinato da Armando<br />

Bartolazzi, inerente la validazione della galectina-3 in<br />

citologia ed al quale partecipano numerose Istituzioni Italiane.<br />

Tale studio si basa sull’applicazione da parte di tutte le<br />

unità di un protocollo rigoroso basato sulla raccolta prospettica<br />

di campioni freschi, sull’allestimento di cell-blocks, sulla<br />

standardizzazione del trattamento di smascheramento antigenico<br />

e sull’utilizzo di un sistema di rilevamento del segnale<br />

biotin-free 10 .<br />

Alcune delle difficoltà sopraelencate possono essere superate<br />

con l’impiego di tecniche molecolari. Questo approccio appare<br />

soprattutto valido per la diagnosi di carcinoma papillifero.<br />

Tale tumore è contraddistinto nella maggioranza dei casi<br />

dalla presenza degli oncogeni chimerici RET/PTC od in alternativa<br />

dalla mutazione puntiforme del gene BRAF<br />

(V599E). Queste alterazioni molecolari possono essere evi-<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

denziate a partire dagli stessi vetrini utilizzati per la diagnosi<br />

microscopica 11 . Se il re-arrangiamento RET/PTC può anche<br />

essere presente in alcuni casi di tiroidite di Hashimoto, riflettendo<br />

un limite condiviso anche da altri marcatori quali<br />

galectina-3 e p27Kip1 12 13 , al contrario BRAF è mutato solo<br />

nei carcinomi papilliferi (circa il 45%); quindi la dimostrazione<br />

della mutazione di BRAF in un cellule aspirate<br />

da un nodulo tiroideo può essere utile per convertire una diagnosi<br />

citologica di inconclusivo in una di carcinoma papillifero,<br />

dando così l’indicazione per una tiroidectomia totale e<br />

scongiurando la possibilità di un intervento chirurgico in due<br />

tempi 11 .<br />

Bibliografia<br />

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11 Salvatore G, Giannini R, Faviana P, Caleo A, Migliaccio I, Fagin JA,<br />

et al. Analysis of BRAF point mutation and RET/PTC rearrangement<br />

refines the fine needle aspiration diagnosis of papillary thyroid carcinoma.<br />

J Clin Endocrinol Metabol (submitted).<br />

12 Niedziela M, Maceluch J, Korman E. Galectin-3 is not universal<br />

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J Clin Endocrinol Metabol 2002;87:4411-5.<br />

13 Troncone G, Iaccarino A, Caleo A, Bifano D, Pettinato G, Palombini<br />

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PATHOLOGICA 2004;96:163-166<br />

Apoptosi: controllo della crescita cellulare<br />

e cancro<br />

A. Giordano<br />

Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università<br />

di Siena, Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular<br />

Medicine, Temple University, Philadelphia USA<br />

L’apoptosi è il processo di morte cellulare programmata ed è<br />

parte integrante dello sviluppo embrionale e fetale dell’organismo<br />

e dell’omeostasi tissutale dell’adulto. La cellula<br />

muore in risposta a diversi stimoli ma questo avviene attraverso<br />

un processo finemente regolato dal punto di vista molecolare.<br />

Per tale motivo l’apoptosi si distingue da un’altra<br />

forma di morte cellulare, la necrosi, in cui la morte cellulare<br />

incontrollata, indotta ad esempio da sostanze tossiche, porta<br />

alla lisi della cellule e ad una successiva risposta infiammatoria.<br />

Al contrario l’apoptosi è un processo durante cui la cellula<br />

gioca un ruolo attivo nella propria morte: per questo motivo<br />

ci si riferisce alla apoptosi come ad un “suicidio della<br />

cellula”.<br />

La cellula in apoptosi presenta determinate caratteristiche<br />

morfologiche: diminuisce di volume, perde l’espressione di<br />

proteine di membrana ed espone sulla stessa membrana plasmatica<br />

componenti, normalmente nascosti o poco espressi.<br />

Questi verranno riconosciuti dalle cellule vicine o dai<br />

macrofagi, che opereranno la fagocitosi della cellula apoptotica.<br />

L’organizzazione interna è mantenuta, almeno nelle<br />

fasi precoci del processo, mentre a livello nucleare si osserva<br />

la disgregazione dei nucleoli, il taglio della lamina, la condensazione<br />

e il taglio diffuso della cromatina in frammenti di<br />

circa 200 paia di basi o multipli interi di questi numeri,<br />

lunghezza che corrisponde a quella dei tratti di DNA internucleosomale.<br />

Frammenti discreti di materiale nucleare raggiungono<br />

in seguito la membrana plasmatica, dove vengono<br />

circondati da evaginazioni della membrana stessa che conferiscono<br />

alla cellula un aspetto a bolle (blebbing). Queste<br />

blebs si staccano dal corpo cellulare trascinando con sé parte<br />

del citoplasma e del materiale nucleare, dando origine ai<br />

cosiddetti corpi apoptotici. Non verificandosi un versamento<br />

di contenuto citosolico nell’ambiente, l’apoptosi non è accom<strong>pag</strong>nata,<br />

a differenza della morte cellulare per necrosi, da<br />

una risposta infiammatoria.<br />

L’innesco del programma apoptotico può avere diverse origini:<br />

1) via estrinseca o extracellulare, nel caso di un legame<br />

di specifiche molecole-segnale coi propri recettori posti sulla<br />

membrana plasmatica. Ne è un esempio il legame del recettore<br />

Fas col suo ligando Fas-L; 2) via intrinseca o intracellulare<br />

nel caso in cui lo stimolo del processo apoptotico<br />

abbia origine all’interno della cellula, come ad esempio nel<br />

caso di un danno a carico del DNA o della produzione di<br />

specie reattive dell’ossigeno. Questa via coinvolge i mitocondri<br />

ed in particolare la famiglia di proteine Bcl-2. In entrambe<br />

le vie di innesco del programma apoptotico sono<br />

coinvolte delle cistein-proteasi, le CASPASI, enzimi prote-<br />

CORSO BREVE<br />

L’Apoptosi. Dai meccanismi molecolari<br />

agli aspetti applicativi<br />

MODERATORI: B. AGOSTINI (NAPOLI), G. BEVILACQUA (PISA)<br />

olitici presenti nella cellula sotto forma di zimogeni, forme<br />

inattive che vengono attivate a loro volta da tagli proteolitici.<br />

Le caspasi si distinguono in INIZIATRICI, che sono attivate<br />

nelle fasi precoci del processo apoptotico e hanno generalmente<br />

la funzione di attivare altre caspasi, le EFFETTRICI,<br />

che hanno come target proteine cellulari che hanno un ruolo<br />

essenziale nella integrità funzionale della cellula come ad esempio<br />

proteine del citoscheletro, proteine coinvolte nel ciclo<br />

cellulare e proteine coinvolte nel riparo del DNA.<br />

Come già accennato, l’apoptosi ha un ruolo fisiologico nel<br />

regolare nel modo appropriato lo sviluppo di un organismo.<br />

Inoltre il processo dell’apoptosi gioca un ruolo fondamentale<br />

anche in altri ambiti come ad esempio nel sistema immunitario<br />

in cui viene indotta l’apoptosi di linfociti che siano in<br />

grado di riconoscere il self. Anche in numerosi processi patologici,<br />

quali, ad esempio infezioni virali, malattie autoimmuni<br />

e tumori, una deregolazione dell’apoptosi può essere la<br />

base (o una delle cause) della patogenesi della malattia. Nel<br />

caso dei tumori infatti può verificarsi uno sbilanciamento dei<br />

fattori che controllano il processo apoptotico, come ad esempio<br />

un incremento dei fattori anti-apoptotici o una diminuzione<br />

o inattivazione dei fattori pro-apoptotici.<br />

Recentemente sta emergendo il ruolo delle proteine della<br />

famiglia delle proteine del retinoblastoma (RB) non solo nella<br />

regolazione della progressione nel ciclo cellulare ma anche del<br />

processo apoptotico. La proteina pRb1/p105 è stato dimostrato<br />

come sia in grado di inibire il processo apoptotico in diversi<br />

modelli cellulari e murini. Inoltre pRb1/p105 subisce un taglio<br />

proteolitico da parte delle caspasi, il che rappresenta una conferma<br />

del suo possibile ruolo di proteina anti-apoptotica. Per<br />

quanto riguarda pRb2/p130 è stato dimostrato come possa<br />

avere rendere cellule di glioblastoma più sensibili all’apoptosi<br />

indotta dall’esposizione a radiazioni gamma. Al contrario, in<br />

un modello di carcinoma ovarico, pRb2/p130 è in grado di<br />

diminuire l’apoptosi indotta da camptotecina e doxorubicina,<br />

inibitori rispettivamente delle topoisomerasi I e II, ma non<br />

quella indotta da taxolo. Questo supporta l’idea che<br />

pRb2/p130 abbia un ruolo nel processo apoptotico, il quale<br />

dipende dal contesto cellulare e dal tipo di stimolo apoptotico,<br />

nella fattispecie dal tipo di agente chemoterapico utilizzato. Inoltre<br />

una valutazione del livello di espressione di pRb2/p130<br />

nel tumore può essere utile per individuare una terapia che<br />

potrebbe risultare più efficace per la cura del paziente.<br />

Apoptosi: approccio metodologico<br />

R. Monaco<br />

U.O.C. Anatomia ed Istologia Patologica, AORN “Cardarelli”,<br />

Napoli<br />

L’apoptosi è il risultato di un complesso sistema interno alla<br />

cellula, sempre presente, ma generalmente in “stand-by” e<br />

che entra rapidamente in attività a seguito di stimoli sia intra<br />

che extracellulari. Non sono molti i markers biochimici


164<br />

specifici di questo sistema regolato in maniera complessa ed,<br />

anche se ne sono descritti diversi regolatori, un esame critico<br />

dei dati della letteratura indica che non sempre c’è consenso<br />

sul loro valore di indicatori di apoptosi.<br />

Un punto critico per la quantificazione, inoltre, è dato dal fatto<br />

che, indipendentemente dallo stimolo iniziatore, il decorso<br />

temporale dell’apoptosi è molto rapido, come anche il<br />

processo di eliminazione dei residui cellulari da parte di<br />

macrofagi e/o cellule di derivazione non macrofagica. Non ci<br />

sono dati certi, ma il decorso apoptotico potrebbe completarsi<br />

in circa 1-2 ore. La rapidità di tale processo implica che, in<br />

ogni misurazione statica, anche pochissimi elementi in apoptosi<br />

potrebbero riflettere, in realtà, un turnover cellulare elevato.<br />

Inoltre, il tempo di apoptosi non è uguale per tutte le<br />

cellule ed in tutte le condizioni, e ciò ha importanti implicazioni<br />

nella quantificazione dell’apoptosi. L’approccio<br />

metodologico alla valutazione diretta dell’apoptosi richiede<br />

innanzitutto la scelta tra metodi statici e metodi dinamici, che<br />

dipende dal materiale di partenza e dall’obiettivo finale. Tra<br />

i metodi statici bisogna includere l’esame morfologico.<br />

Sebbene, storicamente, i metodi morfologici siano i favoriti,<br />

la scoperta che l’apoptosi era associata con la frammentazione<br />

del DNA, con rotture tra i nucleosomi, ha condotto<br />

alla possibilità di utilizzare tale evento come parametro di<br />

analisi. Sfortunatamente, i metodi di analisi del DNA che<br />

comportano elettroforesi, oltre a far perdere ogni informazione<br />

topografica, non permettono facili quantificazioni.<br />

Negli anni ’90 sono diventati popolari diverse metodologie,<br />

sempre basate sulla frammentazione del DNA associata all’apoptosi,<br />

ma praticabili su materiale citologico ed istologico.<br />

Questi metodi sono sicuramente utili nell’identificare<br />

corpi apoptotici, ma non sono scevri da problematiche (per<br />

esempio legate alla fissazione e processazione), ed è discutibile<br />

se abbiano più valore della sola morfologia. La frammentazione<br />

del DNA può essere utilizzata per identificare<br />

cellule in apoptosi poiché alcuni enzimi possono aggiungere<br />

nucleotidi marcati ai terminali dei frammenti di DNA. I nucleotidi<br />

marcati possono poi essere rivelati con metodi immunoistochimici.<br />

Tali metodiche comprendono il TUNEL<br />

(terminal deossynucleotidyl transferasi mediated UTP nick<br />

end labeling) e l’ISEL (in situ end labeling techniques). Diverse<br />

marcature, radioattive e non, possono essere utilizzate.<br />

Le marcature non radioattive sono preferibili per facilità d’uso,<br />

stabilità, semplicità e rapidità nell’identificazione e<br />

notevole risoluzione. Utilizzando questo approccio è stato<br />

chiaramente dimostrato che la quantità e la distribuzione<br />

delle cellule marcate è correlata con la quantità e distribuzione<br />

delle cellule riconosciute in apoptosi anche con altri<br />

metodi. La metodica può essere modificata utilizzando la<br />

fluorescenza, per la valutazione in situ o in citoflussimetria.<br />

Si può, inoltre, praticare un’immunoistochimica multiparametrica,<br />

per l’identificazione di specifici tipi cellulari. Le<br />

metodiche basate sul riconoscimento della frammentazione<br />

del DNA, tuttavia, hanno alcuni limiti; per esempio riconoscono<br />

solo l’apoptosi in fase tardiva, e possono evidenziare<br />

anche cellule in necrosi. Inoltre le tecniche in situ, effettuate<br />

su tessuti fissati ed inclusi in paraffina, possono essere<br />

condizionate dallo spessore delle sezioni e dai tempi occorsi<br />

dal prelievo di tessuto alla fissazione. Un diverso approccio,<br />

ovviamente legato al tipo di analisi che si vuole effettuare<br />

ed alla natura del tessuto utilizzato, è costituito dalla<br />

citoflussimetria. La citometria a flusso consente di analizzare<br />

grandi quantità di cellule in tempi rapidi, ma non fornisce informazioni<br />

topografiche sugli elementi in apoptosi, e<br />

richiede popolazioni cellulari omogenee.<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

Metodi di studio dell’apoptosi in citometria a flusso comprendono:<br />

– l’analisi della distribuzione del DNA del picco sub-G1 (colorazione<br />

con Ioduro di Propidio);<br />

– la valutazione della perdita di asimmetria della membrana<br />

citoplasmatica (colorazione con Annexina V);<br />

– la valutazione della frammentazione del DNA (metodo<br />

TUNEL).<br />

Il test all’Annexina V è il metodo oggi che ha dimostrato<br />

migliore sensibilità, specificità e riproducibilità, e rivela la<br />

rilocazione della fosfatidilserina (PS) a livello della membrana<br />

citoplasmatica delle cellule in apoptosi. Nelle cellule integre,<br />

infatti, la distribuzione dei fosfolipidi è asimmetrica, in quanto<br />

il versante interno della membrana cellulare contiene fosfolipidi<br />

anionici (come la PS) ed il versante esterno fosfolipidi<br />

neutri. Nelle cellule in apoptosi, invece, la quantità di PS sul<br />

lato esterno della membrana citoplasmatica aumenta, e l’Annexina<br />

V, una proteina che si lega ai gruppi fosfolipidici in presenza<br />

di ioni Ca++ e che ha una forte affinità per la PS, può<br />

legarsi alla PS esposta sulla superficie cellulare, divenendo<br />

così un utile mezzo per l’evidenziazione di cellule in apoptosi.<br />

Essendo tali modificazioni della membrana cellulare eventi iniziali<br />

del processo apoptotico, il test all’Annexina V rivela cellule<br />

in fase precoce di apoptosi. È una metodica di<br />

preparazione semplice e rapida, applicabile su numerosi tipi<br />

cellulari; può essere molto utile soprattutto nella valutazione di<br />

modificazioni della cinetica apoptotica dopo induzione od in<br />

condizioni particolari, su specifiche e congrue popolazioni cellulari.<br />

L’Annexina V rivela anche cellule in necrosi, poiché si<br />

lega alla PS presente sul versante interno della membrana citoplasmatica<br />

alterata a causa della necrosi. Tuttavia una contemporanea<br />

colorazione con Ioduro di Propidio, che si lega al<br />

DNA ma non colora cellule in fase precoce di apoptosi in<br />

quanto non in grado di penetrare la membrana cellulare integra,<br />

consente in genere una distinzione tra cellule Annexina V<br />

positive, necrotiche o apoptotiche.<br />

Altri metodi sono descritti, ma una metodologia standardizzabile<br />

che consenta la rivelazione e la quantificazione del<br />

fenomeno apoptotico nei differenti tessuti ed in diverse condizioni,<br />

che sia di relativamente semplice effettuazione e di<br />

buona riproducibilità, non sembra ancora essere disponibile.<br />

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L’apoptosi nei tumori neuroblastici<br />

S. Uccini1 , C. Colarossi1 , S. Scarpino1 , S. Bosco1 , O. Mannarino2<br />

, D. Cozzi2 , A. Clerico2 , M.R. Nicotra3 , P.G. Natali3<br />

2 4<br />

, C. Dominici<br />

1 2 Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, e Dipartimento<br />

di Pediatria, Università di Roma “La Sapienza”;<br />

3 Laboratorio di Immunologia, Istituto Nazionale dei Tumori<br />

“Regina Elena”; 4 Laboratorio di Oncologia, Ospedale Pediatrico<br />

IRCCS “Bambino Gesù”, Roma<br />

Introduzione. I tumori neuroblastici periferici sono considerati<br />

i tumori embrionali per antonomasia, in quanto si


CORSO BREVE: APOPTOSI<br />

sviluppano durante la vita fetale e nelle prime fasi della vita<br />

postnatale ad origine dalle cellule della cresta neurale.<br />

Nell’embriogenesi, a partire dalla 4 a -5 a settimana nidi di neuroblasti<br />

indifferenziati si organizzano in strutture nervose e<br />

gangliari paravertebrali, altri migrano nella parete dei visceri<br />

addominali dove differenziano in cellule gangliari dei plessi<br />

di Meissner ed Auerbach, altri ancora raggiungono la midollare<br />

del surrene dove differenziano in cellule neuroendocrine<br />

o cromaffini. Appartengono al sistema periferico autonomo<br />

anche le cellule gliali di Schwann e le cellule subtentacolari<br />

la cui funzione non è ancora perfettamente chiarita 1 .<br />

I tumori neuroblastici sono distinti in tre principali sottotipi<br />

morfologici: neuroblastoma (Schwannian stroma poor), ganglioneuroblastoma<br />

(Schwannian stroma rich) e ganglioneuroma<br />

(Schwannian stroma dominant) 2 .<br />

I neuroblastomi hanno caratteristiche biologiche uniche in<br />

quanto possono andare incontro sia ad involuzione e regressione<br />

spontanea che a maturazione spontanea o conseguente<br />

all’impiego di chemioterapia citotossica, fino a ganglioneuroblastoma<br />

o ganglioneuroma. Questi fenomeni sono stati<br />

correlati a processi apoptotici che sono frequentemente osservati<br />

nel normale sviluppo del sistema nervoso centrale e<br />

periferico, in parte forse dovuti all’assenza di produzione di<br />

fattori neurotropici quali il Nerve Growth Factor (NGF) tra<br />

gli altri. Molti neuroblastomi hanno invece un comportamento<br />

aggressivo fin dall’esordio. Fattori prognostici importanti<br />

sono l’età alla diagnosi, il tipo istologico, lo stadio clinico e<br />

le alterazioni genetiche quali l’amplificazione del gene MY-<br />

CN, la perdita allelica della banda 36 del braccio corto del<br />

cromosoma 1(1p36), le extracopie del braccio lungo del cromosoma<br />

17 (17q) e la di/tetraploidia.<br />

Per quanto concerne il gene MYCN localizzato nel braccio<br />

corto del cromosoma 2, esso può andare incontro a processi<br />

di amplificazione che danno luogo ad un numero di copie<br />

del gene per cellula che può arrivare a 400. Gli aumentati<br />

livelli di MYCN causerebbero l’attivazione transcrizionale<br />

di un subset di geni in grado di promuovere la proliferazione<br />

cellulare 3 . La delezione del braccio corto del cromosoma<br />

1 coinvolgerebbe invece un gene soppressore che<br />

risulterebbe quindi inattivato in un terzo circa dei neuroblastomi.<br />

Non sono noti invece i meccanismi tramite i quali<br />

la presenza di extracopie del braccio lungo del cromosoma<br />

17 e di di/tetraploidia è associata a maggiore aggressività<br />

tumorale.<br />

165<br />

L’apoptosi è una forma spontanea di morte cellulare con aspetti<br />

morfologici peculiari quali il rigonfiamento e la condensazione<br />

delle membrane nucleari e della cromatina nucleare,<br />

con clivaggio endonucleasico di regioni del DNA in<br />

frammenti della lunghezza di 180 bp nella fase finale.<br />

L’apoptosi viene attivata da diversi eventi, alcuni interni alla<br />

cellula quali un danno a carico del DNA, altri esterni quali le<br />

alterazioni della membrana cellulare ad opera di enzimi proteolitici<br />

o per attivazione dei cosiddetti “death receptors”,<br />

l’archetipo dei quali è il Fas (APO1, CD95). Tutti questi stimoli<br />

apoptotici hanno come evento finale l’attivazione di<br />

specifiche proteasi, dette caspasi, della famiglia delle endoproteasi<br />

in grado di clivare i legami peptidici contenenti un<br />

aspartato all’N-terminale. Un importante meccanismo di regolazione<br />

del segnale apoptotico è mediato dalla famiglia dei<br />

geni Bcl-2/Bax. Sono stati identificati finora 16 membri di<br />

questo gruppo di proteine, delle quali alcune come Bax e<br />

Mcl-1 sono attivatori dell’apoptosi, mentre altre come Bcl-2<br />

e Bcl-XL la inibiscono.<br />

Per quanto concerne la rilevanza dell’apoptosi nei tumori<br />

neuroblastici periferici, si ricorda che già nella classificazione<br />

INPC, l’indice mitotico-cariorressico (MKI) era stato<br />

introdotto tra gli elementi morfologici di rilevanza prognostica.<br />

Più recentemente, studi in vitro hanno dimostrato<br />

che i neuroblastomi esprimono elevati livelli di Bcl-2 e Bcl-<br />

XL e che tale sovraespressione correla con fattori prognostici<br />

negativi quali il tipo istologico sfavorevole ed amplificazione<br />

di MYCN 4 . Inoltre è stato riportato che<br />

Fas(APO1/CD95) è in grado di indurre apoptosi in vitro in linee<br />

cellulari di neuroblastoma 5 . Le alterazioni dell’apoptosi<br />

nel neuroblastoma sembrerebbero riguardare anche le caspasi<br />

con riduzione della caspasi 8 in linee cellulari di neuroblastomi<br />

MYCN-amplificati 6 .<br />

Nel presente lavoro ci siamo proposti di esaminare alcuni dei<br />

pathways apoptotici presenti nei tumori neuroblastici periferici<br />

e di correlare questi risultati con gli aspetti morfologici,il<br />

comportamento clinico e gli altri parametri molecolari. A<br />

questo scopo sono state utilizzate metodiche di immunoistochimica<br />

ed una metodica di recente acquisizione rappresentata<br />

dai macroarrays in grado di testare l’espressione nel<br />

tessuto di 96 geni coinvolti in senso positivo e negativo nei<br />

meccanismi apoptotici.<br />

Risultati e conclusioni. L’espressione di Bcl-2 e Bcl-XL, e<br />

Bax e Mcl-1 è stata studiata mediante immunoistochimica su<br />

Tab. I. Espressione immunoistochimica di fattori coinvolti nell’apoptosi in 71 casi di tumori neuroblastici periferici raggruppati per tipo<br />

istologico.<br />

Numero INPC BCL-2 BCL-XL BAX MCL-1<br />

casi<br />

1 GN 0/1 0/1 0/1 0/1<br />

14 GNB 10/14 5/14 5/14 6/14<br />

(71%) (36%) (36%) (43%)<br />

44 NB 36/44 28/44 30/44 22/44<br />

MYCN- (81%) (67%) (68%) (50%)<br />

12 NB 8/12 8/12 7/12 6/12<br />

MYCN+ (67%) (67%) (58%) (50%)<br />

GN: ganglioneuroma<br />

GNB: ganglioneuroblastoma<br />

NB MYCN-: neuroblastoma con MYCN in singola copia<br />

NB MYCN+: neuroblastoma con MYCN amplificato


166<br />

sezioni criostatiche di 71 tumori neuroblastici periferici osservati<br />

nel periodo 1990-tutt’oggi. Di essi, 56 erano neuroblastomi<br />

(NB) di cui 12 MYCN-amplificati (21%), 14 erano ganglioneuroblastomi<br />

(GNB) ed uno era un ganglioneuroma (GN).<br />

Come riportato nella Tabella I, l’espressione di Bax e Bcl-XL<br />

correlava con il tipo istologico, essendo entrambi nettamente<br />

più elevati nei NB che nei GNB. Infatti, il 36% dei GNB esprimeva<br />

Bax e Bcl-XL rispetto al 58/68% ed al 67% dei NB<br />

con o senza MYCN-amplificazione. In contrasto, l’espressione<br />

di Bcl-2 e Mcl-1 era sovrapponibile nei NB e nei GNB,<br />

essendo Bcl-2 espresso nel 71% dei GNB e nel 67/81% dei<br />

NB con o senza MYCN-amplificazione, e Mcl-1 era espresso<br />

nel 43% dei GNB e nel 50% dei NB con o senza MYCNamplificazione.<br />

Analogamente, non si è osservata alcuna differenza<br />

significativa nell’espressione di Bax, Bcl-XL, Bcl-2<br />

e Mcl-1 nei neuroblastomi MYCN-amplificati rispetto a<br />

quelli a singola copia. Quando l’espressione di Bcl-2/Bcl-XL<br />

e Bax/Mcl-1 è stata correlata con lo stadio clinico, non è stata<br />

identificata nessuna correlazione.<br />

Per meglio chiarire il ruolo dell’apoptosi nei neuroblastomi,<br />

4 tumori neuroblastici periferici sono stati studiati con la tecnica<br />

dei macroarrays. Tre di essi erano neuroblastomi con elevato<br />

indice mitotico-cariorressico ed uno era un ganglioneuroblastoma.<br />

Il nostro studio ha evidenziato che in tutti e quattro i casi vi<br />

era espressione di numerosi geni coinvolti nell’apoptosi ma<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

che essi erano espressi in intensità e numero variabile. I geni<br />

coinvolti riguardavano Fas e Fas-ligand, le caspasi e le proteine<br />

della famiglia di Tumor Necrosis Factor Receptor<br />

(TNF-R). Ulteriori indagini su un più ampio numero di osservazioni<br />

sono necessarie per meglio chiarire i meccanismi<br />

coinvolti in questi processi.<br />

Bibliografia<br />

1 Magro G, Grasso S. Le cellule gliali nell’ontogenesi del sistema nervoso<br />

periferico ortosimpatico umano e nel neuroblastoma. Patologica<br />

2001;93:505-16.<br />

2 Shimada H, Ambros IM, Dehner LP, Hata J, Joshi VV, Roald B. Terminology<br />

and morphologic criteria of neuroblastic tumors. Recommendations<br />

by the International Neuroblastoma Pathology Committee.<br />

Cancer 1999;86:349-63.<br />

3 Schwab M, Alitalo K, Klempnauer KH, Varmus HE, Bishop JM, Gilbert<br />

F, et al. Amplified DNA with limited homology to myc cellular oncogene<br />

is shared by human neuroblastoma cell lines and a neuroblastoma<br />

tumor. Nature 1983;305:245-8.<br />

4 Caslte VP, Heidelberger KP, Bromberg J, Ou X, Dole M, Nunez G.<br />

Expression of the apoptosis-suppressing protein bcl-2, in neuroblastoma<br />

is associated with unfavorable histology and N-myc amplification.<br />

Am J Pathol 1993;<strong>143</strong>:1543-50.<br />

5 Takamizawa S, Okamoto S, Wen J, Bishop W, Kimura K, Sandler A.<br />

Overexpression of Fas-ligand by neuroblastomas: a novel mechanism<br />

of tumor-cell killing. J Pediatr Surg 2000;35:375-9.<br />

6 Teitz T, Wei T, Valentine MB, Vanin EF, Grenet J, Valentine VA, et al.<br />

Caspase 8 is deleted or silenced preferentially in childhood neuroblastomas<br />

with amplification of MYCN. Nat Med 2000;6:529-35.


PATHOLOGICA 2004;96:167-172<br />

Comparison of a RT-PCR for mammaglobin<br />

and cytologic examination for detection<br />

of breast cancer cells in effusions<br />

F. Fedeli, N. Gorji, P. Ferro, F. Fais1 , B. Bacigalupo, V.<br />

Gagliardi, L. Cortese, M. Moroni, P. Dessanti, A. Giannico,<br />

S. Roncella<br />

U.O. Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale Sant’Andrea<br />

La Spezia; 1 Sezione di Anatomia Umana, Di.Me.S, Università<br />

di Genova<br />

Introduction. Human mammaglobin (hMAM) was found to<br />

be a sensitive molecular marker for detecting micrometastases<br />

of breast cancer cells (BC) in peripheral blood, bone<br />

marrow and lymph-node. Some authors have proposed using<br />

this assay for screening effusions for BC micrometastatic disease.<br />

The detection of BC micrometastasis in effusions is difficult<br />

since the malignant cells are rare and spread amongst<br />

the normal population.<br />

In this study we investigate the potential application of RT-<br />

PCR for hMAM by comparing it with traditional cytological<br />

assessment for BC cells in effusions.<br />

Methods. We analyzed 19 cases from patients with breast<br />

malignancy (12 from pleural and 7 from peritoneal effusions).<br />

We also studied 93 cases of effusion without evidence<br />

of breast cancer (52 with another type of cancer, 28 with no<br />

malignant pathology, 13 of unknown causes).<br />

The samples were analyzed by staining with EE, Papanicolau<br />

technique, and by nested RT-PCR for hMAM. Cytological<br />

examination was performed in a parallel study with RT-PCR<br />

assay.<br />

Results. 16/19 (84%) cases of BC pathology were positive<br />

using nested RT-PCR for hMAM. 9/19 (47%) cases were<br />

positive by cytological study and these were also positives by<br />

nested RT-PCR. In contrast, 7 BC cases that were positive in<br />

the molecular test were negative according to the staining assay.<br />

hMAM was also detected in 19/52 (36%) specimens of<br />

other types of carcinoma (11/21 lung, 5/17 mesothelioma,<br />

1/2 ovarian, 2/3 renal, 0/6 lymphoma, 0/2 gastric, 0/1 endometrial)<br />

and only 1/41 (2.4%) samples of non-neoplastic<br />

origin.<br />

Conclusion. Preliminary data demonstrate that detection of<br />

BC in body fluid using hMAM mRNA amplification by PCR<br />

is a promising approach and that nested RT-PCR for hMAM<br />

was more sensitive than cytology in determining BC micrometastasis<br />

in effusions. However, positivity was not restricted<br />

to samples from BC patients as specimens from other<br />

types of tumors and 2.4% of patients without cancer were<br />

also positive.<br />

Our assay may be used in conjunction with routine cytopathological<br />

examination for screening of malignant BC<br />

effusion.<br />

COMUNICAZIONI<br />

1. Citodiagnostica, Ematopatologia, Patologia<br />

mammaria, Biologia molecolare<br />

MODERATORI: G. MASSARELLI (SASSARI), F.M. VECCHIO (ROMA)<br />

Ricerca di mutazioni puntiformi di BRAF<br />

e riarrangiamenti Ret/PTC in agoaspirati<br />

tiroidei come supporto diagnostico<br />

R. Giannini, G. Salvatore1 , P. Faviana, A. Caleo2 , I. Migliaccio2<br />

, G. Troncone2 , L. Palombini2 , V. Bussi, M. Santoro1<br />

, F. Basolo<br />

Dipartimento di Oncologia, Università di Pisa; 1 Dipartimento<br />

di Biologia e Patologia cellulare e molecolare, Università<br />

“Federico II” di Napoli; 2 Dipartimento di Scienze biomorfologiche<br />

e funzionali, Università “Federico II” di Napoli<br />

Introduzione. Le mutazioni puntiformi a carico del gene<br />

BRAF, che codifica per una serina/treonina protein-chinasi,<br />

sono un marcatore genetico specifico dei carcinomi tiroidei<br />

ben differenziati di istotipo papillare. Recentemente è stata,<br />

infatti, riportata una frequenza di mutazione che varia dal 29<br />

al 69% nei suddetti tumori.<br />

Tutte le mutazioni identificate sono a carico del nucleotide<br />

1796 dell’esone 15 di BRAF; una timina è sostituita da<br />

un’adenina (T1796A) con conseguente sostituzione di una valina<br />

con glutammato nel residuo 599 (V599E) della proteina.<br />

Scopo. Lo scopo di questo studio è di valutare se l’analisi<br />

mutazionale di BRAF può incrementare l’accuratezza diagnostica<br />

dell’agoaspirato tiroideo.<br />

Materiali e metodi. Il materiale utilizzato è costituito da<br />

campioni citologici ottenuti mediante agoaspirazione di<br />

noduli tiroidei e dai corrispondenti tessuti tumorali prelevati<br />

chirurgicamente inclusi in paraffina.<br />

In particolare è stata analizzata una serie di 96 neoplasie<br />

tiroidee comprendenti: 69 carcinomi ben differenziati di istotipo<br />

papillare (PTC), 19 adenomi follicolari e 8 gozzi<br />

multinodulari non tossici. L’analisi mutazionale è stata eseguita<br />

mediante analisi Single Strand Conformation Polymorphism<br />

(SSCP) e sequenziamento diretto del DNA genomico<br />

degli esoni 11 e 15 di BRAF. Il riarrangiamento di Ret/PTC<br />

è stato inoltre analizzato in 33 campioni di PTC, 19 adenomi<br />

e 8 gozzi multinodulari.<br />

Risultati. La mutazione di BRAF (V599E) è stata riscontrata<br />

nel 38% (26/69) dei carcinomi papillari. La prevalenza di<br />

mutazione di BRAF nelle varianti istologiche dei PTC è la<br />

seguente: 16/35 (45%) variante classica, 3/22 (15%) variante<br />

follicolare, 5/9 (55%) variante a cellule alte, 2/3 (66%) variante<br />

sclerosante.<br />

Il riarrangiamento di Ret è stato individuato in 6 dei 33 PTC<br />

analizzati (18%).<br />

In nessuna delle neoplasie benigne né nei gozzi multinodulari<br />

sono state rilevate mutazioni di BRAF o riarrangiamenti<br />

Ret/PTC.<br />

Conclusioni. I risultati ottenuti hanno dimostrato che il 46%<br />

dei carcinomi papillari presentano un’alterazione genica di<br />

BRAF o del gene Ret, suggerendo la possibilità che l’analisi<br />

molecolare di tali geni possa essere un valido supporto preoperatorio<br />

nella diagnosi dei tumori tiroidei. Tale metodica è<br />

risultata particolarmente utile nel 33% dei casi con diagnosi


168<br />

citologica preoperatoria indeterminata. Infatti, su 5 di 15 casi<br />

è stata trovata un’alterazione di uno dei 2 geni permettendo<br />

la possibilità di una diagnosi di carcinoma papillare sulla<br />

base dei dati molecolari.<br />

Efficacia dell’immunocitochimica<br />

nella citologia agoaspirativa su strato sottile<br />

E.D. Rossi, A. Mulè, C. Maggiore, M. Marino, A. Miraglia,<br />

G.F. Zannoni, F.M. Vecchio, G. Fadda<br />

Istituto di Anatomia e Istologia patologica, Università Cattolica<br />

del Sacro Cuore, Roma<br />

Introduzione. L’agoaspirato rappresenta il miglior strumento<br />

diagnostico per numerose patologie di organi superficiali e<br />

profondi. L’immunocitochimica (ICC) rappresenta un valido<br />

aiuto nella diagnostica citologica benché la sua applicazione<br />

ai preparati convenzionali sia talora problematica. Il presente<br />

studio analizza l’efficacia della ICC applicata alla citologia<br />

su strato sottile.<br />

Metodi. Nel periodo gennaio 2001-settembre 2003 sono stati<br />

presi in esame, su un totale di 3.573 agoaspirati consecutivi,<br />

109 casi che hanno richiesto l’applicazione della ICC,<br />

ottenuti sia con metodica convenzionale che con citologia su<br />

strato sottile. I preparati convenzionali sono stati fissati in<br />

etanolo mentre quelli su strato sottile sono stati processati<br />

secondo la metodica Thin Prep 2000 (Cytyc, Marlborough<br />

USA); la colorazione utilizzata è stata, per entrambe le<br />

metodiche, quella di Papanicoulau. L’ICC è stata impiegata<br />

quasi esclusivamente nella metodica su strato sottile ed è stata<br />

eseguita sui preparati convenzionali solo quando la qualità<br />

su strato sottile non è risultata ottimale.<br />

Risultati. I 109 casi sono stati raggruppati come segue: 32<br />

noduli tiroidei con 13 controlli istologici (CI); 23 patologie<br />

linfonodali (indipendentemente dalla sede) con 14 CI; 17 lesioni<br />

epatiche e pancreatiche (2 CI); 9 noduli polmonari (4<br />

CI); 5 lesioni renali e surrenaliche (0 CI); 6 lesioni addominali<br />

(2 CI) e 5 masse mediastiniche (2 CI); 5 lesioni delle ghiandole<br />

salivari (2 CI); 4 lesioni ossee (2 CI) e 3 lesioni sottocutanee<br />

(1 CI).<br />

L’applicazione dell’immunocitochimica sui preparati in strato<br />

sottile ha consentito di giungere ad una diagnosi citologica<br />

in 96 casi (89%), risultando non dirimente solamente in 13<br />

casi. La diagnosi citologica è stata confermata al successivo<br />

esame istologico in 40 casi su 41 (97,5%).<br />

Conclusioni. La ICC può essere applicata sulla citologia in<br />

strato sottile con risultati molto soddisfacenti rispetto alla<br />

citologia convenzionale e appare efficace per ottenere una<br />

corretta diagnosi citologica su agoaspirato.<br />

Bibliografia<br />

1 Dabbs DJ, et al. Diagn Cytopathol 1997;17:388-92.<br />

2 Leung CS, et al. Diagn Cytopath 1997;16:368-71.<br />

Citologia aspirativa di neoplasie rare della<br />

mammella<br />

A.M. Dalena, G. Melillo, P. Goglia, G. Ferrara<br />

UOC Anatomia Patologica, A.O. “Gaetano Rummo”, Benevento<br />

Introduzione. La biopsia aspirativa con ago sottile (FNAB)<br />

della mammella ha permesso di by-passare in numerosi cen-<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

tri l’effettuazione degli esami al congelatore e delle biopsie<br />

incisionali.<br />

Metodi. In una valutazione retrospettiva della casistica di patologia<br />

mammaria della Anatomia Patologica dell’Azienda<br />

Ospedaliera “G. Rummo” di Benevento sono stati individuati<br />

3 casi di carcinoma mammario con istotipo speciale studiati<br />

in fase preoperatoria mediante FNAB: il carcinoma papillare<br />

solido, il carcinoma a cellule chiare ricche di glicogeno ed il<br />

carcinoma adenosquamoso di alto grado.<br />

Risultati. Su FNAB, il carcinoma papillare invasivo evidenziava<br />

una elevatissima cellularità con elementi neoplastici<br />

relativamente monomorfi, di aspetto plasmocitoide, talora<br />

organizzati in strutture papillari tridimensionali con un evidente<br />

“core” fibrovascolare.<br />

Il carcinoma a cellule chiare ricche di glicogeno mostrava aggregati<br />

di grosse cellule ovalari e rotondeggianti simili a cellule<br />

vegetali per l’abbondante citoplasma debolmente acidofilo<br />

provvisto di un evidente alone chiaro perinucleare.<br />

Il carcinoma adenosquamoso di alto grado si caratterizzava<br />

per la combinazione di cellule fusate fibroblast-like e di cellule<br />

epiteliali spiccatamente pleomorfe, alcune della quali<br />

cheratinizzanti.<br />

Conclusioni. I casi qui illustrati documentano la affidabilità<br />

della FNAB nella diagnostica preoperatoria delle neoplasie<br />

mammarie.<br />

Il carcinoma papillare solido può essere paradossalmente più<br />

semplice da riconoscere su preparati citologici che non su<br />

preparati istologici 1 .<br />

IL carcinoma a cellule ricche di glicogeno evidenzia aspetti<br />

citologici (cellule di aspetto simil-vegetale) assai peculiari,<br />

finora non segnalati in letteratura 2 .<br />

Il carcinoma adenosquamoso di alto grado è una neoplasia il<br />

cui carattere “bifasico” (epiteliale e mesenchimale) può essere<br />

agevolmente riconoscibile su materiale citologico.<br />

Bibliografia<br />

1 Lefkowitz M, Lefkowitz W, Wargotz ES. Intraductal (intracystic) papillary<br />

carcinoma of the breast and its variants: a clinico-pathological<br />

study of 77 cases. Hum Pathol 1994;25:802-9.<br />

2 Kern SB, Andera L. Cytology of glycogen-rich (clear cell) carcinoma<br />

of the breast. A report of two cases. Acta Cytol 1997;41:556-60.<br />

Primitive uterine cervix lymphoma.<br />

Case report<br />

N. Scibetta, G. Sciancalepore, L. Marasà<br />

U.O. di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico-Di Cristina-<br />

Ascoli”, Palermo<br />

Introduction. The primitive uterine cervix lymphoma is very<br />

rare, it strikes females between 30 and 60 years old; clinically<br />

it starts with menometorrhagia and pelvicalgia. The more<br />

frequent histological types are follicular and diffuse large cell<br />

lymphomas. Rare cases of “MALT-Type”, sometimes with<br />

high grade, in cervical seat has been pointed out.<br />

Materials and methods. Our case regards a 41 years old patient,<br />

with metrorrhagia and left latus’ pain. Afterward clinical<br />

examination and echographia a cervical mass has been<br />

showed, with maximum diameter 9 cm, in uterine fibromyomatosis<br />

setting. The patient has been subjected to laparopanhysterectomy<br />

with left oophorosalpingectomy. The specimens<br />

sent were formalin 4% fixed and paraplast plus included.<br />

Sections of 3 µm thickness have been prepared;<br />

stained with HE, Giemsa, PAS and Reticulum. Other sections


ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI<br />

have been set on slides, previously treated with Poli-l-lysin<br />

for the immunohistochemical stains.<br />

Results. Macroscopically a big and deformed uterus, because<br />

of multiple intramural leiomyomas, has been showed; while<br />

the cervix was taken by a mass, partly projected in uterocervical<br />

canal, with maximum diameter of 9 cm. The histological<br />

feature was characterized by diffuse population of large<br />

size lymphoid elements, with clear nuclei, large and pale cytoplasm,<br />

well-limited, high mitotic index and proliferative<br />

fraction > 50% (MIB 1), arranged in alveolar structures or in<br />

diffused pattern, fully infiltrating the uterine cervix, separating<br />

endocervical glands, but without attacking them. Such<br />

neoplastic elements were positive for CD45 RA, CD20,<br />

CD79a, CD23; only some of them were positive for BCL2;<br />

everyone was negative for CK AE1 and AE3, CD3, CD10,<br />

BCL6, Cyclin D1, CD5, CD43, EMA, ALK. The reached diagnosis<br />

was “Diffuse NH Lymphoma with large cells, derived<br />

from peripheral B Lymphocytes”. Immediately after<br />

the postoperative period, the patient has been subjected to<br />

haematochemical routine examination; LDH and β2 microglobulin<br />

determination; viral serological indagation for<br />

CMV, EBV, HIV, HCV and HSV Antibodies research; RMN;<br />

abdominal and thoracic TAC with negative outcome. The<br />

PET excluded illness with high metabolic activity, also the<br />

osteomedullary biopsy did not reveal any trace of disease.<br />

Conclusions. We report a rare case of primitive uterine<br />

cervix diffuse NH lymphoma, with large cells, derived from<br />

peripheral B lymphocytes, stadium I BULKI IPI O in RC The<br />

cellular monomorphism, the depth of paries’ invasion, the<br />

IIC examinations allowed us to exclude an inflammatory reaction<br />

with big lymphomatoid cells and leading us toward a<br />

lymphomatous process. The lack of lymphoepithelial injures<br />

excluded a MALT type lymphoma, whereas the CD10 negativity<br />

excluded such elements’ derivation from follicular centre.<br />

The patient has been subjected to 6 cycles of polychemotherapy<br />

with CHOP and Rituximab with consolidation<br />

Rt. Six months after the therapy, the clinical-instrumental<br />

check up and the vaginal cul-de-sac biopsy have not revealed<br />

any pathology.<br />

Ruolo dell’IL-12 nella patogenesi<br />

della linfoadenite di Kikuchi<br />

M.C. Giustiniani, S. Scarpino, A. Di Napoli, A. Stoppacciaro,<br />

S. Uccini, L.P. Ruco<br />

II Facoltà di Medicina e Chirurgia di Roma “La Sapienza”,<br />

Istopatologia, Ospedale “Sant’Andrea”<br />

La linfoadenite di Kikuchi è una rara malattia ad eziologia ignota<br />

caratterizzata dalla presenza di focolai di necrosi associata<br />

a macrofagi/cellule dendritiche CD68+/MPO+. Nel presente<br />

lavoro abbiamo studiato un caso di linfoadenite di<br />

Kikuchi di cui era disponibile materiale congelato. Sezioni<br />

del linfonodo sono state utilizzate per la caratterizzazione<br />

immunofenotipica delle componenti cellulari presenti nella<br />

lesione e per la microdissezione laser al fine di valutare il<br />

profilo di citochine prodotte nelle aree necrotiche. Come<br />

controllo sono stati microdissecati i centri germinativi dello<br />

stesso linfonodo. L’RNA estratto dai microdissecati è stato<br />

amplificato mediante kit specifici ed utilizzato in esperimenti<br />

di RT-PCR e analisi Macroarray per la definizione del profilo<br />

di espressione genica.<br />

I risultati del nostro studio hanno dimostrato che nelle aree di<br />

necrosi è presente una ricca popolazione di cellule den-<br />

169<br />

dritiche in parte positive per CD11c ed in parte per CD123,<br />

le prime disposte centralmente e le seconde in periferia; al di<br />

fuori della necrosi, nelle aree interfollicolari, sono inoltre<br />

presenti numerose cellule dendritiche DC-LAMP+ e rare<br />

CD1+. L’analisi della produzione di citochine effettuata con<br />

RT-PCR ha dimostrato che la quantità di IL-12 presente nelle<br />

aree necrotiche è circa 800 volte maggiore di quella presente<br />

nei centri germinativi. Al contrario i livelli di IFN-γ nella<br />

necrosi e nel centro germinativo sono paragonabili. L’analisi<br />

di espressione genica per citochine/chemiochine ha dimostrato<br />

un complesso pattern di produzione nell’ambito<br />

delle zone di necrosi, compatibile con una cascata indotta da<br />

IL-12. L’assenza di CD40 nelle cellule dendritiche della lesione<br />

suggerisce che l’induzione della produzione di IL-12<br />

avvenga attraverso un meccanismo diverso dall’interazione<br />

CD40-CD40L. In conclusione i nostri risultati suggeriscono<br />

che un’abnorme produzione di IL-12, indotta da cause<br />

sconosciute, possa avere un ruolo centrale nella patogenesi<br />

della malattia di Kikuchi verosimilmente attraverso l’attivazione<br />

della secrezione di IFN-γ da parte dei linfociti T CD8<br />

attivati e/o da parte di altre cellule.<br />

Un caso di linfoma di Hodgkin coesistente<br />

con un tumore di Warthin della parotide<br />

A. Mulè, C. Maggiore, E.D. Rossi, G. Fadda, L.M. Larocca<br />

Istituto di Anatomia Patologica Università Cattolica del Sacro<br />

Cuore di Roma<br />

Introduzione. I linfomi, la quasi totalità dei quali sono linfomi<br />

non-Hodgkin (NHL), rappresentano lo 0,6-5% di tutte<br />

le neoplasie parotidee. Viene qui riportato un insolito caso di<br />

linfoma di Hodgkin (HL) coesistente con un tumore di<br />

Warthin (WT) della parotide.<br />

Caso clinico. Nel settembre 2003 abbiamo eseguito un<br />

esame citologico aspirativo su una tumefazione parotidea di<br />

7 cm insorta da 6 mesi in un uomo di 52aa. per altro asintomatico.<br />

Il materiale ottenuto, ha rivelato la presenza di una<br />

cellularità linfoide mista con sparse cellule di aspetto sternbergoide,<br />

senza evidenza di elementi epiteliali. L’insieme di<br />

tali dati e delle indagini immunocitochimiche (CD30+<br />

CD15+ LCA- CD20- CK-), ha suggerito la diagnosi di HL.<br />

L’esame istologico ed IIC su biopsia incisionale, ha confermato<br />

la diagnosi di HL, ma ha anche evidenziato un’area<br />

marginale di WT, intimamente commista alla componente<br />

linfomatosa. Una TC ha rivelato, oltre al massivo coinvolgimento<br />

parotideo, l’interessamento omolaterale tonsillare,<br />

orofaringeo e laterocervicale, quest’ultimo in forma di alcuni<br />

linfonodi patologici. La biopsia osteomidollare è risultata<br />

negativa.<br />

Discussione. Il WT è la seconda neoplasia più frequente della<br />

ghiandola parotide (10-15%) mentre il HL a localizzazione<br />

salivare è molto raro. La coesistenza delle due entità è stata<br />

descritta solo due volte 1 2 . Badve descrive un caso di HL<br />

coinvolgente il mediastino e un linfonodo intraparotideo adiacente<br />

ad un WT. La componente linfoide di quest’ultimo<br />

non mostrava alcuna atipia. Melato riporta un caso con un<br />

quadro istologico parotideo simile al nostro, ma clinicamente<br />

più aggressivo.<br />

La presenza di multiple localizzazioni extralinfonodali,<br />

sebbene limitate all’anello del Waldayer, e il minimo coinvolgimento<br />

linfonodale regionale, rende il caso qui descritto<br />

ancor più peculiare.


170<br />

Conclusioni. Noi descriviamo il terzo caso di coesistenza di<br />

WT e HL. Sulla base della più accreditata teoria patogenetica<br />

del WT (linfonodo nel cui contesto si accrescono degli inclusi<br />

epiteliali benigni policlonali), un HL primitivamente insortovi<br />

è da considerare intranodale. Tuttavia, nel nostro caso,<br />

l’intima coesistenza WT/HL e l’importante interessamento<br />

tonsillare ed orofaringeo, vs. un minoritario coinvolgimento<br />

linfonodale regionale, potrebbe celare un inusuale tropismo<br />

per il tessuto linfoide mucosa associato.<br />

Bibliografia<br />

1 Badve S, et al. Histopathol 1993;22:280-1.<br />

2 Melato M, et al. Pathol Res Pract 1986;181:615-20.<br />

Analisi mutazionale dei geni proapoptotici<br />

Bax, Bak e Bik nei linfomi a cellule B<br />

M. Martini, V. Arena, A. Evangelista, F. Pierconti, A.<br />

Capelli, L.M. Larocca<br />

Istituto di Anatomia Patologica, Università Cattolica del Sacro<br />

Cuore, Roma<br />

Introduzione. La disregolazione del processo apoptotico ed in<br />

particolare della Bcl-2 family, ha un ruolo cruciale nella patogenesi<br />

delle neoplasie dell’apparato emolinfopoietico. La Bcl-<br />

2 family è formata da un gruppo di geni pro o anti apoptotici<br />

con strette omologie strutturali in grado di formare etero o<br />

omodimeri. Sembra ormai chiaro che geni proapoptotici come<br />

Bax o Bak siano i veri esecutori del messaggio apoptotico,<br />

mentre i geni antiapoptotici come il Bcl-2 o il Bclx-L formando<br />

eterodimeri con i geni proapoptotici sarebbero in grado di<br />

bloccarne la funzione. Studi recenti hanno dimostrato come la<br />

disregolazione del processo apoptotico nelle neoplasie emolinfopoietiche<br />

è per lo più dovuta ad una iperespressione di geni<br />

anti-apoptotici, che potrebbe dipendere anche da una diminuita<br />

espressione di geni pro apoptotici quali Bax, Bak, Bik o altri<br />

a causa di alterazioni molecolari come le mutazioni.<br />

Metodi. Abbiamo studiato, tramite PCR-SSCP, la presenza<br />

di mutazioni in tre dei geni proapoptotici più importanti Bax,<br />

Bak e Bik, in 81 casi di linfoma non-Hodgkin di tipo B: 33<br />

casi di linfoma follicolare, 15 casi di linfoma della zona marginale,<br />

7 casi di linfoma mantellare, 7 casi di linfoma a piccoli<br />

linfociti, 15 casi di linfoma a grandi cellule B, 2 casi di<br />

linfoma plasmocitoide e 2 casi di linfoma di Burkitt. 10 casi<br />

si tonsilla palatina e 10 casi di linfonodi di soggetti sani sono<br />

stati utilizzati come controlli normali. I casi mutati sono stati<br />

sequenziati direttamente.<br />

Risultati. Non sono state osservate mutazioni strutturali nel<br />

gene Bax in nessuno dei linfomi studiati. Una mutazione<br />

silente del gene Bak (esone 2, codone 14, TGC → TGT) è stata<br />

osservata in 24 degli 81 linfomi (37% follicolari e 47% marginali)<br />

e in 4 delle 10 tessuti linfoidi iperplastici. Mutazioni del<br />

gene Bik con alterazione della sequenza amminoacidica sono<br />

state invece osservate in 2 su 27 (11%) dei linfomi follicolari<br />

(FL), in 2/13 (15%) dei linfomi della zona marginale (MZL) ed<br />

in 1/16 (6%) dei linfomi a grandi cellule B (DLBCL).<br />

Conclusioni. Le alterazioni molecolari del gene Bak, come<br />

per altri geni, suggeriscono una sua segregazione nei linfomi<br />

di origine dal centro germinativo a causa del meccanismo di<br />

somatic hypermutation che qui avviene. Le nostre ricerche<br />

hanno altresì evidenziato come le mutazioni del gene Bik appartenente<br />

alla famiglia delle BH3 only proteins possono essere<br />

coinvolte nella disregolazione del processo apoptotico<br />

presente nei linfomi non-Hodgkin a cellule B.<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

Linfoadenite istiocitica necrotizzante<br />

(malattia di Kikuchi Fujimoto): descrizione<br />

di un caso<br />

A.V. Filardo, S. Squillaci1 , F. Pontieri, F. Tallarigo<br />

Servizio di Anatomia patologica Ospedale di Crotone, Catanzaro;<br />

1 Esine, Brescia<br />

Introduzione. La linfoadenite istiocitica necrotizzante è una<br />

malattia ad eziologia sconosciuta a decorso benigno molto<br />

più comune nel sud-est asiatico, descritta per la prima volta<br />

nel 1972 da Kikuchi-Fujimoto, interessante per lo più giovani<br />

donne. Si presenta generalmente con aumento della temperatura<br />

e linfoadenoparia localizzata, anche se sono stati descritti<br />

in letteratura casi con interessamento extralinfonodale.<br />

Generalmente la sintomatologia si risolve spontaneamente<br />

nell’arco di alcuni mesi.<br />

Materiali e metodi. Viene qui descritto il caso di una giovane<br />

donna di 28 anni che ha presentato uno sviluppo progressivo<br />

di malattia. L’esordio è coinciso con una linfoadenopatia<br />

latero-cervicale monolaterale. Dopo circa due<br />

settimane compariva aumento della temperatura con puntate<br />

febbrili fino a 39°C, brividi, malessere generalizzato, diminuzione<br />

dell’appetito. Gli esami ematochimici mostravano<br />

una modesta leucopenia. Il quadro morfologico linfonodale<br />

evidenziava necrosi sottocorticale con apoptosi, aggregati di<br />

monociti plasmocitoidi, istiociti con nuclei eccentrici, aumentati<br />

di volume, a citoplasma schiumoso, assenza di neutrofili,<br />

focali aggregati di immunoblasti. Alcuni centri germinativi<br />

del linfonodo erano conservati, come anche la capsula.<br />

Dal punto di vista immunoistochimico, la componente linfoide<br />

era rappresentata prevalentemente da elementi t maturi<br />

CD8+, con una minima quota di elementi B CD20+. Gli elementi<br />

istiocitari, hanno mostrato una intensa positività al cd<br />

68 e alla mieloperossidasi, quelli di tipo immunoblastico,<br />

sono risultati essere CD30-, CD15- E CD45+. Discreta la<br />

quota di elementi interdigitati dendritici positivi alla proteina<br />

s100, soprattutto a livello della zona paracorticale. Pertanto il<br />

quadro morfologico ed immunofenotipico ci indirizzava verso<br />

una diagnosi di linfoadenite istiocitica necrotizzante.<br />

Discussione. La malattia di Kikuchi Fujimoto si può osservare<br />

a tutte le età ma interessa, prevelentemente, i giovani adulti,<br />

con un rapporto uomini-donne di 1:4. Dal punto di vista clinico<br />

si manifesta con una linfoadenopatia principalmente laterocervicale<br />

in un contesto febbrile e di astenia. Talvolta si associa<br />

una leucopenia transitoria e una moderata sindrome infiammatoria.<br />

L’evoluzione è benigna, spontaneamente, nell’arco<br />

di alcuni mesi, possibili sono le ricadute. Dal punto di vista istologico<br />

molteplici sono le patologie con cui va in diagnosi<br />

differenziale, sia esse neoplastiche (linfoma) che non, ma che<br />

presentano lo stesso quadro morfologico, come malattie di tipo<br />

autoimmune (LES, malattia di Kavasaki), linfoadeniti infettive<br />

(Yersinia enterocolitica, malattia da graffio di gatto, citomegalovirus,<br />

virus Epstein Barr). Dal punto di vista eziologico,<br />

anche se la connessione tra questa malattia ed una infezione<br />

virale non è stata provata, quella autoimmunitaria sembra<br />

la più accreditata. Una reazione iperimmune dell’organismo<br />

indotta da un’infezione virale.<br />

Conclusioni. Sebbene la linfoadenite istiocitica necrotizzante<br />

sia una patologia rara, questo caso mostra come la<br />

malattia comparsa con una linfoadenite localizzata, laterocervicale,<br />

in una giovane donna, pone non pochi problemi di<br />

diagnosi differenziale. A volte tale compito può essere arduo<br />

per il patologo, se si utilizza il solo parametro morfologico.<br />

pertanto è sempre necessario effettuare indagini più appro-


ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI<br />

fondite, come può essere quella immunoistochimica, supportate<br />

sempre dal quadro clinico.<br />

Leucemia linfatica cronica b insorta in<br />

leucemia mieloide cronica Ph+. descrizione<br />

di un caso<br />

L. Riccioni, A. Pragliola, F. Morigi, L. Guardigni1 , M.<br />

Maldini2 , A. Bondi<br />

U.O. di Anatomia Patologica, 1 Servizio di Ematologia, 2 Laboratorio<br />

Analisi, Ospedale “M. Bufalini”, Cesena<br />

Introduzione. La coesistenza di leucemia mieloide cronica<br />

(LMC) e leucemia linfatica cronica (LLC) B nello stesso<br />

paziente è una rara evenienza. Descriviamo il secondo caso<br />

presente in letteratura di LLC-B insorta nel decorso di una<br />

LMC Philadelphia positiva (Ph+).<br />

Caso clinico. Uomo di anni 71 affetto da LMC Ph+ in fase<br />

cronica, istologicamente e geneticamente accertata e trattata<br />

con idrossiurea. Dopo 4 anni, in cui le condizioni clinico-laboratoristiche<br />

erano rimaste stabili, il paziente iniziava Glivec,<br />

sospeso dopo tre settimane per severa trombocitopenia. Nel<br />

frattempo si evidenziava lieve linfocitosi (7,0x10 9 /L). Per<br />

questa ragione venivano ripetuti il cariotipo ed una biopsia osteomidollare,<br />

nella quale compariva accanto alla popolazione<br />

neoplastica mieloide un infiltrato linfoide patologico compatibile<br />

con LLC, immunofenotipicamente documentata su sangue<br />

periferico, con CD38 7%. Nessuna ulteriore terapia è stata data<br />

nei successivi 6 mesi, quando per un nuovo innalzamento<br />

della conta leucocitaria (leucociti 50,6x10 9 /L, con linfociti<br />

55%) il paziente riprendeva terapia con idrossiurea.<br />

Risultati. La prima biopsia osteomidollare appariva ipercellulata,<br />

con espansione della granulocitopoiesi, morfologicamente<br />

compatibile con LMC. La componente linfoide interstiziale<br />

non era aumentata. La seconda biopsia osteomidollare<br />

mostrava la persistenza della LMC, con lieve aumento<br />

della quota nucleolata immatura (< 10%). Era inoltre presente<br />

un infiltrato linfoide interstiziale e nodulare, costituito prevalentemente<br />

da piccoli linfociti immunoreattivi per CD20,<br />

CD5, CD23 e negativi per CD3, CD10 e TDT. Il secondo cariotipo<br />

mostrava la comparsa di ulteriori anomalie genetiche<br />

non canoniche per una progressione della LMC, quali la presenza<br />

di un nuovo clone Ph+ mostrante del (3p) e di uno Phcon<br />

perdita del cromosoma 21.<br />

Conclusioni. La comparsa di una proliferazione linfoide nel<br />

decorso clinico di una LMC impone di escludere una crisi<br />

blastica del disordine mieloproliferativo sottostante, che implicherebbe<br />

differenti scelte terapeutiche. Tuttavia gli aspetti<br />

morfologico ed immunoistochimico dell’infiltrato linfoide<br />

presente nella seconda biopsia osteomidollare, in accordo<br />

con quanto riportato in letteratura, depongono per una LLC-<br />

B, differente da una evoluzione blastica linfoide, quale possibile<br />

evoluzione tardiva della preesistente LMC. È possibile<br />

che l’insorgenza della LLC, analogamente a quanto riportato<br />

in corso di mielofibrosi idiopatica, trattata con idrossiurea<br />

(Bohm et al. Pathologie. 2002;23:480-5), sia dovuta ad un<br />

effetto leucemizzante della terapia od in alternativa ad una<br />

differente origine clonale delle due neoplasie (Salim et al.<br />

Leuk Lymphoma. 2002;43:2225-7).<br />

171<br />

Fattori predittivi delle metastasi nei linfonodi<br />

non sentinella nel cancro della mammella<br />

B. Bruni, S.G. Carinelli, M. Giroda, S. Poma, L. Runza<br />

Anatomia Patologica e Chirurgia Plastica, Istituti Clinici di<br />

Perfezionamento, Milano<br />

Introduzione. Abbiamo correlato i caratteri del tumore<br />

mammario (tipo, grado istologico e dimensioni) col Linfonodo<br />

Sentinella (LS) e il tipo delle metastasi del LS con lo stato<br />

dei linfonodi non sentinella (LNS), dopo linfoadenectomia<br />

(LAD).<br />

Metodi. L’analisi del LS di 108 pazienti è stata condotta secondo<br />

un protocollo (Am J Surg Pathol 2002;26:377-82) 5<br />

sezioni istologiche, 3 colorate con EE e 2 con CK. Le metastasi<br />

(M) sono state classificate in macro-M (nodulari e maggiori<br />

di 2 mm) e micro-M (cellule singole o aggregati di cellule<br />

tumorali di dimensioni ≤ 2 mm).<br />

Risultati. In due casi non è stato isolato il LS (1,8%). Nei<br />

restanti 106 è stato isolato un solo LS in 56 casi (53%), due<br />

in 28 casi (26%), tre o più in 21 casi (21%). Un caso era negativo<br />

per cancro ed il LS era negativo. Un caso di Tumore<br />

Fillode Maligno aveva il LS negativo. Dei 23 casi di carcinoma<br />

in situ (16) o in situ con microinvasione < 2 mm, inclusa<br />

una Malattia di Paget (7) il LS era positivo in uno dei 5<br />

casi di carcinoma duttale in situ con microinvasione, come<br />

microemboli nel seno marginale. Due dei 6 pazienti con carcinoma<br />

lobulare infiltrante (diametro 8-17 mm + due multinodulari)<br />

avevano il LS positivo; nell’unico caso con LAD i<br />

LNS erano diffusamente positivi. In 18 casi di carcinoma<br />

duttale infiltrante (CDI) G1 (diametro 2-19 mm) il LS è risultato<br />

positivo in 3 casi (di cui uno come micro-M) i cui LNS<br />

erano indenni; l’unico dei 9 con LAD che aveva LNS positivo<br />

era associato ad un LS negativo, anche dopo 21 sezioni istologiche.<br />

Nei 56 casi di CDI G2-3 (diametro 2-40 mm) il LS<br />

è risultato positivo in 22 (39%), di cui 7 come micro-M. Il diametro<br />

medio dei tumori con macro-M del LS era maggiore<br />

(17 mm) rispetto a quello dei tumori con micro-M del LS (12<br />

mm). Nei 24 casi con LAD, i LNS erano metastatici in 6 casi;<br />

in 5 il LS aveva macro-M e in uno micro-M; in 18 casi i LNS<br />

erano indenni e di questi 12 avevano il LS positivo, 9 come<br />

macro-M e 3 come micro-M. In nessun caso con LS negativo<br />

c’erano metastasi ai LNS. In un caso di CDI, la metastasi<br />

nel LS era negativa alla CK7, per cui è stata aggiunta una CK<br />

a largo spettro nella procedura.<br />

Conclusioni. Esiste una correlazione tra caratteri del cancro,<br />

stato del LS, caratteristiche della metastasi del LS e stato dei<br />

LNS. La negatività del LS è predittiva di negatività dei LNS,<br />

ma falsi negativi sono un limite della procedura. La CK 7 da<br />

sola è insufficiente per la procedura.


172<br />

L’assetto recettoriale tirosin-chinasico nei<br />

carcinomi mammari: valutazione di HER2-neu<br />

e EGFR in I.H.C. e F.I.S.H. correlata a parametri<br />

istomorfologici ed immunofenotipici<br />

L. Baron, M. Postiglione, A. Cesarano, P. Beltotti, F.<br />

Quarto<br />

S.O.C. di Anatomia ed Istologia Patologica e Citopatologia<br />

P.O. “S. Leonardo” ASL-NA5, Castellammare di Stabbia,<br />

Napoli<br />

Introduzione. Il pathway di crescita autocrino HER-guidato<br />

è implicato nello sviluppo e nella progressione del carcinoma<br />

mammario.<br />

Metodi. Avvalendoci di metodiche di immunoistochimica<br />

(IHC) e biologia molecolare (FISH) abbiamo studiato l’espressione<br />

singola e la co-espressione di 2 membri della<br />

famiglia dei recettori HER, l’EGFR e l’HER2, su 126 casi di<br />

carcinomi mammari. L’assetto dei 2 recettori è stato correlato<br />

a parametri morfologici quali: tipo istologico, dimensioni,<br />

stato linfonodale e a marcatori quali: indice di proliferazione<br />

cellulare (Ki67-Mib-1), espressione di p53 e l’assetto recettoriale<br />

ormonale.<br />

Risultati. Il 26% dei carcinomi presentano amplificazione<br />

genica di HER2 (FISH-PathVysion-Vysis) a fronte del 28%<br />

di casi con sovraespressione proteica all’IHC (punteggio<br />

2+/3+, HercepTest-DakoCytomation). La percentuale di concordanza<br />

del 92% indicherebbe che la sovraespressione proteica<br />

di HER2 può verificarsi anche in assenza di amplificazione<br />

genica, quale risultato di un’anomala regolazione<br />

trascrizionale o post-trascrizionale.<br />

L’EGFR (LSI EGFR/CEP7-Vysis) risulta amplificato nel<br />

22% dei casi con un corrispondente valore di sovraespressione<br />

proteica pari al 36% (EGFR pharmDx). La minore<br />

percentuale di concordanza tra i 2 test è dovuta al fatto che la<br />

sovraespressione è legata anche a mutazione puntiforme del<br />

gene che codifica per una forma del recettore priva del dominio<br />

extracellulare deputato al legame con il ligando e attivabile<br />

costitutivamente.<br />

Per lo studio della co-espressione dei due recettori abbiamo<br />

classificato le pazienti in 4 gruppi: EGFR-/HER2- (62%),<br />

EGFR+/HER2+ (10%), EGFR+/HER2- (12%), EGFR-<br />

/HER2+ (16%). Al pari dei due gruppi che presentano uno solo<br />

dei due recettori amplificati, la classe di co-amplificazione<br />

presenta una correlazione statisticamente significativa con il<br />

grado istologico e con uno stato linfonodale positivo ma non<br />

con le dimensioni del tumore. I 3 gruppi, d’altro canto, presentano<br />

una relazione di proporzionalità diretta con l’indice di<br />

proliferazione cellulare e con la sovraespressione della p53 e<br />

di proporzionalità inversa con l’assetto recettoriale ormonale.<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

Conclusioni. Pertanto l’identificazione di un assetto recettoriale<br />

amplificato per EGFR e HER2, con valutazione in IHC<br />

(EGFR) e FISH (HER2) associa in un fenotipo più aggressivo<br />

neoplasie ER-, PG-, Ki67>, p53+ e EGFR+ e/o HER2+.<br />

Ciò a conferma dell’importanza della famiglia HER nell’iniziazione<br />

e progressione del carcinoma mammario, quindi<br />

la loro validità quali target terapeutici.<br />

L’espressione di p27kip1 nella sua forma<br />

fosforilata in treonina 187<br />

A. Iaccarino, A. Caleo, I. Migliaccio, C. Frangella, M.<br />

Russo, F. Esposito, J.C. Martinez1 , L. Palombini, G. Troncone<br />

Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università<br />

“Federico II” di Napoli, Napoli; 1 Istituto Oftalmico,<br />

Università Autonoma, Madrid, S<strong>pag</strong>na<br />

Introduzione. La progressione G1/S del ciclo cellulare<br />

richiede la proteolisi di p27 Kip1 (p27) che è innescata dalla<br />

sua fosforilazione su treonina 187 (T187). Fino ad oggi, l’espressione<br />

di p27 è stata studiata esclusivamente analizzando<br />

la proteina nella sua forma non-fosforilata (“plain” p27).<br />

Lo scopo di questo studio è quello di descrivere il pattern<br />

immunocitochimico di espressione di p27 fosforilata<br />

(pT187-p27).<br />

Metodi/Risultati. Nei tessuti normali pT187-p27 evidenzia i<br />

compartimenti tessutali dove è attiva la proliferazione. Il segnale,<br />

particolarmente evidente nelle cellule con figure mitotiche,<br />

è abrogato dal pre-adsorbimento con il corrispondente<br />

fosfo-peptide. Anche nei tessuti displastici e neoplastici,<br />

pT187-p27 è correlato con la proliferazione cellulare, essendo<br />

significativamente correlato alla espressione di MIB-1<br />

(Spearman R = 0,88; p < 0,001), mentre risulta essere alternativo<br />

alla espressione di “plain” p27 (Spearman R = -0,61;<br />

p < 0,001). Le metodiche di doppia immunofluorescenza (IF)<br />

e di miscopia laser confocale (LSCM) mostrano in cellule<br />

reattive e neoplastiche la progressiva perdita della reattività<br />

di “plain” e la acquisizione della espressione di p27 nella forma<br />

pT187.<br />

Conclusioni. Nel complesso, i nostri dati suggeriscono che<br />

nelle cellule proliferanti, la proteina p27 può essere evidenziata<br />

dall’anticorpo diretto contro il sito di fosforilatione in<br />

T187. Quindi l’uso combinato degli anticorpi anti “plain” e<br />

ad anti pT187 è necessario per valutare in pieno l’espressione<br />

tessutale di p27 e per validarne l’uso come marker prognostico<br />

delle neoplasie umane.


PATHOLOGICA 2004;96:173-178<br />

Espressione e stato mutazionale di c-kit nel<br />

carcinoma polmonare a piccole cellule (SCLC)<br />

L. Boldrini, S. Ursino1 , S. Gisfredi1 , P. Faviana, V. Donati,<br />

T. Camacci1 , M. Lucchi2 , A. Mussi2 , F. Basolo1 , R. Pingitore,<br />

G. Fontanini1 Dipartimento di Chirurgia, 1 Dipartimento di Oncologia,<br />

Trapianti e Nuove Tecnologie in Medicina, 2 Dipartimento<br />

Cardio-Toracico, Università di Pisa, Pisa<br />

Introduzione. La proteina c-kit, anche conosciuta come<br />

CD117, appartiene alla famiglia dei recettori tirosin-chinasici<br />

di tipo III. Attività chinasiche sono state implicate nella fisio-patologia<br />

di molti tumori, tra cui il carcinoma polmonare<br />

a piccole cellule (SCLC). Attivazione paracrina e/o autocrina<br />

di c-kit ad opera del suo ligando è stata ipotizzata nel tumore<br />

polmonare, ma questo recettore può anche essere attivato da<br />

mutazioni a carico del gene c-kit.<br />

Abbiamo esaminato l’espressione e lo stato mutazionale di ckit<br />

in SCLC allo scopo di verificare la sua espressione e le<br />

eventuali alterazioni geniche, così come il suo possibile impatto<br />

prognostico.<br />

Metodi. Sono stati analizzati 60 campioni di SCLC per valutare<br />

la presenza di eventuali mutazioni a carico degli esoni<br />

9 e 11 mediante la tecnica di PCR-SSCP e successivo sequenziamento<br />

automatico. Inoltre, l’espressione della proteina<br />

c-kit è stata valutata in 55 campioni mediante metodica<br />

immunoistochimica.<br />

Risultati. L’espressione di c-kit è stata evidenziata in circa il<br />

40% dei campioni SCLC. Due mutazioni a carico dell’esone<br />

9 e tre a carico dell’esone 11 sono state riscontrate. L’analisi<br />

della sopravvivenza mediante curve di Kaplan-Meier non ha<br />

evidenziato alcun valore prognostico per c-kit.<br />

Conclusioni. Nella nostra serie di campioni, l’espressione di<br />

c-kit ed il suo stato mutazionale non sembrano avere rilevante<br />

impatto sulla sopravvivenza; ciò rende più difficile l’approccio<br />

terapeutico con inibitori della tirosin-chinasi in SCLC, almeno<br />

fino a quando una sicura dimostrazione della implicazione di<br />

c-kit in questo tipo di tumore non sia stata ottenuta.<br />

Correlazione tra espressione di IL-8, TNF-α,<br />

neovascolarizzazione e p53 nel carcinoma<br />

polmonare non a piccole cellule<br />

S. Ursino1 , L. Boldrini, S. Gisfredi1 , P. Faviana, V. Donati,<br />

T. Camacci1 , M. Lucchi2 , A. Mussi2 , F. Basolo1 , R. Pingitore,<br />

G. Fontanini1 Dipartimento Chir., 1 Dipartimento Oncol., Trap. e Nuove<br />

Tecn. in Med., 2 Dipartimento Cardio-Torac., Università di<br />

Pisa, Pisa<br />

Introduzione. L’angiogenesi è un processo necessario per lo<br />

sviluppo e la crescita tumorale ed il conteggio dei microvasi<br />

(MVC) rappresenta un valido indice angiogenetico nel carcinoma<br />

polmonare non a piccole cellule (NSCLC). L’angio-<br />

COMUNICAZIONI<br />

2. Patologia polmonare, Patologia varia<br />

MODERATORI: P. GALLO (ROMA), G. NUCIFORO (CATANIA)<br />

genesi è stimolata da vari fattori: un ruolo prominente svolge<br />

il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF), ma altri fattori,<br />

quali interleuchina-8 (IL-8), p53 e Tumor Necrosis Factor<br />

(TNF-α), sembrano coinvolti.<br />

Metodi. La casistica include 88 pazienti, 73 maschi e 15<br />

femmine, età media 63,7 anni. In base al TNM, 18 pazienti<br />

erano classificati come T1, 60 T2, 10 T3; 29 presentavano<br />

metastasi linfonodali alla diagnosi (11 N1 e 18 N2), 59 no<br />

(N0). L’espressione di IL-8, VEGF e TNF-α mRNA era valutata<br />

mediante PCR-competitiva. Lo stato mutazionale del<br />

gene p53 veniva analizzato mediante PCR-SSCP e successivo<br />

sequenziamento automatico. L’espressione di IL-8 è stata<br />

correlata con VEGF, MVC, p53 e TNF-α.<br />

Risultati. In base al valore mediano, i campioni erano distinti<br />

in 43 a basso e 45 ad alto livello di IL-8 mRNA. Tali<br />

livelli non correlavano con nessuna delle caratteristiche<br />

clinico-patologiche della neoplasia. Il grado di espressione<br />

di IL-8 era correlato con MVC (χ 2 test; p = 0,02) e VEGF<br />

mRNA (χ 2 test; p = 0,02). Campioni con alterazioni di p53<br />

mostravano alti livelli di IL-8 (χ 2 test; p = 0,01). Le curve<br />

di sopravvivenza non evidenziavano differenze tra tumori a<br />

bassa ed alta espressione di IL-8, sia per sopravvivenza totale<br />

(OS), che per intervallo libero da malattia (DFI). Elevati<br />

livelli di IL-8 erano associati ad alta espressione di<br />

TNF-α (χ 2 test; p = 0,03). In analogia ad un nostro precedente<br />

studio, tumori con maggior contenuto di TNF-α erano<br />

caratterizzati da miglior prognosi (Log-rank test; p =<br />

0,03 per OS e p = 0,04 per DFI).<br />

Conclusioni. Dai risultati ottenuti, IL-8, analogamente a<br />

VEGF, sembra avere una funzione angiogenetica, regolata<br />

dallo stato di p53 in NSCLC. IL-8 e VEGF potrebbero però<br />

appartenere a pathways differenti; in particolare, IL-8<br />

potrebbe anche interagire con TNF-α nella regressione tumorale.<br />

Ulteriori studi saranno necessari per chiarire la funzione<br />

di IL-8 in NSCLC.<br />

Blastoma pleuropolmonare (PPb).<br />

Studio morfologico ed immunoistochimico<br />

di un caso<br />

N. Rizzo, C. Doglioni, G. Arrigoni<br />

Anatomia Patologica Istituto Scientifico “San Raffaele”, Milano<br />

Introduzione. Il blastoma pleuro-polmonare è una rara neoplasia<br />

aggressiva del bambino nei primi anni di vita, fa parte<br />

dei tumori disembrionali-disontogenetici (t. di Wilms, neuroblastoma<br />

e epatoblastoma) ed è l’unica neoplasia periferica<br />

polmonare o pleurica dell’età pediatrica distinta dal blastoma<br />

polmonare dell’adulto. Il PPb è costituito da un tessuto<br />

primitivo in cui gli elementi sarcomatosi e blastematosi sono<br />

variabilmente frammisti. Il PPb ha una base familiare o costituzionale<br />

nel 23% dei casi, può essere multifocale o associarsi<br />

ad altre neoplasie, displasie e/o iperplasie. Viene classificato<br />

in 3 tipi clinico-patologici, (Dehner), che rappresen-


174<br />

tano un continuum di progressione istologica e biologica:<br />

tipo I cistico, tipo II cistico e solido, tipo III solido.<br />

Caso clinico. Descriviamo un caso di blastoma pleuro-polmonare<br />

di tipo II in un bambino di 22 mesi diagnosticato, alla<br />

TC come cisti broncogena del lobo polmonare superiore di destra.<br />

La neoformazione, cistica, pluriloculata di cm 10 x 9 x 4<br />

con pareti di spessore da 0,2 a 1 cm, aderiva al polmone mediante<br />

un peduncolo ed era costituita da aree solide e cistiche,<br />

rivestite da epitelio respiratorio e separate da setti fibrosi talora<br />

mixoidi. Sotto l’epitelio vi sono cellule tumorali tonde o<br />

fusate, immature con aspetto simile allo strato cambiale del<br />

sarcoma botrioide accom<strong>pag</strong>nate da un numero variabile di<br />

rabdomioblasti (poligonali o allungati con strie trasversali) e di<br />

cellule anaplastiche con nuclei pleomorfi ed ipercromici o<br />

multinucleate. Le aree solide hanno aspetti misti blastematosi<br />

e sarcomatosi con cellule blastematose immerse in aree simil<br />

fibrosarcoma o istiocitoma fibroso maligno.<br />

Immunofenotipo: CK+ nell’epitelio respiratorio; CK-, vimentina+<br />

nelle cellule neoplastiche delle aree cistiche e<br />

solide; desmina+ nella componente rabdomioblastica; actina<br />

SM-, S100-, EMA-.<br />

Conclusioni. La peculiarità di questo caso risiede:<br />

• nella rarità del PPb;<br />

• nella difficoltà della diagnosi clinica, che spesso è di lesione<br />

benigna;<br />

• nella precisa definizione del tipo clinico-patologico (Dehner),<br />

in base al quale variano significativamente sopravvivenza<br />

e terapia.<br />

Bibliografia<br />

Dehner LP. Semin Diagn Pathol 1994;11:144-51.<br />

Priest JR, et al. Cancer 1997;80:147-61.<br />

Leiomiosarcoma EBV-associato in paziente<br />

HIV+, già affetto da linfoma primitivo<br />

del sistema nervoso centrale (PCNSL):<br />

identità molecolare dei tumori EBV associati<br />

F. Pierconti, M. Martini, A. Cingolani1 , L.M. Larocca<br />

Istituto di Anatomia Patologica, 1 Istituto di Clinica delle<br />

Malattie Infettive, Università Cattolica del S. Cuore, Roma<br />

Introduzione. Paziente HIV+, in terapia con HAART, lungosopravvivente<br />

dopo trattamento per PCNSL EBV-associato,<br />

sviluppa un leiomiosarcoma EBV-relato. Gli agenti etiologici<br />

virali identificati nei 2 tumori hanno medesime caratteristiche<br />

molecolari.<br />

Metodi. IIC: sezioni fissate in formalina, incluse in paraffina,<br />

metodo avidina-biotina perossidasi (Dako LSAB2,<br />

Dakopatts, Glostrup, Denmark), anticorpi monoclonali anti:<br />

CD20, CD79a, CD3, Bcl-6, Cd138/syndecan-1, Vimentina,<br />

Actina muscolo liscia, Desmina, S-100, HMB-45, CD31,<br />

CD34, (Ylem, Roma, Italia), LMP-1 (CS 1-4; Dakopatts).<br />

ISH: su sezioni fissate in formalina, sonda marcata con isotiocianato-fluoresceina<br />

complementare ad EBER-RNA (1/2;<br />

Dakopatts).<br />

Genotipo EBV: Estrazione DNA da paraffina con Qiamp<br />

DNA mini Kit (QIAGEN, Chatsworth, CA). PCR per regioni<br />

specifiche di EBNA 2 e EBNA 3, per la definizione<br />

del tipo di EBV (tipo 1 o tipo 2). Amplificazione e sequenziamento<br />

di una regione del gene EBNA-1, per i sottotipi di<br />

EBNA 1. Il genotipo di LMP-1 si determina mediante tecniche<br />

di PCR, con primers specifici per la regione C terminale<br />

di LMP-1.<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

Risultati. Il linfoma primitivo cerebrale, viene classificato<br />

come linfoma diffuso a grandi cellule, (REAL; WHO) immunoblastico<br />

plasmocitoide (WF), EBER+ e LMP-1+. Il tumore<br />

mesenchimale appare desmina e actina muscolo liscia,<br />

EBER+ e LMP-1+. Ambedue le lesioni, mostrano la presenza<br />

di un identico tipo 1 di EBV e identico sottotipo 1 di<br />

EBNA, (P-ala).<br />

Conclusioni. Questo primo caso riportato di leiomiosarcoma<br />

EBV-associato in paziente HIV+ con precedente PCNSL<br />

EBV-associato, appare suggerire che:<br />

– Alti livelli di viremia, come quelli presenti in paziente con<br />

PCNSL EBV-associato possono determinare l’infezione di<br />

cellule normalmente non coinvolte, come quelle muscolari<br />

lisce.<br />

– La radioterapia, seguita da terapia HAART, elimina l’infezione<br />

di EBV, nelle cellule linfomatose cerebrali, ma non<br />

appare capace di ridurre i livelli di viremia sistemici e<br />

quindi nel caso specifico di bloccare a livello delle cellule<br />

muscolari lisce l’infezione latente di EBV e la conseguente<br />

capacità oncogenica di EBV stesso (Roychowdhury S, et<br />

al. Cancer Res 2003;63:965-71; Ling PD, et al. Clinical Infectious<br />

Disease 2003;37:1244-9).<br />

Sindrome di Gorlin-Goltz: un caso clinico<br />

N. Forte, E. Tomaselli, D. Parente, I. Ardovino 1 , L. Pastorino<br />

2 , G. Bianchi Scarrà 2<br />

Dipartimento dei Servizi Diagnostici, U.O. di Anatomia Patologica,<br />

Ospedale “Fatebenefratelli” di Benevento; 1 Ginecologia<br />

ed Ostetricia, Ospedale “Fatebenefratelli” di Benevento;<br />

2 Università di Genova, Dipartimento di Oncologia,<br />

Biologia e Genetica<br />

La Sindrome di Gorlin-Goltz o Sindrome del Carcinoma Nevo<br />

Basocellulare (NBCCS) è una rara condizione a trasmissione<br />

autosomica dominante a penetranza completa, caratterizzata<br />

dalla presenza di un’ampia variabilità di segni clinici<br />

che in base alla loro frequenza-percentuale vengono distinti<br />

in criteri maggiori e minori. Sono da considerarsi criteri maggiori:<br />

carcinomi basocellulari (70% dei casi); cheratocisti<br />

odontogene mandibolo-mascellari, (75% dei casi); calcificazioni<br />

della falce cerebrale (90% dei casi), anomalie costali<br />

bifide, ipoplasiche, sinostosiche), cifoscoliosi. Sono criteri<br />

minori, le malformazioni congenite: palatoschisi e/o<br />

labioschisi, ipertelorismo, anomalie dentarie. Altre anomalie<br />

scheletriche: fronte alta e larga, radice del naso larga, bozze<br />

frontali (“facies rude”, dall’inglese “coarse face”); deformità<br />

scapolare di Sprengel, deformità toraciche, sindattilia.<br />

Anomalie radiologiche: “ponte” della sella turcica, fusione o<br />

allungamento dei corpi vertebrali; fibromi ovarici, medulloblastoma.<br />

Nei soggetti di sesso maschile si può avere agenesia<br />

o iposviluppo gonadico.<br />

La presenza di almeno due dei criteri maggiori o di uno maggiore<br />

e due minori, consentono di fare diagnosi di Sindrome di<br />

Gorlin. Studi genetici dimostrano che la Sindrome riconosce la<br />

presenza di una mutazione sul braccio corto del cromosoma 9<br />

in posizione 22.3; tale gene PTCH, omologo umano del<br />

patched Drosophila (PTC) è un anti-oncogene, codificante per<br />

una proteina transmembrana, la cui inattivazione si traduce in<br />

una alterazione dei meccanismi di controllo della proliferazione<br />

e trasformazione cellulare. Pertanto un’alterazione di<br />

questo pathway non può che determinare anomalie strutturali<br />

e di sviluppo. Gli Autori, considerato, la rarità di tale Sindrome,<br />

in Italia l’incidenza è pari a 1/256.000, ritengono utile


ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI<br />

la segnalazione di un Caso: giovane donna di anni 23 era sottoposta,<br />

nel dicembre 2003 ad intervento chirurgico per voluminose<br />

masse ovariche bilaterali. Macroscopicamente di aspetto<br />

fibromatoso, esse mostravano aree cistiche e resistenza al<br />

taglio per verosimile presenza di calcificazioni. L’esame microscopico<br />

deponeva per fibroma ovarico bilaterale con estese<br />

aree calcifiche. L’anamnesi remota accurata, rivelava intervento<br />

chirurgico nel 1995 per una neoformazione cistica del mascellare,<br />

istologicamente diagnosticata come cisti dentigena o<br />

follicolare. Nel 2001 nuovo intervento per recidiva locale.<br />

Questa volta la diagnosi microscopica era di cheratocisti. Alla<br />

luce di tale dato la diagnosi, per gli Autori, ultimi arrivati, era<br />

quasi certa, mancava solo uno dei criteri maggiori o uno dei<br />

minori. Una RM cerebrale, eseguita, mostrava calcificazioni<br />

della falce cerebrale. La rarità della Sindrome e probabilmente<br />

la scarsa conoscenza di essa non aveva permesso la diagnosi<br />

anni prima.<br />

Paraganglioma del corpo carotideo:<br />

descrizione di un caso<br />

S. Squillaci, F. Tallarigo1 , F. Pontieri1 , F. Vittimberga1 Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale di Vallecamonica,<br />

Esine; 1 Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale “S.<br />

Giovanni di Dio”, Crotone<br />

Introduzione. Il riscontro di una neoformazione dei tessuti<br />

molli del collo pone il problema della diagnostica differenziale<br />

tra lesioni di natura neoplastica benigna e maligna. In<br />

corso di indagini per lo studio di una massa espansiva di tale<br />

regione, deve essere sempre considerata la possibilità di un<br />

paraganglioma, entità infrequente e con caratteristiche<br />

cliniche non specifiche. Qui descriviamo un raro caso di<br />

paraganglioma del corpo carotideo.<br />

Donna di 41 anni a causa della comparsa di un nodulo nella regione<br />

laterocervicale destra eseguiva ecografia che evidenziava<br />

una massa ovalare ipoecogena di circa 3 cm; la RMN ne confermava<br />

la presenza in stretta adiacenza con la biforcazione<br />

carotidea. L’angiografia metteva in luce il carattere ipervascolare<br />

della lesione che veniva successivamente asportata.<br />

Metodi. Lo studio immunoistochimico è stato condotto con i<br />

seguenti antisieri: citocheratine AE1/AE3 e Cam 5,2, vimentina,<br />

cromogranina, sinaptofisina, actina, Myo-D1, S-<br />

100. Sezioni sono state disaggregate e sottoposte a colorazione<br />

con propidio ioduro per la determinazione citofluorimetrica<br />

del contenuto cellulare di DNA.<br />

Risultati. La neoformazione di cm 2,8 x 2,3 x 1,4 appariva<br />

al taglio di colorito rosso-brunastro e consistenza duro-elastica.<br />

Istologicamente era delimitata da una capsula da cui si<br />

irradiavano tralci fibrovascolari di spessore variabile che<br />

ramificandosi al suo interno la scomponevano in nidi. Questi<br />

erano costituiti da cellule epiteliomorfe, negative al PAS e<br />

positive al Grimelius, con citoplasma ampio, granulare ed<br />

eosinofilo, nucleo a contorni regolari e piccolo nucleolo. Alcuni<br />

elementi presentavano vacuolizzazioni citoplasmiche,<br />

altri inclusioni nucleari, multinucleazioni e atipie. Rare le<br />

figure mitotiche. Le cellule neoplastiche erano negative alle<br />

citocheratine e ai markers miogenici e positive alla vimentina<br />

e ai marcatori endocrini. L’S-100 era espressa in elementi<br />

fusati disposti alla periferia degli alveoli. L’analisi citofluorimetrica<br />

evidenziava diploidia.<br />

Conclusioni. Nella diagnosi differenziale rientrano tumori<br />

quali il liposarcoma, il sarcoma alveolare delle parti molli,<br />

l’emangiopericitoma, il carcinoma midollare tiroideo e sec-<br />

175<br />

ondarismi di melanomi, di carcinomi renali e di neoplasie<br />

neuroendocrine epiteliali. Approssimativamente 1 su 30.000<br />

tumori della testa e del collo è un paraganglioma. Ciò sottolinea<br />

la rarità di queste lesioni che hanno un basso potenziale<br />

di malignità e una prognosi per lo più favorevole.<br />

Osteopontina: marker tumorale per i<br />

carcinomi squamosi del distretto testa collo?<br />

P. Somma, M. Santoro1 , S. Staibano, G. Mansueto, C.<br />

Mignogna, D. Testa2 , R. Iovine2 , G. De Rosa, A. Celetti1 Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione<br />

di Anatomia Patologica; 1 Dipartimento di Biologia e<br />

Patologia Cellulare e Molecolare; 2 Istituto di Otorinolaringoiatria,<br />

Università “Federico II”, Napoli<br />

Introduzione. I carcinomi a cellule squamose della testa e<br />

del collo rappresentano la quinta causa di morte tumorale al<br />

mondo e nonostante i fattori di rischio siano ben conosciuti,<br />

poco è tuttora noto circa i meccanismi molecolari responsabili<br />

per questa patologia.<br />

Appare pertanto necessario identificare nuovi marcatori per i<br />

tumori di questo distretto per una diagnosi precoce delle lesioni<br />

precancerose e per il monitoraggio di neoplasie conclamate.<br />

Metodi. Abbiamo analizzato attraverso Immunoblot ed Immunoistochimica<br />

i livelli di espressione della glicoproteina Osteopontina<br />

in una serie di cinquantotto tumori primitivi e<br />

metastatici del distretto testa collo (carcinoma a cellule<br />

squamose di laringe, ipofaringe e cavo orale) a differente grado<br />

di malignità confrontati ai corrispondenti tessuti normali. Abbiamo,<br />

inoltre, studiato in ventinove tessuti displastici l’espressione<br />

di osteopontina correlandola con il grado di displasia.<br />

Risultati. Abbiamo potuto osservare up-regolazione di osteopontina<br />

in tutti i carcinomi invasivi studiati, paragonati ai<br />

corrispondenti tessuti normali.<br />

Conclusioni. Il trattamento con osteopontina ricombinante esogena<br />

incrementa la proliferazione e la motilità cellulare in un<br />

ampio pannello di cellule in linea continua di carcinoma<br />

epiteliale squamoso. Dimostriamo, infine, che l’osteopontina è<br />

in grado di indurre i suoi effetti in vivo ed in vitro grazie all’espressione<br />

specifica del recettore CD44v6 nelle cellule neoplastiche.<br />

In conclusione, riteniamo che i nostri risultati chiaramente<br />

identificano l’osteopontina come un effettivo marker tumorale<br />

per i carcinomi squamosi del distretto testa collo; dobbiamo<br />

altresì stressare che il maggiore risultato del nostro studio<br />

è rappresentato dal fatto che l’osteopontina appare essere un<br />

marker di rilevamento precoce delle displasie epiteliali.<br />

Il carcinoma a cellule squamose del cavo<br />

orale: espressione dei geni coinvolti<br />

nella regolazione dell’apoptosi mediante<br />

SuperArray GEArray Q Series Human<br />

Apoptosis Gene Array<br />

C. Mignogna, L. Lo Muzio1 , M. Emanuelli2 , G. Mansueto,<br />

P. Somma, M. Mascolo, G. De Rosa, S. Staibano<br />

Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione<br />

di Patologia, Università “Federico II”, Napoli; 1 Istituto<br />

di Scienze Odontostomatologiche e 2 Istituto di Biotecnologie<br />

Biochimiche, Università Politecnica delle Marche<br />

Introduzione. L’apoptosi è un processo geneticamente determinato<br />

che gioca un ruolo di fondamentale importanza


176<br />

nell’omeostasi cellulare, nella morfogenesi e nella eliminazione<br />

delle cellule danneggiate o self-reactive che possono<br />

essere potenzialmente dannose per l’ospite. Normalmente i<br />

processi apoptotici, inducendo la morte programmata delle<br />

cellule tumorali, precludono lo sviluppo delle patologie tumorali.<br />

A volte, tuttavia, tali processi vengono alterati con<br />

conseguente immortalizzazione delle cellule, rapido aumento<br />

della progressione tumorale e formazione di metastasi. A<br />

livello molecolare la trasformazione di cellule normali in cellule<br />

neoplastiche è controllata da diversi geni, alcuni dei<br />

quali hanno assunto un’importanza notevole come inibitori<br />

dell’apoptosi. Lo scopo di questo studio è stato quello di<br />

analizzare l’espressione dei principali geni coinvolti nella regolazione<br />

del processo apoptotico nel carcinoma orale, mediante<br />

una valutazione dell’entità dei rispettivi RNA messaggeri.<br />

Metodi. La popolazione studiata è costituita da 4 pazienti affetti<br />

da carcinoma insorto in sedi diverse del cavo orale e con<br />

un grading differente. Da ogni soggetto sono stati prelevati 2<br />

campioni di tessuto: uno dalla mucosa normale ed uno dal<br />

carcinoma. Si è poi proceduto all’estrazione dell’RNA e al<br />

suo esame con il kit della SuperArray GEArray Q Series Human<br />

Apoptosis Gene Array. Tale kit è progettato per esaminare<br />

l’espressione di 96 geni che codificano per proteine<br />

coinvolte nel processo apoptotico, tra cui componenti della<br />

famiglia bcl-2, come bcl-2, bad, bax, bcl-10, bcl-2 related<br />

protein A1, HRK, componenti della famiglia IAP, come survivina,<br />

IAP-1, IAP-2, IAP-6, XIAP, caspasi 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9,<br />

TNF superfamily members, TRAIL, Fas ligand. I frammenti<br />

di cDNA sono posizionati in spot separati su una membrana<br />

di nylon di 3,8 x 4,8 cm (tetra-spot format). L’RNA purificato<br />

dai campioni è stato assoggettato ad una reazione di retrotrascrizione<br />

e marcato con dUTP biotinilato. Successivamente<br />

è stata effettuata dapprima l’incubazione con un substrato<br />

chemiluminescente e poi la rivelazione del segnale con<br />

tecniche autoradiografiche. La valutazione quantitativa dell’espressione<br />

di ciascuno dei geni è stata ottenuta da un’analisi<br />

computerizzata condotta con un software specifico.<br />

Risultati. L’accurata analisi dei risultati numerici e grafici ha<br />

rivelato che ci sono alcuni geni che sono maggiormente<br />

espressi nel carcinoma, come la p63 (3/4), ed altri che sono<br />

invece maggiormente espressi nei tessuti sani, quali il<br />

CRADD (4/4), il TNFRSF6 (3/4), il MCL1 (4/4), il RIPK1<br />

(2/4) ed il RIPK2 (4/4). Inoltre, si è riscontrato un aumento<br />

statisticamente significativo nel carcinoma del mRNA di alcuni<br />

geni responsabili del blocco dell’apoptosi, quali bcl-2,<br />

bax, Apollon, survivina, TRAIL confermando dati ottenuti<br />

con l’immunoistochimica.<br />

Conclusioni. La valutazione dell’espressione genica differenziale<br />

a livello trascrizionale realizzata con tale metodica<br />

sembra essere di rilevante ausilio per l’individuazione di<br />

markers rappresentativi dell’attività oncogenetica nel cavo<br />

orale. Tali dati sembrano confermare nei campioni di carcinoma<br />

una più intensa attività trascrizionale a carico dei geni<br />

coinvolti nel blocco dell’apoptosi anche se, dato l’esiguo numero<br />

di pazienti esaminati, è necessario effettuare ulteriori<br />

studi su casistiche più ampie.<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

Deregolazione del processo di apoptosi,<br />

TIL e caratteristiche biologiche del melanoma<br />

maligno dell’uvea<br />

M. Mascolo, E. Mezza, G. Mansueto, P. Somma, C.<br />

Mignogna, F. Tranfa, L. Nugnes, G. De Rosa, S. Staibano<br />

Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione<br />

di Patologia, e Dipartimento di Oftalmologia, Università<br />

“Federico II”, Napoli<br />

Introduzione. La possibilità di regressione spontanea e la riportata<br />

comparsa tardiva di metastasi supportano l’ipotesi<br />

che processi immunologici abbiano un ruolo significativo<br />

nell’evoluzione clinica del melanoma maligno uveale<br />

(UMM).<br />

Metodi. È stata analizzata la correlazione fra presenza e<br />

fenotipo dei linfociti tumore-infiltranti (TIL), l’espressione<br />

di Fas e del suo ligando Fas-L nella popolazione neoplastica<br />

e nei TIL, ed il comportamento biologico degli UMM. La valutazione<br />

è stata effettuata con metodiche immunoistochimiche<br />

su sezioni paraffinate di una serie selezionata di<br />

66 UMM. I risultati sono stati comparati con i dati di followup<br />

dei pazienti.<br />

Risultati. I TIL hanno mostrato solo in 3 casi una prevalenza<br />

di CD 56+ Natural Killer. La maggior parte dei TIL ha invece<br />

mostrato una prevalenza dei T linfociti CD 8+, o espressione<br />

equivalente di CD 4+ e CD 8+. La subunità CD3 zeta<br />

del T-cell receptor (TCR) complex, coinvolta nella trasduzione<br />

del segnale ed attivazione dei T linfociti, è risultata<br />

espressa nella maggior parte dei casi. Tuttavia, in un sottogruppo<br />

di casi, l’espressione della ß-chain è risultata ridotta<br />

o assente. Dal 30 all’80% dei T-linfociti CD3+ intra- e peritumorali<br />

di tutti gli UMM hanno mostrato espressione di<br />

Fas, con livelli più elevati significativamente associati a<br />

riduzione/assenza della TCR ß-chain. Questo sottogruppo è<br />

risultato caratterizzato da un comportamento clinico sfavorevole.<br />

Conclusioni. Dal momento che la perdita di espressione di ßchain<br />

è correlata ad una risposta immune inefficiente ed alla<br />

progressione neoplastica, è ipotizzabile, in base ai risultati di<br />

questo studio, che un danno della risposta immune di tipo<br />

citotossico possa essere responsabile del comportamento aggressivo<br />

di un sottogruppo di UMM.<br />

Pararectal angiomyofibroblastoma.<br />

Case report<br />

N. Scibetta, G. Sciancalepore, L. Marasà<br />

U.O. di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico-Di Cristina-<br />

Ascoli”, Palermo<br />

Introduction. The AMF is a rare myofibroblastic benign<br />

neoplasm, recently described, arising in pelvi-perineal region,<br />

especially in females between menarche and<br />

menopause. The preferential seat is vulva, but in 10% of cases<br />

they appear in paravaginal seat. The AMF is a well-limited<br />

mesenchymal tumor, without capsula, locally not aggressive,<br />

which is not inclined to relapse after surgical exeresis.<br />

This is often smaller than 5 cm, or unusually bigger than 10<br />

cm. Histologically it is characterized by splindle-shaped or<br />

plasmacytoid cells, without atypia and mitosis; prevalently<br />

localized around small blood-vessel, in a flail and oedematous<br />

stromale setting. We report a case of AMF, which is


ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI<br />

characterized by above-average size and perineal seat with<br />

pararectal manifestation.<br />

Materials and methods. For some months a 42 years old patient,<br />

suffering from Sjögren’s syndrome, has noticed, when she<br />

was erect an asymmetry in perineal region, with pain and difficulty<br />

in evacuating. Inferior region of the abdomen’s TAC and<br />

RM showed a splindle-shaped well-limited mass. The above<br />

mentioned mass from left para anal subcutaneous tissue extended<br />

as far as pararectal seat. The patient has been subjected<br />

to surgical exeresis of such neoformation with conjoint abdominoperineal<br />

manoeuvre. The specimen sent was formalin at<br />

4% fixed and paraplast plus included. Sections of 3 µm thickness<br />

have been prepared; stained with HE, Alcian-PAS and<br />

Reticulum. Other sections have been set on slides previously<br />

treated with Poli-l-lysin for the immunohistochemical stains.<br />

The immunohistochemistry has been performed with Avidinbiotin<br />

peroxidase technique and APAAP method. The used Antibodies<br />

have been Vimentin, Desmin, S100, CD34, Smooth<br />

Muscular Actin, EMA, Progesteron and Estrogen Receptors.<br />

Pathologic distinctive features. Macroscopically the neoformation<br />

of maximum diameter 9 cm, appeared well-limited<br />

without capsula, softish. Microscopically it showed the alternation<br />

of hypocellular and hypercellular areas, with small<br />

power. There were many small ectasic, and with thin walls<br />

blood-vessel in oedematous matrix, where splindle-shaped or<br />

epithelioid cells, especially in perivascular seat were dipped.<br />

They were positive for Vimentin, Desmin, Progesteron and<br />

Estrogen Receptors; negative for EMA, S100, Smooth Muscular<br />

Actin, CD34 and Fast Myosin. Perivascular mast cells<br />

and lymphocytes, mature adipocytes’ areas were noticed.<br />

Conclusions. The AMF is a tumor that arises in pelvi-perineal<br />

subcutaneous tissue, with dubious hystogenesis. It<br />

shows a variety of ultrastructural distinctive features from fibroblastic<br />

to myofibroblastic differentiation. In our case the<br />

tumor was correlated with perineal subcutaneous tissue and it<br />

was equipped with adipose tissue and heterogeneous elements<br />

in central and peripheral seat. Such features confirm<br />

the possible angiomyofibroblastoma’s origin by primitive<br />

mesenchymal cells, with potentiality of development towards<br />

various line of differentiation. The AMF is a benign tumor,<br />

differently from aggressive angiomyxoma described by J.<br />

Rosai. The differential diagnosis between first and second<br />

one is essential for the different prognosis and therapy.<br />

Valutazione immunoistochimica<br />

del c-Kit (CD117) negli ameloblastomi orali<br />

L. Ventura, A. Ranieri, M. Sarra, F. Calista1 , V. Ceppa2 U.O. di Anatomia Patologica e di 1 Oncologia Medica, Azienda<br />

USL, L’Aquila; 2 Novartis Farma<br />

Introduzione. L’ameloblastoma è una neoplasia dei tessuti<br />

odontogeni, caratterizzata da lenta crescita ed invasività locale,<br />

con elevata incidenza di recidive e scarsa tendenza alla<br />

metastatizzazione.<br />

La tirosinchinasi recettoriale c-Kit è coinvolta nella proliferazione<br />

di numerose cellule normali (staminali emopoietiche,<br />

mastociti ed altre). La sua iperespressione è documentata in<br />

diverse neoplasie, che presentano sue mutazioni attivanti 1 .<br />

La densità mastcellulare assume valore prognostico in numerose<br />

forme tumorali 2 .<br />

Scopo del presente studio è valutare l’espressione immunoistochimica<br />

di c-Kit nell’ameloblastoma ed il ruolo dei mastociti<br />

nello sviluppo di questa neoplasia.<br />

177<br />

Materiale e metodi. Abbiamo valutato l’espressione di c-Kit<br />

in 19 ameloblastomi primitivi o recidivi, relativi a 15 pazienti<br />

(8 maschi e 7 femmine) di età compresa tra 17 e 82 anni.<br />

L’analisi immunoistochimica delle lesioni è stata effettuata<br />

con anticorpo policlonale DAKO, metodo LSAB/perossidasi<br />

ed immunocoloratore LabVision, utilizzando controlli positivi<br />

e negativi.<br />

La densità mastcellulare è stata valutata contando il numero<br />

massimo di mastociti/mm 2 . Espressione di c-Kit e densità<br />

mastcellulare sono stati correlati con i dati clinico-patologici<br />

dei soggetti (età, sesso, sede, tipo macroscopico, istotipo, recidive).<br />

Risultati. Positività citoplasmatica è stata osservata in 2 casi,<br />

ma appariva limitata al 10% delle cellule stellate, con preameloblasti<br />

negativi. I restanti casi risultavano negativi.<br />

La presenza di mastociti è stata riscontrata in prossimità dei<br />

vasi stromali e, talora, delle cellule neoplastiche. Le densità<br />

erano comprese tra 0 e 141 mastociti/mm 2 ; il valore medio di<br />

43 è stato utilizzato come cut-off per dividere le lesioni in<br />

due gruppi. Valori elevati di densità mastcellulare erano<br />

prevalenti in sesso femminile, tipo solido/multicistico ed istotipi<br />

non follicolari. Non sono state rilevate differenze in<br />

base ad età, sede e recidive.<br />

Conclusioni. L’assenza di espressione significativa nelle cellule<br />

neoplastiche suggerisce che c-Kit non riveste alcun ruolo<br />

nella genesi degli ameloblastomi orali.<br />

Evidenziando qualsiasi forma evolutiva e funzionale dei<br />

mastociti, l’immunocolorazione con CD117 costituisce un<br />

metodo valido per la loro conta. Gli elevati valori di densità<br />

mastcellulare in sesso femminile, tipo solido/multicistico ed<br />

istotipo non follicolare indicano un possibile ruolo dei mastociti<br />

nei rapporti tumore-ospite e nel determinismo della<br />

morfologia tumorale.<br />

Bibliografia<br />

1 Miettinen M, et al. Eur J Cancer 2002;38(Suppl 5):S39-S51.<br />

2 Erkiliç S, et al. J Dermatol 2001;28:312-5.<br />

Granuloma prostatico da corpo estraneo<br />

(pelo). Presentazione di un caso e revisione<br />

della letteratura<br />

L. Ventura, E. Martini1 , G. Di Nicola2 , T. Ventura<br />

U.O. di Anatomia Patologica e di 1 Urologia, Azienda USL<br />

L’Aquila; 2 U. O. Urologia, Azienda USL Avezzano-Sulmona<br />

Introduzione. Numerosi agenti eziologici possono causare<br />

reazione granulomatosa nella prostata. Tra questi, rari esempi<br />

di granuloma da corpo estraneo sono riportati in letteratura<br />

1 . Presentiamo un caso di granuloma prostatico da pelo osservato<br />

nel corso di uno studio retrospettivo sul carcinoma<br />

prostatico 2 , unitamente ai dati della revisione di letteratura.<br />

Caso clinico. Un uomo di 70 anni giungeva all’osservazione<br />

presso l’Ospedale di Avezzano in seguito a riscontro di elevati<br />

livelli di PSA sierico totale e veniva sottoposto ad<br />

ecografia, con reperto di area ipoecogena destra del diametro<br />

di 11 mm in ghiandola di 29 x 39 x 20 mm. L’esame istologico<br />

di 9 frustoli agobioptici prelevati in entrambi i lobi per<br />

via perineale e transrettale evidenziava adenocarcinoma<br />

Gleason 3 + 3 = 6 presente in tutti i frustoli, con invasione<br />

perineurale. La scintigrafia ossea non mostrava accumuli patologici<br />

del tracciante. Il paziente veniva quindi sottoposto a<br />

terapia con antiandrogeni per 5 settimane ed a prostatectomia<br />

radicale, effettuata presso l’Ospedale di L’Aquila 43 giorni


178<br />

Autore Anno Età Campione Precedenti<br />

dopo l’esecuzione delle biopsie. L’esame istologico della<br />

prostata evidenziava adenocarcinoma Gleason 3 + 4 = 7 in<br />

entrambi i lobi, 30% del peso ghiandolare, con invasione perineurale,<br />

stadio pT2b pN0 pMX secondo TNM (UICC,<br />

1997). Nelle porzioni posteriori del lobo destro erano presenti<br />

aree di flogosi granulomatosa a cellule giganti del tipo<br />

da corpo estraneo, inglobanti segmenti di fusto pilifero.<br />

Conclusioni. Quattro esempi di granulomi prostatici da inclusione<br />

di peli secondaria a biopsia, TUR o cateterizzazione<br />

prolungata sono stati descritti in letteratura 1 . Il caso in esame<br />

rappresenta il terzo riscontro su prostatectomia radicale ed il<br />

quarto osservato dopo biopsia transrettale.<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

White, et al. 1994 79 TUR-P Cateterizzazione 3 anni<br />

Day, et al. 1996 78 TUR-P TUR-P 6 mesi prima<br />

Curtis, et al. 1998 73 Prostatectomia Biopsie 16 mesi prima<br />

Ramìrez-Tortosa, et al. 1998 69 Prostatectomia Biopsie 5 mesi prima<br />

Nostro Caso 2004 70 Prostatectomia Biopsie 1,5 mesi prima<br />

L’introduzione di peli perineali attraverso l’iniezione con ago<br />

bioptico o le manovre strumentali (TUR, cateterizzazione)<br />

rappresenta il meccanismo patogenetico di questa peculiare<br />

forma di prostatite granulomatosa focale da corpo estraneo. I<br />

granulomi da pelo costituiscono una condizione asintomatica,<br />

priva di complicanze, di riscontro istologico occasionale,<br />

sebbene verosimilmente sottostimato.<br />

Bibliografia<br />

1 Humphrey PA. Prostate Pathology. Chicago: ASCP Press 2003;4:86-<br />

94.<br />

2 Ventura L, et al. Arch Ital Urol Androl 2003;75:208-13.


PATHOLOGICA 2004;96:179-<strong>184</strong><br />

Pretrattamento automatico di sezioni<br />

per immunoistochimica<br />

F.P. Morigi, C. Toni, A. Bondi<br />

Anatomia, Istologia Patologica, Citodiagnostica e Citogenetica,<br />

Azienda USL di Cesena<br />

Il pretrattamento delle sezioni da colorare con immunoistochimica<br />

è una fase indispensabile per ottenere preparati<br />

adeguati. Alcune Aziende che producono immunocoloratori<br />

li corredano anche con processatori automatici per alcune<br />

fasi o per l’intero procedimento di preparazione.<br />

L’U.O. di Anatomia Patologica di Cesena ha condotto una<br />

valutazione delle performances relative alla nuova strumentazione<br />

automatica A. Menarini per la fase pre-analitica della<br />

reazione immunoistochimica: il GenoMx i1000.<br />

Lo strumento in oggetto, provvede alla completa automazione<br />

delle seguenti due fasi operative:<br />

– sparaffinatura delle sezioni (Dewaxing);<br />

– recupero antigenico dei tessuti (Antigen Retrieval).<br />

Lo strumento è composto da una camera operativa e da un PC<br />

esterno, è in grado di processare fino a 288 vetrini per routine<br />

in modalità bar-code; un braccio robotico (X-Y-Z) gestisce<br />

fino a 12 rack portavetrini attraverso le varie fasi procedurali.<br />

Le operazioni avvengono in quattro distinti alloggiamenti interni<br />

a pressione, temperatura e pH strettamente controllati.<br />

Una volta processati i vetrini vengono posizionati in una<br />

soluzione di stoccaggio. La colorazione immunoistochimica<br />

può essere effettuata immediatamente dopo il pretrattamento.<br />

Sono stati testati circa 300 vetrini rappresentativi di diverse<br />

tipologie di tessuto: nervoso, gastrointestinale, mammario,<br />

muscolare, midollare, linfonodale, cutaneo e ghiandolare. Su<br />

questi tessuti sono stati valutati 50 anticorpi, confrontando in<br />

doppio per ciascuno di essi, i risultati ottenuti col pretrattamento<br />

manuale e l’uso del GenoMx i1000.<br />

Nel pretrattamento manuale vengono utilizzati tamponi a differente<br />

concentrazione ionica (pH 6.0, pH 7.0, pH 8.0) a seconda<br />

dell’anticorpo testato; con lo strumento testato si è impiegata<br />

una soluzione unica pH 6.2 per tutti gli anticorpi.<br />

COMUNICAZIONI<br />

3. Procedure tecniche, Patologia gastroenterologica,<br />

Dermatopatologia<br />

MODERATORI: R. FIOCCA (GENOVA), P. ANGRISANI (SALERNO)<br />

Tab. I. Classificazione pit pattern sec. S. Kudo e correlazioni con i tipi istologici<br />

I risultati ottenuti con GenoMx i1000 sono stati comparati<br />

con la metodica standard manuale e valutati in termini di<br />

specifica localizzazione tissutale ed intensità di segnale.<br />

La colorazione immunoistochimica è risultata comparabile<br />

(ed il almeno il 5% migliore) rispetto a quella ottenuta con<br />

pretrattamento standard.<br />

In base a questa esperienza preliminare, si può pertanto affermare<br />

che il GenoMx i1000 incrementa positivamente la<br />

performance del Laboratorio perché semplifica e standardizza<br />

le fasi di preparazione del tessuto da analizzare e migliora<br />

la produttività.<br />

Lavoro parzialmente supportato da A. Menarini Diagnostics.<br />

Le lesioni elementari del colon alla<br />

cromoendoscopia e magnificazione,<br />

“pit pattern”: correlazioni istopatologiche<br />

e molecolari<br />

L. Baron, M.A. Bianco1 , M. Postiglione, A. Cesarano, P.<br />

Beltotti, F. Quarto<br />

S.O.C. di Anatomia ed Istologia Patologica e Citopatologia<br />

P.O. “S. Leonardo” ASL-NA5, Castellammare di Stabbia,<br />

Napoli; 1 S.O.C. di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva<br />

P.O. “Maresca” ASL-NA5 Torre del Greco, Napoli<br />

Introduzione. L’identificazione di due possibili meccanismi<br />

patogenetici del carcinoma colo-rettale, legati ad indipendenti<br />

pattern morfologici e genetici (“mutatore” e “soppressore”),<br />

ha suggerito la necessità di rivedere i classici modelli<br />

di progressione ed i relativi pathway molecolari.<br />

Una spinta importante è venuta dall’identificazione di due<br />

modelli di crescita e di maturazione dell’epitelio criptico, differentemente<br />

legati alle vie di cancerogenesi. Il modello<br />

“top-down”, legato al fenotipo “mutatore” ed il modello<br />

“bottom-up”, legato al fenotipo “soppressore”. Un ruolo importante<br />

può avere l’identificazione precoce di tali fenotipi<br />

grazie all’utilizzo di metodiche endoscopiche quali la “cro-<br />

Classificazione Istologia Iperplasia Iperplasia Adenomi Adenomi con<br />

pit pattern non iperplasica/ con displasia senza con<br />

non adenomatosa displasia displasia<br />

BG AG BG AG<br />

I 48 0 0 0 0 0 0<br />

II 0 34 0 0 0 0 0<br />

III 0 0 5 0 15 6 2<br />

IV 0 0 0 1 2 1 1<br />

V 0 0 0 2 0 0 1


180<br />

moendoscopia e la magnificazione” (CM) che, con l’utilizzo<br />

dell’ingrandimento e di una colorazione vitale della mucosa,<br />

possono consentire l’identificazione di lesioni precoci, quali<br />

le “cripte aberranti” (ACF). Sono stati identificati 5 modelli<br />

endoscopici “pit pattern” (PP), abbinati ad aspetti istologici<br />

caratteristici, che comprendono il normale, il serrato, l’adenoma<br />

e il carcinoma.<br />

Metodi. Su 120 pazienti esaminati in CM con pit pattern<br />

classificati sec. Kudo, si è valutata la corrispondenza al tipo<br />

istologico, il pattern di crescita con Ki67, il comportamento<br />

di hMLH1 e hMSH2 con metodiche immunoistochimiche.<br />

Risultati. Il 40% ha presentato un’istologia “non iperplastica/non<br />

adenomatosa” con PP tipo I. Il fenotipo iperplastico<br />

(35%) è associato prevalentemente a PP II (85%) ed ai tipi III,<br />

IV e V in presenza di displasia: fenotipo “serrato” (III: 12%;<br />

IV: 1%; V: 2%). Il fenotipo adenomatoso (25%) è associato ai<br />

P.P. III (80%), IV (16%), V (4%) proporzionalmente al grado<br />

di displasia. La distribuzione del Ki67 è basale e/o estesa nella<br />

cripta “iperplastica”, mentre è invertita nella cripta “adenomatosa”,<br />

sempre con incremento quantitativo. L’espressione<br />

di hMLH1 è ridotta nell’8% delle sole lesioni serrate (sempre<br />

multiple); mentre l’hMSH2 è sempre espresso.<br />

Conclusioni. L’identificazione endoscopica precoce di lesioni<br />

potenzialmente evolutive, necessita di un ulteriore supporto<br />

diagnostico, immunoistochimico e molecolare, per il riconoscimento<br />

ed il monitoraggio di lesioni associate o meno<br />

ad istologia significativa (vedi Tab. I).<br />

Valutazione comparativa tra la citologia su<br />

brushing e l’esame istologico nella diagnosi<br />

di infezione gastrica da Helicobacter Pylori<br />

in corso di dispepsia non ulcerosa<br />

F. Tallarigo, F. Vinciguerra, R. Patarino1 , S. Mirone, C.<br />

Frandina2 , E. Ciliberto2 , P. Cotronei1 , M.G. Scalia<br />

Servizio di Anatomia patologica, 1 Divisione di Geriatria, 2<br />

Servizio di Endoscopia digestiva, Ospedale “San Giovanni<br />

di Dio” Crotone<br />

Introduzione. Helicobacter Pylori (HP) è un microrganismo<br />

che si associa a gastrite cronica e ulcera peptica. Esso ha rapporti<br />

ben definiti con la mucosa gastrica localizzandosi<br />

prevalentemente sulla superficie delle cellule epiteliali gastriche<br />

e negli spazi intercellulari. Numerose sono le tecniche<br />

di cui si dispone per la sua identificazione, tutte estremamente<br />

differenti per sensibilità e specificità, sia esse invasive<br />

e non. Scopo di questo lavoro è stato quello di mettere a confronto<br />

due metodiche, quella istologica e quella citologica su<br />

brushing.<br />

Materiali e metodi. Sono stati arruolati, 140 pazienti (pz.)<br />

(93 maschi e 47 femmine) di età compresa tra 24 e 86 anni<br />

(media 53,76), affetti da dispepsia non ulcerosa (nud) con associata<br />

gastrite cronica. Durante l’esame endoscopico tutti i<br />

pz. sono stati sottoposti a prelievo di mucosa gastrica con<br />

biopsie a livello dell’antro e del corpo-fondo. Parallelamente<br />

veniva eseguito ampio spazzolato della mucosa antrale, che<br />

veniva strisciato su vetrino e immediatamente fissato in<br />

soluzione di metanolo al 95%, dopodiché colorato in giemsa<br />

e letto al microscopio. Le biopsie venivano poste in provette<br />

contenente formalina tamponata al 10%, successivamente incluse<br />

in paraffina ed eseguito l’esame istologico.<br />

Risultati. Come si può osservare dalla Tabella I, c’è stata una<br />

significativa differenza tra le due metodiche, in quanto 75<br />

(53,5%) sono stati i casi in cui l’HP era presente sia all’esame<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

istologico che al citologico, ventotto (20%) sono stati quelli<br />

in cui l’HP è risultato essere contemporaneamente negativo.<br />

I negativi all’esame istologico e positivi al brushing sono stati<br />

32 (23%), mentre i positivi all’esame istologico e negativi<br />

al brushing sono stati 5 (3,5%).<br />

Discussione. La coltura su biopsia rappresenta il gold standard<br />

per la ricerca dell’HP ma, sebbene molto specifica, rimane<br />

indaginosa, costosa, poco sensibile ed implica lunghi<br />

tempi di attesa per la risposta. Solo il test rapido all’ureasi, la<br />

touch cytology e la citologia su brushing, possono fornire<br />

risultati in tempi molto brevi. Tuttavia, a parte l’ultima,<br />

queste metodiche consentono un campionamento molto limitato<br />

di mucosa gastrica. Per quanto riguarda l’esame istologico<br />

e la citologia su brushing, dai dati presenti in letteratura,<br />

emerge una significativa discordanza, quando le due<br />

metodiche vengono impiegate per valutare l’eradicazione da<br />

HP. La stessa situazione compare quando si valuta la presenza<br />

di colonizzazione gastrica da HP nei pz. con nud e gastrite<br />

associata. Anche in questo caso emerge, come dai dati del<br />

nostro lavoro, una significativa discordanza imputabile,<br />

probabilmente, alla bassa densità batterica sulla mucosa gastrica<br />

di questi pz. questo è dovuto al fatto che la citologia su<br />

brushing consente il campionamento di un’area più ampia di<br />

superficie mucosa e di raccogliere lo strato di muco nel quale<br />

sono contenuti numerosi batteri.<br />

Conclusioni. Dai risultati di questo studio si evince che la<br />

citologia su brushing si è dimostrata metodica rapida, poco<br />

costosa e con risultati più affidabili rispetto all’istologia.<br />

Questo non giustifica certo che si possa fare a meno della<br />

biopsia, in quanto questa consente, oltre alla ricerca dell’HP,<br />

la valutazione dell’eventuale danno alla mucosa. Pertanto la<br />

citologia su brushing potrebbe essere considerata come la<br />

metodica fondamentale, almeno nella valutazione dell’eradicazione<br />

dell’HP subito dopo terapia e nella diagnosi di colonizzazione<br />

gastrica di HP nei pz. con nud e gastrite associata.<br />

Infatti in queste condizioni la densità batterica sulla mucosa<br />

sembra relativamente bassa e l’esame istologico non si<br />

mostra adeguato a escludere la presenza dell’HP.<br />

Tab. I.<br />

N. Casi N. Casi N. Casi N. Casi N. Casi<br />

Complessivi Cito + Cito - Cito + Cito -<br />

Isto + Isto - Isto - Isto +<br />

140 75 28 32 5<br />

Carcinoma endocrino ben differenziato<br />

dello stomaco, adenocarcinoma colico<br />

e gist multipli gastrici in paziente<br />

con neurofibromatosi tipo 1<br />

L. Ventura, F. Calista1 , M. Sarra, V. Ceppa2 U.O. di Anatomia Patologica e di 1 Oncologia Medica, Azienda<br />

USL L’Aquila, 2 Novartis Farma<br />

Introduzione. La neurofibromatosi tipo 1 (malattia di von<br />

Recklinghausen) può associarsi ad una varietà di neoplasie<br />

epiteliali o stromali del tratto gastrointestinale 1 . Il caso in<br />

esame riguarda un uomo di 71 anni con neurofibromatosi,


ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI<br />

operato per carcinoma endocrino gastrico, con riscontro di<br />

adenocarcinoma colico e GIST multipli sottosierosi dello<br />

stomaco.<br />

Caso clinico. Il paziente, sottoposto a gastroscopia per epigastralgia,<br />

presentava neoformazione ulcerata antro-pilorica<br />

diagnosticata come adenocarcinoma poco differenziato all’esame<br />

istologico delle biopsie. Contestualmente alla gastrectomia<br />

totale veniva effettuata emicolectomia destra in seguito<br />

al riscontro di neoformazione vegetante del colon ascendente.<br />

L’esame macroscopico evidenziava neoplasia ulcerata gastrica<br />

del diametro di 8 cm, noduli sottosierosi multipli gastrici<br />

del diametro compreso tra 0,2 e 0,4 cm e neoformazione vegetante<br />

di 6,5 cm situata 3 cm a valle della valvola ileociecale.<br />

Erano inoltre presenti polipo sessile di 1,5 cm posto 2 cm a<br />

valle della neoplasia vegetante e diverticoli multipli colici.<br />

L’esame istologico consentiva di diagnosticare: carcinoma<br />

endocrino gastrico ben differenziato infiltrante il colon<br />

trasverso, con metastasi a 5/16 linfonodi (AE1AE3 +, cromogranina<br />

A +, sinaptofisina +, proteina S-100 -, Ki-67 + nel<br />

40%); GIST multipli sottosierosi gastrici a cellule fusate,<br />

senza mitosi (vimentina +, CD34 +, CD117 +, actina muscolo<br />

liscio -, proteina S100 -); adenocarcinoma G2 colico con<br />

metastasi a 3/7 linfonodi; adenoma tubulovilloso colico.<br />

Il paziente è deceduto un mese dopo l’intervento con quadro<br />

clinico di pancitopenia e metastasi polmonari bilaterali. Non<br />

è stato richiesto esame autoptico.<br />

Conclusioni. La neurofibromatosi tipo 1 è una malattia autosomica<br />

dominante a penetranza variabile, caratterizzata da<br />

tipiche lesioni cutanee, con un’incidenza di circa 1/3.000 2 .<br />

La malattia è causata da alterazioni del gene NF-1, localizzato<br />

nel cromosoma 17, che gioca un ruolo importante nel controllo<br />

della proliferazione cellulare di numerosi tessuti 1 . Nel<br />

25% dei casi la neurofibromatosi tipo 1 può associarsi ad una<br />

varietà di neoplasie gastrointestinali 2 , comprendenti tumori<br />

mesenchimali, endocrini o altre neoplasie maligne 1 . La presenza<br />

di neoplasie sincrone a differente potenziale evolutivo<br />

è responsabile dei seri problemi diagnostico-terapeutici nella<br />

gestione di questi pazienti 1 .<br />

Bibliografia<br />

1 Behranwala KA, et al. World J Surg Oncol 2004;2:1-4.<br />

2 Usui M, et al. J Gastroenterol 2002;37:947-53.<br />

Adenocarcinoma scarsamente differenziato<br />

del pancreas, con aspetti solido-midollari.<br />

Studio morfologico ed immunoistochimico<br />

di un caso<br />

L. Albarello, G. Arrigoni, C. Doglioni<br />

Anatomia Patologica, Istituto Scientifico “San Raffaele”,<br />

Milano<br />

Introduzione. Recenti studi identificano il carcinoma midollare<br />

del pancreas come una nuova e rara variante dell’adenocarcinoma<br />

duttale, con morfologia sovrapponibile a quella<br />

del carcinoma midollare del grosso intestino. I casi descritti<br />

in letteratura presentano morfologia scarsamente differenziata<br />

con pattern di tipo sinciziale, margini espansivi, necrosi,<br />

immunofenotipo hMLH1-, hMSH2+, SYN-, CROM- e presentano<br />

elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H).<br />

Caso clinico. Maschio, 71 anni, dolore e massa in epigastrio.<br />

TC e US preoperatorie documentavano lesione espansiva di<br />

cm 13 della testa pancreatica, senza secondarismi. Familiar-<br />

ità neoplastica negativa. Exitus 2 mesi dopo l’intervento, per<br />

metastasi epatiche. Duodenocefalopancreasectomia con neoplasia<br />

della testa, di cm 10, biancastra, a margini regolari,<br />

mammellonati, infiltrante pancreas e duodeno con metastasi<br />

linfonodali (pT3, pN1). Microscopicamente, la componente<br />

midollare è costituita da cellule organizzate in cordoni o<br />

lamine solide, con confini cellulari poco netti, citoplasma abbondante<br />

ed eosinofilo, nuclei grandi e vescicolosi, nucleoli<br />

prominenti, crescita espansiva ed estesa necrosi; si osservano<br />

cordoni microghiandolari con piccoli lumi centrali contenenti<br />

materiale amorfo eosinofilo e focale produzione di muco; è<br />

costante un marcato infiltrato di linfociti intraepiteliali (IEL).<br />

Immunofenotipo: hMLH1-, hMSH2+, CK20+ (focale),<br />

SYN-, CROM-, CK7-.<br />

Conclusioni. Si possono trarre le seguenti considerazioni<br />

anatomo-cliniche:<br />

– Il caso presenta inusuali aspetti “misti” di tipo midollare e<br />

microghiandolare con infiltrato IEL, peculiare dei carcinomi<br />

midollari colici sporadici con MSI-H.<br />

– L’immunofenotipo è hMLH1-, hMSH2+, che i dati di letteratura<br />

associano a fenotipo MSI-H; la neoplasia esprime<br />

marcatori a differenziazione intestinale (CK20+) e non<br />

pancreato-biliare (CK7-).<br />

– Mentre l’istotipo midollare colico correla con prognosi favorevole,<br />

l’esigua letteratura sui carcinomi pancreatici con<br />

aspetti midollari ed il caso presente, operato in stadio avanzato,<br />

non consentono di evidenziare un simile comportamento<br />

biologico.<br />

Bibliografia<br />

Goggins M, et al. Am J Pathol 1998;152:1501-7.<br />

Wilentz RE, et al. Am J Pathol 2000;156:1641-51.<br />

181<br />

Incremento della proliferazione<br />

e dell’apoptosi nelle cellule epiteliali di colon<br />

di pazienti affetti da colite ulcerativa cronica<br />

in follow-up clinico/patologico<br />

nella progressione di malattia<br />

F.P. D’Armiento, A.M. Anniciello, C. Mignogna, A. Iacono,<br />

M. D’Armiento<br />

Dipartimento di Scienze Biomorfologiche Funzionali, sez.<br />

Anatomia Patologica e Citopatologia, Università “Federico<br />

II” di Napoli<br />

Introduzione. La variabilità clinico/patologica di presentazione<br />

della colite ulcerativa cronica (CUC) ha posto problemi<br />

diagnostici in relazione alla prognosi. Il nostro studio<br />

ipotizza un ruolo dell’apoptosi e di fattori di regolazione della<br />

proliferazione cellulare quali elementi essenziali del mantenimento<br />

di un normale equilibrio omeostatico cellulare.<br />

Nella CUC non solo in rapporto alle sue complicanze (displasia/cancro-megacolon)<br />

ma anche all’andamento di malattia<br />

(colon sinistro vs. pancolite).<br />

Metodi. Lo studio è stato effettuato su 40 pazienti (M = 25;<br />

F = 15 con età media all’esordio di malattia M = 43; F = 38)<br />

con biopsia all’esordio e con controlli successivi (intervallo<br />

mediano di 8 anni: r = 4-6 anni); nessuno dei casi studiati è<br />

complicato con displasia o megacolon. Su tutte le biopsie è<br />

stato effettuato studio immunoistochimico di Ki67 e P53 (anticorpi<br />

DAKO) e studio istochimico dell’apoptosi mediante<br />

TUNEL (apopTag Plus Kit Chemicon International USA). La<br />

conta di positività cellulare per Ki67 e P53 (n%) ha considerato<br />

2 aree della ghiandola 1 : basale e superficiale e in soli


182<br />

tre casi abbiamo osservato positività superficiale. Analoga<br />

conta è stata effettuata per l’apoptosi (n%) dove si assiste ad<br />

una positività superficiale della ghiandola rispetto alla profonda<br />

2 . I dati ottenuti sono stati correlati tra loro e alle diverse<br />

condizioni cliniche con analisi statistica secondo test di<br />

Mann-Whitney U-test.<br />

Risultati. I valori mediani di Ki67, P53 e TUNEL sono significativamente<br />

diversi se valutati all’esordio di malattia<br />

rispetto alla fine del follow-up. Sussiste infatti un incremento<br />

dei 3 marcatori adottati (Ki67 9 vs. 14 p = 0,031; P53 10<br />

vs. 16 p = 0,046; apoptosi 12 vs. 24 p = 0,015). Il confronto<br />

multivariato non ha mostrato significatività in rapporto ad età<br />

di esordio della malattia e al sesso. L’aumentano dei marcatori<br />

nel tempo in maniera proporzionale si associa a malattia<br />

stazionaria confinata al retto o come colite sinistra; un decremento<br />

o stazionarietà di Ki 67 con incremento di indice<br />

apoptotico e P53 si associa ad una estensione della malattia<br />

(colite sinistra vs. pancolite p = 0,048) e tale significatività è<br />

maggiore se l’individuo ha un’età inferiore ai 40 anni.<br />

Conclusioni. I risultati confortano l’ipotesi prospettata che<br />

un equilibrio omeostatico cellulare non più regolato da fattori<br />

della regolazione della proliferazione e dell’apoptosi sono<br />

condizionanti sull’andamento clinico della malattia come<br />

l’estensione e l’intensità dei sintomi prima delle sue complicanze.<br />

Bibliografia<br />

1 Skinozaki M, et al. Proliferative activity is associated with displasia<br />

in ulcerative colitis. Dis Colon Rectum 2000;10.<br />

2 Chigara H, et al. Apoptosis in ulcerative colitis and surgery. J Gastroenterol<br />

Hepatol 2002;17:758-64.<br />

Immunohistochemical expression<br />

of metallothionein in primary hepatocellular<br />

carcinoma and liver metastases<br />

D. Villari, G. Giuffrè, A. Simone, G. Tuccari<br />

Department of Human Pathology, University of Messina<br />

Metallothionein (MT) is a low molecular weight protein (6-7<br />

kD) with strong affinity for heavy metal ions, which has been<br />

involved in various processes such as storage of essential<br />

metals, binding of large amounts of potentially toxic metal<br />

ions, scavenging of free radicals. In human neoplastic pathology,<br />

the presence of MT has been immunocytochemically<br />

demonstrated in both the nucleus and the cytoplasm of cells<br />

in many carcinomas of different organs, although a definite<br />

clinicopathological significance of MT has not yet been assessed<br />

in tumours, in reference to histological stage and<br />

grade, patient survival and local recurrence.<br />

In the present study, we have investigated the expression of<br />

MT in 34 histological specimens of primary human hepatocellular<br />

carcinoma and liver metastases, taken from files of<br />

our Department; in addition 5 samples of gallbladder and 1<br />

hepatic angiomyolipoma have been also analysed. The immunoreaction<br />

was performed by a monoclonal mouse anti-<br />

MT reactive against a single and highly conserved epitope<br />

shared by the I and II isoforms (MT-E9, Dako, w.d. 1:100)<br />

applied overnight at 4 °C. To test the specificity of MT staining,<br />

negative and positive control procedures were carried<br />

out. Immunostained sections were estimated by light microscopy<br />

using a x20 and x40 objective lenses and x10 eyepiece<br />

and the relative assessment was performed on a consensus<br />

basis using a double-headed microscope. The percent-<br />

age of stained cells was graded for semiquantitative purposes<br />

as follows: 0 (no staining); 1 (> 0 to 5%); 2 (> 5 to 25%);<br />

3 (> 25 to 50%); 4 (> 50%). The possible correlations between<br />

immunohistochemical data and morphological characteristics<br />

of tumours were investigated using non-parametric<br />

methods.<br />

MT immunoexpression was found in 15/34 cases (44.1%), 11<br />

hepatocellular carcinomas and 4 metastases, with a staining<br />

score ranging from 1 to 3; none exhibited a MT score graded<br />

as 4. The intensity of MT staining was variable; it was mainly<br />

localized in the cytoplasm, although a combined nuclear/cytoplasmic<br />

reactive pattern was sometimes seen in<br />

neoplastic elements, especially in differentiated areas. Frequently<br />

immunoreactive neoplastic cells were found in direct<br />

contact with negative ones, mainly in metastatic samples in<br />

which the immunostaining was sporadic and less intense.<br />

Gallbladder samples and angiomyolipoma were always unstained,<br />

while peri-neoplastic liver tissue was strongly reactive.<br />

No correlations between MT expression and age, sex,<br />

tumour size and clinical stage were appreciable.<br />

AgNOR analysis of gastric carcinoids<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

G. Giuffrè, F. Mormandi 1 , V. Barresi, C. Bordi 1 , G. Tuccari<br />

Department of Human Pathology, University of Messina, 1<br />

Department of Pathology and Laboratory Medicine, Section<br />

of Anatomic Pathology, University of Parma<br />

The AgNOR analysis allows to visualize at the light microscopic<br />

level a set of argyrophilic non-histone proteins (AgN-<br />

OR proteins) localized in the nucleolar organizer regions<br />

which are associated with ribosomal genes. The quantity of<br />

these argyrophilic proteins may be determined by video image<br />

analysis and it has been demonstrated to be strictly related<br />

to the rapidity of cell proliferation; however, the prognostic<br />

value of the quantity of AgNOR proteins as an independent<br />

variable in various kinds of tumours is well known.<br />

We report herein the personal experience concerning the applications<br />

of standardized AgNOR analysis in 24 human gastric<br />

carcinoids (13 type I, 1 type II, 10 type III), 8 of which<br />

exhibited a tumour size > 1 cm; the main clinico-pathological<br />

data of studied cases were also available. 4 µm thick sections<br />

were submitted to the AgNOR technique according to<br />

guidelines of the Committee on AgNOR Quantification. By<br />

an image analysis system, the mean area (µm 2 ) of AgNORs<br />

per cell (NORA) was evaluated on neoplastic cells at one focal<br />

plane with a x40 objective lens in at least 100 nuclei per<br />

specimens; a specific software was utilized to determine<br />

mean NORA values per cell and per case, respectively.<br />

By AgNOR method, all neoplastic specimens showed an adequate<br />

silver-staining intensity, homogeneously present<br />

throughout the whole section, which allowed us to correctly<br />

perform the evaluation. Mature lymphocytes, whenever present,<br />

exhibited a single round-shaped, centrally localized<br />

AgNOR. The mean NORA value of all cases was 1.279 µm 2 ;<br />

SD ± 0.404); moreover, significantly higher mean NORA<br />

values were encountered in the group of patients with higher<br />

tumour size (> 1 cm). Therefore, since histologic criteria<br />

failed to precisely distinguish the likelihood of aggressive or<br />

metastatic potential in gastric carcinoids, we retain the AgN-<br />

OR analysis may have a good rank order of prognostic influence<br />

in the identification of tumours with uncertain biological<br />

behaviour.


ABSTRACTS DI COMUNICAZIONI<br />

Combined small cell carcinoma<br />

of the stomach. A case report<br />

N. Scibetta, G. Sciancalepore, L. Marasà<br />

U.O. di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico-Di Cristina-<br />

Ascoli”, Palermo<br />

Introduction. The combined neuroendocrine small cell carcinoma<br />

“Combined SCC” is a rare malignant tumor characterized<br />

by two different neoplastic components, a undifferentiated<br />

neuroendocrine one (> 30%), and an adenocarcinomatous<br />

one, they are deeply mixed, with appearance of transition<br />

between two histotypes, also in the lymph nodal metastasis.<br />

Such aspects do not appear in collision tumors, where<br />

two different neoplastic populations are only contiguous. The<br />

“Combined SCC” is a very malignant neoplasm, with severe<br />

prognosis, response to chemotherapy. It has rarely been noticed<br />

cases in the stomach (about 30 cases related in literature).<br />

More often it arises in about 69 years old males; frequently<br />

it is localized in pyloric antrum and corpus ventriculi.<br />

We report a case of “Combined SCC” of stomach, which<br />

showed mixed appearance of mucinous adenocarcinoma.<br />

Materials and methods. For about 6 months a 84 years old<br />

patient, suffering from hypertension, macrocytic anaemia,<br />

has noticed epigastralgia and emesis, with a contemporaneous,<br />

considerable thinning. EGDS revealed a voluminous<br />

vegetating mass, with diameter of 6 cm, in gastric antrum.<br />

Thoracic Rx appeared negative, whereas abdomen TAC, with<br />

and without MDC, showed probably metastatic multiple<br />

roundhish areas in VI and VIII hepatic segments. The patient<br />

has been subjected to gastroduodenal resection; after histological<br />

diagnosis she was introduced to chemotherapy. The<br />

gastroduodenal resected was formalin at 4% fixed and paraplast<br />

plus included. Sections of 3 µm thickness have been<br />

prepared, stained with HE, Alcian-PAS, Grimelius, Masson-<br />

Fontana. Other sections of the same thickness have been set<br />

on slides for immunohistochemical stains. The used Antibodies<br />

have been CK AE1/AE3, EMA, Chromogranin A, Synaptophysin,<br />

NSE, CD57, CEA, B72.3.<br />

Results. Macroscopically the gastroduodenal resected was<br />

characterized by a vegetating, ulcerated neoformation, with<br />

diameter of 6 cm, in antral seat; which revealed fully infiltrating<br />

gastric parietis as far as peritoneal serosa. Histologically<br />

two deeply mixed neoplastic components have been<br />

showed; the bigger share (about 70%) was constituted by<br />

SCC, the remaining one by mucinous adenocarcinoma. The<br />

adenocarcinomatous component was constituted by cystic<br />

enlarged glands, filled with mucus, partly flowed into the interstitium,<br />

covered by an mucosecreting columnar epithelium,<br />

which appeared negative for Grimelius stain, and also<br />

for other neuroendocrine tested markers; while it was positive<br />

for CEA and B72.3 stains. Here and there, along the coat<br />

epithelium, argentophil, not argentaffin, positive for neuroendocrine<br />

markers, negative for CEA and B72.3 cells were<br />

been inserted. The SCC component showed a population of<br />

small, lymphocytoid elements, with poor cytoplasm, hyperchromatic<br />

nuclei, without nucleoli, argentophil, not argentaffin.<br />

They were arranged in solid fields, nests and cords with<br />

mucosecreting glandular structures and large necrotic areas.<br />

They were positive for neuroendocrine markers and CK<br />

AE1/AE3, negative for CEA and B72.3. Metastasis have<br />

been noticed in 5/11 perivisceral lymph nodes isolated, with<br />

both histotypes in the same lymph node. The remaining gastric<br />

tunica mucosa showed chronic atrophic gastritis, with<br />

183<br />

diffuse intestinal metaplasia and hyperplasia of argentophil<br />

endocrine cells.<br />

Conclusions. The hystogenesis of such tumors is dubious. In<br />

our case the histological aspects support the theory of a only<br />

cellular precursor, common to neuroendocrine and adenocarcinomatous<br />

share; it agrees with the recovery of p53 punctiform<br />

mutation, recently described, in both histotypes of<br />

“Combined SCC”.<br />

Lo spettro clinicopatologico<br />

della parapsoriasi a chiazze/micosi<br />

fungoide iniziale<br />

G. Ferrara, G. Argenziano1 , P. Goglia, A. Di Blasi<br />

UOC Anatomia Patologica, A.O. “Gaetano Rummo”, Benevento;<br />

1 Clinica Dermatologica Seconda Università di Napoli<br />

Introduzione. La parapsoriasi a (grandi) chiazze/micosi fungoide<br />

iniziale (PC-MFI) costituisce una entità clinicopatologica<br />

che tradizionalmente pone grandi difficoltà terminologiche,<br />

concettuali e pratiche 1 . Un diagnosi basata sulla sola<br />

istologia può risultare virtualmente impossibile; il contributo<br />

dell’immunoistochimica è in genere marginale.<br />

Metodi. Sono stati studiati 24 casi, selezionati in base a criteri<br />

clinici (lesioni eritematodesquamanti fisse da almeno 3<br />

mesi, evolutive, relativamente simmetriche, relativamente reversibili<br />

con steroidi). Ciascun caso è stato studiato mediante<br />

documentazione clinica, istologia convenzionale, immunoistochimica<br />

(anticorpi anti CD3, CD4, CD5, CD7 e CD8) e biologia<br />

molecolare (riarrangiamento del TCR-gamma mediante<br />

PCR-heteroduplex 2 ).<br />

Risultati. Sono state osservate diverse manifestazioni<br />

cliniche atipiche di PC/MFI (intertriginosa, a chiazze infiltrative<br />

d’emblée, simil-eczema xerotico, simil-acanthosis nigricans).<br />

Le modificazioni istologiche più frequenti sono<br />

state riscontrate a livello del derma superficiale (fibrosi ed<br />

infiltrazione linfocitaria lichenoide o “patchy”); in almeno 14<br />

casi sono state osservate modificazioni più o meno sfumate a<br />

tipo ”dermatite dell’interfaccia” (vacuolizzazione dei cheratinociti<br />

basali). L’epidermotropismo è stato osservato incostantemente<br />

e per lo più in forma modesta e focale. L’immunofenotipo<br />

dell’infiltrato è risultato CD3+ CD4+ CD5+<br />

CD8-, con la eccezione di tre casi a fenotipo CD4- CD8+; solo<br />

in due casi è stata osservata delezione di CD7. Tredici casi<br />

hanno evidenziato riarrangiamento clonale del TCR-gamma.<br />

Conclusioni. La PC/MFI è contraddistinta da un grande<br />

polimorfismo di manifestazioni clinicopatologiche. Non esiste<br />

un golden standard diagnostico, ma piuttosto una costellazione<br />

di caratteristiche cliniche, istologiche, immunofenotipiche<br />

e biomolecolari che possono orientare la diagnosi.<br />

Occorre sottolineare come modificazioni istologiche<br />

compatibili con PC/MFI si osservino più spesso nel derma<br />

superficiale che non nell’epidermide.<br />

Bibliografia<br />

1 Willemze R, et al. EORTC classification of primary cutaneous<br />

lymphomas: a proposal from the Cutaneous Lymphoma Study Group<br />

of the European Organization for Research and Treatment of Cancer.<br />

Blood 1997;90:554-71.<br />

2 Kohler S, et al. PCR-hereroduplex analysis of T-cell receptor gamma<br />

gene rearrangement in paraffin-embedded skin biopsies. Am J Dermatopathol<br />

2000;22:321-7.


<strong>184</strong><br />

Neoplasie melanocitiche con regressione:<br />

studio clinicopatologico di 158 casi<br />

G. Ferrara, G. Argenziano1 , A. Dalena, A. Di Blasi<br />

UOC Anatomia Patologica, A.O. “Gaetano Rummo”, Benevento;<br />

1 Clinica Dermatologica Seconda Università di Napoli<br />

Introduzione. Per regressione si intende la parziale o totale<br />

scomparsa di una neoplasia in assenza di adeguata terapia.<br />

Il nevo-alone e il melanoma sono gli esempi stereotipici di<br />

lesioni melanocitiche con regressione. Tuttavia, l’introduzione<br />

della dermoscopia nella pratica clinica ha evidenziato<br />

come la regressione – in forma di strutture biancastre e/o<br />

bluastre (BWS) – sia osservabile anche nel nevo comune non<br />

alonato. È stato osservato come neoplasie melanocitiche con<br />

regressione possano dar luogo a disaccordo diagnostico tra<br />

istopatologi 1 .<br />

Metodi. Sono state studiate 158 neoplasie melanocitiche escisse<br />

esclusivamente a causa della evidenza dermoscopica di<br />

BWS in assenza di altri criteri dermoscopici melanomaspecifici.<br />

I preparati istologici sono stati esaminati indipendentemente<br />

da 4 istopatologi. Le immagini dermoscopiche<br />

sono state infine riesaminate alla luce dei dati istologici.<br />

Risultati. Le lesioni in studio sono state asportate da 145<br />

pazienti (75 maschi e 70 femmine) di età compresa tra 12 e<br />

84 anni (età media: 36 anni); la localizzazione di gran lunga<br />

più frequente è risultata il dorso (51,3%). Globalmente,<br />

135/158 lesioni sono state giudicate unanimemente benigne,<br />

mentre solo una è stata diagnosticata come melanoma da tutti<br />

gli osservatori. Le lesioni istologicamente dubbie erano<br />

contraddistinte alla demoscopia da regressione interessante<br />

più del 50% della superficie lesionale ovvero da regressione<br />

con commistione di aree biancastre con aree bluastre.<br />

Conclusioni. La regressione è un fenomeno relativamente<br />

comune nelle lesioni melanocitiche del dorso e probabilmente<br />

imputabile a fotoesposizione acuta intermittente. In<br />

assenza di altri criteri clinico-dermoscopici di melanoma,<br />

queste lesioni sono per lo più benigne. Tale evenienza deve<br />

essere tenuta in considerazione tanto dal Clinico quanto dal<br />

Patologo onde evitare una overdiagnosi di melanoma. È stato<br />

proposto il solo follow-up clinico-dermoscopico per neoplasie<br />

melanocitiche con regressione inferiore al 10% della<br />

superficie lesionale ovvero con regressione compresa tra il 10<br />

e il 50% ma senza commistione di aree biancastre con aree<br />

bluastre 2 .<br />

Bibliografia<br />

1 Ferrara G, et al. Dermoscopic and histopathologic diagnosis of equivocal<br />

melanocytic skin lesions. An interdisciplinary study on 107 cases.<br />

Cancer 2002;95:1094-100.<br />

2 Zalaudek I, et al. Clinically equivocal melanocytic skin lesions with<br />

features of regression: A dermoscopic-pathological study. Br J Dermatol<br />

2004;154:64-71.<br />

RIUNIONE PRIMAVERILE SIAPEC-IAP<br />

Ossifying juvenile xanthogranuloma<br />

M. De Vito, G. Coletti, A.R. Vitale, S. Di Rito, P. Leocata<br />

Dept. of Experimental Medicine University of L’Aquila<br />

Introduction. Ossifying Xanthogranuloma was first described<br />

by Salamanca et al. in 2003 1 on the trunk of a 41 year<br />

old woman. Xanthogranuloma is a benign histiocytic process<br />

of uncertain nature characterized by solitary or multiple redbrown<br />

papulo-nodes growing on the head and neck and upper<br />

parts of the trunk. We investigated the case of an ossifying<br />

juvenile xanthogranuloma arising on the left gluteus of a<br />

14 year old boy with the exceptional feature of exuberant<br />

bone formation. A 14 year old boy visited the department of<br />

surgery of S. Salvatore hospital, complaining of a nodule on<br />

his gluteus of 2-3 months duration. Clinical examination revealed<br />

an ulcerated, hard, brown, 0.5 cm nodule, with surface<br />

crust formation. Pruritus was present. The lesion was locally<br />

excised for histologic examination.<br />

Methods. The entire biopsy specimen measured 1 x 0.7 x 0.5<br />

cm; on gross examination the cut surface was greyish. The<br />

biopsy was routinely fixed, processed and stained with hematoxylin-eosin.<br />

Other sections were cut for immunohistochemical<br />

examination.<br />

Results. Microscopic examination revealed that the tumor<br />

was entirely confined within the dermis. It was characterized<br />

by a diffuse proliferation of eosinophilic mononucleated and<br />

multinucleated histiocytes (Touton like) admixed with rare<br />

foamy histiocytes and sparse inflammatory infiltrate. The<br />

epidermis overlying the lesion was ulcerated. The central part<br />

of the lesion showed bone formation, represented by mineralised<br />

osteoids with central lacunae housing osteocytes and<br />

surrounded by osteoblasts. The tumor cells were strongly<br />

positive for vimentin, CD68; CD34 and Actin were negative.<br />

The histologic diagnosis was Ossifying Juvenile Xanthogranuloma.<br />

Conclusions. Xanthogranuloma refers to a group of benign<br />

cutaneous or subcutaneous lesions that affect adolescents and<br />

adults. In about 15% of cases lesions are solitary tumors as in<br />

the present case. Previous works have described special clinical<br />

variants including pulmonary and visceral involvment.<br />

Cases with unusual histologic findings such as ulceration, absence<br />

of foamy and giant cells, increased mitotic activity<br />

have been described. The present case is the 2 nd one reporting<br />

bone formation within Xanthogranuloma and the 1 st affecting<br />

an adolescent.<br />

References<br />

1 Salamanca J, et al. Ossifying adult xanthogranuloma. Arch Pathol<br />

Lab Med 2003;127:409-10.

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