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LA VITA<br />
“Sempre mi torna al cuore il mio paese…Romagna solatia, dolce paese”<br />
Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855.<br />
Da ragazzo studia nel collegio dei Padri Scolopi a Urbino, quindi nei<br />
licei di Rimini e di Firenze. La sua esistenza è segnata da tragiche vicende<br />
che incidono profondamente sul suo carattere e sulla sua produzione<br />
artistica. Nel 1867, il padre, amministratore della tenuta agricola dei<br />
principi Torlonia, viene ucciso mentre tornava a casa su un calessino<br />
trainato da una cavalla storna, rievocata in una celebre poesia. Non si seppe<br />
mai chi fu l’assassino e il delitto rimase impunito. Poco dopo la morte del<br />
padre il Pascoli perde anche la madre e le due sorelle, e la famiglia cade<br />
nella miseria e nel dolore.<br />
Riesce a frequentare l’università a Bologna, dove diventa allievo<br />
del Carducci, ma per Pascoli comincia un periodo di gravi difficoltà<br />
economiche. Il giovane trascorre il tempo cercando prove contro l’assassino<br />
del padre e frequentando i circoli socialisti di Bologna. Viene arrestato con<br />
l’accusa di aver partecipato ad alcuni tumulti socialisti, ma è processato e<br />
assolto pochi mesi più tardi.<br />
Dal 1898 insegna letteratura latina all’Università di Messina, ma ritornando spesso a Castelvecchio, presso<br />
Barga, dove aveva affittato una casa di campagna che nel 1902 compera col ricavato della vendita di cinque<br />
medaglie d’oro conquistate al concorso di poesia latina di Amsterdam. Nel 1905 subentra al Carducci nella<br />
cattedra di letteratura italiana all’Università di Bologna.<br />
Nel frattempo Pascoli si è già affermato come poeta, con la pubblicazione della prima edizione di Myricae<br />
nel 1891, dei Poemetti nel 1897 e dei Canti di Castelvecchio nel 1903.<br />
Nel 1912 ottiene la tredicesima medaglia d’oro al concorso di poesia latina di Amsterdam, e quello stesso<br />
anno muore per un tumore allo stomaco.<br />
La lingua poetica<br />
La produzione di Pascoli è varia e comprende<br />
poesie latine, saggi danteschi, antologie scolastiche,<br />
discorsi e pensieri politici, ma ciò che più lo ha reso<br />
noto furono la sua poetica e la sua poesia. La poesia<br />
del Pascoli si esprimeva con un linguaggio lirico<br />
nuovo, apparentemente semplice ed essenziale ma<br />
ricco di scelte espressive e di analogie simboliche<br />
in grado di farci “vedere tutto con meraviglia […]<br />
scoprire la poesia nelle cose, […] nei particolari<br />
che svelano la loro essenza, il loro sorriso e le loro<br />
lacrime”. Il poeta, secondo Pascoli, grazie alla<br />
sua anima di “fanciullino”, riesce a intravedere il<br />
significato della vita ed il mistero del suo destino. “Il<br />
poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano<br />
sulle labbra e che nessuno avrebbe detta”.<br />
La predilezione di Pascoli per gli aspetti umili<br />
della realtà contadina lo porta a costruire una lingua<br />
poetica nuova, che ripudia certi termini aulici della<br />
tradizione, generici e vaghi, a favore di un lessico<br />
preciso, capace di nominare con esattezza tecnica<br />
i fiori, le piante, gli uccelli, gli attrezzi da lavoro.<br />
Nella poesia entra, per la prima volta, un mondo<br />
minuto e composito, attraverso l’adozione di una<br />
sterminata nomenclatura specifica, che svecchia in<br />
un colpo secoli di immutabilità linguistica.<br />
Nei casi migliori, quest’attenzione al mondo<br />
oggettivo diventa l’occasione per dare voce ad<br />
intuizioni del mistero che si cela sotto le cose.<br />
Nella poesia di Pascoli la precisione del lessico<br />
arriva allora a convivere con i significati più oscuri,<br />
sfuggenti. È il Pascoli allusivo, che intuisce le<br />
profondità dell’inconscio e ne vede disseminati i<br />
messaggi negli oggetti che ha intorno. Il poeta sa<br />
piegare a questa intuizione la lingua poetica, dove<br />
il piano razionale di realtà, si intreccia con un piano<br />
irrazionale, di comunicazione segreta, affidata<br />
a un’organizzazione del suono delle parole che<br />
sappia richiamare alla mente immagini e sensazioni.<br />
Fondamentale, in questo senso, lo strumento<br />
dell’onomatopea, utilizzato da Pascoli in tutte le<br />
sue forme, sequenze consonantiche o vocaliche<br />
che di volta in volta suggeriscono il soffiare del<br />
vento, il rompersi del ghiaccio, la cupezza del<br />
tempo e persino dei sentimenti. Ma la grande<br />
novità pascoliana sta nella trascrizione diretta dei<br />
suoni: “dlin… dlin” della bicicletta, “tri…tri” dei<br />
grilli, il “fru fru” delle foglie smosse dal vento, ma<br />
soprattutto i versi degli uccelli che popolano, in<br />
particolare, i Canti di Castelvecchio, dal “cu…cu”<br />
del cuculo, al “chiù” dell’assiolo, allo “scilp” del<br />
passero.<br />
La famiglia, il trauma e la poesia<br />
L’ambiente di provenienza di Pascoli è quello<br />
della piccola borghesia agricola, con un buon grado<br />
di istruzione ed un forte radicamento nella cultura<br />
contadina, che nella famiglia ha la sua struttura<br />
portante. Il padre aveva preso parte al movimento<br />
risorgimentale ed era amministratore della tenuta La<br />
Torre del principe Alessandro Torlonia, a San Mauro<br />
di Romagna; la madre era una fervente cattolica,<br />
intrisa di una religiosità popolare che trasmette a<br />
Giovanni, il quarto dei dieci figli. La prima infanzia<br />
del poeta è dunque all’insegna dei valori centrali<br />
nell’Italia unita: passione risorgimentale; legame<br />
ombelicale con la terra e con la famiglia, rafforzato<br />
dal suggello cattolico; culto dell’operosità, in vista di<br />
quell’ascesa economica che è mito piccolo-borghese<br />
per eccellenza.<br />
La successione dei lutti infrange il sogno.<br />
Le conseguenze del trauma sono molteplici. Sul<br />
piano poetico, il senso di dolore e di ingiustizia<br />
alimenta in Pascoli l’attenzione per gli aspetti più<br />
oscuri della vita, tradotti in simboli.<br />
Sul piano psicologico e biografico, dopo una<br />
prima risposta rabbiosa, affidata ad un generico<br />
sentimento di rivolta socialista, il poeta tenta un<br />
percorso di ricostruzione ed al tempo stesso di<br />
regressione: dal 1885 cerca di ripristinare con le sue<br />
due sorelle più care, Ida e Maria, una vita in comune,<br />
per riassaporare la felicità dell’infanzia, non senza<br />
cospicue implicazioni psicanalitiche, dal senso di<br />
colpa che impedisce il tradimento della famiglia,<br />
alla proiezione della propria affettività verso le due<br />
sorelle. A questa morbosa pressione psicologica Ida<br />
riesce a sottrarsi nel 1895, attraverso il matrimonio,<br />
che getta Giovanni nel più atroce sconforto (mentre<br />
Maria rimarrà a fianco del poeta fino alla morte).<br />
Nella poesia nazionalistica degli ultimi anni,<br />
infine, il poeta concilia i sentimenti risorgimentali<br />
del padre con il mito della terra-madre, chiudendo il<br />
cerchio regressivo anche sul piano ideologico.<br />
Il nido e la poetica del fanciullino<br />
Il tema del “nido” funge da sottofondo psicologico<br />
a tutta la poesia pascoliana. Il suo nucleo di fondo va<br />
cercato nella mitizzazione dell’infanzia, del periodo<br />
precedente alla perdita del padre, quando la famiglia<br />
costituiva quella struttura protettiva alla quale, ormai<br />
divenuto adulto, il poeta desidera poter tornare<br />
con la memoria per ritrovare la serenità perduta.<br />
Il focolare domestico e il vincolo parentale si<br />
organizzano del mito del nido, un universo chiuso e<br />
protetto, riscaldato dall’affetto dei cari. L’esaltazione<br />
del legame di sangue conduce Pascoli a mitizzare<br />
la società che vi si fondava, cioè la società agraria<br />
e patriarcale. Tuttavia, tanto la famiglia, quanto la<br />
società contadina sono insidiati dal senso della fine:<br />
come la morte è sempre pronta a sgretolare le pareti<br />
domestiche, così la società pre-industriale è in via di<br />
dissoluzione a causa della pressione della modernità<br />
urbana, che il poeta osserva con sgomento. Il<br />
nido dunque è prima di tutto un luogo psicologico<br />
difensivo, in cui l’inquieto rimpianto di un eden<br />
antico convive con una feroce ossessione dei legami<br />
familiari, tanto con i vivi quanto con i morti.<br />
Questo insieme di esperienze compositive aiutano<br />
Pascoli ad affinare la propria idea di arte. Nel 1897<br />
esce sulla rivista “Il <strong>Marzo</strong>cco” una prosa di Pascoli,<br />
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