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Marzo 2012 Anno 3 No.03 2012年三月

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La nuova Monna Lisa è lei?<br />

Per alcuni studiosi non ci sono<br />

dubbi: la bella principessa, il<br />

ritratto di Bianca Sforza, è davvero<br />

opera di Leonardo Da Vinci<br />

Cronaca di un capolavoro<br />

annunciato.<br />

Quando è stata presentata al<br />

mondo dell’arte, il 30 gennaio<br />

1998, Bianca Sforza non ha<br />

attirato molti sguardi. Agli occhi<br />

del pubblico dell’asta organizzata<br />

da Christie’s a New York il suo<br />

era solo un bel volto incorniciato.<br />

Nessuno sapeva come si chiamasse,<br />

né chi fosse l’autore del suo ritratto.<br />

Il catalogo descriveva l’opera -<br />

un disegno su pergamena a gesso<br />

e inchiostro, pietra nera e rossa e<br />

biacca - come un’opera tedesca di<br />

inizio Ottocento con particolari di<br />

ispirazione rinascimentale. Una<br />

mercante d’arte newyorkese, Kate<br />

Ganz, l’ha acquistata per 21.850<br />

dollari.<br />

Il prezzo non era cambiato<br />

quando, quasi dieci anni dopo, il collezionista canadese Peter Silverman ha visto il profilo di Bianca nella<br />

galleria della Ganz e l’ha subito comprato, pensando che potesse essere di epoca rinascimentale; anche la<br />

Ganz aveva menzionato Leonardo da Vinci a proposito delle possibili influenze. Silverman si è chiesto: e se<br />

fosse davvero opera del grande Leonardo?<br />

她会是新的蒙娜丽莎吗?<br />

有专家认为:美丽公主比安卡·斯福扎的肖像画确实出自达芬奇之手<br />

这是关于一幅已知杰作的新消息。<br />

早在1998年1月30日该作品首次被介绍给艺术界时,比安卡·斯福扎并没有吸引过多的关注。在<br />

纽约克里斯蒂拍卖行的买家们看来,这只是一幅普通的美丽画作而已。当时没有人知道她的名字,<br />

作者是谁也同样不详。<br />

拍卖行的画册上是这样介绍这幅作品的:绘于羊皮纸之上的笔墨画,与十九世纪初期的德国绘<br />

画相类似,并带有独特的文艺复兴色彩。当时,作品由来自纽约的艺术品收藏家凯特·甘兹以21850<br />

美元的价格拍下。<br />

十年后,当加拿大收藏家皮特·西弗曼在甘兹的画廊里看到比安卡的画像时,感觉作品应该就<br />

是文艺复兴时期的作品,于是他毫不犹豫地就将其买下,而且价钱也没有太多变化。实际上,当年<br />

甘兹也曾经提到该作品里有达芬奇的影响。西弗曼也在问自己:“这会不会真的是伟大的达芬奇的<br />

作品呢?”<br />

L’ultimo segreto di Buzzati<br />

Oltre il mistero degli ex voto, un dialogo sospeso con l’aldilà<br />

Il 28 gennaio 1972 nevicava. Una neve fitta,<br />

incessante, «aggressiva», scrisse Romano Battaglia,<br />

«che aveva trasformato Milano in una gigantesca<br />

Dolomite». Alle quattro e venti del pomeriggio, nella<br />

stanza 201 della clinica Madonnina, dove era entrato<br />

all’inizio di dicembre, Dino Buzzati si spegne.<br />

Aveva 66 anni. Alla mattina di quell’ultimo giorno,<br />

dopo aver chiesto alla giovane moglie Almerina di<br />

fargli la barba perché la morte lo trovasse in ordine,<br />

aveva detto: «È strano, non arriverò a sera, eppure<br />

se il direttore mi chiedesse un articolo glielo farei»:<br />

tali erano la dedizione al mestiere di giornalista,<br />

svolto con scrupolo e passione per tutta la vita, e<br />

l’attaccamento al «suo Corriere», dove era entrato<br />

appena ventiduenne, sicuro di venirne presto<br />

«cacciato come un cane».<br />

Si racconta che quando la morte lo prese per mano<br />

- quella morte che tanto aveva cantato e indagato,<br />

sfidato e inseguito, tenendosela sempre vicina<br />

come elemento indispensabile per vivere - Buzzati<br />

sorridesse, come Giovanni Drogo nell’ultima riga<br />

del Deserto dei Tartari; si dice che «in quel preciso<br />

momento» nelle gabbie dello zoo di Porta Venezia<br />

di fronte alle quali si fermava spesso, pensoso,<br />

gli animali fossero diventati improvvisamente<br />

irrequieti, e facessero sentire la loro voce, alta, forte,<br />

per salutarlo. Cose alla Buzzati, che con il fantastico<br />

aveva un rapporto profondo, speciale. Messaggi da<br />

un altrove, da un universo parallelo per accedere<br />

al quale lui, e soltanto lui, aveva il lasciapassare.<br />

«Se ne è andato così alla Buzzati che alla Buzzati<br />

potrebbe anche tornare», scriverà il giorno dopo<br />

Indro Montanelli sulle colonne del «Corriere della<br />

Sera». «Con Buzzati se ne va la voce del silenzio,<br />

se ne vanno le fate, le streghe, gli gnomi, i presagi,<br />

i fantasmi. Se ne va, dalla vita, il Mistero. E che ci<br />

resta?».<br />

Ci restano innanzi tutto i suoi romanzi, centinaia<br />

di novelle, le Storie dipinte, i lavori teatrali: tutte<br />

chiavi, lasciate a noi, per entrare in quel mondo. Ci<br />

resta un’opera che oggi, in memoria di uno dei più<br />

moderni scrittori del Novecento, si arricchisce di un<br />

volume che torna in libreria dopo trent’anni di oblio,<br />

I miracoli di Val Morel: l’opera con cui si congeda<br />

dal mondo, la pagina finale del suo romanzo<br />

esistenziale e poetico.<br />

Si tratta, come lo definì lo stesso Buzzati, di un<br />

«racconto in trentanove piccoli capitoli, risolto più<br />

con le immagini che con le parole», nel quale l’autore<br />

illustra altrettanti miracoli attribuiti, secondo la<br />

finzione letteraria del manoscritto ritrovato, a Santa<br />

Rita da Cascia. Miracoli apocrifi, popolati da balene<br />

volanti, serpentoni dei mari, gatti vulcanici, robot,<br />

marziani. Miracoli «impossibili» e fantastici, che<br />

l’immaginazione di Buzzati colloca tra il 1500 e<br />

la prima metà del 1900 soprattutto nelle zone del<br />

Bellunese, dove è cresciuto e ha passato le sue estati.<br />

Nato da una serie di ex voto realizzati per<br />

una mostra alla Galleria Cardazzo di Venezia,<br />

e trasformato poi in un libro con l’aggiunta di<br />

brevi racconti che accompagnano le tavole, una<br />

«Spiegazione» iniziale che ne svela i retroscena<br />

e le lega, e da un’introduzione di Montanelli in<br />

apparenza irriverente, ma in realtà profondamente<br />

affettuosa («C’è da prenderlo a schiaffi, e un giorno<br />

forse lo farò» è l’incipit), I miracoli di Val Morel<br />

può sembrare a prima vista un catalogo d’arte; un<br />

libro da guardare prima che da leggere. Invece, basta<br />

immergersi nelle sue pagine perché si riveli una sorta<br />

di album personale, che raccoglie, rielaborandole,<br />

atmosfere della memoria e luoghi dell’anima; fatti<br />

vissuti, ascoltati e sognati in oltre sessant’anni di<br />

vita. Un estremo saluto, un biglietto d’addio da<br />

maneggiare con cura, perché specchio dei pensieri,<br />

delle inquietudini, delle speranze che animavano<br />

Buzzati nella parte finale della sua vita.<br />

Quando nell’estate 1970 inizia, febbrilmente, a<br />

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