LE RIVISTE DEL 2007 - Società Italiana per lo Studio della Storia ...
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong>
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E<strong>LE</strong>NCO <strong>DEL</strong><strong>LE</strong> ABBREVIAZIONI 1<br />
900: «’900. Per una storia del tempo presente» [2006]<br />
AI: «Altreitalie» http://www.altreitalie.it/<br />
Clio: «Clio. Rivista trimestrale di studi storici»<br />
Cont: «Contemporanea: Rivista di <strong>Storia</strong> dell’800 e del ‘900»<br />
CS:«Le carte e la storia»<br />
DEP: «DEP. Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile»,<br />
http://www.unive.it/nqcontent.cfm?a_id=18891<br />
DPRS: «Dimensioni e problemi <strong>della</strong> ricerca storica»<br />
Gen: «Genesis. Rivista <strong>della</strong> <strong>Società</strong> <strong>Italiana</strong> delle Storiche» [2006]<br />
IC: «Italia Contemporanea»<br />
JMIS: «Journal of Modern Italian Studies»<br />
MC: «Mondo Contemporaneo»<br />
Merid: «Meridiana» [2006]<br />
MI: «Modern Italy»<br />
MR: «Memoria e Ricerca: Rivista di <strong>Storia</strong> Contemporanea»<br />
NRS: «Nuova Rivista Storica»<br />
NSC: «Nuova <strong>Storia</strong> Contemporanea»<br />
PP: «Passato e Presente: Rivista di <strong>Storia</strong> Contemporanea»<br />
QS: «Quaderni Storici»<br />
RAS: «Rassegna degli Archivi di Stato»<br />
Ris: «Il Risorgimento»<br />
RSE: «Rivista di <strong>Storia</strong> Economica»<br />
RSI: «Rivista Storica <strong>Italiana</strong>»<br />
RSLR: «Rivista di <strong>Storia</strong> e Letteratura Religiosa»<br />
RSP: «Ricerche di <strong>Storia</strong> Politica»<br />
RSR: «Rassegna Storica del Risorgimento»<br />
RSSR: «Rivista di <strong>Storia</strong> Sociale e Religiosa»<br />
SC: «Studi Culturali»<br />
SdS: «<strong>Storia</strong> <strong>della</strong> Storiografia»<br />
SE: «Studi Emigrazione»<br />
SeS: «<strong>Società</strong> e <strong>Storia</strong>»<br />
S-N: «S-nodi», http://www.scriptaweb.it<br />
SS: «Studi Storici»<br />
Stor: «Storica» [2006]<br />
Storic: «Storicamente», http://www.storicamente.org<br />
SU: «<strong>Storia</strong> Urbana»<br />
VS: «Ventunesimo seco<strong>lo</strong>»<br />
Zap: «Zapruder»<br />
1 Quando non diversamente indicato, abbiamo spogliato l’intera annata <strong>2007</strong>.<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Questa rassegna <strong>della</strong> letteratura <strong>per</strong>iodica cerca di fare un quadro, necessariamente sintetico, <strong>della</strong><br />
produzione storiografica apparsa su 37 riviste (35 italiane, tra cui 4 elettroniche, e 2 straniere<br />
dedicate alla storia italiana) nel corso del <strong>2007</strong>. Come nel<strong>lo</strong> scorso numero, <strong>lo</strong> spoglio e le segnalazioni<br />
hanno riguardato esclusivamente gli articoli di ricerca. Abbiamo tralasciato invece rassegne,<br />
dibattiti, recensioni lunghe, commenti e presentazioni di fonti,. Com’è ovvio, questa non è<br />
una rassegna esaustiva <strong>della</strong> ricerca storiografica italiana. Per presentare ai lettori questo materiale,<br />
abbiamo deciso di organizzar<strong>lo</strong> in tre b<strong>lo</strong>cchi crono<strong>lo</strong>gici: «il lungo ‘800» (70 articoli), il<br />
<strong>per</strong>iodo tra le due guerre (72) e il <strong>per</strong>iodo che va dalla fine <strong>della</strong> guerra ai nostri giorni (111). Ci<br />
sono naturalmente alcuni saggi che rompono i confini di queste <strong>per</strong>iodizzazioni e sconfinano nell’una<br />
o nell’altra o ne abbracciano più d’una. In questi casi, abbiamo cercato di darne più volte<br />
conto. All’interno di ciascuna ripartizione, i redattori di queste note hanno poi organizzato il materiale<br />
<strong>per</strong> nuclei tematici. Alla fine di ciascun paragrafo abbiamo riportato l’elenco completo degli<br />
articoli citati nel testo.<br />
1. Il lungo ’800<br />
di Maria Pia Casalena, Silvano Montaldo, Simona Troi<strong>lo</strong><br />
Lo spazio più ampio occupato quest’anno dalla rassegna ottocentesca (70 articoli rispetto ai<br />
56 apparsi sulle riviste del 2006) è costituito da saggi relativi alla prima metà del seco<strong>lo</strong>, con<br />
una accentuata presenza del ’48, al progressivo farsi del discorso rivoluzionario e di quel<strong>lo</strong>, opposto,<br />
controrivoluzionario, analizzato nelle sue forme narrative e letterarie. Attenzione speciale,<br />
seppur limitata, hanno ricevuto le trasformazioni sociali colte in ambito specifico (le migrazioni,<br />
i consumi o i rapporti di genere e intergenerazionali) e in contesti quali le città, <strong>lo</strong><br />
spazio domestico, le associazioni politiche, ludiche e ricreative. Dal punto di vista metodo<strong>lo</strong>gico,<br />
poche sono le novità, laddove si conferma il grande interesse <strong>per</strong> la storia istituzionale<br />
declinata in vario modo e in relazione a soggetti diversi e diversamente situati.<br />
Il Regno di Sardegna: problemi a<strong>per</strong>ti e vecchie polemiche<br />
Gli inediti originali dei Pensieri ed esempi di morale e politica sono punto di partenza <strong>per</strong><br />
mettere in luce l’originalità <strong>della</strong> riflessione costituzionale di Cesare Balbo. Il protagonista <strong>della</strong><br />
prima stagione del liberalismo subalpino puntava ancora nel 1849 sulle prerogative <strong>della</strong><br />
«nobiltà di servizio», come forza di mediazione al centro e in <strong>per</strong>iferia. Critico sia verso il centralismo<br />
sia verso i modelli liberal-cetuali, guardando agli USA Balbo individuò inoltre nei livelli<br />
<strong>lo</strong>cali il laboratorio di un’élite dinamica da proiettare, tramite un suffragio allargato, sulla<br />
scena nazionale. Pur marginalizzati nel decennio cavouriano, certi elementi sarebbero rima-<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
sti presenti nella cultura moderata. Ceretti chiude proprio sull’opportunità di approfondire la<br />
continuità tra Balbo e la Destra «giovane», e soprattutto con Sonnino.<br />
Urquijo Goitia presenta un progetto di ricerca sulle relazioni tra Spagna e Piemonte durante<br />
la prima guerra carlista, avviato con una ricognizione sistematica negli archivi di Madrid,<br />
Torino e Roma, Londra, Vienna e Parigi. Lo scopo del progetto è di gettare nuova luce<br />
sulle trame internazionali che si tessevano attorno a cristinisti e carlisti, e di valutare le divaricazioni<br />
tra dip<strong>lo</strong>mazia ufficiale e dip<strong>lo</strong>mazia parallela oltre che, in un’ottica di storia italiana,<br />
tra politica interna e politica estera. Car<strong>lo</strong> Alberto dichiarò a Francia e Inghilterra – nonché<br />
ai genovesi in affari con la nazione iberica – di stare dalla parte del governo, mentre Solaro<br />
<strong>della</strong> Margarita si ado<strong>per</strong>ava col suo consenso <strong>per</strong> sostenere i carlisti. I liberali di Madrid si<br />
appellarono al governo di Parigi contro l’asse Torino-Vienna. So<strong>lo</strong> l’isolamento dip<strong>lo</strong>matico<br />
dei carlisti portò la monarchia sabauda su posizioni più caute: il re riuscì a evitare l’inasprimento<br />
dell’opinione pubblica liberale, scaricando su Solaro l’intera responsabilità di un doppio<br />
gioco finito male.<br />
Anche l’esilio beneficia dei progressi <strong>della</strong> ricognizione documentaria, come dimostra il<br />
saggio di Simon. La parabola di un giornale come «La Croce di Savoia», fondato a Torino nel<br />
1850 da Francesco Ferrara, offre spunti fecondi in più direzioni. «La Croce di Savoia» mantenne<br />
posizioni eccentriche rispetto a quella che doveva configurarsi come la cultura <strong>della</strong> Destra<br />
storica: <strong>per</strong>orò riforme fiscali e decentramento e sostenne una gestione tecnica e scientifica<br />
<strong>della</strong> politica economica. In ambito internazionale difese il diritto di resistenza contro tutti<br />
gli oppressori, in tacita continuità col ’48 siciliano e in patente polemica con i riferimenti<br />
del decennio di preparazione: il nuovo Bonaparte, i liberali britannici e i liberisti pacifisti di<br />
Manchester.<br />
Su Ris sono anticipati i risultati di ricerche confluite in un volume su Lodovico Frapolli<br />
(L. Po<strong>lo</strong> Fritz, 1866. Una missione segreta di Lodovico Frapolli a Berlino, Roma, 2008), leader<br />
<strong>della</strong> massoneria torinese nei primi anni ’60 e <strong>della</strong> partecipazione italiana ai movimenti<br />
nazionali di Po<strong>lo</strong>nia e Ungheria. I documenti utilizzati da Po<strong>lo</strong> Fritz contribuiscono a disegnare<br />
l’evoluzione delle culture politiche risorgimentali nella cornice dell’Italia unita e dei<br />
nuovi equilibri europei. L’histoire-bataille, la dimensione micro e la questione dei luoghi <strong>della</strong><br />
memoria sono infine protagoniste nel contributo di Coltrinari, che torna su un’annosa questione<br />
– se il generale Cialdini fosse o meno colpevolmente assente dalla linea del fuoco durante<br />
<strong>lo</strong> scontro con le truppe pontificie del 18 settembre 1860 – <strong>per</strong> scioglierla sia tramite<br />
la ricostruzione documentata degli eventi, sia (è l’aspetto più interessante, benché penalizzato<br />
dall’impostazione del saggio) attraverso l’esame dei «vizi» da cui fu affetta tanta memorialistica.<br />
Dopo la morte di Cialdini, infatti, penne più o meno note elaborarono appropriazioni<br />
strumentali del «mito» <strong>della</strong> sciaguratezza di Cialdini, che si tramandava oralmente nei<br />
borghi marchigiani, nell’ambito di una più ampia campagna polemica contro la «conquista<br />
regia» del 1860.<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Culture <strong>della</strong> rivoluzione e <strong>della</strong> controrivoluzione<br />
È dedicato a Letteratura e Politica. Sulla controrivoluzione nell’Europa del XIX seco<strong>lo</strong> il fascico<strong>lo</strong><br />
monografico n. 24 di MR, che ospita contributi relativi al modo in cui testi specifici<br />
hanno coltivato e promosso va<strong>lo</strong>ri controrivoluzionari in vari contesti nazionali. I sei saggi alternano<br />
l’analisi testuale e intertestuale ad un esame più concentrato sul mercato editoriale,<br />
proponendo punti di vista diversi e prospettive di studio che si integrano reciprocamente. Di<br />
carlismo, già oggetto dell’intervento di Urquijo Goitia, si occupano anche i due saggi di Rújula<br />
e Santos Zas, impegnati il primo a ricostruire modalità e fasi <strong>della</strong> rappresentazione di alcuni<br />
attori <strong>della</strong> prima guerra carlista, il secondo a ri<strong>per</strong>correre i va<strong>lo</strong>ri espressi da un’o<strong>per</strong>a<br />
specifica, la Guerra Carlista di Valle-Inclán. Dal primo artico<strong>lo</strong> emerge con chiarezza l’attenzione<br />
<strong>della</strong> letteratura <strong>per</strong> soggetti protagonisti del conflitto i quali, presi in prestito da romanzi,<br />
racconti, biografie, finiscono nel tempo con il riflettere non so<strong>lo</strong> le trasformazioni politiche<br />
e culturali <strong>della</strong> Spagna, ma anche le mutevoli esigenze di un mercato editoriale in continuo<br />
ampliamento. Cabrera e Zumalacárregui, comandanti carlisti, diventano al<strong>lo</strong>ra <strong>per</strong> Rújula<br />
la cartina al tornasole di interessi propri sia di un’opinione pubblica che li vede (e vuole),<br />
alternativamente, eroi tragici e spietati guerrieri, sia di un mercato che affronta alcuni nodi<br />
<strong>della</strong> storia del paese inseguendo il gusto e le aspettative dei lettori. Questi, nella serie storica<br />
<strong>della</strong> Guerra Carlista di Valle-Inclán, trovano una rappresentazione monolitica di un conflitto<br />
che viene rappresentato, ci spiega Santos Zas, come difesa collettiva <strong>della</strong> Spagna tradizionale.<br />
Una rappresentazione volta a creare una contrapposizione tra liberali e carlisti, che privilegia<br />
i secondi a svantaggio dei primi, e che è messa in scena attraverso meccanismi narrativi<br />
funzionali ad uno specifico messaggio e ad un’altrettanto specifica interpretazione.<br />
Mirato a restituire complessità ad una figura come quella di Pierre-Simon Ballanche è invece<br />
il saggio di Cassina, che reclama poliedricità <strong>per</strong> una figura condannata all’anonimia a<br />
causa <strong>della</strong> sua presunta appartenenza al mare magnum <strong>della</strong> retorica controrivoluzionaria.<br />
Cassina si sofferma soprattutto sulla centralità che in questo autore assume la legge del progresso,<br />
e vede in essa un’importante aspetto del pensiero di Ballanche, da approfondire <strong>per</strong> poter<br />
meglio col<strong>lo</strong>care questo autore spogliando<strong>lo</strong> dai condizionamenti a cui è stato sottoposto<br />
nel tempo. Apparentemente più omogenea e priva di sfumatura l’immagine (e l’o<strong>per</strong>a) di Antonio<br />
Bresciani, che Del Corno analizza a partire dall’incarico affidatogli dalla «Civiltà Cattolica»:<br />
quel<strong>lo</strong> di comporre una serie di romanzi storici da pubblicare a puntate sulla rivista,<br />
impegnata a combattere la diffusione di «va<strong>lo</strong>ri negativi», soprattutto tra giovani e donne. Dal<br />
1852 al 1862 Bresciani si dedicherà ad un’o<strong>per</strong>a di promulgazione di idee, utili a mettere a<br />
punto una nuova morale <strong>per</strong> una società in continuo mutamento.<br />
I due saggi finali del fascico<strong>lo</strong> entrano nel vivo <strong>della</strong> memoria collettiva e dei suoi meccanismi,<br />
prendendo in esame il fenomeno del miguelismo e il mito <strong>della</strong> Vandea. Nel primo caso,<br />
De Fátima Sá e Ferreira mostrano come l’esilio di Don Miguel e i suoi tentativi, veri o pre-<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
sunti, di rientrare in Portogal<strong>lo</strong> alimentassero il mito di un <strong>per</strong>sonaggio attraverso voci, racconti,<br />
notizie relative ad una sua presenza in varie parti d’Europa, una presenza che nutriva<br />
s<strong>per</strong>anze o, all’opposto, sospetti. In questo caso, un discorso frutto di testi scritti e oralità, di<br />
fiction e realtà, contribuiva a legittimare l’esistenza di un fenomeno politico assai rilevante.<br />
Nel caso <strong>della</strong> Vandea esaminato da Martin, invece, è chiara la difficoltà di rielaborare la «guerra<br />
di Vandea» a livel<strong>lo</strong> collettivo e nazionale, difficoltà che si riscontra non so<strong>lo</strong> nella stesura<br />
di manuali scolastici, ma anche nell’integrazione di memorie radicate nei singoli territori. Una<br />
nutrita letteratura storica militante, attiva fino alla fine del XX seco<strong>lo</strong>, spiega Martin, ha infatti<br />
determinato la riduzione del conflitto a scontro tra Bene e Male, tra città e campagna,<br />
tra Parigi e provincia, strumentalizzando il ricordo <strong>della</strong> guerra fino ad inventare una controrivoluzione<br />
mitica. O<strong>per</strong>azione dall’ovvio e forte significato politico, simbolico e ideo<strong>lo</strong>gico.<br />
Su SeS Chiancone ri<strong>per</strong>corre l’impegno attivo e dinamico di Francesco Pezzi a direzione<br />
<strong>della</strong> «Gazzetta di Milano», dalle cui pagine emerge una Lombardia asburgica che oculatamente<br />
vigila sulla cronaca non so<strong>lo</strong> politica, ma anche teatrale. Prudenza, convenienza e moderazione<br />
appaiono le tre caratteristiche di un giornale che s<strong>per</strong>imenta la polemica con i romantici,<br />
offre il termometro <strong>della</strong> vita mondana milanese, introduce al pubblico di lettori le<br />
osservazioni meteoro<strong>lo</strong>giche, mirando ad un preciso scopo: quel<strong>lo</strong> «di sempre più raffinare la<br />
civil società», obiettivo al quale Pezzi tende fino alla morte, avvenuta nel 1831.<br />
Gli scritti letterari del giovane Mazzini vengono riletti da Satto nel tentativo di impostare<br />
una più complessa definizione di «Romanticismo politico», la cui declinazione italiana si<br />
pone in un rapporto problematico col paradigma schmittiano. Del Mazzini carbonaro Satto<br />
va<strong>lo</strong>rizza i forti legami con l’es<strong>per</strong>ienza del «Conciliatore», fucina di un’idea di letteratura nazionale<br />
e popolare eminentemente educativa, civile e politica. Su questo retaggio si innestarono<br />
le riflessioni sulla inquieta «generazione contemporanea», sul ruo<strong>lo</strong> «sacerdotale» di scrittori<br />
e intellettuali, sulle potenzialità rivoluzionarie delle classi popolari. Secondo l’a. – che si<br />
avvale degli studi classici di Della Peruta, MacSmith, Mastel<strong>lo</strong>ne e Sarti, e di lavori sulle religioni<br />
politiche dell’800 – l’accentuazione <strong>della</strong> tematica europea, la lettura critica di Herder,<br />
la delusione verso la deriva «dottrinaria» dei francesi, corrispondono ad altrettante peculiarità<br />
del Romanticismo politico mazziniano, che bastano a confermarne l’autonomia rispetto all’idealtipo<br />
anti-illuminista.<br />
Il ’48 è al centro di un ritorno di interesse che spesso si segnala <strong>per</strong> la novità di approcci<br />
e metodo<strong>lo</strong>gie. Francia espone parte di una lunga ricerca sulla Toscana. Dopo aver valutato<br />
il legato <strong>della</strong> storiografia di impostazione gramsciana e aver dichiarato i propri riferimenti<br />
internazionali (i Subaltern Studies, la ricerca francese sulla politisation des paysans), l’a. riprende<br />
il discorso sui ceti rurali adottando una prospettiva «dal basso», in modo da individuare le<br />
strategie di traduzione delle «novità politiche» dispiegate tra 1847 e 1849. La politica entrò<br />
nel discorso popolare quando nei tumulti fecero irruzione parole d’ordine del discorso liberale<br />
e nazionale. Francia utilizza una quantità di fonti (dai rapporti di polizia alle canzoni),<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
mostrando la circolarità e l’ibridazione tra codici vecchi e nuovi. Tra i casi riportati, appare<br />
emblematico quel<strong>lo</strong> che ebbe luogo a Castagneto nell’autunno del 1847: la rivolta contro il<br />
«signore» (ex feudatario), alimentata dal risentimento <strong>per</strong> la soppressione degli usi civici, si<br />
incrociò con l’affermazione <strong>della</strong> guardia civica. L’istituzione borghese intercettò l’umore popolare<br />
incanalando<strong>lo</strong> in una mobilitazione «patriottica», e nell’aspettativa di un nuovo ordine<br />
– la nazione – che ambiguamente alimentava le s<strong>per</strong>anze di recu<strong>per</strong>are consuetudini e diritti<br />
antichi.<br />
Partendo dalla metodo<strong>lo</strong>gia di Schratteneker e dai lavori di Leydi, Alberton si addentra<br />
nell’analisi delle canzoni popolari che circolarono durante il ’48. L’analisi del corpus conferma<br />
tesi consolidate sulle dinamiche di costruzione del discorso nazionale, ma evince pure elementi<br />
(il richiamo alle figure del protonazionalismo sei-settecentesco o il posto d’onore <strong>della</strong> «camicia<br />
rossa») che fanno la specificità del linguaggio risorgimentale popolare. L’a. avanza ipotesi<br />
e interrogativi da rimettere al vaglio di ulteriori ricerche. Si può parlare, nel 1848, dell’esistenza<br />
di un «canone», la cui efficacia fosse la stessa da Nord a Sud, al di là dei confini delle<br />
culture regionali? Quali e quanti furono i punti di contatto tra la cultura patriottica delle élites<br />
e quella dei ceti popolari?<br />
L’assedio di Firenze di Francesco Domenico Guerrazzi è letto da Chiavistelli come parte<br />
integrante di quel «discorso pubblico che […] i vari governi <strong>della</strong> penisola cercarono costantemente<br />
di negare» (p. 113). Nelle pagine del romanzo Chiavistelli ritrova alcuni degli elementi<br />
caratterizzanti la «Monarchia popolare» cara al livornese: una forma statale in grado di<br />
conciliare ampie basi sociali, liberalismo e dinastia <strong>lo</strong>renese, sulla base di un concetto di «popo<strong>lo</strong>»<br />
fondato su reminiscenze classiche. L’idea istituzionale di Guerrazzi è col<strong>lo</strong>cata nel novero<br />
assai eterogeneo di modelli statali che si contendevano il primato nel patriottismo liberale.<br />
L’a. discute poi le ragioni del suo fallimento. Nel 1848-49 il guerrazziano mélange di antico<br />
e moderno si rivelò fragile: l’ideale del popo<strong>lo</strong> virtuoso e alieno alla faziosità parlamentare<br />
non trovò corrispondenza nella realtà. Alla fine (così in un’ottica di storia istituzionale si<br />
spiega l’isolamento patito da Guerrazzi) quel model<strong>lo</strong> «letterario» scontentò tutti: il granduca<br />
e il notabilato moderato, atterriti dalla demagogia; le plebi, lasciate alle cure <strong>della</strong> reazione;<br />
i repubblicani e i democratici puri, ostili all’inconcludente compromesso.<br />
La scrittura è al centro anche di due saggi che offrono riflessioni metodo<strong>lo</strong>giche sull’uso<br />
di fonti specifiche quali l’autobiografia e gli epistolari. Tasca propone l’indagine di un campione<br />
di autobiografie italiane dell’800, analizzate dal punto di vista del nesso individuo/società<br />
e dei <strong>per</strong>corsi di vita, delle traiettorie geografiche e sociali che spingevano soggetti fortemente<br />
diversificati a raccontare la propria vita. L’a. mostra come il rapporto scrittura/sfera<br />
pubblica ridimensioni fortemente il carattere democratico dell’autobiografia, rivelando come<br />
chi scrive occupi già uno spazio pubblico e ambisca alla fama e al successo o, più in generale,<br />
a una sorta di riconoscimento derivante dal giudizio altrui. Altra forma di scrittura è invece<br />
quella individuata da Bellucci, che esamina le lettere di circa 280 donne indirizzate a Vincen-<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
zo e Antonio Salvagnoli (rispettivamente avvocato e igienista toscani), rivelando in esse uno<br />
specifico linguaggio degli oggetti descritti o scambiati, comunque in grado di gettar luce sulle<br />
relazioni familiari e sociali coltivate dalle scriventi. Nel saggio, la scrittura si riempie di immagini<br />
relative a cose (cibo, vestiario, arredi, ritratti, album, diari) che svelano da un lato la<br />
natura di uno spazio dell’«intimo» egemonizzato dalle donne, dall’altro la specificità <strong>della</strong> costruzione<br />
– o del rafforzamento – di un senso del sé delle scriventi. In questo caso, la pratica<br />
del<strong>lo</strong> scrivere dà vita ad un gioco identitario che consente forme peculiari di autonomia e protagonismo.<br />
La centralità dei democratici nell’invenzione <strong>della</strong> «tradizione» letteraria risorgimentale è<br />
invece colta da Mori nei suoi limiti costitutivi. Mori ri<strong>per</strong>corre la fortuna di Garibaldi come<br />
<strong>per</strong>sonaggio e mito, a partire dagli scritti dei contemporanei sino al pieno ’900. Se fino ai primi<br />
anni ’80 il Nizzardo e la camicia rossa conobbero una traduzione testuale notevole anche<br />
<strong>per</strong> la modernità stilistica, la fagocitazione da parte dalla tradizione alta, da Carducci a D’Annunzio<br />
a Pascoli, favorì la strumentalizzazione retorica ripresa in seguito da quel «garibaldinismo<br />
fascista» che già Baioni (Risorgimento in camicia nera, Roma-Torino, 2006) ha riproposto<br />
all’attenzione come pagina emblematica <strong>della</strong> «tradizione risorgimentale» del ventennio. Pur<br />
citando generosamente maestri ed epigoni, Mori tace di una importante produzione femminile<br />
che avrebbe meritato una considerazione più generosa. In diverse o<strong>per</strong>e di autrici italiane e<br />
straniere, infatti, il <strong>per</strong>sonaggio Garibaldi appare al centro di scelte narrative e tematiche originali,<br />
di grande interesse sia <strong>per</strong> gli storici <strong>della</strong> storiografia che <strong>per</strong> un’indagine letteraria.<br />
Chiesa, religione e politica. Il «lungo ’48» di Pio IX …<br />
L’intervento del<strong>lo</strong> Stato nella ridefinizione e soppressione delle istituzioni religiose nel <strong>per</strong>iodo<br />
napoleonico prima, unitario poi, continua ad essere tema poco frequentato dalla storiografia<br />
che lascia ad esempio in secondo piano la questione degli effetti generati da questi processi<br />
nei rispettivi contesti territoriali. Campanelli li ri<strong>per</strong>corre a partire dal Concordato stipulato<br />
tra Stato e Chiesa nel 1818 in un ambito specifico, la Terra del Lavoro, in cui, alla stregua<br />
di quanto accadde altrove, la protesta <strong>per</strong> la riduzione del numero delle diocesi spinse il<br />
clero a rivendicare la centralità <strong>della</strong> propria identità non so<strong>lo</strong> in termini religiosi, ma anche<br />
e soprattutto civili, data la funzione complessa da esso svolta nella comunità diocesana. L’a.<br />
insegue appelli e mobilitazioni del clero, compatto nel reclamare la ricostruzione di una rete<br />
di istituzioni ramificate, richiesta rivelatasi complessa e ancora più difficile da accogliere all’indomani<br />
dell’Unità. Altro aspetto del rapporto Stato-Chiesa è quel<strong>lo</strong> indagato da Arru, che<br />
si concentra sul ritorno, in età napoleonica, del cesaropapismo. L’a. spiega come il passaggio<br />
da un sistema concordatario e di coordinazione dei rapporti Stato-Chiesa ad un equilibrio<br />
nuovo determinò profondi mutamenti, qui indagati in relazione a due aspetti: la negazione di<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
ogni autonomia alla Chiesa e il conferimento all’autorità civile <strong>della</strong> sua guida. Tappe e modalità<br />
di realizzazione di questo passaggio vengono ri<strong>per</strong>corse fino all’evento emblematico del<br />
raggiunto assetto cesaropapistico, vale a dire il Concilio Nazionale di Parigi nel 1811.<br />
La RSR dedica due articoli, entrambi basati su documentazione inedita dell’Archivio Segreto<br />
Vaticano, a trattazioni del ’48 distanti dalle più consuete angolazioni di storia nazionale.<br />
Belardinelli intende rileggere il ’48 <strong>della</strong> Chiesa cattolica in un’ottica europea, di storia delle<br />
relazioni dip<strong>lo</strong>matiche e con maggior attenzione <strong>per</strong> le divergenze tra basso clero, vescovi e<br />
nunzi. Il focus si sposta su un ampio contesto in cui in grave <strong>per</strong>ico<strong>lo</strong>, in diversi paesi, versava<br />
<strong>lo</strong> status <strong>della</strong> Chiesa cattolica. Così, se Corboli Bussi convinse la Curia <strong>della</strong> necessità di<br />
assecondare certe richieste popolari (come l’abolizione <strong>della</strong> decima nelle campagne asburgiche)<br />
<strong>per</strong> non cedere posizioni ai liberali, il nunzio a Vienna card. Viale Prelà si affrettava a far<br />
sa<strong>per</strong>e a Roma che la partecipazione alla guerra confederale metteva in serio <strong>per</strong>ico<strong>lo</strong> l’autorità<br />
<strong>della</strong> Santa Sede presso i cattolici austriaci. Secondo l’a., fu il rifiuto <strong>della</strong> guerra in sé il<br />
motivo dominante nelle decisioni di Pio IX (che si inserirebbe in una tradizione di pacifismo<br />
vaticano giunta all’acme con Benedetto XV). Pio IX penalizzò le sue prospettive di sovrano<br />
italiano <strong>per</strong> tutelare la pax europea e l’autorità sovranazionale. Dopo il 29 aprile papa Mastai<br />
restò amico delle nazioni, purché non chiedessero la guerra. Una coerenza dimostrata dal sostegno<br />
alle richieste di autonomia degli slavi cattolici in seno all’Im<strong>per</strong>o asburgico, e dalla proclamazione<br />
del vescovato nazionale nella Confederazione germanica.<br />
Lodolini Tupputi rivisita la documentazione relativa alla soppressione, mai formalizzata,<br />
del<strong>lo</strong> Statuto concesso il 15 marzo 1848. Contestualizzando la sorte <strong>della</strong> Carta nel più generale<br />
conflitto istituzionale che si profilò dopo la fuga del papa, l’a. riporta alcuni atti <strong>della</strong> Curia<br />
rifugiata all’ombra dei Borboni, dai quali risulta che né la scomunica del 1° gennaio, né alcun<br />
atto successivo alla proclamazione <strong>della</strong> Repubblica, contemplassero la vo<strong>lo</strong>ntà di sopprimere<br />
<strong>lo</strong> Statuto. Ipotizza dunque che ancora dopo la capitolazione del 3 luglio Pio IX intendesse<br />
ripristinare il dia<strong>lo</strong>go con i moderati. So<strong>lo</strong> un breve del 27 luglio testimonia <strong>della</strong> decisione<br />
di sopprimere tutte le istituzioni liberali. Per spiegare un tale esito, in contraddizione<br />
con l’ipotesi appena avanzata, Lodolini Tupputi ricorre a ragioni «psico<strong>lo</strong>giche» (Pio IX fu deluso<br />
dalla condotta delle «sue» élites); ma ciò che appare più interessante è la descrizione dell’impasse<br />
che il tentennamento del papa-re procurò nella vita di un’amministrazione che <strong>per</strong><br />
mesi non seppe a quali ordinamenti rifarsi.<br />
Arru ripropone su Clio il testo (senza note) di una conferenza sulla legislazione ecclesiastica<br />
varata dalla Repubblica romana. All’inizio sembrò dominare la vo<strong>lo</strong>ntà di conciliare<br />
istanze laiciste e considerazione <strong>per</strong> l’autorità spirituale del pontefice. Ancora alla vigilia <strong>della</strong><br />
capitolazione Mazzini si mostrava disponibile a riconoscere al cattolicesimo il rango di religione<br />
di Stato, pur avendo provveduto a porre le basi del culto repubblicano. Una cesura –<br />
anch’essa più apparente che concreta, secondo l’a. – si verificò so<strong>lo</strong> a fine aprile, quando il<br />
Triumvirato reagì all’ostilità di molti chierici ponendo mano a una legislazione «giacobina».<br />
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Arru tiene comunque a sottolineare che, se quelle riforme colpirono drasticamente gli ordini<br />
regolari, i parroci – in primis quelli delle <strong>per</strong>iferie e dei centri popolari – figuravano come i<br />
primi beneficiari dei proventi dell’incameramento dei patrimoni monastici.<br />
… e delle donne<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Zazzeri applica gli strumenti dei Visual Studies alle rappresentazioni <strong>della</strong> «donna in armi»<br />
circolate sulla stampa pre- e post-quarantottesca. La partecipazione in armi, verificatasi<br />
in momenti eccezionali (si prendono qui in esame i fatti di Palermo e l’8 agosto bo<strong>lo</strong>gnese),<br />
complicò il nesso cittadinanza-nazione-emancipazione, minacciò la tenuta dei ruoli di genere<br />
codificati dal discorso liberale e preannunciò rivendicazioni politiche. La satira si incaricò<br />
al<strong>lo</strong>ra di «addomesticare» quella che era stata una pur contingente realtà. L’a. esamina i topoi<br />
più ricorrenti nelle illustrazioni. La donna con la baionetta era un’immagine rassicurante so<strong>lo</strong><br />
se circondata dai propri figli e rimessa al control<strong>lo</strong> di ufficiali uomini. Mentre quelle che si<br />
erano armate <strong>per</strong> varcare in tutti i sensi la soglia <strong>della</strong> domesticità – e tutte co<strong>lo</strong>ro che vagheggiavano<br />
di infrangere altri sacrari dell’identità maschile – comparivano in tutt’altra luce: su<br />
uno sfondo carnevalesco, in un mondo alla rovescia popolato da mostri (lesbiche e virago) che<br />
attentavano alle prerogative – pubbliche, private e sessuali – maschili.<br />
Nel<strong>lo</strong> stesso numero di Gen, Fruci presenta le forme <strong>della</strong> partecipazione femminile ai plebisciti<br />
del 1848 e del 1860, come momenti di elaborazione di codici, pratiche e riti passati in<br />
eredità all’emancipazionismo post-unitario. Quando non si espresse <strong>per</strong> vie extralegali o illegali<br />
(presso seggi speciali, nel Sud; tramite irruzioni nei comizi ufficiali, al Nord) e ricorse piuttosto<br />
alla petizione, la «presa di parola» delle «cittadine senza cittadinanza» puntò a integrare le<br />
canoniche qualità femminili (l’emotività, il sentimento, la maternità) nel nuovo ordine simbolico-politico,<br />
in una richiesta di inclusione «separata» condotta sul registro <strong>della</strong> supplica. L’autorità<br />
maschile – di cui Fruci indaga le reazioni – neutralizzò facilmente la mobilitazione elargendo<br />
concessioni (i banchetti femminili, le raccolte di offerte, l’ammissione di pochissime benemerite<br />
al voto) tanto «ornamentali» quanto vuote di significato politico.<br />
Il mazzinianesimo nella storia italiana ed europea<br />
Paolino ribadisce l’importanza del <strong>per</strong>iodo svizzero e degli scambi con i democratici tedeschi<br />
nella vicenda del mazzinianesimo. Non bastò il precoce distacco del Junges Deutschland<br />
dalle proposte strategiche del Genovese a invalidare una fitta rete di rapporti e progetti.<br />
L’a. individua altrove l’origine <strong>della</strong> crisi di questa «coo<strong>per</strong>azione intellettuale». La questione<br />
di Venezia nel 1866 e poi quella di Trieste fecero affiorare risentimenti nazionalistici che do-<br />
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vevano aver la meglio sul residuo cosmpolitismo democratico. Ai democratici renani, inoltre,<br />
giunse assai poco gradita la valutazione tiepidamente positiva (nel merito, se non nel metodo)<br />
dell’azione bismarckiana, che Mazzini aveva tratteggiato all’indomani di Sadowa.<br />
Alla Giovine Italia e al Partito d’Azione Morisi applica un questionario <strong>della</strong> scienza politica,<br />
al fine di misurarne il grado di «modernità». Inserendosi in una querelle che da tempo<br />
anima la storiografia, l’a. mira a dimostrare che alle due formazioni risorgimentali (e alla successiva<br />
Alleanza repubblicana) va riconosciuto – pur in considerazione dei limiti determinati<br />
dal momento storico-politico – il rango di «partiti» moderni; e che, di conseguenza, andrebbe<br />
ridimensionato il primato comunemente accordato in questo senso al Partito Socialista.<br />
Comparando le formazioni mazziniane e il PSI sulla base di quattro parametri (strutturazione,<br />
capacità di mobilitazione, capacità di aggregazione di interessi, attività politica), l’a. confuta<br />
la tesi che le prime non andassero oltre il <strong>per</strong>imetro del «gruppo di intellettuali». Il <strong>lo</strong>ro<br />
successo come forze nazionali e multiclasse sembra anzi tanto più notevole, quanto più <strong>lo</strong> si<br />
accosta alla vicenda del PSI: una formazione, secondo i dati qui esposti, la cui subalternità rispetto<br />
al sindacato e alle associazioni preesistenti limitò fortemente, fino alla riforma elettorale<br />
del 1919, sia la crescita strutturale, sia l’unità d’azione e l’efficienza politica.<br />
Emigrazione e urbanizzazione<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
In contrasto con la visione consolidata di un’emigrazione dal Mezzogiorno più arcaica e<br />
contadina rispetto a quella settentrionale, Cappelli studia i piccoli flussi migratori dal territorio<br />
appenninico verso le regioni <strong>per</strong>iferiche del Brasile, dell’America centrale e dei Caraibi, ovvero<br />
in aree marginali rispetto agli approdi delle principali direttrici delle migrazioni europee,<br />
evidenziando attraverso un’analisi comparativa l’importanza che le tradizioni lavorative e sociali<br />
dei venditori ambulanti e dell’artigianato meridionale ebbero nel processo di modernizzazione<br />
e di urbanizzazione dell’America latina.<br />
Uno studio comparativo, ma con una metodo<strong>lo</strong>gia diversa, usa anche Rainhorn <strong>per</strong> indagare<br />
il livel<strong>lo</strong> di integrazione delle comunità italiane di Parigi e New York. Confrontando<br />
l’intreccio tra legami di parentela e reti sociali emerge chiaramente una profonda differenza di<br />
comportamenti demografici tra le due comunità, spiegabile alla luce delle peculiarità del contesto<br />
di arrivo e <strong>della</strong> strutturazione interna dei gruppi migranti. Mentre gli italiani trapiantati<br />
ai bordi <strong>della</strong> Senna in molti casi si fusero precocemente con i francesi, quelli che si trasferirono<br />
nella «Grande Mela» mantennero <strong>per</strong> molti decenni una stretta endogamia, dando<br />
vita a una comunità <strong>lo</strong>cale fortemente caratterizzata dall’«italianità». Masse in movimento sono<br />
anche quelle di cui parla Sanfilippo a proposito di Roma, a partire dai pellegrinaggi religiosi<br />
altomedievali che, soprattutto dopo l’istituzione nel 1300 degli Anni Santi, assicurarono<br />
già notevoli ricadute economiche. Da una situazione dominata dall’immigrazione tempo-<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
ranea si passò, con la ripresa demografica cinquecentesca, alla presenza di varie comunità stabili,<br />
il cui peso aumentò negli anni <strong>della</strong> dominazione napoleonica e si mantenne nel corso<br />
dell’800 e del primo ’900 anche grazie al <strong>per</strong>manere di Roma nei circuiti del Grand Tour e<br />
dell’istruzione artistica, <strong>per</strong> poi modificarsi radicalmente quando la sconfitta militare del regime<br />
fascista portò nell’Urbe un’ondata senza precedenti di profughi italiani, che fece da apripista<br />
<strong>per</strong> l’arrivo di altri emigranti, in fuga dai paesi comunisti, sudamericani e africani. Città<br />
di emigrati fu anche Trieste, l’emporio commerciale dell’im<strong>per</strong>o asburgico studiato da Krmac,<br />
fortissimo po<strong>lo</strong> d’attrazione <strong>per</strong> le altre province austriache contermini e <strong>per</strong> le popolazioni<br />
italiane dell’Adriatico. Un abitante su due, a metà ’800, era nato fuori dalle sue mura, grazie<br />
anche alla diaspora ebraica che nei decenni precedenti aveva abbandonato <strong>lo</strong> stato pontificio,<br />
dopo il ripristino delle antiche prescrizioni da parte di Leone XII, e a una significativa presenza<br />
di popolazioni provenienti dall’im<strong>per</strong>o ottomano e dalla Grecia.<br />
Al<strong>lo</strong> spazio urbano parigino sono dedicate le pagine di due articoli che indagano rappresentazioni<br />
e attori di una modernità tradizionalmente riassunta nell’immagine del boulevard.<br />
A partire dalla decostruzione delle categorie analitiche di Benjamin – a cui sono dedicate anche<br />
le note di Riot-Sarcey – e dall’inclusione <strong>della</strong> letteratura in una riflessione sulla produzione<br />
storica <strong>della</strong> città, David recu<strong>per</strong>a luoghi e attori di un paesaggio plurimo, in cui es<strong>per</strong>ienze<br />
e vissuti emergono dall’indifferenza <strong>della</strong> bohème letteraria e si ricol<strong>lo</strong>cano in un tessuto<br />
di scambi e relazioni che fondano un’umanità ricca e differenziata. Questa umanità, scrive<br />
Gribaudi, problematizza l’immagine mito<strong>lo</strong>gica del boulevard e rivela le linee di tensione di<br />
una modernità alternativa e/o antagonista che <strong>lo</strong> sguardo dei contemporanei – al pari di quel<strong>lo</strong><br />
degli storici – ha fatto fatica a identificare, fisso com’era su un’idea di progresso coerente e<br />
lineare. Gribaudi analizza il mondo plurimo e brulicante «nascosto» nei passages parigini indicandovi<br />
un’alterità ricca di potenzialità, forte nella richiesta di mobilità e mescolanza sociale<br />
che di fatto si realizzava nei luoghi e nelle festività di quartieri in continua espansione. Con<br />
l’esp<strong>lo</strong>sione e la repressione del ’48, la gamma di possibilità a<strong>per</strong>te dalla vivacità sociale degli<br />
anni precedenti si restringe drammaticamente, producendo una frattura mai rimarginata nel<strong>lo</strong><br />
spazio <strong>della</strong> società parigina e francese: una frattura che neppure l’ansia ordinatrice di Haussmann<br />
riuscì a ricomporre nelle nuove forme pianificate <strong>per</strong> la città.<br />
Il corpo <strong>della</strong> città, il suo tessuto, i suoi volumi, le sue strutture sono al centro di altri studi<br />
che intrecciano sa<strong>per</strong>i disciplinari differenti, nel tentativo di restituire complessità al mondo<br />
urbano e alle sue trasformazioni. Anche in questo caso Parigi occupa uno spazio importante<br />
nell’analisi. Facendo inter<strong>lo</strong>quire storia <strong>della</strong> tecnica e storia urbana, Chatzis analizza<br />
modalità e effetti dell’introduzione dei contatori dell’acqua nel sistema di erogazione idrica<br />
cittadino, un sistema economicamente e socialmente connotato che, a partire dal suo rinnovamento<br />
nel 1876, produrrà nuovi attori nella gestione dell’acqua e nuove utenze nel suo consumo,<br />
determinando un nuovo protagonismo da parte <strong>della</strong> municipalità e pratiche inedite<br />
nell’ambito <strong>della</strong> fruizione del nuovo servizio. Se l’approccio tecno<strong>lo</strong>gico alla storia di un’in-<br />
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frastruttura urbana consente qui di leggere modi e scambi sociali, il paradigma ambientale<br />
<strong>per</strong>mette a Varriale di confrontarsi con la questione <strong>della</strong> sanità urbana a Napoli a partire da<br />
un’attenzione speciale: quella alle continuità e rotture nella <strong>per</strong>cezione del sottosuo<strong>lo</strong> <strong>della</strong><br />
città come spazio fondamentale <strong>per</strong> l’equilibrio sanitario complessivo. L’a. ri<strong>per</strong>corre la radicata<br />
difficoltà a riconoscere l’igiene preventiva come bisogno collettivo prima ancora che individuale<br />
e l’incapacità delle istituzioni <strong>lo</strong>cali a pensare il problema del cic<strong>lo</strong> dei rifiuti a scala<br />
regionale: problema che dall’800 in poi accompagnerà le trasformazioni <strong>della</strong> città rimanendo<br />
questione drammaticamente inevasa.<br />
Istituzioni e società<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Sul tema delle cosiddette istituzioni totali, oggetto di un rinnovato interesse storiografico,<br />
Lucrezio Monticelli evidenzia le peculiarità che il <strong>per</strong>corso verso l’affermazione <strong>della</strong> prigione<br />
come principale forma di pena ebbe nel<strong>lo</strong> Stato pontificio rispetto al quadro europeo.<br />
Da un lato, vi furono la precocità delle s<strong>per</strong>imentazioni penitenziarie, iniziate a Roma già a<br />
metà del XVII seco<strong>lo</strong>; l’influenza <strong>della</strong> concezione cattolica <strong>della</strong> carità sulle strutture di repressione<br />
pontificie e le ana<strong>lo</strong>gie tra le finalità espiative ed emendative <strong>della</strong> pena reclusoria e<br />
la regola monastica dell’ora et labora. Dall’altro lato, l’a. evidenzia la mancanza di un’elaborazione<br />
sistematica delle nuove teorie punitive che fosse in grado di supportare le innovazioni<br />
introdotte negli ordinamenti e nell’edilizia carceraria e il peso di una concezione fortemente<br />
negativa <strong>della</strong> criminalità femminile, visto come un atto contro natura, che violava al tempo<br />
stesso le leggi umane e quelle divine. Latini si sofferma invece sulla promulgazione del Regolamento<br />
di giustizia criminale e disciplinale militare, avvenuta nel 1842 nei territori papali. L’a.<br />
indaga gli aspetti più rilevanti del Regolamento che delineava l’oggetto <strong>della</strong> giustizia criminale,<br />
i delitti e le contravvenzioni disciplinali, le modalità di svolgimento dei processi. Più in<br />
generale, Latini segnala la crescente esigenza del<strong>lo</strong> stato pontificio di procedere ad una codificazione<br />
nell’ambito penale militare e la connessa capacità di approdare ad una disciplina organica,<br />
che identificava norme e strumenti di un ambito specifico dell’amministrazione <strong>della</strong><br />
giustizia criminale. Infine, sottolineando le disattenzioni <strong>della</strong> storiografia italiana che ha a<br />
lungo insistito su una storia tutta ospedaliera <strong>della</strong> malattia mentale, Guarnieri fa il punto, attraverso<br />
il caso fiorentino, sulla diffusione <strong>della</strong> custodia domestica sussidiata dei malati psichiatrici<br />
negli anni <strong>della</strong> grande espansione del manicomio in Italia, fino al <strong>per</strong>iodo fascista,<br />
che interpretò in senso restrittivo la legislazione giolittiana sugli alienati e provocò un ulteriore<br />
incremento <strong>della</strong> popolazione reclusa nei manicomi.<br />
Il rapporto amministrazione-società nel Lombardo-Veneto, già al centro dei lavori di Meriggi<br />
e Mazohl-Wallnig, è esaminato da Arisi Rota sulla scorta delle indicazioni <strong>della</strong> storia<br />
culturale. L’artico<strong>lo</strong> tratta dei bollettini dedicati agli umori del<strong>lo</strong> «spirito pubblico», testi as-<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
sai ricchi di indicazioni sull’aggravarsi del divario tra il dogmatismo neoassolutista e un patriottismo<br />
che dopo il ’48 aveva rinnovato modi d’espressione, profi<strong>lo</strong> sociale, forme di autocelebrazione<br />
e di costruzione <strong>della</strong> memoria. L’a. appunta l’attenzione sul linguaggio, mettendo<br />
in rilievo che funzionari e informatori utilizzavano «un codice comune di comunicazione,<br />
antagonistico rispetto al discorso risorgimentale […] e che tuttavia con questo finisce inevitabilmente<br />
<strong>per</strong> intersecarsi e quasi integrarsi» (p. 113). Nel 1857 agli osservatori del governo<br />
appariva chiaro che il «partito nazionale» riuniva in un fronte compatto – <strong>per</strong><strong>lo</strong>più sotto insegne<br />
fi<strong>lo</strong>-sabaude – gruppi sociali diversi, liberali e chierici, aristocratici e montanari, industriosi<br />
borghesi e facinorosi di piazza. I più realisti premettero <strong>per</strong> l’alleggerimento <strong>della</strong> pressione<br />
fiscale e <strong>per</strong> il miglioramento delle condizioni delle popolazioni rurali, <strong>per</strong> le quali pane<br />
e nazione facevano spesso tutt’uno come parole d’ordine. Arisi Rota traccia un efficace contrappunto<br />
tra la radicalizzazione del linguaggio patriottico del 1858-59 e l’inane slancio retorico<br />
con cui <strong>lo</strong> Stato cercò di propagandare il «nuovo corso» im<strong>per</strong>sonato dal viceré Massimiliano.<br />
Casalena ri<strong>per</strong>corre la storia dei Congressi degli scienziati italiani sotto l’aspetto <strong>della</strong><br />
composizione sociale dei partecipanti e dei principali temi in discussione, evidenziando come<br />
la distanza di fondo tra la minoranza degli scienziati «veri», o comunque di co<strong>lo</strong>ro che intendevano<br />
promuovere <strong>lo</strong> sviluppo in senso professionale <strong>della</strong> scienza nelle istituzioni statali, e<br />
la maggioranza formata da un notabilato socialmente eminente ma portatore di una visione<br />
dilettantistica <strong>della</strong> scienza, abbia alla fine provocato il fallimento di questa es<strong>per</strong>ienza, che<br />
non fu in grado di dare origine a un’associazione scientifica nazionale paragonabile a quelle<br />
che nacquero all’epoca in Europa e in America.<br />
Già autore di un volume sui briganti di Capitanata (Roma, 1999), Clemente passa a indagare<br />
la risposta del<strong>lo</strong> Stato. Stavolta, sono protagonisti i prefetti che si insediarono a Foggia<br />
tra 1860 e 1864: un democratico nominato da Garibaldi e quattro funzionari di carriera di<br />
origine settentrionale. Attraverso le carte degli archivi di Stato di Foggia e Lucera, dell’Archivio<br />
storico <strong>della</strong> Camera dei Deputati e del Fondo Lamarmora depositato a Biella, l’a. ricostruisce<br />
(con un approccio che potremmo definire «funzionalista») il groviglio di rapporti che<br />
rendeva difficile l’estirpazione del brigantaggio. A poco servì il tentativo dei funzionari di minare<br />
le basi sociali <strong>della</strong> ribellione, calmierando i prezzi e promuovendo lavori pubblici. Come<br />
dimostra l’a., la responsabilità dell’impasse non fu esclusiva <strong>della</strong> società e <strong>della</strong> cultura <strong>lo</strong>cali;<br />
<strong>per</strong> altre ragioni – rivalità, diffidenza, incomprensione – anche parecchie élites militari,<br />
parlamentari e amministrative settentrionali guardarono con animo astioso all’intraprendenza<br />
di alcuni prefetti approdati nel Sud.<br />
Marongiu torna sulla questione <strong>della</strong> «finanza allegra» dei primi governi <strong>della</strong> Sinistra storica,<br />
escludendo che la situazione del fisco italiano fosse in linea con quanto avveniva in Europa<br />
a causa dell’accrescimento degli apparati statali. Furono politiche, più che amministrative<br />
o strutturali, le cause di un orientamento che ebbe tra le sue conseguenze una crisi dei<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
consumi popolari peggiore di quella (pur proverbiale) dell’epoca Sella-Minghetti. I ceti più<br />
deboli pagarono non tanto i costi di un co<strong>lo</strong>nialismo che fino al 1886 fu poco oneroso, o di<br />
un accrescimento dei servizi che si attuò a rilento e lacunosamente, quanto piuttosto i costi<br />
del trasformismo. I prezzi alimentari risentirono dei dazi pretesi dagli agrari, mentre l’intesa<br />
tra governo e latifondisti vanificò le promesse di <strong>per</strong>equazione e redistribuzione. La politica<br />
ferroviaria fu impostata a tutto vantaggio dei gestori privati; quella scolastica scaricò sulle comunità<br />
meridionali l’onere di supplire ai magri bilanci delle <strong>lo</strong>ro amministrazioni.<br />
La presenza e il ruo<strong>lo</strong> dei magistrati nel Parlamento liberale è invece il tema con cui si<br />
confronta Soddu, che presenta i primi dati di una ricerca in corso mirata ad analizzare le biografie<br />
dei magistrati, il <strong>lo</strong>ro coinvolgimento nelle attività parlamentari, la <strong>lo</strong>ro incidenza nel<br />
processo decisionale. Soddu evidenzia la generale riserva mostrata nei confronti <strong>della</strong> <strong>lo</strong>ro presenza<br />
nella Camera elettiva, dettata dalla diffusa <strong>per</strong>cezione dell’esistenza di una sorta di incompatibilità<br />
funzionale tra il ruo<strong>lo</strong> di magistrato e quel<strong>lo</strong> di membro del Parlamento. Percezione<br />
che portò a stabilire, nel 1860, l’ineleggibilità come regola generale e a limitare il numero<br />
degli impiegati a non più di un quinto del totale dei membri <strong>della</strong> Camera elettiva.<br />
La Sardegna di età liberale è <strong>lo</strong> scenario in cui si dispiega la storia – anzi, la «vittoria» – di<br />
un‘amministrazione comunale destinata, nelle pagine di Soru, ad essere ribaltata dalla politica<br />
fascista dei livelli <strong>lo</strong>cali. Proponendo un’investigazione di lungo <strong>per</strong>iodo sul posto dei Comuni<br />
nel pensiero giuridico italiano, Gardini sottolinea invece che la categoria di «ente autarchico»,<br />
coniata da Mario Borsi nel 1909 e dal<strong>lo</strong> stesso rilanciata nel 1930-31, costituì un continuum<br />
tra Stato liberale e regime fascista, nel<strong>lo</strong> spirito di una via italiana al rapporto<br />
centro/<strong>per</strong>iferia. In questo senso, «autarchia» indicava una notevole ricchezza di funzioni in<br />
assenza di autonomia: uno status che <strong>lo</strong> stesso Borsi intendeva estendere alle Province, al Governatorato<br />
di Roma e alla co<strong>lo</strong>nia libica.<br />
L’organizzazione del sistema di tutela del patrimonio storico-artistico italiano è da alcuni<br />
anni oggetto di studio da parte degli storici, che vi intravedono un terreno di analisi utile ad<br />
approfondire la natura del rapporto centro-<strong>per</strong>iferia nel nostro paese. Verrastro ricostruisce un<br />
momento specifico di questa organizzazione, ovvero la nascita delle soprintendenze create nel<br />
1904 a conclusione di un iter parlamentare lungo e complesso. Le difficoltà, gli ostacoli, le ambiguità<br />
<strong>della</strong> messa a punto del progetto vengono ricondotte alla complessità di un settore che,<br />
a partire dall’Unità, conobbe innovazione ma anche rigidità in grado di compromettere la natura<br />
del patrimonio culturale nazionale, la sua conoscenza e la sua va<strong>lo</strong>rizzazione.<br />
Di altro si occupa invece Strinati, che ri<strong>per</strong>corre le iniziative legislative relative agli infortuni<br />
sul lavoro nel <strong>per</strong>iodo 1879-1885. L’a. traccia la linea degli interessi in gioco nella messa<br />
a punto di norme di intervento in un ambito in cui si assisteva alla continua crescita degli<br />
infortuni, dovuta soprattutto all’espansione edilizia delle grandi città. Tra ambiguità e contraddizioni,<br />
prendeva al<strong>lo</strong>ra corpo l’ipotesi di una politica legislativa orientata a prefigurare<br />
l’intervento del<strong>lo</strong> Stato nella sfera del rapporto di lavoro, in nome dell’esigenza su<strong>per</strong>iore di<br />
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assicurare la pace sociale attraverso misure di prevenzione dei conflitti di classe. Ingrassia ricostruisce<br />
la biografia di Argentina Altobelli a partire dalle carte pubblicate da Silvia Biancardi.<br />
Occorre dire che di questa figura straordinaria – protagonista <strong>della</strong> prima stagione di Federterra,<br />
propugnatrice dell’istituzione del col<strong>lo</strong>camento <strong>per</strong> i braccianti e delle assicurazioni<br />
<strong>per</strong> i lavoratori agricoli, amica di Mussolini e candidata a un posto di governo ancora nel 1924<br />
come responsabile del lavoro rurale femminile, ritiratasi a vita privata dopo il delitto Matteotti<br />
– si ri<strong>per</strong>corrono qui i tanti motivi di interesse <strong>per</strong> la storia del sindacalismo agrario, ma senza<br />
il minimo riferimento alla storia delle donne e alle questioni di genere.<br />
Giovani e politica<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
La politicizzazione <strong>della</strong> prima generazione post-risorgimentale è al centro di un interesse<br />
crescente da parte degli storici, attenti a cogliere rivendicazioni e istanze di co<strong>lo</strong>ro che,<br />
nelle parole di Müller, consideravano <strong>lo</strong> Stato non più una conquista ma un dato di fatto.<br />
Questo assunto consente ai nati dopo il 1870 di assumere posizioni che, <strong>per</strong> quanto riguarda<br />
il liberalismo, appaiono innovative e a tratti dirompenti. È quanto Müller rivela nella sua<br />
analisi <strong>della</strong> parabola dei Giovani liberali, spinti alla costituzione di un vero e proprio partito<br />
dal desiderio di modernizzare il liberalismo. Desiderio a sua volta connesso all’esigenza di<br />
scalzare il potere trasformista, affarista e corrotto, in vista <strong>della</strong> gestione di una politicizzazione<br />
delle masse da parte di una borghesia moderna e dinamica. Se la traiettoria dei Giovani<br />
liberali si chiude con una sconfitta e con una radicalizzazione di istanze che si scioglieranno<br />
nel nazionalismo e poi nel fascismo, l’apprendistato politico degli studenti universitari e<br />
di quelli delle scuole secondarie conobbe, come scrive Papa, una graduale trasformazione e<br />
un importante passaggio dalla goliardia alla militanza patriottica. Le prime associazioni a carattere<br />
ludico e corporativo mostrano infatti da fine seco<strong>lo</strong> un crescente interesse ai va<strong>lo</strong>ri<br />
<strong>della</strong> patria, interesse intercettato da sodalizi sportivi e ricreativi – il Touring Club come la<br />
Dante Alighieri – che riusciranno a va<strong>lo</strong>rizzar<strong>lo</strong> nell’ottica di una maggiore e indiscussa dedizione<br />
alla nazione. Da qui la <strong>per</strong>dita del carattere <strong>lo</strong>calistico e prettamente corporativo dell’associazionismo<br />
studentesco, e la condivisione di istanze veico<strong>lo</strong> simbolico di identità e coesione.<br />
Del <strong>per</strong>corso di un giovane parla anche Di Rienzo, che a partire dalle influenze familiari<br />
e dalle relazioni strette in ambito abruzzese prima, romagno<strong>lo</strong> poi, ri<strong>per</strong>corre le fasi iniziali<br />
<strong>della</strong> formazione intellettuale e politica di Gioacchino Volpe, fino all’accesso alla Scuola Normale<br />
Su<strong>per</strong>iore di Pisa avvenuto nel 1895. L’attenzione dell’a. è tutta posta sull’influsso di Carducci,<br />
«Poeta <strong>della</strong> storia», sul giovane Volpe che da lui ricava il model<strong>lo</strong> interpretativo di una<br />
storia del Medio Evo italiano nazionale e popolare: model<strong>lo</strong> che in Volpe legherà strettamente<br />
il mito delle origini alla costruzione di una storiografia a impianto nazionale.<br />
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<strong>Storia</strong> economica<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Due saggi esp<strong>lo</strong>rano un versante ancora poco frequentato dalla storiografia italiana, quel<strong>lo</strong><br />
dell’impatto che le attività industriali hanno avuto sulla salute e sull’ambiente. Spina ricostruisce<br />
la vicenda di uno dei centri del<strong>lo</strong> zolfo siciliano, dimostrando come i ritardi <strong>della</strong> legislazione<br />
italiana, che so<strong>lo</strong> con la legge sulla polizia delle miniere del 1893 pose le basi <strong>per</strong><br />
l’intervento amministrativo del<strong>lo</strong> Stato nel settore, resero più aspro l’antagonismo tra i proprietari,<br />
che da un lato accentuò l’impatto ambientale dell’attività estrattiva e dall’altro rese<br />
impossibile l’avvio di una coltivazione su vasta scala e con tecniche meno arcaiche. Metodi<br />
moderni furono invece applicati nelle filande calabresi, ma ciò non impedì l’esp<strong>lo</strong>dere di conflitti<br />
tra gli imprenditori e la popolazione <strong>lo</strong>cale. Forse eccessivamente preoccupati <strong>per</strong> l’inquinamento<br />
provocato dagli impianti, ma con una <strong>per</strong>cezione lucida delle conseguenze che<br />
l’accaparramento di una quota rilevante delle risorse idriche da parte degli imprenditori avrebbe<br />
significato, gli abitanti dei comuni in cui erano insediate le filande diedero vita a varie forme<br />
di opposizione, senza <strong>per</strong>ò trovare un vero appoggio nelle autorità <strong>lo</strong>cali, che finirono spesso<br />
<strong>per</strong> dare ragione agli imprenditori sia <strong>per</strong> il timore di danneggiare un’attività altamente produttiva,<br />
sia <strong>per</strong>ché direttamente coinvolte nelle imprese.<br />
Di seta italiana si occupa anche Battistini, che evidenzia come l’età contemporanea sia<br />
iniziata in questo settore con una grave crisi congiunturale, provocata dagli sconvolgimenti<br />
dovuti al B<strong>lo</strong>cco continentale, seguita da un quarantennio di straordinario sviluppo, quando<br />
il settore raggiunse la quota più alta sul PIL italiano, bruscamente interrotto dalla diffusione<br />
<strong>della</strong> pebrina negli anni ’50. Fu so<strong>lo</strong> una crisi congiunturale, <strong>per</strong>ché si ebbe un nuovo, intensissimo<br />
rilancio tra il 1870 e il 1910, che <strong>per</strong>mise agli «organzini» di mantenere a lungo una<br />
posizione leader a livel<strong>lo</strong> internazionale, pur riducendosi la <strong>lo</strong>ro incidenza sul PIL italiano,<br />
prima <strong>della</strong> sua crisi finale. Questi successi furono <strong>per</strong>ò tutti concentrati al Nord: malgrado le<br />
origini meridionali dell’industria serica italiana, se il Mezzogiorno ai primi del ’600 produceva<br />
ancora circa il 50 <strong>per</strong> cento <strong>della</strong> seta grezza di tutta la Penisola, tre secoli dopo questa quota<br />
era crollata al 5 <strong>per</strong> cento.<br />
Una ricostruzione quantitativa dell’industria chimica dei derivati del petrolio e del carbone,<br />
e <strong>della</strong> gomma in Italia dall’Unità alla Grande guerra offre invece Fenoaltea, che evidenzia<br />
il forte sviluppo dei settori «nuovi» (acidi, concimi, elettrochimica), tale da surclassare<br />
la crescita pur notevole dei settori «tradizionali» (fiammiferi, saponi, vernici).<br />
Poettinger indaga il ruo<strong>lo</strong> dell’imprenditoria tedesca nella Lombardia del primo ’800 attraverso<br />
<strong>lo</strong> studio delle reti internazionali e delle politiche governative che portarono al trasferimento<br />
al di qua delle Alpi di alcuni gruppi familiari, come i Kramer e i Mylius, impegnati<br />
in attività commerciali, manifatturiere e finanziarie. Alla storia del sistema bancario nel Regno<br />
Lombardo-Veneto dedica un saggio Conca Messina, che ricostruisce i tentativi infruttuosi<br />
di alcuni uomini d’affari milanesi <strong>per</strong> ottenere l’istituzione di una banca commerciale di<br />
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emissione e di sconto a Milano e realizzare un sistema monetario e finanziario più avanzato,<br />
regolato ed efficiente. Emerge così un nuovo tassel<strong>lo</strong> al quadro più generale <strong>della</strong> crisi del dominio<br />
austriaco in Lombardia, già richiamato da Arisi Rota.<br />
Im<strong>per</strong>i e im<strong>per</strong>ialismo<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
La riflessione sulla violenza nel XIX seco<strong>lo</strong>, ancora in una fase embrionale rispetto alla<br />
consapevolezza raggiunta <strong>per</strong> il ’900, caratterizza il lavoro di Brower e di Rusca. Il primo, demistificando<br />
la pretesa pénétration pacifique nel Sahara vagheggiata dal movimento saint-simoniano<br />
e ripresa oggi da quanti vogliono sottolineare gli aspetti positivi del co<strong>lo</strong>nialismo<br />
francese, vede nell’uso <strong>della</strong> violenza l’aspetto centrale dell’es<strong>per</strong>ienza co<strong>lo</strong>niale in Algeria: nei<br />
primi quaranta anni di occupazione scomparve più <strong>della</strong> metà <strong>della</strong> popolazione pre-co<strong>lo</strong>niale,<br />
l’esercito francese ebbe quasi centomila caduti tra il 1830 e il 1851 e i legami sociali e le risorse<br />
alimentari <strong>della</strong> popolazione <strong>lo</strong>cale furono quasi completamente distrutti. Il fatto che il<br />
popo<strong>lo</strong> algerino fosse ormai nulla più che «poussière d’hommes» agli occhi dei generali francesi<br />
vincitori sembra dimostrare che l’800 anticipò <strong>per</strong> molti aspetti il ’900 anche nella pratica<br />
del genocidio, come conferma la politica tedesca nell’Africa sud-occidentale studiata da Rusca.<br />
La sistematica privazione delle terre e delle mandrie e la relegazione in riserve furono i fattori<br />
scatenanti <strong>della</strong> rivolta degli herero nel 1904, che si concluse con la morte, secondo le varie<br />
stime, di circa la metà di questo popo<strong>lo</strong>.<br />
Tagliaferri sonda invece il contributo del<strong>lo</strong> storico John R. Seeley alla mentalità im<strong>per</strong>ialista<br />
tardo-vittoriana, ponendo al centro <strong>della</strong> sua analisi la <strong>per</strong>cezione di sé e le sorgenti emozionali<br />
che innervarono l’azione dell’avanguardia militante dell’im<strong>per</strong>ialismo britannico, a<br />
partire dall’idea che gli United States of Greater Britain avrebbero <strong>per</strong>messo all’Inghilterra di<br />
entrare nel novero delle Su<strong>per</strong>potenze del XX seco<strong>lo</strong>; al suo approccio alla storia so<strong>lo</strong> in apparenza<br />
ispirato da Ranke, ma in realtà basato sull’ipotesi che la trattazione scientifica <strong>della</strong> storia<br />
inglese avrebbe <strong>per</strong>messo di divinare il destino <strong>della</strong> nazione; fino alla visione teo<strong>lo</strong>gica <strong>della</strong><br />
rinascita del cosmopolitismo cristiano medievale attraverso la creazione di una federazione<br />
mondiale dei popoli di cultura occidentale.<br />
Scacchi fa il punto degli studi sulla mobilitazione dei democratici italiani in favore dell’indipendenza<br />
di Cuba dal dominio spagno<strong>lo</strong>, animata da un misto di mazzinianesimo, garibaldinismo<br />
e irredentismo, il cui contributo fu assai modesto sul piano militare, ma significativo<br />
su quel<strong>lo</strong> politico, <strong>per</strong>ché unico segnale tangibile di attenzione verso la causa cubana<br />
da parte dell’opinione pubblica internazionale, né privo di conseguenze culturali, grazie all’attività<br />
pubblicistica che vi svolse il medico e crimino<strong>lo</strong>go Francesco Federico Falco.<br />
Nell’ambito <strong>della</strong> rinascita degli studi di storia <strong>lo</strong>cale nella Russia post-sovietica, che ha<br />
riallacciato i fili con la prima fase di questo fi<strong>lo</strong>ne culturale, tranciati dalla repressione stali-<br />
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niana, Loskutova esp<strong>lo</strong>ra l’invenzione ottocentesca del paesaggio rurale russo attraverso la produzione<br />
di studi geografici, etnografici e archeo<strong>lo</strong>gici sulle province nord-occidentali dell’im<strong>per</strong>o<br />
zarista.<br />
Ebrei, antisemitismo, sionismo<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Alla storia degli ebrei italiani sono dedicati specificamente alcuni saggi. Capuzzo ricostruisce<br />
l’ambiente del ghetto romano negli anni del giro di vite voluto da Leone XII e sostanzialmente<br />
mantenuto da Pio VIII e Gregorio XVI, fino alle concessioni di Pio IX, al cui mito<br />
di pontefice liberale aderirono anche gli israeliti. Lo Statuto fondamentale del marzo 1848<br />
riconobbe <strong>per</strong>ò i diritti politici so<strong>lo</strong> a co<strong>lo</strong>ro che professavano la religione di stato, lasciando<br />
quindi gli ebrei romani in una situazione di incertezza anche <strong>per</strong> ciò che concerneva i diritti<br />
civili, che vennero riconosciuti so<strong>lo</strong> in settembre grazie all’impegno del ministro di Grazia e<br />
Giustizia Pasquale de’ Rossi. Di Fant ricostruisce la polemica antiebraica sostenuta dalla stampa<br />
cattolica dopo Porta Pia, che fece eco alla violenza verbale espressa del<strong>lo</strong> stesso Pio IX nei<br />
discorsi tenuti in Vaticano: dagli esordi con il richiamo all’ana<strong>lo</strong>gia tra l’uccisione di Cristo e<br />
la ferita inferta al suo vicario dai «nuovi giudei», ovvero i liberali italiani e la massoneria cosmopolita,<br />
all’accusa direttamente rivolta agli ebrei contemporanei di essere dei «cani» senza<br />
Dio, fino alla derisione nei confronti dei buzzurri usurpatori che si lasciavano guidare ciecamente<br />
dai giornali anticattolici controllati dagli ebrei. Si trattò nel complesso di un antiebraismo<br />
tradizionale, ancora legato a una dimensione popolare e <strong>lo</strong>cale, che assumerà ben altri toni<br />
nei decenni successivi, alimentato dalla nascita di movimenti reazionari di massa negli altri<br />
Stati europei. Sul versante opposto, quel<strong>lo</strong> del processo di integrazione <strong>della</strong> minoranza<br />
ebraica nella compagine italiana, Ferrara degli Uberti propone un’ampia revisione delle ipotesi<br />
più accreditate su una convivenza pacifica in nome dell’adesione comune ai va<strong>lo</strong>ri risorgimentali,<br />
partendo dalle recenti affermazioni circa la presenza nel patriottismo italiano di una<br />
concezione etnica <strong>della</strong> nazione come comunità di famiglie e quindi di sangue. In un primo<br />
artico<strong>lo</strong> l’a. ri<strong>per</strong>corre alcune vicende private, evidenziando contraddizioni e difficoltà nel rapporto<br />
tra i singoli, le comunità ebraiche e le autorità pubbliche, su temi quali la libertà di coscienza<br />
e l’iscrizione obbligatoria alle comunità, la normativa ebraica sul matrimonio e il divorzio,<br />
il rispetto delle festività ebraiche e la laicità <strong>della</strong> scuola. In un secondo intervento, l’a.<br />
ritorna sui nodi del rapporto tra pubblico e privato utilizzando come punto di osservazione<br />
«Il Vessil<strong>lo</strong> Israelitico», la rivista ebraica più diffusa in Italia fra l’unificazione e la Grande Guerra,<br />
fautrice del completo inserimento degli ebrei nella società italiana ma anche fortemente<br />
ostile tanto all’assimilazione, intesa come <strong>per</strong>dita di qualsiasi identità ebraica, quanto alla<br />
frammentazione e al<strong>lo</strong> sgretolamento dell’ebraismo italiano in mille rivoli individuali. Brazzo<br />
infine propone il seguito di un artico<strong>lo</strong> del 2006 sulla storia di Ange<strong>lo</strong> Sullam e <strong>della</strong> Federa-<br />
33
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zione Sionistica italiana, focalizzato sugli anni <strong>della</strong> crisi del Congresso sionistico mondiale e<br />
sul contributo degli ebrei italiani all’espansione italiana nel Levante.<br />
Consumi<br />
Comunicare il sa<strong>per</strong>e culinario è un’attività che mette in moto pratiche, conoscenze, sensi<br />
che Davolio ri<strong>per</strong>corre a partire dall’editoria gastronomica italiana, settore che dall’800 conobbe<br />
una progressiva espansione. I ricettari prima, i manuali e le pubblicazioni <strong>per</strong>iodiche<br />
poi vengono analizzate come strumenti in grado di restituire le trasformazioni sociali e culturali<br />
del paese, trasformazioni che <strong>per</strong> quanto riguarda le gerarchie sociali e le differenze di genere<br />
il cibo riesce a riflettere e a promuovere, mettendo in scena dinamiche di inclusione,<br />
esclusione e socializzazione. Stesse dinamiche vengono attivate dall’uso del telefono che Balbi<br />
esamina a partire dalla sua comparsa non so<strong>lo</strong> nelle case ma anche nella letteratura. È qui<br />
che se ne ritraggono caratteri e aspetti che fanno del suo uso una novità utile ma al tempo stesso<br />
spaventosa, in grado di suscitare timori e dubbi legati ad una rinnovata <strong>per</strong>cezione <strong>della</strong><br />
«moderna nevrosi». Anche nel caso del telefono la questione del genere assume una notevole<br />
rilevanza, in quanto determinante la creazione di una figura lavorativa specifica (la telefonista)<br />
e l’ampliarsi del<strong>lo</strong> spazio <strong>della</strong> socializzazione dentro/fuori le mura domestiche.<br />
Articoli citati:<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Alberton, Angela Maria, «Se viene Garibaldi soldato mi farò». Canzone popolare e mobilitazione<br />
patriottica nel Risorgimento, Zap, n.12, pp. 26-45.<br />
Arisi Rota, Arianna, Il linguaggio del control<strong>lo</strong> e <strong>della</strong> crisi: <strong>lo</strong> spirito pubblico <strong>lo</strong>mbardo nei rapporti<br />
dei delegati provinciali (1857-1859), RSI, n. 1, pp. 112-141.<br />
Arru, Daniele, Stato e Chiesa in età napoleonica. Dai Concordati al Cesaropapismo, Clio, n. 1,<br />
pp. 5-22.<br />
Id., Sulla legislazione ecclesiastica <strong>della</strong> Repubblica Romana del 1849, Clio, n. 2, pp. 189-206.<br />
Balbi, Gabriele, Squilli di carta. I primi 40 anni del telefono nelle pagine <strong>della</strong> letteratura italiana,<br />
MR, n. 25, pp. 127-152.<br />
Battistini, Francesco, Seta ed economia in Italia. Il prodotto 1500-1930, RSE, n. 3, pp. 283-318.<br />
Belardinelli, Mario, La Santa Sede, i movimenti nazionali del 1848 e la ricerca di una «terza<br />
via» fra assetti tradizionali e rivoluzione, RSR, n. 1, pp. 3-32.<br />
Bellucci, Franca, Oggetti e doni in esempi di creanza ottocentesca, Gen, n. 1, pp. 61-78.<br />
Brazzo, Laura, Ange<strong>lo</strong> Sullam e il Sionismo in Italia tra la crisi di fine seco<strong>lo</strong> e la guerra di Libia,<br />
parte II, NRS, n. 2, pp. 361-422.<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Brower, Benjamin Claude, Ideo<strong>lo</strong>gie di pace, pratiche di guerra. L’im<strong>per</strong>o francese nel Sahara algerino,<br />
1840-1852, RSP, n. 1, pp. 27-52.<br />
Campanelli, Marcella, «Lo sconquasso dei tempi trascorsi». La chiesa di Terra di Lavoro e le riforme<br />
statali nell’Ottocento, RSI, n. 1, pp. 142-173.<br />
Cappelli, Vittorio, Immigrazione e urbanizzazione. La presenza degli italiani nelle «altre Americhe»,<br />
PP, n. 71, pp. 21-44.<br />
Capuzzo, Ester, Pasquale de’ Rossi e la comunità ebraica di Roma, RSR, n. 2, pp. 230-243.<br />
Casalena, Maria Pia, The Congresses of Italian Scientists between Europe and Risorgimento<br />
(1839-1875), in JMIS, n. 2, pp. 153-188.<br />
Cassina, Cristina, Ai confini <strong>della</strong> controrivoluzione: l’o<strong>per</strong>a poetica di Pierre-Simon Ballanche,<br />
MR, n. 24, pp. 57-67.<br />
Ceretti, Mauro, Per una rivisitazione critica di Cesare Balbo. Costituzione, amministrazione e opinione<br />
pubblica nel discorso di un aristocratico liberale del Risorgimento, RSR, n. 4, pp. 483-522.<br />
Chatzis, Konstantinos, Breve storia dei contatori d’acqua a Parigi, 1880-1930, SU, n. 116, pp.<br />
77-99.<br />
Chiancone, Claudio, Francesco Pezzi direttore <strong>della</strong> «Gazzetta di Milano» (1816-1831), SeS, n.<br />
117, pp. 507-554.<br />
Chiavistelli, Antonio, Modelli istituzionali e discorso pubblico nel Risorgimento italiano: la «Monarchia<br />
popolare» di Francesco Domenico Guerrazzi, CS, n. 1, pp. 113-128.<br />
Clemente, Giuseppe, Il «potere forte» del<strong>lo</strong> Stato in Capitanata. Governatori e prefetti tra reazione<br />
e brigantaggio (1860-1864), RSR, n. 3, pp. 411-448.<br />
Coltrinari, Massimo, Lo scontro di Castelfidardo del 18 settembre 1860. La presenza, o meno,<br />
del generale Cialdini sul campo di battaglia, RSR, n. 3, pp. 345-380.<br />
Conca Messina, Silvia A., Il progetto <strong>della</strong> Banca di sconto e di emissione del Regno Lombardo-<br />
Veneto. Problemi, proposte e trattative (1853-1859), SeS, 116, pp. 321-356.<br />
David, Jérôme, Onto<strong>lo</strong>gie letterarie del<strong>lo</strong> spazio parigino: romiti e «flâneurs» del primo Ottocento,<br />
QS, n. 125, pp. 433-460.<br />
Davolio, Federica, La cucina e il suo pubblico. Per una storia dell’editoria e <strong>della</strong> cultura gastronomica<br />
in Italia, Storic, n. 3<br />
De Fátima Sá, Maria, Ferreira, Me<strong>lo</strong>, Don Miguel e i suoi doppi, MR, n. 24, pp. 69-93.<br />
Del Corno, Nicola, Letteratura e antirisorgimento. I romanzi di Antonio Bresciani, MR, n. 24,<br />
pp, 21-32.<br />
Di Fant, Annalisa, La polemica antiebraica nella stampa cattolica romana dopo la Breccia di Porta<br />
Pia, MC, n. 1, pp. 87-118.<br />
Di Rienzo, Eugenio, Gioacchino Volpe: gli anni <strong>della</strong> prima formazione, 1892-1895, NRS, n.<br />
2, pp. 339-360.<br />
Francia, Enrico, Provincializzare la rivoluzione. Il Quarantotto «subalterno» in Toscana, SeS, n.<br />
116, pp. 293-320.<br />
35
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Fenoaltea, Stefano, The Chemical, Coal and Petroleum Products, and Rubber Industries in Italy,<br />
1861-1913: A Statistical Reconstruction, RSE, n. 1, pp. 33-80.<br />
Ferrara degli Uberti, Car<strong>lo</strong>tta, Libertà di coscienza e modelli di cittadinanza nell’Italia liberale.<br />
Ebrei e comunità ebraiche nel rapporto con le istituzioni statali, SeS, n. 118, pp. 765-790.<br />
Ead., Rappresentare se stessi tra famiglia e nazione. Il Vessil<strong>lo</strong> Israelitico alla soglia del ’900, PP,<br />
n. 70, pp. 35-58.<br />
Fruci, Gian Luca, Cittadine senza cittadinanza. La mobilitazione femminile nei plebisciti del Risorgimento<br />
(1848-1870), Gen, n. 2, pp. 21-56.<br />
Fusco, Idamaria, Centri abitati e industrie insalubri: la trattura <strong>della</strong> seta nella Calabria dell’Ottocento,<br />
Merid, n. 57, pp. 85-110.<br />
Gardini, Gianluca, Il regime del Comune italiano tra autarchia e differenziazione nell’o<strong>per</strong>a di<br />
Umberto Borsi, CS, n. 2, pp. 189-206.<br />
Gribaudi, Maurizio, Forme, continuità e rotture nella Parigi <strong>della</strong> prima metà dell’Ottocento,<br />
QS, n. 125, pp. 393-431.<br />
Guarnieri, Patrizia, Matti in famiglia. Custodia domestica e manicomio nella provincia di Firenze<br />
(1866-1938), SS, n. 2, pp. 477-521.<br />
Ingrassia, Michelange<strong>lo</strong>, Argentina Altobelli. Politica e sindacato dal Risorgimento al fascismo,<br />
RSR, n. 2, pp. 244-275.<br />
Krmac, Dean, La popolazione di Trieste a metà Ottocento. Una prima ricostruzione <strong>della</strong> topografia<br />
dei flussi migratori, RSI, n. 2, pp. 834-895.<br />
Latini, Car<strong>lo</strong>tta, La giustizia militare pontificia tra privilegium fori e specialità giurisdizionale.<br />
Il «Regolamento di giustizia criminale e disciplinale militare» (1842), CS, n. 2, pp. 141-<br />
155.<br />
Lodolini Tupputi, Carla, Sulla tacita soppressione del<strong>lo</strong> Statuto di Pio IX, RSR, n. 3, pp. 323-344.<br />
Loskutova, Maria, Identità <strong>lo</strong>cali e regionali nella Russia tardo im<strong>per</strong>iale: il caso nord-occidentale,<br />
QS, n. 126, pp. 877-892.<br />
Lucrezio Monticelli, Chiara, La nascita del carcere femminile a Roma tra XVIII e XIX seco<strong>lo</strong>, SS,<br />
n. 2, pp. 447-476.<br />
Marongiu, Gianni, La politica fiscale negli anni dell’egemonia di Agostino Depretis, RSR, n. 4,<br />
pp. 523-569.<br />
Martin, Jean-Clément, Letteratura e controrivoluzione: l’esempio <strong>della</strong> Vandea, MR, n. 24, pp.<br />
47-56.<br />
Mori, Piergiorgio, Garibaldi: miti e declino nella letteratura italiana, Clio, n. 3, pp. 475-488.<br />
Morisi, Pao<strong>lo</strong>, Republicans and Socialists and the Origins of Italian Political Parties, MI, 3, pp.<br />
309-325.<br />
Müller, Johannes U., Dal conformismo al secessionismo: la parabola dei Giovani Liberali (1897-<br />
1901), MR, n. 25, pp. 27-42.<br />
Paolino, Marco, Mazzini e il mondo tedesco, RSR, n. 2, pp. 206-229.<br />
36
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Papa, Catia, Goliardia e militanza patriottica. L’associazionismo studentesco in età liberale, MR,<br />
n. 25, pp. 43-59.<br />
Poettinger, Monika, Imprenditori tedeschi nella Lombardia del primo Ottocento: spirito mercantile,<br />
capitale sociale ed industrializzazione, RSE, n. 3, pp. 319-360.<br />
Po<strong>lo</strong> Friz, Luigi, Lodovico Frapolli. Lettere garibaldine, Ris, nn. 1-2, pp. 7-54.<br />
Rainhorn, Judith, Liens de parenté et liens communautaires dans deux «Petites Italies». Une comparaison<br />
entre Paris et New York (1880-1930), SE, n. 166, pp. 429-442.<br />
Riot- Sarcey, Michèle, Pensare il XIX seco<strong>lo</strong> con Benjamin, Stor, n. 35-36, pp. 115-132.<br />
Rújula, Pedro, Cabrera e Zumalacárregui nei tempi <strong>della</strong> letteratura, MR, n. 24, pp. 7-20.<br />
Rusca, Maria, La campagna contro gli herero nell’Africa sud-occidentale tedesca, MC, n. 3, pp. 5-44.<br />
Sanfilippo, Matteo, Migrazioni a Roma tra l’età moderna e contemporanea, SE, n. 165, pp. 19-32.<br />
Santos Zas, Margarita, Carlismo vs liberalismo: i romanzi di La Guerra Carlista di Valle-Inclàn,<br />
MR, n. 24, pp. 33-46.<br />
Satto, Christian, Il romanticismo politico di Giuseppe Mazzini dagli anni giovanili alla fondazione<br />
<strong>della</strong> Giovine Italia, Clio, n. 4, pp. 547-566.<br />
Scacchi, Domenico, Nuove ipotesi sul ruo<strong>lo</strong> dei democratici italiani nella guerra di indipendenza<br />
di Cuba, MC, n. 3, pp. 137-153.<br />
Simon, Fabrizio, La «Croce di Savoia» e il liberalismo siciliano nel Regno di Sardegna: 1850-<br />
1851, SS, n. 118, pp. 733-764.<br />
Soddu, Francesco, La presenza e il ruo<strong>lo</strong> dei magistrati nel Parlamento liberale, CS, n. 2, pp. 35-42.<br />
Soru, Maria Carmela, Un’es<strong>per</strong>ienza di socialismo municipale nella Sardegna liberale, Merid, n.<br />
57, pp. 45-68.<br />
Spina, Maria Grazia, L’estrazione del<strong>lo</strong> zolfo a Lercara Friddi: impatto ambientale e innovazione<br />
tecnica tra Otto e Novecento, Merid, n. 57, pp. 69-83.<br />
Strinati, Valerio, La responsabilità degli imprenditori e la Cassa nazionale di assicurazione <strong>per</strong> gli<br />
o<strong>per</strong>ai contro gli infortuni sul lavoro: iniziative legislative e dibattiti parlamentari (1879-<br />
1885), CS, n. 1, pp. 158-174.<br />
Tagliaferri, Teodoro, <strong>Storia</strong> e profezia politica nella visione im<strong>per</strong>iale di John R. Seeley, RSP, n.<br />
3, pp. 301-326.<br />
Tasca, Luisa, Individui, <strong>per</strong>corsi, racconti. Una ricerca sulle autobiografie italiane dell’800, PP,<br />
n. 71, pp. 111-122.<br />
Urquijo Goitia, José Ramón, Hacia la ruptura de la relaciones entre España y el Reino de Cerdeña-Piamonte,<br />
RSR, n. 2, pp. 163-205.<br />
Varriale, Roberta, La mano pubblica nel sottosuo<strong>lo</strong> di Napoli, SU, n. 116, pp. 57-76.<br />
Verrastro, Francesco, Nascita e sviluppo delle soprintendenze <strong>per</strong> il patrimonio storico-artistico<br />
(1861-1904), CS, n. 1, pp. 135-157.<br />
Zazzeri, Angelica, Donne in armi : immagini e rappresentazioni nell’Italia del 1848-49, Gen,<br />
n. 2, pp. 165-188.<br />
37
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2. 1914-1945<br />
di Giulia Albanese e Daniela Luigia Caglioti<br />
La produzione storiografica sul <strong>per</strong>iodo compreso tra <strong>lo</strong> scoppio <strong>della</strong> prima guerra e la fine<br />
<strong>della</strong> seconda continua a essere assai corposa, variegata dal punto di vista tematico, un po’ meno<br />
da quel<strong>lo</strong> metodo<strong>lo</strong>gico. Il fascismo e la resistenza nelle <strong>lo</strong>ro diverse declinazioni rimangono<br />
i temi su cui si focalizza l’interesse <strong>della</strong> maggior parte dei saggi che abbiamo preso in considerazione.<br />
La politica e le istituzioni poi prevalgono sulla società e soprattutto l’economia che<br />
sembra ormai territorio abbandonato dagli storici che <strong>lo</strong> hanno completamente appaltato agli<br />
economisti. Scorrendo gli indici delle riviste italiane e leggendo gli articoli ci si trova di fronte<br />
ad una produzione concentrata in gran parte sull’Italia o, con qualche rara eccezione, sui rapporti<br />
dell’Italia con un’altra nazione. Non mancano tuttavia interventi su altri paesi dovuti in<br />
prevalenza all’ospitalità che le riviste italiane offrono a studiosi stranieri. Insomma si guarda poco<br />
fuori dai confini nazionali e soprattutto si guarda molto alla politica, poco alla società e ancor<br />
meno all’economia. L’agenda degli storici poi sembra essere sempre più spesso dettata dalle<br />
ricorrenze e dagli anniversari: il 2006 con il 60° del volto alle donne e il <strong>2007</strong> con il 70° <strong>della</strong><br />
morte di Antonio Gramsci producono un numero discreto di saggi qui analizzati.<br />
Antonio Gramsci<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Ed è proprio da Gramsci che abbiamo deciso di iniziare questa rassegna, anche <strong>per</strong>ché la<br />
sua figura e gli articoli scritti su di lui ne fanno un punto di incontro e una <strong>per</strong>fetta cerniera<br />
tra tutte le questioni e le cesure del <strong>per</strong>iodo che stiamo analizzando: la guerra, la crisi del<strong>lo</strong> stato<br />
liberale e il fascismo. Se altrove, soprattutto in area ang<strong>lo</strong>sassone si è studiato e si studia ripetutamente<br />
Gramsci da un punto di vista metodo<strong>lo</strong>gico e avendo soprattutto in mente il suo<br />
concetto di egemonia, la ricerca italiana continua a rileggerne gli scritti <strong>per</strong> spiegarne, da una<br />
parte, la formazione e l’es<strong>per</strong>ienza politica; e dall’altra, <strong>per</strong> verificarne l’attualità delle analisi<br />
sulla guerra, la rivoluzione bolscevica, le relazioni internazionali, la crisi del<strong>lo</strong> stato liberale e<br />
il fascismo. Ovviamente non è un caso che a pubblicare cinque dei sei interventi sull’argomento<br />
sia SS, che è <strong>per</strong> l’appunto la rivista dell’Istituto a Gramsci intitolato. Il rapporto tra<br />
Gramsci e la Grande guerra è al centro di due saggi, quel<strong>lo</strong> di Leonardo Rapone e quel<strong>lo</strong> di<br />
Raffaele D’Agata. Il primo, in un lungo e denso contributo, esamina una parte considerevole<br />
<strong>della</strong> sterminata produzione giornalistica di quegli anni restituendo alla guerra, considerata,<br />
accanto alla rivoluzione, il «luogo storico <strong>della</strong> formazione del [suo] pensiero politico» (p.<br />
5), un ruo<strong>lo</strong> fondante nell’elaborazione gramsciana; il secondo in un saggio più breve passa in<br />
rassegna il Gramsci de «L’Ordine Nuovo» che riflette sulle implicazioni <strong>della</strong> prima guerra <strong>per</strong><br />
il sistema delle relazioni internazionali.<br />
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Le valutazioni di Gramsci sulle relazioni internazionali, alla luce non so<strong>lo</strong> <strong>della</strong> guerra ma<br />
soprattutto <strong>della</strong> rivoluzione bolscevica, sono al centro di un artico<strong>lo</strong> di Roberto Gualtieri che<br />
rintraccia sia negli scritti giovanili che nei Quaderni dal carcere una coerente visione delle relazioni<br />
internazionali saldamente ancorata nella fi<strong>lo</strong>sofia marxiana. Crisi del<strong>lo</strong> stato liberale e<br />
fascismo sono invece i temi del saggio di Benedetta Garzarelli che sceglie di isolare, anche<br />
quando sembra impossibile far<strong>lo</strong>, l’intellettuale dal politico, <strong>per</strong> mostrarci, dettagliatamente,<br />
le radici del pensiero gramsciano sul fascismo. Ne risulta un quadro che rivaluta l’importanza<br />
<strong>della</strong> sua riflessione, e che mostra quanto l’interpretazione gramsciana delle tensioni e delle<br />
tendenze interne alla borghesia italiana oltre che al fascismo sia stata anticipatrice di letture<br />
oggi diffuse nella storiografia più recente e aggiornata (e meno tacciabile di vetero-marxismo).<br />
Sulle pagine di SS troviamo ancora un saggio di Sergio Soave che ricostruisce l’incontro<br />
e il breve ma intenso sodalizio amicale tra Gramsci e Ange<strong>lo</strong> Tasca nel biennio 1919-1920.<br />
Soave in questo rapido schizzo va alla ricerca delle reciproche influenze notando come Tasca<br />
scompaia presto «dall’orizzonte speculativo di Gramsci» che al contrario rimane, nonostante<br />
<strong>della</strong> sua produzione nel carcere non conosca nulla, un riferimento intellettuale importante<br />
<strong>per</strong> Tasca che ne scrive un intenso necro<strong>lo</strong>gio sul «Nuovo Avanti». È dedicato invece alle riflessioni<br />
complessive sulla storia italiana il saggio che David Gilks pubblica sulle pagine di<br />
JMIS. Qui l’a. propone al pubblico degli italianisti ang<strong>lo</strong>sassoni una rilettura delle riflessioni<br />
sulla storia d’Italia di Gramsci che ruota attorno a cinque parole chiave: Riforma, Rinascimento,<br />
Protestantesimo, Cattolicesimo e Fascismo.<br />
Storici, storiografia e questioni di metodo storico<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Gli articoli su Gramsci, che abbiamo deciso di tenere distinti, potrebbero ben figurare in<br />
una sezione intitolata agli storici e alla storiografia nella quale è possibile iscrivere alcuni saggi<br />
di notevole spessore <strong>per</strong> profondità di interpretazione e ampiezza di riferimenti che mettono<br />
al centro tre storici diversi tra <strong>lo</strong>ro, sia dal punto di vista <strong>della</strong> formazione che <strong>della</strong> col<strong>lo</strong>cazione<br />
generazionale, accomunati, tuttavia, dalla <strong>lo</strong>ro condizione di ebrei assimilati e dall’interesse,<br />
che ne segna sia la biografia che la produzione storiografica, <strong>per</strong> i temi <strong>della</strong> questione<br />
nazionale e <strong>della</strong> nazionalizzazione: Lewis Namier, Arnaldo Momigliano e George L. Mosse.<br />
A Sir Lewis Namier è dedicato un denso e corposo saggio di Andrea Graziosi che, su Cont,<br />
dimostra l’importanza degli scritti di questo storico <strong>per</strong> capire la storia dell’Europa dal 1815<br />
al 1945, ma anche oltre. Quella di Graziosi è una disamina attenta, condotta attraverso i suoi<br />
scritti ma anche alla luce <strong>della</strong> sua biografia, dei concetti principali che <strong>lo</strong> storico utilizza (e<br />
che secondo Graziosi possono continuare a essere utilizzati ben oltre la <strong>per</strong>iodizzazione namieriana):<br />
in particolare la sua idea del ’48 come «semenzaio» <strong>della</strong> storia europea, il concetto<br />
di «Medio Oriente europeo», quel<strong>lo</strong> di master nations. Graziosi in questo contributo riba-<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
disce, anche attraverso l’interpretazione namieriana, il ruo<strong>lo</strong> chiave svolto dall’est europeo e<br />
dal problema <strong>della</strong> questione nazionale nella costruzione dell’intera storia europea.<br />
Anche il saggio di Simon Levis Sullam su Arnaldo Momigliano fa i conti con il problema<br />
dell’appartenenza nazionale. Levis Sullam si occupa in particolare dei «problemi dell’educazione<br />
ebraica di Momigliano giovanissimo, delle influenze che vi contribuirono, e di come<br />
le sue opinioni religiose poterono trasformarsi in uno strettissimo giro d’anni tra la fine degli<br />
anni ’20 e la prima metà degli anni ’30» (p. 60). Levis Sullam è interessato quindi a capire l’atteggiamento<br />
culturale e politico di Momigliano verso gli ebrei e il modo in cui da storico interpretò<br />
il mondo ebraico. Il saggio è fondato sulla rilettura di alcuni suoi scritti, una parte<br />
dei quali editi di recente, e in particolare sulla recensione che Momigliano, nel 1933, dedicò<br />
all’o<strong>per</strong>a di Cecil Roth sugli ebrei di Venezia. Un testo chiave e, secondo Levis Sullam, significativo<br />
<strong>della</strong> complessa tem<strong>per</strong>ie in cui viveva non so<strong>lo</strong> Momigliano ma l’intero ebraismo italiano<br />
durante il fascismo. In questo senso, al centro del saggio sta un problema che evidentemente<br />
va oltre Momigliano e cioè quel<strong>lo</strong> <strong>della</strong> complessità dei <strong>per</strong>corsi di nazionalizzazione e<br />
assimilazione degli ebrei italiani. Levis Sullam indaga la trasformazione <strong>della</strong> coscienza religiosa<br />
di Momigliano, la sua uscita dall’ebraismo, l’«avvicinamento culturale e spirituale al cristianesimo,<br />
almeno sul piano del riconoscimento storico e fi<strong>lo</strong>sofico [...] del suo ruo<strong>lo</strong> nella<br />
storia <strong>della</strong> civiltà occidentale» (p. 67) ritrovando nel pensiero di Momigliano e in contrasto<br />
con la sua stessa autorappresentazione forti influenze gentiliane dirette e non mediate dal crocianesimo.<br />
A uno storico che ha fatto del tema <strong>della</strong> nazionalizzazione l’oggetto delle sua ricerca storiografica,<br />
George L. Mosse, è dedicato il saggio di Donatel<strong>lo</strong> Aramini su MC. Aramini è interessato<br />
alla ricezione italiana di Mosse e del suo libro più famoso, La nazionalizzazione delle<br />
masse, tradotto in italiano nel 1975 dall’editore il Mulino su sollecitazione di Renzo De Felice.<br />
Aramini ricostruisce l’indifferenza o addirittura l’ostilità che il libro suscitò nella «storiografia<br />
impegnata in senso “progressista”» (p. 134), che si espresse nelle critiche di Quazza, Alatri<br />
e Col<strong>lo</strong>tti, e la buona stampa che il libro invece ricevette nell’ambiente defeliciano che ruotava<br />
soprattutto attorno alla rivista, «<strong>Storia</strong> Contemporanea». Ri<strong>per</strong>corre quindi la fortuna del<br />
libro arrivando al suo definitivo «sdoganamento» nella seconda metà degli anni ’80 quando<br />
secondo l’a. esp<strong>lo</strong>de una vera e propria «moda Mosse». Leggendo il pur assai documentato<br />
saggio di Aramini viene da chiedersi se abbia senso discutere la ricezione di uno storico richiudendola<br />
tutta all’interno di un contesto nazionale e interpretandola esclusivamente alla luce<br />
delle fratture e delle contrapposizioni ideo<strong>lo</strong>giche che hanno segnato una parte <strong>della</strong> storiografia<br />
contemporaneistica italiana e se non si debba invece leggere la grande fortuna storiografica<br />
di Mosse nel contesto più largo <strong>della</strong> storiografia sul nazionalismo, sul genere, sulle<br />
rappresentazioni, insomma nel contesto di una storia politica fortemente rigenerata dall’incontro,<br />
e non su suo<strong>lo</strong> italiano purtroppo se non tardivamente, con l’antropo<strong>lo</strong>gia, la letteratura<br />
e, <strong>per</strong>ché no, anche con la psicanalisi. Insomma verrebbe quasi da dire che una parte del-<br />
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la fortuna recente di Mosse in Italia sia totalmente sganciata dal dibattito italiano e sia legata<br />
ad una rinnovata importazione dei testi di Mosse dall’area culturale ang<strong>lo</strong>-sassone.<br />
Alla storiografia italiana e in particolare alle figure di Volpe e Croce, legati da un sodalizio<br />
amicale dall’inizio del seco<strong>lo</strong> fino al 1927, come testimonia il <strong>lo</strong>ro fitto carteggio, è dedicato<br />
il saggio di Eugenio Di Rienzo che costituisce l’anticipazione di un volume nel frattempo<br />
pubblicato dall’editore Le Lettere.<br />
Uscendo dal tema <strong>della</strong> nazione e spostandoci invece su questioni epistemo<strong>lo</strong>giche e di<br />
metodo<strong>lo</strong>gia storica si possono leggere gli articoli di Giovanni Contini Bonacossi e di Etienne<br />
Anheim che, partendo dal saggio di Marc B<strong>lo</strong>ch su Le false notizie <strong>della</strong> guerra, discutono,<br />
alla luce delle <strong>lo</strong>ro diverse es<strong>per</strong>ienze storiografiche e dei differenti campi di interesse, i problemi<br />
che pone l’uso delle fonti orali.<br />
Grande guerra<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
La Grande guerra, oltre che nei già citati articoli su Gramsci di Rapone e D’Agata, è al<br />
centro di pochi saggi e interventi, quasi si trattasse di un cantiere in via di esaurimento. Alcuni<br />
di questi, tornano su argomenti ormai molto frequentati come è il caso dell’articolino di<br />
Eugenio Di Rienzo che dalle pagine di NSC propone qualche spigolatura dagli scritti di Omodeo,<br />
Volpe, Soffici, Prezzolini e Amendola su Caporetto e la disfatta; o quel<strong>lo</strong> di Ester Capuzzo<br />
su Trieste dall’intervento all’annessione.<br />
Altri invece – gli articoli di Antonio Fiori in IC e in RSR o quel<strong>lo</strong> di Matteo Ermacora<br />
in DEP – segnalano, anche se da approcci metodo<strong>lo</strong>gici diversi, che la ricerca si va orientando<br />
su questioni rimaste più in ombra nella ricerca italiana sul primo conflitto bellico. Il problema<br />
<strong>della</strong> guerra ai civili è al centro del saggio di Ermacora su DEP dedicato all’internamento<br />
femminile; mentre quel<strong>lo</strong> del nemico interno (ma anche le donne protagoniste del saggio<br />
di Ermacora appartengono <strong>per</strong> certi aspetti a questa categoria), spia o «pescecane», si affaccia<br />
nelle ricerche di Fiori i cui saggi, apparsi rispettivamente su IC e su RSR, ricostruiscono nei<br />
dettagli, su carte d’archivio, episodi specifici come quel<strong>lo</strong> <strong>della</strong> creazione dell’Ufficio centrale<br />
di investigazione, o quel<strong>lo</strong> del<strong>lo</strong> scanda<strong>lo</strong> dei cascami di prodotti tessili, un episodio di affarismo<br />
e contrabbando denunciato in Parlamento nel febbraio 1918. Fiori è poi l’a. di un terzo<br />
saggio, apparso in Clio, che ricostruisce i tentativi del gruppo liberale sonniniano di recu<strong>per</strong>are<br />
un ruo<strong>lo</strong> di primo piano sulla scena politica italiana nei mesi immediatamente successivi<br />
alla fine <strong>della</strong> guerra.<br />
I saggi di Fiori segnalano una tendenza che ci pare assai diffusa nella storiografia su questo<br />
<strong>per</strong>iodo e cioè quella di un ritorno ad una storia fortemente évenémentielle. Questa tendenza<br />
la si può vedere anche in un articolino di Marco Cioffi che ricostruisce l’eccidio di via<br />
Nazionale a Roma il 24 maggio del 1920, provocato dalla degenerazione di una manifestazio-<br />
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ne nazionalista nel clima arroventato del primo dopoguerra italiano: otto morti, ventuno feriti<br />
e circa 250 arrestati, il bilancio di un episodio di cronaca politica di cui l’a. del saggio ricostruisce<br />
dinamica e processo.<br />
Movimenti, partiti, elezioni<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Che si parli di guerra, di dopoguerra o di fascismo è in ogni caso la politica, soprattutto<br />
nelle sue forme organizzate, a farla da padrone. Un gruppo di saggi provenienti da un numero<br />
monografico di Gen si occupa, nel 60° del voto alle donne, di elezioni e suffragio. Emma Schiavon<br />
affronta il tema occupandosi dell’attivismo femminista sul voto nella campagna elettorale<br />
del 1919 che si manifesta nella pubblicazione, dal 31maggio 1919 al 13 febbraio 1920, del settimanale<br />
«Voce Nuova» a Milano. L’a. sottolinea la svolta rappresentata da questo foglio che<br />
abbandona le cautele e la prudenza che avevano fin lì caratterizzato l’azione e il discorso femminista<br />
in Italia <strong>per</strong> assumere toni più battaglieri e gridati, decisamente più coerenti con l’importanza<br />
<strong>della</strong> posta in gioco ma soprattutto con il ruo<strong>lo</strong> che le donne, e soprattutto le femministe<br />
interventiste, avevano rico<strong>per</strong>to nella guerra. Liviana Gazzetta si occupa invece dell’altro<br />
fronte, quel<strong>lo</strong> delle donne cattoliche che furono in alcuni casi ostili al suffragio femminile, ma<br />
impegnate strenuamente sul terreno dell’attivismo sociale. In particolare, il saggio di Gazzetta<br />
ricostruisce le vicende di due esponenti del movimento cattolico di inizio seco<strong>lo</strong>, Elena Da Persico,<br />
fondatrice dell’associazione Figlie <strong>della</strong> Regina degli Apostoli, ed Elsa Conci futura deputata<br />
all’Assemblea Costituente <strong>per</strong> la DC. Ancora nel numero di Gen, in cui compaiono anche<br />
i saggi di Fruci, Cha<strong>per</strong>on, Lunadei e Motti discussi in altre parti di questa rassegna, Claire Lescoffit<br />
presenta una ricerca sulle contraddizioni all’interno del Fronte popolare francese sulla<br />
questione dei diritti delle donne. Il lavoro ricostruisce la vicenda <strong>della</strong> nomina a sottosegretario<br />
nel governo Blum di tre donne senza voto e, come recita il tito<strong>lo</strong>, senza diritti. Lescoffit indaga<br />
questa incoerenza, prova a capire le motivazioni che spinsero Blum a questo passo, valuta<br />
«l’impatto di queste nomine e quali ne furono le conseguenze <strong>per</strong> i diritti delle donne» (p.<br />
99) cercando soprattutto di spiegare <strong>per</strong>ché, finita l’es<strong>per</strong>ienza del Fronte popolare, le donne<br />
francesi dovettero aspettare altri dieci anni <strong>per</strong> ottenere il voto. Lescoffit rileva l’importanza dell’iniziativa<br />
di Blum e conclude dicendo che si trattò di una «rivoluzione dall’alto» che ebbe importanti<br />
effetti sul piano culturale. Di fronte ad una crescente partecipazione femminile e occupazione<br />
del<strong>lo</strong> spazio pubblico, Blum assecondò la trasgressione femminile mentre il resto <strong>della</strong><br />
società politica maschile manifestò tutta la sua arretratezza e incapacità di accogliere la richiesta<br />
di maggiori diritti. Si resta ancora nella Francia <strong>della</strong> Terza Repubblica con l’artico<strong>lo</strong> di Yves<br />
Dé<strong>lo</strong>ye che su Cont analizza il modo in cui la chiesa cattolica, attraverso la sua capillare struttura<br />
territoriale, contribuì al processo di democratizzazione del paese. Dé<strong>lo</strong>ye studia la scelta di<br />
«politicizzare» l’azione pastorale, facendo dei preti nelle aree rurali i terminali di un impegno<br />
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politico-elettorale a favore dei partiti conservatori, un impegno che concorse in maniera significativa<br />
all’integrazione politica <strong>della</strong> Francia profonda.<br />
Ancora partecipazione politica in Europa, spesso mediata attraverso la cultura, <strong>lo</strong> sport,<br />
la ricreazione, è il tema attorno a cui ruotano i saggi di un numero monografico di MR curato<br />
da Marco Fincardi e Catia Papa dal tito<strong>lo</strong> Movimenti e culture giovanili. Scoutismo, associazioni<br />
studentesche, goliardiche o di pionieri sono i casi analizzati nel fascico<strong>lo</strong>. Dei saggi di<br />
Müller, Papa, Caroli, Zanella e Nunziata si parla in altre parti di questa rassegna. Su questa<br />
crono<strong>lo</strong>gia insistono invece i saggi di Bottin, Soutro Kustrin e Viola Gorza. Francesca Bottin<br />
parla del Kibbo Kift un movimento che si contrappone al<strong>lo</strong> scoutismo fondato da John Hargrave,<br />
un ex scout, e che dal 1919 al 1931 rappresenta un’alternativa pacifista al militarismo<br />
e al nazionalismo dell’organizzazione di Baden-Powell. Sandra Souto Kustrin scrive invece del<br />
formarsi delle diverse culture giovanili nell’Europa tra le due guerre e traccia un quadro sintetico<br />
di culture e movimenti dalla Danimarca alla Spagna, dal pacifismo al nazismo all’antifascismo<br />
e alla resistenza, dal jazz al cinema agli ostelli <strong>della</strong> gioventù sottolineando la forte<br />
valenza politica di alcuni movimenti culturali. Viola Gorza si occupa dei movimenti giovanili<br />
nella Germania weimariana.<br />
Emigrazione<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
La scelta di inserire nell’elenco delle testate spogliate due riviste che si occupano di emigrazione<br />
fa si che attorno a questo importante nodo si addensino alcuni saggi. Per quanto riguarda<br />
il <strong>per</strong>iodo tra le due guerre si possono leggere quattro saggi che si interessano degli emigrati<br />
italiani nei luoghi d’arrivo e del modo in cui si organizzano. Vanno in questa direzione<br />
i due saggi dedicati alla stampa etnica, quel<strong>lo</strong> cioè di Bénédicte Deschamps sul settimanale<br />
femminile «Giustizia», nato a New York nel 1919 come organo dell’International Ladies Garment<br />
Workers’Union (ILGWU) e quel<strong>lo</strong> di Amedeo Tosco che si occupa di una serie di testate<br />
nate all’interno <strong>della</strong> comunità ita<strong>lo</strong>-australiana e che, secondo l’a., hanno svolto un ruo<strong>lo</strong><br />
di primo piano nel fare da tessuto connettivo e da mediatrici tra le comunità di origine e quelle<br />
di arrivo, pur tendendo a riprodurre le divisioni e le contrapposizioni del paese di origine.<br />
Ancora la stampa etnica di tendenza anarchica è la protagonista del saggio di Gerald Meyer<br />
dedicato a Car<strong>lo</strong> Tresca (1879-1943), famoso esponente del movimento radicale americano e<br />
direttore di una serie di settimanali anarchici in lingua italiana, tra cui «Il Martel<strong>lo</strong>»,, fervente<br />
anticomunista, dopo gli esiti <strong>della</strong> guerra civile spagnola e oppositore del New Deal. E sempre<br />
sulle comunità d’arrivo, le Little Italies americane e canadesi, scrive un breve contributo<br />
Bruno Ramirez che analizza i cambiamenti di queste enclaves e ne registra in alcuni casi, quelli<br />
di Montreal e Toronto, una vivacità di lunga durata e una capacità tutto sommato intatta<br />
di generare «italianità» a fronte di una «commercializzazione» delle Little Italies statunitensi.<br />
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Relazioni internazionali e politica estera<br />
Sotto questo tito<strong>lo</strong>, <strong>per</strong> tematiche ma soprattutto <strong>per</strong> approccio metodo<strong>lo</strong>gico possiamo<br />
raggruppare una serie di saggi che si occupano, di wilsonismo e di antiwilsonismo, di questione<br />
adriatica, di relazioni tra USA e URSS, ecc. Nadia Schina, in un saggio <strong>per</strong> Clio, racconta<br />
<strong>della</strong> missione dip<strong>lo</strong>matica americana nella Russia post rivoluzione di febbraio, voluta<br />
da Wilson nel tentativo di evitare la fuoriuscita <strong>della</strong> Russia dalla guerra e <strong>per</strong> arginare l’affermazione<br />
bolscevica. Luciano Monzali, riprendendo temi affrontati nel volume che viene recensito<br />
in questo stesso volume, si occupa del posto <strong>della</strong> questione adriatica nella politica<br />
estera italiana tra il 1920 e il 1922. Lucio Tondo scrive su Clio <strong>della</strong> campagna elettorale di<br />
Harding nel 1920. Basato sulla letteratura secondaria e sulla stampa coeva, il contributo si<br />
concentra sui temi <strong>della</strong> politica estera agitati in una campagna elettorale condotta e vinta da<br />
Harding sull’onda dell’antiwilsonismo, dell’anti-internazionalismo e del ritorno alla normalcy.<br />
Su NSC si occupa <strong>della</strong> crisi in Manciuria del ruo<strong>lo</strong> in essa giocato dagli USA e dalle <strong>Società</strong><br />
delle Nazioni.<br />
Restando ancora fuori d’Italia, Pao<strong>lo</strong> Macrì su NSC racconta, basandosi esclusivamente<br />
su letteratura secondaria, in un saggio bizzarramente salutato con largo spazio nelle pagine<br />
culturali del «Corriere <strong>della</strong> Sera», le vicende, ampiamente note a chiunque si sia occupato del<br />
problema <strong>della</strong> <strong>per</strong>secuzione ebraica, di Varian Fry l’americano protagonista di una delle più<br />
significative imprese di salvataggio di ebrei, antinazisti e antifascisti nella Francia di Vichy.<br />
Rivoluzione, stalinismo, deportazione<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
La rivoluzione di febbraio, già al centro dell’artico<strong>lo</strong> di Nadia Schina, è il nodo attorno a<br />
cui ruota il saggio di Fabrizio Giulietti anche se da una prospettiva diversa, quella cioè degli<br />
anarchici italiani di cui il lavoro ricostruisce la parabola dall’entusiasmo alla disillusione dopo<br />
Kronsˇtadt e la sconfitta del movimento anarchico russo. Ancora l’URSS è il luogo di elezione<br />
di altri tre saggi molto diversi tra <strong>lo</strong>ro. Maria Ferretti ricostruisce, sulla base di un’ampia<br />
documentazione, la biografia e le vicende di un o<strong>per</strong>aio, Vasilij Ivanovič Ljulin, dalla sua<br />
partecipazione alla rivoluzione, al ruo<strong>lo</strong> di leader di fabbrica al Gulag nell’URSS <strong>della</strong> fine degli<br />
anni ’20. La ricostruzione fa emergere «il rapporto aspramente conflittuale degli o<strong>per</strong>ai con<br />
il potere sovietico e, in particolare, la resistenza opposta alla politica intrapresa nelle seconda<br />
metà degli anni ’20 <strong>per</strong> modernizzare il paese a tempi di record» (p. 94). Il saggio di Antonella<br />
Sa<strong>lo</strong>moni invece propone un’analisi dell’o<strong>per</strong>a letteraria e critica di Lidija K. Čukovskaja<br />
(1907-1996) e soprattutto <strong>della</strong> sua fortuna e vicenda biografica negli anni <strong>della</strong> destalinizzazione.<br />
Il racconto principale, Sof’ja Petrovna, scritto tra il novembre del 1939 e il febbraio del<br />
1940 e quindi nel pieno delle terribili vicende vissute dall’autrice e dalla sua famiglia, ha <strong>per</strong><br />
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tema il terrore, la deportazione, il rapporto tra verità e giustizia e ambisce a essere testimonianza<br />
nel vivo degli eventi. Il tema <strong>della</strong> deportazione è anche al centro del saggio di Boçkowski<br />
che, a partire dalla documentazione sovietica, si occupa delle condizioni di vita e di lavoro<br />
<strong>della</strong> popolazione polacca deportata nelle regioni settentrionali dell’Unione Sovietica o nei<br />
kolchoz dell’Asia Centrale a partire dal 1939.<br />
Spagna repubblicana e guerra civile<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Sebbene la ricerca sulla guerra civile spagnola, in particolare, e sulla Spagna novecentesca,<br />
più in generale, sia abbastanza sviluppata in Italia in confronto con altre storie nazionali, la ricchezza<br />
degli articoli di questa sezione corrisponde piuttosto ad una scelta inedita di IC di dedicare<br />
ad un tema particolare un intero numero <strong>della</strong> rivista. Il tema, quasi completamente sconosciuto<br />
alla storiografia italiana e che qui, non casualmente, è rappresentato attraverso la ricerca<br />
di studiosi non italiani, introdotti dai redattori <strong>della</strong> rivista, Pao<strong>lo</strong> Ferrari e Lia Sezzi, e<br />
reinquadrati, in chiusura, da Alfonso Botti, è quel<strong>lo</strong> dell’esilio spagno<strong>lo</strong> nelle Americhe durante<br />
e all’indomani <strong>della</strong> guerra civile. L’enfasi è tutta sul destino dell’emigrazione intellettuale di<br />
scienziati, medici, scrittori e maestri: un’emigrazione che impoverì profondamente la Spagna<br />
franchista, privandola di alcuni dei suoi più importanti ricercatori a livel<strong>lo</strong> nazionale e internazionale,<br />
arricchendo al contempo i paesi che ospitarono questi emigrati. I saggi mettono l’accento,<br />
innanzitutto, sulla differenza tra l’emigrazione verso l’America meridionale e quella verso<br />
l’America del nord causata innanzitutto dalla scelta statunitense di non concedere alcuno<br />
status particolare agli emigrati <strong>della</strong> guerra civile spagnola. Il numero racconta di tentativi di<br />
integrazione, più o meno riusciti e <strong>della</strong> capacità di organizzazione culturale e politica <strong>della</strong> comunità<br />
spagnola all’estero; avanza comparazioni tra i diversi paesi; tenta di tracciare <strong>per</strong>corsi<br />
individuali o professionali e riflette sulle eredità composite che questa immigrazione lascia nei<br />
diversi paesi (anche quando questi <strong>per</strong>corsi si consumano in un <strong>per</strong>iodo di tempo non troppo<br />
lungo). Ciò che ne risulta è un quadro al tempo stesso articolato e approfondito, che apre alcune<br />
piste di ricerca nuove e propone una rilettura complessiva <strong>della</strong> storia spagnola a partire<br />
anche da queste «altre spagne» dell’esilio. Dal punto di vista metodo<strong>lo</strong>gico, appare interessante<br />
osservare, in vari casi, l’attenzione e l’utilizzo <strong>della</strong> comparazione come strategia di comprensione<br />
delle specificità delle es<strong>per</strong>ienze così come dei <strong>lo</strong>ro tratti comuni.<br />
Anoma<strong>lo</strong>, rispetto a questo corpus di articoli, <strong>per</strong> le ragioni chiarite in a<strong>per</strong>tura, è il saggio<br />
di Ranzato che affronta il problema <strong>della</strong> Spagna repubblicana nel rapporto con le altre potenze<br />
democratiche durante la guerra civile. Gabriele Ranzato propone qui un ripensamento del<br />
tradimento che le potenze democratiche consumarono nei confronti <strong>della</strong> Spagna repubblicana<br />
e una riflessione sull’assenza di un sentimento democratico «internazionalista», in grado di fare<br />
i conti con gli avvenimenti europei e mondiali prescindendo dagli interessi nazionali.<br />
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Fascismo<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
L’estrema eterogeneità degli articoli presentati in questa sezione è il segno di una ricchezza<br />
di interesse nei confronti delle politiche, in vario senso intese, del regime fascista, che caratterizza,<br />
nel bene e nel male, la storiografia italiana. Un dato va registrato, <strong>per</strong>ò, ed è il fatto<br />
che questo interesse porta anche al<strong>lo</strong> sviluppo di una storiografia, se è lecito chiamarla tale,<br />
di tipo scandalistico che flirta con quanto di peggio emerge nella stampa quotidiana e che<br />
non si può certo considerare il miglior modo <strong>per</strong> valutare l’impatto sulla società, la politica,<br />
l’economia, ma anche i destini individuali, di un ventennio fondamentale nella storia dell’Italia<br />
contemporanea come quel<strong>lo</strong> fascista. Spiace osservare che vadano in questa direzione tutti<br />
gli articoli qui considerati di NSC: a prescindere dalla ricerca che emerge e dai titoli anche<br />
accademici di chi vi scrive, il tono è purtroppo sempre piuttosto omogeneo e indica un modo<br />
di fare storia politica altamente problematico oltre che discutibile.<br />
Un primo gruppo di articoli su cui sembra opportuno soffermarsi, raggruppandoli, sono<br />
quelli relativi alle politiche demografiche e urbanistiche del regime fascista. Di grande interesse<br />
la ricerca di Ciammaruconi sulla politica dell’O<strong>per</strong>a nazionale maternità e infanzia e sui suoi<br />
conflitti con l’O<strong>per</strong>a nazionale combattenti relativamente alle politiche demografiche in provincia<br />
di Latina, una zona considerata, dal fascismo, un laboratorio strategico dell’ideo<strong>lo</strong>gia ruralista.<br />
L’artico<strong>lo</strong> delinea da una parte i conflitti di competenza, ma anche le difficoltà di tenere<br />
insieme progetti di tipo propagandistico e realtà demografiche e di insediamento urbano, a<br />
fronte delle vo<strong>lo</strong>ntà (e talvolta delle velleità) ruralistiche del regime. Sempre del rapporto tra<br />
fascismo e urbanesimo (o meglio antiurbanesimo) si occupano due articoli comparsi in CS.<br />
Dani<strong>lo</strong> Breschi ricostruisce la genesi <strong>della</strong> legislazione sull’antiurbanesimo dal discorso dell’Ascensione<br />
fino alla battaglia in Senato <strong>per</strong> l’approvazione <strong>della</strong> legge cui so<strong>lo</strong> pallidamente si<br />
oppose il mondo industriale. Breschi inserisce la questione dell’antiurbanesimo mussoliniano<br />
nella più generale crisi <strong>della</strong> modernità che caratterizza l’Europa all’indomani <strong>della</strong> prima guerra<br />
mondiale, e individua in Spengler e in una certa Kulturkritk dell’epoca le radici delle paure<br />
e delle questioni di cui è impregnato il discorso mussoliniano che individuava nell’urbanesimo<br />
la causa prima del decremento demografico. Rileva quindi l’influenza che in tema di politiche<br />
demografiche ebbe su Mussolini il fratel<strong>lo</strong> Arnaldo. Sottolinea, riprendendo il pionieristico lavoro<br />
di Anna Treves, l’importanza numerica dei movimenti migratori interni nel corso del ventennio,<br />
e le molteplici motivazioni <strong>della</strong> politica antiurbana che andavano dal desiderio di incrementare<br />
la popolazione, a quel<strong>lo</strong> di frenare le migrazioni, al ruralismo e fino alla gestione<br />
dell’ordine pubblico. L’artico<strong>lo</strong> di Stefano Gal<strong>lo</strong> parte anch’esso dal discorso dell’Ascensione del<br />
26 maggio 1927, analizza la legislazione volta a frenare l’urbanesimo e a limitare i movimenti<br />
di popolazione, e si sofferma soprattutto sul ruo<strong>lo</strong> critico esercitato dall’ISTAT nell’applicazione<br />
<strong>della</strong> legge, soprattutto nella fase di transizione tra fascismo e repubblica, delineando <strong>per</strong><br />
questa vita i contorni di una ancora <strong>per</strong> molti aspetti da fare «storia politica <strong>della</strong> popolazione».<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Mentre in patria il regime cercava, spesso invano, come dimostrano anche i numeri ricordati<br />
da Breschi e Gal<strong>lo</strong> di frenare i movimenti migratori, fuori d’Italia provava a penetrare<br />
ideo<strong>lo</strong>gicamente le comunità di immigrati omai folte che si erano costituite soprattutto oltreoceano.<br />
Come ricordano alcuni articoli apparsi su AI, la stampa etnica fu uno degli strumenti<br />
attraverso i quali si esercitò questo tentativo. Pantaleone Sergi analizza la fine de«La Patria<br />
degli Italiani», un giornale ita<strong>lo</strong>-argentino di stampo liberale e democratico. L’artico<strong>lo</strong> ha<br />
il merito di confrontarsi con il problema dell’integrazione del fascismo nelle comunità italiane<br />
dell’emigrazione, con la nascita dei fasci italiani all’estero, e anche di guardare all’evoluzione<br />
<strong>della</strong> stampa dell’emigrazione in contesti diversi <strong>per</strong> col<strong>lo</strong>care più precisamente la vicenda<br />
de «La Patria degli Italiani» e <strong>della</strong> sua fine. Sergi sostiene che l’efficacia delle politiche fasciste<br />
contro il giornale fu favorita dal contesto politico argentino, dal b<strong>lo</strong>cco parziale del movimento<br />
migratorio, e dalla crisi economica che indebolì molto l’antifascismo <strong>lo</strong>cale, oltre che<br />
dal regime dittatoriale instaurato in Argentina. D’altra parte e malgrado la fondazione di nuovi<br />
giornali, «La Patria» rappresentò fino alla chiusura, dovuta al fallimento economico, un<br />
ostaco<strong>lo</strong> difficile da sormontare nel processo di fascistizzazione <strong>della</strong> comunità italiana in Argentina.<br />
L’a. ricostruisce poi il tentativo di rifondazione del giornale con il nome di «La nuova<br />
patria» in un contesto di crescente ostilità verso i principi democratico-liberali e di rafforzamento<br />
<strong>della</strong> stampa di ispirazione fascista, e il nuovo fallimento dell’impresa.<br />
Giulia Cerqueti analizza la storia di un giornale antifascista di Boston, «La controcorrente»<br />
intrecciando<strong>lo</strong> con la storia di due antifascisti ebrei, Anna Foa e Davide Jona, emigrati negli<br />
Usa nel 1940, in seguito alle leggi razziali. L’a. analizza i costanti problemi economici <strong>della</strong><br />
testata, dovuti <strong>per</strong> <strong>lo</strong> più all’assenza di fonti di finanziamento esterne ai contributi dei lettori,<br />
e la duplice forma <strong>della</strong> battaglia antifascista condotta, da un lato sul piano internazionale<br />
e dall’altro con la denuncia delle attività fi<strong>lo</strong>fasciste <strong>lo</strong>cali e degli episodi di antisemitismo. La<br />
storia del giornale è a tutti gli effetti da considerarsi parte <strong>della</strong> storia dell’antifascismo, dell’emigrazione<br />
politica italiana, ma anche <strong>della</strong> storia americana degli anni tra le due guerre, vista<br />
l’attenzione che il giornale mantiene nei confronti del contesto in cui viene pubblicato. Ancora<br />
in tema di emigrazione invece, l’artico<strong>lo</strong> di Gianfranco Cresciani analizza i rapporti tra le<br />
comunità italiana e tedesca in Australia negli anni ’30 e le <strong>lo</strong>ro rispettive relazioni con il fascismo<br />
e il nazionalsocialismo. L’artico<strong>lo</strong> analizza da un lato la preminenza del partito sul<strong>lo</strong> stato<br />
anche nell’emigrazione e negli apparati dip<strong>lo</strong>matici nazisti all’estero, laddove la situazione<br />
in Italia appare più complessa (anche a causa di una maggiore stabilizzazione iniziale del regime<br />
fascista), ma soprattutto la difficoltà delle comunità, ma anche dei <strong>lo</strong>ro responsabili di stabilire<br />
– <strong>per</strong> ragioni storiche in primo luogo – una relazione più stretta che rispecchi i migliorati<br />
rapporti di alleanza e collaborazione tra Germania hitleriana e Italia fascista.<br />
Tornando invece sul tema dell’antifascismo, e <strong>per</strong>altro di un antifascismo che si rafforza<br />
tra gli italiani all’estero, si può leggere il lungo saggio di Enrico Serventi Longhi che analizza<br />
nei dettagli il fallito attentato progettato dall’anarchico Michele Schirru nel febbraio del 1931.<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
L’interesse di questo saggio non sta tuttavia nella definizione <strong>della</strong> vicenda, del <strong>per</strong>sonaggio o<br />
dell’ambiente anarchico che <strong>lo</strong> circonda quanto nel nesso che Serventi Longhi istituisce tra<br />
l’episodio (e soprattutto il processo al termine del quale Schirru viene condannato a morte) e<br />
l’emanazione, nel giugno di quel<strong>lo</strong> stesso anno, del Codice Rocco che «risolve» la questione<br />
dottrinaria <strong>della</strong> differenza tra attentato e tentativo annullando la distinzione tra preparazione<br />
ed esecuzione.<br />
Su temi di carattere culturale si possono leggere innanzitutto il saggio di Anna Balzarro sull’educazione<br />
delle bambine. Balzarro analizza la rivista «La Piccola <strong>Italiana</strong>» dalla sua fondazione<br />
nel 1927 fino alla chiusura il 25 luglio 1943. Già gli estremi di esistenza <strong>della</strong> rivista segnalano<br />
che la rivista ebbe un rapporto organico con il regime, anche se so<strong>lo</strong> nel 1941 la rivista divenne<br />
organo ufficiale <strong>della</strong> Gioventù italiana del littorio. L’a. evidenzia come la diffusione <strong>della</strong><br />
rivista fosse strettamente legata alla sua «adozione» da parte delle maestre e indica la ricorrenza<br />
di alcuni temi, legati all’educazione al fascismo e al cattolicesimo, e di una serie di modelli<br />
comportamentali, quali quelli <strong>della</strong> «bontà», delle virtù del risparmio, del coraggio, che erano<br />
volti a costruire una «bambina politica», che possedeva le caratteristiche menzionate e <strong>per</strong> questo<br />
era parte integrante <strong>della</strong> patria e del suo rafforzamento. I dati di maggior interesse sottolineati<br />
da Balzarro sembrano essere da un lato quelli relativi alla continuità dei collaboratori con<br />
altre riviste <strong>per</strong> l’infanzia anche dopo la guerra e dall’altro, l’assenza di temi antisemiti in concomitanza<br />
con il 1938 che possono invece essere rilevati negli organi di stampa dei Balilla.<br />
Vittore Armanni studia invece l’apprendistato di Valentino Bompiani presso la casa editrice<br />
Unitas, un’es<strong>per</strong>ienza al tempo stesso formativa, <strong>per</strong>ché gli <strong>per</strong>mise di elaborare <strong>per</strong> la<br />
prima volta alcuni progetti editoriali che sarebbero poi stati realizzati nella sua casa editrice, e<br />
deludente a causa del fatto che la Unitas non aveva esattamente – né desiderava fino in fondo<br />
avere – un profi<strong>lo</strong> editoriale di rilievo. L’artico<strong>lo</strong> che presenta qualche interesse <strong>per</strong> come<br />
mette in rapporto fonti memorialistiche e documentarie, appare <strong>per</strong>ò impoverito dall’assenza<br />
di una riflessione approfondita sul contesto storico e politico in cui le vicende raccontate<br />
si situarono.<br />
Di profi<strong>lo</strong> molto simile gli articoli di Tedesco e Canali rispettivamente su Mattei e Pintor.<br />
Nel primo caso si rintracciano gli elementi che <strong>per</strong>mettono di datare a prima <strong>della</strong> marcia<br />
su Roma l’iscrizione di Enrico Mattei al PNF di Matelica in provincia di Macerata, rilevando<br />
poi come negli anni ’30 invece Mattei sia diventato polemico nei confronti del fascismo,<br />
e arrivando a intravedere, nelle carte dell’Archivio centrale del<strong>lo</strong> Stato, un <strong>per</strong>corso che<br />
<strong>lo</strong> avrebbe portato ad essere anche delatore <strong>per</strong> il regime.<br />
L’artico<strong>lo</strong> di Mauro Canali ha invece l’obiettivo di polemizzare con l’immagine mitica costruita<br />
di Giaime Pintor come vicino al partito comunista rivelando, attraverso documenti<br />
britannici, la sua appartenenza consapevole ai servizi segreti britannici, insieme ad alcuni dei<br />
più stretti amici dell’adolescenza e del fatto che la sua morte fosse avvenuta proprio nell’ambito<br />
di azioni partigiane organizzate dai servizi.<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Un picco<strong>lo</strong> gruppo di articoli si addensa attorno al corporativismo, un tema sul quale si<br />
è recentemente concentrata l’attenzione di diversi storici come testimoniano alcuni libri usciti<br />
nel corso del 2006 e del <strong>2007</strong> e di articoli su riviste straniere e italiane. Alessio Gagliardi si<br />
pone, in un denso e corposo contributo, l’obiettivo di mettere in discussione il «fallimento»<br />
delle istituzioni corporative ricontestualizzando l’es<strong>per</strong>imento. Se infatti è indubitabile che<br />
l’intervento del<strong>lo</strong> stato in economia prese altre strade, è all’ambito del corporativismo che secondo<br />
l’a. bisogna guardare <strong>per</strong> la «formulazione di politiche sindacali» e <strong>per</strong> gettare luce «sulle<br />
relazioni tra politica, amministrazione e rappresentanza degli interessi» (p. 43). Per far questo,<br />
Gagliardi analizza l’organizzazione interna, il ruo<strong>lo</strong>, le attribuzioni legislative di istituzioni<br />
quali il Consiglio nazionale delle corporazioni e segue il dibattito interno e il contributo<br />
dato dalle organizzazioni corporative alla definizione di una serie di provvedimenti legislativi<br />
nel campo dell’economia. Ancora sul corporativismo, anche se da un differente punto di vista,<br />
si può leggere il saggio di Giulia Simone che propone un’analisi degli scritti di uno dei<br />
suoi maggiori teorici: Alfredo Rocco. E con il corporativismo ha a che fare, anche se con diverso<br />
approccio, il saggio di Vanessa Roghi sul diritto d’autore in epoca fascista. Dopo avere<br />
rapidamente tratteggiato le origini <strong>della</strong> questione a partire dall’800, Roghi, che si propone<br />
di intrecciare la storia <strong>della</strong> cultura con quella del diritto, segue il dibattito che portò nel 1925<br />
alla legge in materia che riconosceva «il principio <strong>per</strong> cui l’autore poteva considerarsi come<br />
soggetto di diritto a prescindere da ogni formalità burocratica, e [...] da ogni appartenenza<br />
sindacale e politica» (p. 221). Affronta quindi il problema <strong>della</strong> difficile applicazione di questa<br />
normativa in un contesto di crescente control<strong>lo</strong> e irregimentazione degli intellettuali e mostra<br />
come il processo di formalizzazione del diritto d’autore nell’ambito del sistema corporativo<br />
porti ad una contraddizione insanabile tra autonomia dell’intellettuale e intervento <strong>per</strong>vasivo<br />
del<strong>lo</strong> stato.<br />
Di grande interesse appare la presenza di due articoli relativi ai rapporti tra Italia fascista<br />
e Albania nel <strong>per</strong>iodo tra le due guerre, segno di un interesse che comincia e che dovrà essere<br />
ulteriormente approfondito dalla ricerca storica. Giovanni Villari analizza, utilizzando fonti<br />
originali sia italiane che soprattutto albanesi, l’occupazione dell’Albania. L’a. cerca di analizzare<br />
da una parte l’importanza <strong>della</strong> costituzione di nuove istituzioni e <strong>della</strong> costruzione di un<br />
fascismo albanese, dall’altra i rapporti tra occupante e occupato. I risultati disastrosi <strong>della</strong> campagna<br />
di Grecia, che pure si concludono, grazie all’aiuto tedesco, nella costituzione <strong>della</strong><br />
«Grande Albania» desiderata dagli albanesi stessi non trasformano <strong>lo</strong> stato dei rapporti: il consenso<br />
<strong>lo</strong>cale diminuisce man mano che cresce la consapevolezza del<strong>lo</strong> sfruttamento italiano<br />
delle pur piccole risorse albanese e si allargano le file <strong>della</strong> resistenza. Alessandro Roselli, autore<br />
negli anni ’80 di un volume sui rapporti economici tra Italia e Albania, fa la storia <strong>della</strong><br />
lunga controversia sulle riserva auree albanesi durata dal 1925, anno in cui l’Italia creò la Banca<br />
nazionale d’Albania, fino al 1996-1997 quando finalmente l’oro fu restituito all’Albania.<br />
Roselli ricostruisce l’intera vicenda dip<strong>lo</strong>matica che vide fronteggiarsi l’Italia, che a guerra fi-<br />
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nita rivendicava la restituzione dell’oro sottratto dai tedeschi in quanto fondatrice e proprietaria<br />
<strong>della</strong> Banca, l’Albania, che nel frattempo aveva nazionalizzato la Banca stessa e quindi riteneva<br />
che le riserve auree fossero di propria <strong>per</strong>tinenza, e la Gran Bretagna che, ammettendone<br />
la proprietà albanese, dopo averne inizialmente riconosciuto quella italiana, <strong>lo</strong> rivendicava<br />
come risarcimento danni dopo la distruzione, di cui fu incolpato Hoxha, di due navi da<br />
guerra britanniche nel canale di Corfù nel 1946.<br />
Chiesa e fascismo<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
È sicuramente uno dei grandi limiti <strong>della</strong> storiografia italiana contemporanea non farsi<br />
carico <strong>della</strong> storia del cristianesimo e del cattolicesimo in questo paese se non come storia di<br />
un particolarismo, generalmente – cosa che vale anche <strong>per</strong> altre culture politiche e religiose<br />
– affrontato da un punto di vista interno a quella cultura. Dispiace quindi che la maggior<br />
parte dei pochissimi articoli su questo tema nelle riviste prese in considerazione siano pubblicati<br />
da una rivista specialistica come RSSR e non da riviste più generaliste. Di particolare<br />
interesse, sulla scia di questa considerazione, appare l’artico<strong>lo</strong> di Violi dedicato ai conflitti<br />
tra O<strong>per</strong>a nazionale dopolavoro e gerarchie ecclesiastiche <strong>lo</strong>cali concernenti l’organizzazione<br />
e la gestione delle feste patronali, in particolar modo nel Sud Italia. Il tema non è ovviamente<br />
sconosciuto alla storiografia, ma l’artico<strong>lo</strong> <strong>per</strong>mette di riflettere sulla <strong>per</strong>vasività del<br />
tentativo di control<strong>lo</strong> fascista sulla società italiana – tanto quella più moderna che quella più<br />
tradizionale – e sull’importanza <strong>della</strong> commistione tra la religione civile e religione tout court<br />
come elemento di costruzione del consenso nel paese. La soluzione in termini spesso <strong>lo</strong>calistici<br />
di queste controversie, come ben dimostra Roberto P. Violi, non deve far pensare che<br />
questi conflitti non abbiano riguardato e preoccupato anche i vertici delle gerarchie politiche<br />
e religiose.<br />
Meno interessante in questo senso, anche se utile, l’artico<strong>lo</strong> di Mario Casella sull’approvazione<br />
o meno <strong>della</strong> nomina o del trasferimento di vescovi italiani da parte del regime fascista<br />
(nelle sue varie e diverse, talvolta contrastanti, articolazioni). L’a. prende in considerazione<br />
so<strong>lo</strong> i casi di nomine o trasferimenti che abbiano comportato conflitti o dubbi da parte delle<br />
gerarchie politiche, e che riguardano una minoranza dei duecentodieci casi presi in considerazione.<br />
Se l’andamento descrittivo scelto, che si s<strong>per</strong>a verrà risolto nella seconda parte dell’artico<strong>lo</strong>,<br />
non ancora pubblicata, non appare completamente soddisfacente, i casi presentati<br />
<strong>per</strong>mettono di riscontrare come la mancanza di approvazione risponda alle motivazioni politiche<br />
più varie, dall’accusa di antifascismo, a quella di scarso sentimento nazionale, usata soprattutto<br />
contro i vescovi delle terre di confine.<br />
L’artico<strong>lo</strong> di Ceci propone invece una lettura privata del pensiero di Pio XI relativamente<br />
all’aggressione fascista dell’Etiopia che si scontra con la lettura politica fattane nella storio-<br />
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grafia precedente, a partire da Salvemini. Dall’analisi di alcune carte dell’Archivio segreto vaticano<br />
rese disponibili di recente risulta la consapevolezza <strong>della</strong> assoluta problematicità dell’impresa,<br />
sul piano dell’opportunità politica e culturale. L’a. sottolinea più volte come l’importanza<br />
delle convinzioni <strong>per</strong>sonali di Pio XI non vada a trasformare, se non marginalmente,<br />
un quadro storiografico che, naturalmente, non può che tener conto soprattutto delle posizioni<br />
pubbliche – e <strong>per</strong>tanto politiche – espresse dai principali attori <strong>della</strong> vicenda, Papa<br />
compreso.<br />
Fascismo e co<strong>lo</strong>nie<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Lo studio del co<strong>lo</strong>nialismo fascista è ormai da qualche anno uno dei campi in sviluppo<br />
<strong>della</strong> storiografia italiana sul fascismo, come dimostra la ricchezza di articoli pubblicati<br />
sull’argomento nel <strong>2007</strong>. Tuttavia, l’artico<strong>lo</strong> di Corner, con il quale apriamo questo pezzo<br />
<strong>della</strong> rassegna, dimostra anche la <strong>per</strong>manenza di temi classici <strong>della</strong> storiografia del fascismo,<br />
come la questione del «consenso» dell’avventura im<strong>per</strong>iale fascista. Attraverso l’analisi dell’opinione<br />
pubblica popolare, Paul Corner mette in discussione la tesi del consenso nei giorni<br />
<strong>della</strong> guerra d’Etiopia attraverso l’analisi dei rapporti dei fiduciari e più complessivamente<br />
del Ministero dell’Interno. In particolare Corner sostiene che la partecipazione entusiastica<br />
alla battaglia <strong>per</strong> l’Im<strong>per</strong>o da parte degli italiani fa parte degli obiettivi del governo, e<br />
non sia semplicemente una conseguenza dell’azione militare, mostrando come anzi un’analisi<br />
più attenta di quella fase <strong>per</strong>metta di capire le ragioni <strong>per</strong> cui il fascismo fallisce: il punto<br />
principale di questa sua tesi è la dimostrazione dell’assenza <strong>della</strong> spontaneità popolare<br />
nella partecipazione agli entusiastici riti di propaganda a favore dell’im<strong>per</strong>o organizzati dal<br />
regime.<br />
Più specificamente dedicati alla politica co<strong>lo</strong>niale sono gli altri articoli. Stefano Cecini<br />
analizza la realizzazione <strong>della</strong> rete stradale in Africa orientale italiana che costituisce uno dei<br />
principali programmi del regime, utile tanto al control<strong>lo</strong> del territorio che <strong>per</strong> la sua va<strong>lo</strong>rizzazione<br />
agricola e industriale. L’a. analizza come la gestione amministrativa del processo sia<br />
problematica e come il progetto sia so<strong>lo</strong> parzialmente portato a termine, senza, <strong>per</strong> altro, che<br />
venga presa minimamente in considerazione la possibilità di costruire una rete ferroviaria. La.<br />
sottolinea anche come il risultato sia comunque apprezzato dal<strong>lo</strong> stesso Foreign office britannico<br />
che <strong>lo</strong> considera la principale realizzazione italiana in quell’area.<br />
Alessandro Volterra dedica il suo lavoro alla questione delle politiche educative in Eritrea<br />
nel decennio 1931-1941. Volterra afferma che «le politiche educative messe in essere dall’amministrazione<br />
italiana furono volte a creare una sorta di nucleo italianizzato di nuovi sudditi»<br />
(p. 5) e che, a fronte di una gestione dell’istruzione interamente demandata alle istituzioni religiose,<br />
il regime si preoccupò so<strong>lo</strong> di una parte assai piccola <strong>della</strong> popolazione, quella urbana<br />
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e più vicina, <strong>per</strong> ragioni di lavoro, agli italiani. Sulla base di documentazione archivistica e di<br />
una serie di interviste ad ascari eritrei, Volterra ricostruisce <strong>lo</strong> slittamento nelle politiche educative<br />
da un’attitudine classista ad una razzista nel quadro di uno scarso impegno dedicato ai<br />
problemi dell’educazione.<br />
Cresti analizza una relazione del direttore tecnico dell’Ente Co<strong>lo</strong>nia Libia, dipendente dal<br />
Ministero delle Finanze, Giuseppe Minnucci, invitato, come molti altri co<strong>lo</strong>ni, a restare in Libia<br />
al fine di tutelare l’amministrazione italiana del paese. La relazione di Minnucci <strong>per</strong>mette<br />
di analizzare il rapporto britannico-italiano in questa delicata fase bellica, in cui, malgrado<br />
l’occupazione britannica, l’amministrazione civile italiana non viene sostituita. Cresti mostra<br />
da un lato <strong>lo</strong> stupore dei nuovi occupanti di fronte ad un ente fascista che presto si rivela in<br />
passivo e <strong>per</strong> niente razionale economicamente, e dall’altro i livelli di conflitti – mai sanati dal<br />
fascismo (e particolarmente evidenti in questo versante) – tra co<strong>lo</strong>ni ed arabi e tra agricoltori<br />
e nomadi in questo territorio. Questa relazione illustra quindi sia elementi dell’amministrazione<br />
italiana che difficilmente emergono in altre fasi, ma anche il rapporto tra vecchi e nuovi<br />
occupanti durante la guerra mondiale.<br />
Ercolana Turriani riprende una questione fondamentale, e mai sufficientemente approfondita,<br />
quella <strong>della</strong> riconquista fascista <strong>della</strong> Cirenaica e <strong>della</strong> politica repressiva e violenta<br />
del regime in quest’area. Il saggio è molto attento al fenomeno del fuoriuscitismo libico in<br />
Egitto ed evidenzia utilizzando essenzialmente la stampa egiziana, il diverso grado di consapevolezza<br />
dei paesi arabi, Egitto in testa, delle violenze compiute dagli italiani rispetto all’Europa<br />
che rimase completamente sorda agli avvenimenti libici.<br />
Seconda guerra mondiale<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Al modo in cui la Germania si prepara alla guerra è dedicato il saggio di uno dei maggiori<br />
storici del nazismo Jan Kershaw pubblicato da Clio.<br />
Anticipazione <strong>della</strong> sua importante analisi comparativa tra Italia fascista e Germania nazionalsocialista,<br />
non ancora apparsa in Italia (intitolata To the Threshold of Power, 1922-33.<br />
Origins and Dynamics of the Fascist and National Socialist Dictatorship, vol. 1, Cambridge-New<br />
York, Cambridge University Press, <strong>2007</strong>), l’artico<strong>lo</strong> di MarGregor Knox analizza le ragioni dei<br />
diversi risultati militari fascisti e nazisti sulla base di una comparazione che prende in considerazione<br />
dati istituzionali e politici (la presenza <strong>della</strong> monarchia in Italia e la parziale autonomia<br />
dell’esercito, oltre che le vittorie iniziali tedesche e la disponibilità economica di quel<br />
paese), al fine di capire le ragioni del così rapido insuccesso italiano e fascista nella Seconda<br />
guerra mondiale, e anche la ve<strong>lo</strong>cità <strong>della</strong> disaffezione al fascismo dei militari italiani, dimostrando<br />
come l’analisi comparativa possa essere al tempo stesso illuminante di alcuni aspetti<br />
specifici e aprire la strada a nuove ricerche.<br />
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Giuseppe Pardini analizza le ri<strong>per</strong>cussioni <strong>della</strong> politica francese durante l’occupazione<br />
dell’Isola d’Elba, una politica volta – nelle parole dell’a. – alla vendetta nei confronti del nemico<br />
italiano e ad un tentativo di inserimento stabile nell’isola che viene <strong>per</strong>ò sventato, con<br />
il ritorno degli italiani nel 1945.<br />
Poco nota, anche se con i limiti già discussi precedentemente, la questione dei prigionieri<br />
italiani negli USA, che andrebbe ben altrimenti approfondita. Tartacca sceglie di parlarne<br />
nell’ambito <strong>della</strong> polemica tra i prigionieri e <strong>lo</strong> Stato italiano <strong>per</strong> gli indennizzi concessi dagli<br />
USA <strong>per</strong> il lavoro svolto dai prigionieri e mai ricevuti. I dati di maggiore interesse che si ricavano<br />
riguardano invece soprattutto il numero dei prigionieri italiani reclusi negli USA – più<br />
di 50.000 –, il riconoscimento da parte <strong>della</strong> stragrande maggioranza di questi dell’illusorietà<br />
<strong>della</strong> propaganda fascista relativa alla potenza democratica statunitense, e infine la <strong>per</strong>centuale<br />
di prigionieri che scelse di rimanere o tornare negli USA.<br />
Occupazione tedesca e resistenza<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Malgrado questo sia uno dei temi maggiormente frequentati dalla storiografia, parte consistente<br />
dell’intero gruppo di articoli su questo argomento rilevato nelle riviste pubblicate quest’anno<br />
è il frutto di un numero monografico di Mi che contiene <strong>per</strong> <strong>lo</strong> più sintesi di ricerche<br />
nuove, ma già conosciute in Italia. Pao<strong>lo</strong> Pezzino sintetizza i risultati di un importante gruppo<br />
di lavoro degli ultimi anni sulla guerra contro i civili. Mirco Dondi presenta una sintesi di<br />
alcune riflessioni apparse nel suo libro dedicato alla resistenza. Meno nota e presente nella storiografia<br />
italiana, malgrado sia relativa ad un tema ampiamente affrontato negli ultimi anni,<br />
quale quel<strong>lo</strong> <strong>della</strong> deportazione italiana degli ebrei, la riflessione di Frauke Wildvang sul ruo<strong>lo</strong><br />
degli italiani, ed in particolare <strong>della</strong> polizia, nella consegna degli ebrei – in questo caso romani<br />
– nei giorni <strong>della</strong> occupazione tedesca. La questione, che negli ultimi anni ha cominciato<br />
ad essere approfondita all’estero, è particolarmente rilevante in un dibattito storiografico<br />
come quel<strong>lo</strong> italiano che, malgrado gli sforzi, fatica a disfarsi, e a fare i conti, con i limiti imposti<br />
alla ricerca dal ben radicato «mito del bravo italiano».<br />
Interno alle polemiche sull’uso pubblico <strong>della</strong> storia, ma volto a offrire un’analisi storica<br />
rigorosa alla questione, l’artico<strong>lo</strong> di Luigi Ganapini che analizza il ruo<strong>lo</strong> dei giovani che combatterono<br />
<strong>per</strong> la Repubblica sociale italiana. La questione, che a partire dagli anni ’90 ha assunto<br />
un notevole spazio pubblicistico, viene affrontata da Ganapini affrontando da un lato<br />
le molteplici contraddizioni dei messaggi ideo<strong>lo</strong>gici <strong>della</strong> Repubblica sociale italiana e dall’altro<br />
nel tentativo di analizzare chi fossero i diversi attori che combatterono a favore <strong>della</strong> RSI,<br />
e le <strong>lo</strong>ro molteplici motivazioni.<br />
Profondamente legato alle questioni dell’uso pubblico <strong>della</strong> storia, anche l’artico<strong>lo</strong> di Patrizia<br />
Dogliani sulla memoria e la storia pubblica <strong>della</strong> Resistenza in Italia e in Francia. Un ar-<br />
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tico<strong>lo</strong> che parte dal presupposto <strong>della</strong> diversità delle es<strong>per</strong>ienze italiane e francesi, e dalla capacità<br />
<strong>della</strong> resistenza francese di elaborare, a guerra finita, un programma <strong>per</strong> il paese, cosa<br />
che malgrado l’unità d’azione, il CLN non riuscì a produrre. L’a. sottolinea poi una diversità<br />
di tempi nell’elaborazione di una memoria pubblica dell’occupazione tedesca, che in Francia<br />
appare più rapidamente istituzionalizzata, e maggiormente monolitica. L’analisi prende in<br />
considerazione poi l’epurazione e <strong>lo</strong> svolgimento di pratiche giuridiche nei confronti di collaboratori,<br />
l’elaborazione di una letteratura resistenziale e i diversi caratteri che assume nei due<br />
paesi e propone un’analisi comparata di tipo europeo <strong>per</strong> mostrare con più evidenza quali siano<br />
i caratteri che hanno <strong>per</strong>messo il rafforzarsi di una memoria dei «vinti» e la debolezza di<br />
una memoria nazionale dell’occupazione e <strong>della</strong> resistenza. Completamente diverso <strong>per</strong> temi<br />
e obiettivi, l’artico<strong>lo</strong> di Alessandro Casellato su Franco Calamandrei, Maria Teresa Regard e<br />
la resistenza rappresenta un avvio di ricerca che ha numerosi punti di contatto con il lavoro<br />
da lui curato sugli scritti di Piero Calamandrei. Attraverso testimonianze e memorie, L’artico<strong>lo</strong><br />
affronta il rapporto nella vita di Calamandrei e Regard tra sfera privata e impegno militante,<br />
come gappisti a Roma, e dimostra come la profondità dell’es<strong>per</strong>ienza incida anche sul modo<br />
del <strong>lo</strong>ro innamoramento e sui sentimenti che li legarono.<br />
Da segnalare infine il numero <strong>della</strong> RAS dedicato agli Archivi degli istituti <strong>per</strong> la storia<br />
<strong>della</strong> resistenza e ai fondi che essi contengono <strong>per</strong> la storia <strong>della</strong> resistenza, dell’antifascismo,<br />
ma talvolta anche <strong>della</strong> società italiana del ’900 nel suo complesso.<br />
Articoli citati:<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Anheim, Etienne, Marc B<strong>lo</strong>ch: sources orales et épistémo<strong>lo</strong>gie de l’histoire, DPRS, n. 2, pp. 37-<br />
50.<br />
Aramini, Donatel<strong>lo</strong>, George L. Mosse e gli storici italiani: il problema <strong>della</strong> nazionalizzazione<br />
delle masse, MC, n. 2, pp. 129-159.<br />
Armanni, Vittore, L’apprendistato di un editore. Valentino Bompiani alla Unitas (1928-1929),<br />
SeS, n. 117, pp. 555-580.<br />
Balzarro, Anna, La «ragazzina nuova»? Il fascismo e le immagini di bambine, Gen, n. 1, pp.<br />
119-145.<br />
Boçkowski, Daniel, Gli aspetti giuridici <strong>della</strong> deportazione sulla base dei documenti sovietici. Il<br />
caso <strong>della</strong> popolazione polacca in Unione Sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale,<br />
DEP, n. 7.<br />
Botti, Alfonso, In esergo. Note sull’esilio spagno<strong>lo</strong> degli anni trenta con alcune piste di ricerca, IC,<br />
n. 248, pp. 527-534.<br />
Bottin, Francesca, l Kibbo Kift: la prova di vigore di uno scout model<strong>lo</strong> e ribelle, MR, n. 25, pp.<br />
15-26.<br />
54
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Breschi, Dani<strong>lo</strong>, Fascismo e antiurbanesimo. Prima fase: ideo<strong>lo</strong>gia e legge (1926-1929) , CS, n.<br />
2, pp. 171-188.<br />
Canali, Mauro, Il mito del «compagno Giaime Pintor» tra Pci e servizi segreti inglesi, NSC, n.<br />
4, pp. 31-42.<br />
Capuzzo, Ester, Trieste dall’intervento all’annessione, Clio, n. 1, pp. 23-38.<br />
Casella, Mario, Per una storia dei rapporti tra il fascismo e i vescovi italiani (1929-1943). Prima<br />
parte, RSSR, 71, pp. 7-68.<br />
Casellato, Alessandro, Le rivoluzioni sono <strong>per</strong>iodi in cui ci si innamora. Franco Calamandrei,<br />
Maria Teresa Regard, la Resistenza, S-nodi, n. 1, pp. 41-64.<br />
Ceci, Lucia, La mancata lettera di Pio XI a Mussolini <strong>per</strong> fermare l’aggressione all’Etiopia, SS, n.<br />
3, pp. 817-840.<br />
Cecini, Stefano, La realizzazione <strong>della</strong> rete stradale in Africa Orientale <strong>Italiana</strong> 1936-1941,<br />
DPRS, n. 1, pp. 113-156.<br />
Cerqueti, Giulia, La stampa antifascista a Boston fra il 1939 e il 1945: La Controcorrente, AI,<br />
n. 35, pp. 44-68.<br />
Ciammaruconi, Clemente, La Federazione di Littoria dell’O<strong>per</strong>a nazionale maternità e infanzia,<br />
SS, n. 3, pp. 841-875.<br />
Cioffi, Mario, 24 maggio 1920. L’eccidio di Via Nazionale, DPRS, 1, pp. 93-112.<br />
Contini Bonacossi, Giovanni, False notizie, falsi ricordi: a volte le parole vengono dopo, DPRS,<br />
n. 2, pp. 29-36.<br />
Cordero Olivero, Inmaculada e Lemus López, Encarnación, L’esilio repubblicano in Argentina<br />
e Cile, IC, n. 248, pp. 481-507.<br />
Corner, Paul, L’opinione popolare italiana di fronte alla guerra d’Etiopia, IC, n. 246, pp. 51-63.<br />
Cresciani, Gianfranco, A not so Brutal Friendship. Italian Responses to National Socialism in Australia,<br />
AI, n. 34, pp. 4-38.<br />
Cresti, Federico, La prima occupazione inglese <strong>della</strong> Cirenaica e i co<strong>lo</strong>ni italiani in un documento<br />
dell’epoca, SS, n. 1, pp. 241-266.<br />
D’Agata, Raffaele, Antonio Gramsci e l’analisi del dopoguerra mondiale tra ragione e passione,<br />
SS, n. 3, pp. 651-670.<br />
Dé<strong>lo</strong>ye, Yves, Credere e votare. Per una storia del clericalismo elettorale in Francia durante la Terza<br />
repubblica, Cont, n. 2, pp. 229-24.<br />
Deschamps, Bénédicte, Giustizia, The ILGWU’s Official Italian Organ (1919-1935), AI, n.<br />
35, pp. 69-86.<br />
Di Rienzo, Eugenio, Caporetto, la «strana disfatta», NRS, n. 3, pp. 661-672.<br />
Id., Volpe e Croce, origini di una lunga amicizia. Stima e consuetudine scientifica nel carteggio tra<br />
<strong>lo</strong> storico e il fi<strong>lo</strong>sofo, NSC, n. 6, pp. 53-74.<br />
Dogliani, Patrizia, Memoria e storia pubblica: Resistenza in Italia e in Francia, Stor, n. 34, pp.<br />
73-111.<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
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Ermacora, Matteo, Le donne internate in Italia durante la Grande Guerra. Es<strong>per</strong>ienze, scritture<br />
e memorie, DEP, n. 7.<br />
Ferretti, Maria, Un o<strong>per</strong>aio di Jaroslavl’, Vasilij Ivanovič Ljulin: <strong>per</strong> un approccio microstorico alla<br />
genesi del<strong>lo</strong> stalinismo, PP, n. 72, pp. 71-99.<br />
Fiori, Antonio, «Una spaventosa sapiente organizzazione». Lo scanda<strong>lo</strong> dei cascami (1918), RSR,<br />
n. 1, pp. 33-84.<br />
Id., I liberali di Destra nella crisi del primo dopoguerra, Clio, n. 3, pp. 389-406.<br />
Id., Il controspionaggio «civile». Dalla neutralità alla creazione dell’Ufficio centrale d’investigazione<br />
1914-1916, IC, n. 247, pp. 95-215.<br />
Gagliardi, Alessio, Il funzionamento delle istituzioni corporative, MC, n. 1, pp. 43-86.<br />
Gal<strong>lo</strong>, Stefano, L’anagrafi arruolate: l’Istat e le normative contro l’urbanesimo tra Italia fascista e<br />
Italia repubblicana, CS, n. 1, pp. 175-190.<br />
Garzarelli, Benedetta, Il fascismo e la crisi italiana negli scritti di Antonio Gramsci del 1924-<br />
1926, SS, n. 4, pp. 1059-1090.<br />
Ganapini, Luigi, The Dark Side of Italian History 1943-1945, MI, n. 2, pp. 205-223.<br />
Gazzetta, Liviana, Votate all’obbedienza: parabole esemplari di dirigenti cattoliche, Gen, n. 2,<br />
pp. 79-98<br />
Gilks, David, Riforma e rinascimento, Protestantism and Catholicism in Antonio Gramsci’s writings<br />
on Italian History: 1926-1935, JMIS, n. 3, pp. 286-306.<br />
Giulietti, Fabrizio, Anarchici contro comunisti. Movimento anarchico italiano e bolscevichi<br />
1917-1924, IC, n. 247, pp. 165-193.<br />
Gorza, Viola, Jugendbewegung e culture alternative nella Repubblica di Weimar, MR, n. 25, pp.<br />
81-90.<br />
Graziosi, Andrea, Il mondo in Europa. Namier e il «Medio Oriente europeo», 1815-1948, Cont,<br />
n. 2, pp. 193-228.<br />
Herrerín López, Ángel, Spagnoli nella Repubblica Dominicana. Un esilio di andata e ritorno,<br />
IC, n. 248, pp. 417-432.<br />
Kershaw, Jan, La strada verso la guerra di Hitler. La politica estera nazista dal 1936 al 1941,<br />
Clio, n. 1, pp. 59-80.<br />
Knox, MacGregor, Totalità e disintegrazione. Stato, partito e forze armate nella Germania nazionalsocialista<br />
e nell’Italia fascista, IC, n. 246, pp. 5-31.<br />
Lescoffit, Claire, Al governo senza diritti: i paradossi del Fronte popolare francese, Gen, n. 2, pp.<br />
99-115.<br />
Levis Sullam, Simon, Arnaldo Momigliano e la nazionalizzazione parallela: autobiografia, religione,<br />
storia, PP, n. 70, pp. 59-82.<br />
Macrì, Pao<strong>lo</strong>, O<strong>per</strong>azione di soccorso nella Francia di Vichy. Un «tranquil<strong>lo</strong> americano» e la fuga<br />
dei nemici di Pétain, NSC, n. 3, pp. 99-130.<br />
56
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Marquès Sureda, Sa<strong>lo</strong>mó, I contributi pedagogici repubblicani alla scuola in Venezuela, IC, n.<br />
248, pp. 459-480.<br />
Martínez Gorroño, María Eugenia, Hernández Álvarez, Juan Luis, L’esilio repubblicano in Co<strong>lo</strong>mbia.<br />
Contributi al progresso culturale, socio-economico e scientifico, IC, n. 248, pp. 433-457.<br />
Meyer, Gerald, Car<strong>lo</strong> Tresca: The Dilemma of an Anti-communist Radical, Al, n. 34, pp. 94-<br />
111.<br />
Monzali, Luciano, Attilio Tamaro, la questione adriatica e la politica estera italiana (1920-<br />
1922), Clio, n. 2, pp. 229-254.<br />
Naranjo Orovio, Consue<strong>lo</strong>, Reti culturali. L’esilio repubblicano a Portorico e Cuba, IC, n. 248,<br />
pp. 389-415.<br />
Novarino, Marco, L’esilio politico e culturale dopo la guerra civile spagnola, IC, n. 248, pp. 353-<br />
369.<br />
Pardini, Giuseppe, L’occupazione francese dell’isola d’Elba (giugno 1944), NSC, n. 5, pp. 37-54.<br />
Pezzino, Pao<strong>lo</strong>, The German Military Occupation of Italy and the War against Civilians, MI, n.<br />
2, pp. 173- 188.<br />
Ramirez, Bruno, Decline, death and revival of «Little Italies»: the Canadian and Us ex<strong>per</strong>iences<br />
compared, SE, n. 166, pp. 337-354.<br />
Ranzato, Gabriele, La democrazia indifesa: la Spagna repubblicana tra rivoluzione e «non intervento»<br />
(1936-1939), RSP, n. 3, pp. 281-299.<br />
Rapone, Leonardo, Antonio Gramsci nella Grande Guerra, SS, n. 1, pp. 5-96.<br />
Roghi, Vanessa, Il dibattito sul diritto d’autore e la proprietà intellettuale nell’Italia fascista, SS,<br />
n. 1, pp. 203-240.<br />
Roselli, Alessandro, The Question of «The Albanian Gold», RSE, n. 2, pp. 183-208.<br />
Rueda, Germán, Emigranti negli Stati Uniti a caval<strong>lo</strong> <strong>della</strong> guerra civile. Docenti, scienziati,<br />
giornalisti, artisti e comunità spagnola, IC, n. 248, pp. 509-525.<br />
Sa<strong>lo</strong>moni, Antonella, Per una ricerca su «verità» e «giustizia». L’es<strong>per</strong>ienza di Lidija âukovskaja,<br />
DEP, n. 7.<br />
Schiavon, Emma, La campagna <strong>per</strong> il suffragio del 1919: la parabola di «Voce nuova» , Gen, n.<br />
2, pp. 57-78.<br />
Schina, Nadia, Wilson e il tentativo americano di sostenere la Russia postzarista: la missione di<br />
Elihu Root, Clio, n. 3, pp. 369-388.<br />
Sergi, Pantaleone, Fascismo e antifascismo nella stampa italiana in Argentina: così fu spenta «La<br />
Patria degli Italiani», AI, n. 35, pp. 4-43.<br />
Serventi Longhi, Enrico, L’attentato di Michele Schirru a Benito Mussolini. Genesi, organizzazione<br />
e implicazioni giuridiche, MC, n. 2, pp. 5-62.<br />
Simone, Giulia, L’organizzazione delle masse al servizio del<strong>lo</strong> Stato. Alfredo Rocco e l’origine del<br />
corporativismo, Clio, n. 3, pp. 439-464.<br />
Soave, Sergio, Gramsci e Tasca, SS, n. 3, pp. 671-710.<br />
57
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Souto Kustrin, Sandra, Culture giovanili, sollecitudini morali e mobilitazioni di massa in Europa<br />
tra le due guerre mondiali, MR, n. 25, pp. 61-80.<br />
Tartacca, Monia, I prigionieri di guerra italiani negli Stati uniti, NSC, n. 3, pp. 47-64.<br />
Tedesco, Luca, Enrico Mattei squadrista e «dissidente fascista», NSC, n. 3, pp. 41-46.<br />
Tondo, Lucio, O<strong>per</strong>azione Manciuria. La crisi mancese, gli Stati Uniti e la <strong>Società</strong> delle Nazioni,<br />
NSC, n. 1, pp. 35-66.<br />
Id., Warren Harding e il dibattito sull’internazionalismo nella campagna presidenziale americana<br />
del 1920, Clio, n. 3, pp. 407-438.<br />
Torre, Andrea (a cura di), Guida agli archivi <strong>della</strong> Resistenza, RAS, 2006, n. 1 [<strong>2007</strong>], 512 pp.<br />
Tosco, Amedeo, Origine e primi sviluppi <strong>della</strong> stampa italiana in Australia: il caso dell’Ita<strong>lo</strong>-Australiano<br />
(1885), Altreitalie, n. 34 pp. 39-68<br />
Turriani, Ercolana, La riconquista fascista <strong>della</strong> Cirenaica e i fuoriusciti libici in Egitto, Cont,<br />
n. 2, pp. 251-274.<br />
Vigil, Alicia Alted, Il contributo dei rifugiati spagnoli alla società messicana, IC, n. 248, pp.<br />
371-388.<br />
Villari, Giovanni, A Failed Ex<strong>per</strong>iment: The Exportation of Fascism to Albania, MI, n. 2, pp.<br />
157-171.<br />
Violi, Roberto, Le feste patronali nel Mezzogiorno tra prescrizioni ecclesiastiche e direttive fasciste,<br />
RSSR, 71, pp. 69-104.<br />
Volterra, Alessandro, Le politiche educative fasciste <strong>per</strong> gli indigeni in Eritrea (1931-1941), MC,<br />
n. 1, pp. 5-42.<br />
Wildvang, Frauke, The Enemy Next Door: Italian Collaboration in Deporting Jews during the<br />
German Occupation of Rome, MI, n. 2, pp. 189-204<br />
3. 1945-2005<br />
di Enrica Capussotti, Massimo De Giuseppe, Francesco Petrini, Marco Rovinel<strong>lo</strong>, Silvia Salvatici<br />
e Adolfo Scotto di Luzio<br />
Il quadro <strong>per</strong> gli anni successivi al 1945 si offre sotto il segno di una estrema varietà di temi e<br />
di approcci metodo<strong>lo</strong>gici. Il sistema di classificazione che abbiamo adottato prova a far emergere<br />
la consapevolezza storiografica delle discontinuità culturali e generazionali attraverso le<br />
quali passa il secondo ’900: fascismo e antifascismo, comunismo e anticomunismo, fino alle<br />
fratture e alle accelerazioni degli ultimo ventennio del seco<strong>lo</strong>: in Europa e negli Stati Uniti. In<br />
questa prospettiva si col<strong>lo</strong>ca l’attenzione che riceve la storia dei giovani e delle culture giovanili,<br />
che rischia tuttavia, soprattutto quando affronta l’ingombrante ’68 e la sua ombra, di farsi<br />
troppo celebrativa e nostalgica. Corposa resta la parte riservata ai nuclei storico-politici del<br />
seco<strong>lo</strong>: la guerra fredda e il confronto Est-Ovest; le sue ri<strong>per</strong>cussioni italiane. Il fuoco dell’at-<br />
58
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tenzione storiografica si concentra sulla stagione del centrismo e dei suoi protagonisti. De Gas<strong>per</strong>i,<br />
prima di tutti, oggetto di una vera e propria risco<strong>per</strong>ta, Dossetti e le vicende interne alla<br />
sinistra democristiana, tra utopia e pragmatismo. Resta il nodo del PCI e <strong>della</strong> minaccia<br />
<strong>della</strong> guerra civile. Il più vasto mondo compare sotto il segno dei nazionalismi e dei conflitti<br />
identitari, mentre comincia ad essere riconosciuta, sebbene timidamente, la portata degli studi<br />
co<strong>lo</strong>niali e post co<strong>lo</strong>niali.<br />
Storiografia e storia intellettuale<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Quanto può influire la produzione storica sulla formazione dell’immaginario collettivo e<br />
del cosiddetto «senso comune»? Come si delinea la relazione tra dibattito storiografico, mondo<br />
<strong>della</strong> comunicazione e «uso pubblico» <strong>della</strong> storia? Infine, quanto incidono sulla formazione<br />
<strong>della</strong> memoria le scelte delle fonti ed il <strong>lo</strong>ro aprirsi e mutare, in relazione ai diversi archetipi<br />
di divulgazione del passato? Questi sono alcuni dei grandi quesiti che emergono da una<br />
lettura comparata degli articoli e dei saggi dedicati alla questione storiografica e alla storia intellettuale<br />
pubblicati nel corso dell’ultimo anno. Quel<strong>lo</strong> che ne esce è un quadro sorprendentemente<br />
coerente e al tempo stesso marcato da alcuni segnali di risveglio. Un dato che sembrerebbe<br />
incoraggiante, rispetto anche so<strong>lo</strong> a quanto emergeva nella rassegna sul 2006. Non<br />
tutte sono luci, naturalmente, e le contraddizioni non mancano, colpisce <strong>per</strong>ò la convergente<br />
attenzione verso una rilettura del ruo<strong>lo</strong> «politico» e sociale <strong>della</strong> produzione storiografica,<br />
le sue dinamiche interne, i diversi passaggi culturali e le cesure generazionali. Un altro dato si<br />
ricollega poi ad una tendenza (che sembra rispondere agli auspici formulati tempo addietro<br />
dal Centro di ricerca sull’immaginario di Chambéry) verso una lettura incrociata delle idee,<br />
da cui risalta un grande interesse a contestualizzare sia la prossimità del<strong>lo</strong> storico agli eventi,<br />
sia la ricaduta politica delle sue teorizzazioni.<br />
All’interno di uno speciale ispirato al convegno di Bertinoro <strong>della</strong> Sissco, In media(s) res.<br />
Comunicare il passato oggi pubblicato da Cont, Nani analizza le mutazioni del confronto tra<br />
storico contemporaneo e giornalista, cercando di individuare i «pieni» e i «vuoti» che si col<strong>lo</strong>cano<br />
tra «storia tecnica» e «memoria culturale». L’indebolimento dell’autorità storiografica,<br />
sembra chiedersi l’a., è direttamente proporzionato alla trasformazione (anche tecno<strong>lo</strong>gica)<br />
dei media o dipende anche dalla crescente difficoltà di rapportarsi con una quantità sempre<br />
più vasta di fonti (p. 375)? Un altro passaggio riguarda invece la rottura dell’omogeneità tra<br />
intellettuali e classe dirigente (tema che <strong>per</strong>ò richiede una certa cautela) e le incognite legate<br />
all’espandersi <strong>della</strong> cultura «diffusa» <strong>della</strong> storia, sempre più condizionata da esigenze tipicamente<br />
giornalistiche (l’insistenza sul privato, la ricerca spasmodica di scoop). La posta in gioco<br />
è tutt’altro che secondaria e va ben oltre la scomparsa <strong>della</strong> «terza pagina» nei quotidiani o<br />
i duelli a distanza tra storici di fama; chiama semmai in causa i margini di autonomia <strong>della</strong> ri-<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
cerca (compresi i limiti finanziari che possono condizionarla), il ruo<strong>lo</strong> delle università, le <strong>per</strong>iodizzazioni<br />
(il rischio di una facile «novecentizzazione» nei termini schematizzanti imposti<br />
dalla «retorica del nuovo») e l’uso dei diversi linguaggi dei media. Nani invoca quindi la costruzione<br />
di un’etnografia del pubblico e la risco<strong>per</strong>ta, anche sul fronte divulgativo, <strong>della</strong> complessità<br />
di una storia «<strong>per</strong> problemi».<br />
Tra storiografia e storia intellettuale si muovono i due lavori pubblicati su Clio da Di<br />
Rienzo e Bianco, dedicati rispettivamente a Gioacchino Volpe e a Livio Paladin. Nel primo<br />
caso si riflette sull’eredità di una figura complessa come quella di Volpe, del quale si analizza<br />
il ruo<strong>lo</strong> nella costruzione <strong>della</strong> «scuola romana» tra gli anni del regime e l’avvento <strong>della</strong> Repubblica.<br />
Utilizzando corrispondenza inedita, studi e ricordi, Di Rienzo traccia quasi la figura<br />
di un «maestro di bottega», del suo rapporto con allievi quali Cantimori, Romeo, Cande<strong>lo</strong>ro,<br />
Nel<strong>lo</strong> Rosselli, <strong>per</strong>fino De Felice, toccando anche prosaiche questioni, non troppo <strong>lo</strong>ntane<br />
da noi, di scontri di potere accademico e <strong>lo</strong>tte concorsuali. Di Volpe emerge soprattutto<br />
il fascino <strong>per</strong> la costruzione di una storia pubblica, attenta alle dinamiche sociali e ai meccanismi<br />
<strong>della</strong> nazione «profonda», nonché il suo interesse <strong>per</strong> la «storiografia collettiva» (a<strong>per</strong>ta<br />
anche a pubblicisti come Mario Missiroli). L’a. non tralascia poi uno sguardo sulla controversa<br />
eredità di Volpe, riletta alla luce <strong>della</strong> politica del secondo dopoguerra, richiamando vicende<br />
rivelatrici, come il «processo» istruito all’interno dell’Istituto Gramsci contro Manacorda,<br />
accusato di aver legittimato su «Rinascita» l’interpretazione di Volpe del socialismo italiano.<br />
Nel caso del lavoro di Bianco su Paladin, noto costituzionalista e <strong>per</strong> breve tempo ministro<br />
nel governo Ciampi, la prospettiva cambia. Qui si prende spunto dal testo Per una storia costituzionale<br />
dell’Italia repubblicana, e ci si pone l’obiettivo di vagliare attraverso le sue pagine<br />
l’approccio di un giurista alla storia politica. Ritorna il tema dell’utile porosità dei confini, qui<br />
riletta soprattutto attraverso il confronto tra l’impianto istituzionale e il dipanarsi <strong>della</strong> «Costituzione<br />
vivente». In particolare risulta interessante l’approccio di Paladin a storici del processo<br />
costituente come Pombeni e Scoppola e l’originale interpretazione dei termini <strong>della</strong> conventio<br />
ad escludendum nei confronti del PCI. Le mutazioni istituzionali sono costantemente<br />
messe in relazione al processo di «espansione centrifuga» dei partiti e alla ricezione delle novità<br />
politiche nel tessuto sociale del paese. Lo studio si chiude nel 1972, con una decisa critica<br />
tecnico-politica dell’o<strong>per</strong>ato del presidente Leone in occasione <strong>della</strong> nascita del primo governo<br />
Andreotti che pose fine mestamente allla V Legislatura.<br />
Ancora di storici e cesure politiche tratta il saggio di Gilda Zazzara secondo una prospettiva<br />
originale: le poetiche «del lutto» e la memoria, attraverso un genere letterario (quel<strong>lo</strong> dell’epitaffio)<br />
che mescola la notizia necro<strong>lo</strong>gica ad una ricostruzione (non sempre necessariamente<br />
apo<strong>lo</strong>getica) del cursus honorum del defunto. Si parte così dalla prima fase repubblicana,<br />
con i ricordi di alcuni grandi vecchi <strong>della</strong> stagione liberale, come Croce o Salvemini, <strong>per</strong><br />
approdare ad o<strong>per</strong>e che evidenziano una graduale reazione al fi<strong>lo</strong><strong>lo</strong>gismo erudito, attraverso<br />
la ricerca di innovazioni metodo<strong>lo</strong>giche. Mettere a confronto l’epitaffio di Chabod su Croce,<br />
60
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
con quel<strong>lo</strong> di Alessandro e Ettore Passerin d’Entrèves sul<strong>lo</strong> stesso Chabod, risulta un esercizio<br />
interessante, così come <strong>lo</strong> è la lettura del rapporto tra biografie intellettuali e politiche, la messa<br />
in discussione di secche <strong>per</strong>iodizzazioni (Villari e la sua «illuminazione» post 1861), la rilettura<br />
del ruo<strong>lo</strong> del<strong>lo</strong> storico nella stagione fascista, fino alla trasmissione intergenerazionale<br />
dei patrimoni storiografici. Attento alla relazione storia-politica è anche il lavoro di Brizzi e<br />
Marchi. Qui, partendo dall’analisi <strong>della</strong> «missione del<strong>lo</strong> storico e dell’intellettuale nel contesto<br />
<strong>della</strong> polis moderna» (p. 53) si usa l’es<strong>per</strong>ienza <strong>per</strong>sonale di Pierre Rosanval<strong>lo</strong>n, tra accademia,<br />
sindacato e politica, <strong>per</strong> studiare le trasformazioni <strong>della</strong> sinistra francese dopo il ’69<br />
(nell’ambito <strong>della</strong> costruzione <strong>della</strong> deuxième gauche) ma anche i mutamenti nei rapporti tra<br />
istituzioni statuali e società civile. La formulazione di una teoria del totalitarismo, l’es<strong>per</strong>ienza<br />
<strong>della</strong> stagione autogestionaria <strong>della</strong> CFdT, le a<strong>per</strong>ture al liberalismo, diventano così non so<strong>lo</strong><br />
note biografico-storiografiche, ma un modo <strong>per</strong> comprendere il ruo<strong>lo</strong> degli intellettuali nella<br />
politica francese, sul<strong>lo</strong> sfondo del<strong>lo</strong> scontro tra Rocard e Mitterand <strong>per</strong> la leadership del<br />
PSU. Così anche la lettura di Rosanval<strong>lo</strong>n <strong>della</strong> rivoluzione francese (che abbina a una decisa<br />
critica alla deriva giacobina una riflessione originale sui limiti dell’es<strong>per</strong>ienza termidoriana)<br />
ci aiuta a interpretare la politica francese degli anni ’80, mentre il tracol<strong>lo</strong> di Jospin nel 2002<br />
marca il suo ritardo nell’aggiornare le categorie elaborate a un quadro in costante mutazione.<br />
Sempre in ambito francese si muove Di Maggio, che riflette sul ruo<strong>lo</strong> del PCF e sui caratteri<br />
<strong>della</strong> «via francese al socialismo» sfruttando l’a<strong>per</strong>tura degli archivi del partito. Da<br />
queste pagine, incentrate sulla svolta del 1961-1964, emerge l’effetto di lungo <strong>per</strong>iodo del<strong>lo</strong><br />
«choc del XX Congresso» e la <strong>per</strong>sonale rilettura del processo di destalinizzazione attuata<br />
dal gruppo di Thorez. Frequenti sono i richiami all’es<strong>per</strong>ienza italiana e al rapporto a distanza<br />
con Togliatti, secondo una rilettura che sottolinea la diversità delle es<strong>per</strong>ienze culturali (a<br />
cominciare dal trauma <strong>della</strong> deco<strong>lo</strong>nizzazione). Le dinamiche interne al partito sono quindi<br />
messe al vaglio <strong>della</strong> <strong>per</strong>vasività <strong>della</strong> politica estera ma anche di miti del passato e del futuro<br />
(la chimera <strong>della</strong> Conferenza internazionale comunista), senza reticenze sui tentativi di<br />
control<strong>lo</strong> dall’alto del dibattito interno al partito. Sul terreno spinoso delle <strong>lo</strong>tte interne alla<br />
sinistra radicale tedesca si muove invece il saggio di Susanne Falkenberg incentrato sulla contrapposizione<br />
tra «antitedeschi» ed «antim<strong>per</strong>ialisti». Un dibattito che rischia di essere un po’<br />
schematizzante (nella complessità <strong>della</strong> sinistra tedesca) ma che offre al lettore italiano un panorama<br />
di un mondo poco noto ma non estraneo alla discussione in atto anche qui da noi.<br />
Nel suo lavoro l’a. utilizza principalmente il punto di vista «antitedesco» (dando forse troppo<br />
<strong>per</strong> scontata la lettura di quel<strong>lo</strong> antim<strong>per</strong>ialista), attraverso riviste come «Konkret» (con<br />
cinquant’anni di vita alle spalle e oltre 35.000 abbonati) e «Bahamas». Le posizioni di Hermann<br />
Ludwig Gremliza e dei suoi collaboratori manifestano un approccio alla storia e alla<br />
memoria provocatorio, spesso autoreferenziale e volutamente spiazzante. Il dibattito intorno<br />
a categorie complesse come l’antifascismo che ha contrapposto <strong>per</strong> anni le diverse componenti<br />
<strong>della</strong> sinistra tedesca è quindi andato ben oltre la rilettura <strong>della</strong> memoria, l’identifi-<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
cazione del nazismo, dell’antisemitismo e <strong>della</strong> dialettica americanismo-antiamericanismo,<br />
<strong>per</strong> irrom<strong>per</strong>e, spesso a piè pari, nel campo dell’attualità politica. Il pieno sostegno dato dagli<br />
«antitedeschi» alla guerra preventiva in Iraq, il duro attacco contro i sostenitori dell’interculturalità,<br />
le polemiche culturali innescate a ritmo continuo, sembrano in realtà abbeverarsi<br />
di una retorica ideo<strong>lo</strong>gica almeno pari a quella che si imputa al campo opposto. Del lavoro<br />
di Falkenberg non convince la rilettura del razzismo «differenzialistico» e «universalistico»,<br />
che fa ricorso a categorie teoriche complesse <strong>per</strong> spiegare gli scontri suburbani di<br />
Neukölln dell’estate 2004. Al contrario l’a. coglie nel segno ricordando che questo scontro<br />
interno a due correnti, minoritarie, <strong>della</strong> sinistra tedesca tocca spinose questioni politico-esistenziali<br />
di respiro quantomeno europeo. Anche Claudia Baldoli, nel suo saggio dedicato a<br />
Guido Miglioli, attinge alla storia delle idee e al rovesciamento degli schemi precostituiti <strong>per</strong><br />
rileggere il complesso confronto politico tra l’attivista cremonese e la cultura comunista. Figura<br />
originale del panorama novecentesco italiano, Miglioli passò da una giovane militanza<br />
radicale all’attivismo sindacale nelle leghe agrarie bianche <strong>della</strong> bassa Padana e dal mancato<br />
ingresso nella DC nel 1945 (impedito da Roma) alla candidatura <strong>per</strong> il PCI nelle elezioni<br />
del ’48. Antifascista convinto, pacifista sui generis, affascinato dal miraggio di una grande<br />
internazionale cristiana e dall’impatto <strong>della</strong> rivoluzione sovietica, Miglioli si spostò sempre<br />
lungo un confine difficile, nella Cremona di Bissolati prima, di Farinacci poi, dia<strong>lo</strong>gando<br />
con altre figure delle «avanguardie cristiane» come don Primo Mazzolari e con <strong>per</strong>sonaggi<br />
come Ossicini, Rodano e Cappi. Mai pienamente integrato nei quadri comunisti, fu l’artefice<br />
di un’es<strong>per</strong>ienza originale come quella del Movimento cristiano <strong>per</strong> la pace. La ricostruzione<br />
dei suoi <strong>per</strong>corsi culturali è forse un po’ frammentata ma ci riporta un esempio <strong>della</strong><br />
complessità che animava diversi attori dell’Italia novecentesca, intenzionati a muoversi fuori<br />
dagli schemi.<br />
La storia delle idee è al centro anche dell’interessante saggio di Mattia Diletti dedicato al<br />
ruo<strong>lo</strong> dei think tank nella costruzione dell’identità conservatrice negli USA. Si tratta di un fenomeno<br />
ancora poco studiato in Italia ma che, a partire dalla stagione reaganiana, ha mutato<br />
pelle e <strong>per</strong>vasività mediatica, confondendosi con la lezione neoconservatrice dalla seconda<br />
guerra fredda alla guerra al terrorismo, una fase <strong>della</strong> storia che spesso i media ci presentano<br />
come post-ideo<strong>lo</strong>gica ma al contempo segnata da quel rischio di «monarchia democratica» che<br />
faceva capolino anche in altri lavori (da Nani a Brizzi/Marchi). Diletti si sofferma sulla graduale<br />
trasformazione dei think tank, da «università senza studenti» come la Canergie o la<br />
Brookings Institution che fin dagli inizi del ’900 istituzionalizzarono i collegamenti tra mondo<br />
politico, accademico ed economico fornendo all’esecutivo strumenti stabili di lettura e interpretazione<br />
del mondo, alla costruzione di strutture in cui convivono la dimensione del<br />
network «di carriera» con la necessità di intervenire pesantemente nei media <strong>per</strong> condizionare<br />
i temi del dibattito pubblico. Come la Brookings dia<strong>lo</strong>gava con l’internazionalismo wilsoniano<br />
e collaborava alla formulazione del New Deal rooseveltiano, la conservatrice Heritage<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Foundation ha marcato le proposte di policy conservatrici da Nixon a Bush jr. Al centro di<br />
questi movimento è rimasto il dibattito sul ruo<strong>lo</strong> del<strong>lo</strong> Stato, prima segnato da un allargamento<br />
<strong>della</strong> committenza, poi dall’esigenza neoconservatirce che identifica la struttura federale in<br />
un «nemico» da addomesticare. Uno spartiacque è indicato nella sconfitta alle presidenziali<br />
del 1964 di Barry Goldwater (il «Trotsky di estrema destra» che ebbe tra i suoi sostenitori anche<br />
una giovane Hillary Rodham, poi Clinton), interprete delle trasformazioni antropo<strong>lo</strong>gico-culturali<br />
del «grande sud» <strong>della</strong> destra cristiana e capace di porvi le basi <strong>per</strong> la riconquista<br />
conservatrice <strong>della</strong> Casa Bianca.<br />
Su un fronte più prettamente storiografico si muove il saggio di Vaudagna sugli American<br />
Studies in Italy. Il lavoro è approfondito, senza reticenze e si muove dalla fine <strong>della</strong> seconda<br />
guerra mondiale all’oggi, cercando di individuare gruppi e categorie di studiosi. Nel delineare<br />
quella che definisce la «prima generazione» degli americanisti italiani, l’autore si sofferma<br />
sul clima <strong>della</strong> guerra fredda, sui riflessi dell’appartenenza ad una «comunità atlantica»,<br />
sul fascino dell’«ethos democratico» sul mondo liberale. Nicola Matteucci, Aldo Garosci, Guglielmo<br />
Negri e altri vengono individuati come i fondatori di questa scuola, cresciuta attraverso<br />
le prime traduzioni del Mulino, ribadendo la diffidenza <strong>per</strong> gli studi nordamericani che<br />
segnava il mondo cattolico e comunista. Se è vero che la chiave di lettura dell’America come<br />
«specchio distante» dei problemi europei restava dominante, si trascura forse qui un po’ troppo<br />
un’eredità culturale complessa, mitizzata e demonizzata ben prima <strong>della</strong> stagione fascista.<br />
È interessante la riflessione sull’importanza di Antonel<strong>lo</strong> Gerbi (e <strong>della</strong> sua Disputa del nuovo<br />
mondo), Giorgio Spini e Raimondo Luraghi, nel rom<strong>per</strong>e gli schemi e nell’aprire nuove<br />
prospettive (si pensi ad esempio al peso dell’idealismo wilsoniano sulla formazione di storici<br />
cattolici come Barié e Migone). Una seconda generazione di americanisti è col<strong>lo</strong>cata nella seconda<br />
metà degli anni ’60, con i lavori di Martel<strong>lo</strong>ne, Bonazzi, Mannucci, Teodori (all’epoca<br />
militante radicale), attenti a temi emergenti dei diritti civili, preludio alla terza generazione<br />
(1968-1975), più direttamente influenzata – nella stagione del Vietnam, delle black<br />
panthers, del terzomondismo – dalla radicalizzazione delle posizioni politiche. In questo gruppo<br />
vengono inseriti studiosi diversi tra <strong>lo</strong>ro come Fasce, Cartosio, Vezzosi, Ortoleva e Romero.<br />
Nella ricerca di <strong>per</strong>iodizzazioni sembra <strong>per</strong>ò che Vaudagna tralasci l’importanza di altri fenomeni<br />
(a partire dalla rivoluzione cubana) che aumentarono in quella fase l’importanza del<br />
Sud negli studi americanisti. Si sottolinea giustamente invece il processo di crescente professionalizzazione<br />
(sia nel lavoro con le fonti che <strong>per</strong> le es<strong>per</strong>ienze formative in università e centri<br />
studi statunitensi), testimoniato anche dalla nascita di riviste, associazioni e fondazioni,<br />
che hanno contribuito a ridefinire la dimensione pubblica dell’americanistica in Italia. Tornando<br />
in Europa, i due lavori storiografici di Longo Adorno e Faulenbach scavano nei meandri<br />
del conflitto nazi-sovietico e del confronto dei tedeschi con il nazionalsocialismo. In The<br />
Dark Side of the Moon, Longo giustifica la sua citazione pinkf<strong>lo</strong>ydiana partendo da The Other<br />
Side of the Hill di Liddel Hart, un testo uscito in piena guerra fredda, con cui si tentò una ri-<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
lettura del «secondo fronte» antinazista. Ne emerge un’interessante <strong>per</strong>corso dell’interpretazione<br />
occidentale delle campagne dell’armata rossa, un cammino che parte dai resoconti giornalistici<br />
di Werth e memorialistici di Ehrenburg <strong>per</strong> approdare al successo commerciale del<br />
libro di Beevor su Stalingrado. Temi che chiamano in causa silenzi e reticenze <strong>della</strong> storiografia<br />
(quella occidentale ferma al 1941-1943) nella stagione <strong>della</strong> lunga guerra fredda, richiamando<br />
i limiti d’accesso alle fonti, ma anche il peso delle dinamiche editoriali. Interessanti<br />
sono anche i cenni al b<strong>lo</strong>cco <strong>della</strong> produzione memorialistica nell’URSS staliniana, volto a<br />
contenere i quadri militari e a prevenire dibattiti scomodi sulla «grande guerra patriottica».<br />
Nel lavoro di Faulenbach si sottolineano invece le incertezze tedesche sul passato nazista di<br />
fronte alla scomparsa dei testimoni diretti, identificando anche qui tre fasi <strong>della</strong> relazione tra<br />
indagine storica e costruzione <strong>della</strong> memoria: una precedente al 1989 (segnata da forti processi<br />
di rimozione, colpa e un difficile confronto con l’o<strong>lo</strong>causto), una legata all’impatto del<br />
crol<strong>lo</strong> del muro e <strong>della</strong> riunificazione (con conseguenti timori di nuove derive violente, acuiti<br />
dall’insorgere di atti xenofobi), ed una post ’91. Per questa ci si sofferma sui cambiamenti<br />
nell’approccio dei media al nazismo, con la scomparsa di alcuni tabù (il film La caduta), soprattutto<br />
intorno alla figura del Führer, sospesa tra demonizzazione e banalizzazione, tutti segnali<br />
di un processo di storicizzazione in atto. Un tema questo che torna anche nel saggio di<br />
Soravia sulla nuova storiografia israeliana. Il biennio 1987-1988, in concomitanza con il quarantennale<br />
<strong>della</strong> fine del mandato britannico, è riletto come cesura <strong>per</strong>iodizzante e punto di<br />
partenza <strong>per</strong> comprendere i lavori dei new historians: Flapan, Morris, Shlaim e Pappé. Rotta<br />
la tradizione <strong>della</strong> storiografia sionista, con l’accesso a nuove fonti archivistiche e il sostegno<br />
di riviste come il «Journal of Palestine», questi storici hanno rivitalizzato i rapporti tra accademia,<br />
politica e media, toccando una serie di temi tabù e smitizzando alcuni luoghi comuni.<br />
Dal rigoroso lavoro storiografico di Flapan, alle svolte del più controverso Morris (prima<br />
autodefinitosi revisionista poi approdato nel gruppo dei cosiddetti neosionisti), fino alle scelte<br />
politicamente radicali di Pappé (culminate nell’affaire Katz che mobilitò la comunità scientifica<br />
internazionale), il <strong>lo</strong>ro si è rivelato un interessante e tutt’altro che lineare <strong>per</strong>corso umano<br />
e scientifico, che ha influenzato il dibattito pubblico e introdotto nuove griglie interpretative<br />
e temi di dibattito (tra cui quel<strong>lo</strong> spinoso <strong>della</strong> politica «co<strong>lo</strong>niale»), in particolare intorno<br />
al conflitto del ’48. A proposito di costruzione delle identità nazionali, altrettanto interessante<br />
è il lavoro di Roman Hautala sull’im<strong>per</strong>o mongo<strong>lo</strong> nella storiografia sovietica. In<br />
questa stagione di rilancio del nazionalismo russo, in cui nei multisala occidentali si celebra<br />
il coraggio di Temucin-Gengis Kan, è interessare riscoprire le chiavi interpretative che gli storici<br />
sovietici davano dell’im<strong>per</strong>o nomade. Da una rigida applicazione delle categorie del materialismo<br />
scientifico, secondo gli studi di Grekov, Jakubosky e Karga<strong>lo</strong>v, emerge il quadro di<br />
una netta condanna storicista dell’invasione mongola, tratteggiata come un’epoca buia, di regressione<br />
economica e desertificazione politica e culturale. Colpiscono le dure valutazioni degli<br />
influssi del nomadesimo elaborate dal kazako Tolybekov, i richiami (questi più tipici) al-<br />
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l’invasione nazista, che si fanno ancora più duri dopo la rottura politica di inizio anni ’60 tra<br />
Mosca e Pechino. Una linea storiografica che rispondeva alle esigenze politiche di sovietizzazione<br />
delle popolazioni centroasiatiche. Interessante sarebbe ora tentare un confronto tra la<br />
prima scuola antropo<strong>lo</strong>gica sovietica che guardava con interesse ad una rivalutazione culturale<br />
delle popolazioni indigene latinoamericane, con queste severe condanne dei modelli sociali<br />
mongoli e del <strong>lo</strong>ro effetto ritardante sulla costruzione dell’identità russa. Ancora una volta<br />
la comparazione di immaginari, tra lettura delle fonti, produzione storica e costruzione <strong>della</strong><br />
memoria pubblica, potrebbe riservare interessanti sorprese.<br />
Relazioni internazionali<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
I saggi presi in esame in questa sezione si soffermano su tre ambiti principali: la guerra<br />
fredda, la storia dell’integrazione europea, la politica estera italiana. Per quanto riguarda il primo<br />
tema, il saggio di Bettanin presenta un’analisi di vasto respiro sul significato del conflitto<br />
bipolare, alla luce del contributo portato dal lavoro di O.A. Westad (The G<strong>lo</strong>bal Cold War,<br />
Cambridge UP, 2005) e del dibattito da esso innescato che, in contrasto con le interpretazioni<br />
tradizionali anche recentemente riaffermate da J.L. Gaddis, hanno messo in evidenza la rilevanza<br />
del Terzo Mondo nel conflitto tra le due su<strong>per</strong>potenze, impegnate ad affermare la validità<br />
dei rispettivi modelli di sviluppo, basati da un lato sull’ideo<strong>lo</strong>gia <strong>della</strong> «libertà», dall’altro<br />
su quella <strong>della</strong> «giustizia». L’a. ricostruisce con chiarezza i punti salienti dell’interpretazione<br />
di Westad, non mancando di evidenziarne alcune debolezze, in particolare riguardo all’interpretazione<br />
<strong>della</strong> scelta dell’URSS di mettere in gioco la distensione, ritenuta dalla leadership<br />
sovietica «vitale» – come sottolinea Bettanin – <strong>per</strong> ragioni economiche e di prestigio, <strong>per</strong><br />
tentare di estendere la propria influenza nel Terzo Mondo.<br />
Gli echi di questo dibattito si sentono debolmente e in maniera discontinua nella restante<br />
produzione italiana sul tema. Come rilevato nella rassegna del<strong>lo</strong> scorso anno, la produzione<br />
saggistica nell’ambito <strong>della</strong> storia delle relazioni internazionali non restituisce l’immagine<br />
di un ambito disciplinare dal profi<strong>lo</strong> particolarmente innovatore. Dal punto di vista dell’approccio<br />
analitico prevale largamente la storia dip<strong>lo</strong>matica di impianto tradizionale e a volte<br />
tornano in mente le parole di G.M. Young secondo il quale essa costituiva «little more than<br />
the record of what one clerk said to another clerk» (Victorian England, Doubleday, 1954, p.<br />
155). Risulta quindi assolutamente preponderante, almeno dall’insieme di articoli qui presi<br />
in considerazione, l’attenzione alla storia politica delle relazioni internazionali, identificate in<br />
ultima analisi con le relazioni interstatuali, secondo un orientamento che, sovente, in maniera<br />
implicita affonda le sue radici nel billiard ball model messo a punto nell’ambito <strong>della</strong> scuola<br />
strutturalista delle relazioni internazionali. Non è in questione la qualità del lavoro di una<br />
disciplina che ha dato e tuttora produce risultati importanti, bensì la sua difficoltà nell’aprir-<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
si a nuovi approcci e nel va<strong>lo</strong>rizzare le nuove energie e i diversi punti di vista che pure esistono<br />
al suo interno.<br />
Il numero 13 di VS (al momento l’unica rivista italiana che dedica sistematicamente spazio<br />
alla storia delle relazioni internazionali) è interamente consacrato a studiare diversi aspetti<br />
<strong>della</strong> guerra fredda. Il contributo di Jamil Hasanli e Vladislav Zubok torna ad analizzarne<br />
il primo atto, la crisi iraniana del 1946, alla luce di una nuova e interessante documentazione<br />
emersa dagli archivi dell’Azerbaijan che mette in luce il «realismo» di uno Stalin proteso a<br />
garantire spazi geopolitici di sicurezza <strong>per</strong> l’URSS, non esitando ad abbandonare al <strong>lo</strong>ro destino<br />
i propri alleati <strong>lo</strong>cali: nel caso, le forze comuniste ed indipendentiste azere, una volta posto<br />
di fronte al rischio di una crisi maggiore dalla reazione occidentale.<br />
Sulle origini <strong>della</strong> guerra fredda si soffermano anche i saggi raccolti nella sezione monografica,<br />
dedicata ai 50 anni del Piano Marshall, curata da Juan Car<strong>lo</strong>s Martinez Oliva. Il saggio<br />
di Antonio Varsori rappresenta un’utile sintesi del dibattito storiografico internazionale ed<br />
italiano sul Piano, a partire dal confronto statunitense tra «ortodossi» e «revisionisti» fino ad<br />
arrivare ai contributi più recenti. L’a. conclude la rassegna affermando che tale dibattito, una<br />
volta centrale nella comprensione delle dinamiche <strong>della</strong> guerra fredda e dell’affermarsi dell’egemonia<br />
statunitense, sembra aver esaurito le proprie potenzialità innovative, anche in seguito<br />
al<strong>lo</strong> spostarsi del focus <strong>della</strong> ricerca verso nuove questioni e nuovi orizzonti geografico-crono<strong>lo</strong>gici.<br />
Martinez Oliva si sofferma sugli effetti del Piano Marshall sulla promozione dell’integrazione<br />
europea attraverso l’OECE, sostenendo la tesi «che sotto l’egida dell’ECA venne<br />
promossa e diffusa in Europa la cultura <strong>della</strong> coo<strong>per</strong>azione economica e del multilateralismo,<br />
gettando le basi <strong>per</strong> le future realizzazioni comunitarie». Il contributo di Michele Donno si<br />
sofferma sull’evoluzione delle concezioni dei socialdemocratici italiani riguardo all’ERP e sulle<br />
ri<strong>per</strong>cussioni che esso ebbe sulle <strong>lo</strong>ro posizioni, soprattutto in merito ai problemi <strong>della</strong> col<strong>lo</strong>cazione<br />
internazionale dell’Italia e dell’integrazione europea. In entrambi i saggi viene lasciato<br />
sul<strong>lo</strong> sfondo quel<strong>lo</strong> che forse è l’aspetto principale del Piano, messo in rilievo ormai da<br />
tempo da una storiografia attenta alle interazioni tra assetti interni e sistema internazionale:<br />
la promozione <strong>della</strong> politica <strong>della</strong> produttività, che è invece al centro dell’artico<strong>lo</strong> di Francesco<br />
Petrini sulle posizioni degli industriali privati italiani in cui si documenta come la leadership<br />
confindustriale accolse con malcelata ostilità la ricetta fordista di cui si fece portatrice, almeno<br />
in una prima fase, l’ECA. Nel suo saggio su MC Bruno Pierri si sofferma sulla genesi<br />
<strong>della</strong> dichiarazione tripartita del maggio 1950 tra Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti sul Medio<br />
Oriente. L’a. presenta una disamina dettagliata <strong>della</strong> genesi <strong>della</strong> dichiarazione, fondata<br />
soprattutto sulle FRUS e sugli archivi del Foreign Office (la posizione francese non viene presa<br />
in considerazione), ma lascia <strong>per</strong>plessi l’assenza di riferimenti al complesso dibattito storiografico<br />
sulle politiche americana e britannica verso il Medio Oriente e la mancata valutazione<br />
da parte dell’a. di come l’artico<strong>lo</strong> si col<strong>lo</strong>chi in questo quadro e quali novità vi apporti. Pierri<br />
pubblica altri due contributi, del<strong>lo</strong> stesso tenore e medesima impostazione oltre che su ana-<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
<strong>lo</strong>ghe fonti del precedente. Quel<strong>lo</strong> che appare su Clio è una cronaca dettagliata degli accordi<br />
ang<strong>lo</strong>-egiziani del 1953-1954 sul canale di Suez e delle preoccupazioni israeliane circa la possibilità<br />
di turbolenze in area medio-orientale. Quel<strong>lo</strong> che viene pubblicato sulle pagine di NSC<br />
riguarda sempre accordi ang<strong>lo</strong>-egiziani, ma stavolta relativi al Sudan. Si tratta del compromesso<br />
che costituì la base di quel processo di autodeterminazione che portò alla costituzione di<br />
un nuovo stato indipendente nel 1956. La serie di contributi sulla guerra fredda si chiude con<br />
l’artico<strong>lo</strong> di Mikhail Narinsky sull’azione dell’URSS in merito alla crisi del Golfo del 1990-<br />
91. Il saggio si basa sulle carte di Anatoly S. Černjaev, consigliere di Gorbačëv, conservate presso<br />
gli archivi <strong>della</strong> Fondazione Gorbačëv, ed evidenzia la debolezza <strong>della</strong> posizione <strong>della</strong> leadership<br />
sovietica, impegnata nel vano tentativo di evitare la guerra, <strong>per</strong> preservare i propri su<strong>per</strong>stiti<br />
margini di influenza nella regione mediorientale e in generale a livel<strong>lo</strong> mondiale, non<br />
potendo disporre ormai che del retaggio di antichi legami e del prestigio di Gorbačëv come<br />
risorse da spendere al tavo<strong>lo</strong> negoziale.<br />
La storia dell’integrazione europea e l’analisi <strong>della</strong> politica estera italiana si intrecciano tra<br />
<strong>lo</strong>ro nei saggi presenti nel n. 14 di VS dedicato ai 50 anni dei Trattati di Roma. Dal saggio di<br />
Maria Elena Cavallaro sulle posizioni delle forze politiche italiane nel passaggio dal progetto<br />
CED alla UEO emerge il carattere «pragmatico e non ideo<strong>lo</strong>gico» dell’europeismo delle forze<br />
di maggioranza, inteso come strumento di una politica estera che nei primi anni ’50 mirava<br />
soprattutto a recu<strong>per</strong>are status e influenza, sulla base di una precisa consapevolezza dei rapporti<br />
di forza e degli equilibri internazionali, una posizione su cui si realizzò una convergenza<br />
con le forze dell’opposizione di destra, mentre il PSI non seppe cogliere le possibilità che<br />
la nuova situazione internazionale offriva in termini di rinnovamento ideo<strong>lo</strong>gico e di a<strong>per</strong>tura<br />
di dia<strong>lo</strong>go con le altre forze politiche. Sulla stessa linea si col<strong>lo</strong>ca il contributo di Alessandro<br />
Marucci su Fanfani e la costruzione europea, che si basa sulle carte dell’archivio dell’uomo<br />
politico toscano recentemente messe a disposizione presso la biblioteca del Senato, da cui<br />
risalta la pluralità di significati assunta dall’adesione all’integrazione europea <strong>per</strong> la classe dirigente<br />
italiana: terreno di incontro con altre forze politiche interne, mezzo di legittimazione<br />
esterna e <strong>per</strong> accrescere il ruo<strong>lo</strong> del Paese nel sistema internazionale, carta da giocare sia nella<br />
partita <strong>per</strong> il rinnovamento economico <strong>della</strong> penisola sia nei tentativi di costruire una relazione<br />
più forte con l’alleato americano, con una cura particolare nel caso di Fanfani al tentativo<br />
di conciliare europeismo, atlantismo e attenzione verso i Paesi del Terzo Mondo. Con i saggi<br />
di Silvio Fagio<strong>lo</strong>, quel<strong>lo</strong> di Lucia Bonfreschi e Christine Vodovar e quel<strong>lo</strong> di Frédéric Turpin<br />
ci si sposta fuori dall’Italia. Fagio<strong>lo</strong> si sofferma sull’o<strong>per</strong>a di Adenauer, seguendo un approccio<br />
che si rifà alla retorica dei «padri fondatori» dell’Europa integrata, in una visione quasi titanica<br />
del ruo<strong>lo</strong> del singo<strong>lo</strong> sulla scena politica: «L’antico sindaco di Co<strong>lo</strong>nia realizza l’impresa<br />
straordinaria di occidentalizzare il suo paese mettendo fine, una volta <strong>per</strong> tutte, alla fatale<br />
propensione al vagabondaggio […] di una nazione eternamente in bilico tra Est e Ovest».<br />
Bonfreschi e Vodovar analizzano le ragioni che spinsero de Gaulle, contro ogni previsione, ad<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
acconsentire all’entrata in vigore dei Trattati di Roma, concludendo che alla base di tale scelta<br />
vi furono motivi di ordine economico e politico: il carattere di compromesso dei Trattati,<br />
a metà tra il model<strong>lo</strong> CECA e quel<strong>lo</strong> intergovernativo, lasciava ampi spazi di manovra <strong>per</strong> una<br />
politica mirante al risanamento economico <strong>della</strong> Francia e alla riaffermazione del suo ruo<strong>lo</strong><br />
come potenza continentale. Turpin affronta, dal punto di vista francese, il tema <strong>della</strong> politica<br />
di coo<strong>per</strong>azione tra la CEE e i PVS, partendo dal Trattato di Roma del 1957 <strong>per</strong> arrivare alla<br />
firma di Lomé I nel 1975. L’artico<strong>lo</strong> mette in evidenza il ruo<strong>lo</strong> francese nell’imporre la nascita<br />
di questa politica e il suo tratto marcatamente regionale, volto cioè a costruire rapporti privilegiati<br />
con l’area dell’Africa francofona, contro le resistenze di partner comunitari recalcitranti,<br />
disegnando una parabola che marca il progressivo indebolirsi delle posizioni francesi<br />
<strong>per</strong> portare, dopo l’ingresso britannico nella CEE, alla convenzione di Lomé I e a una svolta<br />
«mondialista» nell’aiuto europeo al<strong>lo</strong> sviluppo. Il saggio è interessante, ma pecca forse di un’ottica<br />
troppo eurocentrica, prendendo in considerazione i PVS so<strong>lo</strong> come oggetto <strong>della</strong> politica<br />
europea e non come soggetti capaci di imporre, almeno parzialmente da una certa fase in<br />
avanti, i propri temi nel dibattito internazionale. L’artico<strong>lo</strong> di Ilaria Poggiolini riassume il dibattito<br />
storiografico sulla non adesione britannica alla CEE che ha visto il confronto tra le posizioni<br />
di chi ne sottolinea il carattere di «occasione mancata» <strong>per</strong> affermare la leadership britannica<br />
sul continente e <strong>per</strong> modernizzare la propria economia e chi invece critica il carattere<br />
normativo di una tale lettura che rischia di <strong>per</strong>dere di vista la complessità di una scelta che si<br />
giocava simultaneamente su piani diversi.<br />
Riguardo al<strong>lo</strong> studio <strong>della</strong> politica estera italiana, il saggio di Pini affronta la questione,<br />
poco conosciuta, del mancato riconoscimento <strong>della</strong> Cina comunista da parte del governo italiano<br />
all’inizio del 1950, un riconoscimento – secondo quanto riporta Pini – dapprima annunciato<br />
dal governo italiano sulla base di una lungimirante analisi del ministro degli Esteri<br />
Sforza, poi accantonato prima ancora del<strong>lo</strong> scoppio <strong>della</strong> guerra in Corea <strong>per</strong> le <strong>per</strong>plessità<br />
sorte in seno alle forze di governo sulle possibili reazioni negative statunitensi. I rimanenti<br />
contributi si volgono verso una delle aree tradizionalmente privilegiate nella politica estera<br />
<strong>della</strong> penisola. Il saggio di Manlio Graziano è un <strong>lo</strong>devole tentativo di ampia sintesi <strong>della</strong> politica<br />
dell’Italia repubblicana nei confronti del conflitto arabo-israeliano, in cui si sostiene che<br />
essa fu durevolmente condizionata dalle posizioni del Vaticano e risultò ambigua e scarsamente<br />
coerente, ma risulta debole <strong>per</strong> la scarsezza delle fonti utilizzate che porta a sottovalutare,<br />
ad esempio, il peso <strong>della</strong> variabile economica (tranne un accenno nelle conclusioni, non si parla<br />
mai <strong>della</strong> crisi energetica) e in genere forse a sottostimare il grado di continuità dell’azione<br />
italiana nel quadro mediorientale. Infine, l’artico<strong>lo</strong> di Giammarco Santese documenta, sulla<br />
base di un’analisi <strong>della</strong> stampa di partito, come la svolta fi<strong>lo</strong>-araba nelle posizioni del PCI riguardo<br />
al Medio Oriente e al conflitto israe<strong>lo</strong>-palestinese sia avvenuta, in stretta connessione<br />
con le vicende <strong>della</strong> politica interna ed estera dell’URSS, nella prima metà degli anni ’50, ben<br />
prima quindi del 1967, come invece viene usualmente affermato.<br />
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Germania<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Oltre ai già citati lavori di Faulenbach e <strong>della</strong> Falkenberg, alla storia tedesca sono dedicati<br />
due saggi di Massimo Faggioli, dell’Istituto <strong>per</strong> le scienze religiose di Bo<strong>lo</strong>gna, sulla Ostpolitik<br />
tra S. Sede e Berlino. Nel primo lavoro, ci si concentra sul pontificato di Giovanni<br />
XXIII, <strong>per</strong> cercare di comprendere la ricezione da parte tedesca delle encicliche Mater et magistra<br />
e Pacem in terris, apparse rispettivamente nel maggio 1961 e nell’aprile 1963. La chiave<br />
interpretativa scelta da Faggioli è quella «lettura ufficiale» dei documenti giovannei da parte<br />
dell’apparato dip<strong>lo</strong>matico <strong>della</strong> Repubblica federale. Il primo dato che emerge con forza è<br />
legato all’impatto culturale, politico e finanche dip<strong>lo</strong>matico <strong>della</strong> stagione conciliare sulla<br />
Germania occidentale. Al crepusco<strong>lo</strong> <strong>della</strong> stagione Adenauer, dopo un quindicennio di governo<br />
CDU-CSU (che – secondo Niemöller – aveva puntato a fare <strong>della</strong> RFT il «baricentro<br />
di un’Europa concepita in Vaticano e partorita a Washington» p. 141), le prese di posizione<br />
del nuovo pontefice in relazione alla possibile a<strong>per</strong>tura di un dia<strong>lo</strong>go con il b<strong>lo</strong>cco orientale<br />
ebbero un effetto spiazzante in Germania occidentale. Riguardo alla Mater et magistra, Faggioli<br />
utilizza il rapporto stilato, <strong>per</strong> conto dell’ambasciata tedesca presso la S. Sede, da parte<br />
dal teo<strong>lo</strong>go Hofer che, tra le altre cose, richiamava la «distanza» sui temi sociali del Papa rispetto<br />
ad altri importanti esponenti dell’episcopato come il cardinal Siri (pur sottolineando<br />
che entrambi vantavano un’estrazione «popolare»). Per quanto concerne la Pacem in terris,<br />
pubblicata tra la crisi di Cuba e il Limited Test Ban Treaty, le chiavi di lettura sembrano già<br />
diverse, segnate in qualche modo dal clima del Concilio che nel frattempo aveva iniziato i<br />
propri lavori. Hofer in questo caso sottolineò il tono «irenico» del documento, leggendone<br />
anche i segnali di a<strong>per</strong>tura al dia<strong>lo</strong>go con il comunismo secondo la linea di un’ideale «coesistenza<br />
pacifica». Il breve pontificato giovanneo è quindi interpretato come un passaggio <strong>per</strong>iodizzante<br />
rispetto alla stagione del «germanofono» Pio XII, in cui la «stabilizzazione concordataria»<br />
si era accompagnata al consolidamento di una barriera interna anticomunista. Su<br />
questa linea interpretativa si snoda anche l’altro contributo di Faggioli <strong>per</strong> Cont sulla Ostpolitik<br />
Vaticana e la «questione tedesca». Qui l’arco temporale si allarga, dal 1958 al 1968, spingendosi<br />
quindi fino alle soglie del cancellierato Brandt. Sulla cesura del pontificato giovanneo<br />
si rischia la ripetizione rispetto a quanto già richiamato nell’altro saggio, anche se qui ci<br />
si sofferma maggiormente sull’impatto forte del Concilio in Germania, sottolineando una<br />
sorta di «distonia tra <strong>lo</strong> schieramento culturale e teo<strong>lo</strong>gico, conciliare e progressista <strong>della</strong> chiesa<br />
tedesca» (p. 403), e le sue posizioni nei confronti <strong>della</strong> politica internazionale <strong>della</strong> S. Sede.<br />
Riguardo alla stagione di Pao<strong>lo</strong> VI (ancora scarsamente analizzata dagli storici tedeschi)<br />
emerge la <strong>per</strong>cezione di una linea di continuità con il suo predecessore, pur nel segno di una<br />
maggior moderazione nei toni e registri (secondo l’analisi dell’ambasciatore Von Scherpenberg).<br />
Berlino seguì con grande attenzione gli interventi del papa sul comunismo, il dia<strong>lo</strong>go<br />
tra S. Sede e Po<strong>lo</strong>nia, i primi viaggi di mons. Casaroli oltre cortina. Faggioli propone quindi<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
in conclusione un’ipotesi di <strong>per</strong>iodizzazione, mettendo a confronto e in dia<strong>lo</strong>go tra <strong>lo</strong>ro l’Ostpolitik<br />
vaticana e quella tedesca.<br />
Alla Repubblica Federale tedesca tra anni ’50 e ’60 è dedicato anche il vivace saggio di van<br />
Rahden sulla concezione dei rapporti di autorità, riletti attraverso la figura del padre e le relazioni<br />
di genere e intergenerazionali, <strong>per</strong> cercare di cogliere i processi di trasformazione culturale nella<br />
Germania del secondo dopoguerra. La cifra dell’analisi è colta nella necessità di confrontarsi<br />
con quella «crisi di civiltà» che segnò la stagione del nazismo e del conflitto, e di riorganizzare i<br />
modelli famigliari secondo gli stilemi di una democrazia giovane «sorta all’ombra del<strong>lo</strong> sterminio<br />
e <strong>della</strong> guerra di annientamento» (p. 615). Gli attori coinvolti, attraverso le fonti studiate<br />
dall’a. (principalmente riviste, opuscoli, pubblicistica popolare), sono le chiese, cattolica e protestanti,<br />
intese come agenzie formative delle famiglie tedesche. Sul fronte cattolico van Rahden<br />
attribuisce una certa importanza al peso delle critiche al sistema patriarcale da parte di socio<strong>lo</strong>gi<br />
progressisti come Ernst Michel, richiamando l’influsso culturale di intellettuali francesi come<br />
Lacroix, teorico di una ricostruzione <strong>della</strong> democrazia «dal basso» attraverso una democratizzazione<br />
dei processi intrafamiliari. Un tema al centro anche <strong>della</strong> riflessione protestante che guardava<br />
<strong>per</strong>ò più esplicitamente al model<strong>lo</strong> famigliare nordamericano. Tentativo comune era dunque<br />
quel<strong>lo</strong> di sostituire il vecchio patriarca prussiano, austero e «in divisa», con l’immagine di<br />
un padre borghese, deciso ma servizievole, imponendo un model<strong>lo</strong> di «paternità democratica»<br />
che sarebbe entrato in crisi alle soglie <strong>della</strong> stagione <strong>della</strong> contestazione (rimettendo in discussione<br />
anche queste nuove e ancora fragili forme di autorità), nei cui meandri <strong>per</strong>ò l’a. preferisce<br />
non addentrarsi.<br />
La rassegna tedesca si chiude tuttavia con un’ideale continuazione, grazie al saggio di Marica<br />
To<strong>lo</strong>melli <strong>per</strong> 900 dedicato alla «lunga transizione democratica nella Germania federale<br />
degli anni Settanta». L’a., come nel suo recente volume comparativo sul terrorismo in Italia e<br />
Germania, sottolinea il processo di costante crescita <strong>della</strong> conflittualità sociale, oltre che politica,<br />
nel corso del decennio, cercando di sottolineare la natura complessa del movimentismo<br />
<strong>della</strong> RFT (richiama ad es. le profonde differenze che esistevano tra i diversi gruppi come gli<br />
Haschrebellen berlinesi, i Tupacamaros bavaresi, gli Spontis di Francoforte). La riflessione sulla<br />
vocazione anti-istituzionale e sulle forme di azione sovversiva attuate in quella stagione, che<br />
misero a dura prova la coalizione socialdemocratico-liberale che guidò il paese <strong>per</strong> tutto il decennio,<br />
si trasforma in un’analisi dei termini del dibattito su «liceità <strong>della</strong> <strong>lo</strong>tta armata» e «violenza<br />
politica» (e relative forme di repressione dura) che investì il paese in maniera trasversale.<br />
Al contempo <strong>per</strong>ò l’origine <strong>della</strong> crisi è collegata alle trasformazioni di una società che vedeva<br />
incrinarsi il model<strong>lo</strong> fordista e accelerare il processo di terziarizzazione. La riflessione è<br />
quindi volutamente teorico-metodo<strong>lo</strong>gica con l’intento di fare il punto sul «paradigma <strong>della</strong><br />
crisi come problema da analizzare in prospettiva storica» (p. 157) <strong>per</strong> comprendere questo decennio<br />
difficile e sottolineare le specificità tedesche (dall’«anticomunismo costitutivo» <strong>della</strong><br />
RFT all’i<strong>per</strong>sensibilità tedesca nei confronti dei conflitti sociali e alla vitalità dell’associazio-<br />
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nismo extrapartitico). Per far questo si analizzano forme e metodi di protesta (classificando i<br />
gradi di ideo<strong>lo</strong>gizzazione dei vari gruppi e attori) e relative reazioni e sentimenti di appartenenza,<br />
sul<strong>lo</strong> sfondo di un complesso intreccio politico-culturale.<br />
Francia<br />
Il saggio di Brizzi <strong>per</strong> RSP si occupa dei mutamenti delle tecniche di comunicazione politica<br />
nella Francia <strong>della</strong> V Repubblica. Lo spunto è fornito dalle elezioni presidenziali del<br />
1965, interpretate come una cesura <strong>per</strong>iodizzante nell’anno dell’irruzione <strong>della</strong> televisione<br />
nella politica francese. Senza addentrarsi in riferimenti bibliografici sulla storia dei media,<br />
Brizzi preferisce mantenersi più sulla linea del<strong>lo</strong> storico politico, analizzando il processo elettorale<br />
e prestando grande attenzione agli elementi simbolici e ai mutamenti dell’immaginario.<br />
Significativo appare ad esempio il richiamo al ruo<strong>lo</strong> «dietro le quinte» svolto in quell’occasione<br />
da Michele Bongrand, formatosi con la pubblicità dei film di James Bond prima di<br />
approdare al marketing politico, di cui sarebbe stato un campione negli anni a venire. Riguardo<br />
alla cesura <strong>per</strong>iodizzante, l’a. sottolinea l’assenza del mezzo televisivo (pur già ben presente<br />
nella vita quotidiana dei francesi) nelle elezioni del 1958 e del 1962 e il monopolio gollista<br />
<strong>della</strong> Tv in quegli anni: Brizzi ricorre alla definizione di «telecrazia», sottolineando l’approccio<br />
del generale fortemente istituzionalizzato «dall’alto» e riprodotto nei suoi 51 discorsi<br />
catodici al paese. Lo spartiacque è quindi individuato nella norma che introdusse la parità di<br />
accesso, aprendo le porte degli studi televisivi ai candidati rivali, il socialista Mitterand ed il<br />
centrista Lecanuet, e avviando quella che sarebbe stata la futura «americanizzazione» dell’evento<br />
elettorale, tra sondaggi e cura dell’immagine. L’incapacità del<strong>lo</strong> staff di de Gaulle di cogliere<br />
le novità in corso gli costò la mancata elezione al primo turno (con il 43,7 <strong>per</strong> cento dei<br />
voti contro il 32,2). Forse la crisi di consensi del gollismo era parte di un processo più ampio;<br />
l’analisi di Brizzi coglie comunque nel segno sottolineando l’effetto novità provocato dal candidato<br />
centrista (che ottenne un sorprendente 15,9 <strong>per</strong> cento), affidatosi all’agenzia pubblicitaria<br />
Services et Méthodes di Bongrand, che si ispirò <strong>per</strong> l’occasione alla campagna elettorale<br />
di J.F. Kennedy e alle cui cure avrebbe finito <strong>per</strong> affidarsi <strong>lo</strong> stesso partito gollista.<br />
Violenze e genocidi<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Gli eventi bellici e il <strong>lo</strong>ro impatto sulle società contemporanee continuano a costituire un<br />
settore di studi significativamente presente tra gli articoli dedicati agli ultimi cinquant’anni di<br />
storia. I contributi su questo argomento mettono a fuoco aspetti specifici come la violenza e<br />
il genocidio, ma anche la memoria e la ricostruzione. Lo sterminio degli ebrei in Ungheria è<br />
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il tema centrale del saggio di Regina Fritz e Doreen Eschinger, che concentrano la propria analisi<br />
sul consapevole silenzio delle autorità ungheresi riguardo all’uccisione di mezzo milione<br />
di <strong>per</strong>sone. Il silenzio si è interrotto so<strong>lo</strong> alla fine degli anni ’80, quando ha avuto luogo «a<br />
political change in Hungary, which was accompanied by rewriting, re-evaluation, and updating<br />
of history» (p. 82). Si è così sviluppato un intenso dibattito pubblico sulla Shoah, che ha<br />
condotto alla realizzazione, nella città di Budapest, di due musei nei quali si ricorda <strong>lo</strong> sterminio<br />
degli ebrei. La storia del secondo conflitto mondiale in Ungheria torna nell’artico<strong>lo</strong> di<br />
Agnes Huszár Várdy, che ricostruisce le vicende – anche in questo caso rimaste a lungo prigioniere<br />
dell’oblio – di migliaia di giovani donne deportate dai sovietici e costrette ai lavori<br />
forzati fino alla conclusione del conflitto. Molte morirono nelle miniere di carbone o nelle fattorie<br />
collettive e co<strong>lo</strong>ro che riuscirono a tornare in patria furono accolte come criminali di<br />
guerra. I diari, le memorie e le testimonianze orali delle sopravvissute hanno consentito il recente<br />
emergere di numerosi studi, di cui Várdy offre un’ampia ricognizione. Le donne, e la<br />
violenza esercitata su di <strong>lo</strong>ro, sono al centro anche del saggio di Sofia Graziani, con il quale il<br />
contesto di riferimento si sposta alla Cina <strong>della</strong> rivoluzione culturale. Le «giovani istruite»<br />
(Zhiquing) inviate a lavorare nelle campagne furono le destinatarie anche di una politica governativa<br />
volta a «liberarle» dalla <strong>lo</strong>ro femminilità (presentata come inferiorità) e a promuoverne<br />
l’«emancipazione» (intesa come assimilazione ai maschi). Ad essere duramente <strong>per</strong>seguiti<br />
furono in primo luogo i rapporti fisici delle ragazze con i propri coetanei e la manifestazione<br />
di ogni sentimento nei <strong>lo</strong>ro confronti: simili proibizioni incisero significativamente sulla<br />
maturazione dell’identità sessuale delle giovani donne.<br />
Guerra e dopoguerra<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Sono invece dedicati all’Italia postbellica una serie di articoli apparsi su SU e più precisamente<br />
in un numero monografico che esp<strong>lo</strong>ra i <strong>per</strong>corsi <strong>della</strong> ricostruzione in diverse città <strong>della</strong><br />
penisola. Daniela Esposito ri<strong>per</strong>corre il dibattito sulla ricostruzione di Roma ed esamina le<br />
soluzioni composite che furono infine adottate e che – a Roma come in altri contesti urbani<br />
– finirono <strong>per</strong> combinare interventi di conservazione e programmi di intensa ricostruzione.<br />
Annunziata Maria Oteri, Bruno Mussari e Roberta Fi<strong>lo</strong>camo offrono invece una panoramica<br />
su alcune città del sud, occupandosi rispettivamente di Messina, Catanzaro e Cosenza. La prima<br />
fu fortemente danneggiata dai bombardamenti e il dibattito sulla ricostruzione sollevò numerosi<br />
interrogativi anche sulla politica di intervento seguita al devastante terremoto del<br />
1908; purtroppo questo dibattito non si tradusse in una pianificazione urbana capace di trarre<br />
insegnamento dagli errori commessi all’inizio del seco<strong>lo</strong>. Anche Catanzaro fu in parte distrutta<br />
dalle bombe, ma intorno alla sua ricostruzione non si sviluppò una vera e propria discussione:<br />
essa procedette piuttosto in maniera disomogenea, privilegiando una velleità di mo-<br />
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dernizzazione che in definitiva penalizzò il centro storico. A Cosenza la ricostruzione postbellica<br />
venne inizialmente <strong>per</strong>cepita come l’occasione <strong>per</strong> avviare una complessiva riorganizzazione<br />
urbanistica, <strong>per</strong>altro già progettata alcuni decenni prima; tuttavia tale opportunità finì<br />
<strong>per</strong> essere mancata, la riedificazione e l’espansione <strong>della</strong> città andarono avanti senza una pianificazione<br />
organica. Con l’intervento di Gian Pao<strong>lo</strong> Treccani l’attenzione si sposta al nord, e<br />
più precisamente alla città di Brescia. Qui il danneggiamento del centro storico fu all’origine<br />
dei lavori di restauro che iniziarono subito dopo la fine <strong>della</strong> guerra e che anche in questo caso<br />
si combinarono con intense o<strong>per</strong>azioni di ricostruzione e di ampliamento delle infrastrutture,<br />
già previste negli anni ’30. Infine, Gianfranco Pertot, Serena Pesenti e Samanta Braga affrontano<br />
attraverso tre diversi interventi il caso di Milano. Il contributo di Pertot prende avvio<br />
dagli eventi bellici, sintetizza le tecniche dei bombardamenti e fa un bilancio delle conseguenze<br />
che essi ebbero sulla città, mentre la questione <strong>della</strong> ricostruzione è affrontata attraverso<br />
l’esempio specifico del refettorio di Santa Maria delle Grazie. Il saggio di Pesenti è interamente<br />
dedicato al dibattito sugli interventi previsti <strong>per</strong> la città di Milano all’indomani <strong>della</strong><br />
conclusione del conflitto. Anche in questo caso la discussione ruotò intorno ai due poli conservazione/ricostruzione,<br />
ma relativamente al contesto urbano milanese l’esigenza di conservare<br />
il centro e quartieri storici cittadini non fu compresa del tutto, <strong>per</strong> la mancanza di una<br />
legislazione adeguata e <strong>per</strong> l’assenza di un effettivo dia<strong>lo</strong>go fra urbanisti, restauratori, architetti.<br />
Infine, Samanta Braga ripropone il tema dei diversi approcci alla questione <strong>della</strong> ricostruzione,<br />
ma in riferimento all’esempio specifico <strong>della</strong> chiesa di S. Vito in Pasquiro<strong>lo</strong>, nel centro<br />
cittadino.<br />
Transizioni<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
All’Italia del secondo dopoguerra è dedicato anche il saggio di Simona Lunadei e Lucia<br />
Motti sulla formazione politica proposta dal Partito Comunista e dalla Democrazia Cristiana<br />
alle proprie militanti. I <strong>per</strong>corsi di «educazione alla politica» avviati dai due partiti, entrambi<br />
organizzati secondo strutture gerarchiche declinate al maschile, furono tra <strong>lo</strong>ro assai diversi –<br />
le attività dei movimenti da un lato e le scuole di partito dall’altro, <strong>per</strong> esempio – e risultano<br />
difficilmente comparabili, ma nacquero dalla comune esigenza di «governare» i nuovi spazi<br />
a<strong>per</strong>ti dal diritto di voto attivo e passivo riconosciuto alle donne. L’affermarsi di questo diritto,<br />
e le ragioni del ritardo con cui ciò ebbe luogo, sono al centro del breve artico<strong>lo</strong> di Sylvie<br />
Cha<strong>per</strong>on, che affronta la questione in chiave comparativa, mettendo a confronto l’es<strong>per</strong>ienza<br />
italiana con quella francese e i contributi storiografici sulla cittadinanza politica femminile<br />
pubblicati nei due paesi. Contributi che <strong>per</strong>altro hanno conosciuto una nuova fioritura di<br />
recente, intorno al sessantesimo anniversario del voto alle donne (dal quale trae origine anche<br />
il numero di Gen in cui compaiono i due articoli sopra menzionati).<br />
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Il confronto fra es<strong>per</strong>ienze di paesi diversi è uno degli elementi di fondo anche del numero<br />
monografico di 900 dedicato – come scrivono i curatori Luca Baldissara e Gianni Ruocco<br />
nell’introduzione – al «rapporto tra la categoria di “transizione” […] e l’idea – o le idee – di “democrazia”»<br />
(p. 7). I contributi raccolti nel fascico<strong>lo</strong> sollevano questioni concettuali, di metodo<br />
e di interpretazione storiografica, che alcuni autori discutono a partire da specifici casi di studio.<br />
Richard Sakwa propone un approccio comparativo <strong>per</strong> l’analisi dei processi di democratizzazione<br />
intrapresi dai paesi ex comunisti a partire dalla fine degli anni ’80. Secondo l’a., <strong>per</strong> essere<br />
pienamente compresi tali processi richiedono una lettura di lungo <strong>per</strong>iodo, anche rispetto<br />
agli esiti ancora incerti ai quali i differenti <strong>per</strong>corsi compiuti dalle singole realtà nazionali sembrano<br />
essere approdati. Le vicende dei paesi dell’ex b<strong>lo</strong>cco sovietico tornano anche nel saggio di<br />
Alessandro Volpi, che esamina il dibattito di cui esse sono state oggetto concludendo con una<br />
ricognizione di lungo <strong>per</strong>iodo sull’utilizzo <strong>della</strong> categoria di transizione economica. Una categoria<br />
che rispetto alla storia italiana è stata <strong>per</strong> esempio utilizzata come chiave di lettura <strong>per</strong> il<br />
miraco<strong>lo</strong> economico, mentre sul<strong>lo</strong> scenario internazionale è diventata uno strumento interpretativo<br />
<strong>per</strong> i processi di g<strong>lo</strong>balizzazione: in ogni caso gli slittamenti di significato a cui essa è soggetta<br />
costituiscono secondo l’a. un monito <strong>per</strong> il suo utilizzo da parte degli storici. Il contributo<br />
di Geoff Eley prende ancora le mosse dalla realtà dei paesi post comunisti, ma <strong>per</strong> criticare<br />
la centralità che ad essi è stata assegnata nella definizione e nell’esemplificazione delle transizioni<br />
democratiche. Viceversa Eley rivendica la necessità di riportare l’attenzione verso «altre genea<strong>lo</strong>gie<br />
<strong>della</strong> democrazia» (p. 69), che rimandano ai processi di democratizzazione del XX seco<strong>lo</strong><br />
e che lui stesso inizia a delineare, individuando i tornanti più decisivi negli anni – e nei<br />
conflitti sociali – che precedono e seguono le due guerre mondiali. Ancora alla «ricostruzione<br />
genea<strong>lo</strong>gica <strong>della</strong> modernità politica» guarda Luca Scuccimarra, che individua nelle linee divergenti<br />
lungo le quali essa viene condotta uno dei fattori che rendono il dibattito teorico sulle democrazie<br />
contemporanee – ricostruito nelle pagine del suo saggio – «un vero e proprio labirinto<br />
interpretativo» (p. 126). Un «labirinto» che tuttavia mette efficacemente in crisi l’immagine<br />
ricorrente di una «lineare» estensione delle democrazie seguita alla fine <strong>della</strong> guerra fredda.<br />
Nazionalismi e identità nazionali<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Nazionalismi e identità nazionali – temi di rilievo nel dibattito storiografico degli ultimi<br />
anni – negli articoli relativi alla storia successiva al 1945 si coniugano con un’attenzione specifica<br />
ai paesi extraeuropei. Ayse Saraçgil esamina la matrice ideo<strong>lo</strong>gica e politica del nazionalismo<br />
turco a partire dai manuali e dai testi di divulgazione <strong>della</strong> storia. Il ricorso a queste fonti<br />
consente all’a. di identificare una sorprendente continuità tra i discorsi nazionalisti degli ultimi<br />
decenni dell’Im<strong>per</strong>o Ottomano – che costituiscono il punto d’avvio di una ricerca condotta<br />
lungo un intero seco<strong>lo</strong> – e quelli <strong>della</strong> Turchia odierna. Anche Marcella Simoni concen-<br />
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tra la propria analisi sull’insegnamento <strong>della</strong> storia, ma relativamente alla società palestinese e<br />
a quella israeliana, prese in considerazione a partire dal 1948 a oggi. L’a. mette in evidenza che<br />
in entrambi i casi <strong>lo</strong> sguardo sul passato – trasmesso di generazione in generazione – è stato<br />
deformato dalla centralità assegnata alle es<strong>per</strong>ienze traumatiche, poste a fondamento delle<br />
identità nazionali e monopolizzatrici delle memorie pubbliche. L’artico<strong>lo</strong> di Sofia Ciuffoletti<br />
assume invece come oggetto di indagine la genesi <strong>della</strong> costituzione indiana, che affonda le<br />
proprie radici nella <strong>lo</strong>tta al co<strong>lo</strong>nialismo come es<strong>per</strong>ienza fondativa dell’identità nazionale, ma<br />
riflette anche i principi <strong>della</strong> Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948.<br />
La questione dell’identità nazionale costituisce uno degli assi centrali anche <strong>della</strong> riflessione<br />
di Agnese Portincasa, che mette in relazione la costruzione dell’italianità e la storia <strong>della</strong> pasta<br />
alimentare e sottolinea come la tradizione gastronomica di una nazione sia l’espressione delle<br />
pratiche economiche, sociali, simboliche che danno vita alla sua cultura. Proprio a partire da<br />
questo presupposto viene esaminata la piena affermazione del consumo <strong>della</strong> pasta negli anni<br />
del miraco<strong>lo</strong> economico, sebbene la produzione industriale di questo alimento abbia una datazione<br />
precedente. Il saggio offre un esempio di storia dei consumi secondo una declinazione<br />
specifica, quella dei consumi alimentari. A questi ultimi è dedicato anche l’artico<strong>lo</strong> di Daniele<br />
Tricarico, sui <strong>per</strong>corsi di diffusione e creolizzazione <strong>della</strong> cucina italiana in Gran Bretagna.<br />
L’«importazione» <strong>della</strong> cucina italiana sul territorio britannico fu avviata dagli immigrati, che<br />
trovarono nella ristorazione la possibilità di sviluppare piccole imprese a basso costo, come dimostrano<br />
l’elevato numero di panettieri, cuochi e proprietari di piccoli <strong>lo</strong>cali censiti a Londra<br />
nel 1911. Successivamente – a partire dagli anni ’50 e ’60 – il cibo italiano e i <strong>lo</strong>cali in cui era<br />
smerciato sono diventati una moda delle nuove classi medie, che hanno identificato in essa esotismo<br />
e «mediterraneità». I diversi orientamenti dei consumi alimentari costituiscono uno degli<br />
elementi di riflessione di Federica Davolio, che li ri<strong>per</strong>corre attraverso l’evoluzione dell’editoria<br />
gastronomica. Davolio inizia la propria indagine con la lettura dei manuali di cucina <strong>della</strong><br />
seconda metà dell’800, e arriva fino alle riviste di cucina degli anni ’80 del ’900, analizzando<br />
attraverso una prospettiva di genere il pubblico al quale ricettari e <strong>per</strong>iodici sono rivolti. Lo<br />
sguardo di lungo <strong>per</strong>iodo le consente di mettere in evidenza il retroterra in cui si col<strong>lo</strong>ca la recente<br />
affermazione di riviste che non propongono più un approccio pragmatico e tradizionale<br />
alla cucina, ma enfatizzano la dimensione edonistica del cibo.<br />
La storia economica<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Ai problemi <strong>della</strong> storia economia nel <strong>per</strong>iodo post-bellico, con particolare riferimento<br />
all’Europa e agli Stati Uniti d’America, è dedicata una serie di articoli dalle caratteristiche assai<br />
diverse, non so<strong>lo</strong> <strong>per</strong> le particolari questioni affrontate, ma anche <strong>per</strong> la prospettiva con la<br />
quale ciascun autore ha scelto di osservarle. La ricostruzione del Regio Teatro di Torino dopo<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
l’incendio del 1936 offre <strong>per</strong> esempio a Michela Comba l’occasione di riflettere sul significato<br />
<strong>della</strong> devianza rispetto alla regolamentazione e alla pianificazione urbanistica nella prassi<br />
edilizia torinese in epoca post-bellica. Un’occupazione degli spazi che «è <strong>per</strong> <strong>lo</strong> più giuridicamente<br />
provvisoria» (p. 519) e il dibattito generatosi in città circa le caratteristiche del nuovo<br />
edificio fanno <strong>per</strong>ò <strong>della</strong> riedificazione del Regio un caso di studio interessante al di là <strong>della</strong><br />
dimensione strettamente architettonica prediletta dall’autrice. Nelle pagine di Comba esso diviene<br />
infatti un osservatorio privilegiato <strong>per</strong> <strong>lo</strong> studio dei diversi modi d’immaginare il tessuto<br />
urbano all’indomani <strong>della</strong> guerra, ma ancora di più l’esempio evidente di come la definizione<br />
funzionale e simbolica del<strong>lo</strong> spazio pubblico cittadino possa trasformarsi in terreno di<br />
legittimazione professionale <strong>per</strong> le più diverse categorie (architetti, progettisti), in occasione<br />
<strong>per</strong> esercizi di retorica politica, o in un costante negoziato tra quanti vedono nel control<strong>lo</strong> sull’ubicazione<br />
e sulla realizzazione del teatro un veico<strong>lo</strong> di affermazione <strong>per</strong>sonale.<br />
Una più spiccata sensibilità storico-giuridica ed un pur vago richiamo all’approccio neoistituzionalista<br />
di Douglass C. North sembrano essere alla base dei contributi che Bulgarelli e<br />
Salerno dedicano alla formazione di sistemi normativi tesi a regolamentare specifici aspetti<br />
<strong>della</strong> vita economica. Il primo mostra il tortuoso cammino compiuto nel cinquantennio post-bellico<br />
dalla legislazione italiana <strong>per</strong> giungere alla liberalizzazione valutaria del 1990, lungamente<br />
auspicata dalle istituzioni internazionali ed in particolare dalla CEE. Il secondo prende<br />
invece in esame la genesi delle legislazioni nazionali contro il market abuse e l’insider trading<br />
e sottolinea da un lato il ritardo con il quale esse nascono in Europa rispetto a quanto accade<br />
nel più precoce mercato finanziario americano, dall’altro, il carattere peculiare che esse<br />
tendono ad assumere in paesi di common law come gli Stati Uniti.<br />
Su un fronte più squisitamente storico-economico si muove invece l’interessante saggio<br />
di Torp, che ragiona sulle ana<strong>lo</strong>gie tra l’attuale g<strong>lo</strong>balizzazione ed il processo d’integrazione<br />
economica mondiale registrato tra gli anni ’50 del XIX seco<strong>lo</strong> e la vigilia <strong>della</strong> prima guerra<br />
mondiale. Attraverso la puntuale analisi di dati <strong>per</strong> <strong>lo</strong> più quantitativi (volume del commercio<br />
internazionale, estensione delle reti ferroviarie e costi dei trasporti, livel<strong>lo</strong> d’integrazione<br />
dei mercati finanziari, tassi di mobilità geografica delle <strong>per</strong>sone, etc.) Torp pone in discussione<br />
la presunta novità <strong>della</strong> g<strong>lo</strong>balizzazione tardo-novecentesca, giungendo a considerarla piuttosto<br />
il secondo stadio «di uno stesso processo storico» (p. 251).<br />
Con un approccio a metà tra storia economica e storia del pensiero economico Rossella Caccavo<br />
rilegge invece le vicende economiche dell’area barese negli anni <strong>della</strong> ricostruzione attraverso<br />
<strong>lo</strong> sguardo di Isidoro Pirelli, semplice imprenditore prima, presidente dell’Associazione provinciale<br />
di categoria poi. Il suo «meridionalismo liberale», fondato al contempo sulla vo<strong>lo</strong>ntà di<br />
va<strong>lo</strong>rizzare le potenzialità insite nel rapporto tra industria di trasformazione alimentare e portato<br />
agro-mercantile del territorio, e sull’avversione nei confronti dell’intervento diretto del<strong>lo</strong> Stato<br />
nel Mezzogiorno (auspicato invece da altri settori dell’imprenditoria meridionale), viene analizzato<br />
sia attraverso alcuni dei suoi scritti più significativi, sia ricorrendo a documentazione ine-<br />
76
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dita conservata presso l’Archivio <strong>della</strong> Confederazione Generale dell’Industria <strong>Italiana</strong>. Ciò consente<br />
a Caccavo di alternare continuamente il piano <strong>della</strong> riflessione economica del singo<strong>lo</strong> con<br />
quel<strong>lo</strong> dei concreti avvenimenti di quegli anni, riuscendo così a cogliere anche gli umori <strong>della</strong><br />
<strong>lo</strong>cale borghesia industriale rispetto all’evolversi <strong>della</strong> situazione meridionale nel frangente compreso<br />
tra l’attivazione del piano Marshall ed il varo <strong>della</strong> Cassa <strong>per</strong> il Mezzogiorno.<br />
Ad un’altra area d’Italia, quella toscana, e ad un altro settore, quel<strong>lo</strong> agrico<strong>lo</strong> lì tradizionalmente<br />
dominato dal sistema <strong>della</strong> mezzadria, è infine dedicato il saggio di Victoria Belco,<br />
che ricostruisce brevemente le travagliate vicende <strong>della</strong> mezzadria in Italia centrale, dai tentativi<br />
di migliorare le condizioni di vita dei co<strong>lo</strong>ni posti in essere in tarda età liberale sino al <strong>lo</strong>do<br />
De Gas<strong>per</strong>i, divenuto legge nel maggio 1947. Tuttavia, più che analizzare i limiti dell’azione<br />
politico-economica e sociale di quanti hanno guidato il paese nel cinquantennio preso in<br />
esame, l’artico<strong>lo</strong> si sofferma invece sul costante rifiuto dei mezzadri stessi di porre in discussione<br />
le antiche tradizioni sottese al sistema, anche quando esse costituiscono l’ostaco<strong>lo</strong> principale<br />
al miglioramento delle <strong>lo</strong>ro condizioni di vita. È in questo atteggiamento e nella conseguente<br />
impossibilità da parte del sistema di cambiare che l’autrice individua il fi<strong>lo</strong> rosso di<br />
una storia il cui epi<strong>lo</strong>go giunge, nei decenni successivi al secondo conflitto mondiale, con la<br />
«morte graduale e naturale» (p. 404) <strong>della</strong> mezzadria italiana a causa del progressivo inurbamento<br />
delle generazioni successive.<br />
L’Italia repubblicana<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
L’attenzione sembra essere tutta <strong>per</strong> la stagione centrista, le sue origini interne, le condizioni<br />
internazionali che la determinano, i suoi protagonisti. A questo rilievo contribuisce in<br />
modo particolare VS, che dedica un numero monografico (12, <strong>2007</strong>) all’anno mirabile 1947,<br />
«l’anno <strong>della</strong> svolta». Il 1947, scrivono i due direttori <strong>della</strong> rivista Gaetano Quagliariel<strong>lo</strong> e Victor<br />
Zaslavsky nell’editoriale di presentazione, «rimane immortalato nella storia come l’anno<br />
nel quale si consumò “l’alleanza innaturale” tra i paesi liberaldemocratici occidentali e il regime<br />
dittatoriale staliniano» (p. 5). Come spiegano più diffusamente Elena Aga Rossi ed Emanuele<br />
Bernardi nell’Introduzione, il 1947 è «un anno cruciale nella storia del secondo dopoguerra,<br />
sia a livel<strong>lo</strong> interno sia internazionale. A livel<strong>lo</strong> interno, è stato l’anno <strong>della</strong> svolta dai<br />
governi di unità nazionale a quelli a guida DC e l’inizio dell’età degas<strong>per</strong>iana. A livel<strong>lo</strong> internazionale<br />
è l’anno che segna l’esp<strong>lo</strong>dere <strong>della</strong> guerra fredda, la fine dei tentativi di mantenere<br />
un ordine geopolitico fondato sulla alleanza di guerra e la nascita del mondo bipolare, con la<br />
formulazione <strong>della</strong> dottrina del contenimento da parte di Truman, il lancio del piano Marshall<br />
e la costituzione del Cominform da parte dell’Urss» (p. 9). Al centro di questa stagione<br />
politica sta la figura di De Gas<strong>per</strong>i. Oggetto di una recente risco<strong>per</strong>ta e di un rinnovato interesse<br />
sul piano storiografico, di cui la monografia di Piero Craveri <strong>per</strong> il Mulino, l’edizione<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
degli scritti e dei discorsi, i volumi sul giovane De Gas<strong>per</strong>i di Pombeni e Trinchese sono un<br />
segnale significativo, i curatori del numero di VS ne fanno la chiave di volta <strong>per</strong> ripensare<br />
(«contribuire alla revisione», scrivono Aga Rossi e Bernardi) gli «anni del centrismo». Alla<br />
«scelta di campo» di De Gas<strong>per</strong>i, in particolare, è dedicato il contributo di Aga Rossi. Negli<br />
anni <strong>della</strong> transizione, tra il 1945 ed il 1947, il ruo<strong>lo</strong> di De Gas<strong>per</strong>i come capo <strong>della</strong> politica<br />
estera italiana, prima da ministro degli Esteri e poi da presidente del Consiglio, assume rilievo<br />
<strong>per</strong> la lucidità con la quale giudica il sistema delle relazioni internazionali e i suoi riflessi<br />
sulla politica interna. Da un lato, De Gas<strong>per</strong>i è convinto <strong>della</strong> «impraticabilità a lungo termine<br />
di fondare la politica italiana sulla collaborazione tra i tre partiti di massa (PCI, PSIUP e<br />
DC), come proponeva Togliatti» (p. 19); dall’altro, sa di doversi muovere con molta cautela,<br />
in un quadro internazionale incerto, con gli occhi fissi al traguardo immediato <strong>della</strong> firma del<br />
trattato di pace e dell’elaborazione <strong>della</strong> Costituzione, oltre che all’«obiettivo prioritario» di<br />
salvaguardare quanto più possibile l’integrità territoriale dell’Italia. Il momento centrale è, naturalmente,<br />
la crisi di maggio, il viaggio negli Stati Uniti, il ritorno e l’estromissione <strong>della</strong> sinistra<br />
dal governo. Non foss’altro <strong>per</strong>ché su questi temi si è prodotta una lunga controversia<br />
storiografica sulla definizione dei modi nei quali, nella seconda metà del ’900, gli italiani hanno<br />
compreso le origini <strong>della</strong> Repubblica, e alla quale è dedicato anche l’artico<strong>lo</strong> di Guiso che<br />
mette a confronto il caso italiano con quel<strong>lo</strong> francese, mentre maggiore attenzione ai fattori<br />
internazionali si trova nel saggio di Martinez Oliva. Quanto contarono i condizionamenti internazionali<br />
e il «diktat» americano nella decisione di De Gas<strong>per</strong>i? Secondo Aga Rossi, la documentazione<br />
resa disponibile in questi ultimi anni <strong>per</strong>mette di sostenere che la svolta del<br />
1947 non fu espressione dei «condizionamenti» americani sulla politica italiana, ma ebbe origine<br />
nella situazione interna del paese e nella <strong>per</strong>dita di consensi alla DC iniziata l’anno precedente<br />
(p. 27).<br />
È sempre De Gas<strong>per</strong>i al centro di un artico<strong>lo</strong> di Pao<strong>lo</strong> Acanfora sul mito e l’uso politico<br />
<strong>della</strong> religione nella cultura democristiana. Secondo l’a., è proprio a De Gas<strong>per</strong>i che si deve la<br />
definizione di un nuovo linguaggio e di nuove modalità di espressione che contribuiscono a<br />
rivitalizzare il partito di massa e che secondo Acanfora sono debitrici sia nei contenuti che nelle<br />
forme di comunicazione nei confronti dei totalitarismi.<br />
Gli anni del centrismo occupano anche le pagine di NSC, seppur in modo meno sistematico<br />
e da un osservatorio particolare. A Giuseppe Dossetti e la DC dedica un corposo intervento<br />
Giovanni Tassani. Rispetto al nodo del 1947 qui siamo qualche anno più avanti e l’attenzione<br />
è tutta portata all’interno del dibattito democristiano. In primo piano stanno <strong>lo</strong> scontro all’interno<br />
del gruppo dirigente cattolico, le diverse interpretazioni del 18 aprile di De Gas<strong>per</strong>i e<br />
Dossetti, la convinzione di quest’ultimo <strong>della</strong> responsabilità <strong>della</strong> DC, resa più acuta dalla fine<br />
dell’unità antifascista, nel «dar forma e risposta alle questioni sociali, la disoccupazione da rimuovere<br />
in primis» (p. 58). La DC, scrive Tassani, è in quegli anni «un partito piuttosto informe,<br />
non saldamente impiantato, sovrarappresentato in Parlamento quanto a eletti: in una<br />
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quantità non pari alla qualità, <strong>per</strong> l’effetto-premio del 18 aprile, cui non corrisponde “volitività”<br />
e “virilità”, <strong>per</strong> dirla con Dossetti» (ibid.).Tassani delinea anche il profilarsi <strong>della</strong> spaccatura<br />
all’interno del gruppo dossettiano, tra il suo leader e il giovane Amintore Fanfani, che riteneva<br />
«ingenue» le pretese di Dossetti di «poter influire in sede di direzione sugli orientamenti<br />
di De Gas<strong>per</strong>i e Pella» in tema di politica economica e di politica estera (p. 63).<br />
Il PCI e le minacce di guerra civile<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
La stagione del centrismo è anche profondamente segnata dalla «grande paura» <strong>della</strong> guerra<br />
civile. Su tale questione intervengono tanto VS che NSC che RSP. Nella prima, vanno segnalati<br />
i saggi di Fabio Grassi Orsini sulla «violenza politica» e di Emanuele Bernardi sull’ordine<br />
pubblico, «un problema cruciale <strong>per</strong> tutti i governi italiani dalla liberazione al 1948» (p.<br />
75). Bernardi presta particolare attenzione ai risvolti <strong>della</strong> crisi del maggio 1947 – «in realtà,<br />
quella che seguì la crisi politica del maggio 1947, fu una crisi dell’ordine pubblico e dei rapporti<br />
civili» (p. 105) – mentre sui timori di guerra civile si sofferma Aldo G. Ricci. Anche qui<br />
l’ordine pubblico compare come principale problema dei governi del CLN dal ritorno a Roma<br />
nel giugno del 1944 e poi dei successivi governi centristi a partire dal ’47. In maniera coerente<br />
alla linea <strong>della</strong> rivista, Ricci focalizza l’attenzione sul PCI ed in particolare sulla «strategia<br />
del doppio binario dei comunisti»: democrazia progressiva e unità dei partiti di massa, da<br />
un lato; <strong>lo</strong>tte di piazza spinte fino alle estreme conseguenze, dall’altro. Almeno fino al 1953,<br />
scrive Ricci, «Il governo […] da quanto emerge dai verbali delle sue riunioni, non ha le idee<br />
chiare in merito a quale sia la strategia internazionale in cui si col<strong>lo</strong>ca l’azione dei comunisti<br />
italiani. Se sia volta a disturbare o a rovesciare l’assetto istituzionale. In particolare dopo l’inizio<br />
<strong>della</strong> guerra di Corea, la possibilità di un conflitto interno viene sempre potenzialmente<br />
legata all’ipotesi di un attacco dell’URSS in Occidente, spesso evocato dal governo nei suoi<br />
dibattiti» (p. 87).<br />
A tali questioni, dilatate su un arco temporale che tende a coincidere con la durata <strong>della</strong><br />
cosiddetta prima Repubblica, si ricollega l’intervento di Salvatore Sechi che fedele al suo impegno<br />
di ricerca si concentra sulla penetrazione del PCI nella società italiana negli anni ’50.<br />
Il PCI di Sechi è un’organizzazione paramilitare parallela che intrattiene legami con la casa<br />
madre sovietica che si prolungano <strong>per</strong> tutti gli anni ’60 e ’70, a dispetto anche delle tensioni<br />
e delle fratture che si determinano tra i russi e i dirigenti del partito italiano. Cosa ha significato<br />
<strong>per</strong> la democrazia italiana e la sua sicurezza, la presenza di un partito che era pronto a «difendersi»<br />
e che si è difeso servendosi dell’intelligence di un paese non alleato e, anzi, ostile alla<br />
Nato? L’artico<strong>lo</strong> di Sechi non intende rispondere a questa domanda ma fornisce ampio materiale<br />
documentario a corroborare quella che è piuttosto l’enunciazione di una tesi prim’ancora<br />
che una questione storiografica. La vicenda illustrata da Sechi comincia tra la fine <strong>della</strong><br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
guerra e gli anni ’50, fino a quando trent’anni più tardi Berlinguer, attraverso Ugo Pecchioli,<br />
«dispose la restituzione di 3 delle 4 radio ricetrasmittenti che Mosca aveva fatto installare, dalla<br />
propria intelligence, in via delle Botteghe Oscure» (p. 35).Gli apparecchi erano arrivati nella<br />
sede del PCI il 17 maggio del 1973, «<strong>per</strong> bonificare gli uffici del partito da infiltrazioni o<br />
intercettazioni <strong>della</strong> CIA, del Mossad ecc.» (p. 21). Il PCI aveva una propria rete <strong>per</strong> comunicare<br />
con gli apparati <strong>per</strong>iferici del partito, ma soprattutto <strong>per</strong> essere in continuo contatto<br />
con il PCUS che, in tempo reale, era informato «di ogni decisione, e poteva, quindi, esercitare<br />
tempestivamente il potere di veto. Questa tecno<strong>lo</strong>gia rappresentava, dunque, il nodo scorsoio<br />
<strong>della</strong> dipendenza del PCI da Mosca» (p. 35).<br />
Un capito<strong>lo</strong> a parte meritano l’armamento del PCI, il rafforzamento delle organizzazioni<br />
degli ex partigiani, dei servizi di informazione e di sicurezza del partito. Si tratta di un apparato<br />
e di un insieme di pratiche para-insurrezionali che si delineano fin dal 1947 e che cominciano<br />
ad essere smantellati all’inizio degli anni ’60, quando, scrive Sechi, il PCI cominciò<br />
ad auto-disarmarsi. Re<strong>per</strong>ti bellici vengono sequestrati nel 1961 e, seppur su scala ridotta, i<br />
ritrovamenti continuano nel 1962 e 1963: «Si tratta di armi rimaste nascoste dal 1945 o abbandonate<br />
da chi le aveva in custodia sin dalla guerra di liberazione. Non la paura e la casualità,<br />
che certamente non può escludersi in molti casi, ma una vera e propria regia presiedeva<br />
a questi rinvenimenti». Si può dire, conclude l’a., che il PCI «tenne» la linea di condotta adottata<br />
dal suo gruppo dirigente e concordata con Stalin, dopo l’esclusione dall’area di governo<br />
nel 1947: «evitare l’avventura di trasformare la <strong>lo</strong>tta politica – in corso in Italia – in guerra civile,<br />
mantenersi sul terreno <strong>della</strong> legalità democratica <strong>per</strong> sfruttarne tutti i possibili vantaggi<br />
[…]». Al tempo stesso rafforzare le difese: «Di fronte a un attacco degli avversari, o se fossero<br />
cambiati i rapporti di forza, era opportuno tenersi pronti anche sul piano militare» (p. 48).<br />
Sul problema <strong>della</strong> costruzione di un contro-mito dell’URSS interviene Andrea Mariuzzo<br />
che, sulla base del<strong>lo</strong> spoglio sistematico de «Il Corriere <strong>della</strong> Sera» e de «Il Messaggero» tra<br />
il 1948 e il 1955, delinea il formarsi di un’opinione pubblica critica nei confronti dell’URSS.<br />
I due giornali tentano, attraverso la pubblicazione di testimonianze di esiliati del b<strong>lo</strong>cco sovietico<br />
e di reportage di politica internazionale basati su documentazione americana, di smantellare<br />
il mito dell’URSS costruito dai comunisti.<br />
Sul problema <strong>della</strong> violenza politica e delle minacce di guerra civile nell’Italia del dopoguerra<br />
torna MI con due saggi di Massimo Storchi e di Philip Cooke, di argomento differente<br />
e di ben diversa estensione temporale. Il primo inquadra il problema <strong>della</strong> violenza politica<br />
in un arco temporale ampio, che segue le evoluzioni del sistema italiano dalla fine <strong>della</strong> seconda<br />
guerra mondiale quando i conflitti sono strettamente collegati alle alternative ideo<strong>lo</strong>giche<br />
<strong>della</strong> guerra fredda, agli anni ’60 e ’70 con l’emergere dell’offensiva terroristica, fino alla<br />
caduta del muro di Berlino e alla crisi del sistema dei partiti. Su un caso particolare si concentra<br />
invece il saggio di Cooke che esamina una trasmissione radio emanata verso l’Italia dalla<br />
Cecos<strong>lo</strong>vacchia nel decennio 1950-1960. Il programma era prodotto da rifugiati italiani<br />
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scappati dalla penisola negli anni del «processo alla resistenza». È in questo clima che ha <strong>per</strong>altro<br />
origine l’o<strong>per</strong>azione Stay behind cui è dedicato il saggio di Giacomo Pacini che ricostruisce<br />
la storia delle organizzazioni militari anti-comuniste attive in Italia nell’immediato dopoguerra.<br />
Al PCI nella riviste storiche italiane del <strong>2007</strong> sono dedicati un picco<strong>lo</strong> gruppo di articoli,<br />
prevalentemente concentrati sui rapporti con l’Unione sovietica e il b<strong>lo</strong>cco socialista. Fanno<br />
eccezione gli interventi di Giammarco Santese e di Alessandro Santoni.<br />
In SS e su una questione cruciale interviene Alexander Höbel che si sofferma sull’attenzione<br />
con cui il PCI guarda al nuovo corso cecos<strong>lo</strong>vacco fin dal 1967 e che culmina nel viaggio<br />
di Longo a Praga nel maggio del 1968. Tra giugno e luglio arriva in Italia una delegazione<br />
sovietica guidata da Kirilenko. Longo si dichiara favorevole al rinnovamento cecos<strong>lo</strong>vacco.<br />
Nel resoconto dell’incontro, conservato negli archivi <strong>della</strong> Fondazione Gramsci, si legge dell’esigenza<br />
che il gruppo dirigente del partito italiano avverte di un contenuto «più democratico<br />
e avanzato» da dare al socialismo. Per Kirilenko, al contrario, «il processo di democratizzazione<br />
è uscito dal control<strong>lo</strong> del partito e ciò ha creato un serio <strong>per</strong>ico<strong>lo</strong> <strong>per</strong> il regime socialista»<br />
(cit. a p. 524). La vicenda cecos<strong>lo</strong>vacca è uno specchio attraverso il quale verificare il rapporto<br />
tra ambizioni all’autonomia e fedeltà del PCI all’antica appartenenza internazionale.<br />
Muovendo da un giudizio di Silvio Pons, secondo il quale «il dato da evidenziare e da spiegare<br />
è anche la <strong>per</strong>sistenza del rapporto con l’Urss» (cfr. L’Urss e il Pci nel sistema internazionale<br />
<strong>della</strong> guerra fredda, in R. Gualtieri (a cura di) Il Pci nell’Italia repubblicana 1943-1991, Roma,<br />
Carocci, 2001, p. 31), Höbel <strong>lo</strong> attenua, ricordando come «negli stessi anni, dinanzi alla guerra<br />
del Vietnam, Moro e la Dc avevano espresso “piena comprensione” <strong>per</strong> l’alleato americano,<br />
non so<strong>lo</strong> non pronunciando condanne, ma tanto meno rinunciando a mantenere un rapporto<br />
privilegiato con gli Usa» (p. 533). Il principio a cui pretende attenersi Höbel è che «il<br />
legame con punti di riferimento internazionale costituiva dunque un elemento caratterizzante<br />
le maggiori forze politiche» (p. 533). A vantaggio del PCI, l’a. avanza «il progressivo emergere<br />
di una spinta critica e di una differenziazione strategica di portata significativa» (p. 534).<br />
Anni ’70<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Il quarantennale del movimento del 1968 ha prodotto un proliferare di pubblicazioni<br />
sugli scaffali delle librerie che non ha trovato riscontro, neppure in minima parte, sulle pagine<br />
delle riviste di storia oggetto delle nostre riflessioni. È pur vero che le riviste analizzate<br />
in questa rassegna sono state pubblicate nel <strong>2007</strong> e in occasione del quarantennale gli indici<br />
non rimarranno indifferenti all’evento. Il parallelismo ci sembra in ogni caso <strong>per</strong>tinente<br />
poiché segnala e conferma la carenza di un approfondimento critico come premessa e accompagnamento<br />
del gran parlare del ’68. Se le riviste sono ancora il termometro <strong>della</strong> ricerca in<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
corso nella comunità scientifica, il ’68 è indubbiamente un oggetto di studio <strong>per</strong>iferico fino<br />
almeno al <strong>2007</strong>.<br />
L’unica eccezione è rappresentata dal saggio di Francesca Socrate che prova a fornire una<br />
risposta alla domanda «se e come» è possibile individuare il ’68 come fenomeno storico e oggetto<br />
di studio. L’a. si col<strong>lo</strong>ca all’interno di quel fi<strong>lo</strong>ne storiografico e memorialistico che identifica<br />
il movimento del ’68 con la creazione di una comunità giovanile, politica, affettiva. Se<br />
questa è la cifra che <strong>per</strong>mette di distinguer<strong>lo</strong> da un «prima» e da un «dopo», Socrate analizzando<br />
la mancata mobilitazione del movimento intorno alla morte di Domenico Congedo – studente<br />
di Magistero morto il 27 febbraio 1969 precipitando dal 4° piano <strong>della</strong> facoltà dopo<br />
un’aggressione dei gruppi neofascisti – vi legge il venir meno di questa comunità studentesca.<br />
Utilizzando i documenti del movimento, dei gruppi politici e delle autorità di polizia, l’a. suggerisce<br />
che il carattere accidentale <strong>della</strong> morte di Congedo non è comunque sufficiente a spiegare<br />
gli scarsi echi e il ve<strong>lo</strong>ce oblio che essa ebbe tra gli studenti. I racconti <strong>della</strong> morte del<strong>lo</strong><br />
studente pugliese, celebrato nelle rare occasioni come un membro <strong>della</strong> comunità, raccontano<br />
anche il <strong>per</strong>dersi di questa comunità il cui presupposto stava nell’essere a<strong>per</strong>ta e inclusiva.<br />
Ritornano i nomi di Roberto Bartali e di Vladimiro Satta in relazione al<strong>lo</strong> studio del terrorismo<br />
di sinistra. Entrambi gli autori col<strong>lo</strong>cano le vicende in esame nel contesto delle relazioni<br />
internazionali. Sulla rivista inglese MI Bartali ripropone alcune delle tesi che <strong>lo</strong> scorso<br />
anno abbiamo già avuto modo di illustrare su queste pagine. Concentrandosi sul <strong>per</strong>iodo<br />
1968-1973, rintraccia i legami diretti tra la nascita delle BR e i servizi segreti del b<strong>lo</strong>cco sovietico<br />
in funzione anti-PCI. Queste connessioni suggeriscono una rilettura <strong>della</strong> politica del<br />
PCI, ostile alle BR e alla violenza politica ben prima del sequestro Moro e delle vicende <strong>della</strong><br />
seconda metà del decennio ’70. Satta si impegna invece a contrastare la retorica dei «misteri»<br />
fornendo dettagliate informazioni sui rapporti tra BR e gruppi palestinesi.<br />
In direzione di nuove piste di ricerca si muove invece Alfredo Agustoni, che intreccia la storia<br />
del<strong>lo</strong> sviluppo urbano, dell’edilizia popolare e dei movimenti degli inquilini a Milano. Una<br />
trama che racconta l’organizzazione del<strong>lo</strong> spazio urbano come strategia di disciplinamento dei<br />
soggetti e luogo di resistenza. Dopo aver brevemente delineato l’esordio delle politiche abitative<br />
in Italia e a Milano nei primi anni del ’900 e le contraddizioni <strong>della</strong> politica fascista – la cui retorica<br />
antiurbana si risolve in una <strong>per</strong>iferizzazione delle classe subalterne – Agustoni descrive il<br />
protagonismo del movimento inquilini e del movimento <strong>per</strong> la casa negli anni del<strong>lo</strong> sviluppo<br />
economico, <strong>della</strong> speculazione edilizia, dei forti movimenti migratori interni, dei movimenti sociali.<br />
Tra i molti, due aspetti ci preme sottolineare: innanzitutto l’intreccio tra mobilitazione politica<br />
dal basso e riforme istituzionali (ad esempio la legge 865/1971 <strong>per</strong> la riforma <strong>della</strong> casa popolare,<br />
la legge 329/1978 <strong>per</strong> l’equo canone e altre ancora); in secondo luogo il contributo che<br />
<strong>lo</strong> studio di queste forme di politicizzazione e di partecipazione attiva può portare alla comprensione<br />
delle soggettività, dei movimenti e delle <strong>lo</strong>tte degli anni ’70 problematizzando il paradigma<br />
dell’egemonia <strong>della</strong> violenza e delle forme più tradizionali <strong>della</strong> politica.<br />
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Il sistema politico italiano dopo il 1992<br />
Emerge con fatica nelle riviste italiane una riflessione storiografica sulla transizione repubblicana<br />
del 1992. Nei fatti in questa rassegna gli unici articoli recensiti provengono da un<br />
numero speciale che alla trasformazione del nostro sistema politico dedica MI, Political Change<br />
in Italy since 1994 a cura di Simon Parker che firma anche il saggio introduttivo. La rivista<br />
raccoglie contributi di studiosi italiani e stranieri su Silvio Berlusconi (Gianfranco Pasquino),<br />
sul fenomeno delle Leghe (Daniele Albertazzi), sul cambiamento dei modelli elettorali (Pao<strong>lo</strong><br />
Bellucci), sulla politica estera (James Walston), nonché su questioni più tecniche (Paola<br />
Mattei). In particolare, John Agnew si sofferma sull’importanza delle coordinate geografiche<br />
<strong>per</strong> comprendere la natura del cambiamento politico, spostando così l’accento che tradizionalmente<br />
viene posto sul ruo<strong>lo</strong> <strong>della</strong> televisione e sulla politica «senza territorio». In particolare<br />
l’a. rileva la natura esemplare che i comportamenti politico elettorali assumono nell’Italia<br />
meridionale. Il Sud, nell’analisi di Agnew, emerge come un’area di competizione tra le principali<br />
forze politiche ed di frammentazione più elevata che altrove dei risultati elettorali.<br />
Sottoculture e controculture giovanili<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Il tema delle culture giovanili dimostra una certa vitalità nella storiografia contemporanea;<br />
una tematica che affronta questioni come i consumi, le forme e gli spazi alternativi di politicizzazione,<br />
la resistenza e la critica al<strong>lo</strong> status quo. In questo contesto è determinante il numero<br />
monografico di MR intitolato Movimenti e culture giovanili, curato da Marco Fincardi<br />
e Catia Papa in una prospettiva che attraversa XIX e XX seco<strong>lo</strong>. Dorena Caroli propone una<br />
breve rassegna delle associazioni di scout in Russia, la <strong>lo</strong>ro evoluzione attraverso il regime sovietico<br />
e post sovietico; Silvia Zanella analizza la nascita <strong>della</strong> cultura Rastafarian nel contesto<br />
antico<strong>lo</strong>niale caraibico e la sua traduzione in Gran Bretagna tra i giovani caraibici e non, che<br />
trasformano il rastafarianesimo in una delle principali espressioni sottoculturali giovanili; Rosaria<br />
Nunziata propone una prima storia di Radio Popolare a partire da quei movimenti sociali<br />
e culturali che nella seconda metà degli anni ’70 ne furono i principali promotori. Mentre<br />
il contributo di Nunziata apre un campo di ricerca sulle es<strong>per</strong>ienze di comunicazione e sulle<br />
soggettività che dagli anni ’70 si sono trasfuse fino ai giorni nostri, non trascurando il portato<br />
di innovazione che dai movimenti si è riversato sul sistema comunicativo italiano, i primi<br />
due saggi si connotano principalmente come rassegne bibliografiche che sfuggono al confronto<br />
con le fonti primarie. Ana<strong>lo</strong>gamente Emanuela Vita affronta il tema del legame tra le<br />
sottoculture giovanili, intese come fruizione di musica, stili e consumo, e il dissenso nella<br />
RDT degli anni ’60. L’a. sottolinea il ruo<strong>lo</strong> dirompente del beat e del rock nel contesto tedesco<br />
orientale, l’atteggiamento ambivalente e strumentale del regime, a<strong>per</strong>ture e chiusure che<br />
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non hanno impedito che i cambiamenti nella vita quotidiana e l’anticonformismo si tramutassero<br />
in forme di dissenso.<br />
Ci riposiziona in Italia il contributo di Silvia Casilio sulla controcultura beat <strong>della</strong> metà<br />
degli anni ’60. Con un occhio attento al 1968 e quindi ai nessi e alle rotture tra es<strong>per</strong>ienze<br />
controculturali e movimento studentesco, l’a. traccia la parabola del movimento beat bilanciando<br />
efficacemente la ricostruzione dell’ostilità verso i «capel<strong>lo</strong>ni» messa in atto dal «Corriere<br />
<strong>della</strong> sera» e dai giovani missini e la trasformazione del movimento tra atteggiamenti di<br />
rottura e recu<strong>per</strong>i nel mercato di massa. Il movimento beat, grazie anche alle sua rivista «Mondo<br />
Beat» e ai luoghi pubblici di aggregazione, cercò di sviluppare un vocabolario e delle forme<br />
originali di protesta all’insegna del pacifismo e del rifiuto <strong>della</strong> società dei consumi, <strong>per</strong> i<br />
diritti civili e le libertà <strong>per</strong>sonali, emergendo come una delle genea<strong>lo</strong>gie del successivo movimento<br />
studentesco.<br />
I consumi come specifico oggetto di ricerca appaiono secondari tra gli articoli esaminati.<br />
L’unica eccezione è costituita dal saggio di Enrica Asquer che presenta la propria ricerca sul<br />
rapporto tra diffusione dell’uso <strong>della</strong> lavatrice – la «signora Candy» – e le trasformazioni dei<br />
ruoli di genere in Italia. A partire da una pubblicità Candy del 2004, l’a. efficacemente sottolinea<br />
ambivalenze, <strong>per</strong>manenze e rotture che hanno attraversato la rappresentazione di questo<br />
elettrodomestico in relazione alle trasformazioni sociali e culturali del ruo<strong>lo</strong> femminile e dei<br />
generi a partire dal<strong>lo</strong> sviluppo economico degli anni ’50. Se da un lato il messaggio di libertà<br />
dalla fatica è innegabile, dall’altro la meccanizzazione del lavoro domestico nel segno <strong>della</strong> sua<br />
privatizzazione e l’imporsi dei modelli di «casa nido» e «casa alveare» invitano ad interrogarsi<br />
sulle forme dell’emancipazione femminile avvenuta all’insegna <strong>della</strong> riproduzione <strong>della</strong> divisione<br />
privato-pubblico.<br />
Connessioni, intrecci, scambi<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
La storia dei femminismi a partire dagli anni ’70 e la storia dei movimenti migratori ci<br />
riconducono ad alcune novità teoriche e metodo<strong>lo</strong>giche <strong>della</strong> storiografia contemporanea. Ci<br />
riferiamo ad approcci interessati a cogliere i nessi, le articolazioni dei processi, materiali e culturali,<br />
in una dimensione transnazionale. Liliana Ellena ed Elena Petricola sono le curatrici<br />
del numero di Zap composto nel segno dell’interdisciplinarietà e dedicato ai «femminismi di<br />
frontiera» dagli anni ’70 ad oggi. Vincenza Perilli definisce «ana<strong>lo</strong>gia im<strong>per</strong>fetta» la tematizzazione<br />
del rapporto tra «sesso» e «razza» nell’es<strong>per</strong>ienza femminista in Italia, Francia e Stati<br />
Uniti. Per quanto riguarda l’es<strong>per</strong>ienza italiana, Perilli propone un nesso tra la mancata comprensione<br />
dei rispettivi sistemi di dominazione – sessismo e razzismo – e l’importanza crescente<br />
del concetto di «differenza sessuale» che a partire dagli anni ’80 ha contribuito ad occultare<br />
altre differenze. Paola Guazzo ricostruisce il ruo<strong>lo</strong> avuto dalle traduzioni di autrici lesbiche<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
– Adrienne Rich, Audre Lorde, Monique Wittig, Nicole Brossard, Michèle Causse, Mary<br />
Daly – nella strutturazione, definizione, autoidentificazione del movimento lesbico in Italia a<br />
partire dagli anni ’80. Laura Corradi ci invita invece a confrontarci con il tema dell’ecofemminismo,<br />
sulla sua matrice indiana e sugli scambi che intrecciano la battaglia ambientalista<br />
delle femministe attraverso i continenti. Sara Tagliacozzo delinea invece la ricchezza degli<br />
scambi tra Africa, Europa, America che compongono le biografie di alcune teoriche femministe<br />
– Ifi Amadiume, Werewere Liking, Amina Mama. Vi troviamo la rivendicazione <strong>della</strong><br />
matrice antico<strong>lo</strong>niale; l’interrogazione critica dei ruoli di genere appartenenti alle culture africane;<br />
il difficile rapporto con i nazionalismi; la connessione costitutiva dei femminismi africani<br />
con quelli occidentali secondo diverse articolazioni storiche e soggettive (mimicry, opposizione,<br />
decostruzione). Alla fine le etichette di «moderno» e di «tradizionale» attribuite ai rapporti<br />
di genere e ai rapporti interculturali risultano inadeguate a spiegare il processo continuo<br />
e sincretico di negoziazione e rielaborazione di elementi culturali e pratiche appartenenti a<br />
mondi differenti e compresenti.<br />
Nel campo degli studi culturali si pone Joseph Pugliese interrogando alcuni frammenti<br />
di storia <strong>della</strong> presenza e dell’identificazione degli immigrati di origine italiana a Sydney. A<br />
partire dalla mostra Italiani di Sydney e dall’uso reiterato del David di Michelange<strong>lo</strong>, ieri e oggi,<br />
come icona dell’identità italiana all’estero, Pugliese delinea le azioni dei vari soggetti, da<br />
quelli istituzionali agli emigranti di origine italiana, che o<strong>per</strong>ano <strong>per</strong> la definizione, promozione,<br />
rinegoziazione di una presunta identità italiana in Australia. Un terreno di conflitti in<br />
cui si scontrano da un lato il re<strong>per</strong>torio di pregiudizi del paese «ospite», dall’altro le fratture e<br />
le gerarchie tra «settentrionali» e «meridionali» che problematizzano l’identificazione con una<br />
identità italiana. Le trasformazioni materiali e identitarie in un contesto transnazionale, quel<strong>lo</strong><br />
ita<strong>lo</strong>-canadese, sono il tema del numero di SE curato da Sonia Cancian e Bruno Ramirez.<br />
Con efficaci argomentazioni che pongono al centro dell’analisi la specificità socioculturale e<br />
politica canadese, i due curatori sottolineano il protagonismo delle seconde generazioni ita<strong>lo</strong>canadesi,<br />
che si presentano come soggetto storico non semplicemente riconducibile al paradigma<br />
dell’assimilazione. Ciò è evidente soprattutto nella produzione artistica, dove giovani<br />
artisti di origine italiana sono tra i principali interpreti delle tematiche legate al mondo g<strong>lo</strong>bale,<br />
dalle migrazione ai legami che intrecciano in modo originale «<strong>lo</strong>calità» e «internazionalità».<br />
In questo contesto si col<strong>lo</strong>ca il saggio di Bruno Ramirez sulle little Italies canadesi che,<br />
contrariamente alle vicine statunitensi, non si sono trasformate in siti del commercio di una<br />
presunta memoria etnica. A Toronto e a Montreal i quartieri italiani continuano ad essere luoghi<br />
di residenza di vecchi e nuovi immigrati e conseguentemente spazi di produzione ed elaborazione<br />
di una italianità viva e in continua evoluzione. Nel<strong>lo</strong> stesso numero <strong>della</strong> rivista Sonia<br />
Cancian presenta il suo studio delle lettere private che nel secondo dopoguerra sono state<br />
scambiate tra gli emigranti e la <strong>lo</strong>ro comunità d’origine. Del ricco materiale l’a. si limita ad<br />
evidenziare il ruo<strong>lo</strong> dei reticoli transnazionali e le trasformazioni dei ruoli di genere sia in sen-<br />
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so conservatore sia emancipatorio. Il contributo di Marina Maccari-Clayton aggiunge invece<br />
importanti tasselli alla storia delle migrazioni italiane. Attraverso l’analisi dell’emigrazione di<br />
italiani dal Belgio al Canada negli anni ’50-’60, l’a. ricostruisce elementi insoliti delle politiche<br />
migratorie canadesi (ad esempio l’intento di privilegiare l’arrivo di italiani del nord d’Italia)<br />
e delle strategie di donne e uomini, <strong>per</strong> i quali il Belgio poteva rappresentare una tappa<br />
temporanea verso il desiderato approdo canadese. Questa mobilità «triangolare» sfugge alle<br />
statistiche su base nazionale e costituisce una sfida agli apparati di ricerca tradizionali. Uno<br />
degli aspetti più interessanti del saggio di Nicolas Violle risiede nell’oggetto del<strong>lo</strong> studio: il<br />
rugby come strumento di integrazione degli italiani in Francia. Un protagonismo databile fin<br />
dagli anni ’20 del ’900 e che ha assunto maggiori proporzioni a partire dal secondo dopoguerra.<br />
Efficacemente Violle evidenzia non so<strong>lo</strong> le dinamiche sociali ma anche il positivo impatto<br />
che il protagonismo sportivo ha avuto sull’immagine dell’intera comunità italiana in Francia.<br />
Nicola Pizzolato riprende invece la riflessione sulle <strong>lo</strong>tte che hanno accomunato i lavoratori<br />
immigrati a Torino e a Detroit negli anni 1968-69. Pizzolato propone di rivedere le letture<br />
più accreditate dalla storiografia, che interpretano i conflitti privilegiando a Detroit gli aspetti<br />
del conflitto razziale e a Torino quelli <strong>della</strong> <strong>lo</strong>tta di classe. Le testimonianze orali sulle quali<br />
si basa la sua proposta euristica pongono invece al centro delle <strong>lo</strong>tte «l’essere migranti» degli<br />
o<strong>per</strong>ai; una condizione di marginalità complessiva che potrebbe aver spinto verso l’attivismo<br />
politico come forma di riscossa e riconoscimento sociale.<br />
Studi co<strong>lo</strong>niali e postco<strong>lo</strong>niali<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Gli articoli di Gabriele Turi e Gennaro Ascione sono invece originali rispetto alle piste di<br />
ricerca evidenziate sinora. Turi affronta criticamente il dibattito che in Inghilterra ha accompagnato<br />
le celebrazioni <strong>per</strong> il bicentenario dell’abolizione <strong>della</strong> schiavitù il 25 marzo 1807.<br />
Egli intreccia efficacemente la costruzione pubblica <strong>della</strong> memoria e le interpretazioni storiografiche<br />
e non trascura utili parallelismi con il contesto francese. Ovviamente la complessità<br />
del dibattito storiografico (che problematizza la data prescelta, il ruo<strong>lo</strong> degli abolizionisti bianchi<br />
a favore delle <strong>lo</strong>tte degli schiavi, le motivazioni economiche) si <strong>per</strong>de nel dibattito pubblico<br />
nel quale gli attori istituzionali, tra cui Tony Blair, riescono a trasformare l’abolizione <strong>della</strong><br />
schiavitù in uno strumento <strong>per</strong> celebrare le virtù umanitarie dell’Im<strong>per</strong>o inglese. In questo<br />
contesto non è secondario il rifiuto di esplicitare delle scuse pubbliche che avrebbero potuto<br />
dar adito a richieste di risarcimento da parte degli eredi degli schiavi. A proposito di innovazioni<br />
storiografiche, Gennaro Ascione offre una completa ricostruzione <strong>della</strong> nascita e degli<br />
sviluppi dei subaltern studies, a partire dall’India degli anni ’70 e ’80 <strong>per</strong> approdare alle università<br />
ang<strong>lo</strong>sassoni contemporanee. L’a. sottolinea l’importanza <strong>della</strong> critica all’apparato epistemo<strong>lo</strong>gico<br />
del pensiero occidentale e alle narrazioni del passato da esso elaborate, tra i cui<br />
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esiti principali ritroviamo una critica <strong>della</strong> storiografia eurocentrica e del paradigma storicista-evoluzionista<br />
i cui intenti universalizzanti hanno nascosto le <strong>lo</strong>giche di potere sottese alla<br />
conoscenza dell’altro.<br />
Chiesa cattolica<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Chiude la nostra rassegna un intenso saggio di Alberto Mel<strong>lo</strong>ni <strong>per</strong> JMIS sulla Chiesa in<br />
Italia durante il pontificato di Giovanni Pao<strong>lo</strong> II. Un tema complesso, sicuramente ancora «caldo»<br />
e che la storiografia so<strong>lo</strong> ora comincia ad affrontare più compiutamente. L’analisi di Mel<strong>lo</strong>ni,<br />
che offre numerosi spunti critici, si muove nelle pieghe <strong>della</strong> struttura ecclesiale, lasciando<br />
il pontefice sul<strong>lo</strong> sfondo e concentrandosi piuttosto su una serie di passaggi, a cominciare<br />
dal ruo<strong>lo</strong> di catalizzatore assunto dalla Conferenza episcopale italiana negli anni <strong>della</strong> presidenza<br />
Ruini. Partendo dal famoso testo di Jemo<strong>lo</strong> Stato e Chiesa in Italia 1850-1950, Mel<strong>lo</strong>ni<br />
invita il lettore a rimuovere facili schematizzazioni, generalizzazioni giornalistiche e frequenti<br />
astoricismi, <strong>per</strong> interrogarsi sulla realtà <strong>della</strong> ricaduta politica <strong>della</strong> Chiesa italiana nel tessuto<br />
profondo del paese e, insieme, sul<strong>lo</strong> schieramento partitico e sulle istituzioni. Innanzi tutto,<br />
scrivendo <strong>per</strong> un pubblico straniero, il saggio si presenta anche come una breve guida alla<br />
complessità del cattolicesimo italico, «mobile comunione tra fedeli e pastori», divisa tra Nord<br />
e Sud, ceti sociali e appartenenze culturali, con alcune riflessioni semantiche sull’uso <strong>della</strong> parola<br />
Chiesa nel nostro paese (dove indica tanto il Vaticano come la parrocchia, in prospettiva<br />
ora <strong>lo</strong>cale, ora nazionale, ora universale). Tracciando la storia <strong>della</strong> CEI, prodotto conciliare,<br />
dagli anni <strong>della</strong> presidenza di mons. Urbani (1966-1969) e del «principato riformista» di Pao<strong>lo</strong><br />
VI (segnato da processi di profonda trasformazione dell’impianto liturgico e da un dinamico<br />
rapporto laici-ecclesiastici), Mel<strong>lo</strong>ni approda direttamente al terreno politico, evidenziando<br />
alcuni nodi nella relazione tra i vescovi e la DC. Mons. Poma (1969-1979) è presentato come<br />
un «papal president» che si mosse con moderazione, senza aprire al «progressismo sinodale»<br />
in atto in quel tempo nella conferenza tedesca o olandese (e in un certo senso anche latinoamericana),<br />
subendo la divisione tra gruppi radicali progressisti affascinati dalla sinistra e<br />
dal pragmatismo di movimenti come CL. Uno spartiacque è quindi individuato nella stagione<br />
del referendum del ’74 sul divorzio che evidenziò la fragilità dei progetti di riclericalizzazione<br />
<strong>della</strong> società italiana; l’esaurirsi <strong>della</strong> cultura <strong>della</strong> mediazione montiniana si associò all’avvento<br />
del papa polacco Giovanni Pao<strong>lo</strong> II. Dopo la complessa convivenza con un presidente<br />
<strong>della</strong> CEI, Anastasio Ballestero (1979-1985) e la stagione degli scandali che investirono <strong>lo</strong><br />
IOR, con l’avvento del cardinal Poletti (1985-1991), contemporaneamente nominato anche<br />
vicario di Roma, secondo Mel<strong>lo</strong>ni la CEI tornò a insistere sulla fenice dell’«unità politica dei<br />
cattolici», sull’onda anche del concordato del 1984 che <strong>per</strong>mise il passaggio dal sistema di «parsimonious<br />
financing» ereditato dal ’29 al «pros<strong>per</strong>ous mechanism» derivato dall’accordo Ca-<br />
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saroli-Craxi. Tutta la seconda parte del lavoro è quindi dedicata alla lunga stagione Ruini, chiamato<br />
nel 1986 da ausiliario <strong>della</strong> diocesi di Reggio Emilio alla segreteria <strong>della</strong> CEI, di cui sarebbe<br />
divenuto presidente cinque anni dopo <strong>per</strong> guidarla <strong>per</strong> un quindicennio. Ruini è presentato<br />
come un es<strong>per</strong>to conoscitore del mondo delle correnti democristiane, negli anni del<br />
Caf, poi costretto a confrontarsi con il crol<strong>lo</strong> del bipolarismo e l’imp<strong>lo</strong>sione del sistema politico<br />
italiano. Nella complessa transizione degli anni ’90 avrebbe cercato di proporre la CEI come<br />
un baluardo del patrimonio elettorale democristiano; mentre a Milano il cardinale Martini<br />
prendeva posizioni decise su temi politicamente sensibili, la CEI spostava il baricentro <strong>della</strong><br />
sua azione su temi come la famiglia, la bioetica e la scuola. Richiamando l’ultimo appel<strong>lo</strong> di<br />
Dossetti alla Costituzione, Mel<strong>lo</strong>ni rilegge i passaggi dell’ultimo quindicennio: sottolinea il<br />
ruo<strong>lo</strong> a tutto campo <strong>della</strong> CEI di Ruini, il suo protagonismo nel dibattito pubblico, le relazioni<br />
con i diversi attori politici, i mutamenti di stile, di linguaggio, nell’uso dei media, nella costruzione<br />
delle forme di control<strong>lo</strong>. La chiosa è quanto mai interrogativa, in una stagione contraddittoria,<br />
segnata dal rilancio di una religiosità che si vuole forte ma anche dal ca<strong>lo</strong> numerico<br />
di fedeli e dalla crisi del laicato. Lo scenario che Mel<strong>lo</strong>ni richiama è quel<strong>lo</strong> di una <strong>per</strong>dita<br />
dell’equilibrio continuamente cercato, che rischierebbe di gettare la Chiesa italiana in un labirinto<br />
infinito di negoziazioni che potrebbero al<strong>lo</strong>ntanarla da un ruo<strong>lo</strong> di inclusione di culture<br />
diverse, e ridurla sempre più ad un potente agente di <strong>lo</strong>bbying.<br />
Articoli citati:<br />
<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Acanfora, Pao<strong>lo</strong>, Myths and the political use of religion in Christian Democratic Cultura,<br />
JMIS, n. 3, pp. 307-338.<br />
Aga Rossi, Elena, De Gas<strong>per</strong>i e la scelta di campo, VS, n. 12, pp. 13-39.<br />
Agnew, John, Remaking Italy? Place Configurations and Italian Electoral Politics under the «Second<br />
Republic», MI, n. 1, pp. 17-38.<br />
Agustoni, Alfredo, La presa del palazzo. Sviluppo urbano, edilizia popolare e <strong>lo</strong>tte <strong>per</strong> la casa nella<br />
Milano del XX seco<strong>lo</strong>, Zap, n. 14, pp. 42-59.<br />
Albertazzi, Daniele Addressing «the People»: A Comparative Study of the Lega Nord’s and Lega<br />
dei Ticinesi’s Political Rhetoric and Styles of Propaganda, MI, n. 3, pp. 327-347.<br />
Ascione, Gennaro, «Indiani d’America». Studi postco<strong>lo</strong>niali, Stor, n. 34, pp. 43-72.<br />
Asquer, Enrica, La «Signora Candy» e la sua lavatrice. <strong>Storia</strong> di un’intesa <strong>per</strong>fetta nell’Italia degli<br />
anni Sessanta, Gen, n. 1, pp. 97-118.<br />
Baldoli, Claudia, Guido Miglioli: <strong>per</strong>corsi di un esule cattolico nell’Italia del dopoguerra, S-nodi,<br />
n. 1, pp. 13-40.<br />
Bartali, Roberto, Red Brigades (1969-1974): An Italian Phenomenon and a Product of the Cold<br />
War, MI, n. 3, pp. 349-369.<br />
88
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Bedeschi, Giuseppe, Rosario Romeo e l’Italia contemporanea, NSC, XI, n. 2, pp. 5-20.<br />
Belco, Victoria, Sharecrop<strong>per</strong>s, war, and social change in central Italy, JMIS, n. 4, pp. 397-405.<br />
Bellucci, Pao<strong>lo</strong>, Changing Models of Electoral Choice in Italy, MI, n. 1, pp. 55-72.<br />
Bernardi, Emanuele, L’ordine pubblico nel 1947, VS, n. 12, pp. 105-129.<br />
Bettanin, Fabio, La guerra al tempo dell’atomica, Stor, nn. 35-36, pp. 207-228.<br />
Bianco, Giovanni, Livio Paladin storico <strong>della</strong> Costituzione repubblicana, Clio, n. 1, pp. 115-<br />
137.<br />
Bonfreschi, Lucia e Vodovar, Christine, Il ritorno al potere di de Gaulle e i trattati di Roma, VS,<br />
n. 14, pp. 103-133.<br />
Braga, Samanta, La zona <strong>della</strong> chiesa di S. Vito in Pasquiro<strong>lo</strong> nel centro di Milano tra due piani<br />
regolatori e una guerra (1934-1953), SU, nn. 114-115, pp. 245-254.<br />
Brizzi, Riccardo, Marchi, Michele, Pierre Rosanval<strong>lo</strong>n e le aporie <strong>della</strong> modernità politica francese,<br />
Cont, n. 1, pp. 53-81.<br />
Brizzi, Riccardo, «Venduti come detersivi». Le elezioni presidenziali del 1965 e i primi passi del<br />
marketing politico in Francia, RSP, n. 1, pp. 3-26.<br />
Bulgarelli, Odoardo, L’Italia verso la g<strong>lo</strong>balizzazione. La liberalizzazione valutaria del 1990,<br />
RSE, n. 2, pp. 159-182.<br />
Caccavo, Rossella, Borghesia industriale e «meridionalismo liberista».Isidoro Pirelli e il caso dell’area<br />
barese, Merid, n. 57, pp. 111-138.<br />
Cancian, Sonia, Intersecting labour and social networks across cities and borders, SE, n. 166, pp.<br />
313-326.<br />
Cancian, Sonia, Ramirez, Bruno, Post migration «Ita<strong>lo</strong>-Canada»: new <strong>per</strong>spectives on its past,<br />
present and future, SE, n. 166, pp. 259-272.<br />
Caroli, Dorena, Sempre pronti!. Le associazioni russe di scout e pionieri, MR, n. 25, pp. 91-102.<br />
Casilio, Silvia, «Beat si vive, inseriti si muore». L’epopea dei capel<strong>lo</strong>ni in Italia (1965-67), Merid,<br />
n. 56, pp. 213-236.<br />
Cavallaro, Maria Elena, La nascita dell’Unione europea occidentale: una parentesi o un passo in<br />
avanti nel processo di costruzione europea?, VS, n. 14, pp. 17-44.<br />
Cha<strong>per</strong>on, Sylvie, L’ingresso delle donne nella vita politica: Francia e Italia a confronto, Gen, n.<br />
2, pp. 117-136.<br />
Ciuffoletti, Sofia, Costituzione, identità e diritti umani in India, Clio, n. 4, pp. 567-580.<br />
Clayton Maccari, Marina, From «watchdog» to «salesman»: Italian re-emigration from Belgium<br />
to Canada after the Second world war, SE, n. 166, pp. 327-336.<br />
Comba, Michela, Un teatro nell’accademia militare: quarant’anni di ricostruzione del Regio di<br />
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Cooke, Philip, «Oggi in Italia»: The Voice of Truth and Peace in Cold War Italy, MI, n. 2, pp.<br />
251-265.<br />
Corradi, Laura, Terra madre India. Pensiero e azione dell’ecofemminismo, Zap, n. 13, pp. 41-52.<br />
89
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Davolio, Federica, La cucina e il suo pubblico. Per una storia dell’editoria e <strong>della</strong> cultura gastronomica<br />
in Italia, Storic, n. 3.<br />
Di Maggio, Marco, Il Partito comunista di francese, il movimento comunista e i fondamenti <strong>della</strong><br />
«via francese al socialismo» (1961-1964), SS, n. 4, pp. 1091-1118.<br />
Di Rienzo, Eugenio, Storici e Maestro. L’eredità di Gioacchino Volpe tra continuità e innovazione<br />
(1945-1962), Clio, n. 1, pp. 39-58.<br />
Diletti, Mattia, La guerra delle idee. I think tank e la genesi dell’intellighenzia conservatrice americana,<br />
Cont, n. 1, pp. 25-51.<br />
Donno, Michele, Il piano Marshall e la «parabola terzaforzista» del Partito socialista dei lavoratori<br />
italiani, VS, n. 13, pp. 153-182.<br />
Eley, Geoff, I fattori del processo democratico nell’Europa del XX seco<strong>lo</strong>, 900, n. 14-15, pp. 65-94.<br />
Esposito, Daniela, Danni bellici, ricostruzioni e restauri in Roma: 1943-1950, SU, nn. 114-<br />
115, pp. 13-61.<br />
Faggioli, Massimo, La dip<strong>lo</strong>mazia di Bonn e le encicliche di Giovanni XXIII, RSP, n. 2, pp. 139-<br />
155.<br />
Id., Ostpolitik vaticana e «questione tedesca», 1958-1968, Cont, n. 3, pp. 403-417.<br />
Fagio<strong>lo</strong>, Silvio, L’Europa di Adenauer, VS, n. 14, pp. 83-102.<br />
Falkenberg, Susanne, Antitedeschi vs antim<strong>per</strong>ialisti: psico<strong>lo</strong>gia di una lite storico-politica all’interno<br />
<strong>della</strong> sinistra radicale tedesca, Clio, n. 2, pp. 315-338.<br />
Faulenbach, Bernd, <strong>Storia</strong> e memoria del nazionalsocialismo. Un nuovo paradigma?, Cont, n.<br />
4,pp. 567-580.<br />
Fi<strong>lo</strong>camo, Roberta, Danni bellici a Cosenza: la ricostruzione del centro storico tra rinnovamento urbano<br />
e tutela degli antichi rioni nel secondo dopoguerra, SU, nn. 114-115, pp. 139-163.<br />
Fritz, Regina, Eschinger, Doreen, Memory Crossroad. Remembering the Ho<strong>lo</strong>caust in Hungary<br />
after 1945, DEP, n. 7.<br />
Grassi Orsini, Fabio, Guerra di classe e violenza politica in Italia. Dalla liberazione alla svolta<br />
centrista (1945-1947), VS, n. 12, pp. 75-104.<br />
Graziani, Sofia, La sessualità e la costruzione/distruzione dell’identità di genere durante la Rivoluzione<br />
Culturale: il caso dei Zhiqing, DEP, n. 7.<br />
Graziano, Manlio, The Rise and Fall of «Mediterranean Atlanticism» in Italian Foreign Policy:<br />
the Case of the Near East, MI, n. 3, pp. 287-308.<br />
Guazzo, Paola, Traduttrici e traditrici. Testi e ricezioni transnazionali nel contesto lesbo-femminista<br />
italiano dagli anni ottanta al 1990, Zap, n. 13, pp. 27-38.<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
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Mariuzzo, Andrea, «La Russia com’è». L’immagine critica dell’Unione Sovietica e del b<strong>lo</strong>cco<br />
orientale nella pubblicistica italiana (1948-1955), RSP, n. 2, pp. 157-176.<br />
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Marucci, Alessandro, Amintore Fanfani e la costruzione europea: dall’Ueo ai trattati di Roma<br />
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Mattei, Paola Legislative Delegation to the Executive in the ‘Second’Italian Republic’, MI, n. 1,<br />
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Mel<strong>lo</strong>ni, Alberto, The politics of the «Church» in the Italy of Pope Wojtyla, JMIS, n. 1, pp. 60-85.<br />
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Pugliese, Joseph, Le altre Italie: identità geopolitiche, genea<strong>lo</strong>gie razzializzate e storie interculturali,<br />
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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />
Tasseni, Giovanni, Il vice-segretario intransigente: Giuseppe Dossetti e la Dc: 1950-1951, dinamica<br />
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To<strong>lo</strong>melli, Marica, Deutschland in Herbst. La lunga transizione democratica nella Germania federale<br />
degli anni Settanta, 900, n. 14-15, pp. 155-173.<br />
Torp, Cornelius, L’economia mondiale prima <strong>della</strong> grande guerra. La prima ondata <strong>della</strong> g<strong>lo</strong>balizzazione<br />
economica, 900, n. 14-15, pp. 251-277.<br />
Treccani, Gian Pao<strong>lo</strong>, «Costruire, non ricostruire». Danni bellici e restauri nel nucleo antico di<br />
Brescia (1944-1954), SU, nn. 114-115, pp. 165-209.<br />
Tricarico, Daniele, Cucine nazionali a confronto. I <strong>per</strong>corsi <strong>della</strong> cucina italiana in Gran Bretagna,<br />
Storic, n. 3.<br />
Turi, Gabriele, Orgoglio e dispiacere. La Gran Bretagna e la tratta degli schiavi, PP, n. 72, pp.<br />
5-18.<br />
Turpin, Frédéric, Alle origini <strong>della</strong> politica europea di coo<strong>per</strong>azione al<strong>lo</strong> sviluppo: la Francia e la<br />
politica d’associazione Europa-Africa (1957-1975), VS, n. 14, pp. 135-150.<br />
van Radhen, Till, Paternità, ricristianizzazione e democrazia. La Germania federale negli anni<br />
Cinquanta e Sessanta, Cont, n. 4, pp. 607-631.<br />
Várdy, Agnes Huszár, Forgotten Victims of World War II: Hungarian Women in Soviet Forced Labor<br />
Camps, DEP, n. 7.<br />
Varsori, Antonio, Il piano Marshall: un dibattito storiografico concluso?, VS, n. 13, pp. 73-95.<br />
Vaudagna, Maurizio, American Studies in Italy: Historical Legacies, Public Contexts and Scholarly<br />
Trends, SdS, n. 51, pp. 17-63.<br />
Violle, Nicolas, Le rugby, agent d’intégration et de représentation des Italiens en France, AI, n.<br />
35, pp. 103-121.<br />
Vita, Emanuela, Ost-musik. Il dissenso nella Rdt attraverso le subculture musicali negli anni sessanta,<br />
Zap, n. 12, pp. 47-58.<br />
Volpi, Alessandro, La transizione economica. Maneggiare con cura, o abbandonare, 900, n. 14-<br />
15, pp. 39-54.<br />
Walston, James, Italian Foreign Policy in the ‘Second Republic’. Changes of Form and Substance,<br />
MI, n. 1, pp. 91-104.<br />
Zanella, Silvia, Il Rastafarianism: dall’antico<strong>lo</strong>nialismo caraibico alle subculture giovanili trasgressive,<br />
MR, n. 25, pp. 103-112.<br />
Zazzara, Gilda, Poetiche del lutto, politiche <strong>della</strong> memoria. Epitaffi di storici tra biografia e autobiografia,<br />
S-nodi, n. 1, pp. 65-93.<br />
93
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