Leggi - I Cistercensi
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NOTIZIE CISTERCENSI 4-5 ANNO TERZO LUGLIO - OTTOBRE 1970 Periodico bimestrale - Spedizione in Abbonamento Postale - Gruppo IV
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NOTIZIE<br />
CISTERCENSI<br />
4-5<br />
ANNO TERZO<br />
LUGLIO - OTTOBRE<br />
1970<br />
Periodico bimestrale - Spedizione in Abbonamento Postale - Gruppo IV
NOTIZIE CISTERCE NSI<br />
Periodico bimestrale di vita cistercense<br />
SOMMARIO<br />
P. POLICARPO ZAKAR Le origini dell'Ordine Cistercense<br />
(III). Brevi osservazioni sugli studi degli ultimi<br />
quindici anni (1954-1969) Pago 189<br />
P. RAFFAELE SCACCIA Il Capitolo Generale Speciale<br />
e le Missioni <strong>Cistercensi</strong> » 200<br />
Florilegio Cistercense » 207<br />
La Mortificazione Sermone del Rev.mo Abate Generale<br />
al Capitolo Generale 1969 » 211<br />
D. FILIPPO AGOSTINI Il Monastero dii Claraval nel<br />
Brasile » 215<br />
Cronaca » 232<br />
ABBA BURUK WOLDEGABER Il monachesimo in E#
Le origini dell'Ordine Cistercense (111)*<br />
Brevi osservazioni sugli studi degli ultimi quindici anni<br />
(1954-1969)<br />
6. LA RELAZIONE DEL PROFESSORE DAVID KNOWLES<br />
David Knowles, insigne storico del monachesimo in Inghilterra<br />
(150), professore emerito dell'Università di Cambridge, tenne nel<br />
1962, nel quadro del «Birkbeck Lectures» nel Trinity College di<br />
Cambridge delle lezioni sui problemi più discussi della storia monastica,<br />
e cioè sui rapporti della Regala Magistri colla Regola di S. Benedetto<br />
e sui primi documenti della storia dell'Ordine Cistercense. Il<br />
testo di queste due lezioni è apparso nel 1963 (151).<br />
L'autore mise in iscritto le sue lezioni limitandosi ad esporre le tesi<br />
di Lefèvre (152) senza analizzarle a fondo. Knowles non intese presentare<br />
una propria teoria. Perciò il nostro compito è di precisare se<br />
egli ha interpretato rettamente le tesi di Lefèvre e le sue affermazioni<br />
corrispondono ai dati di fatto.<br />
La relazione di Knowles è di gradevole lettura, poiché l'autore<br />
più che discutere le questioni tecniche descrive il significato della<br />
problematica introdotta da Lefèvre per la storia delle origini dell'Ordine<br />
Cistercense. Ma proprio in ciò si rileva la sua debolezza; infatti<br />
egli nelle sue affermazioni resta superficiale e poco esatto. In più la<br />
sua relazione presenta pochissime note; ciò costituisce forse un'altra<br />
(*) Vedi Notizie <strong>Cistercensi</strong> 3(1970) 1-17 e 89-111.<br />
(150) Si pensi ad esempio al suo The Monastic arder in England (943-1216),<br />
Cambridge 1940 (21949), The Religious Orders in England, 3 volumi, Cambridge<br />
1948_1959, ecc.<br />
(151) Vedi KNOWLES nell'elenco delle abbreviazioni.<br />
(152) WINANDY e VAN DAMME 1 (solamente i primi due articoli) sono menzionati<br />
unicamente a pago 220. Effettivamente non sono stati neppure consultati tutti<br />
gli articoli di Lefèvre, benché siano enumerati a pago 198. Ad esempio a pago 204<br />
si parla contemporaneamente di tutte e quattro le Bolle «Sacrosancta », mentre<br />
Lefèvre per l'esattezza ne scoprì una quinta. Peraltro LÈFEVRE11 non fu usato da<br />
Knowles, anche se egli indica l'unica Bolla di Alessandro III da lui conosciuta con<br />
l'anno 1163 invece del 1165.<br />
- 189-
causa delle molte inesattezze che in essa si trovano. Se avesse tentato<br />
di documentare le sue osservazioni avrebbe rilevato sia elementi discussi<br />
ai quali gli autori non hanno neppure pensato, sia elementi<br />
assolutamente alieni dalle affermazioni degli autori citati.<br />
Dopo una breve esposizione della scoperta di Turk, Knowles descrive<br />
la tesi fondamentale di Lefèvre. Egli pensa che Lefèvre abbia confrontato<br />
tre codificazioni « complete» trovate nei manoscritti di Trento<br />
1711, Laibach 31 e nei testi di Digione che il Guignard aveva pubblicati.<br />
Knowles oltre a ciò afferma che Turk abbia ritenuti i testi<br />
editi da Guignard per il «dossier» presentato nel 1153 ad Eugenio<br />
III (153), mentre Lefèvre li avrebbe fissati circa nel 1163 (154).<br />
Questa osservazione attribuisce a Turk e a Lefèvre qualche<br />
cosa che loro non hanno mai asserito. Turk sapeva molto bene<br />
dall'esame delle Bolle « Sacrosancta» che la CCz, nella forma pubblicata<br />
da Guignard, non poté essere presentata nel 1152 (155). Inoltre la<br />
teoria dei manoscritti «completi» (Knowles li chiama dossier) deriva<br />
soltanto da Lefèvre, il quale però non incluse nella sua tesi fondamentale<br />
il terzo gruppo (i testi di Digione) nominati da Knowles, poiché<br />
questo terzo «gruppo », almeno nei manoscritti conosciuti oggi, non<br />
esiste affatto, in quanto Guignard ha raccolto i testi del suo Monuments<br />
primitijs cercando qua e là in diversi manoscritti.<br />
Knowles in vari punti sembra dimenticare tutto ciò. All'inizio del<br />
suo articolo esplicitamente parla di diversi manoscritti di Digione, che<br />
pubblicò Guignard e li indica anche in una nota ( 156); confonde poi<br />
Digione 601 (già 354), che contiene la CC\ con Digione 114 (già<br />
82) delle Consuetudines (157), e nella descrizione della tesi fondamentale<br />
di Lefèvre questi testi di diversi codici diventano un'unico « grup-<br />
(153) KNOWLES, 211. L'anno 1153 è certamente un errore di stampa o<br />
una svista. La « Sacrosancta » di Eugenio III è del 1 agosto 1152. Alcuni righi prima<br />
Knowles ascriveva il dossier di Eugenio III al 1152.<br />
(154) Cosi KNOWLES, 211; ma a pago 212 scrive che secondo Lefèvre, la CO<br />
nella sua forma definitiva è da collocarsi circa al 1180.<br />
(155) Vedi sopra pago 107, nota 127.<br />
(156) KNOWLES, 199, dove egli espressamente ricorda che il manoscritto 601<br />
contiene la CO, il 633 l'Exordium Parvum e il 114 gli «Instituta ».<br />
(157) Ibid., 201-202 egli descrive il manoscritto 601 nel modo seguente:<br />
«Il testo (della CC) era apparentemente puro, e quando poi Guignard ne aveva<br />
stampata l'edizione dal ms. 601 della Biblioteca Municipale di Digione, allora vi fu<br />
un generale convincimento che fosse stata detta l'ultima parola. Il manoscritto ~i<br />
Digione, scritto nelle diverse parti tra il 1191 e il 1236, proveniva da Citeaux ed 10<br />
esso si asseriva che era l'esemplare per tutto l'Ordine, con l'iscrizione 'ut praesens<br />
liber sit exemplum invariabile ...'. Il testo stesso - come dimostrò Guignard -<br />
era stato composto tra il 1173 ed il 1191, perché esso contiene nel suo calendario la<br />
festa di S. Tommaso di Canterbury, che fu canonizzato nel 1173... ».<br />
Knowles qui confonde il manoscritto 601 (già 354) della CC2 con quello<br />
- 190-<br />
-
po» (158). Lefèvre non ha mai asserito ciò, poichè conosceva molto bene<br />
che questo « gruppo », anche se poi forse esistette in qualche manoscritto,<br />
in nessun modo era paragonabile alla codificazione contenuta<br />
in Trento 1711 ed in Laibach 31. Così dobbiamo rilevare che Knowles<br />
non ha descritto affatto bene la tesi fondamentale di Lefèvre.<br />
In altre occasioni il nostro autore non solo non rigetta alcune tesi<br />
di Lèfevre sulla CC, ma in molti punti le approva (159). Egli vede<br />
l'essenziale non nella datazione dei documenti, ma nel fatto che la CC<br />
ha avuto un lungo sviluppo, che oggi è innegabile.<br />
In modo del tutto diverso egli giudica la teoria di Lefèvre in<br />
riferimento all'Ex.C. e all'Ex.P. Egli afferma che Lefèvre in nessun<br />
modo ha provato che l'Ex.P. non sia stato scritto prima del 1152 e che<br />
l'Ex. C. esisteva già nel 1119. È vero che Knowles accetta la tesi<br />
di Lefèvre secondo cui l'Ex.P. è uno scritto ufficiale sugli inizi dell'Ordine,<br />
ma rigetta proprio per questo l'opinione di Lefèvre il quale<br />
avrebbe voluto sostenere che l'Ex. P. tratta dell'origini dell'Ordine<br />
Cistercense in una maniera più o meno falsa. Ciononostante Knowles<br />
dichiara in seguito che ha delle difficoltà a datare al 1119 l'Ex.P. nella<br />
forma conosciuta oggi, poiché si afferma troppo esplicitamente che<br />
lo scritto deriva dai veri fondatori di Citeaux. Ma una tale insistenza<br />
114 (già 82) che non contiene la CC, ma solamente le Consuetudines e che da Guignard<br />
(XXVI) è datato tra il 1173-1191. Il manoscritto 114 è quello che spesso<br />
viene chiamato «manuscrit-type» per le parole riportate anche da Knowles. Il<br />
manoscritto 601, che contiene la CO, secondo Guignard (LXX) fu scritto tra il<br />
1191-1194 e fu proprietà dell'abbazia di Belleveaux e solo dopo il 1480 pervenne<br />
a Oteaux; infatti non appare ancora nel catalogo del 1480.<br />
(158) KNOWLES, 210-211: «Lefèvre... sostiene che essi mostrano l'esistenza<br />
di tre gruppi di manoscritti, ciascuno fatto in base a quattro documenti secondo lo<br />
schema seguente. L'enumerazione procede con ordine cronologico dei manoscritti di<br />
ciascun gruppo: ...Gruppo III: Exordium Cisterciensis Cenobii - Carta Caritatis<br />
(CC2) - Consuetudines (parecchi decreti) - offida Ecclesiastica, etc. Collezione dei<br />
M(onumenti) P(rimitivi) ».<br />
Qui c'è da notare che a) l'Ex. Cisterciensis Cenobii (Ex.P.) nei Monuments<br />
Primitils di Guignard fu preso dal manoscritto 633 (già 378) il quale è da datarsi tra<br />
il 1224-1236 (Guignard LX); b) la CC fu presa dal manoscritto 601 (vedi sopra nota<br />
157); c) Le Consuetudines in Guignard comprendono gli Ecclesiastica Offida, gli<br />
lnstituta Generalis Capituli apud Cistercium e gli Usus Conuersorum che si trovano<br />
in quest'ordine nel manoscritto 114. Quindi le Consuetudines, da una parte non<br />
sono da mettersi al medesimo livello con gli Instituta Generalis Capitali come fece<br />
Knowles - d'altra parte esse contengono gli Offida Ecclesiastica che Knowles espressamente<br />
indica a parte. A pago 215 per es. scrive: «Esso (l'Ex.P.) serve come una<br />
introduzione alla Carta Caritatis (CC2) nella collezione ufficiale dei M(onuments)<br />
P(rimitifs). - «Raccolta ufficiale» fatta da Guignard nel 1878...<br />
(159) KNOWLES, 211: «Lefèvre con una quantità di argomenti complicati, ma<br />
nello stesso tempo convincenti, dimostrò che il gruppo II (Ex.P. - CO -<br />
Instituta cap. gen. - Officia Eccl. del ms. di Laibach 31) era la collezione di Eugenio<br />
III nel 1152-3» - Knowles un po' più avanti pagg. 212·213 crede di seguire<br />
Lefèvre e tuttavia data la CCI al 1119.<br />
191 -
è troppo vistosa per<br />
Knowles non cerca di<br />
indicarlo.<br />
essere accettata incondizionatamente (160).<br />
risolvere questo problema, ma vuole solo<br />
Riepilogando, diciamo di prevedere che la relazione del professore<br />
Knowles troverà ampia diffusione fra gli studiosi e finirà coll'attirare<br />
la loro attenzione sul nostro problema: in ciò consisterà il suo merito.<br />
Dobbiamo però deplorare che questo famoso professore, il quale criticò<br />
tanto aspramente il metodo di esposizione di Turk e di Lefèvre<br />
(161), non abbia, egli stesso, evitato errori tanto spiacevoli (162).<br />
7. GLI ARTICOLI DELLA DOTTORESSA EDITH PASZTOR<br />
Dopo la pubblicazione del nostro articolo in tedesco (163), la<br />
dottoressa Edith Pasztor ha scritto due articoli sulle origini cistercensi.<br />
Il primo (164) potrebbe essere definito in qualche modo una recensione<br />
del nostro lavoro, il secondo (165) invece esamina tutta la problematica<br />
dal punto di vista metodologico, poiché, afferma la Pésztor, « il fatto<br />
che molti interrogativi siano ancora rimasti sospesi, dipende soprattutto<br />
... dai limiti di molti di questi studi, condotti senza quelle esi-<br />
(160) KNOWLES, 219.<br />
(161) KNOWLES, 209: «Né Turk né Lefèvre possono pretendere di essere maestri<br />
per chiarezza », Ibid., 220-221: «Gli storici che desiderano rendersi familiari con gli<br />
argomenti di questa materia devono percorrere un faticoso esercizio di cesello e quindi<br />
rendersi padroni dei suoi (di Lefèvre) sparsi e non bene assimilati articoli. Né Turk<br />
né Lefèvre hanno mostrato di essere padroni di tutti gli esercizi della perizia di uno<br />
studioso. Entrambi sono stati troppo precipitosi nel pubblicare le loro scoperte prima che<br />
esse potessero essere pienamente digerite e vagliate; entrambi di conseguenza hanno usato<br />
una enorme quantità di spazio su una materia che avrebbe meritato di essere esaminata<br />
severamente ed ordinata prima della stesura finale dell'articolo ed entrambi infine si sono<br />
dimostrati scrittori disordinati e giudici impulsivi ».<br />
(162) Oltre ai sopracitati errori siano puntualizzati anche i seguenti: a pago<br />
203 Knowles per es. scrive: «Turk descrive le sue scoperte in un articolo in sloveno<br />
in una oscurissima pubblicazione nel periodico Kapistran Nyomda, pp. 5-10, 27-8). In<br />
questa proposizione ci sono alcuni errori: a) Kapisztràn Nyomda non è una rivista ma è<br />
la tipografia S. Giovanni da Capistrano di Vrk (Ungheria) presso cui il P. Hiìmpfner pubblicò<br />
il suo libretto (Exordium Cistercii ...). (Knowles taccia questo libretto come una<br />
oscura pubblicazione, anche se, evidentemente, neppure lo conobbe). Se la Kapisztràn<br />
Nyomda fosse una rivista come Knowles pensava, avrebbe dovuto citare non solo la pagina<br />
ma anche l'annata della rivista; b) Il lavoro di Turk è apparso come libro nella serie delle<br />
pubblicazioni dell'Accademia slovena delle scienze (vedi Not. Cist. III (1970), p. 5, nota 7)<br />
quindi non è un articolo e non si tratta di una pubblicazione «oscurissima ».<br />
A pago 210 Knowles scrive: « ... della così detta Summa CC si è pensato a lungo<br />
che fosse un tardivo riassunto della CC edita da Guignard (CC2 di Turk) ...». Ma chi ha<br />
sostenuto questa opinione? La Summa CC fu pubblicata per la prima volta nel 1932<br />
e già Hiìmpfner (vedi Not. Cisto III (1970), p. 4, nota 5) ha rilevato che è anteriore alla<br />
CC allora conosciuta ~= CC2).<br />
(163) Vedi la nota di presentazione: Notizie <strong>Cistercensi</strong>, III (1970) p. 1.<br />
(164) E. PASZTOR, Studi e problemi relativi alle prime fonti cisterciensi: Annali<br />
della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell'Università di Roma 4(1964) 137-144.<br />
(165) E. PASZTOR, Le origini dell'Ordine Cisterciense e la riforma monastica:<br />
Analecta Cisto 21.(1965) 112-127.<br />
- 192-
genze critiche, filologiche e storiche, che sono invece indispensabili in<br />
tali ricerche» (166). La Pàsztor applica questi criteri agli studi di Lefèvre<br />
e di Van Damme, analizzando i problemi della CC (167) e delle<br />
fonti narrative, e specialmente i documenti contenuti nell'Ex. Parvum<br />
(168). Alla fine l'Autrice insiste molto opportunamente sulla<br />
necessità di inserire le origini cistercensi nel quadro storico del<br />
tempo (169).<br />
L'articolo della Pàsztor è stato recensito da Van Damme (170) che<br />
lo ha salutato con « gioia e grande speranza », mettendo in rilievo il pregio<br />
dell'oggettività e dell'imparzialità (171). Van Damme in genere accetta<br />
le critiche mossegli dalla Pàsztor, ma in parecchi punti cerca di<br />
difendere le sue posizioni senza però corroborarle con nuovi argomenti<br />
(172).<br />
L'articolo della Pàsztor ripete e completa quello che è stato detto<br />
nel nostro articolo pubblicato in tedesco. È fuor di dubbio che non<br />
sarà fatto nessun passo avanti nelle ricerche sulle origini <strong>Cistercensi</strong>,<br />
finché non saranno osservate scrupolosamente le raccomandazioni metodologiche<br />
dell'Autrice.<br />
8. LA BOLLA «AD HOC IN» DI CALLISTO II (1119}<br />
Nel 1964 J. A. Lefèvre ha dedicato un lungo articolo per discutere<br />
se la bolla «Ad hoc in» di Callisto II, che per la prima volta<br />
approvava la costituzione dei <strong>Cistercensi</strong>, avesse una «sottoscrizione<br />
lunga» o no (173). Per diverse ragioni in questo articolo, fino adesso,<br />
non abbiamo recensito il lavoro di Lefèvre, ma prima di concludere la<br />
presente rassegna desideriamo trattarlo.<br />
(166) Ivi, 113.<br />
(167) Ivi, 113-119.<br />
(168) Ivi, 119-126.<br />
(169) Ivi, 126 s. Ci contentiamo di questi brevi cenni, dato che l'articolo della<br />
Pàsztor è scritto in italiano ed è facilmente accessibile nelle Analecta Cisterciensia (Redazione<br />
e amministrazione: Piazza Tempio di Diana, 14 - 00153 Roma) .<br />
.(170) J. B. VAN DAMME, Les origines cisterciennes, Citeaux 18 (1967) 263-265.<br />
(171) Ibid., 263.<br />
(172) Dato che non si tratta di questioni di maggior rilievo, per le particolarità<br />
rimandiamo alla recensione stessa del Van Damme. Ci sia però permesso di domandare<br />
come mai arriva il Van Damme ad affermare che secondo la Pàsztor i fondatori di Citeaux<br />
sarebbero stati due volte a Lione per la prima lettera del legato Ugo: « ... la lettre du<br />
légat Hugues nie implicitement que les fondateurs soient allés deux fois à Lyon pour<br />
avoir une audience ... » iCueaux 18[1967] 263), quando la Pàsztor scrive semplicemente:<br />
« I monaci tornano da Lione à Molesmes ... » (p. 125).<br />
(173) J. A. LEFÈvRE, La bulle « Apostolicae Sedis » pour Cueaux aoait-elle une sous:<br />
cription longue?, Reuue Bénédectine 74( 1964) 111-143. Nel seguito citeremo questo articolo<br />
colla sigla LEFÈvRE 16. Notiamo subito qui che la bolla non comincia colle parole<br />
«Apostolicae Sedis » come farebbe supporre il titolo dell'articolo del Lefèvre, ma bensì<br />
con «Ad hoc in Apostolicae Sedis » ...<br />
- 193-
Lefèvre fu incuriosito dal fatto che nel ms. Caro C. 175 della<br />
Biblioteca Centrale di Zurigo la bolla finisce col testo seguente:<br />
«Ego Kalixtus katholicae ecclesiae episcopus confirmavi ut pitantiae<br />
non administrentur in refectorio apud Cistercium tempore generalis<br />
capituli. Finit Karta caritatis. Amen» (174).<br />
Lefèvre si domandava se le parole «ut pitantiae... capituli »<br />
potessero essere considerate come aggiunte dal papa stesso nel momento<br />
della firma o no, cioè poneva la questione dell'autenticità<br />
di questa « sottoscrizione lunga ». Per questo scopo ha descritto ampiamente<br />
i tredici manoscritti anteriori al secolo XVI contenenti la<br />
bolla per vedere le loro derivazioni e per arrivare a delle conclusioni<br />
che la sottoscrizione gli permetta di risolvere (175 ).<br />
L'esame mostra che dei tredici manoscritti soltanto nove riportano<br />
la firma: tre di essi l'hanno in forma breve, dunque senza le<br />
parole « ut pitantiae... capituli» (176), quattro in forma lunga (177)<br />
e due altri mano seritti hanno un testo ancora più lungo ( 178).<br />
Lefèvre si è chiesto spesso se poteva essere probabile che il<br />
papa, nella sua firma, avesse aggiunto questa decisione sulle pietanze.<br />
Ora propende per l'ipotesi ( 179). della autenticità della firma lunga (180)<br />
e crede che le regole della cancelleria di Callisto II non facciano difficoltà<br />
(181).<br />
(174) Vedi l'edizione nel]. B. VANDAMME,Documenta pro Cisterciensis Ordinis<br />
bistoriae ac [uris studio, Westmalle 1959, 21. Il testo è notato già nel TURK1, 18.<br />
(175) Questo esame occupa ben 24 pagine: LEFÈvRE16, 113-135.<br />
(176) Sono i manoscritti Metz 1247, Donaueschingen 413 e Tarragona 88.<br />
(177) Sono i manoscritti Heiligenkreuz 131, Lilienfeld 108, Zwettl 141 e Zurigo<br />
Biblioteca Centrale Caro C. 175. (Notiamo che Lefèvre in questo articolo invece di<br />
Caro C. 175 scrive quasi sempre erroneamente C. 275 (pp. 120, 130, 131, 132, invece<br />
nelle p. 134 e 142 sta «C. 175»).<br />
(178) Si tratta di due manoscritti inglesi: Londra, Brit, Mus. Addit 18148 e<br />
Manchester, Rylands Libr. lat. 319.<br />
(179) Sottolineamo che questa volta lo stesso Lefèvre parla di una ipotesi: «Je me<br />
rallie quant à mci, à eette hypothèse qui permet d'expliquer d'une manière plausible la<br />
composition du texte »: LEFÈvRE 16, 139.<br />
(180) Ibid., 140: «Il n'est plus possible d'affirmer que la présenee d'une souscription<br />
longue à la bulle de Calixte II soit due à la fantaisie d'un copiste, ni à une interpolation<br />
du XIII· siècle, dont on ne voit pas le motif ou l'intérèt à cette époque-là, La souscription<br />
longue adone bien été donnée, en 1119, par Calixte II à la demande des capitulants,<br />
désireux de voir approuver solennellement un statut d'actualité sur la pitanee des abbés.<br />
(181) LEFÈVRE16, 135 s. I due esempi invocati nella nota 1 della p. 136 però non<br />
sono affatto ad rem!<br />
- 194-<br />
--
La formula strana del ms. di Zurigo era già stata osservata dal<br />
Turk:<br />
« Scriptor ... subscriptionem Papae inepte ad aliquod statutum adiunxit<br />
(182) quod capitulum generale Ordinis Cisterciensis a. 1120, postquam<br />
CC a Papa iam approbata fuit, decreverat, sciI. ne abbatibus in<br />
capitulo generali congregatis pictantiae amplius administrarentur. Textus<br />
hoc modo confusus est ... » (183).<br />
Per Turk si trattava di un errore del copista e per lui la « sottoscrizione<br />
lunga» non era affatto autentica. .<br />
Van Damme recensendo 1'articolo del Lefèvre ha espresso parecchi<br />
dubbi sull'autenticità della firma (184). Egli rileva che Lefèvre<br />
non ha esaminato sufficientemente se si tratta dell'errore di un copista,<br />
poiché i manoscritti contenenti la firma breve sembrano essere<br />
di ben maggiore importanza: tre manoscritti contenenti la CCI ed<br />
altri due manoscritti completi della bolla hanno la firma breve (185).<br />
Entrare nell'esame dei singoli manoscritti per la questione della<br />
« sottoscrizione lunga» sarebbe qui fuori posto, ma ci sia permesso di<br />
proporre per la spiegazione del fenomeno una ipotesi che non vediamo<br />
proposta fino ad ora da nessuno.<br />
Dopo gli studi di Lefèvre, gli studiosi ritengono concordemente<br />
questa ordinaria successione dei documenti nelle famiglie di manoscritti<br />
contenenti il primitivo corpus cistercense:<br />
1) Exordium Parvum<br />
2) CC colla bolla di Callisto II<br />
3) Instituta Capituli Generalis apud Cistercium, Eccl. Officia, etc.<br />
Fino ad oggi conosciamo sette manoscritti contenenti la CCI (186).<br />
In tutti questi, la CCI è preceduta dall'Ex. Paruum, il quale è dunque<br />
una introduzione alla CCI. È da notare che tutti questi manoscritti<br />
contengono anche il capitolo De abbatiis dell' Ex. Paruum, il quale<br />
(182) Sarebbe stato meglio dire: « ... ad subscriptionem papae inepte titulum alicuius<br />
statuti adjunxit ... ».<br />
(183) TURK 1, 18.<br />
(184) ]. B. VANDAMME,Problème des origines de Ctteaux: Collectanea Cisto 27<br />
(1965) 239-242.<br />
(185) Si tratta dei manoscritti indicati nella nota 176 et dei manoscritti Parigi,Bibl.<br />
Nat. lat. 15292, fol. 236v. e Digione, Bibl. Municip. 598, p. 1355. (Di quest'ultimo<br />
non parla Lefèvre nel suo articolo).<br />
(186) Sono Laibach (Ljubljana), Bibl. Univo 31, Metz 1247, Tarragona 88 e 162,<br />
Poblet EC 27, Lisbona, Bibl. Nat. F. Alcobaça 187, Zurigo, uu. Centrale Caro C. 175.<br />
Non contiamo qui il ms. 413 di Donaueschingen, il quale ha una struttura particolare<br />
e contiene soltanto i capp. lO e Il della CCI.<br />
- 195-
capitolo manca però alla fine dell'Ex. Parvum quando è seguito non<br />
dalla CCI ma dalla Bolla di Callisto II e dalla CC 2 • La tabella seguente<br />
permette di vedere meglio la succesione dei documenti:<br />
Ms. Ex. Parvum CC1 Bolla CC'2Inst.Cap.Gen.<br />
cc. 1-17 c. 18 = c.12 = c.18<br />
De abbatiis della CC] dell'Ex. P.<br />
Tipo I 1 2 3 4 5<br />
Tipo II 1 manca manca 2 3 4<br />
Il fatto curioso è dunque il seguente: la bolla di Callisto II nel<br />
tipo II dei manoscritti appare come numero 18 del documento. Ma<br />
nel manoscritto di Zurigo il capitolo de abbatiis ha il numero 17 (187),<br />
così che anche là la bolla, anzi tutta la CCI colla bolla costituisce praticamente<br />
il numero 18. Ora la formula « ut pitantiae ... capituli » è<br />
il titolo nel n. 19 degli Instituta Capitali Generalis. La spiegazione<br />
più semplice dell'errore del copista ci sembra la seguente: il copista<br />
dopo aver trascritto i primi diciotto numeri, invece di cominciare dal<br />
numero 1 degli I nstituta Capituli Generalis, è passato al numero 19<br />
di questi il quale ha il titolo: «Dt pitantiae... capituli ». In altre<br />
parole: il fatto che il titolo « Ut pitantiae... capituli » porti il<br />
numero 19 lascia supporre come si sia arrivati all'errore (188). E una<br />
volta fatta la confusione, tutta una famiglia di manoscritti è stata<br />
contaminata.<br />
Vediamo ora la «sottoscrizione lunga» nei sei manoscritti descritti<br />
da Lefèvre. I sei manoscritti si dividono chiaramente in tre<br />
gruppi: il primo è costituito dal Ms. Caro C. 175 di Zurigo, il quale<br />
contiene la CCt;il secondo da due manoscritti inglesi; il terzo da tre<br />
manoscritti austriaci.<br />
a) Il ms. Caro C. 175 della Biblioteca Centrale di Zurigo<br />
Poichè il ms. non dà nessun numero agli Instituta monachorum cisterciensium<br />
de Molismo venientium che costituisce in tutti manoscritti<br />
ed edizioni il capitolo 15 dell'Ex. Parvum, il capitolo De abbatiis di-<br />
(187) J. B. VANDAMME, Documenta ..., Westmalle 1959, 21.<br />
(188) Questa ipotesi ci sembra la più semplice spiegazione del fatto. Purtroppo nessuno<br />
dei manoscritti colla « sottoscrizione lunga» conosciuta oggi contiene gli Instituta<br />
Cap. Gen.: per cui questa ipotesi non può essere comprovata.<br />
- 196-
venta capitolo 17. La CCI cosntuìsce il capitolo o numero 18 - da<br />
notare che la bolla di Callisto II, di nuovo per un errore, diventa<br />
capitolo 11 anziché 12 della CCI - ed alla fine c'è la « sottoscrizione<br />
lunga », che è il titolo del numero 19 degli Instituta Capituli Generalis.<br />
Che la numerazione continua dei documenti fosse in uso, si vede<br />
chiaramente per es. nel caso nel ms. 88 di Tarragona, nel quale la<br />
CCI dopo i 18 numeri dell' Ex Parvum riceve il numero 19 (189)<br />
Certamente non era il copista del ms. di Zurigo il primo ad introdurre<br />
la « sottoscrizione lunga », poiché questo codice non contiene<br />
gli Instituta Cap. Gen., ma le « Consuetudines quae servantur in domo<br />
Cisterciensi matre Ordinis »(190). L'errore si trovava dunque già nel<br />
ms. trascritto da colui che copiò il ms. di Zurigo.<br />
b)I mss. Londra, British Mus. Addit. 18148 e Manchester, Rylands<br />
Libr. lat. 319<br />
Questi due manoscritti si possono trattare insieme: manca in ambedue<br />
il capitolo de abbatiis, la bolla di Callisto II constituisce il numero<br />
18, e la firma del papa è seguita dal testo seguente:<br />
« Ego Calixtus catholice ecclesie episcopus confìrmavi ut pitancie<br />
non administrentur in refectorio apud Cistercium tempo re generalis<br />
capituli. Nos abbates illo tempore decem, sicut solemus Cistercium<br />
post annum venientes, rogabamus domnum Stepbanum et fratres, ne<br />
nobis in refectorio solite pitantie post duo pulmenta regularia presentarentur<br />
quia et in refectorio in distributione harum re rum videbatur<br />
esse quedam inquietudo fratrum et in mora illa diminutio dormitionis<br />
fratrum. Tuncque abbate illo et fratribus consentientibus stabilivimus<br />
ne ista nobis illo tempore amplius fierent » (191).<br />
Qui abbiamo non soltanto il titolo, ma anche il testo del numero<br />
19 degli I nstituta Cap. Cen.! Perciò qui l'errore è ancora più chiaro,<br />
tanto che anche nel ms. di Londra il testo « ut pitantie ... fìerent» è<br />
stato poi barrato.<br />
c) I mss. Heiligenkreuz 131, Lilienfeld 108 e Zwettl 141<br />
I manoscritti sono della medesima famiglia, ma non sono «tipI<br />
puri» per quanto alla successione dei documenti. Sono anche tardivi, e<br />
contengono la CC 2 •<br />
(189) Vedi Dos textos màs de la Carta Caritatis Prior: Poblet 2(1949)59.<br />
(190) Cf. B. GRIESSER, Consuetudines Domus Cisterciensis, Analecta S. O. Cisto<br />
3(1947) 138-146.<br />
(191) LEFÈVRE 16, 111.<br />
- 197-
Dopo i 17 numeri dell'Ex. Parvum (manca dunque il caput de<br />
abbatiis) segue la bolla di Callisto II, seguita a sua volta dalla CC 2<br />
•<br />
Anche qui ci fa pensare il fatto che dopo la bolla, la quale diventa<br />
numero 18 dell'Ex. Parvum, viene il titolo del num. 19 degli Instituta<br />
Cap. Ceno<br />
Notiamo ancora che Lefèvre ha tentato di dare anche una edizione<br />
critica della bolla di Callisto II. Purtroppo l'edizione non può soddisfare<br />
poiché contiene numerosi errori di trascrizione (192). La sottoscrizione<br />
nella sua edizione è breve, nonostante la sua ipotesi dell'autenticità<br />
della « sottoscrizione lunga ». Cosi per il testo completo bisognerà<br />
ricorrere ancora all'edizione Nomasticon Cisterciense (193),<br />
poiché il testo nelle edizioni Mansi, Migne, ed anche nel Marilier<br />
contengono alcuni errori (194).<br />
Siamo giunti alla fine della nostra relazione. Speriamo di essere<br />
riusciti a rendere chiare, per quanto era possibile, le diverse tesi.<br />
Da quanto è stato detto appare evidente che la questione della datazione<br />
dei primi documenti storici dell'Ordine Cistercense presenta una<br />
problematica molto difficile. Ciò potrebbe dispiacere a qualcuno. Ad<br />
(192) Ecco l'elenco delle sviste di Lefèvre: LEFÈVRE 16, 142 S.<br />
linea loeo lege<br />
9 gratulernur congratulantes<br />
14 necessariis necessaria<br />
17 gratulantes congaudentes<br />
19 decrevimus decrevistis<br />
22 nostri nostre<br />
25 satisfaciat satisfacian t<br />
30 confirmavi confirmavi et subscripsi<br />
32 Datur Daturn<br />
32 Sede1oco Sedeloci<br />
33 diacono diaconi<br />
(193) H. SÉ]ALON,Nomastieon Cisterciense, Solcsmes 1892, 73 S.<br />
(194) MANSI 21, 190 et MIGNE, Patr. Lat. 163, 1147 contengono quattro errori:<br />
numerando le linee secondo l'edizione del Lefèvre:<br />
linea 5 loeo recta lege recte<br />
23 loco confirmationi et constitutioni lege confirmationi huie et constitutioni<br />
29 loco laieos professos lege laicos vel professos<br />
32 loeo Sodoloci lege Sedeloci<br />
J. MARILlER, Cbartes et documents concernant l'Abbaye de Citeaux (1098-1182), Bibliotheea<br />
Cisterciensis, 1, Roma 1961, 81 s contiene le sviste seguenti:<br />
(Numeriamo le linee dell'edizione del Marilier)<br />
linea 18 loco nostre lege ves tre<br />
19 loco perturbatione lege perturbatrix<br />
25 loeo diaconus lege diaconi<br />
198 -
altri la nostra potrà sembrare una questione vana: se per la retta<br />
interpretazione della CC l'abate di Citeaux e i quattro proto-abati prima<br />
della Rivoluzione francese non esitarono ad intentare processi<br />
l'uno contro gli altri per oltre cento anni, gli storici contemporanei<br />
vorranno forse, magari sotto un'altra forma, riprendere le antiche ostilità?<br />
Noi pensiamo invece che questa discussione sia molto utile, anzi<br />
necessaria, Essa ha portato, fino ad ora, al bilancio seguente:<br />
1) Il problema della datazione dei documenti più discussi non è<br />
ancora definitivamente risolto. La discussione perciò non ha raggiunto<br />
il fine che si era proposto.<br />
2) Dai contributi della discussione, che si è svolta fino ad ora,<br />
è confermato chiaramente che la CC e le istituzioni dell'Ordine Cistercense<br />
hanno subito una lunga evoluzione, che già oggi può essere<br />
descritta a grandi linee, anche se saranno possibili piccoli spostamenti<br />
a causa della datazione non ancora definitivamente risolta.<br />
3) La discussione, come già abbiamo detto, non ha completamente<br />
chiarito la storia dei primi decenni della CC, ma ha contribuito molto<br />
alla retta conoscenza della CC 2 , che per secoli era la sola conosciuta<br />
e sulla quale si era tanto discusso.<br />
4) L'indagine sulle origini dell'Ordine Cistercense ha ancora molto<br />
cammino da percorrere,' Ci sembra che sia giunto il tempo di preparare<br />
una edizione veramente critica dei documenti recensiti sulla<br />
base di tutti i manoscritti, e di pubblicare un particolareggiato commentario<br />
almeno sulla CC. Con ciò si farebbe un grande passo avanti<br />
nella storiografia degli inizi dell'Ordine Cistercense (195). In attesa<br />
di ciò sarebbe utile abbandonare le dispute inutili e sterili.<br />
P. POLICARPO ZAKAR<br />
Ordinario di Storia Ecclesiastica<br />
all'Ateneo «S. Anselmo» in Roma<br />
(l95) Anche il P. Van Damme sembra essere di questo avviso: «Nous sommes<br />
toujours conscients de n'avoir fait que du provisoire. En vue d'aboutir à des conclusions<br />
valables, on devra abandonner les disputes non fondées sur des textes critiquement<br />
établis, et souhaiter que l'édition de ccs textes ne se fasse plus attendre longtemps. Hic<br />
labor, hoc opus! »: J. B. VANDAMME,Les origines Cisterciennes, Citeaux 18 (1967) 265.<br />
- 199-
IL CAPITOLO GENERALE SPECIALE<br />
E LE MISSIONI CISTERCENSI<br />
In ambedue i « periodi» del capitolo generale speciale si è parlato<br />
delle nostre missioni con ampie informazioni, con qualificati interventi,<br />
tra l'interesse generale. Il dibattito fu coronato da proposte concrete<br />
ed intelligen ti.<br />
La relazione sulle Missioni al primo periodo del Cap. Gen. Speciale.<br />
Relatore ufficiale fu il P. Gilberto Barnabé, già missionario per<br />
lunghi anni nel Vietnam, ed ora Segretario del P. Abate Generale a<br />
Roma. Egli ha elaborato un'accurata trattazione dottrinale sulla scia dei<br />
decreti conciliari. Alla parte dottrinale è seguita una rapida sintesi storica<br />
dell'attività missionaria del nostro Ordine dalle origini ai giorni<br />
nostri. In particolare rilievo sono poste le prescrizioni del Capitolo Generale<br />
del 1925, che definì I'indole, il genere di vita e le attività missionarie<br />
compatibili con la vita monastica tradizionale (ne facemmo cenno<br />
con l'articolo pubblicato nel numero 2-3, 1969 di questa rivista).<br />
Giova far osservare fin d'ora che la concezione che insisteva nel limitare<br />
la vita monastica missionaria ad attività «intra-monasteriali» è<br />
stata superata sotto la spinta di inderogabili necessità locali. Anche in<br />
terra di missione si è quindi realizzato quel sano « pluralismo » già legittimamente<br />
riconosciuto dall'Ordine con l'esistenza in seno ad esso<br />
di Congregazioni dedite ad attività « extra-rnonasteriali ».<br />
Alla fine, il relatore condensò le idee esposte, in sette proposizioni<br />
da discutersi e, eventualmente, da approvarsi.<br />
Le Missioni del Brasile<br />
L'Abate Antonio Moser riferisce sulla sua rmssione di Jequitibà<br />
in Brasile. Egli sottolinea l'obbligo stretto di ogni cristiano (tanto più<br />
di ogni religioso) di aiutare i missionari e le missioni; auspica che il<br />
Capitolo Generale valga a sensibilizzare al problema tutti i membri<br />
dell'Ordine; suggerisce mezzi adatti: aiuti spirituali e materiali, promozione<br />
delle vocazioni missionarie, passaggio di qualche monaco da<br />
un monastero europeo ad un monastero in terra di missione, fondazione<br />
di nuovi monasteri in terra di missione, ecc.<br />
- 200-
Le missioni d'Ajrica<br />
Il P. Raffaele Scaccia ribadisce l'obbligo, la necessità, la responsabilità<br />
personale e collettiva di tutti i <strong>Cistercensi</strong> a vivere l'ansia missionaria<br />
della Chiesa; suggerisce nuove forme di apostolato missiona- .<br />
rio, anche a scapito di eventuali limitazioni della propria attività in<br />
patria. Conclude esponendo minutamente l'origine, lo sviluppo e l'attuale<br />
consistenza dell'opera monastico-missionaria di Etiopia. Quest'opera,<br />
ormai affidata per intero ai « <strong>Cistercensi</strong> Etiopici », fu istituita dal<br />
sacerdote etiopico Abbà Hailé Mariam Ghebre Amlak (1895-1934).<br />
che indossò l'abito cistercense nell'Abbazia di Casamari col nome di<br />
Don Felice Maria il 7 dicembre 1930. L'esempio di Don Felice fu seguito<br />
man mano da altri giovani e da altri sacerdoti etiopici. Ora la<br />
missione etiopica consta di tre monasteri che contribuiscono al movimento<br />
ecumenico tra i fratelli separati della Chiesa Ortodossa Etiopica.<br />
P. Raffaele Scaccia termina il suo intervento con un accenno al processo<br />
di beatificazione di Don Felice Maria Ghebre Amlak, pioniere cistercense<br />
in terra d'Africa (relazione pubblicata su questa rivista n. 2-3,<br />
1969).<br />
Le missioni del V iet-nam<br />
A questo punto, un intervento commuove i 73 padri capitolari:<br />
si leva a parlare il venerando Stefano Tran-ngoc-Hoàng, Abate di Chauson<br />
(Viet-nam del Sud), con una proposta «realistica anzi materialistica<br />
», come egli stesso afferma: seduta stante, ognuno offra e sottoscriva<br />
una data somma in favore delle opere missionarie di... Jequitibà<br />
del Brasile!<br />
Particolare interesse suscita l'intervento del P. Giovanni Vuongdinh-Lam<br />
dell'Abbazia di Phuoc-ly (Viet-nam del Sud), che prospetta<br />
l'utilità e, d'altra parte, la complessità di un incontro col mondo monastico<br />
buddista che ha un influsso vastissimo e spesso determinante<br />
nel suo paese e in altre regioni dell'Asia. Si riserva di parlare più difìusamente<br />
su questo argomento nel secondo periodo del Capitolo Gene<br />
rale Speciale, dopo il Congresso del Monachesimo Asiatico, indetto a<br />
Bangkok per il dicembre 1968.<br />
In attesa di riprendere la discussione sulle Missioni nel secondo<br />
periodo del Capitolo Generale Speciale, viene intanto votata ed approvata<br />
la seguente proposta: «I Monasteri che sono in terra di missione,<br />
secondo le intenzioni del Concilio pongano particolare impegno nell'adattare<br />
la propria vita liturgica alle tradizioni e all'indole delle varie<br />
- 201 -
egioni, sì che essa diventi un'abbondante sorgente di vita spirituale<br />
per i monaci e nello stesso tempo una testimonianza ed un esempio<br />
vivo nel mezzo dei vari popoli ».<br />
Discussione sulle Missioni al II periodo del Cap. Gen. Speciale<br />
Si riprende la discussione sulle Missioni nella sessione XXV del<br />
6 agosto 1969. Il relatore P. Gilberto Barnabé fa un breve riferimento<br />
a quanto detto durante il primo periodo del Capitolo. Quindi tratta con<br />
succinta esposizione le due « Istruzioni» emanate dalla Santa Sede il<br />
24 febbraio 1969: sono i primi documenti pontifici emanati per applicare<br />
i decreti del Concilio Vaticano II riguardanti le Missioni.<br />
La seconda Istruzione « Relazioni tra Vescovi locali e Istituti Missionari»<br />
è rivolta quasi esclusivamente ai Superiori. La prima riguarda<br />
un po' tutti, anche se è indirizzata ai Vescovi e alle varie Conferenze<br />
Episcopali. Contiene fra l'altro le modalità circa la raccolta, la destinazione<br />
e la distribuzione delle offerte. Esse vanno così distribuite: le<br />
libere offerte dei fedeli vanno devolute alle varie Opere Pontificie per<br />
le Missioni (Propagazione della Fede, Clero Indigeno, Santa Infanzia,<br />
Associazione Missionaria del Clero); le singole diocesi, in quanto tali,<br />
versano annualmente alla S. Congregazione per l'Evangelizzazione un<br />
contributo proporzionato ai propri redditi. Il relatore cita alcuni esempi:<br />
la conferenza episcopale austriaca ha stabilito l'uno per cento; per le loro<br />
missioni e per il Terzo Mondo, i Protestanti di Germania hanno stabilito<br />
il due per cento nel 1969 e il cinque per cento negli anni successivi;<br />
]e conferenze di Teheran e di Beyruth del 1968 hanno chiesto<br />
alle nazioni più progredite l'uno per cento del reddito nazionale in<br />
favore dei paesi in via di sviluppo.<br />
Le Missioni nel Viet-nam<br />
Il relatore ripete in aula le parole che Paolo VI ha indirizzato ad<br />
una deputazione della Repubblica Viet-namita il 22 marzo 1969: «Dolore<br />
per la continuazione di una guerra così disastrosa; ammirazione per<br />
la fortezza d'animo del popolo Viet-namita ».<br />
Conferma che ancora nessuna notizia si ha dei nostri confratelli<br />
del monastero di Chau-son del Nord; informa il capitolo che dalla<br />
Pasqua alla fine di luglio 1969, per ben cinque volte, sempre di notte,<br />
i militari del fronte nazionale, armati, un centinaio per volta, son penetrati<br />
nel monastero di Chau-son del Sud, hanno svegliato i monaci di soprassalto,<br />
li hanno riuniti in una sala per lunghe ore di indottrina-<br />
- 202-
mento, e prima dell'alba sono partiti portando con sè grossi quantitativi<br />
di riso: otto quintali il 22 luglio! Se tali visite torneranno a ripetersi,<br />
egli pensa che sarà in pericolo la vita stessa del monastero,<br />
anche se i monaci sono decisi a rimanere sul posto pur con la prospettiva<br />
di una estrema miseria.<br />
Il relatore ricorda che nel monastero di Castagnier (Francia) e<br />
tra le Bernardine di Esquermes (Spagna). vivono alcune monache vietnamite,<br />
e che la Priora Generale delle Bernardine di Esquermes si è<br />
recata nel Viet-nam per studiare la fondazione di un monastero di<br />
monache nella diocesi di Dalat, ha avuto incontri con quel vescovo, ma<br />
ha deciso di aspettare finché la bufera della guerra non si plachi.<br />
Quindi, padre Bernabé invita il capitolo ad approvare le proposte<br />
presentate, che sono una sintesi del decreto conciliare «Ad Gentes»<br />
Egli dubita che un organismo centrale, creato presso la curia generalizia<br />
in Roma, possa essere veramente utile ed efficace per lo sviluppo delle<br />
missioni cistercensi; preferisce che ampia libertà di iniziative sia lasciata<br />
alle singole congregazioni: sarà cosi applicato il «principio di sussidiarietà<br />
», e, quando ce ne fosse bisogno, la curia generalizia potrà intervenire<br />
per aiutare e spronare le iniziative delle congregazioni.<br />
L'intervento del P. Raffaele Scaccia di Casamari<br />
Il P. Raffaele Scaccia, nel suo intervento complementare intende<br />
insistere sulla importanza di qualche nuova fondazione in «terra di<br />
Missione », nel senso stretto della parola, cioè tra popoli non cristiani:<br />
tale fondazione deve essere aperta ad ogni forma di apostolato, anche<br />
esterno.<br />
Fa poi notare che l'obbligo fatto ai fedeli di versare le loro<br />
offerte direttamente alle Pontificie Opere Missionarie, e l'obbligo delle<br />
singole diocesi di versare un'aliquota del loro reddito alla Sacra Congregazione<br />
per l'Evangelizzazione, ha avuto, almeno in Italia, un effetto<br />
negativo per le nostre missioni: infatti i Vescovi e parroci meno<br />
volentieri concedono il permesso di tenere « giornate missionarie»; ne<br />
deriva quindi la necessità di cercare privati benefattori, amici e simpatizzanti<br />
del nostro Ordine e delle nostre Opere; ma soprattutto sarà<br />
necessario promuovere il cosiddetto «gemellaggio» tra monasteri europei<br />
e monasteri in terra di missione.<br />
Il P. Raffaele sottolinea l'erezione in Abbazia Nullius, con annesso<br />
territorio diocesano, del monastero cistercense di Claraval (Brasile), erezione<br />
voluta proprio dalla Gerarchia locale. Comunica al capitolo che<br />
- 203-
l'Abate del grande monastero ortodosso etiopico del Bizen (300 monaci)<br />
ha partecipato a diverse cerimonie monastiche della nostra missione<br />
di Asmara (Eritrea). Ricorda la visita a Casamari dei tre vescovi<br />
ortodossi che facevano parte della delegazione della Chiesa Copta<br />
d'Egitto, venuta a Roma per prendere in consegna la preziosa reliquia<br />
dell' Apostolo San Marco, donata da Paolo VI alla Chiesa di Alessandria<br />
d'Egitto.<br />
Pone poi l'accento sulla fondazione di monasteri di monache cistercensi<br />
in Etiopia; l'attesa in questo senso è molto viva, e buona la<br />
prospettiva per il futuro, specialmente riguardo alle «vocazioni ».<br />
Il P. Samuele Asghedom vicepriore del monastero di Asmara, riprende<br />
questo tema, attestando che altri Istituti di Suore hanno trovato numerose<br />
vocazioni; egli stesso aveva fatto una proposta in questo senso<br />
all'Abate di Mehererau. Conferma l'utilità di proseguire i contatti fra<br />
i nostri confratelli e i monaci ortodossi; fa presente che alcuni nostri<br />
confratelli di Asmara e di Mendidà provengono dalle file del monachesimo<br />
ortodosso.<br />
L'intervento dell'Abate Antonio Moser di [equitibà<br />
Rifacendosi a quanto disse nel primo periodo del Capitolo, torna<br />
ad insistere con forza e molto sentimento su due punti: l. tutto l'Ordine<br />
deve essere sensibilizzato al problema missionario e al senso di<br />
corresponsabilità; 2. il Capitolo Generale si pronunzi chiaramente ed<br />
apertamente circa la compatibilità della vita missionaria con la vita<br />
monastica cistercense.<br />
Egli, personalmente, pensa che la vita missionaria ben si concilia<br />
con le esigenze della vita monastica e viceversa. Infatti, continua l'Abate<br />
Moser, a) la comunità monastica è una famiglia, mentre il missionario<br />
che vive solo in un territorio immenso, con impegni gravosi, facilmente<br />
si scoraggia o perde addirittura la vocazione; b) una comunità<br />
monastica che vive la sua vita di rinunzia è una testimonianza di fede<br />
che colpisce anche i più semplici, è una testimonianza di amore di Dio<br />
(solenne celebrazione della liturgia, consacrazione della vita alla gloria<br />
di Dio) e del prossimo (carità fraterna irradiata all'esterno mediante<br />
le opere sociali); c) la comunità monastica è anche testimonianza di lavoro,<br />
onesto, intenso, disinteressato, che sprona gli animi indolenti;<br />
d) il monastero è garanzia di continuità ad ogni sana iniziativa.<br />
L'abate Moser passa quindi a ricordare le attività svolte dalla sua<br />
missione e il bisogno di aiuto. Anche egli propone una specie di « ge-<br />
- 204-
mellaggio» suggerendo norme concrete. Egli desidera che ogni comunità<br />
elabori un progetto a carattere continuativo in favore di una particolare<br />
attività missionaria.<br />
Schema definitivo<br />
Con l'intervento dell' Abate Moser, la discussione non si esaurì.<br />
Anzi, fu questa l'occasione di molti altri interventi, più brevi ma anche<br />
essi efficaci. Alla luce delle nuove idee manifestate in aula, lo schema<br />
presentato nel 1968 fu ripetutamente modificato. Si arrivò quindi alla<br />
stesura dello schema definitivo che fu approvato a larghissima maggioranza.<br />
Lo riproduciamo:<br />
Il Capitolo Generale Speciale fa sue le premure della Chiesa perché<br />
«comprende perfettamente che resta ancora da svolgere un'opera<br />
missionaria ingente» (Ad Gentes, 10); perciò invita tutti i monaci e le<br />
monache del nostro Ordine ad « un profondo rinnovamento interiore, affinché<br />
avendo una viva coscienza della propria responsabilità in ordine<br />
alla diffusione del Vangelo, prendano la loro parte nell'opera missionaria<br />
presso le genti» (Ad Gentes, 35).<br />
« Sarà questo rinnovamento spirituale a far salire spontaneamente<br />
preghiere ed opere di penitenza a Dio, perché fecondi con la sua<br />
grazia il lavoro dei missionari» (Ad gentes, 36) e fioriscano vocazioni<br />
missionarie.<br />
«I presbiteri, nella loro cura pastorale, desteranno sempre tra<br />
i loro fedeli il più vivo interesse per l'evangelizzazione del mondo, inculcando<br />
la necessità e l'onere di coltivare le vocazioni missionarie nei<br />
loro figli e figlie» (Ad Gentes, 39), di pregare per le missioni, di con<br />
tribuire con le elemosine «facendosi quasi mendicanti per il Cristo<br />
e per la salvezza delle anime» (Ad Gentes, 39).<br />
Perciò:<br />
1) Il Capitolo Generale Speciale riconosce che il lavoro mISSIOnario<br />
nei nostri monasteri è un impegno di grandissima importanza,<br />
incessantemente raccomandatoci dalla Chiesa, e compatibile con la vita<br />
monastica nella sua duplice forma, contemplativa ed attiva.<br />
2) Considera come impegno ed attività di tutto l'Ordine il lavoro<br />
missionario dei nostri monasteri di Etiopia, del Viet-nam, del Brasile<br />
e della Bolivia.<br />
- 205-
3) Desidera:<br />
a) che i nostri monasteri missionari, sia maschili che femminili,<br />
svolgano la loro vita religiosa in modo tale che convenga all'indole,<br />
alla mentalità, agli usi propri di quelle regioni e del monachesimo indigeno;<br />
b) che gli stessi monasteri pratichino nelle loro forme di vita<br />
l'insegnamento sociale della Chiesa;<br />
c) che contribuiscano, nei limiti del possibile, alla evangelizzazione<br />
dei popoli vicini, alla propagazione della fede; promuovano il<br />
progresso della società e lavorino a risolvere i più urgenti problemi<br />
sociali.<br />
4) Esorta:<br />
a) ad alimentare efficacemente lo spinto missionario nella formazione<br />
della nostra gioventù, secondo gli statuti e il carattere proprio<br />
dei singoli monasteri;<br />
b) a riflettere sulle eventuali nuove fondazioni in terra di missione,<br />
in modo che « nelle chiese di nuova costituzione si promuovano<br />
varie forme di vita religiosa» (Ad Gentes, 18), sia iniziando la vita<br />
contemplativa presso le nuove Chiese, sia estendendo l'operosità pastorale<br />
ed educativa, al fine di dilatare il regno di Dio tra le genti;<br />
c) a cercare le vie ed i mezzi per concretizzare in modo efficace<br />
con sussidi spirituali e materiali le attività missionarie dei monasteri<br />
cistercensi. Raccomanda insistentemente che ciascuna comunità abbia rapporti<br />
efficienti con una determinata opera missionaria da aiutare regolarmente<br />
in modo particolare.<br />
5) A tutti coloro che nel nostro Ordine hanno il dovere di compiere<br />
le « visite canoniche» raccomanda di domandare, in ogni monastero<br />
da loro « visitato », che cosa si faccia in concreto per le missioni:<br />
gli elementi così raccolti vengano inseriti nelle relazioni da presentare<br />
ai Capitoli delle congregazioni e dell'Ordine.<br />
- 206-<br />
P. RAFFAELE SCACCIA
Florilegio Cistercense<br />
1. L'AMICIZIA - COME COLTIVARLA<br />
Niente è più utile e più bello per la natura umana che l'amicizia.<br />
Essa è la mutua benevolenza di due persone, benevolenza fondata sulla<br />
virtù e accompagnata dalla comunicazione dei beni.<br />
Come è bello quando i cuori sono cosi uniti che ogni segreto dell'uno<br />
può passare con sicurezza nell'altro! Come è bello quando il tuo<br />
amico è tale che lo puoi rendere con sicurezza partecipe degli affari<br />
tuoi: quando il suo parlare ti tranquillizza, la sua sentenza ti rassicura,<br />
la sua ilarità ti rallegra e la sua vista ti reca piacere.<br />
Che c'è di più dolce che trovare un uomo al quale non temi<br />
di confessare le tue colpe? un uomo che incontrandoti ti aiuta?<br />
Esistono degli insetti che pungono senza essere avvertiti; ma<br />
il gonfiore che ne segue rende manifesta la loro puntura: cosi gli amici<br />
buoni fanno il bene nel nascondimento e di esso ci si accorge solo<br />
dopo averlo ricevuto.<br />
La vera amicizia non sussiste senza il reciproco amore: si deve<br />
tuttavia cercare con maggior cura di amare che di essere amati. Per questo<br />
la benevolenza si ritiene come fondamento e la corrispondenza come<br />
contrassegno dell'amicizia.<br />
La vera amicizia, confermata dall'unzione di Gesù Cristo, è<br />
quella che non si fonda sul proprio interesse, né sopra qualità naturali,<br />
ma sul timor di Dio e sullo studio dei divini precetti. Nel male<br />
non vi può essere soda amicizia. - Occorre molta prudenza nella<br />
scelta dell'amico, secondo il proverbio: prima di scegliere un amico<br />
bisogna studiarlo bene.<br />
Quattro sono le condizioni che devi cercare in colui col quale<br />
desideri stringere amicizia.<br />
Fedeltà. È necessaria perché sia onesto il fine della tua amicizia<br />
e non degeneri nel peccato.<br />
Discrezione. Occorre per conoscere il tuo dovere verso l'amico<br />
e per sapere che cosa tu possa chiedergli.<br />
Pazienza. È necessaria per poter disporre l'animo a sopportare<br />
qualunque incomodo per l'amico.<br />
Dopo aver conosciuto queste qualità nell'amico scelto, esamina<br />
come egli si è comportato con gli amici precedenti: di qui potrai facilmente<br />
comprendere quale sarà con te.<br />
- 207-
L'amico fedele, finché vive, è un tesoro da conservare con premurosa<br />
cura; quando muore è da piangere dirottamente.<br />
Beato chi ha trovato un amico che lo corregge negli sbagli, lo<br />
solleva nelle cadute, lo incoraggia nelle difficoltà: in tutta la terra non<br />
troverà un tesoro simile.<br />
Molti si dicono amici, ma quelli veri sono pochissimi. Sono rari<br />
coloro che amano gratuitamente. Chi cerca se stesso, chi si è proposto<br />
interessi materiali non è un vero amico: egli ti si mostrerà tale<br />
fino a quando gli gioverai. La vera amicizia è molto rara.<br />
Il medico quando cura un infermo molto caro, non risparmia<br />
né ferro né fuoco; così non devi dissimulare e nascondere niente verso<br />
l'amico bisognoso di correzione. La condiscendenza che fomenta il<br />
vizio è da condannare. L'ammonizione però deve essere segreta, soave,<br />
senza nessuna parola aspra.<br />
Rifletti lungamente prima di accogliere taluno per amico, e quando<br />
l'avrai accolto affidati a lui con tutto il cuore e parlagli con tanta franchezza<br />
come faresti con te stesso: dividi dunque con lui tutti i tuoi<br />
pensieri.<br />
Card. GIOVANNI BONA,Cistercense<br />
(Guida al Cielo, cap. XXVI)<br />
2. IL MISTICISMO DI SANTA ILDEGARDA<br />
Tra la mistica così feconda di azione morale e di attività sociale<br />
di S. Bernardo e quella meditativa e amante del sapere dei Vittorini<br />
viene a porsi, e si distingue per la sua singolarità, la mistica di<br />
Santa Ildegarda, nutrita intellettualmente, ma svolta nell'elemento sentimentale<br />
e fantastico (ricco di espressività, di slancio femminile e vivo<br />
soprattutto nelle visioni) che avverte in tutto l'universo i segni di una<br />
voce profonda il cui significato non è tanto intellettuale e morale quanto<br />
estetico: musicale e sinfonico.<br />
Non solo la vita della natura, ma la vita stessa dell'uomo è sinfonia<br />
(« anima hominis symphoniam in se habet et symphonizans est »),<br />
Il pianto dell'uomo è segno di una sinfonia incompiuta, sinfonia di<br />
nostalgia di esilio, eco della patria perduta. La ragione dell'universo<br />
è simile ad una tromba che invita dall'eternità, con soavissimo suono,<br />
le cose tutte al coro dell'osanna, le cose che hanno come l'uomo una<br />
loro personalità morale.<br />
- 208-
« Rationalitas » vuol essere questa interpretazione religiosa e simbolica<br />
di un mondo tutto canoro rispetto al quale l'uomo è microcosmo;<br />
l'acqua corrisponde all'abbandono divino, la terra all'abbandono<br />
dei beni carnali, l'aria alla fede viva, il fuoco allo Spirito Santo.<br />
L'elemento fantastico rappresenta nella santa la vita stessa individuale<br />
della trascendenza divina che le fa apparire tutto attraverso visioni e<br />
le dà modo di vivere in un'atmosfera lirica di sogno, ma limpida e tersa<br />
in cui ogni cosa sembra nascere non da un contatto esteriore, ma proprio<br />
dalla vita dell'anima che ascolta e vede essa stessa direttamente,<br />
senza bisogno dei sensi.<br />
La Santa che nutrì sempre profonda ammirazione per S. Bernardo<br />
ed ebbe tuttavia una vita di intensa attività in cui dovette anche<br />
lottare con i Benedettini, segna nella storia del misticismo femminile<br />
un'esperienza dell'assoluto che vorremmo dire, sembra svolgersi tutta<br />
su un motivo musicale, come nota il Buonaiuti, il quale aggiunge: «si<br />
direbbe che la funzione assolta nel misticismo di S. Bernardo dal contatto<br />
vivificante della esistenza associata, è assolta invece nella contemplazione<br />
di Ildegarda dal senso sinfonico della natura ». Ed effettivamente<br />
(osserva il Besse) « si riconosce nella scelta del simbolo e nella<br />
descrizione un'immagine germanica, portata, come la poesia epica desidera,<br />
al misticismo, al gigantesco e al terrificante ».<br />
(S. M. Besth, L'anima sympbonisans, Santa Ildegarda,<br />
I Filosofi, I mistici medievali. Garzanti 1944, pp. 63-65).<br />
3. COMPRENSIONE E MISERICORDIA NEL SUPERIORE *<br />
All' Abate Guido, il fratello Bernardo augura spirito di scienza e<br />
di pietà.<br />
Considerando il misero stato di quest'infelice, sento certo compassione,<br />
ma temo ch'essa sia inutile; e inutile mi sembra davvero questa<br />
mia compassione se, pur riuscendo almeno a me fruttuosa, egli però<br />
continuerà a giacersene nella sua miseria.<br />
(*) La Lettera LXX fu indirizzata a Guido, abate delle Tre Fontane, prima filiale<br />
di Chiaravalle, fondata nel 1118 nella diocesi di Chàlons (da non confondersi con<br />
l'omonima abbazia romana, divenuta cistercense il 25 ottobre 1140). Il primo abate delle<br />
Tre Fontane fu Rogerio, che mori nel 1127 e gli successe Guido, destinatario della<br />
presente. In questa lettera S. Bernardo gli ricorda quali sensi di misericordia deve nutrire<br />
un Superiore, e lo esorta a revocare una sentenza pronunziata contro un monaco trasgressore<br />
della Regola.<br />
- 209-
A dire il vero, non il mio personale interesse mi spinge alla misericordia.<br />
Fu il contatto con la sventura del prossimo e il dolore di<br />
questo fratello a infondermi compassione nel più profondo del mio essere.<br />
La compassione infatti è un sentimento che non vien dominato<br />
dalla volontà e neppure è soggetto alla ragione: nessuno la può destare<br />
in sé con un atto volontario. Invece è essa, con la sua irresistibile<br />
forza, che si impone alle anime sensibili, affinché compatiscano coloro<br />
che soffrono. In me la compassione ha tale potere, che se anche<br />
fosse peccato l'essere misericordioso, non potrei cessare di esserlo, per<br />
quanti sforzi io facessi. Certo, l'intelletto e la volontà possono frenare<br />
gli effetti di questo sentimento; ma riusciranno forse ad impedirli?<br />
Lungi da me coloro che mi dicono, per consolarmi, che se colui per il<br />
quale io prego non si converte, la mia orazione tornerà ugualmente a<br />
mio profitto. E fino a quando il trasgressore continua nel suo atteggiamento,<br />
non presto orecchio a coloro che, per tranquillizzarmi, mi citano<br />
quel. testo: «La giustizia del giusto ricadrà sopra il giusto»<br />
(Ezech. XVII, 20). No, non voglio essere consolato, finché vedrò<br />
un fratello nella desolazione. E quindi, figlio mio amatissimo, anche<br />
se la tua anima è dominata da tale sentimento, o piuttosto perché<br />
non ne possiedi altri pur sembrando ti che questo infelice, nelle sue<br />
uscite dal monastero e nelle sue rientrate, abbia sorpassato il numero<br />
stabilito dalla Regola, tuttavia, dal momento che egli la vede diversamente,<br />
tu devi ascoltare la sua umile difesa non solo con pazienza, ma<br />
anche di buon grado, nella speranza di trovare un qualche ragionevole<br />
pretesto per salvare un uomo la cui salute è disperata: la quale<br />
(come tu sai per esperienza al pari di me), se con difficoltà potrà ottenerla<br />
nel chiostro, gli riuscirà ben più ardua nel mondo. Riunisci, pertanto,<br />
tutti i tuoi religiosi a capitolo, e accondiscendi a rivedere tutte<br />
le decisioni che hai preso contro di lui, affinché questo tuo atto di<br />
umiltà possa guarire la sua ostinazione, senza ledere la Regola, e con<br />
tale mezzo ti riesca d'ammetterlo ancora una volta in comunità. Ti assicuro:<br />
tornando sulle tue decisioni e permettendo alla misericordia di<br />
trionfate sulla giustizia, non dispiacerai a Dio il quale è giusto, sì, ma<br />
anche misericordioso. Sta bene.<br />
- 210-<br />
(S. Bernardo, Ep. LXX)
La mortificazione<br />
Sermone del Reuerendissimo Abate Generale al Capitolo Generale 1969<br />
Mi sia lecita una premessa: al Capitolo Generale oso parlare<br />
della mortificazione per il solo motivo che io, più di tutti, ho<br />
bisogno di meditare sull'argomento ed anche perché non si è stabilito<br />
un altro oratore. Incitando con le mie più che modeste parole i miei<br />
confratelli alla virtù, nutro la speranza di poter fare anch'io un giorno<br />
dei progressi, seguendo il loro esempio.<br />
Frattanto però non è mia intenzione di predicare la mortificazione<br />
a Voi presenti o agli assenti, bensì di dare alcune idee che<br />
possano offrire utili suggerimenti alle deliberazioni dei Capitoli delle<br />
Congregazioni o delle Comunità.<br />
Ascoltiamo prima il monito del Motu proprio «Ecc1esiae<br />
sanctae » (Norme, n. 22): «I religiosi si esercitino più di tutti gli<br />
altri fedeli nelle opere di penitenza e mortificazione. Gli esercizi di penitenza<br />
propri dell'Istituto siano riveduti in quanto è necessario, così<br />
che, tenendo conto delle tradizioni sia dell'Oriente che dell'Occidente<br />
nonché delle odierne esigenze e condizioni, i fratelli possano veramente<br />
tradurli in pratica anche assumendo nuove forme tolte dall'odierno<br />
"modus vivendi "».<br />
Nella Costituzione « Poenitemini » il S. Padre incita tutti i fedeli<br />
a compiere opere di mortificazione. Tuttavia, dichiarando che le<br />
disposizioni e le consuetudini che gli Istituti religiosi possiedono al riguardo,<br />
non vengono modificate, Egli ci vuol fare comprendere che<br />
gli stessi devono seguire le loro leggi particolari; ciò è infatti la logica<br />
conseguenza del privilegio dell'esenzione che riguarda specialmente la<br />
disciplina interna.<br />
Obbedendo dunque ai desideri ed ai precetti della Chiesa, dobbiamo<br />
cercare zelantemente di realizzare i suoi postulati nel nostro modo<br />
di vivere, adeguandoci ai nostri tempi.<br />
Anzitutto dobbiamo ascoltare la voce del Signore che ci invita<br />
e ci chiama a seguirLo. Egli ci dice con insistenza: «Se uno vuol<br />
venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda ogni giorno la sua<br />
croce e mi segua» (Luca 9, 23), « e chi non porta la sua croce e non<br />
viene dietro me, non può essere mio discepolo» (Luca 14, 27).<br />
E di nuovo aggiunge: «In verità, in verità vi dico: se il granello<br />
di frumento caduto in terra non muore, resta infecondo; se invece muore,<br />
produce molto frutto» (Giov. 12. 24 s.).<br />
- 211-
Il Signore dunque ci mostra la via della mortificazione, che dobbiamo<br />
sopportare ogni giorno nella croce, per vivere la nuova vita e<br />
produrre frutto.<br />
Egli stesso ha suggellato la Sua dottrina con la propria morte,<br />
offrendo Se stesso al Padre per noi.<br />
Non è necessario un commentario a queste parole, né io oserei<br />
aggiungerlo alla Vostra presenza. Tutti siamo consacrati alla croce per<br />
la professione monastica, siamo consacrati ad assomigliare a Cristo,<br />
nostro Signore, attraverso l'obbedienza fino alla morte, noi che<br />
cerchiamo di vivere la nostra vita per suo amore.<br />
E sappiamo che non potremo giungere né alla eminente<br />
conoscenza di Gesù Cristo (cf. Filipp. 3, 8). né al. possesso di quella<br />
maggiore carità per cui Egli ci ha amato per primo, se non portando<br />
ogni giorno la nostra croce, già in un certo modo anticipata e sopportata<br />
nella croce del Signore, affinché, innestati alla similitudine<br />
della Sua morte, gradatamente siamo trasformati nella Sua immagine.<br />
Permettetemi di citare in questo nesso una pagina egregiamente<br />
scritta nella Dichiarazione dei principali elementi della vita cistercense<br />
N. 65 (Atti della Curia, n. 17, pago 29):<br />
"La vita del monaco dev'essere imitazione dell'umile Cristo. Facendo<br />
sincera penitenza dei nostri peccati e consci dei nostri limiti,<br />
anche se sostenuti ad un tempo dalla divina misericordia, dobbiamo<br />
cercare la gloria di Dio, non la nostra. Con questo spirito di umiltà<br />
dobbiamo accogliere serenamente le tribolazioni e le privazioni<br />
ed essere contenti anche di modesti mezzi di vita.<br />
La vita monastica può esistere solamente nel segno della croce.<br />
Infatti, seguendo la carità di Cristo, di cui nessuno può averne una<br />
maggiore, entriamo nella via della rinuncia e mortifichiamo le nostre<br />
membra per servire al Dio vivo. Come i suoi discepoli cosi Cristo ha<br />
chiamato anche noi a portare ogni giorno la croce ».<br />
Al numero seguente sono ricordati esempi concreti ed occasioni in<br />
cui dobbiamo seguire il Signore che porta la Sua croce.<br />
Poi (al nr. 67) il testo continua nel seguente modo: «Inoltre,<br />
come nel battesimo abbiamo promesso di contraddire e di rinunciare<br />
a Satana e a tutte le sue opere, cosi nella vita monastica vogliamo<br />
fuggire il mondo, in quanto è soggetto al demonio, i desideri degli occhi,<br />
la concupiscenza della carne e la superbia della vita. La fuga dal<br />
mondo consiste prima di tutto nell'interna separazione dal modo di<br />
pensare di questo mondo che non aspetta nulla oltre il sepolcro e che<br />
- 212-
nulla di più stima m questa vita che i divertimenti del corpo e dell'anima.<br />
La separazione esterna dal « mondo» - praticata in diversi gradi<br />
e in diversi modi dalle nostre comunità - è un segno ed un mezzo<br />
di questa rinuncia interna ».<br />
Ed ora vorrei ritornare alla dottrina del nostro S. Padre Bernardo<br />
che ho richiamato alla Vostra memoria nella prolusione di questa sessione.<br />
Chi meglio del Dottor mellifluo che troviamo rappresentato frequentissimamente<br />
con gli strumenti della passione del Signore, che<br />
conosciamo esimio amatore della croce di Cristo, di cui sappiamo che<br />
fu un Maestro istruito per opera divina nella via del Signore, chi potrebbe<br />
più equamente, - dico - chi potrebbe in modo a noi più<br />
adatto, più da vicino insegnarci nella nostra quotidiana vita cistercense<br />
a seguire Gesù Cristo che porta la sua Croce? Egli infatti ha<br />
esposto in modo descrittivo la sua dottrina nella stessa definizione<br />
dell'Ordine.<br />
Basta dunque enumerare ed ordinare ciò che il nostro S. Padre<br />
Bernardo dice nell'epistola 142 ai monaci di S. Maria delle Alpi.<br />
Poiché la mortificazione dev'essere più spirituale che materiale e<br />
non ci conviene tanto strappare i vestiti quanto i nostri cuori, dobbiamo<br />
accedere a Dio salendo la scala dell'umiltà. Perciò « il nostro Ordine »,<br />
secondo S. Bernardo, « è umiltà, è disprezzo, povertà volontaria, è obbedienza;<br />
l'Ordine è stare sotto un maestro, - egli dice - essere<br />
soggetti all'abate, alla regola, alla disciplina ». Ecco le opere d'umiltà e<br />
di abnegazione di se stessi. Alla natura non piace un tale discorso, ma<br />
questa è la via che conduce a Dio. E in questo modo il nostro Ordine<br />
può essere « pace e gaudio nello Spirito Santo ». E questa via dell'umiltà<br />
conduce alla carità, di cui S. Bernardo dice che « il nostro Ordine<br />
è soprattutto osservare la via più eccellente, cioè la carità ».<br />
Ma S. Bernardo raccomanda anche quelle opere di mortificazione<br />
che sebbene siano rivolte all'interiorità, richiedono anche la pratica<br />
esteriore. « Il nostro Ordine, dice, è dedicarsi al silenzio, esercitarsi nei<br />
digiuni, nelle veglie, nelle orazioni, nel lavoro manuale ».<br />
Sebbene, come appare dal testo già citato della lettera Apostolica<br />
« Ecclesiae Sanctae », si debbano rivedere gli esercizi di penitenza propri<br />
ai singoli Istituti, in quanto non tutte le opere che poterono compiersi<br />
al tempo di S. Bernardo convengono alla costituzione fisica<br />
dell'uomo moderno, esse conservano tuttavia il loro valore ascetico<br />
e spirituale.<br />
Anche oggi i digiuni e le astinenze sono i mezzi adatti alla disci-<br />
- 213-
plina religiosa, prefigurati e raccomandati in diversi modi nella vita<br />
dei Santi. Chi di noi non saprebbe che la temperanza della lingua e la<br />
virtù della taciturnità conservano anche oggi il loro pieno valore, non<br />
ostante la necessità di contatto e le esigenze della vita religiosa? E se<br />
delle vigilie notturne si dice che fanno il monaco, ciò ha un senso profondo<br />
perché, teste l'esperienza, le ore notturne e mattutine sono molto<br />
adatte alla meditazione e alla preghiera, perché dispongono i nostri<br />
cuori e le nostre menti ad un'unione più intima col Signore ed inducono<br />
all'amore della croce ed allo spirito di sacrificio. Il lavoro manuale<br />
invece fu dato all'uomo già dall'origine per precetto divino, come<br />
particolare opera di mortificazione. Alla caratterizzazione ispiratrice<br />
di S. Bernardo potremmo aggiungere anche altri consigli che raccomandano<br />
astinenza dalle passioni o dalle gioie anche lecite della vita<br />
moderna; essi sono tuttavia così noti che non abbisognano di speciale<br />
menzione.<br />
Per incrementare lo sprnto e l'esercizio della mortificazione il<br />
Capitolo Generale stabilisce quanto segue:<br />
1. I Capitoli di ogni Congregazione e l'Abate o il Priore conventuale<br />
col suo Capitolo devono tenere consiglio, e stabilire dinanzi a Dio<br />
come possano promuovere utilmente e convenientemente lo spirito di<br />
penitenza e di mortificazione fra i propri confratelli.<br />
2. Riguardo alle astinenze, ai digiuni e ad altre opere di abnegazione<br />
e continenza che esercitiamo per amore della Croce, ciascuna<br />
Congregazione o Comunità stabilisca ciò che conviene meglio al carattere<br />
proprio della sua vita.<br />
3. La lodevole consuetudine di parlare e tacere a tempo giusto<br />
che fu sempre l'esercizio proprio dei monaci e che ci è raccomandata<br />
con vigorosa energia dalla nostra Regola, pur rispettando le esigenze<br />
della vita sociale, dev'essere fedelmente mantenuta e regolata convenientemente<br />
dai Superiori.<br />
4. Secondo la tradizione dell'Ordine Cistercense, oltre la Quaresima<br />
che è dedicata in particolar modo all'esercizio della penitenza, anche<br />
l'Avvento e le Vigilie delle solennità della Beata Vergine Maria vengono<br />
considerati tempi di gioiosa attesa e di penitenza.<br />
5. Gli esercizi di mortificazione hanno però solo lo scopo di renderci<br />
più pronti e più solleciti nell'amore verso nostro Signore e i nostri<br />
fratelli.<br />
- 214-
I NOSTRI MONASTERI<br />
IL Monastero di Claraval nel Brasile<br />
(Minas Gerais)<br />
Sperduto, come uccello, in terre lontane rigogliose e sconfinate,<br />
leggo, commosso, le nitide pagine di «Notizie <strong>Cistercensi</strong>» giunte al<br />
terzo anno di vita.<br />
Come un padre accoglie con gioia il figlio dal quale si era dolorosamente<br />
separato, così ho accolto il plico postale che porta incisi i<br />
caratteri a me assai noti, e, soddisfatto, ho ammirato l'entusiasmo dei<br />
confratelli che con tanto ardore indagano il passato glorioso dell'Ordine,<br />
ravvivano la linfa vitale che è santo alimento per i monaci generati nel<br />
segno di Cistercio, e convinti della bontà del loro ideale narrano il<br />
fervore di vita che oggi palpita nei nostri monasteri.<br />
Invano si cerca nel Brasile la tradizione e la gloria monastica del<br />
passato. Eppure questo Paese giovane lanciato verso un futuro di belle<br />
speranze, questo paese ricco di tante risorse, questo Popolo pieno di<br />
fede e tanto esuberante già conosce ed ammira le costruzioni monastiche<br />
che da vari decenni vanno sorgendo in ogni Stato della Repubblica<br />
Brasiliana. Anche qui i monaci hanno saputo e potuto imprimere<br />
i segni del loro lavoro materiale, spirituale, culturale, sociale; anche qui<br />
pregando e lavorando i monaci hanno le premesse per essere, come lo<br />
furono in Europa, componenti vitali per l'affermazione della civiltà cristiana<br />
libera immortale.<br />
Giunto di recente in questo monastero una delle mie preoccupazioni<br />
è stata quella di fissare e organizzare l'elenco degli avvenimenti<br />
che in venti anni, partendo da zero, si sono succeduti durante la realizzazione<br />
di una opera alla quale inizialmente forse nessuno osava<br />
dar credito.<br />
Alcuni fatti erano appena annotati su fogli volanti, altri l'ho<br />
dovuti tirar fuori dalla memoria dei protagonisti che poi hanno confermato<br />
e sottoscritto.<br />
Il lettore tenga presente che fino al 1953 Claraval si chiamava<br />
Garimpo das Canoas.<br />
- 215-
PRINCIPALI AVVENIMENTI DAL 1950 AL 1970<br />
15 Aprile 1950<br />
Il Rev.mo Mons. José Maria Pereira, Prelato Domestico di Sua<br />
Santità Pio XII e Visitatore Diocesano di Guaxupé, giunge a Garimpo<br />
das Canoas. Mons. Pereira tiene un corso di predicazione per preparare<br />
il popolo al ricevimento dei primi monaci cistercensi che devono giungere<br />
dall'Italia per fondare un monastero nella diocesi di Guaxupé.<br />
29 Aprile 1950 - Festa di San Roberto<br />
Giungono a Garimpo das Canoas i primi monaci cistercensi della<br />
Congregazione di Casamari. Essi sono: D. Pietro Agostini, D. Giustino<br />
Tatangelo, D. Carmelo Recchia, Fr. Nivardo Buttarazzi. Li accompagna<br />
S. E. Rev.ma Mons. Hugo Bressane de Araujo, vescovo di Guaxupé,<br />
l'abate Don Alfonso Heun, e i priori dei monasteri cistercensi di Itaporanga<br />
e di San José do Rio Pardo.<br />
Sono accolti da una grande moltitudine di popolo accorso anche<br />
dalle vicine città di Franca e di Ibirad. Il Dott. Tufy Jorge, nativo di<br />
Garimpo e Direttore del periodico « Francano» rivolge loro la parola<br />
e ringrazia S.E. Rev.ma per il dono che fa alla popolazione di Garimpo<br />
affidandola alle cure spirituali di monaci cistercensi italiani.<br />
Il ricevimento si conclude con il canto del «Te Deurn » nella<br />
chiesa parrocchiale.<br />
30 Aprile 1950<br />
Alle 1OilRev.mo P. Abate Don Alfonso Heun celebra la messa pontificale<br />
avendo come assistente il Rev.mo Mons. José Maria Pereira, come<br />
diacono e suddiacono i priori di Itaporanga e di San José do Rio Pardo.<br />
Dopo la santa messa S.E. il Vescovo Diocesano procede alla benedizione<br />
del Monastero dedicato allo Spirito Santo, della clausura papale<br />
limitata ad alcuni locali della casa parrocchiale, e ne dà le consegne<br />
al priore D. Pietro Agostini il quale per la prima volta si rivolge<br />
alle autorità ed alla popolazione parlando in portoghese.<br />
Alle ore 17 si svolge una solenne processione in onore dello Spirito<br />
Santo e di San Sebastiano.<br />
Il periodico « Francano» di Franca esce in edizione speciale presentando<br />
l'opera del Vescovo Diocesano e dei Monaci <strong>Cistercensi</strong>.<br />
- 216-
Prima della cena vari oratori si susseguono per salutare i nuovi<br />
monaci arrivati che hanno lasciato la loro patria con l'unico ideale di<br />
diffondere il Regno di Cristo. Spesse volte si fa il nome dell'Abate D.<br />
Nivardo Buttarazzi, Preside della Congregazione di Casamari, il quale<br />
in un gesto apostolico ha inviato i suoi monaci a Garimpo das Canoas<br />
per far germogliare l'Ordine Cistercense nella sperduta regione a sud<br />
di Minas Gerais.<br />
6 Luglio 1950<br />
Sua Ecc. Rev.ma, Don Hugo Bressane de Araujo, invia al priore<br />
D. Pietro Agostini il Decreto Episcopale e il Decreto della Sacra Congregazione<br />
del Concilio con i quali la parrocchia di Garimpo das Canoas<br />
viene affidata alla Congregazione Cistercense di Casamari.<br />
6 Agosto 1950<br />
I monaci promuovono la riunione di varie persone tra le quali<br />
viene costituita una commissione con lo scopo di reperire i fondi necessari<br />
per la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale e del monastero.<br />
La chiesa attuale non può essere riparata; i monaci devono provvedere<br />
alla costruzione di un monastero che dia loro la possibilità di<br />
svolgere la vita monastica secondo le tradizioni dell'Ordine.<br />
16 Agosto 1950<br />
Il vescovo diocesano di Guaxupé approva la costituzione della<br />
Commissione autorizzandola a raccogliere i fondi necessari per la costruzione<br />
della chiesa e del monastero; con la sua autorevole parola<br />
egli stesso si fa promotore per la realizzazione del progetto.<br />
3 Settembre 1950<br />
Nella casa parrocchiale e sotto la presidenza del priore D. Pietro<br />
Agostini si riunisce la Commissione; la parrocchia viene suddivisa in<br />
diverse zone. A ciascun membro viene affidata una zona entro la quale<br />
dovrà raccogliere donativi ed offerte per la costruzione della chiesa<br />
e del monastero.<br />
28 Aprile 1951<br />
Sua Ecc. Rev.ma Don Hugo Bressane da Araujo, vescovo di Guaxupé<br />
giunge a Garimpo das Canoas per fare la visita pastorale. Alle ore<br />
- 217-
19 tra le acclamazioni del popolo, S. E. si dirige alla chiesa parrocchiale<br />
dove vengono celebrate le cerimonie prescritte dal Rituale. Durante la<br />
allocuzione, S. E. manifesta la propria felicità per la presenza di tre<br />
sacerdoti dell'Ordine Cistercense i quali, oltre al lavoro pastorale quotidiano,<br />
si vanno adoperando instancabilmente per consolidare e svi-luppare<br />
questa fondazione.<br />
29 Aprile 1951<br />
Alle ore 17, S.E. Rev.ma Don Hugo Bressane de Araujo, sul poggio<br />
della Croce che sovrasta la città di Garimpo, benedice solennemente<br />
la pietra fondamentale della nuova chiesa parrocchiale e del monastero.<br />
Entro la pietra fondamentale è inserita la seguente pergamena:<br />
«Il giorno 29 del mese di Aprile, festa di San Roberto fondatore<br />
e primo abate dell'Ordine Cistercense, nell'anno del Signore 1951,<br />
in questa parrocchia dello Spirito Santo in Garimpo das Canoas, diocesi<br />
di Guaxupé, municipio di Ibiracì, Stato di Minas Gerais (Brasile,)<br />
essendo Romano Pontefice il Papa Pio XII, Vescovo della Diocesi Don<br />
Hugo Bressane de Araujo, Abate Generale dell'Ordine Cistercense Don<br />
Matteo Quatember, Abate Preside della Congregiazione di Casamari<br />
in Italia Don Nivardo Buttarazzi, Parroco della parrocchia e Priore del<br />
primo monastero cistercense in Minas Gerais Dom Pietro Agostini,<br />
Presidente della Repubblica degli Stati Uniti del Brasile l'Ec.mo Sr.<br />
Dr. Getulio Dornelas Vargas, Governatore dello Stato di Minas Gerais<br />
l'Ec.mo Sr. Dr. Juscelino Kubitschek de Oliveira, Prefetto del Municipio<br />
l'Ill.mo Sr. José Temòteo de Andrade, e Viceprefetto municipale<br />
l'Ill.mo Sr. Mario Placido Cintra, presenti l'Ec.mo e Rev.mo Vescovo<br />
della Diocesi Dom Hugo Bressane de Araujo, l'Ec.mo e Rev.mo Mons.<br />
José Maria Pereira Prelato Domestico di Sua Santità, i monaci della<br />
prima comunità monastica: Dom Pietro Agostini priore e parroco della<br />
parrocchia, Dom Giustino Tatangelo e Dom Carmelo Recchia vigariicooperadori<br />
e Fr. Nivardo Buttarazzi, l'illustre Commissione delle Opere<br />
<strong>Cistercensi</strong> e l'ingegnere che le dirige Ill.mo Sr. Dr. Paolo Rocha de<br />
Freitas, l'architetto che eseguirà il progetto Ill.mo Dr. Geraldo Foroni,<br />
le Autorità ecclesiastiche e civili di Ibiracì e di Franca, e una grande<br />
moltitudine di popolo del luogo e delle località vicine degli Stati di<br />
Minas e di San Paolo, alle ore 17 si procedette alla benedizione ed alla<br />
collocazione della prima pietra della nuova chiesa parrocchiale che sarà<br />
costruita sotto gli auspici e le benedizioni di Nostra Signora dello Spirito<br />
Santo. Per eterna memoria fu redatto questo documento che fu<br />
sottoscritto da tutte le autorità ecclesiastiche e civili e da molte altre<br />
- 218-
persone presenti. Fu scritto da me, José Amando de Almeida, Segretario<br />
designato per questo fine ».<br />
Tutta la cerimonia fu filmata dal Sr. Orlando Meloni per iniziativa<br />
del Sr. Agostino Alves Taveira.<br />
Il corrispondente della stampa diocesana di Guaxupé pubblicò<br />
quanto segue: «Dire 28 e 29 Aprile, e dire giornate indimenticabili<br />
per Garimpo das Canoas, è come dire la stessa cosa. Mai questa città<br />
visse giorni tanto felici e allegri. Mai le sue vie furono contemporaneamente<br />
calcate da tanti piedi. In un solo giorno passarono tante auto<br />
sopra il ponte del fiume per trasportare illustri e distinti amici in questa<br />
cara terra. Tre grandi avvenimenti sono scritti con caratteri aurei: la<br />
venuta nella nostra terra del Sr. Vescovo Diocesano nostro amato Padre<br />
e pastore, il primo anniversario della venuta dei Padri <strong>Cistercensi</strong>, la<br />
benedizione della prima pietra della nuova chiesa parrocchiale».<br />
30 Aprile 1951<br />
Dopo aver partecipato alla processione delle Rogazioni, S.E.<br />
Rev.ma celebra la santa messa. Alle ore 9,30, festeggiato dalla popolazione,<br />
lascia Garimpo dirigendosi verso Guaxupé. Prima di partire<br />
scrive nel1ibro parrocchiale: «Furono giornate di grande consolazione<br />
per il nostro cuore vedendo con quanto zelo i Padri <strong>Cistercensi</strong> dirigono<br />
queste buone anime. E una grazia immensa del cielo la venuta dei Figli<br />
del glorioso San Bernardo in questa zona. Misericordia Domini in<br />
aeternum cantabo! Iddio incoraggi, conforti e benedica religiosi tanto<br />
santi ».<br />
20 Agosto 1951<br />
San Bernardo, abate di Clairvaux e Dottore della Chiesa, è proclamato<br />
protettore di Garimpo das Canoas.<br />
13 Marzo 1952<br />
È acquistato un camion «Chevrolet Gigante» che dovrà servire<br />
per il trasporto di materiali per la costruzione della chiesa e del monastero.<br />
18 Ottobre 1952<br />
L'Ec.mo e Rev.mo Fr. Inàcio joào Dal Monte, che dal 21 maggio<br />
è stato nominato vescovo di Guaxupé, fa la sua prima visita pastorale<br />
nella parrocchia di Garimpo. Al termine della visita cosi scrive nel libro<br />
- 219-
parrocchiale: «La chiesa parrocchiale è molto vecchia ed è necessario<br />
costruirne una nuova. Per questo i buoni PP. <strong>Cistercensi</strong> già hanno dato<br />
inizio a quella nuova che sarà grande e bella ».<br />
In questa circostanza S.E. Rev.rna designò Don Giustino Tatangelo<br />
come pro-vicario nella parrocchia di Nostra Senhora das Dòres in Ibiracì.<br />
20 e 23 Agosto 1953<br />
Sono organizzate particolari celebrazioni per commemorare l'Ottavo<br />
centenario della morte di San Bernardo. Il Rev.mo Don Atanasio<br />
Merkle, abate del monastero cistercense di I taporanga , celebra la messa<br />
pontificale. I canti sono eseguiti dal coro dei Fratelli Maristi del Collegio<br />
Champagnat di Franca; la banda musicale composta dagli alunni<br />
dello stesso collegio contribuisce a rendere più lieta la conclusione dei<br />
fes teggiamen ti.<br />
Il popolo approva con giubilo le proposte fatte dal priore D. Pietro<br />
Agostini: emancipare il distretto di Garimpo dal municipio di Ibiracì<br />
rendendolo municipio autonomo, e chiamare il nuovo municipio col<br />
nome di Claraval in omaggio alla famosa abbazia di Clairvaux della<br />
quale San Bernardo fu primo abate. A questo scopo è costituita una<br />
commissione formata dai signori Joaquim Cintra, Antonio Saad, Jorge<br />
Ibrahim Saad, Benjamim Salomào, Mario Placido Cintra, Augusto de<br />
Castro. Più volte lo stesso P. Priore si reca con la Commissione presso<br />
le autorità statali di Belo-Horizonte per ottenere l'emancipazione da<br />
lui proposta.<br />
17 Gennaio 1954<br />
La felice idea di emancipazione di Garimpo das Canoas da Ibiraci<br />
e della denominazione di Claraval, patrocinata dal deputato Sr. Dr.<br />
Augusto Batista de Figuiredo e accolta benevolmente dall'emerito Governatore<br />
di Minas Gerais Sr. Dr. Juscelino Kubitschek, è una realtà.<br />
Alle ore 14,30 lo stesso deputato Augusto Batista de Figuriedo,<br />
dopo l'esecuzione dell'inno nazionale, procede alla proclamazione del<br />
nuovo municipio: il nome di Garimpo das Canoas viene cancellato<br />
dai documenti e dalle carte geografiche del Brasile e viene sostituito<br />
per sempre con quello di Claraval.<br />
29 Gennaio 1954<br />
Giunge dall'Italia Don Remigio Facecchia. L'Abate Preside della<br />
Congregazione di Casamari lo ha inviato non solo per aiutare le attività<br />
- 220-
pastorali nella parrocchia, ma anche per dare alla piccola comunità di<br />
Claraval la possibilità di organizzarsi sempre di più secondo le norme<br />
della disciplina monastica.<br />
25 Febbraio 1954<br />
La stampa locale continua a mettere in rilievo l'importanza della<br />
creazione del nuovo municipio di Claraval. Da San Paolo il Sr. Dr. E. F.<br />
Muriel scrive:<br />
«Claraval és Burgo, és pequenina,<br />
plantada em solo da velha Minas;<br />
vermelha e fecunda. Das Serras aos Gerais.<br />
Apòs a florada, curvam os frutos os cafezais!<br />
Eis que Piratinga antes pequenina,<br />
por ser grande, hoje se engagnalou!<br />
Tu Claraval: Nao duvides!<br />
Teus guias, dar te-ào esplendor!<br />
20 Ottobre 1954<br />
La comunità e la popolazione di Claraval festeggiano solennemente<br />
il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale del priore e parroco<br />
D. Pietro Agostini. La festa è stata preceduta da un triduo eucaristico<br />
predicato dal Rev.mo Mons. José Maria Matias da Silva, parroco di<br />
Areado.<br />
Alle ore 10,30 il Rev.do priore e parroco D. Pietro Agostini ha celebrato<br />
la messa solenne. Dopo il vangelo, il Rev.mo Mons. Herminio<br />
Malzoni, ha tenuto il discorso di circostanza portando particolari saluti<br />
ed auguri da parte del vescovo di Guaxupé.<br />
Alle ore 17, dopo la santa messa celebrata dal Vicario Generale<br />
della Diocesi, Mons. Herminio Malzoni si è svolta una solenne processione<br />
eucaristica per le vie della città; la processione si è conclusa<br />
con il canto del « Te Deum» nella chiesa parrocchiale.<br />
Oltre a Mons. José Maria Matias da Silva e a Mons. Herminio<br />
Malzoni in rappresentanza del vescovo di Guaxupé, hanno partecipato<br />
al1a celebrazione due Padri Agostiniani di Franca, tre monaci cistercensi<br />
del monastero di San José do Rio Pardo, il Rev.mo Mons. José<br />
de Olivera Campos, il Padre Teodoro Fernandes di Ibiracì, Mons.<br />
José Ornelas, tre Fratelli Gabrielisti di Cassia, il Padre José Vich, e<br />
Mons. Jeronimo Madureira Mancini di San Sebastiào do Paraiso.<br />
- 221-
lO Novembre 1954<br />
Giunge dall'Italia il Rev.mo Don Nivardo Buttarazzi, Abate Preside<br />
della Congregazione di Casamari, per compiere la visita regolare.<br />
Rimane compiaciuto per i lavori di costruzione della nuova chiesa parrocchiale<br />
e del monastero. Nel ringraziare il popolo che con tanta liberalità<br />
contribuisce alla esecuzione dei lavori di costruzione, promette<br />
che invierà altri monaci per lo sviluppo della fondazione monastica<br />
della Congregazione di Casamari nel Brasile.<br />
3 Marzo 1955<br />
Il Rev.do P. Priore D. Pietro Agostini e Don Carmelo Recchia<br />
si recano in Italia per visitare i confratelli e i parenti.<br />
20 Giugno 1955<br />
Inizia una settimana di predicazione in preparazione al .Primo<br />
Congresso Eucaristico Diocesano e al 36
Don Silvio Capobianco diplomato nell'Istituto Gualandi di Roma per<br />
la riabilitazione dei sordomuti.<br />
24 Agosto 1957<br />
Nella città di Franca si inaugura l'Istituto Donna Deodolinda. I<br />
coniugi Donna Deodolinda da Silva e Signor Pio Siverino da Silva,<br />
nativi di Franca avevano donato ai monaci di Claraval una vasta area<br />
con edificio allo scopo di farvi funzionare un Istituto per l'educazione<br />
dei sordomuti.<br />
Don Silvio Capobianco è incaricato per questo insegnamento.<br />
16 Luglio 1958<br />
La comunità che inizialmente si era sistemata nei locali della vecchia<br />
casa parrocchiale, si trasferisce negli appartamenti, già preparati,<br />
del nuovo monastero che sta sorgendo sul poggio della Croce.<br />
18 Gennaio 1959<br />
Don Carmelo Recchia è 'un monaco zelante e lavoratore instancabile.<br />
Le sue energie giovanili le sta adoperando senza concedersi riposo<br />
sia per la cura pastorale del popolo di Claraval sia per la costruzione<br />
della Chiesa e del monastero. Ma con altrettanto impegno egli lavora<br />
per dare assistenza alla popolazione della campagna che vive tanto<br />
lontano dal centro di Claraval. Col suo modo di fare semplice e quasi<br />
timoroso ma risoluto si è accattivata la benevolenza di tutti, ed ha<br />
ottenuto dal Sr. Delmiro Barbosa Cintra la donazione di un terreno<br />
per la costruzione di una cappella e di un edificio scolastico nella<br />
località «Portera da Pedra» che dista da Claraval venti chilometri.<br />
28 Febbraio 1960<br />
L'iniziativa di Don Carmelo è una realtà. Alle ore 14,30 si benedice<br />
solennemente l'edificio scolastico e la cappella in onore di San<br />
Giuseppe Operaio nella località di Portera da Pedra. Oltre ai numerosissimi<br />
abitanti dei casolari vicini, erano presenti le maestre: Dalva<br />
Contra e Celina de Freitas che hanno l'incarico di insegnare non solo<br />
le discipline scolastiche ma anche il catechismo.<br />
16 Novembre 1960<br />
L'Ec.mo e Rev.mo vescovo di Guaxupé, Fr. Inàcio joào Dal<br />
Monte, fa la seconda visita pastorale in Claraval. Si reca a visitare la<br />
- 223-
cappella e l'edificio scolastico in Portera da Pedra, e la frazione di<br />
« Paiolihno », che dista 15 chilometri da Claraval, dove sta sorgendo<br />
una cappella in onore di Nossa Senhora de Lourdes. Il vescovo rimane<br />
edificato per l'opera svolta dai monaci cistercensi che in dieci anni dalla<br />
loro venuta in questa zona della diocesi di Guaxupé si sono resi già<br />
tan to benemeriti.<br />
Il vescovo si augura che quanto prima i monaci, come è loro desiderio<br />
e programma, possano far funzionare una scuola apostolica per<br />
la formazione di monaci e di sacerdoti brasiliani.<br />
20 Dicembre 1960<br />
Don Silvio Capobianco torna definitivamente in Italia. L'Istituto<br />
Donna Deodolinda per il recupero dei sordomuti cessa la sua attività<br />
per mancanza di insegnanti qualificati.<br />
L'edificio è adibito come asilo per i ciechi in attesa che i monaci<br />
di Claraval lo trasformino in seminario.<br />
26 Giugno 1961<br />
Il Rev.do P. Priore D. Pietro Agostini, accompagnato da Don<br />
Agostino Caputi, si reca in Italia per partecipare al Capitolo Generale<br />
della Congregazione di Casamari.<br />
24 Settembre 1961<br />
La comunità di Claraval si rallegra e ringrazia il Signore per la<br />
conferma di Don Nivardo Buttarazzi nella carica di Abate di Casamari<br />
e Preside della Congregazione medesima.<br />
15 Giugno 1962<br />
Fr. Nivardo Buttarazzi torna definitivamente m Italia.<br />
28 Dicembre 1962<br />
Giungono dall'Italia Don Gabriele Panetta e Fr. Giuseppe Papetti<br />
come membri effettivi della comunità di Claraval.<br />
24 Febbraio 1963<br />
I monaci di Claraval, nella speranza di garantire una rendita fissa<br />
per il sostentamento della comunità e per lo sviluppo delle opere che<br />
- 224-
intendono creare, acquistano una fazenda in località « Sete Volte» nel<br />
municipio di Sacramento.<br />
15 Maggio 1966<br />
Anche la nuova chiesa parrocchiale, sebbene non del tutto rifinita,<br />
è pronta per potervi svolgere tutte le funzioni religiose. Era stato invitato<br />
il vescovo diocesano per la benedizione, ma, impossibilitato perché<br />
malato, S.E. Rev.ma aveva delegato il priore e parroco D. Pietro<br />
Agostini. La consacrazione della chiesa sarà effettuata in seguito al termine<br />
della costruzione di tutto il monastero.<br />
23 Ottobre 1966<br />
Lo zelo di Don Carmelo Recchia ottiene un nuovo successo. Alle<br />
ore lO si benedice e si colloca la prima pietra per la costruzione dell'edificio<br />
scolastico e della cappella in onore del « Sagrado Coraçào de<br />
Jesus » nella frazione di Andrades distante da Claraval venti chilometri.<br />
Il terreno è stato donato dal Sr. Atìlio Chierigato.<br />
15 Aprile 1967<br />
Altri due monaci: Don Silverio Vecchiarelli e Don Vittore Mailli,<br />
giungono dall'Italia. La comunità è ora abbastanza numerosa, ma<br />
è necessario prendere iniziative per procurare vocazioni brasiliane.<br />
6 Giugno 1967<br />
Alle ore Il,30 è stato inaugurato solennemente l'edificio .scolastico<br />
del «Sagrado Coraçào de J esus» nella frazione di Andrades.<br />
Dopo la celebrazione della santa messa, Don Carmelo Recchia ha tenuto<br />
un discorso ponendo in rilievo la necessità di procurare l'istruzione<br />
ai bambini e l'assistenza religiosa agli abitanti della frazione.<br />
Don Carmelo Recchia si reca temporaneamente in Italia per motivi<br />
di salute, per visitare i confratelli e parenti.<br />
1 Agosto 1967<br />
Il Rev.mo ed Ec.mo Vescovo di Gauxupé, Don José de Almeida<br />
Batista Pereira, fa la sua prima visita pastorale in Claraval. Si reca<br />
a visitare anche le cappelle di Portera da Pedra, di Piolihno e di<br />
Andrades.<br />
- 225-
2 febbraio 1968<br />
Dall'Italia giunge il Rev.mo Padre Abate Preside, Don Nivardo<br />
Buttarazzi per compiere la visita regolare. Comunica che ormai sono<br />
a buon punto le pratiche per erigere Claraval ad Abbazia Nullius;<br />
tanto la Santa Sede come la Curia Diocesana di Guaxupé avevano tenuto<br />
conto delle esigenze e delle caratteristiche derivanti dalle Costituzioni<br />
della Congregazione di Casamari.<br />
19 maggio 1968<br />
Il Rev.do P. Priore Don Pietro Agostini si reca in Italia dovendo<br />
partecipare al Capitolo Generale Speciale della Congregazione di Casamari.<br />
Con lui viaggia anche Fr. Giuseppe Papetti.<br />
29 Giugno 1968<br />
Avvenimento storico ed onorifico: il Santo Padre Paolo VI eleva<br />
la chiesa di Claraval ad Abbazia Nullius con territorio, separandola<br />
dalla diocesi di Guaxupé e rendendola suffraganea dell'arcidiocesi di<br />
Pouso Alegre (MG). La Costituzione Apostolica porta la data dell'Il<br />
maggio 1968. La nuova circoscrizione ecclesiastica abbraccerà i municipi<br />
di Claraval e di Ibirad per l'estensione di 816 chilometri quadrati<br />
e con circa 18.000 abitanti. L'Abbazia Nullius avrà carattere secolare,<br />
indipendente dal Monastero, ma il Prelato sarà lo stesso Superiore del<br />
Monastero di Claraval.<br />
18 Ottobre 1968<br />
L'Ec.rno e Rev.mo Vescovo di Luz (MG), Don Belchior Joaquim<br />
da Silva Neto C.M., conferisce ad un monaco di Claraval, Don Giustino<br />
Tatangelo, l'incarico di vigario nella parrocchia di Delfinopolis che appartiere<br />
alla diocesi di Luz.<br />
15 Novembre 1968<br />
Torna dall'Italia Don Carmelo Recchia. Oltre a trascorrere<br />
un periodo di riposo aveva partecipato alla prima parte del Capitolo<br />
Generale Speciale della Congregazione di Casamari come delegato della<br />
comunità di Claraval.<br />
16 Marzo 1969<br />
Si dà inizio solennemente alla Scuola Apostolica «San Bernardo<br />
». Don Vittore Mailli, che aveva avuto le relazioni necessarie con<br />
- 226-
i ragazzi e loro genitori, è il primo rettore di questo gruppo formato<br />
da ragazzi di Claraval, di Ibirad e di Franca.<br />
L'Ec.mo e Rev.mo Vescovo di Luz nomina i monaci sacerdoti di<br />
Claraval cooperatori per la parrocchia di Delfinopolis. Il provvedimento<br />
si è reso necessario perché i sacerdoti alternativamente si danno il<br />
cambio per il servizio religioso nelle parrocchie di Ibiracì, di Delfinopolis<br />
e nelle cappelle rurali in esse comprese, che si trovano a notevole<br />
distanza le une dalle altre.<br />
19 Agosto 1969<br />
Il priore e parroco D. Pietro Agostini, che ancora si trova in<br />
Italia per motivi di salute è nominato primo abate dell'Abbazia Nullius<br />
di Claraval.<br />
28 Settembre 1969<br />
I monaci di Claraval esortano i fedeli a unirsi spiritualmente<br />
alla solenne cerimonia della benedizione abbaziale di D. Pietro Agostini<br />
che si celebra nell'antica abbazia di Valvisciolo in Italia. La solenne benedizione<br />
è stata impartita dal Rev.mo Fr. Sighardo Kleiner, Abate<br />
Generale dell'Ordine Cistercense.<br />
14 Novembre 1969<br />
Giunge dall'Italia il Rev.mo Don Nivardo Buttarazzi, Abate<br />
Preside della Congregazione di Casamari, e il Rev.mo Don Gregorio<br />
Battista, Abate Procuratore Generale dell'Ordine Cistercense. Lo scopo<br />
della loro visita è di predisporre le cose necessarie per l'installazione<br />
canonica e per la presa di possesso della Abbazia di Claraval da parte<br />
del Rev.mo Don Pietro Agostini che già si trova in viaggio marittimo<br />
per tornare in Brasile.<br />
28 Novembre 1969<br />
L'Ec.mo e Rev.mo Arcivescovo Don Humberto Mozzoni, Nunzio<br />
Apostolico nel Brasile, nomina I'Ec.mo e Rev.mo Don José D'Angelo<br />
Neto, Arcivescovo di Pouso Alegre, esecutore della Costituzione Apostolica<br />
«Caelestis Urbis Visio» con la quale è stata costituita l'Abbazia<br />
Nullius di Clara val.<br />
- 227-
29 Novembre 1969<br />
La comunità di Claraval aumenta ancora per l'arrivo dall'Italia del<br />
monaco Don Filippo Agostini, Attualmente la comunità è formata da<br />
otto sacordoti, un fratello converso, e la Scuola Apostolica con ventitré<br />
alunni.<br />
30 Novembre 1969<br />
Il Rev.mo P. Abate Don Pietro Agostini con cerimonia solenne<br />
prende possesso dell'Abbazia Nullius di Claraval. Sono presenti: il<br />
Rev.mo Don José D'Angelo Neto, arcivescovo di Pouso Alegre; il<br />
Rev.mo Don José Alvares Macuar, vescovo titolare di Colybi; il Rev.mo<br />
Don Nivardo Buttarazzi, Abate Preside della Congregazione di Casamari;<br />
il Rev.mo Don Atanasio Merkle, abate del monastero cistercense<br />
di Itaporanga; il Rev.mo Don Roberto Fluck, abate del monastero<br />
cistercense di Itatinga; il Rev.mo Don Angelo Sabatini, abate del monastero<br />
olivetano di Sao Bento in Ribeirào Preto; il Rev.mo Don Gregorio<br />
Battista Abate Procuratore Generale dell'Ordine Cistercense;<br />
il Rev.do Jannes Baptista, parroco in Franca; il Rev.do Don Bonifacio<br />
Cicconofri, monaco cistercense del monastero di Sao José do Rio<br />
Pardo; il Rev.do Giovanni Battista Scotti, parroco della parrocchia di<br />
Santa Rita in Franca; il Sig. Geronimo Placido Bardosa, sindaco di<br />
Claraval; il Sig. joào Miaicci, Sindaco di Ibiracì, una grande folla di<br />
amici e parrocchiani accorsi da Claraval, da Ibiracì e da Franca.<br />
Il Rev.mo Padre Abate Preside di Casamari era andato a prelevare il<br />
Rev.mo Padre Abate Don Pietro che si era trattenuto nel monastero di<br />
Sào Bento di Ribeirào Preto. Sono giunti a Claraval alle ore 15, come era<br />
previsto, accolti da prolungati applausi e da fragorosi scoppi di mortaretti.<br />
Il sindaco di Claraval ha salutato il nuovo Abate a nome della<br />
popolazione congratulandosi anche per il suo ritorno in Brasile. Subito<br />
dopo si è svolta nell'interno della grande basilica la solenne cerimonia<br />
della presa di possesso. È stata letta la Costituzione Apostolica « Caelestis<br />
Urbis Visio » e il Decreto di nomina del primo abate Don Pietro<br />
Agostini. Quindi l'Arcivescovo di Pouso Alegre ha preso la parola<br />
ponendo in rilievo il significato storico della Costituzione Apostolica<br />
con la quale è stata eretta l'Abbazia Nullius di Claraval, e il lavoro<br />
dei monaci cistercensi che hanno meritato la fiducia del Santo Padre<br />
tanto da affidar loro la giurisdizione ecclesiastica di Claraval e di<br />
Ibiracì. Subito dopo ha preso la parola il nuovo Abate Don Pietro<br />
Agostini che ha ringraziato il Papa, l'Arcivescovo di Pouso Alegre, l'Abate<br />
Preside di Casamari, i confratelli dell'Ordine e in particolare quelli<br />
- 228-
Claraval del Brasile - La nuova abbazia sul Poggio della Croce
Claraval del Brasile - La Chiesa e il Campanile della nuova abbazia.
di Claraval che da venti anni continuano a lavorare con lui in questa<br />
porzione della Chiesa di Cristo. È seguito il canto del «Te Deum»<br />
e la santa messa concelebrata.<br />
8 Dicembre 1969<br />
Alle ore 1O il Rev.mo Don Pietro Agostini si reca a Ibirad per un<br />
primo contatto ufficiale con i parrocchiani di questa città. Dopo aver<br />
ricevu to gli omaggi da parte del sindaco e della popolazione, celebra la<br />
santa messa durante la quale si distribuiscono numerose comunioni.<br />
11 Dicembre 1969<br />
Dalla Curia abbaziale di Claraval vengono notificate le seguenti<br />
nomine: Dom Vittore Mailli, parroco di Claraval; Dom Giustino Tatangelo,<br />
parroco di Ibirad; Dom Gabriele Panetta Dom Agostino<br />
Caputi, Dom Carmelo Recchia, Dom Silverio Vecchiarelli cooperatori<br />
delle due parrocchie di Claraval e di Ibira.cì; Dom Filippo Agostini,<br />
Vicario Generale e Segretario dell' Abate. Poiché Dom Vittore Mailli<br />
è nominato parroco di Claraval, l'incarico di Rettore della Scuola Apostolica<br />
viene affidato a Dom Carmelo Recchia che avrà come coadiutore<br />
Dom Silverio Vecchiarelli.<br />
12 Dicembre 1969<br />
Il Rev.mo Padre Abate Dom Nivardo Buttarazzi e il Rev.mo Padre<br />
Abate Dom Gregorio Battista tornano in Italia.<br />
24 Dicembre 1969<br />
Alle ore 24 il Rev.mo Padre Abate Dom Pietro Agostini celebra<br />
la prima messa pontificale nella cattedrale di Claraval.<br />
31 Dicembre 1969<br />
Alle ore 24 il Rev.mo Padre Abate Dom Pietro Agostini celebra<br />
la messa solenne nella chiesa parrocchiale di Ibirad.<br />
3 Maggio 1970<br />
Per la prima volta il Rev.mo Padre Abate amministra la cresima<br />
nella cappella di Sào José Operario nella frazione di Portera da Pedra.<br />
- 229-
8 Maggio 1970<br />
Per la prima volta il Rev.mo Padre Abate amministra la cresima<br />
nella cappella del Sagrado Coraçào de Jesus nella frazione di Andrades.<br />
lO Maggio 1970<br />
Per la prima volta il Rev.mo Padre Abate amministra la cresima<br />
nella chiesa cattedrale di Claraval.<br />
12 Maggio 1970<br />
Per la prima volta il Rev.mo Padre Abate amministra la cresima<br />
nella cappella di Nossa Senhora de Lourdes nella frazione di Paiolihno.<br />
Benedice anche una campana che è stata donata dalla zelatrice Inàcia<br />
de Freitas.<br />
16 Maggio 1970<br />
Nella sua ultima visita il Rev.mo Padre Abate di Casamari aveva<br />
dato disposizioni di preparare i documenti necessari e trovare una<br />
ditta specializzata per la perforazione di un pozzo semi-artesiano la cui<br />
acqua dovrà servire anche a beneficio della popolazione che finora usa<br />
soltanto acqua di cisterne o di pozzi poco profondi e quindi inquinati.<br />
Il proprietario della ditta incaricata per perforare il pozzo è un<br />
italiano della provincia di Piacenza che conosce bene il nostro monastero<br />
di Chiaravalle. Alle ore 15, dopo la benedizione impartita da<br />
Dom Gabriele, iniziano i lavori di perforazione.<br />
25 Maggio 1970<br />
Il Rev.mo Padre Abate Dom Pietro Agostini si reca a Brasilia,<br />
capitale degli Stati Uniti del Brasile, per prendere parte alla Conferenza<br />
Nazionale dei Vescovi del Brasile, e per partecipare all'Ottavo Congresso<br />
Eucaristico Nazionale.<br />
14 Giugno 1970<br />
Per la prima volta il Rev.mo P. Abate si reca ad amministrare la<br />
cresima nella località di «Os Acutos» distante undici chilometri da<br />
Claraval. Finora qui c'è solamente l'edificio scolastico, e la popolazione<br />
è tanta. Il parroco Dom Vittore MailIi ha intenzione di erigere una<br />
cappella dedicata a Sào Geraldo.<br />
29 Giugno 1970<br />
Nel monastero vi è una gran festa perché gli amici residenti<br />
in Franca e molti parrocchiani si sono riuniti intorno al Rev.mo P.<br />
Abate per complimentarlo nel giorno del suo onomastico.<br />
- 230-
7 Luglio 1970<br />
Il Rev.mo Padre Abate si reca in Italia per prendere parte alla<br />
sessione conclusiva del Capitolo Generale Speciale della congregazione<br />
di Casamari. Viaggia con lui anche Dorn Carmelo Recchia in qualità<br />
di delegato della comunità di Claraval.<br />
Il lettore forse potrà interessarsi solo relativamente a quanto riferito<br />
nelle pagine precedenti. Ma coloro che ne sono stati i protagonisti,<br />
con soddisfazione ricordano e ammirano ciò che è stato<br />
compiuto in questi venti anni. Ricordano e, nello stesso tempo, dimenticano<br />
le difficoltà incontrate, le delusioni avute, gli scoraggiamenti subiti<br />
in questo remoto angolo a sud di Minas Gerais.<br />
Ciò che è stato compiuto non è opera inerte che, per quanto bella,<br />
rimane come ornamento del paesaggio per soddisfare la curiosità di<br />
chi passa. Claraval è monastero, è parrocchia, è sede dell'Abbazia<br />
Nullius con territorio. Quindi è centro di vita dalla quale devono fluire<br />
energie per un lavoro tanto impegnativo. In seguito avrò occasione di<br />
far conoscere meglio quale e quanto lavoro si offre quotidianamente<br />
ai monaci cistercensi: In particolare mi rivolgo ai giovani della Congregazione<br />
di Casamari.<br />
Se amate la solitudine e il raccoglimento, qui c'è un monastero<br />
moderno capace di accogliervi per realizzare il vostro ideale e comunicarlo<br />
ai giovani brasiliani; se amate l'attività apostolica, qui vi sono<br />
le parrocchie con numerose cappellanie, dislocate in frazioni assai distanti<br />
dal centro di Claraval, capaci di soddisfare lo zelo missionario<br />
e anche lo spirito di avventura proprio dei giovani. Quante anime, ancora<br />
semplici, attendono la presenza, la parola, l'azione del sacerdote!<br />
Il campo di lavoro è vasto, la messe è abbondante: venite! Ma preparatevi.<br />
Prima di accettare l'nvito, per risparmiarvi esperienze inutili<br />
e delusioni scoraggianti, imparate per tempo la lingua, studiate i costumi<br />
di questo popolo, cercate di conoscere le caratteristiche climatiche<br />
di queste zone e poi mettetevi a disposizione dei superiori. Ricordate il<br />
proverbio: dal dire al fare c'è di mezzo il mare. Ma qui c'è di mezzo<br />
l'oceano, e come siamo lontani! E tu, giovane, hai paura di questo?<br />
E che giovane sei?<br />
- 231-<br />
DON FILIPPO AGOSTINI
CRONACA<br />
1. ABBAZIA DI CASAMARI<br />
Il 14 agosto alle ore 18 un nostro Diacono: D. Celestino Parente<br />
ha ricevuto la Sacra Ordinazione Sacerdotale dal Vescovo della<br />
diocesi di Veroli-Frosinone, Mons. Giuseppe Marafini. La Concelebrazione<br />
per l'occasione è stata molto solenne con 13 Sacerdoti. Assistevano,<br />
oltre la comunità, circa 50 sacerdoti e molti familiari del<br />
nostro confratello. Da notare che D. Celestino ha altri due fratelli<br />
sacerdoti nella nostra Congregazione: D. Amedeo, economo a Chiavarelle<br />
della Colomba (Piacenza) e D. Lino, Rettore del Seminario minore<br />
di S. Domenico di Sora (Frosinone).<br />
2. CERTOSA DI FIRENZE<br />
Dall'otto di agosto fino al venti dello stesso mese è stato ospite<br />
nella nostra Certosa il noto grafico fiorentino Ugo Fanfani. In questo<br />
periodo il maestro Fanfani ha approntato una mostra comprendente<br />
32 schizzi della Certosa, completando così la precedente eseguita alcuni<br />
mesi or sono. Ormai la Certosa è stata vista in tutti i suoi aspetti<br />
più caratteristici. La mostra inaugurata il 15 settembre è rimasta aperta<br />
fino al 15 ottobre nella Cella del Certosino.<br />
Presentazione della Mostra<br />
Conoscemmo, noi della Certosa, Ugo Fanfani e la sua opera<br />
meno di un anno fà, quando amici cortesi ci invitarono alla « Saletta<br />
Everest» al Galluzzo, dove erano in bella mostra numerosi disegni<br />
de LA CERTOSA.<br />
Osservavamo, girando attorno alle pareti, quei disegni, quegli<br />
schizzi, quelle «macchie ». E finito il primo giro se ne iniziava un<br />
secondo; e la seconda volta parevano più belli della prima; e la terza<br />
più belli della seconda ...<br />
Ad un certo momento eravamo rimasti soli, noi della Certosa;<br />
no: c'era ancora, alle nostre spalle, lui Ugo Fanfani, silenzioso, tranquillo?<br />
chi sa? ... , timido e modesto, nella sua simpatica sagoma da<br />
vecchio fiorentino.<br />
E noi, sl, eravamo Il fra quattro pareti, ma stavamo ammirando<br />
la nostra Certosa come la si ammira dal vero, con la gioia negli occhi,<br />
splendida e meravigliosa, in una giornata di sole primaverile.<br />
- 232-
Qualcuno disse che la Certosa era, per questo artista, una tappa<br />
obbligatoria. Era la verità: troppi ricordi legano Ugo Fanfani alla<br />
Certosa del Galluzzo suo paese natale.<br />
Ma ora, due mostre, alla distanza di dieci mesi, sulla Certosa,<br />
non è un po' troppo? Ripetizione inutile? Mancanza di fantasia? Sarebbe<br />
come dire che il nostro, allestendo diverse mostre su Firenze,<br />
non abbia fatto che ripetersi e denotare scarsa fantasia!<br />
Fantasia? Non è possibible conoscere l'opera di questo artista e<br />
pensare che gli faccia difetto la fantasia.<br />
È l'amore ai suoi luoghi che spinge il Fanfani a disegnare. È la<br />
fede in tutte le cose antiche e care che porta avanti il suo discorso pittorico.<br />
L'intesa perfetta tra lui e la sua città «ha radici profonde,<br />
addentellate in quel sangue oscuro che scorre nelle vene di tutti i<br />
fiorentini» (Ubaldo Bardi).<br />
E poi, tra le due mostre de La Certosa c'è una differenza sostanziale:<br />
la prima fu preparata dall'esterno, la seconda dall'interno.<br />
Perché il Fanfani è venuto a vivere in Certosa, ha fatto vita di comunità,<br />
ha partecipato alla nostra liturgia, a turno ha servito a mensa,<br />
con grande modestia da parte sua, con somma edificazione da parte<br />
nostra. E poi ha esplorato, ha scovato gli angoli occulti, ha spiato i<br />
segreti penetrali. E ha disegnato: col suo grande cuore, col suo animo<br />
istintivamente religioso, in colloquio intenso con la sua Certosa,<br />
con la storia seicentesca di questo Monastero che fu definito «la<br />
preghiera di pietra» della famiglia Acciaiuoli.<br />
Firenze, Certosa 15 settembre 1970<br />
Al P. Priore e alla comunità dei Monaci <strong>Cistercensi</strong><br />
Il P. Priore e la Comunità<br />
dei Monaci <strong>Cistercensi</strong><br />
Nella mia piccola bottega accucciata ai piedi di Palazzo Vecchio)<br />
ho letto la Sua presentazione: sono commosso.<br />
Lei ha avuto parole troppo buone e belle che io non merito.<br />
Nel periodo che sono stato Vostro ospite ho avuto la possibilità<br />
di disegnare i mirabili «aspetti» della Certosa (i disegni forniranno<br />
il materiale per questa prossima mostra) ma soprattutto la Vostra vita<br />
comunitaria trascorsa nelle Sante pratiche liturgiche) mi ha ancor<br />
maggiormente avvicinato a Dio.<br />
Con deferenza e stima.<br />
- 2.33 -<br />
Ugo Fanfani
***<br />
Il 10 agosto in occasione della festa del patrono della Chiesa<br />
della Certosa è stato inaugurato l'impianto elettrico delle 5 campane.<br />
L'impianto è stato eseguito dalla ditta GalIorini di Arezzo.<br />
***<br />
Il 4, 14, 27 settembre sono stati eseguiti nel piazzale antistante<br />
la Chiesa tre concerti organizzati dall'AIDEM (Associazione italiana<br />
diffusione educazione musicale).<br />
3. ABBAZIA DI CASAMARI<br />
25-26 Settembre: Convegno Studi Storici Ciociari<br />
Nella sala del collegio S. Bernardo dell'Abbazia di Casamari si è<br />
svolto il secondo Convegno di Studi Storici Ciociari, organizzato dall'Archivio<br />
di Stato di Frosinone. Un folto gruppo di studiosi ha attestato<br />
il progressivo sviluppo che il centro viene assumendo nel contesto<br />
culturale della Ciociaria.<br />
Al secondo anno di vita il sodalizio ha ampliato i propri interessi<br />
sviluppando ricerche nel campo della storia e dell'archivistica<br />
locali.<br />
I lavori si sono aperti alla presenza del Cardinale Eugenio Tisserant,<br />
Decano del Sacro Collegio e Bibliotecario ed Archivista di S.<br />
R.C., dei Vescovi di Frosinone-Vevoli, Mons. Marafini, e di Sora-Aquino-Pontecorvo,<br />
Mons. Musto, dell'Ispettore Generale degli Archivi di<br />
Stato prof. Russo e del Direttore Generale prof. Lombardi, del Prefetto<br />
di Frosinone Conte, del Presidente della Dante Alighieri preside<br />
Jadanza e dei funzionari della Direzione Generale degli Archivi di<br />
Stato prof. Saladino, dotto Arganelli, del Dott. Mannino della Sovraintendenza<br />
archivistica, di numerose autorità militari, civili e di studiosi.<br />
È stato chiamato a presiedere i lavori il prof. Astuti, ordinario<br />
di Storia del diritto all'Università di Roma. Quindi l'Abate Preside<br />
di Casamari, D. Nivardo Buttarazzi, dopo aver portato il saluto agli<br />
intervenuti, ha parlato sulle vicende dell'archivio di Casamari e dell'annessa<br />
biblioteca che attualmente conta circa 30 mila volumi. Il<br />
Direttore dell'Archivio di Stato di Frosinone, dotto Francesco Nuzzo,<br />
prima di passare alla relazione sul «Metodo di ricerca nell'ambito<br />
del Centro di Studi Storici» ha rivolto un sentito ringraziamento per<br />
- 234-
la fattiva collaborazione all'abate Preside di Casamari e a D. Raffaele<br />
Scaccia. Nello svolgimento del tema il dotto Nuzzo ha messo in risalto<br />
il valore della storia locale in funzione di quella generale sostenendo<br />
che è necessario introdurre negli studi storici la interdisciplinarietà.<br />
. Il Card. Tisserant ha svolto la prolusione inaugurale «Archivi<br />
manastici e cultura storica », lumeggiando con rara efficacia espositiva<br />
il valore dei documenti conservati in Mesopotamia, in Grecia e a Roma.<br />
Si è quindi intrattenuto sulla sistemazione e conservazione degli Achivi.<br />
La seconda giornata dei lavori ha avuto inizio con la relazione<br />
del prof. Corrado Venanzi, dell'Istituto di Storia e di Arte del Lazio<br />
Meridionale, il quale ha parlato su « Il contributo degli archivi per lo<br />
studio dei monumenti della Ciociaria ». Partendo da personali esperienze<br />
condotte nel campo dell'architettura, ha messo in relazione le<br />
proprie ricerche con il contributo di quelle portate a termine negli<br />
Archivi, concludendo che lo storico è soprattutto un ricercatore e che<br />
in molti casi è necessario abbandonare i testi storici per studiare la storia<br />
nella documentazione naturalistica.<br />
Il prof. Antonio Caradonna ha parlato su «Il processo a Fra<br />
Pietro da Monte San Giovanni Campano) abate di Fossanova » rifacendosi<br />
a documenti inediti per mezzo dei quali ha ricostruito con chiarezza<br />
e dovizia di particolari le vicende che portarono al processo contro Fra<br />
Pietro accusato di intesa con gli Angioini.<br />
A conclusione dei lavori della mattinata vi sono state due comunicazioni:<br />
la prima di Alfredo Sergio su « Per uno studio delle tradizioni<br />
popolari in Ciociaria », nella quale dopo aver sottolineato la mancanza<br />
di studi a carattere scientifico sul folklore della Provincia, ha<br />
ricordato alcuni usi ancora in auge indicando la necessità di documentare<br />
quelli estinti od in via di esserlo; la seconda di Carlo Vona su<br />
« Il castello di Selva Molle di Frosinone» in cui il relatore ha descritto,<br />
con l'ausilio di diapositive, i resti di alcune torri di avvistamento ancora<br />
esistenti nella valle del Sacco.<br />
Nel primo pomeriggio i convegnisti hanno effettuato una gradita<br />
visita alla Certosa di Trisulti soffermandosi tra l'altro nella famosissima<br />
Farmacia.<br />
I lavori sono ripresi con i tre ultimi interventi. Augusto Mastrantoni<br />
ha tenuto la interessante e documentata comunicazione «Ricerche<br />
su Fabrateria uetus » sulla scorta di numerose testimonianze Storiche<br />
e resti epigrafici, distinguendo origini e caratteristiche delle due<br />
città romane di Fabrateria vetus e nova. La dotto Gabriella Loreto ha<br />
parlato sui «Rapporti tra la casa D)Angiò e l'Abbazia di Casamari »<br />
- 235-
esaminando 18 copie di documenti inediti del periodo angioino, trovati<br />
nell'archivio di Casamari, nei quali sono elencati privilegi e sinecure<br />
concessi all'Abbazia di Casamari. Alla fine degli interventi il prof. Torquato<br />
Vizzaccaro ha parlato sulla «Iconologia di S. Benedetto in<br />
Italia» esaminando nei vari affreschi del Medio Evo italiano l'aspetto<br />
fisico del padre del monachesimo occidentale.<br />
Il dotto Nuzzo nel riassumere i lavori, ha messo in risalto il<br />
contributo organizzativo del Cav. Antonio Peruzza, autore fra l'altro<br />
di ricerche sul dialetto ciociaro e della sig.na Lilli Pacilli.<br />
Il direttore generale degli Archivi di Stato, prof. Lombardi si è<br />
compiaciuto delle iniziative prese dal Centro di Studi Storici assicurando<br />
il pieno appoggio alle opportune iniziative prese dal Dott.<br />
Nuzzo e dai suoi collaboratori e dando appuntamento al 3° Convegno<br />
di Studi. D. Raffaele Scaccia, ringraziando i presenti a nome dell'Abate,<br />
ha auspicato una più stretta collaborazione tra monaci e laici per la<br />
soluzione dei più assillanti problemi della società contemporanea.<br />
4. ABBAZIA DI CASAMARI<br />
28-30 Settembre: Ufficio catechistico diocesano<br />
L. Sergio<br />
Sempre nella Sala del Collegio S. Bernardo dell'Abbazia di Casamari<br />
si sono tenute due giornate di Studio organizzate dall'Ufficio catechistico<br />
diocesano (Veroli-Frosinone).<br />
Il 28 Settembre dopo la relazione di Fratel Mansueto Guarnacci<br />
del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, sul tema «Documento<br />
di base - Il rinnovamento della catechesi italiana », si sono avuti<br />
per tutto il resto della giornata gruppi di studio per puntualizzare la<br />
situazione ed offrire eventuali conclusioni.<br />
Il 30 Settembre dopo la relazione del Rev.do D. Giovanni Di<br />
Michele sui « Nuovi metodi di insegnamento della religione nelle scuole<br />
italiane» si sono formati nuovi gruppi di studio per venire incontro<br />
con opportuni suggerimenti alla richiesta formulata dal Clero nella riunione<br />
del giugno scorso.<br />
5. ROMA, CASA GENERALIZIA DELL'ORDINE CISTERCENSE<br />
Associazione S. Benedetto Patrono d'Europa<br />
Nei primi giorni d'ottobre 1970, nella Casa Generalizia dell'Ordine<br />
cistercense, è stata tenuta la riunione assembleare dell« Associazione<br />
S. Benedetto patrono d'Europa ».<br />
- 236-
È noto che la predetta Associazione ha avuto origine dal discorso<br />
che Paolo VI pronunciò il 24 ottobre 1964 nell'Abbazia di Montecassino,<br />
ove il Santo Fondatore del Monachesimo occidentale fu proclamato<br />
celeste patrono di tutta l'Europa. Di quell'Europa cristiana,<br />
alla quale molto deve la civiltà, e che faticosamente le anime più<br />
elette tentano di unire. Le basi di uno statuto dell'« Associazione S.<br />
Benedetto Patrono d'Europa» furono gettate soltanto nel 1968 attorno<br />
ad un Vescovo, tre Abati generali e l'Abate di un monastero.<br />
Nel 1969, a seguito di autorevoli adesioni, si ebbe una elaborazione<br />
approfondita dello statuto stesso; finalmente il 16 giugno 1970<br />
l'Associazione aveva la possibilità di erigersi in forma ufficiale. Il<br />
Comitato d'onore è presieduto dal Cardinale Hoeffner, Arcivescovo<br />
di Colonia, il Presidente è Mons. Guido Bentivoglio, Arcivescovo di<br />
Catania, mentre i due Vice-Presidenti sono Mons. Rupp, Vescovo di<br />
Monaco Principato, ed il P. Abate Sigardo Kleiner, Generale dell'Ordine<br />
dei <strong>Cistercensi</strong>. Il Segretario Generale è Dom Jean Roy, Abate di<br />
Notre Dame de Fontgonbault, mentre la sede sociale è ospitata nella<br />
Abbazia cistercense di Hauterive (Altaripa). in Svizzera.<br />
Il compito dell'Istituzione è di promuovere lo sviluppo della civiltà<br />
cristiana in un'Europa spiritualmente unita, di seguire cioè le<br />
orme dei predecessori benedettini, inserendo il loro esempio ed il<br />
loro insegnamento nell'attuale contesto storico.<br />
I vari punti del programma sono orientati in due direzioni: la<br />
prima riguarda la parte spirituale, la seconda il rapporto con il mondo<br />
esterno.<br />
Per la prima direzione si vuole principalmente mantenere alta la<br />
purezza della Fede e delle tradizioni cattoliche, con la filiale e fiduciosa<br />
obbedienza al Papa e con lo spirito dei Dottori, «in primis »<br />
S. Tommaso d'Aquino, educato a Montecassino con spirito tipicamente<br />
europeo. Per la seconda si esprime un desiderio di più viva partecipazione<br />
alla vita degli uomini, con lo sviluppo di scuole cattoliche e<br />
con la penetrazione nel mondo operaio e contadino. Il tutto sarà attuato<br />
in un clima di spirito ecumenico e missionario. Quest'anno,<br />
come abbiamo detto, si è svolta, ai primi di Ottobre, la prima riunione<br />
assembleare che verrà ripetuta annualmente l'l ed il 2 ottobre<br />
a Roma, presso la Casa Generalizia dell'Ordine Cistercense.<br />
Sono state interessanti le cose dette in questa prima riunione,<br />
ma noi riferiamo qualcosa solo sulle relazioni dei <strong>Cistercensi</strong>.<br />
- 2.37 -
In apertura del Convegno, Mons. Bentivoglio iniziava la sua prolusione<br />
in latino: con parole commosse salutava e ringraziava i Cardinali<br />
presenti, e, fatta una sintesi sull'origine dell'Associazione, ne<br />
commentava. gli scopi, che trovano la loro unica e profonda radice<br />
nelle parole del S. Padre su S. Benedetto «che cementò quell'unità<br />
spirituale d'Europa in forza della quale popoli divisi sul piano linguistico,<br />
etnico e culturale avvertirono di costituire l'unico Popolo di<br />
Dio; unità che, grazie allo sforzo costante di quei monaci che si misero<br />
al seguito di si insigne Maestro, divenne la caratteristica distintiva<br />
del Medio Evo ».<br />
L'Abate Generale Kleiner insisteva quindi sulla necessità della<br />
preghiera, concetto fondamentale della Regola di S. Benedetto, riconoscendo<br />
cosi la trascendenza di Dio, oggi tanto posta in dubbio;<br />
trascendenza che tutto il sistema educativo della Regola benedettina<br />
mette fortemente in rilievo ai fini della formazione del monaco - e<br />
dell'uomo - nel giusto apprezzamento di se stesso e nella valorizzazione<br />
della sua autentica identità.<br />
6. CIVITELLA CASANOVA, 26-27 SETTEMBRE 1970<br />
Civitella Casanova, nel pescarese, sembrava sempre più lontana<br />
al P. Abate di Casamari, a D. Anselmo, a D. Benedetto e a D. Guglielmo,<br />
partiti da Casamari senza studiare bene il percorso. Dopo la<br />
« gincana » della Valle Roveto splendida di ombre nel suo verde profumato,<br />
ci attendeva il Fucino in un tripudio di sole e di campi ingialliti.<br />
Abbiamo visto Celano dominata da un enorme castello: Celano,<br />
la cui gente canta ancora in un latino molto approssimato il «Dies<br />
irae » del suo illustre poeta Tommaso. Quindi abbiamo sfiorato Capestrano,<br />
patria di un santo del quale, oggi, si conosce per lo più solo<br />
il nome: San Giovanni da Capestrano. La scalata a Forca di Penne<br />
fu durissima per l'automobile, s'intende, ma inebriante per noi.<br />
Finalmente raggiungemmo la prima tappa del nostro itinerario:<br />
Vicoli, dove il parroco ci accolse con cortesia tutta abruzzese. Li,<br />
prima sorpresa: da Civitella ci vengono incontro, freschi e giulivi,<br />
due confratelli della Certosa di Firenze, il rag. Santedicola, promotore<br />
della manifestazione e il sig. Cesarino Granchelli di Civitella.<br />
Con essi percorriamo i sette chilometri che ancora ci separano<br />
da Civitella, dove le autorità civili e il parroco-abate D. Umberto Di<br />
- 238-
Giacomo ci attendono con un cospicuo gruppo di cittadini, ansiosi di<br />
sapere «che cosa» fossero i cistercensi. Numerosi striscioni ci salutano<br />
lungo le strade: «Ben tornati a Civitella », «Viva l'Abate dei<br />
<strong>Cistercensi</strong> », «Civitella saluta i monaci di Casa mari ».<br />
All'ingresso del paese, davanti alla chiesa cinquecentesca della<br />
Cona, il Sindaco ci rivolge un breve saluto, e l'abate di Casamari nngrazia<br />
precisando i motivi della visita.<br />
Ci si reca quindi presso il Monumento ai Caduti di Civitella, dove<br />
il vicesindaco Prof. Antonio Di Clemente e il rag. Nicola Santedicola<br />
depongono una corona, e il P. Abate recita le preci di rito intercalate<br />
dai canti liturgici eseguiti dalla «Schola» parrocchiale. Dal<br />
piazzale del Monumento si forma un lungo corteo di automobili che<br />
si dirige verso i ruderi dell'antica abbazia. Aggrappata ad un pendio<br />
roccioso, in uno scenario fiabesco di montagne eterne, l'abbazia presenta<br />
ancora nelle sue rovine, rese misteriose dall'ora crepuscolare, i<br />
segni dell'antica grandezza. L'interesse non è dei soli monaci, competenti<br />
in architettura, ma di tutto il popolo che si sente onorato e<br />
lieto di poterei accompagnare nella «sua» abbazia. I ragazzi che già<br />
ci conoscono per nome, si arrampicano su una vecchia torre che domina<br />
la valle e gridano a gran voce: «Padre Anselmo! Padre Anselmo!<br />
», lieti solo di essere visti e salutati amichevolmente. Uno di essi<br />
legge anche una poesia di un poeta civitellese: quasi un pianto sulle<br />
rovine e un desiderio struggente di resurrezione.<br />
Ci salutiamo quindi C011 la gente di Villa Celiera e di Vestea,<br />
che per l'occasione è scesa ad incontrare gli amici-nemici di Civitella,<br />
e a stipulare con essi un definitivo trattato di pace.<br />
La mattina seguente, domenica, aria di gran festa per le vie<br />
cittadine, con volti nuovi di gente semplice venuta dalle campagne e<br />
dai monti. Don Anselmo celebra un matrimonio e fa commuovere<br />
gli sposi. Quindi, per la solenne concelebrazione si forma un corteo<br />
dalla casa parrocchiale alla chiesa gremita di gente che nel suo commosso<br />
stupore è rimasta ordinata e composta. Il meraviglioso organo<br />
della chiesa parrocchiale accoglie i concelebranti con un «allegro<br />
maestoso» di Haendel, cui segue il canto gregoriano dell'antifona<br />
dell'Introito, eseguita dagli stessi concelebranti. All'omelia il P. Abate<br />
illustra diffusamente il significato della nostra visita a Civitella: stabilire<br />
contatti di amicizia fra i cistercensi di Casamari e i civitellesi<br />
per un concreto reciproco aiuto. D. Benedetto legge quindi da una<br />
enorme pergamena il testo seguente:<br />
- 239-
L'Abate Presidente Generale<br />
della Congregazione di Casamari<br />
del Sacro Ordine Cistercense<br />
Alle autorità civili e religiose<br />
e a tutto il nobile popolo di<br />
Civitella Casanova<br />
Salute nel Signore.<br />
Consapevoli della particolare venerazione che VOI tutti nutrite<br />
verso il nostro sacro Ordine Cistercense.<br />
Memori dello speciale affetto e devozione e dei molteplici legami<br />
spirituali e di 1avoro che per tanti secoli hanno unito le sorti della<br />
vostra comunità civile alle sorti della comunità monastica dell'Abbazia<br />
di Casanova,<br />
Consci delle particolari relazioni di stima, e di aiuto vicendevole<br />
che per secoli sono intercorse tra la vostra Abbazia di Casanova e la<br />
nostra Abbazia di Casamari,<br />
Auspicando in questa storica e solenne giornata che gli antichi<br />
rapporti di solidarietà umana e di cristiana carità fra il venerabile<br />
Ordine Cistercense e i cittadini di Civitella Casanova siano ripristinati<br />
ed abbiano per il futuro nuovo impulso e nuovo vigore,<br />
Dichiariamo che i cittadini di Civitella Casanova, in segno di<br />
singolarissimo privilegio e a testimonianza del particolare affetto che<br />
per essi nutriamo, sono spiritualmente affiliati al nostro venerabile<br />
Ordine Cistercense, divenendo cosi partecipi, in vita e in morte, dei<br />
meriti di ogni esercizio di penitenza e di pietà che con l'aiuto di Dio<br />
si compie e si compirà nel nostro Ordine.<br />
Invitiamo il caro popolo civitellese a rendersi meritevole di questo<br />
privilegio con l'esercizio di una coerente vita di fede cristiana, sotto<br />
la protezione di Maria Santissima, speciale patrona dell'Ordine Cistercense.<br />
Esortiamo quindi i cittadini di Civitella Casanova ad alimentare<br />
questo sodalizio con i monaci dell'Ordine attraverso una costante<br />
preghiera che li veda uniti tutti insieme di fronte a Dio nella reciprocità<br />
di un sentimento di fratellanza spirituale.<br />
Civitella Casanova, 27 settembre 1970.<br />
240 -
La pergamena, sottoscritta dall'Abate, dal parroco, dai monaci,<br />
dal sindaco e dalle altre autorità presenti, viene quindi firmata da<br />
centinaia di cittadini che vogliono cosi perpetuare il loro nome su<br />
questo singolare documento. Fra i tanti episodi ci piace ricordare il<br />
più umile, quello di una anziana donna del popolo, Maria Domenica<br />
Sablone, che si fa largo tra la ressa, si accosta al tavolo dove è spiegata<br />
la pergamena e dice: «Nella mia vita ho fatto tante croci perché<br />
non so né leggere né scrivere ma questa volta accanto alla croce<br />
voglio che ci sia anche il mio nome», e pregò una compiacente signora<br />
che le era accanto di scrivere il suo nome.<br />
I fedeli non nascondono nel loro immobile silenzio il profondo<br />
senso di commozione che li pervade: alcuni forse non capiscono bene,<br />
ma tutti avvertono che si tratta di un raro privilegio loro concesso.<br />
Come segno di particolare amicizia, l'abate di Casamari ha donato alla<br />
Chiesa parrocchiale due preziose casule e altri arredi sacri. Il parroco<br />
ha ringraziato a nome dei civitellesi per tanta generosità ed ha promesso<br />
l'impegno da parte di tutti a voler continuare ed accrescere lo<br />
spirito di amicizia e di solidarietà coi cistercensi.<br />
Nel pomeriggio arriva puntualissimo il Vescovo di Penne-Pescara,<br />
Mons. Jannucci, accolto sul sagrato della Chiesa dall'abate, dal parroco,<br />
dal sindaco e dai monaci. Si va quindi nel palazzo del comune, dove<br />
nell'aula dell'Assemblea, il Sindaco prof. Vincenzo Del Colle, con parole<br />
brevi ed incisive esprime la gratitudine della cittadinanza ai monaci<br />
bianconeri e offre loro un pannello di legno intarsiato con gli stemmi di<br />
Civitella, di Vestea e di Villa Celiera, opera espressamente eseguita da<br />
un artista locale: Sablone Pierino. Segue quindi la perfetta rievocazione<br />
storica dell'abbazia di Casanova, letta dal Vicesindaco prof. Galileo Cirone,<br />
informatissimo e preciso. Anche il Vescovo di Penne-Pescara<br />
ricorda le abbazie di Casanova, di Arabona, di S. Maria di Tagliacozzo,<br />
che fiorirono in Abruzzo come centri di vita spirituale e fari di civiltà;<br />
auspica il ritorno dei cistercensi nella sua cara terra di Abruzzo ed augura<br />
ai giovani padri presenti di essere i futuri superiori delle risorte<br />
abbazie.<br />
Don Benedetto legge quindi il discorso ufficiale dei cistercensi, che<br />
ci piace riportare per intero:<br />
« La presenza di noi monaci dell'abbazia di Casamari qui a Civitella<br />
ha suscitato la curiosità di molte persone sull'origine e sull'attività dei<br />
cistercensi. La vostra cara terra d'Abruzzo, cosi ricca un tempo di floride<br />
abbazie, non è più abitata dai monaci bianchi.<br />
Molti monasteri fiorirono in questa nobile regione, testimoni di<br />
- 241 -
una gloria passata. Ma se Casanova e altre abbazie sono oggi ruderi e<br />
monumenti vuoti, l'ordine cistercense è sempre vivo e valido. Siamo ridotti<br />
in numero, ma non vi è continente che non abbia più di un monastero<br />
cistercense: tutte le crisi, interne od esterne, che hanno travagliato<br />
la Chiesa in generale e il monachesimo in particolare non sono<br />
riuscite a far scomparire questo ordine, che ha ormai quasi nove secoli<br />
di storia. Se una istituzione ha potuto resistere cosi a lungo, significa<br />
che oltre al divino volere, 'c'è stata una solida organizzazione di base che<br />
l'ha reso sempre attuale ed efficiente.<br />
Ma eccovi a larghe linee la nostra storia.<br />
In Borgogna, nell'anno 1098. in un monastero benedettino chiamato<br />
Molesme, l'abate Roberto, tormentato dal desiderio di maggior<br />
perfezione, aspira a ristabilire l'equilibrio scomparso tra preghiera e<br />
lavoro, cosi saggiamente disposto nella «Regula Monasteriorum» di<br />
San Benedetto. Si ritira perciò con ventuno confratelli in un luogo solitario<br />
e malsano chiamato Citeaux, Cistercio, presso Dijon. Il «novum<br />
monasterium » che ha dato origine al nome che portiamo, rappresentò<br />
cosi uno sforzo di ritorno alla purezza originale della Regola benedettina,<br />
al di là di ogni interpretazione e inflessione apportata dai secoli.<br />
Povertà, penitenza, solitudine formarono le basi del nuovo monastero.<br />
I primi <strong>Cistercensi</strong> erano convinti di aver ritrovato la sorgente,<br />
l'acqua pura delle origini. Si disse che essi erano i « puritani della regolarità<br />
». Per riprendere la felice espressione di Papa Giovanni, si può<br />
dire che essi intrapresero l'aggiornamento della vita benedettina, cosi<br />
rispettata e compromessa insieme, in un'epoca in cui l'idea di perfezione<br />
cristiana era inconcepibile al di fuori del chiostro.<br />
A Roberto, rientrato a Molesme per ordine di Urbano II, successe<br />
dapprima Alberico che consolidò la comunità, poi Stefano Harding, genio<br />
pratico, e inglese per di più, che amò « la regola e il luogo ». (Amator<br />
regulae et loci). Roberto, Alberico, Stefano, i tre «frati ribelli »,<br />
ringiovanirono arditamente l'istituzione più importante del loro tempo<br />
e della Chiesa d'allora: la vita monastica d'Occidente. Stefano fu il<br />
«Solone della nuova repubblica », l'autore della carta di fondazione<br />
dell'ordine, la famosa «Charta charitatis» che stabill un sistema di<br />
controllo dell'abbazia madre sulle filiali, basato più sul legame della<br />
carità che sulla centralizzazione giuridico-amministrativa.<br />
Stefano ebbe la gioia e l'insigne privilegio di ammettere nel suo<br />
monastero, in un momento particolarmente difficile, il giovane Bernardo<br />
di Fontaine, accompagnato da altri trenta nobili borgognoni. Bernardo,<br />
genio universale, sarà il dominatore del suo secolo. Al suo confronto,<br />
- 242-
Federico Barbarossa, i re di Francia e di Castiglia, Sugeri di Brabante<br />
e persino i papi Innocenzo II ed Eugenio III sembrano figure tenui ed<br />
evanescenti. Bernardo era dotato di una eloquenza travolgente: «Anche<br />
se tuo padre dovesse stendersi sulla soglia della tua casa, se tua madre<br />
coi capelli sparsi e i vestiti a brandelli dovesse mostrarti il seno che ti<br />
allattò e il tuo nipoti no si attaccasse al tuo collo, passa sul corpo di tuo<br />
padre e su quello di tua madre e cammina. Senza tirar fuori una lacrima,<br />
vola verso lo stendardo della Croce. In simili casi il più alto<br />
grado di pietà filiale significa essere crudeli col Cristo ». Dietro l'esempio<br />
di Bernardo, giovani di ogni condizione e paese - compresa l'Irlanda,<br />
dove mai nessun benedettino aveva messo piede - affluirono<br />
a Citeaux, sedotti dall'eterno fascino che un programma radicale esercita<br />
sugli animi di forte tempra.<br />
Lo sviluppo dell' Abbazia segui una stupenda progressione. Dal<br />
1113 al 1115 quattro fondazioni videro la luce: La Ferté, Pontigny,<br />
Clairvaux e Morimond. Queste abbazie, a loro volta feconde, diedero<br />
origine a numerose altre filiali organizzate dalla « Carta della carità ».<br />
Alla morte di Stefano Harding, l'Ordine contava 73 abbazie; alla morte<br />
di S. Bernardo (1153), il numero era già di 343. Alla fine del medioevo<br />
si raggiunge la straordinaria cifra di 742 monasteri, sparsi<br />
in tutto il mondo cristiano, dal Portogallo alla Russia, dalla Scandinavia<br />
alla Sicilia, alla Siria. Si può dire che l'Europa tutta fosse<br />
cistercense.<br />
In Italia i <strong>Cistercensi</strong> vennero introdotti da S. Bernardo e<br />
si diffusero presto in tutta la penisola. Tra le prime abbazie ricordiamo<br />
quella di Fossanova e quella di Casamari.<br />
In Abruzzo fu proprio Casanova ad accogliere i primi monaci<br />
provenienti dalle Tre Fontane di Roma (1195). L'abbazia organizzata<br />
e disciplinata fin dal1e origini fondò nella prima metà del sec. XIII<br />
altri monasteri, tra i quali Ripalta nelle Puglie, S. Spirito d'Ocre, e<br />
Santa Maria nelle Isole Tremiti. I <strong>Cistercensi</strong> di Casanova, da tutti<br />
stimati per la fedeltà agli impegni, meritarono la fiducia delle città<br />
vicine che affidarono loro delicate mansioni come la custodia delle<br />
chiavi della città, dei depositi delle armi, dei pubblici sigilli, la sovrintendenza<br />
della cancelleria e la cura delle fortificazioni.<br />
Il periodo di splendore di Casanova continuò fino al sec. XIV.<br />
Tempi meno felici furono causati dal trasferimento della sede papale<br />
ad Avignone, dal grave scisma d'Occidente che tanto afflisse la Chiesa,<br />
oltre che dalla generale crisi religiosa del Rinascimento. L'istituzione<br />
della Commenda accrebbe per Casanova, come per tutte le abbazie, di-<br />
- 243-
sordini e soprusi. Dopo il Concilio di Trento, per lo sforzo unanime<br />
dei religiosi di buona volontà e per l'insistenza dei Pontefici che<br />
miravano alla riforma della Chiesa, si sensibilizzò lo spirito di solidarietà<br />
fra i monasteri che stavano rischiando l'isolamento e, di conseguenza,<br />
la fine. In questa felice prospettiva di unione nacquero le<br />
congregazioni monastiche. Dopo lunghe e laboriose trattative Gregorio.<br />
XV ratificò nel 1623 la creazione della Congregazione Romana, di<br />
cui facevano parte Casamari, Casanova, Fossanova e altri monasteri<br />
del Lazio e dell'Abruzzo. Ebbero inizio così le relazioni fra Casamari<br />
e Casanova che durarono un secolo e mezzo circa. Durante questo<br />
tempo si intrecciarono scambi materiali e aiuti spirituali con generosa<br />
carità da ambo le parti. Casanova decadde e finì solo quando, per cause<br />
non ancora ben precisate, l'abbazia rimase isolata sia da Casamari che<br />
dalla congregazione calabro-lucana, alla quale era stata in seguito unita.<br />
Dopo un assenza così lunga i <strong>Cistercensi</strong> tornano oggi tra voi,<br />
non in veste di semplici e compiaciuti turisti, ma con scopi e intenzioni<br />
ben definite. Vi facciamo notare intanto che i <strong>Cistercensi</strong> sono<br />
duri a morire. «Comme les chènes les moines sont éternels », diceva<br />
Lacordaire: «I monaci sono eterni come le querce ». La fiamma ac- -<br />
cesa da Roberto a Citeaux non è ancora spenta, e il messaggio di<br />
Bernardo ci sembra più valido che mai: «Abbandono, umiltà, povertà<br />
volontaria, obbedienza, ma anche gioia e pace nello Spirito Santo ».<br />
Questa gioia e questa pace vorremmo comunicare a voi, cari<br />
Civitellesi, e ristabilire i vecchi legami di amicizia. La solidarietà che<br />
unì Casamari e Casanova per superare, con il reciproco aiuto, disagi<br />
e incertezze, deve rinascere ancora. Oggi più che mai noi <strong>Cistercensi</strong><br />
abbiamo la certezza di poter dire «qualcosa di nuovo e di antico»<br />
al mondo: e nella nostra meravigliosa esperienza monastica ci sembra<br />
di essere insostituibili. La ricerca più profonda di ogni essere umano,<br />
è una avventura che talvolta ci esalta e talvolta ci lascia sgomenti, ma<br />
rende straordinariamente divina la nostra esistenza. Vi confessiamo<br />
tuttavia che non siamo dei purosangue dell'ascetica cristiana: abbiamo<br />
cercato di inserirei nella società che ci circonda, prestando la nostra<br />
opera civilizzatrice e pacifica tra gente di ogni condizione e razza,<br />
con tutta semplicità ma con la massima determinazione.<br />
Venite a Casamari e vi renderete conto che i <strong>Cistercensi</strong> non<br />
sono pezzi da museo, ma è gente più viva che mai. Potrete ammirare<br />
una splendida abbazia che è uno dei capolavori dell'arte medioevale<br />
meglio conservati in Italia. Potrete rivivere forse, per alcune ore, nel-<br />
- 244-
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l'atmosfera in CUI VIssero i vostri antenati. Vi sembrerà insomma di<br />
essere un po' a casa vostra.<br />
Vi ringraziamo per averci accolti con onore e con affetto e vi preghiamo<br />
di invitarci ancora. Siamo ansiosi di farci maggiormente conoscere<br />
non solo nella nostra particolare veste bianconera, ma nella<br />
nostra vita, negli ideali che ci muovono e nella gioia che ci caratterizza.<br />
È quanto vi possiamo dare. Crediamo però che sia il meglio<br />
di noi stessi. Ma anche noi abbiamo bisogno del vostro aiuto. Non<br />
fraintendetemi. Siamo qui non per far raccolta di denaro o di viveri<br />
da devolvere per il bene del nostro monastero. Né ci servono abbazie<br />
abbandonate o immense tenute per la costruzione di chiese o di case<br />
religiose. Vi chiediamo di più: ci serve che qualcuno di voi abbia il<br />
coraggio di lasciare tutto per diventare cistercense. Vedete, non occorrono<br />
molte qualità: direi che basta la salute e molta buona volontà,<br />
oltre naturalmente all'invito da parte di Dio. Chissà quanti giovani<br />
hanno già sentito quest'attrattiva verso l'Assoluto, verso una vita<br />
più alta e un ideale più puro. Chiedete al Signore il dono della vocazione<br />
per voi e per le persone a voi care che ritenete adatte a questa<br />
vita. Siate sicuri che sarà un guadagno per tutti.<br />
E se veramente questo nostro desiderio dovesse realizzarsi, allora<br />
si che potremmo lavorare insieme con piani concreti per il bene<br />
di questa regione. Perché il mondo, nonostante il progresso e il benessere<br />
materiale, ha bisogno soprattutto di collaborazione e di amore.<br />
Da oggi vi consideriamo nostri veri amici e siamo certi che anche<br />
voi ci onorerete della vostra amicizia. E ognuno di voi possa ripetere<br />
nelle immancabili prove della vita la frase del re Filippo Augusto<br />
nella notte della battaglia di Bouvines: «So che i miei amici <strong>Cistercensi</strong><br />
sono in piedi e pregano per me ».<br />
Prende quindi la parola il rag. Nicola Santedicola che di queste<br />
rare giornate è stato il promotore e il mecenate. Appassionato e nostalgico<br />
figlio di Civitella residente a Firenze, egli ricorda gli anni<br />
quando fanciullo andava «a rubbà le cerasa a Do' Beniamino »; ed<br />
esprime concretamente il suo amore ai Civitellesi istituendo una borsa<br />
di studio per un ragazzo povero e meritevole, che sarà scelto da una<br />
apposita commissione locale. L'abate di Casamari, da parte sua, risponde<br />
al nobile gesto offrendo anch'egli una borsa di studio per un<br />
altro ragazzo di Civitella. I due candidati prescelti frequenteranno il<br />
corso completo di studi dal quarto ginnasio al terzo liceo classico nel-<br />
- 245-
l'Istituto-Convitto parificato che i monaci dirigono nell'abbazia di<br />
Casamari.<br />
A conclusione della serata, sono state proiettate e commentate<br />
da D. Anselmo e da D. Benedetto alcune serie di diapositive delle abbazie<br />
cistercensi di Casamari, di Piona (Como) e di Chiaravalle della<br />
Colomba (Piacenza) e delle Certose di Trisulti (Frosinone), Firenze<br />
e Pavia.<br />
La solenne funzione di ringraziamento, officiata dall'abate di Casamari,<br />
ha completato il vasto e vario programma delle «giornate civitellesi<br />
».<br />
7. CONGREGAZIONE DI CASAMARI<br />
Come annunciato nel n. 3, pago 139 di «Notizie <strong>Cistercensi</strong> »,<br />
durante la scorsa estate si è svolta l'ultima parte del Capitolo Generale<br />
Speciale della Congregazione di Casamari.<br />
I lavori iniziati il 14 luglio sono terminati il 12 settembre, con<br />
una breve interruzione dal 13 al 23 agosto.<br />
Questa parte finale del Capitolo Speciale voluto dal Concilio Ecumenico<br />
Vaticano Secondo, è stata la più lunga e laboriosa. In essa si<br />
son trattati molti problemi interessanti la Congregazione, e sono state<br />
prese decisioni che con l'aiuto di Dio si spera influiscano positivamente<br />
sulla vita monastica dei nostri monasteri, e possano produrre frutti<br />
copiosi di santità nell'animo dei singoli religiosi spronandoli a perfezionare<br />
di giorno in giorno il dono di se stessi al Signore.<br />
Mentre ci ripromettiamo di trattare ampiamente nei prossimi numeri<br />
qualcuno fra gli argomenti più interessanti, questa volta ci limitiamo<br />
a dare l'elenco (non del tutto completo) delle questioni dibattute<br />
in Capitolo.<br />
1 - Governo della Congregazione:<br />
a) Capitolo della Congregazione;<br />
b) Il consiglio maggiore della Congregazione;<br />
c) L'Abate Preside della Congregazione;<br />
2 - Governo dei Monasteri;<br />
3 - Dichiarazione sulla fisionomia e funzione della Congregazione di<br />
Casamari;<br />
4 - Clausura, raccoglimento, silenzio;<br />
- 246-
5 - Formazione dei candidati:<br />
a) postulantato;<br />
b) noviziato;<br />
c). chiericato;<br />
6 - Conferenze capitolari e capitolo delle colpe;<br />
7 - L'attività missionaria della Congregazione;<br />
8 - L'attività pastorale nelle parrocchie e in altri campi specializzati;<br />
9 - L'orario monastico in rapporto specialmente al lavoro dei monaci;<br />
lO - Gli strumenti della comunicazione sociale nell'uso dei monaci;<br />
Il - Nuovi esperimenti nella celebrazione dell'Ufficio divino;<br />
12 - L'abito monastico, nomi e appellativi dei monaci;<br />
13 - Problemi economici, specialmente in rapporto alla costituzione di<br />
un fondo comune della Congregazione;<br />
14 - Elezione del Consiglio Maggiore e dell'Economo Generale;<br />
15 Elezione della commissione degli studi;<br />
16<br />
Elezione<br />
stituzioni.<br />
della commissione incaricata della revisione delle Co-<br />
8. POLONIA<br />
Il rev.mo P. Benedetto Matejkiewicz, Abate di Wachock (Polonia).<br />
e Preside della Congregazione cistercense polacca ha celebrato il venticinquesimo<br />
della Sua consacrazione sacerdotale il 30 agosto U.S., con<br />
una solenne celebrazione eucaristica nella chiesa abbaziale di Szczyrzyc,<br />
sua città natale.<br />
Per la lieta ricorrenza Egli aveva invitato in Polonia l'Abate<br />
Preside di Casamari ed altri confratelli italiani ai quali è legato da<br />
amicizia fraterna.<br />
I confratelli italiani, trattenuti dai lavori del Capitolo Generale,<br />
non hanno potuto raccogliere il gentile invito. Ma uniti spiritualmente<br />
a lui, hanno ringraziato il Signore in unità di cuori ed hanno pregato<br />
perché al rev.mo abate Matejkiewicz siano concessi ancora lunghi anni<br />
di fervido lavoro per il bene della sua Congregazione e di tutto il<br />
caro popolo polacco.<br />
La redazione e tutta la famiglia di «Notizie <strong>Cistercensi</strong>» partecipa<br />
con animo sincero e fraterno.<br />
- 247
1. L'Innografo [ared<br />
Il monachesimo in Etiopia *<br />
Occorre notare innanzi tutto che la personalità di Jared oscilla<br />
tra il vero e il leggendario. La tradizione etiopica vede in lui il padre<br />
della innografia e l'iniziatore dei canti sacri. È venerato come santo nella<br />
chiesa etiopica. Visse nel secolo VI. Fu cresciuto ed istruito da un suo<br />
parente di nome Gedeone e raggiunse il sacerdozio. Una leggenda riferisce<br />
che, rapito in estasi, udì ed apprese le melodie dei Serafini<br />
che poi ripeté nella chiesa di Aksum davanti alla gerarchia e ai fedeli.<br />
Gli inni sacri di Jared sono raccolti in un grosso volume che si<br />
chiama « Digguà» e sono fondamentali per la conoscenza della liturgia<br />
etiopica. I modi musicali del canto attribuiti a Jared sono di tre<br />
specie: Gheez, Ezl e Ararai, che furono trasmessi per tradizione orale.<br />
Solo nel secolo XVI si procedette ad una specie di trascrizione ortografica.<br />
Il canto originato da Jared è accompagnato dal suono dei sistri<br />
e da danze originali, giunte fino ai nostri tempi.<br />
II. Il periodo oscuro dell'Etiopia<br />
Verso la fine del primo millennio dell'era cristiana, l'Etiopia precipita<br />
in una spaventosa crisi. Le ragioni sono politico-religiose.<br />
Nella parte orientale della nazione, verso il Mar Rosso, si registrò<br />
una marcata penetrazione musulmana. I Maomettani divennero padroni<br />
di tutta la zona costiera, anche se col versamento di particolari tributi<br />
riconoscevano la loro dipendenza dall'Etiopia cristiana. Tuttavia<br />
venne a mancare ai cristiani l'egemonia marittima che avevano goduto<br />
durante il periodo Aksumita, con il conseguente isolamento e la mancanza<br />
di comunicazioni con gli altri popoli dell'estremo Oriente. Solo<br />
gli sporadici contatti con la sede Alessandrina ed i pellegrinaggi in Terra<br />
Santa ci hanno conservato notizie frammentarie di questo sfortunato<br />
periodo.<br />
Le vicende più deplorevoli si verificarono però, con maggiori disastri,<br />
nell'Ovest del paese. Le popolazioni a sud del Nilo Azzurro, presero<br />
l'offensiva sotto la direzione di una crudelissima sovrana. Ciò spiega<br />
l'origine della leggenda della regina Giuditta. Per opera di costei il<br />
(*) Le precedenti puntate sono in Not. Cisto II (1969), fase. 2-3, pp. 46-48 e fase.<br />
4, pp. 40-46.<br />
- 248-
Regno Cristiano etiopico fu raso al suolo. Gli invasori distrussero le<br />
chiese, fecero schiavi i cristiani, crollò la dinastia reggente sostituita in<br />
seguito da quella degli Zaguè.<br />
III. La restaurazione dell'Impero con il contributo dei monaci.<br />
La lunga crisi che afflisse l'Etiopia cominciò a mutarsi in meglio<br />
verso la fine del secolo XIII. Per circa 115 anni, fino al 127 O, il regno<br />
fu nelle mani della dinastia degli Zaguè, ritenuta usurpatrice. Tuttavia vi<br />
furono sovrani di incontrastata rettitudine, tra cui emerse il santo costruttore<br />
delle chiese monolitiche: Lalibelà.<br />
Gli Zaguè erano di origine camitica, di religione ebraica con successiva<br />
propaganda religiosa cristiana. La loro tradizione monarchica<br />
era fondata sulla legge fratriarcale, per cui l'eredità passava dall'uno<br />
all'altro dei fratelli, per risalire infine ai figli del fratello maggiore.<br />
Con i sovrani di questa dinastia, il centro di gravità dello Stato<br />
si spostò nel mezzogiorno, nel Lastà, l'attuale regione del Wollò con<br />
capitale Rohà che poi prese il nome di Lalibelà. Il 1270 segnò la soppressione<br />
degli Zaguè e il ripristino della dinastia precedente. L'autore<br />
della soppressione degli Zaguè fu Jecunnò-Amlak. Egli si reputava discendente<br />
di Salomone e della Regina di Saba, e perciò continuatore dei<br />
sovrani spodestati dagli Zaguè.<br />
Il monachesimo giocò un ruolo di primo piano in questa restaurazione.<br />
L'ascesa dei Salomonidi fu opera e merito di un pio abate:<br />
Jesus Moà, superiore del monastero dell'Isoletta di S. Stefano di<br />
Haik e capo dell'intero monachesimo etiopico. Il sovrano seppe valersi<br />
dei successi dell'abate, al quale assegnò in compenso il terzo dei redditi<br />
delle terre che circondavano il lago.<br />
Una tradizione abbastanza accreditata afferma che il medesimo<br />
sovrano Jecunnò-Amlak stipulasse patti con l'Abate Teclé-Haimanot,<br />
discepolo di Jesus Moà, e cedesse un terzo dello Stato al monachesimo.<br />
Ciò è tramandato nel libro «Beele-Neghest» (= Ricchezza dei Re)<br />
redatto nel secolo XVI.<br />
IV. Crescente Fioritura Monastica<br />
Durante questo periodo l'Etiopia si popolò di monaci. I monasteri<br />
furono arricchiti di immensi possedimenti terrieri e di considerevoli<br />
privilegi. Per merito dei monaci, la Chiesa e lo Stato strinsero un vincolo<br />
di amicizia molto intenso. I monaci moltiplicarono l'attività missionaria<br />
specialmente nelle regioni meridionali e promossero lo studio<br />
- 249-
della letteratura etiopica. Il loro zelo nella predicazione fu un'arma efficace<br />
contro l'irrompente potenza maomettana. In compenso di tutta questa<br />
attività lo Stato fu munifico in tutti i sensi nei confronti del monachesimo.<br />
Le chiese ed i monasteri fondati con il contributo dello<br />
Stato durante questo periodo divennero proverbialmente numerosi.<br />
All'espansione monastica furono legate alcune prerogative e<br />
dignità. Infine alcune turbolente controversie posero fine allo sviluppo<br />
del monachesimo.<br />
Dopo il 1445, per interessamento del Negus Zer'à Jacob la dignità<br />
di Capo del monachesimo etiopico passò dal Wollò allo Scioà,<br />
dal monastero di S. Stefano di Haik a quello di Debré-Libanos.<br />
Al Superiore di Debré-Libanos fu conferita la dignità di Ecceghiè<br />
(che conserva fino ad oggi) e cioè capo del monachesimo etiopico, consigliere<br />
per quanto riguarda la disciplina dei monasteri, e spesso anche<br />
confessore del Sovrano. In pratica fu anche anteposto al vescovo straniero<br />
in questioni religiose. Ottenne perfino uno dei più ambiti onori:<br />
sedere alla destra del sovrano. Ma nel secolo scorso l'Imperatore Teodoro<br />
II restituì al vescovo questo diritto.<br />
Il monachesimo etiopico si distinse fin dal secolo XIV in due grandi<br />
rami: quello meridionale con a capo il monastero di Debré-Libanos;<br />
quello settentrionale patrocinato dall'abate Eustatewos (morto<br />
dopo il 1344). Tra le due correnti si svilupparono violente controversie.<br />
Eustatewos, pur di raccogliere successi nella predicazione tra le<br />
popolazioni Agaw giudaizzanti, credette conveniente adottare alcune<br />
usanze ebraiche. Infatti oltre la domenica fu riconosciuta la festività<br />
del sabato, come presso gli Ebrei. I monaci Scioani, i meridionali, i<br />
figli spirituali di Teclé-Haimanot (morto intorno al 1312) si schierarono<br />
per l'abrogazione del sabato.<br />
La controversia in breve si estese anche tra il popolo che fu propenso<br />
per la riforma di Eustatewos. La questione riemerse nel secolo<br />
successivo sotto il regno del grande Zer'à-Jacob (1434-1468). Anche<br />
questi proclamò l'obbligatorietà del riposo sabatino. Ordinò anche la<br />
proibizione della caccia e altre attività.<br />
V. Il movimento letterario<br />
I promotori<br />
1. Amde-sion I (1314-1344) e il figlio Seife-Ar'ed (1344-1371) furono<br />
i fautori più rinomati della letteratura etiopica nel secolo XIV.<br />
- 250-
La cronaca delle guerre di Amde-sion e la Ghebre-Neghest (= Gloria<br />
dei Re) di cui si parlerà. in seguito, sono tra gli esempi migliori di<br />
questa produzione.<br />
2. Una personalità inconfondibile resta il metropolita egiziano<br />
Abuna Salama che fu vescovo dell'Etiopia per quarant'anni (1350-<br />
1390). Uomo dottissimo, l'Abuna Salama fece di ogni monastero un<br />
centro di studi. Iniziò la revisione della Bibbia tradotta anticamente<br />
dal greco, servendosi della Volgata araba. Promosse anche altre traduzioni<br />
in Gheez. Realizzò una salutare riforma nel clero. Compi grandi<br />
sforzi per sedare e sradicare idee dissidenti che serpeggiavano nei monasteri.<br />
3. Ma uno dei più grandi luminari dell'Etiopia resta il Negus<br />
Zer'à Jacob asceso al trono nel 1434. Egli apprese la vasta cultura all'ombra<br />
dei monasteri: « ... tende ad imporre alla nazione una disciplina<br />
tutta conventuale ». Con la sua ferrea potestà restaurò l'unità politica<br />
e religiosa del paese. Rese obbligatorio l'insegnamento religioso<br />
nei conventi e nelle chiese, pena la fustigazione. Prescrisse 33 feste<br />
mariane. Regolò i digiuni.<br />
Per attendere con calma ai suoi studi scelse una località chiamata<br />
Debré-berhan, presso l'attuale monastero cistercense di M~ndida.<br />
Ha lasciato infine varie opere.<br />
Alcune delle principali opere letterarie<br />
1. Cronaca delle guerre di Amde-sion: L'opera fu composta da un ecclesiastico<br />
vissuto durante il regno di Arnde-sion (1314-1344). L'autore<br />
è testimone oculare delle vicende che racconta. Mostra una buona conoscenza<br />
della S. Scrittura di cui fa buon uso. Probabilmente doveva essere<br />
uno degli «ecclesiastici del campo» che officiavano le cappelle-tende<br />
durante le spedizioni militari.<br />
2. Il Gbebre-Negbest = La Gloria dei Re: Quest'opera fu scritta per<br />
celebrare la gloria della dinastia dei Salomonidi. Fu redatta da Isac,<br />
dignitario ecclesiastico di Aksum, circa quarant'anni dopo l'ascesa dei<br />
Salomonidi, tra il 1314 e il 1322. L'autore ha rielaborato ed unificato<br />
racconti, tradizioni, profezie apocalittiche oralmente tramandate tra i<br />
cristiani dell'Oriente.<br />
Tra le narrazioni che costituiscono il vanto degli Etiopi ricordiamo:<br />
l'incontro della Regina di Saba con Salomone, la nascita del loro<br />
- 251 -
figlio Menelik, il racconto della venuta di Menelik e il trasporto clandestino<br />
dell'Arca dell'Alleanza da Gerusalemme ad Aksum, l'incoronazione<br />
di Menelik re dell'Etiopia.<br />
Il Ghebre-Neghest è un documento di capitale importanza per<br />
la conoscenza dei sentimenti nazionali e religiosi degli Etiopi.<br />
3. Il « Libro dei Misteri del Cielo e della Terra »: Contiene rivelazioni<br />
fatte da un angelo al santo abate Beselote Micael. Ne fu autore il monaco<br />
Isac che si chiama discepolo di Beselote Micael. Queste rivelazioni,<br />
in genere di ordine pedagogico, sono in relazione con i « Libri Segreti»<br />
della Bibbia.<br />
4. La leggenda del profeta Habacuc: la più antica traduzione dall'arabo<br />
in etiopico. Risale al 1293.<br />
5. Il Sinassario: consiste in brevi narrazioni di vite di santi, da leggersi<br />
in ciascun giorno dell'anno. Corrisponde presso a poco al Martirologio<br />
dei Latini. Fu tradotto dall'arabo in etiopico dal monaco egiziano<br />
Simone durante il secolo XIV. In seguito fu rielaborato da autori etiopi<br />
con l'aggiunta delle solennità etiopiche. Secondo gli Etiopisti, grazie<br />
alla rielaborazione, «l'opera ha un originale interesse per la storia<br />
religiosa e civile del paese ».<br />
6. Il Sinodos: È il documento giuridico-religioso della Chiesa alessandrina,<br />
adottato e tradotto dall'arabo in etiopico verso la fine del secolo<br />
XIV. Insieme al Sinodos è conveniente ricordare anche la «Didascalia<br />
» per la sua importanza canonica.<br />
7. Il libro dei Miracoli di Maria = Taammeré Mariam: Cominciò<br />
a formarsi in Occidente fin dal secolo XII. Una di queste raccolte,<br />
compilata probabilmente in francese, fu tradotta in arabo nell'oriente<br />
latino fra il 1237-1289. La versione araba fu accolta dalla Chiesa<br />
copta d'Egitto. Durante il governo dell'imperatore Dawit I (1382-<br />
1411) entrò nella letteratura etiopica. In seguito fu arricchita di altri<br />
racconti tipicamente etiopici. Il Prof. Cerulli che l'ha studiata a<br />
fondo afferma che l'opera «ci conserva importantissime testimonianze<br />
di avvenimenti relativi in modo particolare al secolo XV ed addirittura<br />
brani di opere etiopiche a noi non direttamente pervenute ».<br />
8. Gli atti (Apocrifi) degli Apostoli = Gadla Hawariat: una interessante<br />
collezione tradotta dall'arabo. Un codice che attualmente è a<br />
Parigi fu copiato a Gerusalemme nel 1379.<br />
- 252-
9. I Libri dei Monaci = Mesahifte Menekosat: questa raccolta consta<br />
di tre libri ascetici, fondamentali per la formazione monastica. Sono opera<br />
di tre autori Siri: Giovanni Saba, Isacco di Ninive (entrambi del<br />
secolo VI) e Filosseno di Mabbog, di poco anteriore agli altri due.<br />
La versione etiopica è una traduzione dall'arabo che risale ai secoli<br />
XIV-XV. Infine ricordiamo le opere principali di Zer'à Jacob.<br />
lO. Il libro della luce (Meshafe Berhan) e il Libro della Natività:<br />
(Meshofe Milad): con questi volumi l'autore provvede alla riforma<br />
ecclesiastica. Combatte usi e costumi non conformi al cristianesimo etiopico.<br />
Emana energici decreti e disposizioni contro le pratiche magiche.<br />
Confuta le eresie dei cosiddetti Stefaniti (negatori del culto della Santa<br />
Croce e della venerazione della Madonna) e quella dei Micaeli ti (negatori<br />
della conoscibilità di Dio).<br />
11. Il libro dell'Essenza (Meshafe Bahriy) e la Custodia del Sacramento<br />
(Taaqbo Mestir): racchiudono ordinamenti rigorosi, il primo<br />
circa l'efficacia della Estrema Unzione o Olio degli Infermi, il secondo<br />
sulla cautela nell'amministrare l'Eucarestia.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
CERULLI ENRICO, La Letteratura Etiopica, Milano 1968.<br />
DEI SABELLI LUCA, Storia di Abissinia, Volume I, Ed. Roma ><br />
ABBA BURUK ~OLDEGABER<br />
Cistercense etiopico<br />
anno<br />
XIV.<br />
MONROE]ONES ANDELISABETH, a History of Ethiopia, Oxford 1960,21962, 31965, 41966.<br />
ULLENFORDE'DWARD,The Ethiopians, An Introduction to Country and People, Oxford<br />
1960, 21966, 31967.<br />
- 253-<br />
•
Premessa<br />
La parola è musica<br />
Milioni di uomini, per secoli, si sono affannati in una ricerca<br />
tormentosa, intorno all'etimologia delle parole, facendone risaltare le<br />
sfumature più delicate. Pochi però si sono interrogati circa la « parola »,<br />
questo mezzo preziosissimo di comunicazione che l'Onnipotenza divina<br />
ci ha donato. I filosofi parlano di segno; ma che cosa è questo segno? Il<br />
celebre avvocato Francesco Carnelutti, meditando sul mistero della parola,<br />
così si esprime: «Da sessant'anni io faccio l'avvocato, e questo vuol<br />
dire far uso delle parole, un ponte per colmare la tremenda frattura<br />
che esiste tra uomo e uomo, soprattutto quando uno giudica e l'altro<br />
è giudicato; come mai non mi sarei domandato un giorno: ma che cosa<br />
è dunque questo strumento che il Signore mi ha messo tra le mani?<br />
Naturalmente per arrivare a capirne qualcosa, io dovevo leggere il<br />
Vangelo. Per me non c'è fonte più pura del sapere, che i discorsi del<br />
Cristo. Ora tra codesti discorsi ce ne sono alcuni che rispondono proprio<br />
alla domanda proposta poco fa. La virtù della parola è la virtù<br />
del seme. Cosa nasce da questo seme? Un miracolo. È il miracolo<br />
intuito dal centurione: "Sed dic tantum verbo et sanabitur servus<br />
meus "; il miracolo che il Centurione stesso era capace di operare<br />
quando diceva a uno dei suoi soldati: "va" ed egli andava, " vieni" ed<br />
egli veniva. Come si spiega codesta virtù? Quando il Maestro ha voluto<br />
chiarire a Nicodemo la differenza tra la carne e lo spirito, gli ha<br />
detto: "Lo Spirito non sai né donde viene né dove va, ma ne odi il<br />
suono" » (1). Da quanto ci dice il Carnelutti, ci accorgiamo che non<br />
basta presentare la parola come un segno: bisogna aggiungere che<br />
è un segno sonoro. A questa conclusione, si è arrivati dopo lunghe<br />
e laboriose esperienze.<br />
Parola-musica.<br />
La tecnica moderna, per mezzo di strumenti elettronici, è arrivata<br />
a scomporre le parole lettera per lettera, con una analisi simile a quella<br />
che ha portato alla frattura dell'atomo. Ecco quanto ci dice P. Ernetti<br />
sulla parola: «La parola possiede le qualità sufficienti e necessarie per essere<br />
musica: infatti la parola possiede toni di differente efformazione,<br />
(1) F. CARNELUTTI. Prefazione al Saggio Fonico-musicale di P. Ernetti - Fondazione<br />
G. Cini - Venezia.<br />
- 254-
possiede qualità sonore nei singoli suoni (intensità, altezza e timbro), e<br />
infine possiede la sinteticità melodica polarizzata intorno alla sillaba accentata,<br />
che unisce e fonde in un tutto melodico la parola, dandole non<br />
solo un significato di idea ut sic, ma anche un significato musicale. La<br />
parola, quindi, può essere considerata un perfettissimo microcosmo musicale<br />
e, per ciò stesso, la cellula generatrice della musicalità del discorso,<br />
a conferma di quanto diceva il Capella, che la chiamava seminarium<br />
musices » (2).<br />
L'analisi elettronica ci dice che le vibrazioni di una vocale o consonante<br />
sono del tutto differenti da quelle di un'altra vocale o consonante,<br />
non solo per quanto riguarda il movimento ma anche e soprattutto<br />
per quanto riguarda la differenza numerica caratterizzata da una<br />
varietà di cicli tipici o armonici che formano le varie lettere. Il nostro<br />
orecchio, purtroppo, non riesce a percepire tutti i fattori che concorrono<br />
a formare la fisionomia acustica della singola lettera, ma percepisce<br />
solo il tutto, cioè l'insieme di questi elementi che determinano il<br />
suono. « Noi distinguiamo una vocale o consonante, in quanto differente<br />
da altre, precisamente perché questo determinato fonema è costituito da<br />
altri fonemi; inoltre, importa moltissimo per valutare la musicalità<br />
del singolo fonema componente la parola, sapere perché una vocale<br />
è aperta o chiusa. Fondandomi sulla oscillazione elettronica, credo di<br />
poter dire che una vocale è aperta precisamente perché i suoi periodi<br />
regolari o ciclici sono più numerosi, più ricchi di armonici. La vocale<br />
invece è chiusa perché i periodi regolari e tipici sono meno numerosi,<br />
con pochi armonici. E' interessante notare, ancora, che la durata di una<br />
vocale è in rapporto diretto con l'accentuazione. Infatti nella vocale<br />
accentata si osservano più numerosi i cicli periodici delle vibrazioni» (3).<br />
Da quanto abbiamo ascoltato segue che noi percepiamo una vocale<br />
più o meno lunga proprio per la presenza di cicli periodici più o meno<br />
vibra tori. Questo in qualche modo cercava di spiegare Prisciano<br />
quando diceva che nella parola «Roma» l'accento cade su «Ro »,<br />
poiché «plus sonat». Ora possiamo dire che il singolo fonema,<br />
la singola sillaba, la parola, sono musica e possiedono perfetta musicalità<br />
perché possiedono le prerogative necessarie richieste dal concetto<br />
di musica. Sentiamo ancora ciò che dice P. Ernetti: «Ma, si<br />
dirà, è possibile parlare di musica, e quindi anche di musicalità di un<br />
fonema, di una sillaba, di una parola, quando non sussiste la diversità<br />
(2) P. ERNETTI. Parola-mus-ritmo. Fondazione G. Cini - Venezia.<br />
(3) P. ERNETTI. Parola-mus-ritmo. Fondazione G. Cini - Venezia.<br />
- 255-
tonale delle note? Sta proprio qui, credo, lo sbaglio fondamentale di<br />
coloro che negano la musicalità della parola. Il loro sbaglio cioè, sta<br />
nel falso concetto che hanno della musica. Credono che non sussista<br />
musica se non per la presenza di successione di note a intervalli più<br />
o meno congiunti. Ma non è cosi. Musica è successione di vibrazioni<br />
sonore disposte in movimento ordinato mediante le qualità fisiche del<br />
suono, e come tali percepite dal nostro orecchio e dalle nostre facoltà<br />
psichiche e intellettive» (4). Dopo tutto ciò che si è detto avanti, è<br />
chiaro che le parole posseggono un significato melodico. Nel parlare<br />
abbiamo una alternanza sonora e musicale dataci da elementi formanti<br />
sillabe accentate che posseggono maggiore intensità e quantità di vibrazioni<br />
sonore, ed elementi formanti sillabe atone che posseggono minore<br />
intensità di vibrazione. Possiamo affermare con certezza che,<br />
quando noi parliamo o leggiamo un brano sullo stesso tenore, non solo<br />
recitiamo ma, soprattutto, cantiamo. Seguendo attentamente i risultati<br />
degli apparecchi elettronici, si presenta ai nostri occhi un fenomeno<br />
meraviglioso: vediamo che tra un fonema e l'altro, cioè, tra la lettera<br />
precedente e quella seguente, non c'è un vuoto, come illusoriamente<br />
ci suggerisce il nostro orecchio, ma si nota una zona di compenetrazione<br />
di varie onde sonore, tanto che lo strumento non segna mai<br />
zero. Abbiamo detto precedentemente che ogni suono differisce dall'altro<br />
non solo per la maggiore o minore quantità di vibrazioni, ma anche<br />
per la diversa espressività che uno dà alla parola. Se non esistessero queste<br />
differenze musicali, noi non percepiremmo mai le sfumature sonore<br />
che passano tra una parola pronunciata in senso interrogativo e una<br />
in senso esclamativo, tra una espressione di gioia e una di dolore. Quindi,<br />
la parola è musica indipendentemente da come viene dizionata.<br />
Anche quando noi non ci pensiamo, l'unità musicale della parola, spontaneamente,<br />
ci dètta leggi di esecuzione. « L'unità dell'idea prodotta in<br />
noi dalla parola è causata dal fatto che la parola possiede in se stessa<br />
intrinsecamente una unità musicale, formata da più elementi musicali,<br />
che sono i vari fonemi concorrenti alla formazione della parola stessa.<br />
Ogni fonema ha una struttura intrinsecamente e sostanzialmente differente<br />
dagli altri. Ogni fonema, ogni sillaba, ogni parola, ogni frase<br />
del nostro linguaggio, sono elementi di comunicazione, unicamente perchè<br />
sono segni sonori e musicali, in quanto possiedono tutti i requisiti<br />
strutturali ed essenziali del segno sonoro e musicale» (5).<br />
(4) P. ERNETTI, O.C. - Venezia.<br />
(5) P. ERNETTI, o.c. - Venezia.<br />
ì<br />
256 -
Conclusione.<br />
Concludo riportando ancora le parole di F. Carnelutti: «Sotto<br />
l'A e 1'0 pronunciata dal bambino che comincia a parlare, sta una<br />
moltitudine di elementi, la cui scoperta ci lascia stupefatti. Ma quello<br />
che costituisce la maggior meraviglia, è che tali elementi si uniscono<br />
l'uno con l'altro, così che dall'unione delle lettere nasce la sillaba, dall'unione<br />
delle sillabe il vocabolo, dall'unione dei vocaboli la frase e via<br />
dicendo. L'analisi elettronica è riuscita a stabilire che tra lettera e lettera,<br />
tra sillaba e sillaba, tra vocabolo e vocabolo non c'è il nulla,<br />
ma qualcosa che non si riesce a definire » (6) . Tornano così le parole<br />
di Gesù: «Lo Spirito non sai donde viene né dove va, ma ne odi<br />
il suono ».<br />
DON ILDEBRANDO DI FULVIO, O. Cisto<br />
L'ardore mistico non è un lusso. Senza di esso, la vita morale<br />
rischia di essere un cammino all'indietro, l'ascesi si trasforma in<br />
aridità, la docilità in letargo, le pratiche religiose diventano "routine,"<br />
ostentazione, paura.<br />
De Lubac, Sur les cbemins de Dieu, pago 193<br />
(6) F. CARNELUTTI.Prefazione al Saggio Fonico-musicale di P. Ernetti. Fondazione<br />
G. Cini - Venezia.<br />
- 257-
Iean De La Croix Bouton O.C.S.O.<br />
STORIA DELL'ORDINE CISTERCENSE<br />
(Settima Puntata)<br />
PRIMA PARTE<br />
Fondazione dell'Abbazia di Citeaux<br />
(1098 - 1109)<br />
Molesme e San Roberto.<br />
Motivi della fondazione di Citeaux<br />
Di tutte le fondazioni dell'XI secolo nessuna conobbe una gloria<br />
paragonabile a quella del Nuovo Monastero costruito tra le foreste di<br />
Citeaux. Le ragioni di questo prodigioso successo saranno studiate jiù<br />
avanti. Ora ci preme esaminare il posto di Citeaux in quel grande movimento<br />
di rinnovamento monastico. Citeaux fu un'istituzione unica,<br />
« inaudita », senza precedenti negli annali del monachesimo? Ovvero<br />
la sua fondazione era stata preparata, prefigurata da quella di Molesme,<br />
di modo che il Nuovo Monastero sarebbe le restaurazione dell'opera<br />
di Molesme, decaduta o abortita? Altre teorie, più mitigate, sono<br />
state proposte allo scopo di spiegare la genesi cistercense. Ciascuna contiene<br />
una parte di verità. Noi cercheremo, prima d'ogni altra cosa, di<br />
mettere in evidenza l'opera di S. Roberto a Molesme, quest'illustre abbazia<br />
che un benedettino del XII secolo, Pietro di Celle, ha qualificata<br />
con l'appropriata immagine di «una robusta gallina che ha<br />
dato vita a tutto il pullulare cistercense ».<br />
La vita di S. Roberto, fondatore di Molesme, fu lunga e piuttosto<br />
movimentata. In qualche punto non è stata ben chiarita. Il ben noto<br />
lavoro del P. Seraphin Lenssen (Westmalle, 1937) ne dà le fonti. Qui<br />
seguiamo, come base della nostra esposizione, la fondamentale opera<br />
di M. J. Laurent, Cartulaire de Molesme, Parigi 1911, 2 vol., introduzione<br />
e testo, che correggeremo quando sarà necessario alla luce<br />
di ricerche più recenti.<br />
Roberto nacque nella Sciampagna verso il 1029 dai baroni Thierry<br />
ed Ermengarda, e da sua madre, donna molto pia, fu offerto al Si-<br />
- 258-
gnore sin dalla nascita. All'età di quindici anni entrò nel monastero di<br />
Montier-la-Celle presso Troyes. Ne divenne subito priore, e verso<br />
il 1069, per la sua crescente reputazione, dai monaci di S. Michel-de-<br />
Tonnerre fu scelto come loro abate. Non molto lontano da questa<br />
abbazia, nella foresta di Collan, vivevano alcuni eremiti, i quali, desiderosi<br />
di essere formati alla vita monastica, misero gli occhi addosso<br />
all'abate di S. Michel. Roberto avrebbe accondisceso volentieri alla loro<br />
richiesta, ma i suoi monaci si opposero. Poco dopo, comunque, in seguito<br />
ad alcune difficoltà con questi ultimi, egli li abbandonò ugualmente<br />
e tornò a Montier-la-Celle. Gli fu subito affidato il priorato di<br />
S. Ayoul-de-Provins, dipendente da Montier-la-Celle. Nel frattempo<br />
due degli eremiti di ColIan, che avevano domandato Roberto come superiore,<br />
si rivolsero alla S. Sede e dal Papa ottennero che fosse loro<br />
abate. Egli li iniziò alla vita monastica, e in seguito, data l'impraticabilità<br />
del luogo in cui vivevano, ottenne dai signori di Maligny - forse<br />
i suoi stessi genitori - l'allodio boscoso di Molesme. La fondazione data<br />
il 20 dicembre 1075.<br />
Fondazione di Molesme.<br />
Il documento redatto qualche settimana più tardi alla presenza di<br />
numerosi testimoni, tra cui Tesselino il Rosso, forse il padre di S. Ber- .<br />
nardo, nota che l'allodio veniva donato a Dio, alla Beata Vergine e ai<br />
fratelli che in quel luogo si sarebbero dedicati al loro servizio. A questo<br />
punto della vita di S. Roberto vogliamo soffermarci un istante<br />
sulla sua figura dolce e simpatica. Dedito al servizio del Signore sin<br />
dalla fanciullezza, era un uomo di Dio, ritenuto adatto a guidare gli<br />
altri sulla via della perfezione; lo si vede difatti quando gli eremiti<br />
di Collan e i monaci di Tonnerre se lo contendono. A Molesme sarà<br />
un direttore spirituale molto ricercato anche da elementi femminili, e<br />
si vedrà Maestro Brunone, professore a Reims, e due suoi discepoli<br />
venire a mettersi sotto la sua guida. L'erezione di Sèche-Fontaine, concessa<br />
da Roberto a Brunone nel 1082, sarà un primo tentativo della<br />
«vita certosina».<br />
Non si mostrava un riformatore austero e intransigente, e non trovava<br />
difficoltà a tirarsi indietro e sparire. D'altro canto fu un grande<br />
organizzatore, ed oggi a torto gli si rimprovererebbe di aver mancato<br />
di fermezza nel governo del suo monastero. Cosa avvenne esattamente?<br />
I primi anni di Molesme furono durissimi. La Vita Roberti racconta<br />
che i monaci mancando di pane dovevano accontentarsi di legumi. Il<br />
vescovo di Langres, in una sua visita al monastero nel 1083, mosso a<br />
- 259-
compassione lanciò un appello alla carità dei suoi vassalIi. Da quel<br />
momento tutto cambiò. I signori, soprattutto il duca di Borgogna e<br />
il conte di Troyes, moltiplicarono donazioni di terre ed elemosine, tanto<br />
che già nel 1084 iniziarono le fondazioni. L'autore del Cartulaire,<br />
M. Laurent, ha creduto poter distinguere nella storia di Molesme tra<br />
i tempi eroici dei primi anni in cui Roberto e i suoi monaci osservavano<br />
la Regola di S. Benedetto alla lettera, come più tardi i <strong>Cistercensi</strong>,<br />
e un secondo periodo in cui Roberto avrebbe ceduto alla corrente<br />
irresistibile degli usi contemporanei. Ma il P. Othon Ducourneau, nelle<br />
sue Origines cistercienses, ha dimostrato che « soltanto molto tempo<br />
dopo la fondazione i più zelanti dei monaci di Molesme pensarono di<br />
osservare la Regola in tutto il suo rigore ». Questa tesi, alla quale in<br />
seguito ha aderito anche M. Laurent (Annales de Bourgogne, t. VI<br />
1934, p. 229), è più conforme ai dati forniti dal Cartolario. Non vi si fa<br />
accenno alla Regola di S. Benedetto, agli inizi. Le donazioni sono, sì,<br />
terre, ma anche chiese, entrate di parrocchie, decime, villaggi, servi, ecc.,<br />
tutte cose che i <strong>Cistercensi</strong> rigetteranno. A Molesme si trovano anche<br />
ragazzi, prebendati in abito secolare e « religiosi» che vivono in case<br />
particolari. L'abbazia non godeva dell'esenzione e dipendeva dal vescovo<br />
di Langres, mentre l'organizzazione interna era nettamente cluniacense<br />
(cfr. Laurent, op. cit., paragrafi dedicati all'abate e ai dignitari). La<br />
stessa cosa era dell'organizzazione generale di tutta la congregazione<br />
di Molesme, che nel 1098 contava circa trentacinque priorati (e giunse<br />
fino al numero di sessantacinque), prescindendo dalle grangie, dalle<br />
piccole Cellae e dai priora ti di monache. Questo rapido aumento dei<br />
possedimenti di Molesme in pochi anni fece passare l'abbazia dalla più<br />
rigorosa povertà all'abbondanza e all'opulenza; il che tornò senza dubbio<br />
a detrimento della vita monastica. L'abbazia si trovò impigliata<br />
nella società feudale e immischiata negli affari del secolo. I documenti<br />
di Molesme hanno conservato il ricordo di grandi convegni feodali<br />
tenuti nell'abbazia sin dal 1084. «Queste ripetute riunioni della nobiltà<br />
feodale a Molesme mostrano con sufficiente chiarezza quale fu il<br />
lustro del monastero governato da S. Roberto; rivelano la notorietà e<br />
la reputazione di Molesme, meglio di qualsiasi altra cosa ». (M. Laurent,<br />
op. cit., I, 143).<br />
Divergenze in seno alla comunità.<br />
Dietro questa esteriorità di splendore si nascondeva tuttavia qualche<br />
difetto. Il principale era la mancanza di unione in seno alla comunità.<br />
Le vocazioni affluivano numerose, ma non tutti i monaci era-<br />
- 260-
Firenze - Cbiostro restaurato dell'antica abbazia cistercense di S. Maria Maddalena De' Pazzi<br />
(crf. Not. Cisto 1970-3, pago 141-144)
Firenze - Interno dell'antica Chiesa cistercense di S. Maria Maddalena De' Pazzi, restaurata<br />
dopo l'alluvione de 4 novembre 1966 (erf. Not. Cist. 1970-3, pago 141-144)
no animati allo stesso modo dallo spirito di Dio. Molti si adagiavano in<br />
una vita facile, favorita dall'abbondanza dei beni. Altri deploravano le<br />
alterazioni che si facevano alla Regola.<br />
Il periodo che va dal 1090 alla fondazione di Citeaux resta purtroppo<br />
oscuro. I dati della Vita Roberti non sono molto sicuri e i<br />
cronisti che parlano di Citeaux non sono sempre oggettivi. Possono dìstinguersi<br />
due episodi o, se si preferisce, due crisi:<br />
1.0 - Roberto, che presiedeva con saggezza a questa organizzazione<br />
sempre più complicata provò a raddrizzare la disciplina claustrale. Le<br />
sue osservazioni furono accolte male, ed egli come aveva fatto già in precedenza,<br />
imitando S. Benedetto allorché abbandonò i monaci di Vicovaro,<br />
non insisté oltre e si ritirò a Aux presso un gruppetto di eremiti<br />
che lo elessero subito abate. Ciò avvenne verso il 1090. Ma i monaci di<br />
Molesme si pentirono e, facendo ricorso alla S. Sede, riottennero il loro<br />
abate. La vita regolare riprese. Nel 1095 Roberto fece un lungo viaggio<br />
nelle Fiandre, dove ottenne ancora donazioni. Il 17 giugno, tra le acclamazioni<br />
dei baroni e del popolo il conte di Saint-Pol insediò i monaci<br />
di Molesme nel priorato di Lucheux e consegnò a Roberto le decime di<br />
Lucheux e di Sercuin e il villaggio di Neuvillette.<br />
2.0 - Nel frattempo a Molesme non regnava la pace. Alcuni monaci<br />
ardimentosi, soprattutto il priore Alberico, trovavano insufficiente la disciplina<br />
ristabilita a Molesme. Se ne rendeva conto anche Roberto. Si<br />
può dar credito a Guglielmo di Malmesbury, contrario a Roberto,<br />
quando scrive che due religiosi, la cui scienza quadrava con la loro<br />
virtù, furono scelti perché studiassero lo spirito dell'autore della<br />
Regola e l'esponessero agli altri, e che l'abate Roberto fece ricorso a<br />
ogni mezzo per ottenere l'adesione di tutta la comunità (Gesta Regum<br />
Angl. Lib. IV P.L. 179, 1288). Ulderigo Vitale immagina perfino il<br />
discorso di Roberto e le obiezioni dei monaci. C'erano stati già dei<br />
tentativi di secessione, e in questa occasione la maggioranza si rifiutò<br />
di cambiar costume. Secondo la Vita Roberti, Alberico (forse non<br />
ancora priore: si conoscono di questo periodo solo i priori Adamo<br />
e Raoul), Stefano ed altri due s'erano ritirati nella solitudine di<br />
Vinicus (forse Aigny, sulla Costa d'Oro). Nello stesso tempo (prima<br />
del 1094), riferisce un'antica cronaca di Savoia, «due austeri<br />
monaci, col permesso del loro abate, partirono dall'abbazia di Molesme<br />
per andarsene eremiti in luogo più solitario, al fine di starsene<br />
fuori del mondo». Si stabilirono a Aulps nel Chiablese. Nel 1097,<br />
prima del 12 marzo, S. Roberto eresse la cella di Aulps ad abbazia.<br />
La carta su cui figura come priore Alberico riferisce che i fratelli di<br />
- 261-
Aulps, desiderosi di seguire con più rigore i precetti di S. Benedetto<br />
e bene istruiti nella sua Regola, avevano chiesto un abate.<br />
Intanto a Molesme continuavano le discussioni senza che si giungesse<br />
a risultati concreti. Ciò che i ben pensanti desideravano era<br />
una vita separata dal mondo e conforme alla povertà monastica, quale<br />
era stata determinata da S. Benedetto. Ma non era facile cambiare<br />
l'organizzazione esistente. Allora, l'abate Roberto, il priore Alberico e<br />
qualcun altro, tra cui Stefano Harding, decisero di costruire un nuovo<br />
monastero, dove potessero seguire la Regola secondo il loro desiderio.<br />
Vedremo più avanti come si arrivò alla partenza di Roberto con<br />
ventuno monaci e alla fondazione di Citeaux il 21 marzo 1098.<br />
Ultimi anni di Roberto.<br />
Quando Roberto rientrò a Molesme (dopo il luglio del 1099), una<br />
gran folla accorse a festeggiare il suo ritorno. Nonostante i suoi più<br />
che settanta anni, riprese con mano ferma il governo dell'abbazia e vi<br />
esplicò una grande attività, di cui il Cartolario di Molesme permette<br />
di seguire le tappe.<br />
Nel 1102 ottiene dal vescovo di Langres una carta che enumera<br />
e conferma tutti i possedimenti di Molesme nella diocesi di Langres.<br />
Oltre l'abbazia, vi si contano sessantasei chiese o cappelle, compreso<br />
Saint-Didier, che Roberto aveva chiesto da poco. La carta, concessa il<br />
17 agosto 1101, chiama Roberto vir religiosus, e la sua abbazia religiosissimus<br />
molismentium conventus.<br />
Il 2 aprile 1104, l'abate di Molesme prende parte al Sinodo nazionale<br />
di Troyes, insieme a una folla di arcivescovi, vescovi e abati,<br />
e riceve cospicue donazioni dal conte di Sciampagna. Qualche giorno<br />
dopo, la domenica di Pasqua, a Molesme si tiene un convegno feodale,<br />
e l'abate e i monaci sono elogiati per la magnifica' accoglienza fatta<br />
ai baroni.<br />
Col passar degli anni l'attività dell'abate non scende di ritmo.<br />
Vengono fondati numerosi priorati, e uno di essi, Chàtenois, viene eretto<br />
ad abbazia (verso il 1107). Ne11110, alla presenza degli abati di Aulps,<br />
di Balerne e di Pothières, Roberto a Molesme dichiara la giurisdizione<br />
dell'abbazia di Aulps su Balerne e la giurisdizione di Molesme sull'una<br />
esulI' altra.<br />
Roberto morì, ancora in carica, all'età di ottantatré anni (17 aprile<br />
1110), e fu inumato con gran pompa nella chiesa abbaziale. Fin da<br />
allora ebbe inizio una lunga serie di guarigioni miracolose che rendono<br />
testimonianza alla sua santità.<br />
- 262
Roberto fu un grande abate. Malgrado le prove che ne contrassegnarono<br />
la vita, come quella di tutti i grandi servi di Dio, lasciò<br />
alla sua morte un'opera molto fiorente che durò fino alla rivoluzione.<br />
Ne aveva fondato anche un'altra, di cui non gli fu concesso di vedere il<br />
prodigioso sviluppo, ma che lo rivendica parimenti come suo pnma<br />
Padre, benché sotto altro titolo.<br />
FONDAZIONE DEL NUOVO MONASTERO<br />
OPERA DI S. ROBERTO<br />
Non abbiamo un racconto storico veramente completo e oggettivo<br />
della fondazione" del Nuovo Monastero nella foresta di Citeaux. Tra le<br />
fonti cistercensi, il testo chiamato Exordium Cistercii è troppo succinto,<br />
l'Exordium parvum è soprattutto la storia di un ideale, l'Exordium<br />
magnum, molto più tardivo, cede alla tentazione di fare della<br />
letteratura. Tra le fonti non cistercensi, Guglielmo di Malmesbury,<br />
sembra un po' parziale e Ulderico Vitale più o meno romanzato. La<br />
Vita Roberti, del XIII secolo, presenta una versione diversa da tutte<br />
le altre fonti: Alberico e Stefano, dopo il soggiorno a Vinicus, sarebbe<br />
ro andati a stabilirsi a Citeaux, dove Roberto, sentendo parlare della<br />
loro vita santa, li avrebbe raggiunti con ventidue compagni. Noi seguiamo<br />
l'Exordium paruum, che nella sua brevità resta il testo più<br />
completo, malgrado qualche lacuna che il Cartolario di Citeaux consente<br />
di colmare parzialmente.<br />
Verso l'inizio dell'anno 1098, S. Roberto, abate di Molesme, accompagnato<br />
dai confratelli Alberico, Odone, Giovanni, Stefano, Letaldo<br />
e Pietro, si recò a Lione dall'arcivescovo Ugo da Die, legato della<br />
Santa Sede, e gli dichiarò che da quel momento essi intendevano osservare<br />
più strettamente e più perfettamente la Regola di S. Benedetto,<br />
perché fino allora l'avevano seguita con tiepidezza e negligenza. A tale<br />
scopo imploravano l'assistenza del Legato. Chiedevano l'aiuto del Legato<br />
non per la riforma del loro monastero, quanto piuttosto per<br />
la costruzione di un nuovo edificio. Il Legato prese del tempo per riflettere<br />
e poi inviò loro una lettera in cui esaudiva il loro pio desiderio.<br />
Tale documento ha un'importanza capitale per la storia degli inizi di<br />
Citeaux. Senza far alcun rimprovero ai religiosi di Molesme, autorizza<br />
Roberto e i compagni, come pure tutti coloro che questi di comune<br />
- 263-
accordo decideranno di unire a sé, a ritirarsi in un altro luogo che la<br />
divina bontà loro designerà. Il Legato regolava così con prudenza e<br />
saggezza « la salute delle due parti, di quelli che partivano e di quelli<br />
che restavano ». Ciò significava riconoscere il genere di vita degli uni<br />
e degli altri. Non vi era indicato il luogo, ma è probabile che Roberto<br />
ebbe in merito un colloquio col visconte di Beaune, suo parente, già al<br />
suo ritorno da Lione, perché ora che la partenza era stata decisa bisognava<br />
affrettarsi.<br />
Non deve stupire il fatto che soltanto cinque monaci si recarono<br />
a Lione con l'abate e il priore per ottenere la desiderata autorizzazione.<br />
Roberto di solito si spostava' con una piccola scorta di monaci o servitori,<br />
i quali ricoprivano le funzioni di cappellano, di notaio e di ciambellano.<br />
Rientrato a Molesme, Roberto rese nota la decisione favorevole del<br />
Legato e scelse nella comunità coloro che volevano associarsi al suo<br />
disegno. Poco più di due anni prima, il 29 novembre 1095, il Papa<br />
Urbano II aveva posto Molesme sotto la protezione della S. Sede, ne<br />
aveva confermato i possedimenti ed aveva concesso alla comunità la<br />
facoltà di eleggersi l'abate liberamente. In forza di questo privilegio,<br />
il monaco Goffredo fu eletto abate da quelli che restavano ed insediato<br />
dal vescovo di Langres.<br />
Arrivo a Citeaux.<br />
Roberto e ventuno compagni s'erano già messi in cammino verso<br />
la foresta di Citeaux, « luogo coperto di boschi impenetrabili e di foreste<br />
fitte di spine - dice l'Exordium parvum - inaccessibile agli<br />
uomini e pullulante di bestie feroci ».<br />
Il che non è esatto. La carta di fondazione, infatti, che termina<br />
con un ragguaglio degli anni 1134-1143, ci informa che l'allodio di<br />
Citeaux era abitato da qualche famiglia di servi (almeno due), che lo<br />
coltivavano. E una frase, in verità ambigua, sembra perfino suggerire<br />
che una cappella dedicata alla Vergine esisteva già nel 1098 e che fu<br />
questa la prima chiesa dei religiosi venuti da Molesme (J. MARILIER,<br />
Les débuts de l'abbaye de Clteaux, in Mémoires ... 1955, p. 120). Il<br />
visconte di Beaune, Rainaldo, e la consorte Odierna di Montmorot, proprietari<br />
dell'allodio, ne donarono la parte nord. Quanto alla chiesa, i<br />
monaci non vollero accettarla dalle mani di un laico; allora il visconte<br />
l'abbandonò e i monaci cominciarono ad utilizzarla per il culto divino.<br />
L'arrivo a Citeaux è datato dall'Exordium magnum il 21 marzo, festa<br />
- 264-
di S. Benedetto, che in quell'anno 1098 cadeva nella domenica delle<br />
Palme.<br />
Il Legato Ugo da Die, che con zelo infaticabile si diede a promuovere<br />
in tutta la Francia la riforma del clero e che aveva approvato il<br />
passo di Roberto, vedeva l'opera iniziata a Citeaux con occhio così favorevole<br />
che scrisse al duca di Borgogna, Odone I, pregandolo di accordare<br />
la sua protezione ai religiosi del Nuovo Monastero e di aiutarli economicamente.<br />
Il duca, essendo molto legato a Roberto, ascoltò volentieri<br />
la preghiera. E' senza dubbio in seguito a questa lettera e allo scopo<br />
di aiutare i monaci che egli acquistò da Rainaldo la seconda parte<br />
dell'allodio di Citeaux al prezzo di venti scudi e qualche vigna a<br />
Beaune e ne fece dono al Nuovo Monastero. Rainaldo, tuttavia, manteneva<br />
a Citeaux due servi e una serva e la terra necessaria al loro sostentamento<br />
«secondo la decisione del duca, del visconte, dell'abate<br />
Roberto, e di Odierna di Montmorot se desidera unirsi a loro ».<br />
Nessun documento della fondazione di Citeaux riporta nei dettagli la formazione<br />
del patrimonio che, a quanto sembra, si costituì in due-tre<br />
atti. Abbiamo soltanto notizia dell'esistenza di un primo monastero<br />
nella parte nord dell'allodio, sul luogo chiamato oggi La Forgeotte,<br />
che più tardi da S. Alberico fu trasferito a mezzo miglio a sud, nell'attuale<br />
sito. L'Exordium parvum dice solamente che il duca fece terminare<br />
a proprie spese il monastero di legno iniziato dai monaci, senza<br />
precisare se si trattava della costruzione sulla prima o sulla seconda area.<br />
I servi e la terra che il visconte Rainaldo si era riservati verranno<br />
donati all'abbazia molto più tardi, tra il 1134 e il 1143.<br />
Secondo l'Exordium magnum, Roberto fu insediato canonicamente<br />
a Chalon dal vescovo Gualtiero, ma fu a Citeaux che i monaci<br />
venuti da Molesme rinnovarono la professione religiosa nelle mani del<br />
loro abate e promisero la loro nuova stabilità, secondo una formula che<br />
ci è stata tramandata (Paris, Bibl. Nat. Lat. 4221 fi) 2v).<br />
Le prime donazioni fatte al Nuovo Monastero furono rinnovate in<br />
occasione della dedicazione della chiesa, che riunì a Citeaux, oltre una<br />
folla immensa, il duca Odone, il visconte Rainaldo e il vescovo di Chalon.<br />
È probabile che la chiesa allora consacrata fosse quella di Rainaldo di<br />
Beaume, dedicata alla Beata Vergine già prima dell'arrivo dei monaci.<br />
Quando ebbe luogo questa dedicazione? Certamente prima del Natale<br />
1098. Forse il 15 agosto, ma non possiamo affermarlo. In ogni modo,<br />
è in questa occasione che fu redatto l'atto di fondazione del Nuovo Monastero,<br />
e in termini quasi identici a quelli della carta di erezione di<br />
Aulps ad abbazia (prima del 12 marzo 1097): ...domno Roberto et<br />
- 265-
fratribus qui cum eo Regulam sancti Benedicti arctius atque fidelius<br />
quam illuc usque tenuerant, observare cupiebant ... Altri favori concessi<br />
in quel giorno dal duca e dal visconte sono l'aver posto le loro donazioni<br />
sotto la protezione del vescovo di Chalon e l'esenzione del monastero<br />
da ogni obbligo feudale. Il duca, inoltre, concesse ai religiosi<br />
il diritto di usarsi liberamente dei suoi boschi e possedimenti vicini all'abbazia<br />
(la carta comprende una seconda parte redatta due anni più<br />
tardi sotto l'abate Alberico, che concerne i venti scudi dovuti al visconte<br />
per la vendita fatta al duca).<br />
L'ultimo documento in cui figura Roberto a Citeaux data dalla<br />
festa del Natale 1098. Quel giorno, alla presenza di una moltitudine<br />
di signori, il duca Odone fece dono al monastero di una vigna di sua<br />
proprietà a Meursault. Qualcuno ha affermato che il duca quel giorno<br />
avesse la sua corte a Citeaux, ma nessun documento ne fa cenno. E<br />
d'altro canto non sembra neppur verosimile che una moltiudine di quel<br />
genere potesse riunirsi in pieno inverno nel « deserto» di Citeaux.<br />
Ritorno di Roberto a Molesme.<br />
Nel frattempo i monaci di Molesme non avevano accettato con<br />
tanta disinvoltura la partenza dell'abate e di una parte considerevole<br />
della comunità. Ed ora si vedevano anche fatti oggetto di scherno da<br />
parte dei baroni e del vicinato per non aver saputo custodire il loro<br />
abate. Le famiglie feodali che avevano fatto all'abbazia tante donazioni<br />
ed avevano contribuito alla fondazione dei suoi priorati ora si domandavano<br />
se dopo la partenza di colui che ne era l'anima, l'istituto di Molesme<br />
non si sarebbe sfasciato. Le donazioni cessarono immediatamen-<br />
. te, e un conte, Guglielmo di Vevers, diede perfino fuoco a una dipendenza<br />
dell'abbazia. Forse il gesto non era stato premeditato, ma il<br />
nuovo abate ne rimase spaventato e, forse presentendo un'imminente<br />
rovina, pensò che l'unico rimedio alla situazione sarebbe stato far tornare<br />
Roberto. V'era una sola via per raggiungere lo scopo: rivolgersi<br />
direttamente alla S. Sede. E questo, appunto, i monaci fecero voluntate<br />
domini Gaufredi. A Citeaux si seppe subito che i religiosi di Molcsme<br />
s'erano rivolti personalmente al Sommo Pontefice e che questi, commosso<br />
dalla loro insistenza, aveva incaricato il Legato di interessarsi a<br />
far tornare Roberto nella sua abbazia.<br />
Il Legato Ugo da Die allora convocò un sinodo a Port-d'Anselle<br />
(località sulla Saona, non lontano da Pont-de-Velle, nell'Ain, oggi scomparsa),<br />
in cui convennero i vescovi di Autun, di Chalon, di Màcon, di<br />
Belley e gli abati di Tournus, di Digione e di Ainay, il cameriere del<br />
- 266-
Papa, Pietro, ed altri. Furono presenti anche tre monaci di Molesme,<br />
oltre l'abate, come portatori di una lettera del vescovo di Langres (il<br />
cui testo non ci è stato tramandato). I cistercensi invece non si presentarono<br />
(il Legato non ne fa alcun cenno l, sapendo la causa già risolta<br />
in anticipo. Erano stati, comunque, avvisati, perché fecero conoscere<br />
il loro desiderio mediante terzi.<br />
È nota la sentenza del sinodo di Port-d'Anselle: Roberto riprenderà<br />
il governo di Molesme, dopo aver sciolto i suoi monaci dalla promessa<br />
d'obbedienza e dopo aver deposto la croce e la cura della sua<br />
abbazia nelle mani del vescovo di Chalon; potranno tornare con lui<br />
a Molesme tutti quelli che lo desiderano; il vescovo di Langres renderà<br />
a Roberto il governo del suo precedente monastero, riconoscendo i diritti<br />
di Goffredo a un'eventuale successione a Roberto; nessuno dei due<br />
monasteri accoglierà monaci dell'altro senza l'autorizzazione dell'abate;<br />
i monaci del Nuovo Monastero riterranno la cappella e gli oggetti portati<br />
da Roberto, ad eccezione di un breviarum che conserveranno, d'accordo<br />
con i monaci di Molesme, fino alla festa di S. Giovanni Battista<br />
per ricopiarlo.<br />
S. Roberto esegui queste decisioni e tornò a Molesme. Il suo ritorno<br />
è stato interpretato nei modi più contrastanti. Mentre le più<br />
antiche fonti cistercensi si limitano a dire che Roberto tornò a Molesme<br />
su ordine del Legato, lo storico inglese Guglielmo di Malmesbury afferma<br />
che, non riuscendo ad adattarsi alla vita povera ed austera di<br />
Citeaux, egli si sarebbe messo d'accordo con i monaci di Molesme per<br />
essere ristabilito nelle sue vecchie funzioni. Corrado d'Eberbach, autore<br />
dell'Exordium magnum, arriva perfino a dire che « se avesse veramente<br />
amato la povertà del deserto, l'abate avrebbe potuto rifiutarsi di<br />
abbandonarla ». Queste espressioni dell'Exordium magnum, soppresse<br />
per ordine del Capitolo Generale e ritrovate ultimamente, sono state<br />
messe in gran risalto dal P. Othon Ducourneau. Ma la tesi del P.<br />
Othon è stata combattuta da M. Laurent, da J. B. Mahn e soprattutto<br />
dal P. Seraphin Lenssen che con ragione ritiene queste espressioni poco<br />
compatibili con la santità di Roberto. D'accordo con la Vita Roberti,<br />
essi vedono al contrario nella sottomissione di questi alle decisioni del<br />
Legato, un « atto di obbedienza eroico »; Altri storici, come Mgr. Turk,<br />
M. Folz, vedono nel ritorno di Roberto la necessità di riparare lo scandalo<br />
causato dalla sua partenza e il conseguente annullamento di tutto<br />
quanto era accaduto. In realtà - e l'Exordium paruum fu composto<br />
per dimostrarlo - tutto s'era svolto in perfetta regola. Il Legato,<br />
però, che aveva provveduto alla « salute delle due parti» ed autorizzato<br />
- 267-
la partenza dell'abate, non aveva previsto il pregiudizio che ne sarebbe<br />
derivato a Molesme. S. Roberto capi chiaramente che la sua presenza<br />
era più necessaria a Molesme che a Citeaux. E la decisioie del sinodo<br />
di Port-d'Anselle, dunque, lo trovò pronto a tornarvi, non «per risalire<br />
sul trono di gloria », come hanno voluto insinuare certuni di cui<br />
Guglielmo di Malmesbury si è fatto portavoce, ma per riprendervi la<br />
sua croce.<br />
(Traduzione di P. IGINO VONA, O. Cist.)<br />
Sembra che, oltre alla ospitalità tradizionale, i monasteri oggi<br />
debbano praticare qualcosa in più: un'accoglienza fraterna ad ogni<br />
uomo che cerca di dare un senso alla sua vita; accoglienza fraterna<br />
che deve consistere sopratutto nella partecipazione di beni e di esperienze<br />
spirituali.<br />
Vanno però rispettati i giusti limiti: altrimenti si rischia di<br />
pesare troppo sulla comunità e di turbare il raccoglimento necessario<br />
per attendere a Dio.<br />
André - Corneille Halflants ocso<br />
Collectanea <strong>Cistercensi</strong>a, 32-1970-2 pago 180<br />
- 268-<br />
-
In merito ad una vita di San Silvestro Abate<br />
Il Padre Samuele Giuliani, O.P., autore della recente vita di San<br />
Silvestro Abate, fondatore della Congregazione Benedettina Silvestrina<br />
(1), afferma che la vita monastica, per San Silvestro, è ordinata all'apostolato<br />
esterno e che l'escludere tale apostolato è un dimezzare, un<br />
tradire il programma e l'ideale silvestrini. Dice pure che il santo fondatore<br />
ha voluto fare del monaco un apostolo e dell'apostolo un monaco<br />
in modo tale che il Silvestrino che non facesse dell'apostolato esterno<br />
sarebbe una carica tura (2).<br />
A nostro avviso tutto ciò significa che apostolato esterno e vita<br />
monastica, secondo San Silvestro, sarebbero tra loro intimamente<br />
ed inscindibilmente uniti; che l'apostolato esterno sarebbe una<br />
conditio sine qua non per l'attuazione dell'ideale Silvestrino e un fine<br />
speciale o secondario della Congregazione Silvestrina (3). In questo<br />
modo la Congregazione automaticamente viene a non appartenere più<br />
all'Ordine Benedettino, ma alle Congregazioni o Ordini non monastici,<br />
dei quali il decreto Perjectae Caritatis del Concilio Vaticano II dice<br />
che «ex regula vel instituto vitam apostolicam intime consociant offido<br />
chorali observatiisque monasticis » (4).<br />
Le menzionate arbitrarie affermazioni del Padre Giuliani e le<br />
conseguenze da esse derivanti contrastano con il fatto storicamente certo<br />
che la congregazione Silvestrina è sempre stata considerata monastica<br />
e benedettina. Per diversi secoli essa si chiamò Orda Sancti Benedicti<br />
de Montefano. San Silvestro Abate adottò la Regola di San Benedetto<br />
e la propose ai suoi figli come norma di vita nell'integrità del<br />
suo ideale. Ebbene la Regula, pur non escludendo l'apostolato esterno,<br />
tuttavia non lo propone come parte integrale ed inscindibile del suo<br />
ideale o come fine speciale o secondario della vita monastica; tanto<br />
meno considera la vita monastica come ordinata all'apostolato esterno(5).<br />
(1) S. GIULIANI, O. P., Profilo di un Santo (S. Silvestro Abate), Terni 1968.<br />
(2) Ibid., pp. 9.3 e passim.<br />
(.3) Oltre le già citate affermazioni dell'Autore, ce ne sono altre che implicitamente<br />
propongono l'apostolato esterno come fine speciale o secondario della Congregazione<br />
Silvestrina. Ne riassumiamo alcune: San Silvestro avrebbe dato alla sua Congregazione<br />
un ideale nuovo, proprio, differente da quello di tutte le altre forme di vita benedettina,<br />
cioè l'apostolato esterno. La vita monastica, per San Silvestro non sarebbe più<br />
fine a se stessa, ma sarebbe ordinata alla missione diretta nel mondo, ecc... (Ibid ,<br />
pp. 93-95 e passim).<br />
(4) CONCoVAT. II, Perlectae Caritatis, n. 9, ultimo capoverso.<br />
(5) Cfr. Constitutiones, proemium, in Acta Congregationis Siloestrinae Ordinis<br />
Sancii Benedicti, 7, vol. 2°, n. 3, Roma 1966, pp. III-IV. Cfr. SAN BENEDETTO,La<br />
Regola, Testo, versione e commento a cura di D. Anselmo Lentini O.S.B., Montecassino<br />
1947, pp. XXI-XXII.<br />
- 269-
Ugualmente le affermazioni dell'Autore contrastano con ciò che<br />
dicono le Costituzioni della Congregazione Silvestrina: «Finis igitur<br />
quem Sanctus Pater Silvester in nostra Congregatione fundanda sibi<br />
proposuit, nullus alius fuit aut esse potuit quam vitam monasticam<br />
secundum Regulam Monasteriorum, seu secundum coenobiticam vivendi<br />
formam, instaurare, eamque necessitatibus adiunctisque sui temporis<br />
coaequare. Hic ergo est finis quem Silvestrinae Congregationis Monachi<br />
tanquam sibi proprium iure nativo semper habuerunt, prout testantur,<br />
praeter alia, Constituitionum multiplices editiones, quae tot<br />
sibi succedentibus saeculis prodierunt.<br />
« Si ergo quaeratur quisnam sit finis Silvestrinae Congregationis<br />
proprius atque specificus, respondendum est nullum alium proprium<br />
esse finem nisi illum ipsum quem vita monastica intendit, hominis<br />
scilicet consecrationem ad Dei servitium et ad propriam sanctificationem,<br />
iuxta illud Regulae Sancti Benedicti: Quaerere Deum. Nemo sane ignorat<br />
quod saeculorum decursu, Monachi, Sancti Benedicti Regulam profitentes,<br />
plura ac multiplicis generis aggressi sunt opera in Ecclesiae<br />
et animarum utilitatem, ex hoc autem inferre minime fas est in his operibus<br />
specificum Monachorum consistere finem, prout plerumque penes<br />
alias recentioris aetatis Congregationes religiosas obtinet. Vita enim<br />
monastica est quaedam forma vitae religiosae quae nullum habet finem<br />
secundarium specificum » (6).<br />
Abbiamo voluto fare queste osservazioni allibro del Padre Giuliani<br />
perché si tratta di cose della massima importanza in quanto toccano<br />
- più che non sembri a prima vista - gli elementi essenziali dell'ideale<br />
della Congregazione Silvestrina. Si tratta della finalità di una Congregazione<br />
religiosa che deve rimanere integra secondo lo spirito del<br />
Fondatore, come giustamente vuole il Concilio Vaticano II: «In ipsum<br />
Ecclesiae bonum cedi t ut instituta peculiarem suam indolem ac munus<br />
habeant. Ideo fideliter agnoscantur et observentur Fundatorum spiritus<br />
propriaque proposita, necnon sanae traditiones, quae omnia cuiusque<br />
instituti patrimonium constituunt » (7).<br />
(6) Ibid., pp. III·IV.<br />
(7) CONCo VAT. II, Perjectae Caritatis, o. 2 b.<br />
D. FRANCO POMPEI, O.S.B. SILV.<br />
- 270-