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Marzo 2012 Anno 3 No.03 2012年三月

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LA VITA<br />

“Sempre mi torna al cuore il mio paese…Romagna solatia, dolce paese”<br />

Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855.<br />

Da ragazzo studia nel collegio dei Padri Scolopi a Urbino, quindi nei<br />

licei di Rimini e di Firenze. La sua esistenza è segnata da tragiche vicende<br />

che incidono profondamente sul suo carattere e sulla sua produzione<br />

artistica. Nel 1867, il padre, amministratore della tenuta agricola dei<br />

principi Torlonia, viene ucciso mentre tornava a casa su un calessino<br />

trainato da una cavalla storna, rievocata in una celebre poesia. Non si seppe<br />

mai chi fu l’assassino e il delitto rimase impunito. Poco dopo la morte del<br />

padre il Pascoli perde anche la madre e le due sorelle, e la famiglia cade<br />

nella miseria e nel dolore.<br />

Riesce a frequentare l’università a Bologna, dove diventa allievo<br />

del Carducci, ma per Pascoli comincia un periodo di gravi difficoltà<br />

economiche. Il giovane trascorre il tempo cercando prove contro l’assassino<br />

del padre e frequentando i circoli socialisti di Bologna. Viene arrestato con<br />

l’accusa di aver partecipato ad alcuni tumulti socialisti, ma è processato e<br />

assolto pochi mesi più tardi.<br />

Dal 1898 insegna letteratura latina all’Università di Messina, ma ritornando spesso a Castelvecchio, presso<br />

Barga, dove aveva affittato una casa di campagna che nel 1902 compera col ricavato della vendita di cinque<br />

medaglie d’oro conquistate al concorso di poesia latina di Amsterdam. Nel 1905 subentra al Carducci nella<br />

cattedra di letteratura italiana all’Università di Bologna.<br />

Nel frattempo Pascoli si è già affermato come poeta, con la pubblicazione della prima edizione di Myricae<br />

nel 1891, dei Poemetti nel 1897 e dei Canti di Castelvecchio nel 1903.<br />

Nel 1912 ottiene la tredicesima medaglia d’oro al concorso di poesia latina di Amsterdam, e quello stesso<br />

anno muore per un tumore allo stomaco.<br />

La lingua poetica<br />

La produzione di Pascoli è varia e comprende<br />

poesie latine, saggi danteschi, antologie scolastiche,<br />

discorsi e pensieri politici, ma ciò che più lo ha reso<br />

noto furono la sua poetica e la sua poesia. La poesia<br />

del Pascoli si esprimeva con un linguaggio lirico<br />

nuovo, apparentemente semplice ed essenziale ma<br />

ricco di scelte espressive e di analogie simboliche<br />

in grado di farci “vedere tutto con meraviglia […]<br />

scoprire la poesia nelle cose, […] nei particolari<br />

che svelano la loro essenza, il loro sorriso e le loro<br />

lacrime”. Il poeta, secondo Pascoli, grazie alla<br />

sua anima di “fanciullino”, riesce a intravedere il<br />

significato della vita ed il mistero del suo destino. “Il<br />

poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano<br />

sulle labbra e che nessuno avrebbe detta”.<br />

La predilezione di Pascoli per gli aspetti umili<br />

della realtà contadina lo porta a costruire una lingua<br />

poetica nuova, che ripudia certi termini aulici della<br />

tradizione, generici e vaghi, a favore di un lessico<br />

preciso, capace di nominare con esattezza tecnica<br />

i fiori, le piante, gli uccelli, gli attrezzi da lavoro.<br />

Nella poesia entra, per la prima volta, un mondo<br />

minuto e composito, attraverso l’adozione di una<br />

sterminata nomenclatura specifica, che svecchia in<br />

un colpo secoli di immutabilità linguistica.<br />

Nei casi migliori, quest’attenzione al mondo<br />

oggettivo diventa l’occasione per dare voce ad<br />

intuizioni del mistero che si cela sotto le cose.<br />

Nella poesia di Pascoli la precisione del lessico<br />

arriva allora a convivere con i significati più oscuri,<br />

sfuggenti. È il Pascoli allusivo, che intuisce le<br />

profondità dell’inconscio e ne vede disseminati i<br />

messaggi negli oggetti che ha intorno. Il poeta sa<br />

piegare a questa intuizione la lingua poetica, dove<br />

il piano razionale di realtà, si intreccia con un piano<br />

irrazionale, di comunicazione segreta, affidata<br />

a un’organizzazione del suono delle parole che<br />

sappia richiamare alla mente immagini e sensazioni.<br />

Fondamentale, in questo senso, lo strumento<br />

dell’onomatopea, utilizzato da Pascoli in tutte le<br />

sue forme, sequenze consonantiche o vocaliche<br />

che di volta in volta suggeriscono il soffiare del<br />

vento, il rompersi del ghiaccio, la cupezza del<br />

tempo e persino dei sentimenti. Ma la grande<br />

novità pascoliana sta nella trascrizione diretta dei<br />

suoni: “dlin… dlin” della bicicletta, “tri…tri” dei<br />

grilli, il “fru fru” delle foglie smosse dal vento, ma<br />

soprattutto i versi degli uccelli che popolano, in<br />

particolare, i Canti di Castelvecchio, dal “cu…cu”<br />

del cuculo, al “chiù” dell’assiolo, allo “scilp” del<br />

passero.<br />

La famiglia, il trauma e la poesia<br />

L’ambiente di provenienza di Pascoli è quello<br />

della piccola borghesia agricola, con un buon grado<br />

di istruzione ed un forte radicamento nella cultura<br />

contadina, che nella famiglia ha la sua struttura<br />

portante. Il padre aveva preso parte al movimento<br />

risorgimentale ed era amministratore della tenuta La<br />

Torre del principe Alessandro Torlonia, a San Mauro<br />

di Romagna; la madre era una fervente cattolica,<br />

intrisa di una religiosità popolare che trasmette a<br />

Giovanni, il quarto dei dieci figli. La prima infanzia<br />

del poeta è dunque all’insegna dei valori centrali<br />

nell’Italia unita: passione risorgimentale; legame<br />

ombelicale con la terra e con la famiglia, rafforzato<br />

dal suggello cattolico; culto dell’operosità, in vista di<br />

quell’ascesa economica che è mito piccolo-borghese<br />

per eccellenza.<br />

La successione dei lutti infrange il sogno.<br />

Le conseguenze del trauma sono molteplici. Sul<br />

piano poetico, il senso di dolore e di ingiustizia<br />

alimenta in Pascoli l’attenzione per gli aspetti più<br />

oscuri della vita, tradotti in simboli.<br />

Sul piano psicologico e biografico, dopo una<br />

prima risposta rabbiosa, affidata ad un generico<br />

sentimento di rivolta socialista, il poeta tenta un<br />

percorso di ricostruzione ed al tempo stesso di<br />

regressione: dal 1885 cerca di ripristinare con le sue<br />

due sorelle più care, Ida e Maria, una vita in comune,<br />

per riassaporare la felicità dell’infanzia, non senza<br />

cospicue implicazioni psicanalitiche, dal senso di<br />

colpa che impedisce il tradimento della famiglia,<br />

alla proiezione della propria affettività verso le due<br />

sorelle. A questa morbosa pressione psicologica Ida<br />

riesce a sottrarsi nel 1895, attraverso il matrimonio,<br />

che getta Giovanni nel più atroce sconforto (mentre<br />

Maria rimarrà a fianco del poeta fino alla morte).<br />

Nella poesia nazionalistica degli ultimi anni,<br />

infine, il poeta concilia i sentimenti risorgimentali<br />

del padre con il mito della terra-madre, chiudendo il<br />

cerchio regressivo anche sul piano ideologico.<br />

Il nido e la poetica del fanciullino<br />

Il tema del “nido” funge da sottofondo psicologico<br />

a tutta la poesia pascoliana. Il suo nucleo di fondo va<br />

cercato nella mitizzazione dell’infanzia, del periodo<br />

precedente alla perdita del padre, quando la famiglia<br />

costituiva quella struttura protettiva alla quale, ormai<br />

divenuto adulto, il poeta desidera poter tornare<br />

con la memoria per ritrovare la serenità perduta.<br />

Il focolare domestico e il vincolo parentale si<br />

organizzano del mito del nido, un universo chiuso e<br />

protetto, riscaldato dall’affetto dei cari. L’esaltazione<br />

del legame di sangue conduce Pascoli a mitizzare<br />

la società che vi si fondava, cioè la società agraria<br />

e patriarcale. Tuttavia, tanto la famiglia, quanto la<br />

società contadina sono insidiati dal senso della fine:<br />

come la morte è sempre pronta a sgretolare le pareti<br />

domestiche, così la società pre-industriale è in via di<br />

dissoluzione a causa della pressione della modernità<br />

urbana, che il poeta osserva con sgomento. Il<br />

nido dunque è prima di tutto un luogo psicologico<br />

difensivo, in cui l’inquieto rimpianto di un eden<br />

antico convive con una feroce ossessione dei legami<br />

familiari, tanto con i vivi quanto con i morti.<br />

Questo insieme di esperienze compositive aiutano<br />

Pascoli ad affinare la propria idea di arte. Nel 1897<br />

esce sulla rivista “Il <strong>Marzo</strong>cco” una prosa di Pascoli,<br />

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