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LE RIVISTE DEL 2007 - Società Italiana per lo Studio della Storia ...

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong>


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E<strong>LE</strong>NCO <strong>DEL</strong><strong>LE</strong> ABBREVIAZIONI 1<br />

900: «’900. Per una storia del tempo presente» [2006]<br />

AI: «Altreitalie» http://www.altreitalie.it/<br />

Clio: «Clio. Rivista trimestrale di studi storici»<br />

Cont: «Contemporanea: Rivista di <strong>Storia</strong> dell’800 e del ‘900»<br />

CS:«Le carte e la storia»<br />

DEP: «DEP. Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile»,<br />

http://www.unive.it/nqcontent.cfm?a_id=18891<br />

DPRS: «Dimensioni e problemi <strong>della</strong> ricerca storica»<br />

Gen: «Genesis. Rivista <strong>della</strong> <strong>Società</strong> <strong>Italiana</strong> delle Storiche» [2006]<br />

IC: «Italia Contemporanea»<br />

JMIS: «Journal of Modern Italian Studies»<br />

MC: «Mondo Contemporaneo»<br />

Merid: «Meridiana» [2006]<br />

MI: «Modern Italy»<br />

MR: «Memoria e Ricerca: Rivista di <strong>Storia</strong> Contemporanea»<br />

NRS: «Nuova Rivista Storica»<br />

NSC: «Nuova <strong>Storia</strong> Contemporanea»<br />

PP: «Passato e Presente: Rivista di <strong>Storia</strong> Contemporanea»<br />

QS: «Quaderni Storici»<br />

RAS: «Rassegna degli Archivi di Stato»<br />

Ris: «Il Risorgimento»<br />

RSE: «Rivista di <strong>Storia</strong> Economica»<br />

RSI: «Rivista Storica <strong>Italiana</strong>»<br />

RSLR: «Rivista di <strong>Storia</strong> e Letteratura Religiosa»<br />

RSP: «Ricerche di <strong>Storia</strong> Politica»<br />

RSR: «Rassegna Storica del Risorgimento»<br />

RSSR: «Rivista di <strong>Storia</strong> Sociale e Religiosa»<br />

SC: «Studi Culturali»<br />

SdS: «<strong>Storia</strong> <strong>della</strong> Storiografia»<br />

SE: «Studi Emigrazione»<br />

SeS: «<strong>Società</strong> e <strong>Storia</strong>»<br />

S-N: «S-nodi», http://www.scriptaweb.it<br />

SS: «Studi Storici»<br />

Stor: «Storica» [2006]<br />

Storic: «Storicamente», http://www.storicamente.org<br />

SU: «<strong>Storia</strong> Urbana»<br />

VS: «Ventunesimo seco<strong>lo</strong>»<br />

Zap: «Zapruder»<br />

1 Quando non diversamente indicato, abbiamo spogliato l’intera annata <strong>2007</strong>.<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Questa rassegna <strong>della</strong> letteratura <strong>per</strong>iodica cerca di fare un quadro, necessariamente sintetico, <strong>della</strong><br />

produzione storiografica apparsa su 37 riviste (35 italiane, tra cui 4 elettroniche, e 2 straniere<br />

dedicate alla storia italiana) nel corso del <strong>2007</strong>. Come nel<strong>lo</strong> scorso numero, <strong>lo</strong> spoglio e le segnalazioni<br />

hanno riguardato esclusivamente gli articoli di ricerca. Abbiamo tralasciato invece rassegne,<br />

dibattiti, recensioni lunghe, commenti e presentazioni di fonti,. Com’è ovvio, questa non è<br />

una rassegna esaustiva <strong>della</strong> ricerca storiografica italiana. Per presentare ai lettori questo materiale,<br />

abbiamo deciso di organizzar<strong>lo</strong> in tre b<strong>lo</strong>cchi crono<strong>lo</strong>gici: «il lungo ‘800» (70 articoli), il<br />

<strong>per</strong>iodo tra le due guerre (72) e il <strong>per</strong>iodo che va dalla fine <strong>della</strong> guerra ai nostri giorni (111). Ci<br />

sono naturalmente alcuni saggi che rompono i confini di queste <strong>per</strong>iodizzazioni e sconfinano nell’una<br />

o nell’altra o ne abbracciano più d’una. In questi casi, abbiamo cercato di darne più volte<br />

conto. All’interno di ciascuna ripartizione, i redattori di queste note hanno poi organizzato il materiale<br />

<strong>per</strong> nuclei tematici. Alla fine di ciascun paragrafo abbiamo riportato l’elenco completo degli<br />

articoli citati nel testo.<br />

1. Il lungo ’800<br />

di Maria Pia Casalena, Silvano Montaldo, Simona Troi<strong>lo</strong><br />

Lo spazio più ampio occupato quest’anno dalla rassegna ottocentesca (70 articoli rispetto ai<br />

56 apparsi sulle riviste del 2006) è costituito da saggi relativi alla prima metà del seco<strong>lo</strong>, con<br />

una accentuata presenza del ’48, al progressivo farsi del discorso rivoluzionario e di quel<strong>lo</strong>, opposto,<br />

controrivoluzionario, analizzato nelle sue forme narrative e letterarie. Attenzione speciale,<br />

seppur limitata, hanno ricevuto le trasformazioni sociali colte in ambito specifico (le migrazioni,<br />

i consumi o i rapporti di genere e intergenerazionali) e in contesti quali le città, <strong>lo</strong><br />

spazio domestico, le associazioni politiche, ludiche e ricreative. Dal punto di vista metodo<strong>lo</strong>gico,<br />

poche sono le novità, laddove si conferma il grande interesse <strong>per</strong> la storia istituzionale<br />

declinata in vario modo e in relazione a soggetti diversi e diversamente situati.<br />

Il Regno di Sardegna: problemi a<strong>per</strong>ti e vecchie polemiche<br />

Gli inediti originali dei Pensieri ed esempi di morale e politica sono punto di partenza <strong>per</strong><br />

mettere in luce l’originalità <strong>della</strong> riflessione costituzionale di Cesare Balbo. Il protagonista <strong>della</strong><br />

prima stagione del liberalismo subalpino puntava ancora nel 1849 sulle prerogative <strong>della</strong><br />

«nobiltà di servizio», come forza di mediazione al centro e in <strong>per</strong>iferia. Critico sia verso il centralismo<br />

sia verso i modelli liberal-cetuali, guardando agli USA Balbo individuò inoltre nei livelli<br />

<strong>lo</strong>cali il laboratorio di un’élite dinamica da proiettare, tramite un suffragio allargato, sulla<br />

scena nazionale. Pur marginalizzati nel decennio cavouriano, certi elementi sarebbero rima-<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

sti presenti nella cultura moderata. Ceretti chiude proprio sull’opportunità di approfondire la<br />

continuità tra Balbo e la Destra «giovane», e soprattutto con Sonnino.<br />

Urquijo Goitia presenta un progetto di ricerca sulle relazioni tra Spagna e Piemonte durante<br />

la prima guerra carlista, avviato con una ricognizione sistematica negli archivi di Madrid,<br />

Torino e Roma, Londra, Vienna e Parigi. Lo scopo del progetto è di gettare nuova luce<br />

sulle trame internazionali che si tessevano attorno a cristinisti e carlisti, e di valutare le divaricazioni<br />

tra dip<strong>lo</strong>mazia ufficiale e dip<strong>lo</strong>mazia parallela oltre che, in un’ottica di storia italiana,<br />

tra politica interna e politica estera. Car<strong>lo</strong> Alberto dichiarò a Francia e Inghilterra – nonché<br />

ai genovesi in affari con la nazione iberica – di stare dalla parte del governo, mentre Solaro<br />

<strong>della</strong> Margarita si ado<strong>per</strong>ava col suo consenso <strong>per</strong> sostenere i carlisti. I liberali di Madrid si<br />

appellarono al governo di Parigi contro l’asse Torino-Vienna. So<strong>lo</strong> l’isolamento dip<strong>lo</strong>matico<br />

dei carlisti portò la monarchia sabauda su posizioni più caute: il re riuscì a evitare l’inasprimento<br />

dell’opinione pubblica liberale, scaricando su Solaro l’intera responsabilità di un doppio<br />

gioco finito male.<br />

Anche l’esilio beneficia dei progressi <strong>della</strong> ricognizione documentaria, come dimostra il<br />

saggio di Simon. La parabola di un giornale come «La Croce di Savoia», fondato a Torino nel<br />

1850 da Francesco Ferrara, offre spunti fecondi in più direzioni. «La Croce di Savoia» mantenne<br />

posizioni eccentriche rispetto a quella che doveva configurarsi come la cultura <strong>della</strong> Destra<br />

storica: <strong>per</strong>orò riforme fiscali e decentramento e sostenne una gestione tecnica e scientifica<br />

<strong>della</strong> politica economica. In ambito internazionale difese il diritto di resistenza contro tutti<br />

gli oppressori, in tacita continuità col ’48 siciliano e in patente polemica con i riferimenti<br />

del decennio di preparazione: il nuovo Bonaparte, i liberali britannici e i liberisti pacifisti di<br />

Manchester.<br />

Su Ris sono anticipati i risultati di ricerche confluite in un volume su Lodovico Frapolli<br />

(L. Po<strong>lo</strong> Fritz, 1866. Una missione segreta di Lodovico Frapolli a Berlino, Roma, 2008), leader<br />

<strong>della</strong> massoneria torinese nei primi anni ’60 e <strong>della</strong> partecipazione italiana ai movimenti<br />

nazionali di Po<strong>lo</strong>nia e Ungheria. I documenti utilizzati da Po<strong>lo</strong> Fritz contribuiscono a disegnare<br />

l’evoluzione delle culture politiche risorgimentali nella cornice dell’Italia unita e dei<br />

nuovi equilibri europei. L’histoire-bataille, la dimensione micro e la questione dei luoghi <strong>della</strong><br />

memoria sono infine protagoniste nel contributo di Coltrinari, che torna su un’annosa questione<br />

– se il generale Cialdini fosse o meno colpevolmente assente dalla linea del fuoco durante<br />

<strong>lo</strong> scontro con le truppe pontificie del 18 settembre 1860 – <strong>per</strong> scioglierla sia tramite<br />

la ricostruzione documentata degli eventi, sia (è l’aspetto più interessante, benché penalizzato<br />

dall’impostazione del saggio) attraverso l’esame dei «vizi» da cui fu affetta tanta memorialistica.<br />

Dopo la morte di Cialdini, infatti, penne più o meno note elaborarono appropriazioni<br />

strumentali del «mito» <strong>della</strong> sciaguratezza di Cialdini, che si tramandava oralmente nei<br />

borghi marchigiani, nell’ambito di una più ampia campagna polemica contro la «conquista<br />

regia» del 1860.<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Culture <strong>della</strong> rivoluzione e <strong>della</strong> controrivoluzione<br />

È dedicato a Letteratura e Politica. Sulla controrivoluzione nell’Europa del XIX seco<strong>lo</strong> il fascico<strong>lo</strong><br />

monografico n. 24 di MR, che ospita contributi relativi al modo in cui testi specifici<br />

hanno coltivato e promosso va<strong>lo</strong>ri controrivoluzionari in vari contesti nazionali. I sei saggi alternano<br />

l’analisi testuale e intertestuale ad un esame più concentrato sul mercato editoriale,<br />

proponendo punti di vista diversi e prospettive di studio che si integrano reciprocamente. Di<br />

carlismo, già oggetto dell’intervento di Urquijo Goitia, si occupano anche i due saggi di Rújula<br />

e Santos Zas, impegnati il primo a ricostruire modalità e fasi <strong>della</strong> rappresentazione di alcuni<br />

attori <strong>della</strong> prima guerra carlista, il secondo a ri<strong>per</strong>correre i va<strong>lo</strong>ri espressi da un’o<strong>per</strong>a<br />

specifica, la Guerra Carlista di Valle-Inclán. Dal primo artico<strong>lo</strong> emerge con chiarezza l’attenzione<br />

<strong>della</strong> letteratura <strong>per</strong> soggetti protagonisti del conflitto i quali, presi in prestito da romanzi,<br />

racconti, biografie, finiscono nel tempo con il riflettere non so<strong>lo</strong> le trasformazioni politiche<br />

e culturali <strong>della</strong> Spagna, ma anche le mutevoli esigenze di un mercato editoriale in continuo<br />

ampliamento. Cabrera e Zumalacárregui, comandanti carlisti, diventano al<strong>lo</strong>ra <strong>per</strong> Rújula<br />

la cartina al tornasole di interessi propri sia di un’opinione pubblica che li vede (e vuole),<br />

alternativamente, eroi tragici e spietati guerrieri, sia di un mercato che affronta alcuni nodi<br />

<strong>della</strong> storia del paese inseguendo il gusto e le aspettative dei lettori. Questi, nella serie storica<br />

<strong>della</strong> Guerra Carlista di Valle-Inclán, trovano una rappresentazione monolitica di un conflitto<br />

che viene rappresentato, ci spiega Santos Zas, come difesa collettiva <strong>della</strong> Spagna tradizionale.<br />

Una rappresentazione volta a creare una contrapposizione tra liberali e carlisti, che privilegia<br />

i secondi a svantaggio dei primi, e che è messa in scena attraverso meccanismi narrativi<br />

funzionali ad uno specifico messaggio e ad un’altrettanto specifica interpretazione.<br />

Mirato a restituire complessità ad una figura come quella di Pierre-Simon Ballanche è invece<br />

il saggio di Cassina, che reclama poliedricità <strong>per</strong> una figura condannata all’anonimia a<br />

causa <strong>della</strong> sua presunta appartenenza al mare magnum <strong>della</strong> retorica controrivoluzionaria.<br />

Cassina si sofferma soprattutto sulla centralità che in questo autore assume la legge del progresso,<br />

e vede in essa un’importante aspetto del pensiero di Ballanche, da approfondire <strong>per</strong> poter<br />

meglio col<strong>lo</strong>care questo autore spogliando<strong>lo</strong> dai condizionamenti a cui è stato sottoposto<br />

nel tempo. Apparentemente più omogenea e priva di sfumatura l’immagine (e l’o<strong>per</strong>a) di Antonio<br />

Bresciani, che Del Corno analizza a partire dall’incarico affidatogli dalla «Civiltà Cattolica»:<br />

quel<strong>lo</strong> di comporre una serie di romanzi storici da pubblicare a puntate sulla rivista,<br />

impegnata a combattere la diffusione di «va<strong>lo</strong>ri negativi», soprattutto tra giovani e donne. Dal<br />

1852 al 1862 Bresciani si dedicherà ad un’o<strong>per</strong>a di promulgazione di idee, utili a mettere a<br />

punto una nuova morale <strong>per</strong> una società in continuo mutamento.<br />

I due saggi finali del fascico<strong>lo</strong> entrano nel vivo <strong>della</strong> memoria collettiva e dei suoi meccanismi,<br />

prendendo in esame il fenomeno del miguelismo e il mito <strong>della</strong> Vandea. Nel primo caso,<br />

De Fátima Sá e Ferreira mostrano come l’esilio di Don Miguel e i suoi tentativi, veri o pre-<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

sunti, di rientrare in Portogal<strong>lo</strong> alimentassero il mito di un <strong>per</strong>sonaggio attraverso voci, racconti,<br />

notizie relative ad una sua presenza in varie parti d’Europa, una presenza che nutriva<br />

s<strong>per</strong>anze o, all’opposto, sospetti. In questo caso, un discorso frutto di testi scritti e oralità, di<br />

fiction e realtà, contribuiva a legittimare l’esistenza di un fenomeno politico assai rilevante.<br />

Nel caso <strong>della</strong> Vandea esaminato da Martin, invece, è chiara la difficoltà di rielaborare la «guerra<br />

di Vandea» a livel<strong>lo</strong> collettivo e nazionale, difficoltà che si riscontra non so<strong>lo</strong> nella stesura<br />

di manuali scolastici, ma anche nell’integrazione di memorie radicate nei singoli territori. Una<br />

nutrita letteratura storica militante, attiva fino alla fine del XX seco<strong>lo</strong>, spiega Martin, ha infatti<br />

determinato la riduzione del conflitto a scontro tra Bene e Male, tra città e campagna,<br />

tra Parigi e provincia, strumentalizzando il ricordo <strong>della</strong> guerra fino ad inventare una controrivoluzione<br />

mitica. O<strong>per</strong>azione dall’ovvio e forte significato politico, simbolico e ideo<strong>lo</strong>gico.<br />

Su SeS Chiancone ri<strong>per</strong>corre l’impegno attivo e dinamico di Francesco Pezzi a direzione<br />

<strong>della</strong> «Gazzetta di Milano», dalle cui pagine emerge una Lombardia asburgica che oculatamente<br />

vigila sulla cronaca non so<strong>lo</strong> politica, ma anche teatrale. Prudenza, convenienza e moderazione<br />

appaiono le tre caratteristiche di un giornale che s<strong>per</strong>imenta la polemica con i romantici,<br />

offre il termometro <strong>della</strong> vita mondana milanese, introduce al pubblico di lettori le<br />

osservazioni meteoro<strong>lo</strong>giche, mirando ad un preciso scopo: quel<strong>lo</strong> «di sempre più raffinare la<br />

civil società», obiettivo al quale Pezzi tende fino alla morte, avvenuta nel 1831.<br />

Gli scritti letterari del giovane Mazzini vengono riletti da Satto nel tentativo di impostare<br />

una più complessa definizione di «Romanticismo politico», la cui declinazione italiana si<br />

pone in un rapporto problematico col paradigma schmittiano. Del Mazzini carbonaro Satto<br />

va<strong>lo</strong>rizza i forti legami con l’es<strong>per</strong>ienza del «Conciliatore», fucina di un’idea di letteratura nazionale<br />

e popolare eminentemente educativa, civile e politica. Su questo retaggio si innestarono<br />

le riflessioni sulla inquieta «generazione contemporanea», sul ruo<strong>lo</strong> «sacerdotale» di scrittori<br />

e intellettuali, sulle potenzialità rivoluzionarie delle classi popolari. Secondo l’a. – che si<br />

avvale degli studi classici di Della Peruta, MacSmith, Mastel<strong>lo</strong>ne e Sarti, e di lavori sulle religioni<br />

politiche dell’800 – l’accentuazione <strong>della</strong> tematica europea, la lettura critica di Herder,<br />

la delusione verso la deriva «dottrinaria» dei francesi, corrispondono ad altrettante peculiarità<br />

del Romanticismo politico mazziniano, che bastano a confermarne l’autonomia rispetto all’idealtipo<br />

anti-illuminista.<br />

Il ’48 è al centro di un ritorno di interesse che spesso si segnala <strong>per</strong> la novità di approcci<br />

e metodo<strong>lo</strong>gie. Francia espone parte di una lunga ricerca sulla Toscana. Dopo aver valutato<br />

il legato <strong>della</strong> storiografia di impostazione gramsciana e aver dichiarato i propri riferimenti<br />

internazionali (i Subaltern Studies, la ricerca francese sulla politisation des paysans), l’a. riprende<br />

il discorso sui ceti rurali adottando una prospettiva «dal basso», in modo da individuare le<br />

strategie di traduzione delle «novità politiche» dispiegate tra 1847 e 1849. La politica entrò<br />

nel discorso popolare quando nei tumulti fecero irruzione parole d’ordine del discorso liberale<br />

e nazionale. Francia utilizza una quantità di fonti (dai rapporti di polizia alle canzoni),<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

mostrando la circolarità e l’ibridazione tra codici vecchi e nuovi. Tra i casi riportati, appare<br />

emblematico quel<strong>lo</strong> che ebbe luogo a Castagneto nell’autunno del 1847: la rivolta contro il<br />

«signore» (ex feudatario), alimentata dal risentimento <strong>per</strong> la soppressione degli usi civici, si<br />

incrociò con l’affermazione <strong>della</strong> guardia civica. L’istituzione borghese intercettò l’umore popolare<br />

incanalando<strong>lo</strong> in una mobilitazione «patriottica», e nell’aspettativa di un nuovo ordine<br />

– la nazione – che ambiguamente alimentava le s<strong>per</strong>anze di recu<strong>per</strong>are consuetudini e diritti<br />

antichi.<br />

Partendo dalla metodo<strong>lo</strong>gia di Schratteneker e dai lavori di Leydi, Alberton si addentra<br />

nell’analisi delle canzoni popolari che circolarono durante il ’48. L’analisi del corpus conferma<br />

tesi consolidate sulle dinamiche di costruzione del discorso nazionale, ma evince pure elementi<br />

(il richiamo alle figure del protonazionalismo sei-settecentesco o il posto d’onore <strong>della</strong> «camicia<br />

rossa») che fanno la specificità del linguaggio risorgimentale popolare. L’a. avanza ipotesi<br />

e interrogativi da rimettere al vaglio di ulteriori ricerche. Si può parlare, nel 1848, dell’esistenza<br />

di un «canone», la cui efficacia fosse la stessa da Nord a Sud, al di là dei confini delle<br />

culture regionali? Quali e quanti furono i punti di contatto tra la cultura patriottica delle élites<br />

e quella dei ceti popolari?<br />

L’assedio di Firenze di Francesco Domenico Guerrazzi è letto da Chiavistelli come parte<br />

integrante di quel «discorso pubblico che […] i vari governi <strong>della</strong> penisola cercarono costantemente<br />

di negare» (p. 113). Nelle pagine del romanzo Chiavistelli ritrova alcuni degli elementi<br />

caratterizzanti la «Monarchia popolare» cara al livornese: una forma statale in grado di<br />

conciliare ampie basi sociali, liberalismo e dinastia <strong>lo</strong>renese, sulla base di un concetto di «popo<strong>lo</strong>»<br />

fondato su reminiscenze classiche. L’idea istituzionale di Guerrazzi è col<strong>lo</strong>cata nel novero<br />

assai eterogeneo di modelli statali che si contendevano il primato nel patriottismo liberale.<br />

L’a. discute poi le ragioni del suo fallimento. Nel 1848-49 il guerrazziano mélange di antico<br />

e moderno si rivelò fragile: l’ideale del popo<strong>lo</strong> virtuoso e alieno alla faziosità parlamentare<br />

non trovò corrispondenza nella realtà. Alla fine (così in un’ottica di storia istituzionale si<br />

spiega l’isolamento patito da Guerrazzi) quel model<strong>lo</strong> «letterario» scontentò tutti: il granduca<br />

e il notabilato moderato, atterriti dalla demagogia; le plebi, lasciate alle cure <strong>della</strong> reazione;<br />

i repubblicani e i democratici puri, ostili all’inconcludente compromesso.<br />

La scrittura è al centro anche di due saggi che offrono riflessioni metodo<strong>lo</strong>giche sull’uso<br />

di fonti specifiche quali l’autobiografia e gli epistolari. Tasca propone l’indagine di un campione<br />

di autobiografie italiane dell’800, analizzate dal punto di vista del nesso individuo/società<br />

e dei <strong>per</strong>corsi di vita, delle traiettorie geografiche e sociali che spingevano soggetti fortemente<br />

diversificati a raccontare la propria vita. L’a. mostra come il rapporto scrittura/sfera<br />

pubblica ridimensioni fortemente il carattere democratico dell’autobiografia, rivelando come<br />

chi scrive occupi già uno spazio pubblico e ambisca alla fama e al successo o, più in generale,<br />

a una sorta di riconoscimento derivante dal giudizio altrui. Altra forma di scrittura è invece<br />

quella individuata da Bellucci, che esamina le lettere di circa 280 donne indirizzate a Vincen-<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

zo e Antonio Salvagnoli (rispettivamente avvocato e igienista toscani), rivelando in esse uno<br />

specifico linguaggio degli oggetti descritti o scambiati, comunque in grado di gettar luce sulle<br />

relazioni familiari e sociali coltivate dalle scriventi. Nel saggio, la scrittura si riempie di immagini<br />

relative a cose (cibo, vestiario, arredi, ritratti, album, diari) che svelano da un lato la<br />

natura di uno spazio dell’«intimo» egemonizzato dalle donne, dall’altro la specificità <strong>della</strong> costruzione<br />

– o del rafforzamento – di un senso del sé delle scriventi. In questo caso, la pratica<br />

del<strong>lo</strong> scrivere dà vita ad un gioco identitario che consente forme peculiari di autonomia e protagonismo.<br />

La centralità dei democratici nell’invenzione <strong>della</strong> «tradizione» letteraria risorgimentale è<br />

invece colta da Mori nei suoi limiti costitutivi. Mori ri<strong>per</strong>corre la fortuna di Garibaldi come<br />

<strong>per</strong>sonaggio e mito, a partire dagli scritti dei contemporanei sino al pieno ’900. Se fino ai primi<br />

anni ’80 il Nizzardo e la camicia rossa conobbero una traduzione testuale notevole anche<br />

<strong>per</strong> la modernità stilistica, la fagocitazione da parte dalla tradizione alta, da Carducci a D’Annunzio<br />

a Pascoli, favorì la strumentalizzazione retorica ripresa in seguito da quel «garibaldinismo<br />

fascista» che già Baioni (Risorgimento in camicia nera, Roma-Torino, 2006) ha riproposto<br />

all’attenzione come pagina emblematica <strong>della</strong> «tradizione risorgimentale» del ventennio. Pur<br />

citando generosamente maestri ed epigoni, Mori tace di una importante produzione femminile<br />

che avrebbe meritato una considerazione più generosa. In diverse o<strong>per</strong>e di autrici italiane e<br />

straniere, infatti, il <strong>per</strong>sonaggio Garibaldi appare al centro di scelte narrative e tematiche originali,<br />

di grande interesse sia <strong>per</strong> gli storici <strong>della</strong> storiografia che <strong>per</strong> un’indagine letteraria.<br />

Chiesa, religione e politica. Il «lungo ’48» di Pio IX …<br />

L’intervento del<strong>lo</strong> Stato nella ridefinizione e soppressione delle istituzioni religiose nel <strong>per</strong>iodo<br />

napoleonico prima, unitario poi, continua ad essere tema poco frequentato dalla storiografia<br />

che lascia ad esempio in secondo piano la questione degli effetti generati da questi processi<br />

nei rispettivi contesti territoriali. Campanelli li ri<strong>per</strong>corre a partire dal Concordato stipulato<br />

tra Stato e Chiesa nel 1818 in un ambito specifico, la Terra del Lavoro, in cui, alla stregua<br />

di quanto accadde altrove, la protesta <strong>per</strong> la riduzione del numero delle diocesi spinse il<br />

clero a rivendicare la centralità <strong>della</strong> propria identità non so<strong>lo</strong> in termini religiosi, ma anche<br />

e soprattutto civili, data la funzione complessa da esso svolta nella comunità diocesana. L’a.<br />

insegue appelli e mobilitazioni del clero, compatto nel reclamare la ricostruzione di una rete<br />

di istituzioni ramificate, richiesta rivelatasi complessa e ancora più difficile da accogliere all’indomani<br />

dell’Unità. Altro aspetto del rapporto Stato-Chiesa è quel<strong>lo</strong> indagato da Arru, che<br />

si concentra sul ritorno, in età napoleonica, del cesaropapismo. L’a. spiega come il passaggio<br />

da un sistema concordatario e di coordinazione dei rapporti Stato-Chiesa ad un equilibrio<br />

nuovo determinò profondi mutamenti, qui indagati in relazione a due aspetti: la negazione di<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

ogni autonomia alla Chiesa e il conferimento all’autorità civile <strong>della</strong> sua guida. Tappe e modalità<br />

di realizzazione di questo passaggio vengono ri<strong>per</strong>corse fino all’evento emblematico del<br />

raggiunto assetto cesaropapistico, vale a dire il Concilio Nazionale di Parigi nel 1811.<br />

La RSR dedica due articoli, entrambi basati su documentazione inedita dell’Archivio Segreto<br />

Vaticano, a trattazioni del ’48 distanti dalle più consuete angolazioni di storia nazionale.<br />

Belardinelli intende rileggere il ’48 <strong>della</strong> Chiesa cattolica in un’ottica europea, di storia delle<br />

relazioni dip<strong>lo</strong>matiche e con maggior attenzione <strong>per</strong> le divergenze tra basso clero, vescovi e<br />

nunzi. Il focus si sposta su un ampio contesto in cui in grave <strong>per</strong>ico<strong>lo</strong>, in diversi paesi, versava<br />

<strong>lo</strong> status <strong>della</strong> Chiesa cattolica. Così, se Corboli Bussi convinse la Curia <strong>della</strong> necessità di<br />

assecondare certe richieste popolari (come l’abolizione <strong>della</strong> decima nelle campagne asburgiche)<br />

<strong>per</strong> non cedere posizioni ai liberali, il nunzio a Vienna card. Viale Prelà si affrettava a far<br />

sa<strong>per</strong>e a Roma che la partecipazione alla guerra confederale metteva in serio <strong>per</strong>ico<strong>lo</strong> l’autorità<br />

<strong>della</strong> Santa Sede presso i cattolici austriaci. Secondo l’a., fu il rifiuto <strong>della</strong> guerra in sé il<br />

motivo dominante nelle decisioni di Pio IX (che si inserirebbe in una tradizione di pacifismo<br />

vaticano giunta all’acme con Benedetto XV). Pio IX penalizzò le sue prospettive di sovrano<br />

italiano <strong>per</strong> tutelare la pax europea e l’autorità sovranazionale. Dopo il 29 aprile papa Mastai<br />

restò amico delle nazioni, purché non chiedessero la guerra. Una coerenza dimostrata dal sostegno<br />

alle richieste di autonomia degli slavi cattolici in seno all’Im<strong>per</strong>o asburgico, e dalla proclamazione<br />

del vescovato nazionale nella Confederazione germanica.<br />

Lodolini Tupputi rivisita la documentazione relativa alla soppressione, mai formalizzata,<br />

del<strong>lo</strong> Statuto concesso il 15 marzo 1848. Contestualizzando la sorte <strong>della</strong> Carta nel più generale<br />

conflitto istituzionale che si profilò dopo la fuga del papa, l’a. riporta alcuni atti <strong>della</strong> Curia<br />

rifugiata all’ombra dei Borboni, dai quali risulta che né la scomunica del 1° gennaio, né alcun<br />

atto successivo alla proclamazione <strong>della</strong> Repubblica, contemplassero la vo<strong>lo</strong>ntà di sopprimere<br />

<strong>lo</strong> Statuto. Ipotizza dunque che ancora dopo la capitolazione del 3 luglio Pio IX intendesse<br />

ripristinare il dia<strong>lo</strong>go con i moderati. So<strong>lo</strong> un breve del 27 luglio testimonia <strong>della</strong> decisione<br />

di sopprimere tutte le istituzioni liberali. Per spiegare un tale esito, in contraddizione<br />

con l’ipotesi appena avanzata, Lodolini Tupputi ricorre a ragioni «psico<strong>lo</strong>giche» (Pio IX fu deluso<br />

dalla condotta delle «sue» élites); ma ciò che appare più interessante è la descrizione dell’impasse<br />

che il tentennamento del papa-re procurò nella vita di un’amministrazione che <strong>per</strong><br />

mesi non seppe a quali ordinamenti rifarsi.<br />

Arru ripropone su Clio il testo (senza note) di una conferenza sulla legislazione ecclesiastica<br />

varata dalla Repubblica romana. All’inizio sembrò dominare la vo<strong>lo</strong>ntà di conciliare<br />

istanze laiciste e considerazione <strong>per</strong> l’autorità spirituale del pontefice. Ancora alla vigilia <strong>della</strong><br />

capitolazione Mazzini si mostrava disponibile a riconoscere al cattolicesimo il rango di religione<br />

di Stato, pur avendo provveduto a porre le basi del culto repubblicano. Una cesura –<br />

anch’essa più apparente che concreta, secondo l’a. – si verificò so<strong>lo</strong> a fine aprile, quando il<br />

Triumvirato reagì all’ostilità di molti chierici ponendo mano a una legislazione «giacobina».<br />

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Arru tiene comunque a sottolineare che, se quelle riforme colpirono drasticamente gli ordini<br />

regolari, i parroci – in primis quelli delle <strong>per</strong>iferie e dei centri popolari – figuravano come i<br />

primi beneficiari dei proventi dell’incameramento dei patrimoni monastici.<br />

… e delle donne<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Zazzeri applica gli strumenti dei Visual Studies alle rappresentazioni <strong>della</strong> «donna in armi»<br />

circolate sulla stampa pre- e post-quarantottesca. La partecipazione in armi, verificatasi<br />

in momenti eccezionali (si prendono qui in esame i fatti di Palermo e l’8 agosto bo<strong>lo</strong>gnese),<br />

complicò il nesso cittadinanza-nazione-emancipazione, minacciò la tenuta dei ruoli di genere<br />

codificati dal discorso liberale e preannunciò rivendicazioni politiche. La satira si incaricò<br />

al<strong>lo</strong>ra di «addomesticare» quella che era stata una pur contingente realtà. L’a. esamina i topoi<br />

più ricorrenti nelle illustrazioni. La donna con la baionetta era un’immagine rassicurante so<strong>lo</strong><br />

se circondata dai propri figli e rimessa al control<strong>lo</strong> di ufficiali uomini. Mentre quelle che si<br />

erano armate <strong>per</strong> varcare in tutti i sensi la soglia <strong>della</strong> domesticità – e tutte co<strong>lo</strong>ro che vagheggiavano<br />

di infrangere altri sacrari dell’identità maschile – comparivano in tutt’altra luce: su<br />

uno sfondo carnevalesco, in un mondo alla rovescia popolato da mostri (lesbiche e virago) che<br />

attentavano alle prerogative – pubbliche, private e sessuali – maschili.<br />

Nel<strong>lo</strong> stesso numero di Gen, Fruci presenta le forme <strong>della</strong> partecipazione femminile ai plebisciti<br />

del 1848 e del 1860, come momenti di elaborazione di codici, pratiche e riti passati in<br />

eredità all’emancipazionismo post-unitario. Quando non si espresse <strong>per</strong> vie extralegali o illegali<br />

(presso seggi speciali, nel Sud; tramite irruzioni nei comizi ufficiali, al Nord) e ricorse piuttosto<br />

alla petizione, la «presa di parola» delle «cittadine senza cittadinanza» puntò a integrare le<br />

canoniche qualità femminili (l’emotività, il sentimento, la maternità) nel nuovo ordine simbolico-politico,<br />

in una richiesta di inclusione «separata» condotta sul registro <strong>della</strong> supplica. L’autorità<br />

maschile – di cui Fruci indaga le reazioni – neutralizzò facilmente la mobilitazione elargendo<br />

concessioni (i banchetti femminili, le raccolte di offerte, l’ammissione di pochissime benemerite<br />

al voto) tanto «ornamentali» quanto vuote di significato politico.<br />

Il mazzinianesimo nella storia italiana ed europea<br />

Paolino ribadisce l’importanza del <strong>per</strong>iodo svizzero e degli scambi con i democratici tedeschi<br />

nella vicenda del mazzinianesimo. Non bastò il precoce distacco del Junges Deutschland<br />

dalle proposte strategiche del Genovese a invalidare una fitta rete di rapporti e progetti.<br />

L’a. individua altrove l’origine <strong>della</strong> crisi di questa «coo<strong>per</strong>azione intellettuale». La questione<br />

di Venezia nel 1866 e poi quella di Trieste fecero affiorare risentimenti nazionalistici che do-<br />

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vevano aver la meglio sul residuo cosmpolitismo democratico. Ai democratici renani, inoltre,<br />

giunse assai poco gradita la valutazione tiepidamente positiva (nel merito, se non nel metodo)<br />

dell’azione bismarckiana, che Mazzini aveva tratteggiato all’indomani di Sadowa.<br />

Alla Giovine Italia e al Partito d’Azione Morisi applica un questionario <strong>della</strong> scienza politica,<br />

al fine di misurarne il grado di «modernità». Inserendosi in una querelle che da tempo<br />

anima la storiografia, l’a. mira a dimostrare che alle due formazioni risorgimentali (e alla successiva<br />

Alleanza repubblicana) va riconosciuto – pur in considerazione dei limiti determinati<br />

dal momento storico-politico – il rango di «partiti» moderni; e che, di conseguenza, andrebbe<br />

ridimensionato il primato comunemente accordato in questo senso al Partito Socialista.<br />

Comparando le formazioni mazziniane e il PSI sulla base di quattro parametri (strutturazione,<br />

capacità di mobilitazione, capacità di aggregazione di interessi, attività politica), l’a. confuta<br />

la tesi che le prime non andassero oltre il <strong>per</strong>imetro del «gruppo di intellettuali». Il <strong>lo</strong>ro<br />

successo come forze nazionali e multiclasse sembra anzi tanto più notevole, quanto più <strong>lo</strong> si<br />

accosta alla vicenda del PSI: una formazione, secondo i dati qui esposti, la cui subalternità rispetto<br />

al sindacato e alle associazioni preesistenti limitò fortemente, fino alla riforma elettorale<br />

del 1919, sia la crescita strutturale, sia l’unità d’azione e l’efficienza politica.<br />

Emigrazione e urbanizzazione<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

In contrasto con la visione consolidata di un’emigrazione dal Mezzogiorno più arcaica e<br />

contadina rispetto a quella settentrionale, Cappelli studia i piccoli flussi migratori dal territorio<br />

appenninico verso le regioni <strong>per</strong>iferiche del Brasile, dell’America centrale e dei Caraibi, ovvero<br />

in aree marginali rispetto agli approdi delle principali direttrici delle migrazioni europee,<br />

evidenziando attraverso un’analisi comparativa l’importanza che le tradizioni lavorative e sociali<br />

dei venditori ambulanti e dell’artigianato meridionale ebbero nel processo di modernizzazione<br />

e di urbanizzazione dell’America latina.<br />

Uno studio comparativo, ma con una metodo<strong>lo</strong>gia diversa, usa anche Rainhorn <strong>per</strong> indagare<br />

il livel<strong>lo</strong> di integrazione delle comunità italiane di Parigi e New York. Confrontando<br />

l’intreccio tra legami di parentela e reti sociali emerge chiaramente una profonda differenza di<br />

comportamenti demografici tra le due comunità, spiegabile alla luce delle peculiarità del contesto<br />

di arrivo e <strong>della</strong> strutturazione interna dei gruppi migranti. Mentre gli italiani trapiantati<br />

ai bordi <strong>della</strong> Senna in molti casi si fusero precocemente con i francesi, quelli che si trasferirono<br />

nella «Grande Mela» mantennero <strong>per</strong> molti decenni una stretta endogamia, dando<br />

vita a una comunità <strong>lo</strong>cale fortemente caratterizzata dall’«italianità». Masse in movimento sono<br />

anche quelle di cui parla Sanfilippo a proposito di Roma, a partire dai pellegrinaggi religiosi<br />

altomedievali che, soprattutto dopo l’istituzione nel 1300 degli Anni Santi, assicurarono<br />

già notevoli ricadute economiche. Da una situazione dominata dall’immigrazione tempo-<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

ranea si passò, con la ripresa demografica cinquecentesca, alla presenza di varie comunità stabili,<br />

il cui peso aumentò negli anni <strong>della</strong> dominazione napoleonica e si mantenne nel corso<br />

dell’800 e del primo ’900 anche grazie al <strong>per</strong>manere di Roma nei circuiti del Grand Tour e<br />

dell’istruzione artistica, <strong>per</strong> poi modificarsi radicalmente quando la sconfitta militare del regime<br />

fascista portò nell’Urbe un’ondata senza precedenti di profughi italiani, che fece da apripista<br />

<strong>per</strong> l’arrivo di altri emigranti, in fuga dai paesi comunisti, sudamericani e africani. Città<br />

di emigrati fu anche Trieste, l’emporio commerciale dell’im<strong>per</strong>o asburgico studiato da Krmac,<br />

fortissimo po<strong>lo</strong> d’attrazione <strong>per</strong> le altre province austriache contermini e <strong>per</strong> le popolazioni<br />

italiane dell’Adriatico. Un abitante su due, a metà ’800, era nato fuori dalle sue mura, grazie<br />

anche alla diaspora ebraica che nei decenni precedenti aveva abbandonato <strong>lo</strong> stato pontificio,<br />

dopo il ripristino delle antiche prescrizioni da parte di Leone XII, e a una significativa presenza<br />

di popolazioni provenienti dall’im<strong>per</strong>o ottomano e dalla Grecia.<br />

Al<strong>lo</strong> spazio urbano parigino sono dedicate le pagine di due articoli che indagano rappresentazioni<br />

e attori di una modernità tradizionalmente riassunta nell’immagine del boulevard.<br />

A partire dalla decostruzione delle categorie analitiche di Benjamin – a cui sono dedicate anche<br />

le note di Riot-Sarcey – e dall’inclusione <strong>della</strong> letteratura in una riflessione sulla produzione<br />

storica <strong>della</strong> città, David recu<strong>per</strong>a luoghi e attori di un paesaggio plurimo, in cui es<strong>per</strong>ienze<br />

e vissuti emergono dall’indifferenza <strong>della</strong> bohème letteraria e si ricol<strong>lo</strong>cano in un tessuto<br />

di scambi e relazioni che fondano un’umanità ricca e differenziata. Questa umanità, scrive<br />

Gribaudi, problematizza l’immagine mito<strong>lo</strong>gica del boulevard e rivela le linee di tensione di<br />

una modernità alternativa e/o antagonista che <strong>lo</strong> sguardo dei contemporanei – al pari di quel<strong>lo</strong><br />

degli storici – ha fatto fatica a identificare, fisso com’era su un’idea di progresso coerente e<br />

lineare. Gribaudi analizza il mondo plurimo e brulicante «nascosto» nei passages parigini indicandovi<br />

un’alterità ricca di potenzialità, forte nella richiesta di mobilità e mescolanza sociale<br />

che di fatto si realizzava nei luoghi e nelle festività di quartieri in continua espansione. Con<br />

l’esp<strong>lo</strong>sione e la repressione del ’48, la gamma di possibilità a<strong>per</strong>te dalla vivacità sociale degli<br />

anni precedenti si restringe drammaticamente, producendo una frattura mai rimarginata nel<strong>lo</strong><br />

spazio <strong>della</strong> società parigina e francese: una frattura che neppure l’ansia ordinatrice di Haussmann<br />

riuscì a ricomporre nelle nuove forme pianificate <strong>per</strong> la città.<br />

Il corpo <strong>della</strong> città, il suo tessuto, i suoi volumi, le sue strutture sono al centro di altri studi<br />

che intrecciano sa<strong>per</strong>i disciplinari differenti, nel tentativo di restituire complessità al mondo<br />

urbano e alle sue trasformazioni. Anche in questo caso Parigi occupa uno spazio importante<br />

nell’analisi. Facendo inter<strong>lo</strong>quire storia <strong>della</strong> tecnica e storia urbana, Chatzis analizza<br />

modalità e effetti dell’introduzione dei contatori dell’acqua nel sistema di erogazione idrica<br />

cittadino, un sistema economicamente e socialmente connotato che, a partire dal suo rinnovamento<br />

nel 1876, produrrà nuovi attori nella gestione dell’acqua e nuove utenze nel suo consumo,<br />

determinando un nuovo protagonismo da parte <strong>della</strong> municipalità e pratiche inedite<br />

nell’ambito <strong>della</strong> fruizione del nuovo servizio. Se l’approccio tecno<strong>lo</strong>gico alla storia di un’in-<br />

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frastruttura urbana consente qui di leggere modi e scambi sociali, il paradigma ambientale<br />

<strong>per</strong>mette a Varriale di confrontarsi con la questione <strong>della</strong> sanità urbana a Napoli a partire da<br />

un’attenzione speciale: quella alle continuità e rotture nella <strong>per</strong>cezione del sottosuo<strong>lo</strong> <strong>della</strong><br />

città come spazio fondamentale <strong>per</strong> l’equilibrio sanitario complessivo. L’a. ri<strong>per</strong>corre la radicata<br />

difficoltà a riconoscere l’igiene preventiva come bisogno collettivo prima ancora che individuale<br />

e l’incapacità delle istituzioni <strong>lo</strong>cali a pensare il problema del cic<strong>lo</strong> dei rifiuti a scala<br />

regionale: problema che dall’800 in poi accompagnerà le trasformazioni <strong>della</strong> città rimanendo<br />

questione drammaticamente inevasa.<br />

Istituzioni e società<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Sul tema delle cosiddette istituzioni totali, oggetto di un rinnovato interesse storiografico,<br />

Lucrezio Monticelli evidenzia le peculiarità che il <strong>per</strong>corso verso l’affermazione <strong>della</strong> prigione<br />

come principale forma di pena ebbe nel<strong>lo</strong> Stato pontificio rispetto al quadro europeo.<br />

Da un lato, vi furono la precocità delle s<strong>per</strong>imentazioni penitenziarie, iniziate a Roma già a<br />

metà del XVII seco<strong>lo</strong>; l’influenza <strong>della</strong> concezione cattolica <strong>della</strong> carità sulle strutture di repressione<br />

pontificie e le ana<strong>lo</strong>gie tra le finalità espiative ed emendative <strong>della</strong> pena reclusoria e<br />

la regola monastica dell’ora et labora. Dall’altro lato, l’a. evidenzia la mancanza di un’elaborazione<br />

sistematica delle nuove teorie punitive che fosse in grado di supportare le innovazioni<br />

introdotte negli ordinamenti e nell’edilizia carceraria e il peso di una concezione fortemente<br />

negativa <strong>della</strong> criminalità femminile, visto come un atto contro natura, che violava al tempo<br />

stesso le leggi umane e quelle divine. Latini si sofferma invece sulla promulgazione del Regolamento<br />

di giustizia criminale e disciplinale militare, avvenuta nel 1842 nei territori papali. L’a.<br />

indaga gli aspetti più rilevanti del Regolamento che delineava l’oggetto <strong>della</strong> giustizia criminale,<br />

i delitti e le contravvenzioni disciplinali, le modalità di svolgimento dei processi. Più in<br />

generale, Latini segnala la crescente esigenza del<strong>lo</strong> stato pontificio di procedere ad una codificazione<br />

nell’ambito penale militare e la connessa capacità di approdare ad una disciplina organica,<br />

che identificava norme e strumenti di un ambito specifico dell’amministrazione <strong>della</strong><br />

giustizia criminale. Infine, sottolineando le disattenzioni <strong>della</strong> storiografia italiana che ha a<br />

lungo insistito su una storia tutta ospedaliera <strong>della</strong> malattia mentale, Guarnieri fa il punto, attraverso<br />

il caso fiorentino, sulla diffusione <strong>della</strong> custodia domestica sussidiata dei malati psichiatrici<br />

negli anni <strong>della</strong> grande espansione del manicomio in Italia, fino al <strong>per</strong>iodo fascista,<br />

che interpretò in senso restrittivo la legislazione giolittiana sugli alienati e provocò un ulteriore<br />

incremento <strong>della</strong> popolazione reclusa nei manicomi.<br />

Il rapporto amministrazione-società nel Lombardo-Veneto, già al centro dei lavori di Meriggi<br />

e Mazohl-Wallnig, è esaminato da Arisi Rota sulla scorta delle indicazioni <strong>della</strong> storia<br />

culturale. L’artico<strong>lo</strong> tratta dei bollettini dedicati agli umori del<strong>lo</strong> «spirito pubblico», testi as-<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

sai ricchi di indicazioni sull’aggravarsi del divario tra il dogmatismo neoassolutista e un patriottismo<br />

che dopo il ’48 aveva rinnovato modi d’espressione, profi<strong>lo</strong> sociale, forme di autocelebrazione<br />

e di costruzione <strong>della</strong> memoria. L’a. appunta l’attenzione sul linguaggio, mettendo<br />

in rilievo che funzionari e informatori utilizzavano «un codice comune di comunicazione,<br />

antagonistico rispetto al discorso risorgimentale […] e che tuttavia con questo finisce inevitabilmente<br />

<strong>per</strong> intersecarsi e quasi integrarsi» (p. 113). Nel 1857 agli osservatori del governo<br />

appariva chiaro che il «partito nazionale» riuniva in un fronte compatto – <strong>per</strong><strong>lo</strong>più sotto insegne<br />

fi<strong>lo</strong>-sabaude – gruppi sociali diversi, liberali e chierici, aristocratici e montanari, industriosi<br />

borghesi e facinorosi di piazza. I più realisti premettero <strong>per</strong> l’alleggerimento <strong>della</strong> pressione<br />

fiscale e <strong>per</strong> il miglioramento delle condizioni delle popolazioni rurali, <strong>per</strong> le quali pane<br />

e nazione facevano spesso tutt’uno come parole d’ordine. Arisi Rota traccia un efficace contrappunto<br />

tra la radicalizzazione del linguaggio patriottico del 1858-59 e l’inane slancio retorico<br />

con cui <strong>lo</strong> Stato cercò di propagandare il «nuovo corso» im<strong>per</strong>sonato dal viceré Massimiliano.<br />

Casalena ri<strong>per</strong>corre la storia dei Congressi degli scienziati italiani sotto l’aspetto <strong>della</strong><br />

composizione sociale dei partecipanti e dei principali temi in discussione, evidenziando come<br />

la distanza di fondo tra la minoranza degli scienziati «veri», o comunque di co<strong>lo</strong>ro che intendevano<br />

promuovere <strong>lo</strong> sviluppo in senso professionale <strong>della</strong> scienza nelle istituzioni statali, e<br />

la maggioranza formata da un notabilato socialmente eminente ma portatore di una visione<br />

dilettantistica <strong>della</strong> scienza, abbia alla fine provocato il fallimento di questa es<strong>per</strong>ienza, che<br />

non fu in grado di dare origine a un’associazione scientifica nazionale paragonabile a quelle<br />

che nacquero all’epoca in Europa e in America.<br />

Già autore di un volume sui briganti di Capitanata (Roma, 1999), Clemente passa a indagare<br />

la risposta del<strong>lo</strong> Stato. Stavolta, sono protagonisti i prefetti che si insediarono a Foggia<br />

tra 1860 e 1864: un democratico nominato da Garibaldi e quattro funzionari di carriera di<br />

origine settentrionale. Attraverso le carte degli archivi di Stato di Foggia e Lucera, dell’Archivio<br />

storico <strong>della</strong> Camera dei Deputati e del Fondo Lamarmora depositato a Biella, l’a. ricostruisce<br />

(con un approccio che potremmo definire «funzionalista») il groviglio di rapporti che<br />

rendeva difficile l’estirpazione del brigantaggio. A poco servì il tentativo dei funzionari di minare<br />

le basi sociali <strong>della</strong> ribellione, calmierando i prezzi e promuovendo lavori pubblici. Come<br />

dimostra l’a., la responsabilità dell’impasse non fu esclusiva <strong>della</strong> società e <strong>della</strong> cultura <strong>lo</strong>cali;<br />

<strong>per</strong> altre ragioni – rivalità, diffidenza, incomprensione – anche parecchie élites militari,<br />

parlamentari e amministrative settentrionali guardarono con animo astioso all’intraprendenza<br />

di alcuni prefetti approdati nel Sud.<br />

Marongiu torna sulla questione <strong>della</strong> «finanza allegra» dei primi governi <strong>della</strong> Sinistra storica,<br />

escludendo che la situazione del fisco italiano fosse in linea con quanto avveniva in Europa<br />

a causa dell’accrescimento degli apparati statali. Furono politiche, più che amministrative<br />

o strutturali, le cause di un orientamento che ebbe tra le sue conseguenze una crisi dei<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

consumi popolari peggiore di quella (pur proverbiale) dell’epoca Sella-Minghetti. I ceti più<br />

deboli pagarono non tanto i costi di un co<strong>lo</strong>nialismo che fino al 1886 fu poco oneroso, o di<br />

un accrescimento dei servizi che si attuò a rilento e lacunosamente, quanto piuttosto i costi<br />

del trasformismo. I prezzi alimentari risentirono dei dazi pretesi dagli agrari, mentre l’intesa<br />

tra governo e latifondisti vanificò le promesse di <strong>per</strong>equazione e redistribuzione. La politica<br />

ferroviaria fu impostata a tutto vantaggio dei gestori privati; quella scolastica scaricò sulle comunità<br />

meridionali l’onere di supplire ai magri bilanci delle <strong>lo</strong>ro amministrazioni.<br />

La presenza e il ruo<strong>lo</strong> dei magistrati nel Parlamento liberale è invece il tema con cui si<br />

confronta Soddu, che presenta i primi dati di una ricerca in corso mirata ad analizzare le biografie<br />

dei magistrati, il <strong>lo</strong>ro coinvolgimento nelle attività parlamentari, la <strong>lo</strong>ro incidenza nel<br />

processo decisionale. Soddu evidenzia la generale riserva mostrata nei confronti <strong>della</strong> <strong>lo</strong>ro presenza<br />

nella Camera elettiva, dettata dalla diffusa <strong>per</strong>cezione dell’esistenza di una sorta di incompatibilità<br />

funzionale tra il ruo<strong>lo</strong> di magistrato e quel<strong>lo</strong> di membro del Parlamento. Percezione<br />

che portò a stabilire, nel 1860, l’ineleggibilità come regola generale e a limitare il numero<br />

degli impiegati a non più di un quinto del totale dei membri <strong>della</strong> Camera elettiva.<br />

La Sardegna di età liberale è <strong>lo</strong> scenario in cui si dispiega la storia – anzi, la «vittoria» – di<br />

un‘amministrazione comunale destinata, nelle pagine di Soru, ad essere ribaltata dalla politica<br />

fascista dei livelli <strong>lo</strong>cali. Proponendo un’investigazione di lungo <strong>per</strong>iodo sul posto dei Comuni<br />

nel pensiero giuridico italiano, Gardini sottolinea invece che la categoria di «ente autarchico»,<br />

coniata da Mario Borsi nel 1909 e dal<strong>lo</strong> stesso rilanciata nel 1930-31, costituì un continuum<br />

tra Stato liberale e regime fascista, nel<strong>lo</strong> spirito di una via italiana al rapporto<br />

centro/<strong>per</strong>iferia. In questo senso, «autarchia» indicava una notevole ricchezza di funzioni in<br />

assenza di autonomia: uno status che <strong>lo</strong> stesso Borsi intendeva estendere alle Province, al Governatorato<br />

di Roma e alla co<strong>lo</strong>nia libica.<br />

L’organizzazione del sistema di tutela del patrimonio storico-artistico italiano è da alcuni<br />

anni oggetto di studio da parte degli storici, che vi intravedono un terreno di analisi utile ad<br />

approfondire la natura del rapporto centro-<strong>per</strong>iferia nel nostro paese. Verrastro ricostruisce un<br />

momento specifico di questa organizzazione, ovvero la nascita delle soprintendenze create nel<br />

1904 a conclusione di un iter parlamentare lungo e complesso. Le difficoltà, gli ostacoli, le ambiguità<br />

<strong>della</strong> messa a punto del progetto vengono ricondotte alla complessità di un settore che,<br />

a partire dall’Unità, conobbe innovazione ma anche rigidità in grado di compromettere la natura<br />

del patrimonio culturale nazionale, la sua conoscenza e la sua va<strong>lo</strong>rizzazione.<br />

Di altro si occupa invece Strinati, che ri<strong>per</strong>corre le iniziative legislative relative agli infortuni<br />

sul lavoro nel <strong>per</strong>iodo 1879-1885. L’a. traccia la linea degli interessi in gioco nella messa<br />

a punto di norme di intervento in un ambito in cui si assisteva alla continua crescita degli<br />

infortuni, dovuta soprattutto all’espansione edilizia delle grandi città. Tra ambiguità e contraddizioni,<br />

prendeva al<strong>lo</strong>ra corpo l’ipotesi di una politica legislativa orientata a prefigurare<br />

l’intervento del<strong>lo</strong> Stato nella sfera del rapporto di lavoro, in nome dell’esigenza su<strong>per</strong>iore di<br />

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assicurare la pace sociale attraverso misure di prevenzione dei conflitti di classe. Ingrassia ricostruisce<br />

la biografia di Argentina Altobelli a partire dalle carte pubblicate da Silvia Biancardi.<br />

Occorre dire che di questa figura straordinaria – protagonista <strong>della</strong> prima stagione di Federterra,<br />

propugnatrice dell’istituzione del col<strong>lo</strong>camento <strong>per</strong> i braccianti e delle assicurazioni<br />

<strong>per</strong> i lavoratori agricoli, amica di Mussolini e candidata a un posto di governo ancora nel 1924<br />

come responsabile del lavoro rurale femminile, ritiratasi a vita privata dopo il delitto Matteotti<br />

– si ri<strong>per</strong>corrono qui i tanti motivi di interesse <strong>per</strong> la storia del sindacalismo agrario, ma senza<br />

il minimo riferimento alla storia delle donne e alle questioni di genere.<br />

Giovani e politica<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

La politicizzazione <strong>della</strong> prima generazione post-risorgimentale è al centro di un interesse<br />

crescente da parte degli storici, attenti a cogliere rivendicazioni e istanze di co<strong>lo</strong>ro che,<br />

nelle parole di Müller, consideravano <strong>lo</strong> Stato non più una conquista ma un dato di fatto.<br />

Questo assunto consente ai nati dopo il 1870 di assumere posizioni che, <strong>per</strong> quanto riguarda<br />

il liberalismo, appaiono innovative e a tratti dirompenti. È quanto Müller rivela nella sua<br />

analisi <strong>della</strong> parabola dei Giovani liberali, spinti alla costituzione di un vero e proprio partito<br />

dal desiderio di modernizzare il liberalismo. Desiderio a sua volta connesso all’esigenza di<br />

scalzare il potere trasformista, affarista e corrotto, in vista <strong>della</strong> gestione di una politicizzazione<br />

delle masse da parte di una borghesia moderna e dinamica. Se la traiettoria dei Giovani<br />

liberali si chiude con una sconfitta e con una radicalizzazione di istanze che si scioglieranno<br />

nel nazionalismo e poi nel fascismo, l’apprendistato politico degli studenti universitari e<br />

di quelli delle scuole secondarie conobbe, come scrive Papa, una graduale trasformazione e<br />

un importante passaggio dalla goliardia alla militanza patriottica. Le prime associazioni a carattere<br />

ludico e corporativo mostrano infatti da fine seco<strong>lo</strong> un crescente interesse ai va<strong>lo</strong>ri<br />

<strong>della</strong> patria, interesse intercettato da sodalizi sportivi e ricreativi – il Touring Club come la<br />

Dante Alighieri – che riusciranno a va<strong>lo</strong>rizzar<strong>lo</strong> nell’ottica di una maggiore e indiscussa dedizione<br />

alla nazione. Da qui la <strong>per</strong>dita del carattere <strong>lo</strong>calistico e prettamente corporativo dell’associazionismo<br />

studentesco, e la condivisione di istanze veico<strong>lo</strong> simbolico di identità e coesione.<br />

Del <strong>per</strong>corso di un giovane parla anche Di Rienzo, che a partire dalle influenze familiari<br />

e dalle relazioni strette in ambito abruzzese prima, romagno<strong>lo</strong> poi, ri<strong>per</strong>corre le fasi iniziali<br />

<strong>della</strong> formazione intellettuale e politica di Gioacchino Volpe, fino all’accesso alla Scuola Normale<br />

Su<strong>per</strong>iore di Pisa avvenuto nel 1895. L’attenzione dell’a. è tutta posta sull’influsso di Carducci,<br />

«Poeta <strong>della</strong> storia», sul giovane Volpe che da lui ricava il model<strong>lo</strong> interpretativo di una<br />

storia del Medio Evo italiano nazionale e popolare: model<strong>lo</strong> che in Volpe legherà strettamente<br />

il mito delle origini alla costruzione di una storiografia a impianto nazionale.<br />

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<strong>Storia</strong> economica<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Due saggi esp<strong>lo</strong>rano un versante ancora poco frequentato dalla storiografia italiana, quel<strong>lo</strong><br />

dell’impatto che le attività industriali hanno avuto sulla salute e sull’ambiente. Spina ricostruisce<br />

la vicenda di uno dei centri del<strong>lo</strong> zolfo siciliano, dimostrando come i ritardi <strong>della</strong> legislazione<br />

italiana, che so<strong>lo</strong> con la legge sulla polizia delle miniere del 1893 pose le basi <strong>per</strong><br />

l’intervento amministrativo del<strong>lo</strong> Stato nel settore, resero più aspro l’antagonismo tra i proprietari,<br />

che da un lato accentuò l’impatto ambientale dell’attività estrattiva e dall’altro rese<br />

impossibile l’avvio di una coltivazione su vasta scala e con tecniche meno arcaiche. Metodi<br />

moderni furono invece applicati nelle filande calabresi, ma ciò non impedì l’esp<strong>lo</strong>dere di conflitti<br />

tra gli imprenditori e la popolazione <strong>lo</strong>cale. Forse eccessivamente preoccupati <strong>per</strong> l’inquinamento<br />

provocato dagli impianti, ma con una <strong>per</strong>cezione lucida delle conseguenze che<br />

l’accaparramento di una quota rilevante delle risorse idriche da parte degli imprenditori avrebbe<br />

significato, gli abitanti dei comuni in cui erano insediate le filande diedero vita a varie forme<br />

di opposizione, senza <strong>per</strong>ò trovare un vero appoggio nelle autorità <strong>lo</strong>cali, che finirono spesso<br />

<strong>per</strong> dare ragione agli imprenditori sia <strong>per</strong> il timore di danneggiare un’attività altamente produttiva,<br />

sia <strong>per</strong>ché direttamente coinvolte nelle imprese.<br />

Di seta italiana si occupa anche Battistini, che evidenzia come l’età contemporanea sia<br />

iniziata in questo settore con una grave crisi congiunturale, provocata dagli sconvolgimenti<br />

dovuti al B<strong>lo</strong>cco continentale, seguita da un quarantennio di straordinario sviluppo, quando<br />

il settore raggiunse la quota più alta sul PIL italiano, bruscamente interrotto dalla diffusione<br />

<strong>della</strong> pebrina negli anni ’50. Fu so<strong>lo</strong> una crisi congiunturale, <strong>per</strong>ché si ebbe un nuovo, intensissimo<br />

rilancio tra il 1870 e il 1910, che <strong>per</strong>mise agli «organzini» di mantenere a lungo una<br />

posizione leader a livel<strong>lo</strong> internazionale, pur riducendosi la <strong>lo</strong>ro incidenza sul PIL italiano,<br />

prima <strong>della</strong> sua crisi finale. Questi successi furono <strong>per</strong>ò tutti concentrati al Nord: malgrado le<br />

origini meridionali dell’industria serica italiana, se il Mezzogiorno ai primi del ’600 produceva<br />

ancora circa il 50 <strong>per</strong> cento <strong>della</strong> seta grezza di tutta la Penisola, tre secoli dopo questa quota<br />

era crollata al 5 <strong>per</strong> cento.<br />

Una ricostruzione quantitativa dell’industria chimica dei derivati del petrolio e del carbone,<br />

e <strong>della</strong> gomma in Italia dall’Unità alla Grande guerra offre invece Fenoaltea, che evidenzia<br />

il forte sviluppo dei settori «nuovi» (acidi, concimi, elettrochimica), tale da surclassare<br />

la crescita pur notevole dei settori «tradizionali» (fiammiferi, saponi, vernici).<br />

Poettinger indaga il ruo<strong>lo</strong> dell’imprenditoria tedesca nella Lombardia del primo ’800 attraverso<br />

<strong>lo</strong> studio delle reti internazionali e delle politiche governative che portarono al trasferimento<br />

al di qua delle Alpi di alcuni gruppi familiari, come i Kramer e i Mylius, impegnati<br />

in attività commerciali, manifatturiere e finanziarie. Alla storia del sistema bancario nel Regno<br />

Lombardo-Veneto dedica un saggio Conca Messina, che ricostruisce i tentativi infruttuosi<br />

di alcuni uomini d’affari milanesi <strong>per</strong> ottenere l’istituzione di una banca commerciale di<br />

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emissione e di sconto a Milano e realizzare un sistema monetario e finanziario più avanzato,<br />

regolato ed efficiente. Emerge così un nuovo tassel<strong>lo</strong> al quadro più generale <strong>della</strong> crisi del dominio<br />

austriaco in Lombardia, già richiamato da Arisi Rota.<br />

Im<strong>per</strong>i e im<strong>per</strong>ialismo<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

La riflessione sulla violenza nel XIX seco<strong>lo</strong>, ancora in una fase embrionale rispetto alla<br />

consapevolezza raggiunta <strong>per</strong> il ’900, caratterizza il lavoro di Brower e di Rusca. Il primo, demistificando<br />

la pretesa pénétration pacifique nel Sahara vagheggiata dal movimento saint-simoniano<br />

e ripresa oggi da quanti vogliono sottolineare gli aspetti positivi del co<strong>lo</strong>nialismo<br />

francese, vede nell’uso <strong>della</strong> violenza l’aspetto centrale dell’es<strong>per</strong>ienza co<strong>lo</strong>niale in Algeria: nei<br />

primi quaranta anni di occupazione scomparve più <strong>della</strong> metà <strong>della</strong> popolazione pre-co<strong>lo</strong>niale,<br />

l’esercito francese ebbe quasi centomila caduti tra il 1830 e il 1851 e i legami sociali e le risorse<br />

alimentari <strong>della</strong> popolazione <strong>lo</strong>cale furono quasi completamente distrutti. Il fatto che il<br />

popo<strong>lo</strong> algerino fosse ormai nulla più che «poussière d’hommes» agli occhi dei generali francesi<br />

vincitori sembra dimostrare che l’800 anticipò <strong>per</strong> molti aspetti il ’900 anche nella pratica<br />

del genocidio, come conferma la politica tedesca nell’Africa sud-occidentale studiata da Rusca.<br />

La sistematica privazione delle terre e delle mandrie e la relegazione in riserve furono i fattori<br />

scatenanti <strong>della</strong> rivolta degli herero nel 1904, che si concluse con la morte, secondo le varie<br />

stime, di circa la metà di questo popo<strong>lo</strong>.<br />

Tagliaferri sonda invece il contributo del<strong>lo</strong> storico John R. Seeley alla mentalità im<strong>per</strong>ialista<br />

tardo-vittoriana, ponendo al centro <strong>della</strong> sua analisi la <strong>per</strong>cezione di sé e le sorgenti emozionali<br />

che innervarono l’azione dell’avanguardia militante dell’im<strong>per</strong>ialismo britannico, a<br />

partire dall’idea che gli United States of Greater Britain avrebbero <strong>per</strong>messo all’Inghilterra di<br />

entrare nel novero delle Su<strong>per</strong>potenze del XX seco<strong>lo</strong>; al suo approccio alla storia so<strong>lo</strong> in apparenza<br />

ispirato da Ranke, ma in realtà basato sull’ipotesi che la trattazione scientifica <strong>della</strong> storia<br />

inglese avrebbe <strong>per</strong>messo di divinare il destino <strong>della</strong> nazione; fino alla visione teo<strong>lo</strong>gica <strong>della</strong><br />

rinascita del cosmopolitismo cristiano medievale attraverso la creazione di una federazione<br />

mondiale dei popoli di cultura occidentale.<br />

Scacchi fa il punto degli studi sulla mobilitazione dei democratici italiani in favore dell’indipendenza<br />

di Cuba dal dominio spagno<strong>lo</strong>, animata da un misto di mazzinianesimo, garibaldinismo<br />

e irredentismo, il cui contributo fu assai modesto sul piano militare, ma significativo<br />

su quel<strong>lo</strong> politico, <strong>per</strong>ché unico segnale tangibile di attenzione verso la causa cubana<br />

da parte dell’opinione pubblica internazionale, né privo di conseguenze culturali, grazie all’attività<br />

pubblicistica che vi svolse il medico e crimino<strong>lo</strong>go Francesco Federico Falco.<br />

Nell’ambito <strong>della</strong> rinascita degli studi di storia <strong>lo</strong>cale nella Russia post-sovietica, che ha<br />

riallacciato i fili con la prima fase di questo fi<strong>lo</strong>ne culturale, tranciati dalla repressione stali-<br />

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niana, Loskutova esp<strong>lo</strong>ra l’invenzione ottocentesca del paesaggio rurale russo attraverso la produzione<br />

di studi geografici, etnografici e archeo<strong>lo</strong>gici sulle province nord-occidentali dell’im<strong>per</strong>o<br />

zarista.<br />

Ebrei, antisemitismo, sionismo<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Alla storia degli ebrei italiani sono dedicati specificamente alcuni saggi. Capuzzo ricostruisce<br />

l’ambiente del ghetto romano negli anni del giro di vite voluto da Leone XII e sostanzialmente<br />

mantenuto da Pio VIII e Gregorio XVI, fino alle concessioni di Pio IX, al cui mito<br />

di pontefice liberale aderirono anche gli israeliti. Lo Statuto fondamentale del marzo 1848<br />

riconobbe <strong>per</strong>ò i diritti politici so<strong>lo</strong> a co<strong>lo</strong>ro che professavano la religione di stato, lasciando<br />

quindi gli ebrei romani in una situazione di incertezza anche <strong>per</strong> ciò che concerneva i diritti<br />

civili, che vennero riconosciuti so<strong>lo</strong> in settembre grazie all’impegno del ministro di Grazia e<br />

Giustizia Pasquale de’ Rossi. Di Fant ricostruisce la polemica antiebraica sostenuta dalla stampa<br />

cattolica dopo Porta Pia, che fece eco alla violenza verbale espressa del<strong>lo</strong> stesso Pio IX nei<br />

discorsi tenuti in Vaticano: dagli esordi con il richiamo all’ana<strong>lo</strong>gia tra l’uccisione di Cristo e<br />

la ferita inferta al suo vicario dai «nuovi giudei», ovvero i liberali italiani e la massoneria cosmopolita,<br />

all’accusa direttamente rivolta agli ebrei contemporanei di essere dei «cani» senza<br />

Dio, fino alla derisione nei confronti dei buzzurri usurpatori che si lasciavano guidare ciecamente<br />

dai giornali anticattolici controllati dagli ebrei. Si trattò nel complesso di un antiebraismo<br />

tradizionale, ancora legato a una dimensione popolare e <strong>lo</strong>cale, che assumerà ben altri toni<br />

nei decenni successivi, alimentato dalla nascita di movimenti reazionari di massa negli altri<br />

Stati europei. Sul versante opposto, quel<strong>lo</strong> del processo di integrazione <strong>della</strong> minoranza<br />

ebraica nella compagine italiana, Ferrara degli Uberti propone un’ampia revisione delle ipotesi<br />

più accreditate su una convivenza pacifica in nome dell’adesione comune ai va<strong>lo</strong>ri risorgimentali,<br />

partendo dalle recenti affermazioni circa la presenza nel patriottismo italiano di una<br />

concezione etnica <strong>della</strong> nazione come comunità di famiglie e quindi di sangue. In un primo<br />

artico<strong>lo</strong> l’a. ri<strong>per</strong>corre alcune vicende private, evidenziando contraddizioni e difficoltà nel rapporto<br />

tra i singoli, le comunità ebraiche e le autorità pubbliche, su temi quali la libertà di coscienza<br />

e l’iscrizione obbligatoria alle comunità, la normativa ebraica sul matrimonio e il divorzio,<br />

il rispetto delle festività ebraiche e la laicità <strong>della</strong> scuola. In un secondo intervento, l’a.<br />

ritorna sui nodi del rapporto tra pubblico e privato utilizzando come punto di osservazione<br />

«Il Vessil<strong>lo</strong> Israelitico», la rivista ebraica più diffusa in Italia fra l’unificazione e la Grande Guerra,<br />

fautrice del completo inserimento degli ebrei nella società italiana ma anche fortemente<br />

ostile tanto all’assimilazione, intesa come <strong>per</strong>dita di qualsiasi identità ebraica, quanto alla<br />

frammentazione e al<strong>lo</strong> sgretolamento dell’ebraismo italiano in mille rivoli individuali. Brazzo<br />

infine propone il seguito di un artico<strong>lo</strong> del 2006 sulla storia di Ange<strong>lo</strong> Sullam e <strong>della</strong> Federa-<br />

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zione Sionistica italiana, focalizzato sugli anni <strong>della</strong> crisi del Congresso sionistico mondiale e<br />

sul contributo degli ebrei italiani all’espansione italiana nel Levante.<br />

Consumi<br />

Comunicare il sa<strong>per</strong>e culinario è un’attività che mette in moto pratiche, conoscenze, sensi<br />

che Davolio ri<strong>per</strong>corre a partire dall’editoria gastronomica italiana, settore che dall’800 conobbe<br />

una progressiva espansione. I ricettari prima, i manuali e le pubblicazioni <strong>per</strong>iodiche<br />

poi vengono analizzate come strumenti in grado di restituire le trasformazioni sociali e culturali<br />

del paese, trasformazioni che <strong>per</strong> quanto riguarda le gerarchie sociali e le differenze di genere<br />

il cibo riesce a riflettere e a promuovere, mettendo in scena dinamiche di inclusione,<br />

esclusione e socializzazione. Stesse dinamiche vengono attivate dall’uso del telefono che Balbi<br />

esamina a partire dalla sua comparsa non so<strong>lo</strong> nelle case ma anche nella letteratura. È qui<br />

che se ne ritraggono caratteri e aspetti che fanno del suo uso una novità utile ma al tempo stesso<br />

spaventosa, in grado di suscitare timori e dubbi legati ad una rinnovata <strong>per</strong>cezione <strong>della</strong><br />

«moderna nevrosi». Anche nel caso del telefono la questione del genere assume una notevole<br />

rilevanza, in quanto determinante la creazione di una figura lavorativa specifica (la telefonista)<br />

e l’ampliarsi del<strong>lo</strong> spazio <strong>della</strong> socializzazione dentro/fuori le mura domestiche.<br />

Articoli citati:<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Alberton, Angela Maria, «Se viene Garibaldi soldato mi farò». Canzone popolare e mobilitazione<br />

patriottica nel Risorgimento, Zap, n.12, pp. 26-45.<br />

Arisi Rota, Arianna, Il linguaggio del control<strong>lo</strong> e <strong>della</strong> crisi: <strong>lo</strong> spirito pubblico <strong>lo</strong>mbardo nei rapporti<br />

dei delegati provinciali (1857-1859), RSI, n. 1, pp. 112-141.<br />

Arru, Daniele, Stato e Chiesa in età napoleonica. Dai Concordati al Cesaropapismo, Clio, n. 1,<br />

pp. 5-22.<br />

Id., Sulla legislazione ecclesiastica <strong>della</strong> Repubblica Romana del 1849, Clio, n. 2, pp. 189-206.<br />

Balbi, Gabriele, Squilli di carta. I primi 40 anni del telefono nelle pagine <strong>della</strong> letteratura italiana,<br />

MR, n. 25, pp. 127-152.<br />

Battistini, Francesco, Seta ed economia in Italia. Il prodotto 1500-1930, RSE, n. 3, pp. 283-318.<br />

Belardinelli, Mario, La Santa Sede, i movimenti nazionali del 1848 e la ricerca di una «terza<br />

via» fra assetti tradizionali e rivoluzione, RSR, n. 1, pp. 3-32.<br />

Bellucci, Franca, Oggetti e doni in esempi di creanza ottocentesca, Gen, n. 1, pp. 61-78.<br />

Brazzo, Laura, Ange<strong>lo</strong> Sullam e il Sionismo in Italia tra la crisi di fine seco<strong>lo</strong> e la guerra di Libia,<br />

parte II, NRS, n. 2, pp. 361-422.<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Brower, Benjamin Claude, Ideo<strong>lo</strong>gie di pace, pratiche di guerra. L’im<strong>per</strong>o francese nel Sahara algerino,<br />

1840-1852, RSP, n. 1, pp. 27-52.<br />

Campanelli, Marcella, «Lo sconquasso dei tempi trascorsi». La chiesa di Terra di Lavoro e le riforme<br />

statali nell’Ottocento, RSI, n. 1, pp. 142-173.<br />

Cappelli, Vittorio, Immigrazione e urbanizzazione. La presenza degli italiani nelle «altre Americhe»,<br />

PP, n. 71, pp. 21-44.<br />

Capuzzo, Ester, Pasquale de’ Rossi e la comunità ebraica di Roma, RSR, n. 2, pp. 230-243.<br />

Casalena, Maria Pia, The Congresses of Italian Scientists between Europe and Risorgimento<br />

(1839-1875), in JMIS, n. 2, pp. 153-188.<br />

Cassina, Cristina, Ai confini <strong>della</strong> controrivoluzione: l’o<strong>per</strong>a poetica di Pierre-Simon Ballanche,<br />

MR, n. 24, pp. 57-67.<br />

Ceretti, Mauro, Per una rivisitazione critica di Cesare Balbo. Costituzione, amministrazione e opinione<br />

pubblica nel discorso di un aristocratico liberale del Risorgimento, RSR, n. 4, pp. 483-522.<br />

Chatzis, Konstantinos, Breve storia dei contatori d’acqua a Parigi, 1880-1930, SU, n. 116, pp.<br />

77-99.<br />

Chiancone, Claudio, Francesco Pezzi direttore <strong>della</strong> «Gazzetta di Milano» (1816-1831), SeS, n.<br />

117, pp. 507-554.<br />

Chiavistelli, Antonio, Modelli istituzionali e discorso pubblico nel Risorgimento italiano: la «Monarchia<br />

popolare» di Francesco Domenico Guerrazzi, CS, n. 1, pp. 113-128.<br />

Clemente, Giuseppe, Il «potere forte» del<strong>lo</strong> Stato in Capitanata. Governatori e prefetti tra reazione<br />

e brigantaggio (1860-1864), RSR, n. 3, pp. 411-448.<br />

Coltrinari, Massimo, Lo scontro di Castelfidardo del 18 settembre 1860. La presenza, o meno,<br />

del generale Cialdini sul campo di battaglia, RSR, n. 3, pp. 345-380.<br />

Conca Messina, Silvia A., Il progetto <strong>della</strong> Banca di sconto e di emissione del Regno Lombardo-<br />

Veneto. Problemi, proposte e trattative (1853-1859), SeS, 116, pp. 321-356.<br />

David, Jérôme, Onto<strong>lo</strong>gie letterarie del<strong>lo</strong> spazio parigino: romiti e «flâneurs» del primo Ottocento,<br />

QS, n. 125, pp. 433-460.<br />

Davolio, Federica, La cucina e il suo pubblico. Per una storia dell’editoria e <strong>della</strong> cultura gastronomica<br />

in Italia, Storic, n. 3<br />

De Fátima Sá, Maria, Ferreira, Me<strong>lo</strong>, Don Miguel e i suoi doppi, MR, n. 24, pp. 69-93.<br />

Del Corno, Nicola, Letteratura e antirisorgimento. I romanzi di Antonio Bresciani, MR, n. 24,<br />

pp, 21-32.<br />

Di Fant, Annalisa, La polemica antiebraica nella stampa cattolica romana dopo la Breccia di Porta<br />

Pia, MC, n. 1, pp. 87-118.<br />

Di Rienzo, Eugenio, Gioacchino Volpe: gli anni <strong>della</strong> prima formazione, 1892-1895, NRS, n.<br />

2, pp. 339-360.<br />

Francia, Enrico, Provincializzare la rivoluzione. Il Quarantotto «subalterno» in Toscana, SeS, n.<br />

116, pp. 293-320.<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Fenoaltea, Stefano, The Chemical, Coal and Petroleum Products, and Rubber Industries in Italy,<br />

1861-1913: A Statistical Reconstruction, RSE, n. 1, pp. 33-80.<br />

Ferrara degli Uberti, Car<strong>lo</strong>tta, Libertà di coscienza e modelli di cittadinanza nell’Italia liberale.<br />

Ebrei e comunità ebraiche nel rapporto con le istituzioni statali, SeS, n. 118, pp. 765-790.<br />

Ead., Rappresentare se stessi tra famiglia e nazione. Il Vessil<strong>lo</strong> Israelitico alla soglia del ’900, PP,<br />

n. 70, pp. 35-58.<br />

Fruci, Gian Luca, Cittadine senza cittadinanza. La mobilitazione femminile nei plebisciti del Risorgimento<br />

(1848-1870), Gen, n. 2, pp. 21-56.<br />

Fusco, Idamaria, Centri abitati e industrie insalubri: la trattura <strong>della</strong> seta nella Calabria dell’Ottocento,<br />

Merid, n. 57, pp. 85-110.<br />

Gardini, Gianluca, Il regime del Comune italiano tra autarchia e differenziazione nell’o<strong>per</strong>a di<br />

Umberto Borsi, CS, n. 2, pp. 189-206.<br />

Gribaudi, Maurizio, Forme, continuità e rotture nella Parigi <strong>della</strong> prima metà dell’Ottocento,<br />

QS, n. 125, pp. 393-431.<br />

Guarnieri, Patrizia, Matti in famiglia. Custodia domestica e manicomio nella provincia di Firenze<br />

(1866-1938), SS, n. 2, pp. 477-521.<br />

Ingrassia, Michelange<strong>lo</strong>, Argentina Altobelli. Politica e sindacato dal Risorgimento al fascismo,<br />

RSR, n. 2, pp. 244-275.<br />

Krmac, Dean, La popolazione di Trieste a metà Ottocento. Una prima ricostruzione <strong>della</strong> topografia<br />

dei flussi migratori, RSI, n. 2, pp. 834-895.<br />

Latini, Car<strong>lo</strong>tta, La giustizia militare pontificia tra privilegium fori e specialità giurisdizionale.<br />

Il «Regolamento di giustizia criminale e disciplinale militare» (1842), CS, n. 2, pp. 141-<br />

155.<br />

Lodolini Tupputi, Carla, Sulla tacita soppressione del<strong>lo</strong> Statuto di Pio IX, RSR, n. 3, pp. 323-344.<br />

Loskutova, Maria, Identità <strong>lo</strong>cali e regionali nella Russia tardo im<strong>per</strong>iale: il caso nord-occidentale,<br />

QS, n. 126, pp. 877-892.<br />

Lucrezio Monticelli, Chiara, La nascita del carcere femminile a Roma tra XVIII e XIX seco<strong>lo</strong>, SS,<br />

n. 2, pp. 447-476.<br />

Marongiu, Gianni, La politica fiscale negli anni dell’egemonia di Agostino Depretis, RSR, n. 4,<br />

pp. 523-569.<br />

Martin, Jean-Clément, Letteratura e controrivoluzione: l’esempio <strong>della</strong> Vandea, MR, n. 24, pp.<br />

47-56.<br />

Mori, Piergiorgio, Garibaldi: miti e declino nella letteratura italiana, Clio, n. 3, pp. 475-488.<br />

Morisi, Pao<strong>lo</strong>, Republicans and Socialists and the Origins of Italian Political Parties, MI, 3, pp.<br />

309-325.<br />

Müller, Johannes U., Dal conformismo al secessionismo: la parabola dei Giovani Liberali (1897-<br />

1901), MR, n. 25, pp. 27-42.<br />

Paolino, Marco, Mazzini e il mondo tedesco, RSR, n. 2, pp. 206-229.<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Papa, Catia, Goliardia e militanza patriottica. L’associazionismo studentesco in età liberale, MR,<br />

n. 25, pp. 43-59.<br />

Poettinger, Monika, Imprenditori tedeschi nella Lombardia del primo Ottocento: spirito mercantile,<br />

capitale sociale ed industrializzazione, RSE, n. 3, pp. 319-360.<br />

Po<strong>lo</strong> Friz, Luigi, Lodovico Frapolli. Lettere garibaldine, Ris, nn. 1-2, pp. 7-54.<br />

Rainhorn, Judith, Liens de parenté et liens communautaires dans deux «Petites Italies». Une comparaison<br />

entre Paris et New York (1880-1930), SE, n. 166, pp. 429-442.<br />

Riot- Sarcey, Michèle, Pensare il XIX seco<strong>lo</strong> con Benjamin, Stor, n. 35-36, pp. 115-132.<br />

Rújula, Pedro, Cabrera e Zumalacárregui nei tempi <strong>della</strong> letteratura, MR, n. 24, pp. 7-20.<br />

Rusca, Maria, La campagna contro gli herero nell’Africa sud-occidentale tedesca, MC, n. 3, pp. 5-44.<br />

Sanfilippo, Matteo, Migrazioni a Roma tra l’età moderna e contemporanea, SE, n. 165, pp. 19-32.<br />

Santos Zas, Margarita, Carlismo vs liberalismo: i romanzi di La Guerra Carlista di Valle-Inclàn,<br />

MR, n. 24, pp. 33-46.<br />

Satto, Christian, Il romanticismo politico di Giuseppe Mazzini dagli anni giovanili alla fondazione<br />

<strong>della</strong> Giovine Italia, Clio, n. 4, pp. 547-566.<br />

Scacchi, Domenico, Nuove ipotesi sul ruo<strong>lo</strong> dei democratici italiani nella guerra di indipendenza<br />

di Cuba, MC, n. 3, pp. 137-153.<br />

Simon, Fabrizio, La «Croce di Savoia» e il liberalismo siciliano nel Regno di Sardegna: 1850-<br />

1851, SS, n. 118, pp. 733-764.<br />

Soddu, Francesco, La presenza e il ruo<strong>lo</strong> dei magistrati nel Parlamento liberale, CS, n. 2, pp. 35-42.<br />

Soru, Maria Carmela, Un’es<strong>per</strong>ienza di socialismo municipale nella Sardegna liberale, Merid, n.<br />

57, pp. 45-68.<br />

Spina, Maria Grazia, L’estrazione del<strong>lo</strong> zolfo a Lercara Friddi: impatto ambientale e innovazione<br />

tecnica tra Otto e Novecento, Merid, n. 57, pp. 69-83.<br />

Strinati, Valerio, La responsabilità degli imprenditori e la Cassa nazionale di assicurazione <strong>per</strong> gli<br />

o<strong>per</strong>ai contro gli infortuni sul lavoro: iniziative legislative e dibattiti parlamentari (1879-<br />

1885), CS, n. 1, pp. 158-174.<br />

Tagliaferri, Teodoro, <strong>Storia</strong> e profezia politica nella visione im<strong>per</strong>iale di John R. Seeley, RSP, n.<br />

3, pp. 301-326.<br />

Tasca, Luisa, Individui, <strong>per</strong>corsi, racconti. Una ricerca sulle autobiografie italiane dell’800, PP,<br />

n. 71, pp. 111-122.<br />

Urquijo Goitia, José Ramón, Hacia la ruptura de la relaciones entre España y el Reino de Cerdeña-Piamonte,<br />

RSR, n. 2, pp. 163-205.<br />

Varriale, Roberta, La mano pubblica nel sottosuo<strong>lo</strong> di Napoli, SU, n. 116, pp. 57-76.<br />

Verrastro, Francesco, Nascita e sviluppo delle soprintendenze <strong>per</strong> il patrimonio storico-artistico<br />

(1861-1904), CS, n. 1, pp. 135-157.<br />

Zazzeri, Angelica, Donne in armi : immagini e rappresentazioni nell’Italia del 1848-49, Gen,<br />

n. 2, pp. 165-188.<br />

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2. 1914-1945<br />

di Giulia Albanese e Daniela Luigia Caglioti<br />

La produzione storiografica sul <strong>per</strong>iodo compreso tra <strong>lo</strong> scoppio <strong>della</strong> prima guerra e la fine<br />

<strong>della</strong> seconda continua a essere assai corposa, variegata dal punto di vista tematico, un po’ meno<br />

da quel<strong>lo</strong> metodo<strong>lo</strong>gico. Il fascismo e la resistenza nelle <strong>lo</strong>ro diverse declinazioni rimangono<br />

i temi su cui si focalizza l’interesse <strong>della</strong> maggior parte dei saggi che abbiamo preso in considerazione.<br />

La politica e le istituzioni poi prevalgono sulla società e soprattutto l’economia che<br />

sembra ormai territorio abbandonato dagli storici che <strong>lo</strong> hanno completamente appaltato agli<br />

economisti. Scorrendo gli indici delle riviste italiane e leggendo gli articoli ci si trova di fronte<br />

ad una produzione concentrata in gran parte sull’Italia o, con qualche rara eccezione, sui rapporti<br />

dell’Italia con un’altra nazione. Non mancano tuttavia interventi su altri paesi dovuti in<br />

prevalenza all’ospitalità che le riviste italiane offrono a studiosi stranieri. Insomma si guarda poco<br />

fuori dai confini nazionali e soprattutto si guarda molto alla politica, poco alla società e ancor<br />

meno all’economia. L’agenda degli storici poi sembra essere sempre più spesso dettata dalle<br />

ricorrenze e dagli anniversari: il 2006 con il 60° del volto alle donne e il <strong>2007</strong> con il 70° <strong>della</strong><br />

morte di Antonio Gramsci producono un numero discreto di saggi qui analizzati.<br />

Antonio Gramsci<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Ed è proprio da Gramsci che abbiamo deciso di iniziare questa rassegna, anche <strong>per</strong>ché la<br />

sua figura e gli articoli scritti su di lui ne fanno un punto di incontro e una <strong>per</strong>fetta cerniera<br />

tra tutte le questioni e le cesure del <strong>per</strong>iodo che stiamo analizzando: la guerra, la crisi del<strong>lo</strong> stato<br />

liberale e il fascismo. Se altrove, soprattutto in area ang<strong>lo</strong>sassone si è studiato e si studia ripetutamente<br />

Gramsci da un punto di vista metodo<strong>lo</strong>gico e avendo soprattutto in mente il suo<br />

concetto di egemonia, la ricerca italiana continua a rileggerne gli scritti <strong>per</strong> spiegarne, da una<br />

parte, la formazione e l’es<strong>per</strong>ienza politica; e dall’altra, <strong>per</strong> verificarne l’attualità delle analisi<br />

sulla guerra, la rivoluzione bolscevica, le relazioni internazionali, la crisi del<strong>lo</strong> stato liberale e<br />

il fascismo. Ovviamente non è un caso che a pubblicare cinque dei sei interventi sull’argomento<br />

sia SS, che è <strong>per</strong> l’appunto la rivista dell’Istituto a Gramsci intitolato. Il rapporto tra<br />

Gramsci e la Grande guerra è al centro di due saggi, quel<strong>lo</strong> di Leonardo Rapone e quel<strong>lo</strong> di<br />

Raffaele D’Agata. Il primo, in un lungo e denso contributo, esamina una parte considerevole<br />

<strong>della</strong> sterminata produzione giornalistica di quegli anni restituendo alla guerra, considerata,<br />

accanto alla rivoluzione, il «luogo storico <strong>della</strong> formazione del [suo] pensiero politico» (p.<br />

5), un ruo<strong>lo</strong> fondante nell’elaborazione gramsciana; il secondo in un saggio più breve passa in<br />

rassegna il Gramsci de «L’Ordine Nuovo» che riflette sulle implicazioni <strong>della</strong> prima guerra <strong>per</strong><br />

il sistema delle relazioni internazionali.<br />

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Le valutazioni di Gramsci sulle relazioni internazionali, alla luce non so<strong>lo</strong> <strong>della</strong> guerra ma<br />

soprattutto <strong>della</strong> rivoluzione bolscevica, sono al centro di un artico<strong>lo</strong> di Roberto Gualtieri che<br />

rintraccia sia negli scritti giovanili che nei Quaderni dal carcere una coerente visione delle relazioni<br />

internazionali saldamente ancorata nella fi<strong>lo</strong>sofia marxiana. Crisi del<strong>lo</strong> stato liberale e<br />

fascismo sono invece i temi del saggio di Benedetta Garzarelli che sceglie di isolare, anche<br />

quando sembra impossibile far<strong>lo</strong>, l’intellettuale dal politico, <strong>per</strong> mostrarci, dettagliatamente,<br />

le radici del pensiero gramsciano sul fascismo. Ne risulta un quadro che rivaluta l’importanza<br />

<strong>della</strong> sua riflessione, e che mostra quanto l’interpretazione gramsciana delle tensioni e delle<br />

tendenze interne alla borghesia italiana oltre che al fascismo sia stata anticipatrice di letture<br />

oggi diffuse nella storiografia più recente e aggiornata (e meno tacciabile di vetero-marxismo).<br />

Sulle pagine di SS troviamo ancora un saggio di Sergio Soave che ricostruisce l’incontro<br />

e il breve ma intenso sodalizio amicale tra Gramsci e Ange<strong>lo</strong> Tasca nel biennio 1919-1920.<br />

Soave in questo rapido schizzo va alla ricerca delle reciproche influenze notando come Tasca<br />

scompaia presto «dall’orizzonte speculativo di Gramsci» che al contrario rimane, nonostante<br />

<strong>della</strong> sua produzione nel carcere non conosca nulla, un riferimento intellettuale importante<br />

<strong>per</strong> Tasca che ne scrive un intenso necro<strong>lo</strong>gio sul «Nuovo Avanti». È dedicato invece alle riflessioni<br />

complessive sulla storia italiana il saggio che David Gilks pubblica sulle pagine di<br />

JMIS. Qui l’a. propone al pubblico degli italianisti ang<strong>lo</strong>sassoni una rilettura delle riflessioni<br />

sulla storia d’Italia di Gramsci che ruota attorno a cinque parole chiave: Riforma, Rinascimento,<br />

Protestantesimo, Cattolicesimo e Fascismo.<br />

Storici, storiografia e questioni di metodo storico<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Gli articoli su Gramsci, che abbiamo deciso di tenere distinti, potrebbero ben figurare in<br />

una sezione intitolata agli storici e alla storiografia nella quale è possibile iscrivere alcuni saggi<br />

di notevole spessore <strong>per</strong> profondità di interpretazione e ampiezza di riferimenti che mettono<br />

al centro tre storici diversi tra <strong>lo</strong>ro, sia dal punto di vista <strong>della</strong> formazione che <strong>della</strong> col<strong>lo</strong>cazione<br />

generazionale, accomunati, tuttavia, dalla <strong>lo</strong>ro condizione di ebrei assimilati e dall’interesse,<br />

che ne segna sia la biografia che la produzione storiografica, <strong>per</strong> i temi <strong>della</strong> questione<br />

nazionale e <strong>della</strong> nazionalizzazione: Lewis Namier, Arnaldo Momigliano e George L. Mosse.<br />

A Sir Lewis Namier è dedicato un denso e corposo saggio di Andrea Graziosi che, su Cont,<br />

dimostra l’importanza degli scritti di questo storico <strong>per</strong> capire la storia dell’Europa dal 1815<br />

al 1945, ma anche oltre. Quella di Graziosi è una disamina attenta, condotta attraverso i suoi<br />

scritti ma anche alla luce <strong>della</strong> sua biografia, dei concetti principali che <strong>lo</strong> storico utilizza (e<br />

che secondo Graziosi possono continuare a essere utilizzati ben oltre la <strong>per</strong>iodizzazione namieriana):<br />

in particolare la sua idea del ’48 come «semenzaio» <strong>della</strong> storia europea, il concetto<br />

di «Medio Oriente europeo», quel<strong>lo</strong> di master nations. Graziosi in questo contributo riba-<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

disce, anche attraverso l’interpretazione namieriana, il ruo<strong>lo</strong> chiave svolto dall’est europeo e<br />

dal problema <strong>della</strong> questione nazionale nella costruzione dell’intera storia europea.<br />

Anche il saggio di Simon Levis Sullam su Arnaldo Momigliano fa i conti con il problema<br />

dell’appartenenza nazionale. Levis Sullam si occupa in particolare dei «problemi dell’educazione<br />

ebraica di Momigliano giovanissimo, delle influenze che vi contribuirono, e di come<br />

le sue opinioni religiose poterono trasformarsi in uno strettissimo giro d’anni tra la fine degli<br />

anni ’20 e la prima metà degli anni ’30» (p. 60). Levis Sullam è interessato quindi a capire l’atteggiamento<br />

culturale e politico di Momigliano verso gli ebrei e il modo in cui da storico interpretò<br />

il mondo ebraico. Il saggio è fondato sulla rilettura di alcuni suoi scritti, una parte<br />

dei quali editi di recente, e in particolare sulla recensione che Momigliano, nel 1933, dedicò<br />

all’o<strong>per</strong>a di Cecil Roth sugli ebrei di Venezia. Un testo chiave e, secondo Levis Sullam, significativo<br />

<strong>della</strong> complessa tem<strong>per</strong>ie in cui viveva non so<strong>lo</strong> Momigliano ma l’intero ebraismo italiano<br />

durante il fascismo. In questo senso, al centro del saggio sta un problema che evidentemente<br />

va oltre Momigliano e cioè quel<strong>lo</strong> <strong>della</strong> complessità dei <strong>per</strong>corsi di nazionalizzazione e<br />

assimilazione degli ebrei italiani. Levis Sullam indaga la trasformazione <strong>della</strong> coscienza religiosa<br />

di Momigliano, la sua uscita dall’ebraismo, l’«avvicinamento culturale e spirituale al cristianesimo,<br />

almeno sul piano del riconoscimento storico e fi<strong>lo</strong>sofico [...] del suo ruo<strong>lo</strong> nella<br />

storia <strong>della</strong> civiltà occidentale» (p. 67) ritrovando nel pensiero di Momigliano e in contrasto<br />

con la sua stessa autorappresentazione forti influenze gentiliane dirette e non mediate dal crocianesimo.<br />

A uno storico che ha fatto del tema <strong>della</strong> nazionalizzazione l’oggetto delle sua ricerca storiografica,<br />

George L. Mosse, è dedicato il saggio di Donatel<strong>lo</strong> Aramini su MC. Aramini è interessato<br />

alla ricezione italiana di Mosse e del suo libro più famoso, La nazionalizzazione delle<br />

masse, tradotto in italiano nel 1975 dall’editore il Mulino su sollecitazione di Renzo De Felice.<br />

Aramini ricostruisce l’indifferenza o addirittura l’ostilità che il libro suscitò nella «storiografia<br />

impegnata in senso “progressista”» (p. 134), che si espresse nelle critiche di Quazza, Alatri<br />

e Col<strong>lo</strong>tti, e la buona stampa che il libro invece ricevette nell’ambiente defeliciano che ruotava<br />

soprattutto attorno alla rivista, «<strong>Storia</strong> Contemporanea». Ri<strong>per</strong>corre quindi la fortuna del<br />

libro arrivando al suo definitivo «sdoganamento» nella seconda metà degli anni ’80 quando<br />

secondo l’a. esp<strong>lo</strong>de una vera e propria «moda Mosse». Leggendo il pur assai documentato<br />

saggio di Aramini viene da chiedersi se abbia senso discutere la ricezione di uno storico richiudendola<br />

tutta all’interno di un contesto nazionale e interpretandola esclusivamente alla luce<br />

delle fratture e delle contrapposizioni ideo<strong>lo</strong>giche che hanno segnato una parte <strong>della</strong> storiografia<br />

contemporaneistica italiana e se non si debba invece leggere la grande fortuna storiografica<br />

di Mosse nel contesto più largo <strong>della</strong> storiografia sul nazionalismo, sul genere, sulle<br />

rappresentazioni, insomma nel contesto di una storia politica fortemente rigenerata dall’incontro,<br />

e non su suo<strong>lo</strong> italiano purtroppo se non tardivamente, con l’antropo<strong>lo</strong>gia, la letteratura<br />

e, <strong>per</strong>ché no, anche con la psicanalisi. Insomma verrebbe quasi da dire che una parte del-<br />

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la fortuna recente di Mosse in Italia sia totalmente sganciata dal dibattito italiano e sia legata<br />

ad una rinnovata importazione dei testi di Mosse dall’area culturale ang<strong>lo</strong>-sassone.<br />

Alla storiografia italiana e in particolare alle figure di Volpe e Croce, legati da un sodalizio<br />

amicale dall’inizio del seco<strong>lo</strong> fino al 1927, come testimonia il <strong>lo</strong>ro fitto carteggio, è dedicato<br />

il saggio di Eugenio Di Rienzo che costituisce l’anticipazione di un volume nel frattempo<br />

pubblicato dall’editore Le Lettere.<br />

Uscendo dal tema <strong>della</strong> nazione e spostandoci invece su questioni epistemo<strong>lo</strong>giche e di<br />

metodo<strong>lo</strong>gia storica si possono leggere gli articoli di Giovanni Contini Bonacossi e di Etienne<br />

Anheim che, partendo dal saggio di Marc B<strong>lo</strong>ch su Le false notizie <strong>della</strong> guerra, discutono,<br />

alla luce delle <strong>lo</strong>ro diverse es<strong>per</strong>ienze storiografiche e dei differenti campi di interesse, i problemi<br />

che pone l’uso delle fonti orali.<br />

Grande guerra<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

La Grande guerra, oltre che nei già citati articoli su Gramsci di Rapone e D’Agata, è al<br />

centro di pochi saggi e interventi, quasi si trattasse di un cantiere in via di esaurimento. Alcuni<br />

di questi, tornano su argomenti ormai molto frequentati come è il caso dell’articolino di<br />

Eugenio Di Rienzo che dalle pagine di NSC propone qualche spigolatura dagli scritti di Omodeo,<br />

Volpe, Soffici, Prezzolini e Amendola su Caporetto e la disfatta; o quel<strong>lo</strong> di Ester Capuzzo<br />

su Trieste dall’intervento all’annessione.<br />

Altri invece – gli articoli di Antonio Fiori in IC e in RSR o quel<strong>lo</strong> di Matteo Ermacora<br />

in DEP – segnalano, anche se da approcci metodo<strong>lo</strong>gici diversi, che la ricerca si va orientando<br />

su questioni rimaste più in ombra nella ricerca italiana sul primo conflitto bellico. Il problema<br />

<strong>della</strong> guerra ai civili è al centro del saggio di Ermacora su DEP dedicato all’internamento<br />

femminile; mentre quel<strong>lo</strong> del nemico interno (ma anche le donne protagoniste del saggio<br />

di Ermacora appartengono <strong>per</strong> certi aspetti a questa categoria), spia o «pescecane», si affaccia<br />

nelle ricerche di Fiori i cui saggi, apparsi rispettivamente su IC e su RSR, ricostruiscono nei<br />

dettagli, su carte d’archivio, episodi specifici come quel<strong>lo</strong> <strong>della</strong> creazione dell’Ufficio centrale<br />

di investigazione, o quel<strong>lo</strong> del<strong>lo</strong> scanda<strong>lo</strong> dei cascami di prodotti tessili, un episodio di affarismo<br />

e contrabbando denunciato in Parlamento nel febbraio 1918. Fiori è poi l’a. di un terzo<br />

saggio, apparso in Clio, che ricostruisce i tentativi del gruppo liberale sonniniano di recu<strong>per</strong>are<br />

un ruo<strong>lo</strong> di primo piano sulla scena politica italiana nei mesi immediatamente successivi<br />

alla fine <strong>della</strong> guerra.<br />

I saggi di Fiori segnalano una tendenza che ci pare assai diffusa nella storiografia su questo<br />

<strong>per</strong>iodo e cioè quella di un ritorno ad una storia fortemente évenémentielle. Questa tendenza<br />

la si può vedere anche in un articolino di Marco Cioffi che ricostruisce l’eccidio di via<br />

Nazionale a Roma il 24 maggio del 1920, provocato dalla degenerazione di una manifestazio-<br />

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ne nazionalista nel clima arroventato del primo dopoguerra italiano: otto morti, ventuno feriti<br />

e circa 250 arrestati, il bilancio di un episodio di cronaca politica di cui l’a. del saggio ricostruisce<br />

dinamica e processo.<br />

Movimenti, partiti, elezioni<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Che si parli di guerra, di dopoguerra o di fascismo è in ogni caso la politica, soprattutto<br />

nelle sue forme organizzate, a farla da padrone. Un gruppo di saggi provenienti da un numero<br />

monografico di Gen si occupa, nel 60° del voto alle donne, di elezioni e suffragio. Emma Schiavon<br />

affronta il tema occupandosi dell’attivismo femminista sul voto nella campagna elettorale<br />

del 1919 che si manifesta nella pubblicazione, dal 31maggio 1919 al 13 febbraio 1920, del settimanale<br />

«Voce Nuova» a Milano. L’a. sottolinea la svolta rappresentata da questo foglio che<br />

abbandona le cautele e la prudenza che avevano fin lì caratterizzato l’azione e il discorso femminista<br />

in Italia <strong>per</strong> assumere toni più battaglieri e gridati, decisamente più coerenti con l’importanza<br />

<strong>della</strong> posta in gioco ma soprattutto con il ruo<strong>lo</strong> che le donne, e soprattutto le femministe<br />

interventiste, avevano rico<strong>per</strong>to nella guerra. Liviana Gazzetta si occupa invece dell’altro<br />

fronte, quel<strong>lo</strong> delle donne cattoliche che furono in alcuni casi ostili al suffragio femminile, ma<br />

impegnate strenuamente sul terreno dell’attivismo sociale. In particolare, il saggio di Gazzetta<br />

ricostruisce le vicende di due esponenti del movimento cattolico di inizio seco<strong>lo</strong>, Elena Da Persico,<br />

fondatrice dell’associazione Figlie <strong>della</strong> Regina degli Apostoli, ed Elsa Conci futura deputata<br />

all’Assemblea Costituente <strong>per</strong> la DC. Ancora nel numero di Gen, in cui compaiono anche<br />

i saggi di Fruci, Cha<strong>per</strong>on, Lunadei e Motti discussi in altre parti di questa rassegna, Claire Lescoffit<br />

presenta una ricerca sulle contraddizioni all’interno del Fronte popolare francese sulla<br />

questione dei diritti delle donne. Il lavoro ricostruisce la vicenda <strong>della</strong> nomina a sottosegretario<br />

nel governo Blum di tre donne senza voto e, come recita il tito<strong>lo</strong>, senza diritti. Lescoffit indaga<br />

questa incoerenza, prova a capire le motivazioni che spinsero Blum a questo passo, valuta<br />

«l’impatto di queste nomine e quali ne furono le conseguenze <strong>per</strong> i diritti delle donne» (p.<br />

99) cercando soprattutto di spiegare <strong>per</strong>ché, finita l’es<strong>per</strong>ienza del Fronte popolare, le donne<br />

francesi dovettero aspettare altri dieci anni <strong>per</strong> ottenere il voto. Lescoffit rileva l’importanza dell’iniziativa<br />

di Blum e conclude dicendo che si trattò di una «rivoluzione dall’alto» che ebbe importanti<br />

effetti sul piano culturale. Di fronte ad una crescente partecipazione femminile e occupazione<br />

del<strong>lo</strong> spazio pubblico, Blum assecondò la trasgressione femminile mentre il resto <strong>della</strong><br />

società politica maschile manifestò tutta la sua arretratezza e incapacità di accogliere la richiesta<br />

di maggiori diritti. Si resta ancora nella Francia <strong>della</strong> Terza Repubblica con l’artico<strong>lo</strong> di Yves<br />

Dé<strong>lo</strong>ye che su Cont analizza il modo in cui la chiesa cattolica, attraverso la sua capillare struttura<br />

territoriale, contribuì al processo di democratizzazione del paese. Dé<strong>lo</strong>ye studia la scelta di<br />

«politicizzare» l’azione pastorale, facendo dei preti nelle aree rurali i terminali di un impegno<br />

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politico-elettorale a favore dei partiti conservatori, un impegno che concorse in maniera significativa<br />

all’integrazione politica <strong>della</strong> Francia profonda.<br />

Ancora partecipazione politica in Europa, spesso mediata attraverso la cultura, <strong>lo</strong> sport,<br />

la ricreazione, è il tema attorno a cui ruotano i saggi di un numero monografico di MR curato<br />

da Marco Fincardi e Catia Papa dal tito<strong>lo</strong> Movimenti e culture giovanili. Scoutismo, associazioni<br />

studentesche, goliardiche o di pionieri sono i casi analizzati nel fascico<strong>lo</strong>. Dei saggi di<br />

Müller, Papa, Caroli, Zanella e Nunziata si parla in altre parti di questa rassegna. Su questa<br />

crono<strong>lo</strong>gia insistono invece i saggi di Bottin, Soutro Kustrin e Viola Gorza. Francesca Bottin<br />

parla del Kibbo Kift un movimento che si contrappone al<strong>lo</strong> scoutismo fondato da John Hargrave,<br />

un ex scout, e che dal 1919 al 1931 rappresenta un’alternativa pacifista al militarismo<br />

e al nazionalismo dell’organizzazione di Baden-Powell. Sandra Souto Kustrin scrive invece del<br />

formarsi delle diverse culture giovanili nell’Europa tra le due guerre e traccia un quadro sintetico<br />

di culture e movimenti dalla Danimarca alla Spagna, dal pacifismo al nazismo all’antifascismo<br />

e alla resistenza, dal jazz al cinema agli ostelli <strong>della</strong> gioventù sottolineando la forte<br />

valenza politica di alcuni movimenti culturali. Viola Gorza si occupa dei movimenti giovanili<br />

nella Germania weimariana.<br />

Emigrazione<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

La scelta di inserire nell’elenco delle testate spogliate due riviste che si occupano di emigrazione<br />

fa si che attorno a questo importante nodo si addensino alcuni saggi. Per quanto riguarda<br />

il <strong>per</strong>iodo tra le due guerre si possono leggere quattro saggi che si interessano degli emigrati<br />

italiani nei luoghi d’arrivo e del modo in cui si organizzano. Vanno in questa direzione<br />

i due saggi dedicati alla stampa etnica, quel<strong>lo</strong> cioè di Bénédicte Deschamps sul settimanale<br />

femminile «Giustizia», nato a New York nel 1919 come organo dell’International Ladies Garment<br />

Workers’Union (ILGWU) e quel<strong>lo</strong> di Amedeo Tosco che si occupa di una serie di testate<br />

nate all’interno <strong>della</strong> comunità ita<strong>lo</strong>-australiana e che, secondo l’a., hanno svolto un ruo<strong>lo</strong><br />

di primo piano nel fare da tessuto connettivo e da mediatrici tra le comunità di origine e quelle<br />

di arrivo, pur tendendo a riprodurre le divisioni e le contrapposizioni del paese di origine.<br />

Ancora la stampa etnica di tendenza anarchica è la protagonista del saggio di Gerald Meyer<br />

dedicato a Car<strong>lo</strong> Tresca (1879-1943), famoso esponente del movimento radicale americano e<br />

direttore di una serie di settimanali anarchici in lingua italiana, tra cui «Il Martel<strong>lo</strong>»,, fervente<br />

anticomunista, dopo gli esiti <strong>della</strong> guerra civile spagnola e oppositore del New Deal. E sempre<br />

sulle comunità d’arrivo, le Little Italies americane e canadesi, scrive un breve contributo<br />

Bruno Ramirez che analizza i cambiamenti di queste enclaves e ne registra in alcuni casi, quelli<br />

di Montreal e Toronto, una vivacità di lunga durata e una capacità tutto sommato intatta<br />

di generare «italianità» a fronte di una «commercializzazione» delle Little Italies statunitensi.<br />

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Relazioni internazionali e politica estera<br />

Sotto questo tito<strong>lo</strong>, <strong>per</strong> tematiche ma soprattutto <strong>per</strong> approccio metodo<strong>lo</strong>gico possiamo<br />

raggruppare una serie di saggi che si occupano, di wilsonismo e di antiwilsonismo, di questione<br />

adriatica, di relazioni tra USA e URSS, ecc. Nadia Schina, in un saggio <strong>per</strong> Clio, racconta<br />

<strong>della</strong> missione dip<strong>lo</strong>matica americana nella Russia post rivoluzione di febbraio, voluta<br />

da Wilson nel tentativo di evitare la fuoriuscita <strong>della</strong> Russia dalla guerra e <strong>per</strong> arginare l’affermazione<br />

bolscevica. Luciano Monzali, riprendendo temi affrontati nel volume che viene recensito<br />

in questo stesso volume, si occupa del posto <strong>della</strong> questione adriatica nella politica<br />

estera italiana tra il 1920 e il 1922. Lucio Tondo scrive su Clio <strong>della</strong> campagna elettorale di<br />

Harding nel 1920. Basato sulla letteratura secondaria e sulla stampa coeva, il contributo si<br />

concentra sui temi <strong>della</strong> politica estera agitati in una campagna elettorale condotta e vinta da<br />

Harding sull’onda dell’antiwilsonismo, dell’anti-internazionalismo e del ritorno alla normalcy.<br />

Su NSC si occupa <strong>della</strong> crisi in Manciuria del ruo<strong>lo</strong> in essa giocato dagli USA e dalle <strong>Società</strong><br />

delle Nazioni.<br />

Restando ancora fuori d’Italia, Pao<strong>lo</strong> Macrì su NSC racconta, basandosi esclusivamente<br />

su letteratura secondaria, in un saggio bizzarramente salutato con largo spazio nelle pagine<br />

culturali del «Corriere <strong>della</strong> Sera», le vicende, ampiamente note a chiunque si sia occupato del<br />

problema <strong>della</strong> <strong>per</strong>secuzione ebraica, di Varian Fry l’americano protagonista di una delle più<br />

significative imprese di salvataggio di ebrei, antinazisti e antifascisti nella Francia di Vichy.<br />

Rivoluzione, stalinismo, deportazione<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

La rivoluzione di febbraio, già al centro dell’artico<strong>lo</strong> di Nadia Schina, è il nodo attorno a<br />

cui ruota il saggio di Fabrizio Giulietti anche se da una prospettiva diversa, quella cioè degli<br />

anarchici italiani di cui il lavoro ricostruisce la parabola dall’entusiasmo alla disillusione dopo<br />

Kronsˇtadt e la sconfitta del movimento anarchico russo. Ancora l’URSS è il luogo di elezione<br />

di altri tre saggi molto diversi tra <strong>lo</strong>ro. Maria Ferretti ricostruisce, sulla base di un’ampia<br />

documentazione, la biografia e le vicende di un o<strong>per</strong>aio, Vasilij Ivanovič Ljulin, dalla sua<br />

partecipazione alla rivoluzione, al ruo<strong>lo</strong> di leader di fabbrica al Gulag nell’URSS <strong>della</strong> fine degli<br />

anni ’20. La ricostruzione fa emergere «il rapporto aspramente conflittuale degli o<strong>per</strong>ai con<br />

il potere sovietico e, in particolare, la resistenza opposta alla politica intrapresa nelle seconda<br />

metà degli anni ’20 <strong>per</strong> modernizzare il paese a tempi di record» (p. 94). Il saggio di Antonella<br />

Sa<strong>lo</strong>moni invece propone un’analisi dell’o<strong>per</strong>a letteraria e critica di Lidija K. Čukovskaja<br />

(1907-1996) e soprattutto <strong>della</strong> sua fortuna e vicenda biografica negli anni <strong>della</strong> destalinizzazione.<br />

Il racconto principale, Sof’ja Petrovna, scritto tra il novembre del 1939 e il febbraio del<br />

1940 e quindi nel pieno delle terribili vicende vissute dall’autrice e dalla sua famiglia, ha <strong>per</strong><br />

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tema il terrore, la deportazione, il rapporto tra verità e giustizia e ambisce a essere testimonianza<br />

nel vivo degli eventi. Il tema <strong>della</strong> deportazione è anche al centro del saggio di Boçkowski<br />

che, a partire dalla documentazione sovietica, si occupa delle condizioni di vita e di lavoro<br />

<strong>della</strong> popolazione polacca deportata nelle regioni settentrionali dell’Unione Sovietica o nei<br />

kolchoz dell’Asia Centrale a partire dal 1939.<br />

Spagna repubblicana e guerra civile<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Sebbene la ricerca sulla guerra civile spagnola, in particolare, e sulla Spagna novecentesca,<br />

più in generale, sia abbastanza sviluppata in Italia in confronto con altre storie nazionali, la ricchezza<br />

degli articoli di questa sezione corrisponde piuttosto ad una scelta inedita di IC di dedicare<br />

ad un tema particolare un intero numero <strong>della</strong> rivista. Il tema, quasi completamente sconosciuto<br />

alla storiografia italiana e che qui, non casualmente, è rappresentato attraverso la ricerca<br />

di studiosi non italiani, introdotti dai redattori <strong>della</strong> rivista, Pao<strong>lo</strong> Ferrari e Lia Sezzi, e<br />

reinquadrati, in chiusura, da Alfonso Botti, è quel<strong>lo</strong> dell’esilio spagno<strong>lo</strong> nelle Americhe durante<br />

e all’indomani <strong>della</strong> guerra civile. L’enfasi è tutta sul destino dell’emigrazione intellettuale di<br />

scienziati, medici, scrittori e maestri: un’emigrazione che impoverì profondamente la Spagna<br />

franchista, privandola di alcuni dei suoi più importanti ricercatori a livel<strong>lo</strong> nazionale e internazionale,<br />

arricchendo al contempo i paesi che ospitarono questi emigrati. I saggi mettono l’accento,<br />

innanzitutto, sulla differenza tra l’emigrazione verso l’America meridionale e quella verso<br />

l’America del nord causata innanzitutto dalla scelta statunitense di non concedere alcuno<br />

status particolare agli emigrati <strong>della</strong> guerra civile spagnola. Il numero racconta di tentativi di<br />

integrazione, più o meno riusciti e <strong>della</strong> capacità di organizzazione culturale e politica <strong>della</strong> comunità<br />

spagnola all’estero; avanza comparazioni tra i diversi paesi; tenta di tracciare <strong>per</strong>corsi<br />

individuali o professionali e riflette sulle eredità composite che questa immigrazione lascia nei<br />

diversi paesi (anche quando questi <strong>per</strong>corsi si consumano in un <strong>per</strong>iodo di tempo non troppo<br />

lungo). Ciò che ne risulta è un quadro al tempo stesso articolato e approfondito, che apre alcune<br />

piste di ricerca nuove e propone una rilettura complessiva <strong>della</strong> storia spagnola a partire<br />

anche da queste «altre spagne» dell’esilio. Dal punto di vista metodo<strong>lo</strong>gico, appare interessante<br />

osservare, in vari casi, l’attenzione e l’utilizzo <strong>della</strong> comparazione come strategia di comprensione<br />

delle specificità delle es<strong>per</strong>ienze così come dei <strong>lo</strong>ro tratti comuni.<br />

Anoma<strong>lo</strong>, rispetto a questo corpus di articoli, <strong>per</strong> le ragioni chiarite in a<strong>per</strong>tura, è il saggio<br />

di Ranzato che affronta il problema <strong>della</strong> Spagna repubblicana nel rapporto con le altre potenze<br />

democratiche durante la guerra civile. Gabriele Ranzato propone qui un ripensamento del<br />

tradimento che le potenze democratiche consumarono nei confronti <strong>della</strong> Spagna repubblicana<br />

e una riflessione sull’assenza di un sentimento democratico «internazionalista», in grado di fare<br />

i conti con gli avvenimenti europei e mondiali prescindendo dagli interessi nazionali.<br />

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Fascismo<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

L’estrema eterogeneità degli articoli presentati in questa sezione è il segno di una ricchezza<br />

di interesse nei confronti delle politiche, in vario senso intese, del regime fascista, che caratterizza,<br />

nel bene e nel male, la storiografia italiana. Un dato va registrato, <strong>per</strong>ò, ed è il fatto<br />

che questo interesse porta anche al<strong>lo</strong> sviluppo di una storiografia, se è lecito chiamarla tale,<br />

di tipo scandalistico che flirta con quanto di peggio emerge nella stampa quotidiana e che<br />

non si può certo considerare il miglior modo <strong>per</strong> valutare l’impatto sulla società, la politica,<br />

l’economia, ma anche i destini individuali, di un ventennio fondamentale nella storia dell’Italia<br />

contemporanea come quel<strong>lo</strong> fascista. Spiace osservare che vadano in questa direzione tutti<br />

gli articoli qui considerati di NSC: a prescindere dalla ricerca che emerge e dai titoli anche<br />

accademici di chi vi scrive, il tono è purtroppo sempre piuttosto omogeneo e indica un modo<br />

di fare storia politica altamente problematico oltre che discutibile.<br />

Un primo gruppo di articoli su cui sembra opportuno soffermarsi, raggruppandoli, sono<br />

quelli relativi alle politiche demografiche e urbanistiche del regime fascista. Di grande interesse<br />

la ricerca di Ciammaruconi sulla politica dell’O<strong>per</strong>a nazionale maternità e infanzia e sui suoi<br />

conflitti con l’O<strong>per</strong>a nazionale combattenti relativamente alle politiche demografiche in provincia<br />

di Latina, una zona considerata, dal fascismo, un laboratorio strategico dell’ideo<strong>lo</strong>gia ruralista.<br />

L’artico<strong>lo</strong> delinea da una parte i conflitti di competenza, ma anche le difficoltà di tenere<br />

insieme progetti di tipo propagandistico e realtà demografiche e di insediamento urbano, a<br />

fronte delle vo<strong>lo</strong>ntà (e talvolta delle velleità) ruralistiche del regime. Sempre del rapporto tra<br />

fascismo e urbanesimo (o meglio antiurbanesimo) si occupano due articoli comparsi in CS.<br />

Dani<strong>lo</strong> Breschi ricostruisce la genesi <strong>della</strong> legislazione sull’antiurbanesimo dal discorso dell’Ascensione<br />

fino alla battaglia in Senato <strong>per</strong> l’approvazione <strong>della</strong> legge cui so<strong>lo</strong> pallidamente si<br />

oppose il mondo industriale. Breschi inserisce la questione dell’antiurbanesimo mussoliniano<br />

nella più generale crisi <strong>della</strong> modernità che caratterizza l’Europa all’indomani <strong>della</strong> prima guerra<br />

mondiale, e individua in Spengler e in una certa Kulturkritk dell’epoca le radici delle paure<br />

e delle questioni di cui è impregnato il discorso mussoliniano che individuava nell’urbanesimo<br />

la causa prima del decremento demografico. Rileva quindi l’influenza che in tema di politiche<br />

demografiche ebbe su Mussolini il fratel<strong>lo</strong> Arnaldo. Sottolinea, riprendendo il pionieristico lavoro<br />

di Anna Treves, l’importanza numerica dei movimenti migratori interni nel corso del ventennio,<br />

e le molteplici motivazioni <strong>della</strong> politica antiurbana che andavano dal desiderio di incrementare<br />

la popolazione, a quel<strong>lo</strong> di frenare le migrazioni, al ruralismo e fino alla gestione<br />

dell’ordine pubblico. L’artico<strong>lo</strong> di Stefano Gal<strong>lo</strong> parte anch’esso dal discorso dell’Ascensione del<br />

26 maggio 1927, analizza la legislazione volta a frenare l’urbanesimo e a limitare i movimenti<br />

di popolazione, e si sofferma soprattutto sul ruo<strong>lo</strong> critico esercitato dall’ISTAT nell’applicazione<br />

<strong>della</strong> legge, soprattutto nella fase di transizione tra fascismo e repubblica, delineando <strong>per</strong><br />

questa vita i contorni di una ancora <strong>per</strong> molti aspetti da fare «storia politica <strong>della</strong> popolazione».<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Mentre in patria il regime cercava, spesso invano, come dimostrano anche i numeri ricordati<br />

da Breschi e Gal<strong>lo</strong> di frenare i movimenti migratori, fuori d’Italia provava a penetrare<br />

ideo<strong>lo</strong>gicamente le comunità di immigrati omai folte che si erano costituite soprattutto oltreoceano.<br />

Come ricordano alcuni articoli apparsi su AI, la stampa etnica fu uno degli strumenti<br />

attraverso i quali si esercitò questo tentativo. Pantaleone Sergi analizza la fine de«La Patria<br />

degli Italiani», un giornale ita<strong>lo</strong>-argentino di stampo liberale e democratico. L’artico<strong>lo</strong> ha<br />

il merito di confrontarsi con il problema dell’integrazione del fascismo nelle comunità italiane<br />

dell’emigrazione, con la nascita dei fasci italiani all’estero, e anche di guardare all’evoluzione<br />

<strong>della</strong> stampa dell’emigrazione in contesti diversi <strong>per</strong> col<strong>lo</strong>care più precisamente la vicenda<br />

de «La Patria degli Italiani» e <strong>della</strong> sua fine. Sergi sostiene che l’efficacia delle politiche fasciste<br />

contro il giornale fu favorita dal contesto politico argentino, dal b<strong>lo</strong>cco parziale del movimento<br />

migratorio, e dalla crisi economica che indebolì molto l’antifascismo <strong>lo</strong>cale, oltre che<br />

dal regime dittatoriale instaurato in Argentina. D’altra parte e malgrado la fondazione di nuovi<br />

giornali, «La Patria» rappresentò fino alla chiusura, dovuta al fallimento economico, un<br />

ostaco<strong>lo</strong> difficile da sormontare nel processo di fascistizzazione <strong>della</strong> comunità italiana in Argentina.<br />

L’a. ricostruisce poi il tentativo di rifondazione del giornale con il nome di «La nuova<br />

patria» in un contesto di crescente ostilità verso i principi democratico-liberali e di rafforzamento<br />

<strong>della</strong> stampa di ispirazione fascista, e il nuovo fallimento dell’impresa.<br />

Giulia Cerqueti analizza la storia di un giornale antifascista di Boston, «La controcorrente»<br />

intrecciando<strong>lo</strong> con la storia di due antifascisti ebrei, Anna Foa e Davide Jona, emigrati negli<br />

Usa nel 1940, in seguito alle leggi razziali. L’a. analizza i costanti problemi economici <strong>della</strong><br />

testata, dovuti <strong>per</strong> <strong>lo</strong> più all’assenza di fonti di finanziamento esterne ai contributi dei lettori,<br />

e la duplice forma <strong>della</strong> battaglia antifascista condotta, da un lato sul piano internazionale<br />

e dall’altro con la denuncia delle attività fi<strong>lo</strong>fasciste <strong>lo</strong>cali e degli episodi di antisemitismo. La<br />

storia del giornale è a tutti gli effetti da considerarsi parte <strong>della</strong> storia dell’antifascismo, dell’emigrazione<br />

politica italiana, ma anche <strong>della</strong> storia americana degli anni tra le due guerre, vista<br />

l’attenzione che il giornale mantiene nei confronti del contesto in cui viene pubblicato. Ancora<br />

in tema di emigrazione invece, l’artico<strong>lo</strong> di Gianfranco Cresciani analizza i rapporti tra le<br />

comunità italiana e tedesca in Australia negli anni ’30 e le <strong>lo</strong>ro rispettive relazioni con il fascismo<br />

e il nazionalsocialismo. L’artico<strong>lo</strong> analizza da un lato la preminenza del partito sul<strong>lo</strong> stato<br />

anche nell’emigrazione e negli apparati dip<strong>lo</strong>matici nazisti all’estero, laddove la situazione<br />

in Italia appare più complessa (anche a causa di una maggiore stabilizzazione iniziale del regime<br />

fascista), ma soprattutto la difficoltà delle comunità, ma anche dei <strong>lo</strong>ro responsabili di stabilire<br />

– <strong>per</strong> ragioni storiche in primo luogo – una relazione più stretta che rispecchi i migliorati<br />

rapporti di alleanza e collaborazione tra Germania hitleriana e Italia fascista.<br />

Tornando invece sul tema dell’antifascismo, e <strong>per</strong>altro di un antifascismo che si rafforza<br />

tra gli italiani all’estero, si può leggere il lungo saggio di Enrico Serventi Longhi che analizza<br />

nei dettagli il fallito attentato progettato dall’anarchico Michele Schirru nel febbraio del 1931.<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

L’interesse di questo saggio non sta tuttavia nella definizione <strong>della</strong> vicenda, del <strong>per</strong>sonaggio o<br />

dell’ambiente anarchico che <strong>lo</strong> circonda quanto nel nesso che Serventi Longhi istituisce tra<br />

l’episodio (e soprattutto il processo al termine del quale Schirru viene condannato a morte) e<br />

l’emanazione, nel giugno di quel<strong>lo</strong> stesso anno, del Codice Rocco che «risolve» la questione<br />

dottrinaria <strong>della</strong> differenza tra attentato e tentativo annullando la distinzione tra preparazione<br />

ed esecuzione.<br />

Su temi di carattere culturale si possono leggere innanzitutto il saggio di Anna Balzarro sull’educazione<br />

delle bambine. Balzarro analizza la rivista «La Piccola <strong>Italiana</strong>» dalla sua fondazione<br />

nel 1927 fino alla chiusura il 25 luglio 1943. Già gli estremi di esistenza <strong>della</strong> rivista segnalano<br />

che la rivista ebbe un rapporto organico con il regime, anche se so<strong>lo</strong> nel 1941 la rivista divenne<br />

organo ufficiale <strong>della</strong> Gioventù italiana del littorio. L’a. evidenzia come la diffusione <strong>della</strong><br />

rivista fosse strettamente legata alla sua «adozione» da parte delle maestre e indica la ricorrenza<br />

di alcuni temi, legati all’educazione al fascismo e al cattolicesimo, e di una serie di modelli<br />

comportamentali, quali quelli <strong>della</strong> «bontà», delle virtù del risparmio, del coraggio, che erano<br />

volti a costruire una «bambina politica», che possedeva le caratteristiche menzionate e <strong>per</strong> questo<br />

era parte integrante <strong>della</strong> patria e del suo rafforzamento. I dati di maggior interesse sottolineati<br />

da Balzarro sembrano essere da un lato quelli relativi alla continuità dei collaboratori con<br />

altre riviste <strong>per</strong> l’infanzia anche dopo la guerra e dall’altro, l’assenza di temi antisemiti in concomitanza<br />

con il 1938 che possono invece essere rilevati negli organi di stampa dei Balilla.<br />

Vittore Armanni studia invece l’apprendistato di Valentino Bompiani presso la casa editrice<br />

Unitas, un’es<strong>per</strong>ienza al tempo stesso formativa, <strong>per</strong>ché gli <strong>per</strong>mise di elaborare <strong>per</strong> la<br />

prima volta alcuni progetti editoriali che sarebbero poi stati realizzati nella sua casa editrice, e<br />

deludente a causa del fatto che la Unitas non aveva esattamente – né desiderava fino in fondo<br />

avere – un profi<strong>lo</strong> editoriale di rilievo. L’artico<strong>lo</strong> che presenta qualche interesse <strong>per</strong> come<br />

mette in rapporto fonti memorialistiche e documentarie, appare <strong>per</strong>ò impoverito dall’assenza<br />

di una riflessione approfondita sul contesto storico e politico in cui le vicende raccontate<br />

si situarono.<br />

Di profi<strong>lo</strong> molto simile gli articoli di Tedesco e Canali rispettivamente su Mattei e Pintor.<br />

Nel primo caso si rintracciano gli elementi che <strong>per</strong>mettono di datare a prima <strong>della</strong> marcia<br />

su Roma l’iscrizione di Enrico Mattei al PNF di Matelica in provincia di Macerata, rilevando<br />

poi come negli anni ’30 invece Mattei sia diventato polemico nei confronti del fascismo,<br />

e arrivando a intravedere, nelle carte dell’Archivio centrale del<strong>lo</strong> Stato, un <strong>per</strong>corso che<br />

<strong>lo</strong> avrebbe portato ad essere anche delatore <strong>per</strong> il regime.<br />

L’artico<strong>lo</strong> di Mauro Canali ha invece l’obiettivo di polemizzare con l’immagine mitica costruita<br />

di Giaime Pintor come vicino al partito comunista rivelando, attraverso documenti<br />

britannici, la sua appartenenza consapevole ai servizi segreti britannici, insieme ad alcuni dei<br />

più stretti amici dell’adolescenza e del fatto che la sua morte fosse avvenuta proprio nell’ambito<br />

di azioni partigiane organizzate dai servizi.<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Un picco<strong>lo</strong> gruppo di articoli si addensa attorno al corporativismo, un tema sul quale si<br />

è recentemente concentrata l’attenzione di diversi storici come testimoniano alcuni libri usciti<br />

nel corso del 2006 e del <strong>2007</strong> e di articoli su riviste straniere e italiane. Alessio Gagliardi si<br />

pone, in un denso e corposo contributo, l’obiettivo di mettere in discussione il «fallimento»<br />

delle istituzioni corporative ricontestualizzando l’es<strong>per</strong>imento. Se infatti è indubitabile che<br />

l’intervento del<strong>lo</strong> stato in economia prese altre strade, è all’ambito del corporativismo che secondo<br />

l’a. bisogna guardare <strong>per</strong> la «formulazione di politiche sindacali» e <strong>per</strong> gettare luce «sulle<br />

relazioni tra politica, amministrazione e rappresentanza degli interessi» (p. 43). Per far questo,<br />

Gagliardi analizza l’organizzazione interna, il ruo<strong>lo</strong>, le attribuzioni legislative di istituzioni<br />

quali il Consiglio nazionale delle corporazioni e segue il dibattito interno e il contributo<br />

dato dalle organizzazioni corporative alla definizione di una serie di provvedimenti legislativi<br />

nel campo dell’economia. Ancora sul corporativismo, anche se da un differente punto di vista,<br />

si può leggere il saggio di Giulia Simone che propone un’analisi degli scritti di uno dei<br />

suoi maggiori teorici: Alfredo Rocco. E con il corporativismo ha a che fare, anche se con diverso<br />

approccio, il saggio di Vanessa Roghi sul diritto d’autore in epoca fascista. Dopo avere<br />

rapidamente tratteggiato le origini <strong>della</strong> questione a partire dall’800, Roghi, che si propone<br />

di intrecciare la storia <strong>della</strong> cultura con quella del diritto, segue il dibattito che portò nel 1925<br />

alla legge in materia che riconosceva «il principio <strong>per</strong> cui l’autore poteva considerarsi come<br />

soggetto di diritto a prescindere da ogni formalità burocratica, e [...] da ogni appartenenza<br />

sindacale e politica» (p. 221). Affronta quindi il problema <strong>della</strong> difficile applicazione di questa<br />

normativa in un contesto di crescente control<strong>lo</strong> e irregimentazione degli intellettuali e mostra<br />

come il processo di formalizzazione del diritto d’autore nell’ambito del sistema corporativo<br />

porti ad una contraddizione insanabile tra autonomia dell’intellettuale e intervento <strong>per</strong>vasivo<br />

del<strong>lo</strong> stato.<br />

Di grande interesse appare la presenza di due articoli relativi ai rapporti tra Italia fascista<br />

e Albania nel <strong>per</strong>iodo tra le due guerre, segno di un interesse che comincia e che dovrà essere<br />

ulteriormente approfondito dalla ricerca storica. Giovanni Villari analizza, utilizzando fonti<br />

originali sia italiane che soprattutto albanesi, l’occupazione dell’Albania. L’a. cerca di analizzare<br />

da una parte l’importanza <strong>della</strong> costituzione di nuove istituzioni e <strong>della</strong> costruzione di un<br />

fascismo albanese, dall’altra i rapporti tra occupante e occupato. I risultati disastrosi <strong>della</strong> campagna<br />

di Grecia, che pure si concludono, grazie all’aiuto tedesco, nella costituzione <strong>della</strong><br />

«Grande Albania» desiderata dagli albanesi stessi non trasformano <strong>lo</strong> stato dei rapporti: il consenso<br />

<strong>lo</strong>cale diminuisce man mano che cresce la consapevolezza del<strong>lo</strong> sfruttamento italiano<br />

delle pur piccole risorse albanese e si allargano le file <strong>della</strong> resistenza. Alessandro Roselli, autore<br />

negli anni ’80 di un volume sui rapporti economici tra Italia e Albania, fa la storia <strong>della</strong><br />

lunga controversia sulle riserva auree albanesi durata dal 1925, anno in cui l’Italia creò la Banca<br />

nazionale d’Albania, fino al 1996-1997 quando finalmente l’oro fu restituito all’Albania.<br />

Roselli ricostruisce l’intera vicenda dip<strong>lo</strong>matica che vide fronteggiarsi l’Italia, che a guerra fi-<br />

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nita rivendicava la restituzione dell’oro sottratto dai tedeschi in quanto fondatrice e proprietaria<br />

<strong>della</strong> Banca, l’Albania, che nel frattempo aveva nazionalizzato la Banca stessa e quindi riteneva<br />

che le riserve auree fossero di propria <strong>per</strong>tinenza, e la Gran Bretagna che, ammettendone<br />

la proprietà albanese, dopo averne inizialmente riconosciuto quella italiana, <strong>lo</strong> rivendicava<br />

come risarcimento danni dopo la distruzione, di cui fu incolpato Hoxha, di due navi da<br />

guerra britanniche nel canale di Corfù nel 1946.<br />

Chiesa e fascismo<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

È sicuramente uno dei grandi limiti <strong>della</strong> storiografia italiana contemporanea non farsi<br />

carico <strong>della</strong> storia del cristianesimo e del cattolicesimo in questo paese se non come storia di<br />

un particolarismo, generalmente – cosa che vale anche <strong>per</strong> altre culture politiche e religiose<br />

– affrontato da un punto di vista interno a quella cultura. Dispiace quindi che la maggior<br />

parte dei pochissimi articoli su questo tema nelle riviste prese in considerazione siano pubblicati<br />

da una rivista specialistica come RSSR e non da riviste più generaliste. Di particolare<br />

interesse, sulla scia di questa considerazione, appare l’artico<strong>lo</strong> di Violi dedicato ai conflitti<br />

tra O<strong>per</strong>a nazionale dopolavoro e gerarchie ecclesiastiche <strong>lo</strong>cali concernenti l’organizzazione<br />

e la gestione delle feste patronali, in particolar modo nel Sud Italia. Il tema non è ovviamente<br />

sconosciuto alla storiografia, ma l’artico<strong>lo</strong> <strong>per</strong>mette di riflettere sulla <strong>per</strong>vasività del<br />

tentativo di control<strong>lo</strong> fascista sulla società italiana – tanto quella più moderna che quella più<br />

tradizionale – e sull’importanza <strong>della</strong> commistione tra la religione civile e religione tout court<br />

come elemento di costruzione del consenso nel paese. La soluzione in termini spesso <strong>lo</strong>calistici<br />

di queste controversie, come ben dimostra Roberto P. Violi, non deve far pensare che<br />

questi conflitti non abbiano riguardato e preoccupato anche i vertici delle gerarchie politiche<br />

e religiose.<br />

Meno interessante in questo senso, anche se utile, l’artico<strong>lo</strong> di Mario Casella sull’approvazione<br />

o meno <strong>della</strong> nomina o del trasferimento di vescovi italiani da parte del regime fascista<br />

(nelle sue varie e diverse, talvolta contrastanti, articolazioni). L’a. prende in considerazione<br />

so<strong>lo</strong> i casi di nomine o trasferimenti che abbiano comportato conflitti o dubbi da parte delle<br />

gerarchie politiche, e che riguardano una minoranza dei duecentodieci casi presi in considerazione.<br />

Se l’andamento descrittivo scelto, che si s<strong>per</strong>a verrà risolto nella seconda parte dell’artico<strong>lo</strong>,<br />

non ancora pubblicata, non appare completamente soddisfacente, i casi presentati<br />

<strong>per</strong>mettono di riscontrare come la mancanza di approvazione risponda alle motivazioni politiche<br />

più varie, dall’accusa di antifascismo, a quella di scarso sentimento nazionale, usata soprattutto<br />

contro i vescovi delle terre di confine.<br />

L’artico<strong>lo</strong> di Ceci propone invece una lettura privata del pensiero di Pio XI relativamente<br />

all’aggressione fascista dell’Etiopia che si scontra con la lettura politica fattane nella storio-<br />

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grafia precedente, a partire da Salvemini. Dall’analisi di alcune carte dell’Archivio segreto vaticano<br />

rese disponibili di recente risulta la consapevolezza <strong>della</strong> assoluta problematicità dell’impresa,<br />

sul piano dell’opportunità politica e culturale. L’a. sottolinea più volte come l’importanza<br />

delle convinzioni <strong>per</strong>sonali di Pio XI non vada a trasformare, se non marginalmente,<br />

un quadro storiografico che, naturalmente, non può che tener conto soprattutto delle posizioni<br />

pubbliche – e <strong>per</strong>tanto politiche – espresse dai principali attori <strong>della</strong> vicenda, Papa<br />

compreso.<br />

Fascismo e co<strong>lo</strong>nie<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Lo studio del co<strong>lo</strong>nialismo fascista è ormai da qualche anno uno dei campi in sviluppo<br />

<strong>della</strong> storiografia italiana sul fascismo, come dimostra la ricchezza di articoli pubblicati<br />

sull’argomento nel <strong>2007</strong>. Tuttavia, l’artico<strong>lo</strong> di Corner, con il quale apriamo questo pezzo<br />

<strong>della</strong> rassegna, dimostra anche la <strong>per</strong>manenza di temi classici <strong>della</strong> storiografia del fascismo,<br />

come la questione del «consenso» dell’avventura im<strong>per</strong>iale fascista. Attraverso l’analisi dell’opinione<br />

pubblica popolare, Paul Corner mette in discussione la tesi del consenso nei giorni<br />

<strong>della</strong> guerra d’Etiopia attraverso l’analisi dei rapporti dei fiduciari e più complessivamente<br />

del Ministero dell’Interno. In particolare Corner sostiene che la partecipazione entusiastica<br />

alla battaglia <strong>per</strong> l’Im<strong>per</strong>o da parte degli italiani fa parte degli obiettivi del governo, e<br />

non sia semplicemente una conseguenza dell’azione militare, mostrando come anzi un’analisi<br />

più attenta di quella fase <strong>per</strong>metta di capire le ragioni <strong>per</strong> cui il fascismo fallisce: il punto<br />

principale di questa sua tesi è la dimostrazione dell’assenza <strong>della</strong> spontaneità popolare<br />

nella partecipazione agli entusiastici riti di propaganda a favore dell’im<strong>per</strong>o organizzati dal<br />

regime.<br />

Più specificamente dedicati alla politica co<strong>lo</strong>niale sono gli altri articoli. Stefano Cecini<br />

analizza la realizzazione <strong>della</strong> rete stradale in Africa orientale italiana che costituisce uno dei<br />

principali programmi del regime, utile tanto al control<strong>lo</strong> del territorio che <strong>per</strong> la sua va<strong>lo</strong>rizzazione<br />

agricola e industriale. L’a. analizza come la gestione amministrativa del processo sia<br />

problematica e come il progetto sia so<strong>lo</strong> parzialmente portato a termine, senza, <strong>per</strong> altro, che<br />

venga presa minimamente in considerazione la possibilità di costruire una rete ferroviaria. La.<br />

sottolinea anche come il risultato sia comunque apprezzato dal<strong>lo</strong> stesso Foreign office britannico<br />

che <strong>lo</strong> considera la principale realizzazione italiana in quell’area.<br />

Alessandro Volterra dedica il suo lavoro alla questione delle politiche educative in Eritrea<br />

nel decennio 1931-1941. Volterra afferma che «le politiche educative messe in essere dall’amministrazione<br />

italiana furono volte a creare una sorta di nucleo italianizzato di nuovi sudditi»<br />

(p. 5) e che, a fronte di una gestione dell’istruzione interamente demandata alle istituzioni religiose,<br />

il regime si preoccupò so<strong>lo</strong> di una parte assai piccola <strong>della</strong> popolazione, quella urbana<br />

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e più vicina, <strong>per</strong> ragioni di lavoro, agli italiani. Sulla base di documentazione archivistica e di<br />

una serie di interviste ad ascari eritrei, Volterra ricostruisce <strong>lo</strong> slittamento nelle politiche educative<br />

da un’attitudine classista ad una razzista nel quadro di uno scarso impegno dedicato ai<br />

problemi dell’educazione.<br />

Cresti analizza una relazione del direttore tecnico dell’Ente Co<strong>lo</strong>nia Libia, dipendente dal<br />

Ministero delle Finanze, Giuseppe Minnucci, invitato, come molti altri co<strong>lo</strong>ni, a restare in Libia<br />

al fine di tutelare l’amministrazione italiana del paese. La relazione di Minnucci <strong>per</strong>mette<br />

di analizzare il rapporto britannico-italiano in questa delicata fase bellica, in cui, malgrado<br />

l’occupazione britannica, l’amministrazione civile italiana non viene sostituita. Cresti mostra<br />

da un lato <strong>lo</strong> stupore dei nuovi occupanti di fronte ad un ente fascista che presto si rivela in<br />

passivo e <strong>per</strong> niente razionale economicamente, e dall’altro i livelli di conflitti – mai sanati dal<br />

fascismo (e particolarmente evidenti in questo versante) – tra co<strong>lo</strong>ni ed arabi e tra agricoltori<br />

e nomadi in questo territorio. Questa relazione illustra quindi sia elementi dell’amministrazione<br />

italiana che difficilmente emergono in altre fasi, ma anche il rapporto tra vecchi e nuovi<br />

occupanti durante la guerra mondiale.<br />

Ercolana Turriani riprende una questione fondamentale, e mai sufficientemente approfondita,<br />

quella <strong>della</strong> riconquista fascista <strong>della</strong> Cirenaica e <strong>della</strong> politica repressiva e violenta<br />

del regime in quest’area. Il saggio è molto attento al fenomeno del fuoriuscitismo libico in<br />

Egitto ed evidenzia utilizzando essenzialmente la stampa egiziana, il diverso grado di consapevolezza<br />

dei paesi arabi, Egitto in testa, delle violenze compiute dagli italiani rispetto all’Europa<br />

che rimase completamente sorda agli avvenimenti libici.<br />

Seconda guerra mondiale<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Al modo in cui la Germania si prepara alla guerra è dedicato il saggio di uno dei maggiori<br />

storici del nazismo Jan Kershaw pubblicato da Clio.<br />

Anticipazione <strong>della</strong> sua importante analisi comparativa tra Italia fascista e Germania nazionalsocialista,<br />

non ancora apparsa in Italia (intitolata To the Threshold of Power, 1922-33.<br />

Origins and Dynamics of the Fascist and National Socialist Dictatorship, vol. 1, Cambridge-New<br />

York, Cambridge University Press, <strong>2007</strong>), l’artico<strong>lo</strong> di MarGregor Knox analizza le ragioni dei<br />

diversi risultati militari fascisti e nazisti sulla base di una comparazione che prende in considerazione<br />

dati istituzionali e politici (la presenza <strong>della</strong> monarchia in Italia e la parziale autonomia<br />

dell’esercito, oltre che le vittorie iniziali tedesche e la disponibilità economica di quel<br />

paese), al fine di capire le ragioni del così rapido insuccesso italiano e fascista nella Seconda<br />

guerra mondiale, e anche la ve<strong>lo</strong>cità <strong>della</strong> disaffezione al fascismo dei militari italiani, dimostrando<br />

come l’analisi comparativa possa essere al tempo stesso illuminante di alcuni aspetti<br />

specifici e aprire la strada a nuove ricerche.<br />

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Giuseppe Pardini analizza le ri<strong>per</strong>cussioni <strong>della</strong> politica francese durante l’occupazione<br />

dell’Isola d’Elba, una politica volta – nelle parole dell’a. – alla vendetta nei confronti del nemico<br />

italiano e ad un tentativo di inserimento stabile nell’isola che viene <strong>per</strong>ò sventato, con<br />

il ritorno degli italiani nel 1945.<br />

Poco nota, anche se con i limiti già discussi precedentemente, la questione dei prigionieri<br />

italiani negli USA, che andrebbe ben altrimenti approfondita. Tartacca sceglie di parlarne<br />

nell’ambito <strong>della</strong> polemica tra i prigionieri e <strong>lo</strong> Stato italiano <strong>per</strong> gli indennizzi concessi dagli<br />

USA <strong>per</strong> il lavoro svolto dai prigionieri e mai ricevuti. I dati di maggiore interesse che si ricavano<br />

riguardano invece soprattutto il numero dei prigionieri italiani reclusi negli USA – più<br />

di 50.000 –, il riconoscimento da parte <strong>della</strong> stragrande maggioranza di questi dell’illusorietà<br />

<strong>della</strong> propaganda fascista relativa alla potenza democratica statunitense, e infine la <strong>per</strong>centuale<br />

di prigionieri che scelse di rimanere o tornare negli USA.<br />

Occupazione tedesca e resistenza<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Malgrado questo sia uno dei temi maggiormente frequentati dalla storiografia, parte consistente<br />

dell’intero gruppo di articoli su questo argomento rilevato nelle riviste pubblicate quest’anno<br />

è il frutto di un numero monografico di Mi che contiene <strong>per</strong> <strong>lo</strong> più sintesi di ricerche<br />

nuove, ma già conosciute in Italia. Pao<strong>lo</strong> Pezzino sintetizza i risultati di un importante gruppo<br />

di lavoro degli ultimi anni sulla guerra contro i civili. Mirco Dondi presenta una sintesi di<br />

alcune riflessioni apparse nel suo libro dedicato alla resistenza. Meno nota e presente nella storiografia<br />

italiana, malgrado sia relativa ad un tema ampiamente affrontato negli ultimi anni,<br />

quale quel<strong>lo</strong> <strong>della</strong> deportazione italiana degli ebrei, la riflessione di Frauke Wildvang sul ruo<strong>lo</strong><br />

degli italiani, ed in particolare <strong>della</strong> polizia, nella consegna degli ebrei – in questo caso romani<br />

– nei giorni <strong>della</strong> occupazione tedesca. La questione, che negli ultimi anni ha cominciato<br />

ad essere approfondita all’estero, è particolarmente rilevante in un dibattito storiografico<br />

come quel<strong>lo</strong> italiano che, malgrado gli sforzi, fatica a disfarsi, e a fare i conti, con i limiti imposti<br />

alla ricerca dal ben radicato «mito del bravo italiano».<br />

Interno alle polemiche sull’uso pubblico <strong>della</strong> storia, ma volto a offrire un’analisi storica<br />

rigorosa alla questione, l’artico<strong>lo</strong> di Luigi Ganapini che analizza il ruo<strong>lo</strong> dei giovani che combatterono<br />

<strong>per</strong> la Repubblica sociale italiana. La questione, che a partire dagli anni ’90 ha assunto<br />

un notevole spazio pubblicistico, viene affrontata da Ganapini affrontando da un lato<br />

le molteplici contraddizioni dei messaggi ideo<strong>lo</strong>gici <strong>della</strong> Repubblica sociale italiana e dall’altro<br />

nel tentativo di analizzare chi fossero i diversi attori che combatterono a favore <strong>della</strong> RSI,<br />

e le <strong>lo</strong>ro molteplici motivazioni.<br />

Profondamente legato alle questioni dell’uso pubblico <strong>della</strong> storia, anche l’artico<strong>lo</strong> di Patrizia<br />

Dogliani sulla memoria e la storia pubblica <strong>della</strong> Resistenza in Italia e in Francia. Un ar-<br />

53


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tico<strong>lo</strong> che parte dal presupposto <strong>della</strong> diversità delle es<strong>per</strong>ienze italiane e francesi, e dalla capacità<br />

<strong>della</strong> resistenza francese di elaborare, a guerra finita, un programma <strong>per</strong> il paese, cosa<br />

che malgrado l’unità d’azione, il CLN non riuscì a produrre. L’a. sottolinea poi una diversità<br />

di tempi nell’elaborazione di una memoria pubblica dell’occupazione tedesca, che in Francia<br />

appare più rapidamente istituzionalizzata, e maggiormente monolitica. L’analisi prende in<br />

considerazione poi l’epurazione e <strong>lo</strong> svolgimento di pratiche giuridiche nei confronti di collaboratori,<br />

l’elaborazione di una letteratura resistenziale e i diversi caratteri che assume nei due<br />

paesi e propone un’analisi comparata di tipo europeo <strong>per</strong> mostrare con più evidenza quali siano<br />

i caratteri che hanno <strong>per</strong>messo il rafforzarsi di una memoria dei «vinti» e la debolezza di<br />

una memoria nazionale dell’occupazione e <strong>della</strong> resistenza. Completamente diverso <strong>per</strong> temi<br />

e obiettivi, l’artico<strong>lo</strong> di Alessandro Casellato su Franco Calamandrei, Maria Teresa Regard e<br />

la resistenza rappresenta un avvio di ricerca che ha numerosi punti di contatto con il lavoro<br />

da lui curato sugli scritti di Piero Calamandrei. Attraverso testimonianze e memorie, L’artico<strong>lo</strong><br />

affronta il rapporto nella vita di Calamandrei e Regard tra sfera privata e impegno militante,<br />

come gappisti a Roma, e dimostra come la profondità dell’es<strong>per</strong>ienza incida anche sul modo<br />

del <strong>lo</strong>ro innamoramento e sui sentimenti che li legarono.<br />

Da segnalare infine il numero <strong>della</strong> RAS dedicato agli Archivi degli istituti <strong>per</strong> la storia<br />

<strong>della</strong> resistenza e ai fondi che essi contengono <strong>per</strong> la storia <strong>della</strong> resistenza, dell’antifascismo,<br />

ma talvolta anche <strong>della</strong> società italiana del ’900 nel suo complesso.<br />

Articoli citati:<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Anheim, Etienne, Marc B<strong>lo</strong>ch: sources orales et épistémo<strong>lo</strong>gie de l’histoire, DPRS, n. 2, pp. 37-<br />

50.<br />

Aramini, Donatel<strong>lo</strong>, George L. Mosse e gli storici italiani: il problema <strong>della</strong> nazionalizzazione<br />

delle masse, MC, n. 2, pp. 129-159.<br />

Armanni, Vittore, L’apprendistato di un editore. Valentino Bompiani alla Unitas (1928-1929),<br />

SeS, n. 117, pp. 555-580.<br />

Balzarro, Anna, La «ragazzina nuova»? Il fascismo e le immagini di bambine, Gen, n. 1, pp.<br />

119-145.<br />

Boçkowski, Daniel, Gli aspetti giuridici <strong>della</strong> deportazione sulla base dei documenti sovietici. Il<br />

caso <strong>della</strong> popolazione polacca in Unione Sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale,<br />

DEP, n. 7.<br />

Botti, Alfonso, In esergo. Note sull’esilio spagno<strong>lo</strong> degli anni trenta con alcune piste di ricerca, IC,<br />

n. 248, pp. 527-534.<br />

Bottin, Francesca, l Kibbo Kift: la prova di vigore di uno scout model<strong>lo</strong> e ribelle, MR, n. 25, pp.<br />

15-26.<br />

54


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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Breschi, Dani<strong>lo</strong>, Fascismo e antiurbanesimo. Prima fase: ideo<strong>lo</strong>gia e legge (1926-1929) , CS, n.<br />

2, pp. 171-188.<br />

Canali, Mauro, Il mito del «compagno Giaime Pintor» tra Pci e servizi segreti inglesi, NSC, n.<br />

4, pp. 31-42.<br />

Capuzzo, Ester, Trieste dall’intervento all’annessione, Clio, n. 1, pp. 23-38.<br />

Casella, Mario, Per una storia dei rapporti tra il fascismo e i vescovi italiani (1929-1943). Prima<br />

parte, RSSR, 71, pp. 7-68.<br />

Casellato, Alessandro, Le rivoluzioni sono <strong>per</strong>iodi in cui ci si innamora. Franco Calamandrei,<br />

Maria Teresa Regard, la Resistenza, S-nodi, n. 1, pp. 41-64.<br />

Ceci, Lucia, La mancata lettera di Pio XI a Mussolini <strong>per</strong> fermare l’aggressione all’Etiopia, SS, n.<br />

3, pp. 817-840.<br />

Cecini, Stefano, La realizzazione <strong>della</strong> rete stradale in Africa Orientale <strong>Italiana</strong> 1936-1941,<br />

DPRS, n. 1, pp. 113-156.<br />

Cerqueti, Giulia, La stampa antifascista a Boston fra il 1939 e il 1945: La Controcorrente, AI,<br />

n. 35, pp. 44-68.<br />

Ciammaruconi, Clemente, La Federazione di Littoria dell’O<strong>per</strong>a nazionale maternità e infanzia,<br />

SS, n. 3, pp. 841-875.<br />

Cioffi, Mario, 24 maggio 1920. L’eccidio di Via Nazionale, DPRS, 1, pp. 93-112.<br />

Contini Bonacossi, Giovanni, False notizie, falsi ricordi: a volte le parole vengono dopo, DPRS,<br />

n. 2, pp. 29-36.<br />

Cordero Olivero, Inmaculada e Lemus López, Encarnación, L’esilio repubblicano in Argentina<br />

e Cile, IC, n. 248, pp. 481-507.<br />

Corner, Paul, L’opinione popolare italiana di fronte alla guerra d’Etiopia, IC, n. 246, pp. 51-63.<br />

Cresciani, Gianfranco, A not so Brutal Friendship. Italian Responses to National Socialism in Australia,<br />

AI, n. 34, pp. 4-38.<br />

Cresti, Federico, La prima occupazione inglese <strong>della</strong> Cirenaica e i co<strong>lo</strong>ni italiani in un documento<br />

dell’epoca, SS, n. 1, pp. 241-266.<br />

D’Agata, Raffaele, Antonio Gramsci e l’analisi del dopoguerra mondiale tra ragione e passione,<br />

SS, n. 3, pp. 651-670.<br />

Dé<strong>lo</strong>ye, Yves, Credere e votare. Per una storia del clericalismo elettorale in Francia durante la Terza<br />

repubblica, Cont, n. 2, pp. 229-24.<br />

Deschamps, Bénédicte, Giustizia, The ILGWU’s Official Italian Organ (1919-1935), AI, n.<br />

35, pp. 69-86.<br />

Di Rienzo, Eugenio, Caporetto, la «strana disfatta», NRS, n. 3, pp. 661-672.<br />

Id., Volpe e Croce, origini di una lunga amicizia. Stima e consuetudine scientifica nel carteggio tra<br />

<strong>lo</strong> storico e il fi<strong>lo</strong>sofo, NSC, n. 6, pp. 53-74.<br />

Dogliani, Patrizia, Memoria e storia pubblica: Resistenza in Italia e in Francia, Stor, n. 34, pp.<br />

73-111.<br />

55


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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Dondi, Mirco, Division and Conflict in the Partisan Resistance, MI, n. 2, pp. 225-236.<br />

Ermacora, Matteo, Le donne internate in Italia durante la Grande Guerra. Es<strong>per</strong>ienze, scritture<br />

e memorie, DEP, n. 7.<br />

Ferretti, Maria, Un o<strong>per</strong>aio di Jaroslavl’, Vasilij Ivanovič Ljulin: <strong>per</strong> un approccio microstorico alla<br />

genesi del<strong>lo</strong> stalinismo, PP, n. 72, pp. 71-99.<br />

Fiori, Antonio, «Una spaventosa sapiente organizzazione». Lo scanda<strong>lo</strong> dei cascami (1918), RSR,<br />

n. 1, pp. 33-84.<br />

Id., I liberali di Destra nella crisi del primo dopoguerra, Clio, n. 3, pp. 389-406.<br />

Id., Il controspionaggio «civile». Dalla neutralità alla creazione dell’Ufficio centrale d’investigazione<br />

1914-1916, IC, n. 247, pp. 95-215.<br />

Gagliardi, Alessio, Il funzionamento delle istituzioni corporative, MC, n. 1, pp. 43-86.<br />

Gal<strong>lo</strong>, Stefano, L’anagrafi arruolate: l’Istat e le normative contro l’urbanesimo tra Italia fascista e<br />

Italia repubblicana, CS, n. 1, pp. 175-190.<br />

Garzarelli, Benedetta, Il fascismo e la crisi italiana negli scritti di Antonio Gramsci del 1924-<br />

1926, SS, n. 4, pp. 1059-1090.<br />

Ganapini, Luigi, The Dark Side of Italian History 1943-1945, MI, n. 2, pp. 205-223.<br />

Gazzetta, Liviana, Votate all’obbedienza: parabole esemplari di dirigenti cattoliche, Gen, n. 2,<br />

pp. 79-98<br />

Gilks, David, Riforma e rinascimento, Protestantism and Catholicism in Antonio Gramsci’s writings<br />

on Italian History: 1926-1935, JMIS, n. 3, pp. 286-306.<br />

Giulietti, Fabrizio, Anarchici contro comunisti. Movimento anarchico italiano e bolscevichi<br />

1917-1924, IC, n. 247, pp. 165-193.<br />

Gorza, Viola, Jugendbewegung e culture alternative nella Repubblica di Weimar, MR, n. 25, pp.<br />

81-90.<br />

Graziosi, Andrea, Il mondo in Europa. Namier e il «Medio Oriente europeo», 1815-1948, Cont,<br />

n. 2, pp. 193-228.<br />

Herrerín López, Ángel, Spagnoli nella Repubblica Dominicana. Un esilio di andata e ritorno,<br />

IC, n. 248, pp. 417-432.<br />

Kershaw, Jan, La strada verso la guerra di Hitler. La politica estera nazista dal 1936 al 1941,<br />

Clio, n. 1, pp. 59-80.<br />

Knox, MacGregor, Totalità e disintegrazione. Stato, partito e forze armate nella Germania nazionalsocialista<br />

e nell’Italia fascista, IC, n. 246, pp. 5-31.<br />

Lescoffit, Claire, Al governo senza diritti: i paradossi del Fronte popolare francese, Gen, n. 2, pp.<br />

99-115.<br />

Levis Sullam, Simon, Arnaldo Momigliano e la nazionalizzazione parallela: autobiografia, religione,<br />

storia, PP, n. 70, pp. 59-82.<br />

Macrì, Pao<strong>lo</strong>, O<strong>per</strong>azione di soccorso nella Francia di Vichy. Un «tranquil<strong>lo</strong> americano» e la fuga<br />

dei nemici di Pétain, NSC, n. 3, pp. 99-130.<br />

56


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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Marquès Sureda, Sa<strong>lo</strong>mó, I contributi pedagogici repubblicani alla scuola in Venezuela, IC, n.<br />

248, pp. 459-480.<br />

Martínez Gorroño, María Eugenia, Hernández Álvarez, Juan Luis, L’esilio repubblicano in Co<strong>lo</strong>mbia.<br />

Contributi al progresso culturale, socio-economico e scientifico, IC, n. 248, pp. 433-457.<br />

Meyer, Gerald, Car<strong>lo</strong> Tresca: The Dilemma of an Anti-communist Radical, Al, n. 34, pp. 94-<br />

111.<br />

Monzali, Luciano, Attilio Tamaro, la questione adriatica e la politica estera italiana (1920-<br />

1922), Clio, n. 2, pp. 229-254.<br />

Naranjo Orovio, Consue<strong>lo</strong>, Reti culturali. L’esilio repubblicano a Portorico e Cuba, IC, n. 248,<br />

pp. 389-415.<br />

Novarino, Marco, L’esilio politico e culturale dopo la guerra civile spagnola, IC, n. 248, pp. 353-<br />

369.<br />

Pardini, Giuseppe, L’occupazione francese dell’isola d’Elba (giugno 1944), NSC, n. 5, pp. 37-54.<br />

Pezzino, Pao<strong>lo</strong>, The German Military Occupation of Italy and the War against Civilians, MI, n.<br />

2, pp. 173- 188.<br />

Ramirez, Bruno, Decline, death and revival of «Little Italies»: the Canadian and Us ex<strong>per</strong>iences<br />

compared, SE, n. 166, pp. 337-354.<br />

Ranzato, Gabriele, La democrazia indifesa: la Spagna repubblicana tra rivoluzione e «non intervento»<br />

(1936-1939), RSP, n. 3, pp. 281-299.<br />

Rapone, Leonardo, Antonio Gramsci nella Grande Guerra, SS, n. 1, pp. 5-96.<br />

Roghi, Vanessa, Il dibattito sul diritto d’autore e la proprietà intellettuale nell’Italia fascista, SS,<br />

n. 1, pp. 203-240.<br />

Roselli, Alessandro, The Question of «The Albanian Gold», RSE, n. 2, pp. 183-208.<br />

Rueda, Germán, Emigranti negli Stati Uniti a caval<strong>lo</strong> <strong>della</strong> guerra civile. Docenti, scienziati,<br />

giornalisti, artisti e comunità spagnola, IC, n. 248, pp. 509-525.<br />

Sa<strong>lo</strong>moni, Antonella, Per una ricerca su «verità» e «giustizia». L’es<strong>per</strong>ienza di Lidija âukovskaja,<br />

DEP, n. 7.<br />

Schiavon, Emma, La campagna <strong>per</strong> il suffragio del 1919: la parabola di «Voce nuova» , Gen, n.<br />

2, pp. 57-78.<br />

Schina, Nadia, Wilson e il tentativo americano di sostenere la Russia postzarista: la missione di<br />

Elihu Root, Clio, n. 3, pp. 369-388.<br />

Sergi, Pantaleone, Fascismo e antifascismo nella stampa italiana in Argentina: così fu spenta «La<br />

Patria degli Italiani», AI, n. 35, pp. 4-43.<br />

Serventi Longhi, Enrico, L’attentato di Michele Schirru a Benito Mussolini. Genesi, organizzazione<br />

e implicazioni giuridiche, MC, n. 2, pp. 5-62.<br />

Simone, Giulia, L’organizzazione delle masse al servizio del<strong>lo</strong> Stato. Alfredo Rocco e l’origine del<br />

corporativismo, Clio, n. 3, pp. 439-464.<br />

Soave, Sergio, Gramsci e Tasca, SS, n. 3, pp. 671-710.<br />

57


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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Souto Kustrin, Sandra, Culture giovanili, sollecitudini morali e mobilitazioni di massa in Europa<br />

tra le due guerre mondiali, MR, n. 25, pp. 61-80.<br />

Tartacca, Monia, I prigionieri di guerra italiani negli Stati uniti, NSC, n. 3, pp. 47-64.<br />

Tedesco, Luca, Enrico Mattei squadrista e «dissidente fascista», NSC, n. 3, pp. 41-46.<br />

Tondo, Lucio, O<strong>per</strong>azione Manciuria. La crisi mancese, gli Stati Uniti e la <strong>Società</strong> delle Nazioni,<br />

NSC, n. 1, pp. 35-66.<br />

Id., Warren Harding e il dibattito sull’internazionalismo nella campagna presidenziale americana<br />

del 1920, Clio, n. 3, pp. 407-438.<br />

Torre, Andrea (a cura di), Guida agli archivi <strong>della</strong> Resistenza, RAS, 2006, n. 1 [<strong>2007</strong>], 512 pp.<br />

Tosco, Amedeo, Origine e primi sviluppi <strong>della</strong> stampa italiana in Australia: il caso dell’Ita<strong>lo</strong>-Australiano<br />

(1885), Altreitalie, n. 34 pp. 39-68<br />

Turriani, Ercolana, La riconquista fascista <strong>della</strong> Cirenaica e i fuoriusciti libici in Egitto, Cont,<br />

n. 2, pp. 251-274.<br />

Vigil, Alicia Alted, Il contributo dei rifugiati spagnoli alla società messicana, IC, n. 248, pp.<br />

371-388.<br />

Villari, Giovanni, A Failed Ex<strong>per</strong>iment: The Exportation of Fascism to Albania, MI, n. 2, pp.<br />

157-171.<br />

Violi, Roberto, Le feste patronali nel Mezzogiorno tra prescrizioni ecclesiastiche e direttive fasciste,<br />

RSSR, 71, pp. 69-104.<br />

Volterra, Alessandro, Le politiche educative fasciste <strong>per</strong> gli indigeni in Eritrea (1931-1941), MC,<br />

n. 1, pp. 5-42.<br />

Wildvang, Frauke, The Enemy Next Door: Italian Collaboration in Deporting Jews during the<br />

German Occupation of Rome, MI, n. 2, pp. 189-204<br />

3. 1945-2005<br />

di Enrica Capussotti, Massimo De Giuseppe, Francesco Petrini, Marco Rovinel<strong>lo</strong>, Silvia Salvatici<br />

e Adolfo Scotto di Luzio<br />

Il quadro <strong>per</strong> gli anni successivi al 1945 si offre sotto il segno di una estrema varietà di temi e<br />

di approcci metodo<strong>lo</strong>gici. Il sistema di classificazione che abbiamo adottato prova a far emergere<br />

la consapevolezza storiografica delle discontinuità culturali e generazionali attraverso le<br />

quali passa il secondo ’900: fascismo e antifascismo, comunismo e anticomunismo, fino alle<br />

fratture e alle accelerazioni degli ultimo ventennio del seco<strong>lo</strong>: in Europa e negli Stati Uniti. In<br />

questa prospettiva si col<strong>lo</strong>ca l’attenzione che riceve la storia dei giovani e delle culture giovanili,<br />

che rischia tuttavia, soprattutto quando affronta l’ingombrante ’68 e la sua ombra, di farsi<br />

troppo celebrativa e nostalgica. Corposa resta la parte riservata ai nuclei storico-politici del<br />

seco<strong>lo</strong>: la guerra fredda e il confronto Est-Ovest; le sue ri<strong>per</strong>cussioni italiane. Il fuoco dell’at-<br />

58


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tenzione storiografica si concentra sulla stagione del centrismo e dei suoi protagonisti. De Gas<strong>per</strong>i,<br />

prima di tutti, oggetto di una vera e propria risco<strong>per</strong>ta, Dossetti e le vicende interne alla<br />

sinistra democristiana, tra utopia e pragmatismo. Resta il nodo del PCI e <strong>della</strong> minaccia<br />

<strong>della</strong> guerra civile. Il più vasto mondo compare sotto il segno dei nazionalismi e dei conflitti<br />

identitari, mentre comincia ad essere riconosciuta, sebbene timidamente, la portata degli studi<br />

co<strong>lo</strong>niali e post co<strong>lo</strong>niali.<br />

Storiografia e storia intellettuale<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Quanto può influire la produzione storica sulla formazione dell’immaginario collettivo e<br />

del cosiddetto «senso comune»? Come si delinea la relazione tra dibattito storiografico, mondo<br />

<strong>della</strong> comunicazione e «uso pubblico» <strong>della</strong> storia? Infine, quanto incidono sulla formazione<br />

<strong>della</strong> memoria le scelte delle fonti ed il <strong>lo</strong>ro aprirsi e mutare, in relazione ai diversi archetipi<br />

di divulgazione del passato? Questi sono alcuni dei grandi quesiti che emergono da una<br />

lettura comparata degli articoli e dei saggi dedicati alla questione storiografica e alla storia intellettuale<br />

pubblicati nel corso dell’ultimo anno. Quel<strong>lo</strong> che ne esce è un quadro sorprendentemente<br />

coerente e al tempo stesso marcato da alcuni segnali di risveglio. Un dato che sembrerebbe<br />

incoraggiante, rispetto anche so<strong>lo</strong> a quanto emergeva nella rassegna sul 2006. Non<br />

tutte sono luci, naturalmente, e le contraddizioni non mancano, colpisce <strong>per</strong>ò la convergente<br />

attenzione verso una rilettura del ruo<strong>lo</strong> «politico» e sociale <strong>della</strong> produzione storiografica,<br />

le sue dinamiche interne, i diversi passaggi culturali e le cesure generazionali. Un altro dato si<br />

ricollega poi ad una tendenza (che sembra rispondere agli auspici formulati tempo addietro<br />

dal Centro di ricerca sull’immaginario di Chambéry) verso una lettura incrociata delle idee,<br />

da cui risalta un grande interesse a contestualizzare sia la prossimità del<strong>lo</strong> storico agli eventi,<br />

sia la ricaduta politica delle sue teorizzazioni.<br />

All’interno di uno speciale ispirato al convegno di Bertinoro <strong>della</strong> Sissco, In media(s) res.<br />

Comunicare il passato oggi pubblicato da Cont, Nani analizza le mutazioni del confronto tra<br />

storico contemporaneo e giornalista, cercando di individuare i «pieni» e i «vuoti» che si col<strong>lo</strong>cano<br />

tra «storia tecnica» e «memoria culturale». L’indebolimento dell’autorità storiografica,<br />

sembra chiedersi l’a., è direttamente proporzionato alla trasformazione (anche tecno<strong>lo</strong>gica)<br />

dei media o dipende anche dalla crescente difficoltà di rapportarsi con una quantità sempre<br />

più vasta di fonti (p. 375)? Un altro passaggio riguarda invece la rottura dell’omogeneità tra<br />

intellettuali e classe dirigente (tema che <strong>per</strong>ò richiede una certa cautela) e le incognite legate<br />

all’espandersi <strong>della</strong> cultura «diffusa» <strong>della</strong> storia, sempre più condizionata da esigenze tipicamente<br />

giornalistiche (l’insistenza sul privato, la ricerca spasmodica di scoop). La posta in gioco<br />

è tutt’altro che secondaria e va ben oltre la scomparsa <strong>della</strong> «terza pagina» nei quotidiani o<br />

i duelli a distanza tra storici di fama; chiama semmai in causa i margini di autonomia <strong>della</strong> ri-<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

cerca (compresi i limiti finanziari che possono condizionarla), il ruo<strong>lo</strong> delle università, le <strong>per</strong>iodizzazioni<br />

(il rischio di una facile «novecentizzazione» nei termini schematizzanti imposti<br />

dalla «retorica del nuovo») e l’uso dei diversi linguaggi dei media. Nani invoca quindi la costruzione<br />

di un’etnografia del pubblico e la risco<strong>per</strong>ta, anche sul fronte divulgativo, <strong>della</strong> complessità<br />

di una storia «<strong>per</strong> problemi».<br />

Tra storiografia e storia intellettuale si muovono i due lavori pubblicati su Clio da Di<br />

Rienzo e Bianco, dedicati rispettivamente a Gioacchino Volpe e a Livio Paladin. Nel primo<br />

caso si riflette sull’eredità di una figura complessa come quella di Volpe, del quale si analizza<br />

il ruo<strong>lo</strong> nella costruzione <strong>della</strong> «scuola romana» tra gli anni del regime e l’avvento <strong>della</strong> Repubblica.<br />

Utilizzando corrispondenza inedita, studi e ricordi, Di Rienzo traccia quasi la figura<br />

di un «maestro di bottega», del suo rapporto con allievi quali Cantimori, Romeo, Cande<strong>lo</strong>ro,<br />

Nel<strong>lo</strong> Rosselli, <strong>per</strong>fino De Felice, toccando anche prosaiche questioni, non troppo <strong>lo</strong>ntane<br />

da noi, di scontri di potere accademico e <strong>lo</strong>tte concorsuali. Di Volpe emerge soprattutto<br />

il fascino <strong>per</strong> la costruzione di una storia pubblica, attenta alle dinamiche sociali e ai meccanismi<br />

<strong>della</strong> nazione «profonda», nonché il suo interesse <strong>per</strong> la «storiografia collettiva» (a<strong>per</strong>ta<br />

anche a pubblicisti come Mario Missiroli). L’a. non tralascia poi uno sguardo sulla controversa<br />

eredità di Volpe, riletta alla luce <strong>della</strong> politica del secondo dopoguerra, richiamando vicende<br />

rivelatrici, come il «processo» istruito all’interno dell’Istituto Gramsci contro Manacorda,<br />

accusato di aver legittimato su «Rinascita» l’interpretazione di Volpe del socialismo italiano.<br />

Nel caso del lavoro di Bianco su Paladin, noto costituzionalista e <strong>per</strong> breve tempo ministro<br />

nel governo Ciampi, la prospettiva cambia. Qui si prende spunto dal testo Per una storia costituzionale<br />

dell’Italia repubblicana, e ci si pone l’obiettivo di vagliare attraverso le sue pagine<br />

l’approccio di un giurista alla storia politica. Ritorna il tema dell’utile porosità dei confini, qui<br />

riletta soprattutto attraverso il confronto tra l’impianto istituzionale e il dipanarsi <strong>della</strong> «Costituzione<br />

vivente». In particolare risulta interessante l’approccio di Paladin a storici del processo<br />

costituente come Pombeni e Scoppola e l’originale interpretazione dei termini <strong>della</strong> conventio<br />

ad escludendum nei confronti del PCI. Le mutazioni istituzionali sono costantemente<br />

messe in relazione al processo di «espansione centrifuga» dei partiti e alla ricezione delle novità<br />

politiche nel tessuto sociale del paese. Lo studio si chiude nel 1972, con una decisa critica<br />

tecnico-politica dell’o<strong>per</strong>ato del presidente Leone in occasione <strong>della</strong> nascita del primo governo<br />

Andreotti che pose fine mestamente allla V Legislatura.<br />

Ancora di storici e cesure politiche tratta il saggio di Gilda Zazzara secondo una prospettiva<br />

originale: le poetiche «del lutto» e la memoria, attraverso un genere letterario (quel<strong>lo</strong> dell’epitaffio)<br />

che mescola la notizia necro<strong>lo</strong>gica ad una ricostruzione (non sempre necessariamente<br />

apo<strong>lo</strong>getica) del cursus honorum del defunto. Si parte così dalla prima fase repubblicana,<br />

con i ricordi di alcuni grandi vecchi <strong>della</strong> stagione liberale, come Croce o Salvemini, <strong>per</strong><br />

approdare ad o<strong>per</strong>e che evidenziano una graduale reazione al fi<strong>lo</strong><strong>lo</strong>gismo erudito, attraverso<br />

la ricerca di innovazioni metodo<strong>lo</strong>giche. Mettere a confronto l’epitaffio di Chabod su Croce,<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

con quel<strong>lo</strong> di Alessandro e Ettore Passerin d’Entrèves sul<strong>lo</strong> stesso Chabod, risulta un esercizio<br />

interessante, così come <strong>lo</strong> è la lettura del rapporto tra biografie intellettuali e politiche, la messa<br />

in discussione di secche <strong>per</strong>iodizzazioni (Villari e la sua «illuminazione» post 1861), la rilettura<br />

del ruo<strong>lo</strong> del<strong>lo</strong> storico nella stagione fascista, fino alla trasmissione intergenerazionale<br />

dei patrimoni storiografici. Attento alla relazione storia-politica è anche il lavoro di Brizzi e<br />

Marchi. Qui, partendo dall’analisi <strong>della</strong> «missione del<strong>lo</strong> storico e dell’intellettuale nel contesto<br />

<strong>della</strong> polis moderna» (p. 53) si usa l’es<strong>per</strong>ienza <strong>per</strong>sonale di Pierre Rosanval<strong>lo</strong>n, tra accademia,<br />

sindacato e politica, <strong>per</strong> studiare le trasformazioni <strong>della</strong> sinistra francese dopo il ’69<br />

(nell’ambito <strong>della</strong> costruzione <strong>della</strong> deuxième gauche) ma anche i mutamenti nei rapporti tra<br />

istituzioni statuali e società civile. La formulazione di una teoria del totalitarismo, l’es<strong>per</strong>ienza<br />

<strong>della</strong> stagione autogestionaria <strong>della</strong> CFdT, le a<strong>per</strong>ture al liberalismo, diventano così non so<strong>lo</strong><br />

note biografico-storiografiche, ma un modo <strong>per</strong> comprendere il ruo<strong>lo</strong> degli intellettuali nella<br />

politica francese, sul<strong>lo</strong> sfondo del<strong>lo</strong> scontro tra Rocard e Mitterand <strong>per</strong> la leadership del<br />

PSU. Così anche la lettura di Rosanval<strong>lo</strong>n <strong>della</strong> rivoluzione francese (che abbina a una decisa<br />

critica alla deriva giacobina una riflessione originale sui limiti dell’es<strong>per</strong>ienza termidoriana)<br />

ci aiuta a interpretare la politica francese degli anni ’80, mentre il tracol<strong>lo</strong> di Jospin nel 2002<br />

marca il suo ritardo nell’aggiornare le categorie elaborate a un quadro in costante mutazione.<br />

Sempre in ambito francese si muove Di Maggio, che riflette sul ruo<strong>lo</strong> del PCF e sui caratteri<br />

<strong>della</strong> «via francese al socialismo» sfruttando l’a<strong>per</strong>tura degli archivi del partito. Da<br />

queste pagine, incentrate sulla svolta del 1961-1964, emerge l’effetto di lungo <strong>per</strong>iodo del<strong>lo</strong><br />

«choc del XX Congresso» e la <strong>per</strong>sonale rilettura del processo di destalinizzazione attuata<br />

dal gruppo di Thorez. Frequenti sono i richiami all’es<strong>per</strong>ienza italiana e al rapporto a distanza<br />

con Togliatti, secondo una rilettura che sottolinea la diversità delle es<strong>per</strong>ienze culturali (a<br />

cominciare dal trauma <strong>della</strong> deco<strong>lo</strong>nizzazione). Le dinamiche interne al partito sono quindi<br />

messe al vaglio <strong>della</strong> <strong>per</strong>vasività <strong>della</strong> politica estera ma anche di miti del passato e del futuro<br />

(la chimera <strong>della</strong> Conferenza internazionale comunista), senza reticenze sui tentativi di<br />

control<strong>lo</strong> dall’alto del dibattito interno al partito. Sul terreno spinoso delle <strong>lo</strong>tte interne alla<br />

sinistra radicale tedesca si muove invece il saggio di Susanne Falkenberg incentrato sulla contrapposizione<br />

tra «antitedeschi» ed «antim<strong>per</strong>ialisti». Un dibattito che rischia di essere un po’<br />

schematizzante (nella complessità <strong>della</strong> sinistra tedesca) ma che offre al lettore italiano un panorama<br />

di un mondo poco noto ma non estraneo alla discussione in atto anche qui da noi.<br />

Nel suo lavoro l’a. utilizza principalmente il punto di vista «antitedesco» (dando forse troppo<br />

<strong>per</strong> scontata la lettura di quel<strong>lo</strong> antim<strong>per</strong>ialista), attraverso riviste come «Konkret» (con<br />

cinquant’anni di vita alle spalle e oltre 35.000 abbonati) e «Bahamas». Le posizioni di Hermann<br />

Ludwig Gremliza e dei suoi collaboratori manifestano un approccio alla storia e alla<br />

memoria provocatorio, spesso autoreferenziale e volutamente spiazzante. Il dibattito intorno<br />

a categorie complesse come l’antifascismo che ha contrapposto <strong>per</strong> anni le diverse componenti<br />

<strong>della</strong> sinistra tedesca è quindi andato ben oltre la rilettura <strong>della</strong> memoria, l’identifi-<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

cazione del nazismo, dell’antisemitismo e <strong>della</strong> dialettica americanismo-antiamericanismo,<br />

<strong>per</strong> irrom<strong>per</strong>e, spesso a piè pari, nel campo dell’attualità politica. Il pieno sostegno dato dagli<br />

«antitedeschi» alla guerra preventiva in Iraq, il duro attacco contro i sostenitori dell’interculturalità,<br />

le polemiche culturali innescate a ritmo continuo, sembrano in realtà abbeverarsi<br />

di una retorica ideo<strong>lo</strong>gica almeno pari a quella che si imputa al campo opposto. Del lavoro<br />

di Falkenberg non convince la rilettura del razzismo «differenzialistico» e «universalistico»,<br />

che fa ricorso a categorie teoriche complesse <strong>per</strong> spiegare gli scontri suburbani di<br />

Neukölln dell’estate 2004. Al contrario l’a. coglie nel segno ricordando che questo scontro<br />

interno a due correnti, minoritarie, <strong>della</strong> sinistra tedesca tocca spinose questioni politico-esistenziali<br />

di respiro quantomeno europeo. Anche Claudia Baldoli, nel suo saggio dedicato a<br />

Guido Miglioli, attinge alla storia delle idee e al rovesciamento degli schemi precostituiti <strong>per</strong><br />

rileggere il complesso confronto politico tra l’attivista cremonese e la cultura comunista. Figura<br />

originale del panorama novecentesco italiano, Miglioli passò da una giovane militanza<br />

radicale all’attivismo sindacale nelle leghe agrarie bianche <strong>della</strong> bassa Padana e dal mancato<br />

ingresso nella DC nel 1945 (impedito da Roma) alla candidatura <strong>per</strong> il PCI nelle elezioni<br />

del ’48. Antifascista convinto, pacifista sui generis, affascinato dal miraggio di una grande<br />

internazionale cristiana e dall’impatto <strong>della</strong> rivoluzione sovietica, Miglioli si spostò sempre<br />

lungo un confine difficile, nella Cremona di Bissolati prima, di Farinacci poi, dia<strong>lo</strong>gando<br />

con altre figure delle «avanguardie cristiane» come don Primo Mazzolari e con <strong>per</strong>sonaggi<br />

come Ossicini, Rodano e Cappi. Mai pienamente integrato nei quadri comunisti, fu l’artefice<br />

di un’es<strong>per</strong>ienza originale come quella del Movimento cristiano <strong>per</strong> la pace. La ricostruzione<br />

dei suoi <strong>per</strong>corsi culturali è forse un po’ frammentata ma ci riporta un esempio <strong>della</strong><br />

complessità che animava diversi attori dell’Italia novecentesca, intenzionati a muoversi fuori<br />

dagli schemi.<br />

La storia delle idee è al centro anche dell’interessante saggio di Mattia Diletti dedicato al<br />

ruo<strong>lo</strong> dei think tank nella costruzione dell’identità conservatrice negli USA. Si tratta di un fenomeno<br />

ancora poco studiato in Italia ma che, a partire dalla stagione reaganiana, ha mutato<br />

pelle e <strong>per</strong>vasività mediatica, confondendosi con la lezione neoconservatrice dalla seconda<br />

guerra fredda alla guerra al terrorismo, una fase <strong>della</strong> storia che spesso i media ci presentano<br />

come post-ideo<strong>lo</strong>gica ma al contempo segnata da quel rischio di «monarchia democratica» che<br />

faceva capolino anche in altri lavori (da Nani a Brizzi/Marchi). Diletti si sofferma sulla graduale<br />

trasformazione dei think tank, da «università senza studenti» come la Canergie o la<br />

Brookings Institution che fin dagli inizi del ’900 istituzionalizzarono i collegamenti tra mondo<br />

politico, accademico ed economico fornendo all’esecutivo strumenti stabili di lettura e interpretazione<br />

del mondo, alla costruzione di strutture in cui convivono la dimensione del<br />

network «di carriera» con la necessità di intervenire pesantemente nei media <strong>per</strong> condizionare<br />

i temi del dibattito pubblico. Come la Brookings dia<strong>lo</strong>gava con l’internazionalismo wilsoniano<br />

e collaborava alla formulazione del New Deal rooseveltiano, la conservatrice Heritage<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Foundation ha marcato le proposte di policy conservatrici da Nixon a Bush jr. Al centro di<br />

questi movimento è rimasto il dibattito sul ruo<strong>lo</strong> del<strong>lo</strong> Stato, prima segnato da un allargamento<br />

<strong>della</strong> committenza, poi dall’esigenza neoconservatirce che identifica la struttura federale in<br />

un «nemico» da addomesticare. Uno spartiacque è indicato nella sconfitta alle presidenziali<br />

del 1964 di Barry Goldwater (il «Trotsky di estrema destra» che ebbe tra i suoi sostenitori anche<br />

una giovane Hillary Rodham, poi Clinton), interprete delle trasformazioni antropo<strong>lo</strong>gico-culturali<br />

del «grande sud» <strong>della</strong> destra cristiana e capace di porvi le basi <strong>per</strong> la riconquista<br />

conservatrice <strong>della</strong> Casa Bianca.<br />

Su un fronte più prettamente storiografico si muove il saggio di Vaudagna sugli American<br />

Studies in Italy. Il lavoro è approfondito, senza reticenze e si muove dalla fine <strong>della</strong> seconda<br />

guerra mondiale all’oggi, cercando di individuare gruppi e categorie di studiosi. Nel delineare<br />

quella che definisce la «prima generazione» degli americanisti italiani, l’autore si sofferma<br />

sul clima <strong>della</strong> guerra fredda, sui riflessi dell’appartenenza ad una «comunità atlantica»,<br />

sul fascino dell’«ethos democratico» sul mondo liberale. Nicola Matteucci, Aldo Garosci, Guglielmo<br />

Negri e altri vengono individuati come i fondatori di questa scuola, cresciuta attraverso<br />

le prime traduzioni del Mulino, ribadendo la diffidenza <strong>per</strong> gli studi nordamericani che<br />

segnava il mondo cattolico e comunista. Se è vero che la chiave di lettura dell’America come<br />

«specchio distante» dei problemi europei restava dominante, si trascura forse qui un po’ troppo<br />

un’eredità culturale complessa, mitizzata e demonizzata ben prima <strong>della</strong> stagione fascista.<br />

È interessante la riflessione sull’importanza di Antonel<strong>lo</strong> Gerbi (e <strong>della</strong> sua Disputa del nuovo<br />

mondo), Giorgio Spini e Raimondo Luraghi, nel rom<strong>per</strong>e gli schemi e nell’aprire nuove<br />

prospettive (si pensi ad esempio al peso dell’idealismo wilsoniano sulla formazione di storici<br />

cattolici come Barié e Migone). Una seconda generazione di americanisti è col<strong>lo</strong>cata nella seconda<br />

metà degli anni ’60, con i lavori di Martel<strong>lo</strong>ne, Bonazzi, Mannucci, Teodori (all’epoca<br />

militante radicale), attenti a temi emergenti dei diritti civili, preludio alla terza generazione<br />

(1968-1975), più direttamente influenzata – nella stagione del Vietnam, delle black<br />

panthers, del terzomondismo – dalla radicalizzazione delle posizioni politiche. In questo gruppo<br />

vengono inseriti studiosi diversi tra <strong>lo</strong>ro come Fasce, Cartosio, Vezzosi, Ortoleva e Romero.<br />

Nella ricerca di <strong>per</strong>iodizzazioni sembra <strong>per</strong>ò che Vaudagna tralasci l’importanza di altri fenomeni<br />

(a partire dalla rivoluzione cubana) che aumentarono in quella fase l’importanza del<br />

Sud negli studi americanisti. Si sottolinea giustamente invece il processo di crescente professionalizzazione<br />

(sia nel lavoro con le fonti che <strong>per</strong> le es<strong>per</strong>ienze formative in università e centri<br />

studi statunitensi), testimoniato anche dalla nascita di riviste, associazioni e fondazioni,<br />

che hanno contribuito a ridefinire la dimensione pubblica dell’americanistica in Italia. Tornando<br />

in Europa, i due lavori storiografici di Longo Adorno e Faulenbach scavano nei meandri<br />

del conflitto nazi-sovietico e del confronto dei tedeschi con il nazionalsocialismo. In The<br />

Dark Side of the Moon, Longo giustifica la sua citazione pinkf<strong>lo</strong>ydiana partendo da The Other<br />

Side of the Hill di Liddel Hart, un testo uscito in piena guerra fredda, con cui si tentò una ri-<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

lettura del «secondo fronte» antinazista. Ne emerge un’interessante <strong>per</strong>corso dell’interpretazione<br />

occidentale delle campagne dell’armata rossa, un cammino che parte dai resoconti giornalistici<br />

di Werth e memorialistici di Ehrenburg <strong>per</strong> approdare al successo commerciale del<br />

libro di Beevor su Stalingrado. Temi che chiamano in causa silenzi e reticenze <strong>della</strong> storiografia<br />

(quella occidentale ferma al 1941-1943) nella stagione <strong>della</strong> lunga guerra fredda, richiamando<br />

i limiti d’accesso alle fonti, ma anche il peso delle dinamiche editoriali. Interessanti<br />

sono anche i cenni al b<strong>lo</strong>cco <strong>della</strong> produzione memorialistica nell’URSS staliniana, volto a<br />

contenere i quadri militari e a prevenire dibattiti scomodi sulla «grande guerra patriottica».<br />

Nel lavoro di Faulenbach si sottolineano invece le incertezze tedesche sul passato nazista di<br />

fronte alla scomparsa dei testimoni diretti, identificando anche qui tre fasi <strong>della</strong> relazione tra<br />

indagine storica e costruzione <strong>della</strong> memoria: una precedente al 1989 (segnata da forti processi<br />

di rimozione, colpa e un difficile confronto con l’o<strong>lo</strong>causto), una legata all’impatto del<br />

crol<strong>lo</strong> del muro e <strong>della</strong> riunificazione (con conseguenti timori di nuove derive violente, acuiti<br />

dall’insorgere di atti xenofobi), ed una post ’91. Per questa ci si sofferma sui cambiamenti<br />

nell’approccio dei media al nazismo, con la scomparsa di alcuni tabù (il film La caduta), soprattutto<br />

intorno alla figura del Führer, sospesa tra demonizzazione e banalizzazione, tutti segnali<br />

di un processo di storicizzazione in atto. Un tema questo che torna anche nel saggio di<br />

Soravia sulla nuova storiografia israeliana. Il biennio 1987-1988, in concomitanza con il quarantennale<br />

<strong>della</strong> fine del mandato britannico, è riletto come cesura <strong>per</strong>iodizzante e punto di<br />

partenza <strong>per</strong> comprendere i lavori dei new historians: Flapan, Morris, Shlaim e Pappé. Rotta<br />

la tradizione <strong>della</strong> storiografia sionista, con l’accesso a nuove fonti archivistiche e il sostegno<br />

di riviste come il «Journal of Palestine», questi storici hanno rivitalizzato i rapporti tra accademia,<br />

politica e media, toccando una serie di temi tabù e smitizzando alcuni luoghi comuni.<br />

Dal rigoroso lavoro storiografico di Flapan, alle svolte del più controverso Morris (prima<br />

autodefinitosi revisionista poi approdato nel gruppo dei cosiddetti neosionisti), fino alle scelte<br />

politicamente radicali di Pappé (culminate nell’affaire Katz che mobilitò la comunità scientifica<br />

internazionale), il <strong>lo</strong>ro si è rivelato un interessante e tutt’altro che lineare <strong>per</strong>corso umano<br />

e scientifico, che ha influenzato il dibattito pubblico e introdotto nuove griglie interpretative<br />

e temi di dibattito (tra cui quel<strong>lo</strong> spinoso <strong>della</strong> politica «co<strong>lo</strong>niale»), in particolare intorno<br />

al conflitto del ’48. A proposito di costruzione delle identità nazionali, altrettanto interessante<br />

è il lavoro di Roman Hautala sull’im<strong>per</strong>o mongo<strong>lo</strong> nella storiografia sovietica. In<br />

questa stagione di rilancio del nazionalismo russo, in cui nei multisala occidentali si celebra<br />

il coraggio di Temucin-Gengis Kan, è interessare riscoprire le chiavi interpretative che gli storici<br />

sovietici davano dell’im<strong>per</strong>o nomade. Da una rigida applicazione delle categorie del materialismo<br />

scientifico, secondo gli studi di Grekov, Jakubosky e Karga<strong>lo</strong>v, emerge il quadro di<br />

una netta condanna storicista dell’invasione mongola, tratteggiata come un’epoca buia, di regressione<br />

economica e desertificazione politica e culturale. Colpiscono le dure valutazioni degli<br />

influssi del nomadesimo elaborate dal kazako Tolybekov, i richiami (questi più tipici) al-<br />

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l’invasione nazista, che si fanno ancora più duri dopo la rottura politica di inizio anni ’60 tra<br />

Mosca e Pechino. Una linea storiografica che rispondeva alle esigenze politiche di sovietizzazione<br />

delle popolazioni centroasiatiche. Interessante sarebbe ora tentare un confronto tra la<br />

prima scuola antropo<strong>lo</strong>gica sovietica che guardava con interesse ad una rivalutazione culturale<br />

delle popolazioni indigene latinoamericane, con queste severe condanne dei modelli sociali<br />

mongoli e del <strong>lo</strong>ro effetto ritardante sulla costruzione dell’identità russa. Ancora una volta<br />

la comparazione di immaginari, tra lettura delle fonti, produzione storica e costruzione <strong>della</strong><br />

memoria pubblica, potrebbe riservare interessanti sorprese.<br />

Relazioni internazionali<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

I saggi presi in esame in questa sezione si soffermano su tre ambiti principali: la guerra<br />

fredda, la storia dell’integrazione europea, la politica estera italiana. Per quanto riguarda il primo<br />

tema, il saggio di Bettanin presenta un’analisi di vasto respiro sul significato del conflitto<br />

bipolare, alla luce del contributo portato dal lavoro di O.A. Westad (The G<strong>lo</strong>bal Cold War,<br />

Cambridge UP, 2005) e del dibattito da esso innescato che, in contrasto con le interpretazioni<br />

tradizionali anche recentemente riaffermate da J.L. Gaddis, hanno messo in evidenza la rilevanza<br />

del Terzo Mondo nel conflitto tra le due su<strong>per</strong>potenze, impegnate ad affermare la validità<br />

dei rispettivi modelli di sviluppo, basati da un lato sull’ideo<strong>lo</strong>gia <strong>della</strong> «libertà», dall’altro<br />

su quella <strong>della</strong> «giustizia». L’a. ricostruisce con chiarezza i punti salienti dell’interpretazione<br />

di Westad, non mancando di evidenziarne alcune debolezze, in particolare riguardo all’interpretazione<br />

<strong>della</strong> scelta dell’URSS di mettere in gioco la distensione, ritenuta dalla leadership<br />

sovietica «vitale» – come sottolinea Bettanin – <strong>per</strong> ragioni economiche e di prestigio, <strong>per</strong><br />

tentare di estendere la propria influenza nel Terzo Mondo.<br />

Gli echi di questo dibattito si sentono debolmente e in maniera discontinua nella restante<br />

produzione italiana sul tema. Come rilevato nella rassegna del<strong>lo</strong> scorso anno, la produzione<br />

saggistica nell’ambito <strong>della</strong> storia delle relazioni internazionali non restituisce l’immagine<br />

di un ambito disciplinare dal profi<strong>lo</strong> particolarmente innovatore. Dal punto di vista dell’approccio<br />

analitico prevale largamente la storia dip<strong>lo</strong>matica di impianto tradizionale e a volte<br />

tornano in mente le parole di G.M. Young secondo il quale essa costituiva «little more than<br />

the record of what one clerk said to another clerk» (Victorian England, Doubleday, 1954, p.<br />

155). Risulta quindi assolutamente preponderante, almeno dall’insieme di articoli qui presi<br />

in considerazione, l’attenzione alla storia politica delle relazioni internazionali, identificate in<br />

ultima analisi con le relazioni interstatuali, secondo un orientamento che, sovente, in maniera<br />

implicita affonda le sue radici nel billiard ball model messo a punto nell’ambito <strong>della</strong> scuola<br />

strutturalista delle relazioni internazionali. Non è in questione la qualità del lavoro di una<br />

disciplina che ha dato e tuttora produce risultati importanti, bensì la sua difficoltà nell’aprir-<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

si a nuovi approcci e nel va<strong>lo</strong>rizzare le nuove energie e i diversi punti di vista che pure esistono<br />

al suo interno.<br />

Il numero 13 di VS (al momento l’unica rivista italiana che dedica sistematicamente spazio<br />

alla storia delle relazioni internazionali) è interamente consacrato a studiare diversi aspetti<br />

<strong>della</strong> guerra fredda. Il contributo di Jamil Hasanli e Vladislav Zubok torna ad analizzarne<br />

il primo atto, la crisi iraniana del 1946, alla luce di una nuova e interessante documentazione<br />

emersa dagli archivi dell’Azerbaijan che mette in luce il «realismo» di uno Stalin proteso a<br />

garantire spazi geopolitici di sicurezza <strong>per</strong> l’URSS, non esitando ad abbandonare al <strong>lo</strong>ro destino<br />

i propri alleati <strong>lo</strong>cali: nel caso, le forze comuniste ed indipendentiste azere, una volta posto<br />

di fronte al rischio di una crisi maggiore dalla reazione occidentale.<br />

Sulle origini <strong>della</strong> guerra fredda si soffermano anche i saggi raccolti nella sezione monografica,<br />

dedicata ai 50 anni del Piano Marshall, curata da Juan Car<strong>lo</strong>s Martinez Oliva. Il saggio<br />

di Antonio Varsori rappresenta un’utile sintesi del dibattito storiografico internazionale ed<br />

italiano sul Piano, a partire dal confronto statunitense tra «ortodossi» e «revisionisti» fino ad<br />

arrivare ai contributi più recenti. L’a. conclude la rassegna affermando che tale dibattito, una<br />

volta centrale nella comprensione delle dinamiche <strong>della</strong> guerra fredda e dell’affermarsi dell’egemonia<br />

statunitense, sembra aver esaurito le proprie potenzialità innovative, anche in seguito<br />

al<strong>lo</strong> spostarsi del focus <strong>della</strong> ricerca verso nuove questioni e nuovi orizzonti geografico-crono<strong>lo</strong>gici.<br />

Martinez Oliva si sofferma sugli effetti del Piano Marshall sulla promozione dell’integrazione<br />

europea attraverso l’OECE, sostenendo la tesi «che sotto l’egida dell’ECA venne<br />

promossa e diffusa in Europa la cultura <strong>della</strong> coo<strong>per</strong>azione economica e del multilateralismo,<br />

gettando le basi <strong>per</strong> le future realizzazioni comunitarie». Il contributo di Michele Donno si<br />

sofferma sull’evoluzione delle concezioni dei socialdemocratici italiani riguardo all’ERP e sulle<br />

ri<strong>per</strong>cussioni che esso ebbe sulle <strong>lo</strong>ro posizioni, soprattutto in merito ai problemi <strong>della</strong> col<strong>lo</strong>cazione<br />

internazionale dell’Italia e dell’integrazione europea. In entrambi i saggi viene lasciato<br />

sul<strong>lo</strong> sfondo quel<strong>lo</strong> che forse è l’aspetto principale del Piano, messo in rilievo ormai da<br />

tempo da una storiografia attenta alle interazioni tra assetti interni e sistema internazionale:<br />

la promozione <strong>della</strong> politica <strong>della</strong> produttività, che è invece al centro dell’artico<strong>lo</strong> di Francesco<br />

Petrini sulle posizioni degli industriali privati italiani in cui si documenta come la leadership<br />

confindustriale accolse con malcelata ostilità la ricetta fordista di cui si fece portatrice, almeno<br />

in una prima fase, l’ECA. Nel suo saggio su MC Bruno Pierri si sofferma sulla genesi<br />

<strong>della</strong> dichiarazione tripartita del maggio 1950 tra Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti sul Medio<br />

Oriente. L’a. presenta una disamina dettagliata <strong>della</strong> genesi <strong>della</strong> dichiarazione, fondata<br />

soprattutto sulle FRUS e sugli archivi del Foreign Office (la posizione francese non viene presa<br />

in considerazione), ma lascia <strong>per</strong>plessi l’assenza di riferimenti al complesso dibattito storiografico<br />

sulle politiche americana e britannica verso il Medio Oriente e la mancata valutazione<br />

da parte dell’a. di come l’artico<strong>lo</strong> si col<strong>lo</strong>chi in questo quadro e quali novità vi apporti. Pierri<br />

pubblica altri due contributi, del<strong>lo</strong> stesso tenore e medesima impostazione oltre che su ana-<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

<strong>lo</strong>ghe fonti del precedente. Quel<strong>lo</strong> che appare su Clio è una cronaca dettagliata degli accordi<br />

ang<strong>lo</strong>-egiziani del 1953-1954 sul canale di Suez e delle preoccupazioni israeliane circa la possibilità<br />

di turbolenze in area medio-orientale. Quel<strong>lo</strong> che viene pubblicato sulle pagine di NSC<br />

riguarda sempre accordi ang<strong>lo</strong>-egiziani, ma stavolta relativi al Sudan. Si tratta del compromesso<br />

che costituì la base di quel processo di autodeterminazione che portò alla costituzione di<br />

un nuovo stato indipendente nel 1956. La serie di contributi sulla guerra fredda si chiude con<br />

l’artico<strong>lo</strong> di Mikhail Narinsky sull’azione dell’URSS in merito alla crisi del Golfo del 1990-<br />

91. Il saggio si basa sulle carte di Anatoly S. Černjaev, consigliere di Gorbačëv, conservate presso<br />

gli archivi <strong>della</strong> Fondazione Gorbačëv, ed evidenzia la debolezza <strong>della</strong> posizione <strong>della</strong> leadership<br />

sovietica, impegnata nel vano tentativo di evitare la guerra, <strong>per</strong> preservare i propri su<strong>per</strong>stiti<br />

margini di influenza nella regione mediorientale e in generale a livel<strong>lo</strong> mondiale, non<br />

potendo disporre ormai che del retaggio di antichi legami e del prestigio di Gorbačëv come<br />

risorse da spendere al tavo<strong>lo</strong> negoziale.<br />

La storia dell’integrazione europea e l’analisi <strong>della</strong> politica estera italiana si intrecciano tra<br />

<strong>lo</strong>ro nei saggi presenti nel n. 14 di VS dedicato ai 50 anni dei Trattati di Roma. Dal saggio di<br />

Maria Elena Cavallaro sulle posizioni delle forze politiche italiane nel passaggio dal progetto<br />

CED alla UEO emerge il carattere «pragmatico e non ideo<strong>lo</strong>gico» dell’europeismo delle forze<br />

di maggioranza, inteso come strumento di una politica estera che nei primi anni ’50 mirava<br />

soprattutto a recu<strong>per</strong>are status e influenza, sulla base di una precisa consapevolezza dei rapporti<br />

di forza e degli equilibri internazionali, una posizione su cui si realizzò una convergenza<br />

con le forze dell’opposizione di destra, mentre il PSI non seppe cogliere le possibilità che<br />

la nuova situazione internazionale offriva in termini di rinnovamento ideo<strong>lo</strong>gico e di a<strong>per</strong>tura<br />

di dia<strong>lo</strong>go con le altre forze politiche. Sulla stessa linea si col<strong>lo</strong>ca il contributo di Alessandro<br />

Marucci su Fanfani e la costruzione europea, che si basa sulle carte dell’archivio dell’uomo<br />

politico toscano recentemente messe a disposizione presso la biblioteca del Senato, da cui<br />

risalta la pluralità di significati assunta dall’adesione all’integrazione europea <strong>per</strong> la classe dirigente<br />

italiana: terreno di incontro con altre forze politiche interne, mezzo di legittimazione<br />

esterna e <strong>per</strong> accrescere il ruo<strong>lo</strong> del Paese nel sistema internazionale, carta da giocare sia nella<br />

partita <strong>per</strong> il rinnovamento economico <strong>della</strong> penisola sia nei tentativi di costruire una relazione<br />

più forte con l’alleato americano, con una cura particolare nel caso di Fanfani al tentativo<br />

di conciliare europeismo, atlantismo e attenzione verso i Paesi del Terzo Mondo. Con i saggi<br />

di Silvio Fagio<strong>lo</strong>, quel<strong>lo</strong> di Lucia Bonfreschi e Christine Vodovar e quel<strong>lo</strong> di Frédéric Turpin<br />

ci si sposta fuori dall’Italia. Fagio<strong>lo</strong> si sofferma sull’o<strong>per</strong>a di Adenauer, seguendo un approccio<br />

che si rifà alla retorica dei «padri fondatori» dell’Europa integrata, in una visione quasi titanica<br />

del ruo<strong>lo</strong> del singo<strong>lo</strong> sulla scena politica: «L’antico sindaco di Co<strong>lo</strong>nia realizza l’impresa<br />

straordinaria di occidentalizzare il suo paese mettendo fine, una volta <strong>per</strong> tutte, alla fatale<br />

propensione al vagabondaggio […] di una nazione eternamente in bilico tra Est e Ovest».<br />

Bonfreschi e Vodovar analizzano le ragioni che spinsero de Gaulle, contro ogni previsione, ad<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

acconsentire all’entrata in vigore dei Trattati di Roma, concludendo che alla base di tale scelta<br />

vi furono motivi di ordine economico e politico: il carattere di compromesso dei Trattati,<br />

a metà tra il model<strong>lo</strong> CECA e quel<strong>lo</strong> intergovernativo, lasciava ampi spazi di manovra <strong>per</strong> una<br />

politica mirante al risanamento economico <strong>della</strong> Francia e alla riaffermazione del suo ruo<strong>lo</strong><br />

come potenza continentale. Turpin affronta, dal punto di vista francese, il tema <strong>della</strong> politica<br />

di coo<strong>per</strong>azione tra la CEE e i PVS, partendo dal Trattato di Roma del 1957 <strong>per</strong> arrivare alla<br />

firma di Lomé I nel 1975. L’artico<strong>lo</strong> mette in evidenza il ruo<strong>lo</strong> francese nell’imporre la nascita<br />

di questa politica e il suo tratto marcatamente regionale, volto cioè a costruire rapporti privilegiati<br />

con l’area dell’Africa francofona, contro le resistenze di partner comunitari recalcitranti,<br />

disegnando una parabola che marca il progressivo indebolirsi delle posizioni francesi<br />

<strong>per</strong> portare, dopo l’ingresso britannico nella CEE, alla convenzione di Lomé I e a una svolta<br />

«mondialista» nell’aiuto europeo al<strong>lo</strong> sviluppo. Il saggio è interessante, ma pecca forse di un’ottica<br />

troppo eurocentrica, prendendo in considerazione i PVS so<strong>lo</strong> come oggetto <strong>della</strong> politica<br />

europea e non come soggetti capaci di imporre, almeno parzialmente da una certa fase in<br />

avanti, i propri temi nel dibattito internazionale. L’artico<strong>lo</strong> di Ilaria Poggiolini riassume il dibattito<br />

storiografico sulla non adesione britannica alla CEE che ha visto il confronto tra le posizioni<br />

di chi ne sottolinea il carattere di «occasione mancata» <strong>per</strong> affermare la leadership britannica<br />

sul continente e <strong>per</strong> modernizzare la propria economia e chi invece critica il carattere<br />

normativo di una tale lettura che rischia di <strong>per</strong>dere di vista la complessità di una scelta che si<br />

giocava simultaneamente su piani diversi.<br />

Riguardo al<strong>lo</strong> studio <strong>della</strong> politica estera italiana, il saggio di Pini affronta la questione,<br />

poco conosciuta, del mancato riconoscimento <strong>della</strong> Cina comunista da parte del governo italiano<br />

all’inizio del 1950, un riconoscimento – secondo quanto riporta Pini – dapprima annunciato<br />

dal governo italiano sulla base di una lungimirante analisi del ministro degli Esteri<br />

Sforza, poi accantonato prima ancora del<strong>lo</strong> scoppio <strong>della</strong> guerra in Corea <strong>per</strong> le <strong>per</strong>plessità<br />

sorte in seno alle forze di governo sulle possibili reazioni negative statunitensi. I rimanenti<br />

contributi si volgono verso una delle aree tradizionalmente privilegiate nella politica estera<br />

<strong>della</strong> penisola. Il saggio di Manlio Graziano è un <strong>lo</strong>devole tentativo di ampia sintesi <strong>della</strong> politica<br />

dell’Italia repubblicana nei confronti del conflitto arabo-israeliano, in cui si sostiene che<br />

essa fu durevolmente condizionata dalle posizioni del Vaticano e risultò ambigua e scarsamente<br />

coerente, ma risulta debole <strong>per</strong> la scarsezza delle fonti utilizzate che porta a sottovalutare,<br />

ad esempio, il peso <strong>della</strong> variabile economica (tranne un accenno nelle conclusioni, non si parla<br />

mai <strong>della</strong> crisi energetica) e in genere forse a sottostimare il grado di continuità dell’azione<br />

italiana nel quadro mediorientale. Infine, l’artico<strong>lo</strong> di Giammarco Santese documenta, sulla<br />

base di un’analisi <strong>della</strong> stampa di partito, come la svolta fi<strong>lo</strong>-araba nelle posizioni del PCI riguardo<br />

al Medio Oriente e al conflitto israe<strong>lo</strong>-palestinese sia avvenuta, in stretta connessione<br />

con le vicende <strong>della</strong> politica interna ed estera dell’URSS, nella prima metà degli anni ’50, ben<br />

prima quindi del 1967, come invece viene usualmente affermato.<br />

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Germania<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Oltre ai già citati lavori di Faulenbach e <strong>della</strong> Falkenberg, alla storia tedesca sono dedicati<br />

due saggi di Massimo Faggioli, dell’Istituto <strong>per</strong> le scienze religiose di Bo<strong>lo</strong>gna, sulla Ostpolitik<br />

tra S. Sede e Berlino. Nel primo lavoro, ci si concentra sul pontificato di Giovanni<br />

XXIII, <strong>per</strong> cercare di comprendere la ricezione da parte tedesca delle encicliche Mater et magistra<br />

e Pacem in terris, apparse rispettivamente nel maggio 1961 e nell’aprile 1963. La chiave<br />

interpretativa scelta da Faggioli è quella «lettura ufficiale» dei documenti giovannei da parte<br />

dell’apparato dip<strong>lo</strong>matico <strong>della</strong> Repubblica federale. Il primo dato che emerge con forza è<br />

legato all’impatto culturale, politico e finanche dip<strong>lo</strong>matico <strong>della</strong> stagione conciliare sulla<br />

Germania occidentale. Al crepusco<strong>lo</strong> <strong>della</strong> stagione Adenauer, dopo un quindicennio di governo<br />

CDU-CSU (che – secondo Niemöller – aveva puntato a fare <strong>della</strong> RFT il «baricentro<br />

di un’Europa concepita in Vaticano e partorita a Washington» p. 141), le prese di posizione<br />

del nuovo pontefice in relazione alla possibile a<strong>per</strong>tura di un dia<strong>lo</strong>go con il b<strong>lo</strong>cco orientale<br />

ebbero un effetto spiazzante in Germania occidentale. Riguardo alla Mater et magistra, Faggioli<br />

utilizza il rapporto stilato, <strong>per</strong> conto dell’ambasciata tedesca presso la S. Sede, da parte<br />

dal teo<strong>lo</strong>go Hofer che, tra le altre cose, richiamava la «distanza» sui temi sociali del Papa rispetto<br />

ad altri importanti esponenti dell’episcopato come il cardinal Siri (pur sottolineando<br />

che entrambi vantavano un’estrazione «popolare»). Per quanto concerne la Pacem in terris,<br />

pubblicata tra la crisi di Cuba e il Limited Test Ban Treaty, le chiavi di lettura sembrano già<br />

diverse, segnate in qualche modo dal clima del Concilio che nel frattempo aveva iniziato i<br />

propri lavori. Hofer in questo caso sottolineò il tono «irenico» del documento, leggendone<br />

anche i segnali di a<strong>per</strong>tura al dia<strong>lo</strong>go con il comunismo secondo la linea di un’ideale «coesistenza<br />

pacifica». Il breve pontificato giovanneo è quindi interpretato come un passaggio <strong>per</strong>iodizzante<br />

rispetto alla stagione del «germanofono» Pio XII, in cui la «stabilizzazione concordataria»<br />

si era accompagnata al consolidamento di una barriera interna anticomunista. Su<br />

questa linea interpretativa si snoda anche l’altro contributo di Faggioli <strong>per</strong> Cont sulla Ostpolitik<br />

Vaticana e la «questione tedesca». Qui l’arco temporale si allarga, dal 1958 al 1968, spingendosi<br />

quindi fino alle soglie del cancellierato Brandt. Sulla cesura del pontificato giovanneo<br />

si rischia la ripetizione rispetto a quanto già richiamato nell’altro saggio, anche se qui ci<br />

si sofferma maggiormente sull’impatto forte del Concilio in Germania, sottolineando una<br />

sorta di «distonia tra <strong>lo</strong> schieramento culturale e teo<strong>lo</strong>gico, conciliare e progressista <strong>della</strong> chiesa<br />

tedesca» (p. 403), e le sue posizioni nei confronti <strong>della</strong> politica internazionale <strong>della</strong> S. Sede.<br />

Riguardo alla stagione di Pao<strong>lo</strong> VI (ancora scarsamente analizzata dagli storici tedeschi)<br />

emerge la <strong>per</strong>cezione di una linea di continuità con il suo predecessore, pur nel segno di una<br />

maggior moderazione nei toni e registri (secondo l’analisi dell’ambasciatore Von Scherpenberg).<br />

Berlino seguì con grande attenzione gli interventi del papa sul comunismo, il dia<strong>lo</strong>go<br />

tra S. Sede e Po<strong>lo</strong>nia, i primi viaggi di mons. Casaroli oltre cortina. Faggioli propone quindi<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

in conclusione un’ipotesi di <strong>per</strong>iodizzazione, mettendo a confronto e in dia<strong>lo</strong>go tra <strong>lo</strong>ro l’Ostpolitik<br />

vaticana e quella tedesca.<br />

Alla Repubblica Federale tedesca tra anni ’50 e ’60 è dedicato anche il vivace saggio di van<br />

Rahden sulla concezione dei rapporti di autorità, riletti attraverso la figura del padre e le relazioni<br />

di genere e intergenerazionali, <strong>per</strong> cercare di cogliere i processi di trasformazione culturale nella<br />

Germania del secondo dopoguerra. La cifra dell’analisi è colta nella necessità di confrontarsi<br />

con quella «crisi di civiltà» che segnò la stagione del nazismo e del conflitto, e di riorganizzare i<br />

modelli famigliari secondo gli stilemi di una democrazia giovane «sorta all’ombra del<strong>lo</strong> sterminio<br />

e <strong>della</strong> guerra di annientamento» (p. 615). Gli attori coinvolti, attraverso le fonti studiate<br />

dall’a. (principalmente riviste, opuscoli, pubblicistica popolare), sono le chiese, cattolica e protestanti,<br />

intese come agenzie formative delle famiglie tedesche. Sul fronte cattolico van Rahden<br />

attribuisce una certa importanza al peso delle critiche al sistema patriarcale da parte di socio<strong>lo</strong>gi<br />

progressisti come Ernst Michel, richiamando l’influsso culturale di intellettuali francesi come<br />

Lacroix, teorico di una ricostruzione <strong>della</strong> democrazia «dal basso» attraverso una democratizzazione<br />

dei processi intrafamiliari. Un tema al centro anche <strong>della</strong> riflessione protestante che guardava<br />

<strong>per</strong>ò più esplicitamente al model<strong>lo</strong> famigliare nordamericano. Tentativo comune era dunque<br />

quel<strong>lo</strong> di sostituire il vecchio patriarca prussiano, austero e «in divisa», con l’immagine di<br />

un padre borghese, deciso ma servizievole, imponendo un model<strong>lo</strong> di «paternità democratica»<br />

che sarebbe entrato in crisi alle soglie <strong>della</strong> stagione <strong>della</strong> contestazione (rimettendo in discussione<br />

anche queste nuove e ancora fragili forme di autorità), nei cui meandri <strong>per</strong>ò l’a. preferisce<br />

non addentrarsi.<br />

La rassegna tedesca si chiude tuttavia con un’ideale continuazione, grazie al saggio di Marica<br />

To<strong>lo</strong>melli <strong>per</strong> 900 dedicato alla «lunga transizione democratica nella Germania federale<br />

degli anni Settanta». L’a., come nel suo recente volume comparativo sul terrorismo in Italia e<br />

Germania, sottolinea il processo di costante crescita <strong>della</strong> conflittualità sociale, oltre che politica,<br />

nel corso del decennio, cercando di sottolineare la natura complessa del movimentismo<br />

<strong>della</strong> RFT (richiama ad es. le profonde differenze che esistevano tra i diversi gruppi come gli<br />

Haschrebellen berlinesi, i Tupacamaros bavaresi, gli Spontis di Francoforte). La riflessione sulla<br />

vocazione anti-istituzionale e sulle forme di azione sovversiva attuate in quella stagione, che<br />

misero a dura prova la coalizione socialdemocratico-liberale che guidò il paese <strong>per</strong> tutto il decennio,<br />

si trasforma in un’analisi dei termini del dibattito su «liceità <strong>della</strong> <strong>lo</strong>tta armata» e «violenza<br />

politica» (e relative forme di repressione dura) che investì il paese in maniera trasversale.<br />

Al contempo <strong>per</strong>ò l’origine <strong>della</strong> crisi è collegata alle trasformazioni di una società che vedeva<br />

incrinarsi il model<strong>lo</strong> fordista e accelerare il processo di terziarizzazione. La riflessione è<br />

quindi volutamente teorico-metodo<strong>lo</strong>gica con l’intento di fare il punto sul «paradigma <strong>della</strong><br />

crisi come problema da analizzare in prospettiva storica» (p. 157) <strong>per</strong> comprendere questo decennio<br />

difficile e sottolineare le specificità tedesche (dall’«anticomunismo costitutivo» <strong>della</strong><br />

RFT all’i<strong>per</strong>sensibilità tedesca nei confronti dei conflitti sociali e alla vitalità dell’associazio-<br />

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nismo extrapartitico). Per far questo si analizzano forme e metodi di protesta (classificando i<br />

gradi di ideo<strong>lo</strong>gizzazione dei vari gruppi e attori) e relative reazioni e sentimenti di appartenenza,<br />

sul<strong>lo</strong> sfondo di un complesso intreccio politico-culturale.<br />

Francia<br />

Il saggio di Brizzi <strong>per</strong> RSP si occupa dei mutamenti delle tecniche di comunicazione politica<br />

nella Francia <strong>della</strong> V Repubblica. Lo spunto è fornito dalle elezioni presidenziali del<br />

1965, interpretate come una cesura <strong>per</strong>iodizzante nell’anno dell’irruzione <strong>della</strong> televisione<br />

nella politica francese. Senza addentrarsi in riferimenti bibliografici sulla storia dei media,<br />

Brizzi preferisce mantenersi più sulla linea del<strong>lo</strong> storico politico, analizzando il processo elettorale<br />

e prestando grande attenzione agli elementi simbolici e ai mutamenti dell’immaginario.<br />

Significativo appare ad esempio il richiamo al ruo<strong>lo</strong> «dietro le quinte» svolto in quell’occasione<br />

da Michele Bongrand, formatosi con la pubblicità dei film di James Bond prima di<br />

approdare al marketing politico, di cui sarebbe stato un campione negli anni a venire. Riguardo<br />

alla cesura <strong>per</strong>iodizzante, l’a. sottolinea l’assenza del mezzo televisivo (pur già ben presente<br />

nella vita quotidiana dei francesi) nelle elezioni del 1958 e del 1962 e il monopolio gollista<br />

<strong>della</strong> Tv in quegli anni: Brizzi ricorre alla definizione di «telecrazia», sottolineando l’approccio<br />

del generale fortemente istituzionalizzato «dall’alto» e riprodotto nei suoi 51 discorsi<br />

catodici al paese. Lo spartiacque è quindi individuato nella norma che introdusse la parità di<br />

accesso, aprendo le porte degli studi televisivi ai candidati rivali, il socialista Mitterand ed il<br />

centrista Lecanuet, e avviando quella che sarebbe stata la futura «americanizzazione» dell’evento<br />

elettorale, tra sondaggi e cura dell’immagine. L’incapacità del<strong>lo</strong> staff di de Gaulle di cogliere<br />

le novità in corso gli costò la mancata elezione al primo turno (con il 43,7 <strong>per</strong> cento dei<br />

voti contro il 32,2). Forse la crisi di consensi del gollismo era parte di un processo più ampio;<br />

l’analisi di Brizzi coglie comunque nel segno sottolineando l’effetto novità provocato dal candidato<br />

centrista (che ottenne un sorprendente 15,9 <strong>per</strong> cento), affidatosi all’agenzia pubblicitaria<br />

Services et Méthodes di Bongrand, che si ispirò <strong>per</strong> l’occasione alla campagna elettorale<br />

di J.F. Kennedy e alle cui cure avrebbe finito <strong>per</strong> affidarsi <strong>lo</strong> stesso partito gollista.<br />

Violenze e genocidi<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Gli eventi bellici e il <strong>lo</strong>ro impatto sulle società contemporanee continuano a costituire un<br />

settore di studi significativamente presente tra gli articoli dedicati agli ultimi cinquant’anni di<br />

storia. I contributi su questo argomento mettono a fuoco aspetti specifici come la violenza e<br />

il genocidio, ma anche la memoria e la ricostruzione. Lo sterminio degli ebrei in Ungheria è<br />

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il tema centrale del saggio di Regina Fritz e Doreen Eschinger, che concentrano la propria analisi<br />

sul consapevole silenzio delle autorità ungheresi riguardo all’uccisione di mezzo milione<br />

di <strong>per</strong>sone. Il silenzio si è interrotto so<strong>lo</strong> alla fine degli anni ’80, quando ha avuto luogo «a<br />

political change in Hungary, which was accompanied by rewriting, re-evaluation, and updating<br />

of history» (p. 82). Si è così sviluppato un intenso dibattito pubblico sulla Shoah, che ha<br />

condotto alla realizzazione, nella città di Budapest, di due musei nei quali si ricorda <strong>lo</strong> sterminio<br />

degli ebrei. La storia del secondo conflitto mondiale in Ungheria torna nell’artico<strong>lo</strong> di<br />

Agnes Huszár Várdy, che ricostruisce le vicende – anche in questo caso rimaste a lungo prigioniere<br />

dell’oblio – di migliaia di giovani donne deportate dai sovietici e costrette ai lavori<br />

forzati fino alla conclusione del conflitto. Molte morirono nelle miniere di carbone o nelle fattorie<br />

collettive e co<strong>lo</strong>ro che riuscirono a tornare in patria furono accolte come criminali di<br />

guerra. I diari, le memorie e le testimonianze orali delle sopravvissute hanno consentito il recente<br />

emergere di numerosi studi, di cui Várdy offre un’ampia ricognizione. Le donne, e la<br />

violenza esercitata su di <strong>lo</strong>ro, sono al centro anche del saggio di Sofia Graziani, con il quale il<br />

contesto di riferimento si sposta alla Cina <strong>della</strong> rivoluzione culturale. Le «giovani istruite»<br />

(Zhiquing) inviate a lavorare nelle campagne furono le destinatarie anche di una politica governativa<br />

volta a «liberarle» dalla <strong>lo</strong>ro femminilità (presentata come inferiorità) e a promuoverne<br />

l’«emancipazione» (intesa come assimilazione ai maschi). Ad essere duramente <strong>per</strong>seguiti<br />

furono in primo luogo i rapporti fisici delle ragazze con i propri coetanei e la manifestazione<br />

di ogni sentimento nei <strong>lo</strong>ro confronti: simili proibizioni incisero significativamente sulla<br />

maturazione dell’identità sessuale delle giovani donne.<br />

Guerra e dopoguerra<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Sono invece dedicati all’Italia postbellica una serie di articoli apparsi su SU e più precisamente<br />

in un numero monografico che esp<strong>lo</strong>ra i <strong>per</strong>corsi <strong>della</strong> ricostruzione in diverse città <strong>della</strong><br />

penisola. Daniela Esposito ri<strong>per</strong>corre il dibattito sulla ricostruzione di Roma ed esamina le<br />

soluzioni composite che furono infine adottate e che – a Roma come in altri contesti urbani<br />

– finirono <strong>per</strong> combinare interventi di conservazione e programmi di intensa ricostruzione.<br />

Annunziata Maria Oteri, Bruno Mussari e Roberta Fi<strong>lo</strong>camo offrono invece una panoramica<br />

su alcune città del sud, occupandosi rispettivamente di Messina, Catanzaro e Cosenza. La prima<br />

fu fortemente danneggiata dai bombardamenti e il dibattito sulla ricostruzione sollevò numerosi<br />

interrogativi anche sulla politica di intervento seguita al devastante terremoto del<br />

1908; purtroppo questo dibattito non si tradusse in una pianificazione urbana capace di trarre<br />

insegnamento dagli errori commessi all’inizio del seco<strong>lo</strong>. Anche Catanzaro fu in parte distrutta<br />

dalle bombe, ma intorno alla sua ricostruzione non si sviluppò una vera e propria discussione:<br />

essa procedette piuttosto in maniera disomogenea, privilegiando una velleità di mo-<br />

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dernizzazione che in definitiva penalizzò il centro storico. A Cosenza la ricostruzione postbellica<br />

venne inizialmente <strong>per</strong>cepita come l’occasione <strong>per</strong> avviare una complessiva riorganizzazione<br />

urbanistica, <strong>per</strong>altro già progettata alcuni decenni prima; tuttavia tale opportunità finì<br />

<strong>per</strong> essere mancata, la riedificazione e l’espansione <strong>della</strong> città andarono avanti senza una pianificazione<br />

organica. Con l’intervento di Gian Pao<strong>lo</strong> Treccani l’attenzione si sposta al nord, e<br />

più precisamente alla città di Brescia. Qui il danneggiamento del centro storico fu all’origine<br />

dei lavori di restauro che iniziarono subito dopo la fine <strong>della</strong> guerra e che anche in questo caso<br />

si combinarono con intense o<strong>per</strong>azioni di ricostruzione e di ampliamento delle infrastrutture,<br />

già previste negli anni ’30. Infine, Gianfranco Pertot, Serena Pesenti e Samanta Braga affrontano<br />

attraverso tre diversi interventi il caso di Milano. Il contributo di Pertot prende avvio<br />

dagli eventi bellici, sintetizza le tecniche dei bombardamenti e fa un bilancio delle conseguenze<br />

che essi ebbero sulla città, mentre la questione <strong>della</strong> ricostruzione è affrontata attraverso<br />

l’esempio specifico del refettorio di Santa Maria delle Grazie. Il saggio di Pesenti è interamente<br />

dedicato al dibattito sugli interventi previsti <strong>per</strong> la città di Milano all’indomani <strong>della</strong><br />

conclusione del conflitto. Anche in questo caso la discussione ruotò intorno ai due poli conservazione/ricostruzione,<br />

ma relativamente al contesto urbano milanese l’esigenza di conservare<br />

il centro e quartieri storici cittadini non fu compresa del tutto, <strong>per</strong> la mancanza di una<br />

legislazione adeguata e <strong>per</strong> l’assenza di un effettivo dia<strong>lo</strong>go fra urbanisti, restauratori, architetti.<br />

Infine, Samanta Braga ripropone il tema dei diversi approcci alla questione <strong>della</strong> ricostruzione,<br />

ma in riferimento all’esempio specifico <strong>della</strong> chiesa di S. Vito in Pasquiro<strong>lo</strong>, nel centro<br />

cittadino.<br />

Transizioni<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

All’Italia del secondo dopoguerra è dedicato anche il saggio di Simona Lunadei e Lucia<br />

Motti sulla formazione politica proposta dal Partito Comunista e dalla Democrazia Cristiana<br />

alle proprie militanti. I <strong>per</strong>corsi di «educazione alla politica» avviati dai due partiti, entrambi<br />

organizzati secondo strutture gerarchiche declinate al maschile, furono tra <strong>lo</strong>ro assai diversi –<br />

le attività dei movimenti da un lato e le scuole di partito dall’altro, <strong>per</strong> esempio – e risultano<br />

difficilmente comparabili, ma nacquero dalla comune esigenza di «governare» i nuovi spazi<br />

a<strong>per</strong>ti dal diritto di voto attivo e passivo riconosciuto alle donne. L’affermarsi di questo diritto,<br />

e le ragioni del ritardo con cui ciò ebbe luogo, sono al centro del breve artico<strong>lo</strong> di Sylvie<br />

Cha<strong>per</strong>on, che affronta la questione in chiave comparativa, mettendo a confronto l’es<strong>per</strong>ienza<br />

italiana con quella francese e i contributi storiografici sulla cittadinanza politica femminile<br />

pubblicati nei due paesi. Contributi che <strong>per</strong>altro hanno conosciuto una nuova fioritura di<br />

recente, intorno al sessantesimo anniversario del voto alle donne (dal quale trae origine anche<br />

il numero di Gen in cui compaiono i due articoli sopra menzionati).<br />

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Il confronto fra es<strong>per</strong>ienze di paesi diversi è uno degli elementi di fondo anche del numero<br />

monografico di 900 dedicato – come scrivono i curatori Luca Baldissara e Gianni Ruocco<br />

nell’introduzione – al «rapporto tra la categoria di “transizione” […] e l’idea – o le idee – di “democrazia”»<br />

(p. 7). I contributi raccolti nel fascico<strong>lo</strong> sollevano questioni concettuali, di metodo<br />

e di interpretazione storiografica, che alcuni autori discutono a partire da specifici casi di studio.<br />

Richard Sakwa propone un approccio comparativo <strong>per</strong> l’analisi dei processi di democratizzazione<br />

intrapresi dai paesi ex comunisti a partire dalla fine degli anni ’80. Secondo l’a., <strong>per</strong> essere<br />

pienamente compresi tali processi richiedono una lettura di lungo <strong>per</strong>iodo, anche rispetto<br />

agli esiti ancora incerti ai quali i differenti <strong>per</strong>corsi compiuti dalle singole realtà nazionali sembrano<br />

essere approdati. Le vicende dei paesi dell’ex b<strong>lo</strong>cco sovietico tornano anche nel saggio di<br />

Alessandro Volpi, che esamina il dibattito di cui esse sono state oggetto concludendo con una<br />

ricognizione di lungo <strong>per</strong>iodo sull’utilizzo <strong>della</strong> categoria di transizione economica. Una categoria<br />

che rispetto alla storia italiana è stata <strong>per</strong> esempio utilizzata come chiave di lettura <strong>per</strong> il<br />

miraco<strong>lo</strong> economico, mentre sul<strong>lo</strong> scenario internazionale è diventata uno strumento interpretativo<br />

<strong>per</strong> i processi di g<strong>lo</strong>balizzazione: in ogni caso gli slittamenti di significato a cui essa è soggetta<br />

costituiscono secondo l’a. un monito <strong>per</strong> il suo utilizzo da parte degli storici. Il contributo<br />

di Geoff Eley prende ancora le mosse dalla realtà dei paesi post comunisti, ma <strong>per</strong> criticare<br />

la centralità che ad essi è stata assegnata nella definizione e nell’esemplificazione delle transizioni<br />

democratiche. Viceversa Eley rivendica la necessità di riportare l’attenzione verso «altre genea<strong>lo</strong>gie<br />

<strong>della</strong> democrazia» (p. 69), che rimandano ai processi di democratizzazione del XX seco<strong>lo</strong><br />

e che lui stesso inizia a delineare, individuando i tornanti più decisivi negli anni – e nei<br />

conflitti sociali – che precedono e seguono le due guerre mondiali. Ancora alla «ricostruzione<br />

genea<strong>lo</strong>gica <strong>della</strong> modernità politica» guarda Luca Scuccimarra, che individua nelle linee divergenti<br />

lungo le quali essa viene condotta uno dei fattori che rendono il dibattito teorico sulle democrazie<br />

contemporanee – ricostruito nelle pagine del suo saggio – «un vero e proprio labirinto<br />

interpretativo» (p. 126). Un «labirinto» che tuttavia mette efficacemente in crisi l’immagine<br />

ricorrente di una «lineare» estensione delle democrazie seguita alla fine <strong>della</strong> guerra fredda.<br />

Nazionalismi e identità nazionali<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Nazionalismi e identità nazionali – temi di rilievo nel dibattito storiografico degli ultimi<br />

anni – negli articoli relativi alla storia successiva al 1945 si coniugano con un’attenzione specifica<br />

ai paesi extraeuropei. Ayse Saraçgil esamina la matrice ideo<strong>lo</strong>gica e politica del nazionalismo<br />

turco a partire dai manuali e dai testi di divulgazione <strong>della</strong> storia. Il ricorso a queste fonti<br />

consente all’a. di identificare una sorprendente continuità tra i discorsi nazionalisti degli ultimi<br />

decenni dell’Im<strong>per</strong>o Ottomano – che costituiscono il punto d’avvio di una ricerca condotta<br />

lungo un intero seco<strong>lo</strong> – e quelli <strong>della</strong> Turchia odierna. Anche Marcella Simoni concen-<br />

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tra la propria analisi sull’insegnamento <strong>della</strong> storia, ma relativamente alla società palestinese e<br />

a quella israeliana, prese in considerazione a partire dal 1948 a oggi. L’a. mette in evidenza che<br />

in entrambi i casi <strong>lo</strong> sguardo sul passato – trasmesso di generazione in generazione – è stato<br />

deformato dalla centralità assegnata alle es<strong>per</strong>ienze traumatiche, poste a fondamento delle<br />

identità nazionali e monopolizzatrici delle memorie pubbliche. L’artico<strong>lo</strong> di Sofia Ciuffoletti<br />

assume invece come oggetto di indagine la genesi <strong>della</strong> costituzione indiana, che affonda le<br />

proprie radici nella <strong>lo</strong>tta al co<strong>lo</strong>nialismo come es<strong>per</strong>ienza fondativa dell’identità nazionale, ma<br />

riflette anche i principi <strong>della</strong> Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948.<br />

La questione dell’identità nazionale costituisce uno degli assi centrali anche <strong>della</strong> riflessione<br />

di Agnese Portincasa, che mette in relazione la costruzione dell’italianità e la storia <strong>della</strong> pasta<br />

alimentare e sottolinea come la tradizione gastronomica di una nazione sia l’espressione delle<br />

pratiche economiche, sociali, simboliche che danno vita alla sua cultura. Proprio a partire da<br />

questo presupposto viene esaminata la piena affermazione del consumo <strong>della</strong> pasta negli anni<br />

del miraco<strong>lo</strong> economico, sebbene la produzione industriale di questo alimento abbia una datazione<br />

precedente. Il saggio offre un esempio di storia dei consumi secondo una declinazione<br />

specifica, quella dei consumi alimentari. A questi ultimi è dedicato anche l’artico<strong>lo</strong> di Daniele<br />

Tricarico, sui <strong>per</strong>corsi di diffusione e creolizzazione <strong>della</strong> cucina italiana in Gran Bretagna.<br />

L’«importazione» <strong>della</strong> cucina italiana sul territorio britannico fu avviata dagli immigrati, che<br />

trovarono nella ristorazione la possibilità di sviluppare piccole imprese a basso costo, come dimostrano<br />

l’elevato numero di panettieri, cuochi e proprietari di piccoli <strong>lo</strong>cali censiti a Londra<br />

nel 1911. Successivamente – a partire dagli anni ’50 e ’60 – il cibo italiano e i <strong>lo</strong>cali in cui era<br />

smerciato sono diventati una moda delle nuove classi medie, che hanno identificato in essa esotismo<br />

e «mediterraneità». I diversi orientamenti dei consumi alimentari costituiscono uno degli<br />

elementi di riflessione di Federica Davolio, che li ri<strong>per</strong>corre attraverso l’evoluzione dell’editoria<br />

gastronomica. Davolio inizia la propria indagine con la lettura dei manuali di cucina <strong>della</strong><br />

seconda metà dell’800, e arriva fino alle riviste di cucina degli anni ’80 del ’900, analizzando<br />

attraverso una prospettiva di genere il pubblico al quale ricettari e <strong>per</strong>iodici sono rivolti. Lo<br />

sguardo di lungo <strong>per</strong>iodo le consente di mettere in evidenza il retroterra in cui si col<strong>lo</strong>ca la recente<br />

affermazione di riviste che non propongono più un approccio pragmatico e tradizionale<br />

alla cucina, ma enfatizzano la dimensione edonistica del cibo.<br />

La storia economica<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Ai problemi <strong>della</strong> storia economia nel <strong>per</strong>iodo post-bellico, con particolare riferimento<br />

all’Europa e agli Stati Uniti d’America, è dedicata una serie di articoli dalle caratteristiche assai<br />

diverse, non so<strong>lo</strong> <strong>per</strong> le particolari questioni affrontate, ma anche <strong>per</strong> la prospettiva con la<br />

quale ciascun autore ha scelto di osservarle. La ricostruzione del Regio Teatro di Torino dopo<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

l’incendio del 1936 offre <strong>per</strong> esempio a Michela Comba l’occasione di riflettere sul significato<br />

<strong>della</strong> devianza rispetto alla regolamentazione e alla pianificazione urbanistica nella prassi<br />

edilizia torinese in epoca post-bellica. Un’occupazione degli spazi che «è <strong>per</strong> <strong>lo</strong> più giuridicamente<br />

provvisoria» (p. 519) e il dibattito generatosi in città circa le caratteristiche del nuovo<br />

edificio fanno <strong>per</strong>ò <strong>della</strong> riedificazione del Regio un caso di studio interessante al di là <strong>della</strong><br />

dimensione strettamente architettonica prediletta dall’autrice. Nelle pagine di Comba esso diviene<br />

infatti un osservatorio privilegiato <strong>per</strong> <strong>lo</strong> studio dei diversi modi d’immaginare il tessuto<br />

urbano all’indomani <strong>della</strong> guerra, ma ancora di più l’esempio evidente di come la definizione<br />

funzionale e simbolica del<strong>lo</strong> spazio pubblico cittadino possa trasformarsi in terreno di<br />

legittimazione professionale <strong>per</strong> le più diverse categorie (architetti, progettisti), in occasione<br />

<strong>per</strong> esercizi di retorica politica, o in un costante negoziato tra quanti vedono nel control<strong>lo</strong> sull’ubicazione<br />

e sulla realizzazione del teatro un veico<strong>lo</strong> di affermazione <strong>per</strong>sonale.<br />

Una più spiccata sensibilità storico-giuridica ed un pur vago richiamo all’approccio neoistituzionalista<br />

di Douglass C. North sembrano essere alla base dei contributi che Bulgarelli e<br />

Salerno dedicano alla formazione di sistemi normativi tesi a regolamentare specifici aspetti<br />

<strong>della</strong> vita economica. Il primo mostra il tortuoso cammino compiuto nel cinquantennio post-bellico<br />

dalla legislazione italiana <strong>per</strong> giungere alla liberalizzazione valutaria del 1990, lungamente<br />

auspicata dalle istituzioni internazionali ed in particolare dalla CEE. Il secondo prende<br />

invece in esame la genesi delle legislazioni nazionali contro il market abuse e l’insider trading<br />

e sottolinea da un lato il ritardo con il quale esse nascono in Europa rispetto a quanto accade<br />

nel più precoce mercato finanziario americano, dall’altro, il carattere peculiare che esse<br />

tendono ad assumere in paesi di common law come gli Stati Uniti.<br />

Su un fronte più squisitamente storico-economico si muove invece l’interessante saggio<br />

di Torp, che ragiona sulle ana<strong>lo</strong>gie tra l’attuale g<strong>lo</strong>balizzazione ed il processo d’integrazione<br />

economica mondiale registrato tra gli anni ’50 del XIX seco<strong>lo</strong> e la vigilia <strong>della</strong> prima guerra<br />

mondiale. Attraverso la puntuale analisi di dati <strong>per</strong> <strong>lo</strong> più quantitativi (volume del commercio<br />

internazionale, estensione delle reti ferroviarie e costi dei trasporti, livel<strong>lo</strong> d’integrazione<br />

dei mercati finanziari, tassi di mobilità geografica delle <strong>per</strong>sone, etc.) Torp pone in discussione<br />

la presunta novità <strong>della</strong> g<strong>lo</strong>balizzazione tardo-novecentesca, giungendo a considerarla piuttosto<br />

il secondo stadio «di uno stesso processo storico» (p. 251).<br />

Con un approccio a metà tra storia economica e storia del pensiero economico Rossella Caccavo<br />

rilegge invece le vicende economiche dell’area barese negli anni <strong>della</strong> ricostruzione attraverso<br />

<strong>lo</strong> sguardo di Isidoro Pirelli, semplice imprenditore prima, presidente dell’Associazione provinciale<br />

di categoria poi. Il suo «meridionalismo liberale», fondato al contempo sulla vo<strong>lo</strong>ntà di<br />

va<strong>lo</strong>rizzare le potenzialità insite nel rapporto tra industria di trasformazione alimentare e portato<br />

agro-mercantile del territorio, e sull’avversione nei confronti dell’intervento diretto del<strong>lo</strong> Stato<br />

nel Mezzogiorno (auspicato invece da altri settori dell’imprenditoria meridionale), viene analizzato<br />

sia attraverso alcuni dei suoi scritti più significativi, sia ricorrendo a documentazione ine-<br />

76


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dita conservata presso l’Archivio <strong>della</strong> Confederazione Generale dell’Industria <strong>Italiana</strong>. Ciò consente<br />

a Caccavo di alternare continuamente il piano <strong>della</strong> riflessione economica del singo<strong>lo</strong> con<br />

quel<strong>lo</strong> dei concreti avvenimenti di quegli anni, riuscendo così a cogliere anche gli umori <strong>della</strong><br />

<strong>lo</strong>cale borghesia industriale rispetto all’evolversi <strong>della</strong> situazione meridionale nel frangente compreso<br />

tra l’attivazione del piano Marshall ed il varo <strong>della</strong> Cassa <strong>per</strong> il Mezzogiorno.<br />

Ad un’altra area d’Italia, quella toscana, e ad un altro settore, quel<strong>lo</strong> agrico<strong>lo</strong> lì tradizionalmente<br />

dominato dal sistema <strong>della</strong> mezzadria, è infine dedicato il saggio di Victoria Belco,<br />

che ricostruisce brevemente le travagliate vicende <strong>della</strong> mezzadria in Italia centrale, dai tentativi<br />

di migliorare le condizioni di vita dei co<strong>lo</strong>ni posti in essere in tarda età liberale sino al <strong>lo</strong>do<br />

De Gas<strong>per</strong>i, divenuto legge nel maggio 1947. Tuttavia, più che analizzare i limiti dell’azione<br />

politico-economica e sociale di quanti hanno guidato il paese nel cinquantennio preso in<br />

esame, l’artico<strong>lo</strong> si sofferma invece sul costante rifiuto dei mezzadri stessi di porre in discussione<br />

le antiche tradizioni sottese al sistema, anche quando esse costituiscono l’ostaco<strong>lo</strong> principale<br />

al miglioramento delle <strong>lo</strong>ro condizioni di vita. È in questo atteggiamento e nella conseguente<br />

impossibilità da parte del sistema di cambiare che l’autrice individua il fi<strong>lo</strong> rosso di<br />

una storia il cui epi<strong>lo</strong>go giunge, nei decenni successivi al secondo conflitto mondiale, con la<br />

«morte graduale e naturale» (p. 404) <strong>della</strong> mezzadria italiana a causa del progressivo inurbamento<br />

delle generazioni successive.<br />

L’Italia repubblicana<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

L’attenzione sembra essere tutta <strong>per</strong> la stagione centrista, le sue origini interne, le condizioni<br />

internazionali che la determinano, i suoi protagonisti. A questo rilievo contribuisce in<br />

modo particolare VS, che dedica un numero monografico (12, <strong>2007</strong>) all’anno mirabile 1947,<br />

«l’anno <strong>della</strong> svolta». Il 1947, scrivono i due direttori <strong>della</strong> rivista Gaetano Quagliariel<strong>lo</strong> e Victor<br />

Zaslavsky nell’editoriale di presentazione, «rimane immortalato nella storia come l’anno<br />

nel quale si consumò “l’alleanza innaturale” tra i paesi liberaldemocratici occidentali e il regime<br />

dittatoriale staliniano» (p. 5). Come spiegano più diffusamente Elena Aga Rossi ed Emanuele<br />

Bernardi nell’Introduzione, il 1947 è «un anno cruciale nella storia del secondo dopoguerra,<br />

sia a livel<strong>lo</strong> interno sia internazionale. A livel<strong>lo</strong> interno, è stato l’anno <strong>della</strong> svolta dai<br />

governi di unità nazionale a quelli a guida DC e l’inizio dell’età degas<strong>per</strong>iana. A livel<strong>lo</strong> internazionale<br />

è l’anno che segna l’esp<strong>lo</strong>dere <strong>della</strong> guerra fredda, la fine dei tentativi di mantenere<br />

un ordine geopolitico fondato sulla alleanza di guerra e la nascita del mondo bipolare, con la<br />

formulazione <strong>della</strong> dottrina del contenimento da parte di Truman, il lancio del piano Marshall<br />

e la costituzione del Cominform da parte dell’Urss» (p. 9). Al centro di questa stagione<br />

politica sta la figura di De Gas<strong>per</strong>i. Oggetto di una recente risco<strong>per</strong>ta e di un rinnovato interesse<br />

sul piano storiografico, di cui la monografia di Piero Craveri <strong>per</strong> il Mulino, l’edizione<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

degli scritti e dei discorsi, i volumi sul giovane De Gas<strong>per</strong>i di Pombeni e Trinchese sono un<br />

segnale significativo, i curatori del numero di VS ne fanno la chiave di volta <strong>per</strong> ripensare<br />

(«contribuire alla revisione», scrivono Aga Rossi e Bernardi) gli «anni del centrismo». Alla<br />

«scelta di campo» di De Gas<strong>per</strong>i, in particolare, è dedicato il contributo di Aga Rossi. Negli<br />

anni <strong>della</strong> transizione, tra il 1945 ed il 1947, il ruo<strong>lo</strong> di De Gas<strong>per</strong>i come capo <strong>della</strong> politica<br />

estera italiana, prima da ministro degli Esteri e poi da presidente del Consiglio, assume rilievo<br />

<strong>per</strong> la lucidità con la quale giudica il sistema delle relazioni internazionali e i suoi riflessi<br />

sulla politica interna. Da un lato, De Gas<strong>per</strong>i è convinto <strong>della</strong> «impraticabilità a lungo termine<br />

di fondare la politica italiana sulla collaborazione tra i tre partiti di massa (PCI, PSIUP e<br />

DC), come proponeva Togliatti» (p. 19); dall’altro, sa di doversi muovere con molta cautela,<br />

in un quadro internazionale incerto, con gli occhi fissi al traguardo immediato <strong>della</strong> firma del<br />

trattato di pace e dell’elaborazione <strong>della</strong> Costituzione, oltre che all’«obiettivo prioritario» di<br />

salvaguardare quanto più possibile l’integrità territoriale dell’Italia. Il momento centrale è, naturalmente,<br />

la crisi di maggio, il viaggio negli Stati Uniti, il ritorno e l’estromissione <strong>della</strong> sinistra<br />

dal governo. Non foss’altro <strong>per</strong>ché su questi temi si è prodotta una lunga controversia<br />

storiografica sulla definizione dei modi nei quali, nella seconda metà del ’900, gli italiani hanno<br />

compreso le origini <strong>della</strong> Repubblica, e alla quale è dedicato anche l’artico<strong>lo</strong> di Guiso che<br />

mette a confronto il caso italiano con quel<strong>lo</strong> francese, mentre maggiore attenzione ai fattori<br />

internazionali si trova nel saggio di Martinez Oliva. Quanto contarono i condizionamenti internazionali<br />

e il «diktat» americano nella decisione di De Gas<strong>per</strong>i? Secondo Aga Rossi, la documentazione<br />

resa disponibile in questi ultimi anni <strong>per</strong>mette di sostenere che la svolta del<br />

1947 non fu espressione dei «condizionamenti» americani sulla politica italiana, ma ebbe origine<br />

nella situazione interna del paese e nella <strong>per</strong>dita di consensi alla DC iniziata l’anno precedente<br />

(p. 27).<br />

È sempre De Gas<strong>per</strong>i al centro di un artico<strong>lo</strong> di Pao<strong>lo</strong> Acanfora sul mito e l’uso politico<br />

<strong>della</strong> religione nella cultura democristiana. Secondo l’a., è proprio a De Gas<strong>per</strong>i che si deve la<br />

definizione di un nuovo linguaggio e di nuove modalità di espressione che contribuiscono a<br />

rivitalizzare il partito di massa e che secondo Acanfora sono debitrici sia nei contenuti che nelle<br />

forme di comunicazione nei confronti dei totalitarismi.<br />

Gli anni del centrismo occupano anche le pagine di NSC, seppur in modo meno sistematico<br />

e da un osservatorio particolare. A Giuseppe Dossetti e la DC dedica un corposo intervento<br />

Giovanni Tassani. Rispetto al nodo del 1947 qui siamo qualche anno più avanti e l’attenzione<br />

è tutta portata all’interno del dibattito democristiano. In primo piano stanno <strong>lo</strong> scontro all’interno<br />

del gruppo dirigente cattolico, le diverse interpretazioni del 18 aprile di De Gas<strong>per</strong>i e<br />

Dossetti, la convinzione di quest’ultimo <strong>della</strong> responsabilità <strong>della</strong> DC, resa più acuta dalla fine<br />

dell’unità antifascista, nel «dar forma e risposta alle questioni sociali, la disoccupazione da rimuovere<br />

in primis» (p. 58). La DC, scrive Tassani, è in quegli anni «un partito piuttosto informe,<br />

non saldamente impiantato, sovrarappresentato in Parlamento quanto a eletti: in una<br />

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quantità non pari alla qualità, <strong>per</strong> l’effetto-premio del 18 aprile, cui non corrisponde “volitività”<br />

e “virilità”, <strong>per</strong> dirla con Dossetti» (ibid.).Tassani delinea anche il profilarsi <strong>della</strong> spaccatura<br />

all’interno del gruppo dossettiano, tra il suo leader e il giovane Amintore Fanfani, che riteneva<br />

«ingenue» le pretese di Dossetti di «poter influire in sede di direzione sugli orientamenti<br />

di De Gas<strong>per</strong>i e Pella» in tema di politica economica e di politica estera (p. 63).<br />

Il PCI e le minacce di guerra civile<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

La stagione del centrismo è anche profondamente segnata dalla «grande paura» <strong>della</strong> guerra<br />

civile. Su tale questione intervengono tanto VS che NSC che RSP. Nella prima, vanno segnalati<br />

i saggi di Fabio Grassi Orsini sulla «violenza politica» e di Emanuele Bernardi sull’ordine<br />

pubblico, «un problema cruciale <strong>per</strong> tutti i governi italiani dalla liberazione al 1948» (p.<br />

75). Bernardi presta particolare attenzione ai risvolti <strong>della</strong> crisi del maggio 1947 – «in realtà,<br />

quella che seguì la crisi politica del maggio 1947, fu una crisi dell’ordine pubblico e dei rapporti<br />

civili» (p. 105) – mentre sui timori di guerra civile si sofferma Aldo G. Ricci. Anche qui<br />

l’ordine pubblico compare come principale problema dei governi del CLN dal ritorno a Roma<br />

nel giugno del 1944 e poi dei successivi governi centristi a partire dal ’47. In maniera coerente<br />

alla linea <strong>della</strong> rivista, Ricci focalizza l’attenzione sul PCI ed in particolare sulla «strategia<br />

del doppio binario dei comunisti»: democrazia progressiva e unità dei partiti di massa, da<br />

un lato; <strong>lo</strong>tte di piazza spinte fino alle estreme conseguenze, dall’altro. Almeno fino al 1953,<br />

scrive Ricci, «Il governo […] da quanto emerge dai verbali delle sue riunioni, non ha le idee<br />

chiare in merito a quale sia la strategia internazionale in cui si col<strong>lo</strong>ca l’azione dei comunisti<br />

italiani. Se sia volta a disturbare o a rovesciare l’assetto istituzionale. In particolare dopo l’inizio<br />

<strong>della</strong> guerra di Corea, la possibilità di un conflitto interno viene sempre potenzialmente<br />

legata all’ipotesi di un attacco dell’URSS in Occidente, spesso evocato dal governo nei suoi<br />

dibattiti» (p. 87).<br />

A tali questioni, dilatate su un arco temporale che tende a coincidere con la durata <strong>della</strong><br />

cosiddetta prima Repubblica, si ricollega l’intervento di Salvatore Sechi che fedele al suo impegno<br />

di ricerca si concentra sulla penetrazione del PCI nella società italiana negli anni ’50.<br />

Il PCI di Sechi è un’organizzazione paramilitare parallela che intrattiene legami con la casa<br />

madre sovietica che si prolungano <strong>per</strong> tutti gli anni ’60 e ’70, a dispetto anche delle tensioni<br />

e delle fratture che si determinano tra i russi e i dirigenti del partito italiano. Cosa ha significato<br />

<strong>per</strong> la democrazia italiana e la sua sicurezza, la presenza di un partito che era pronto a «difendersi»<br />

e che si è difeso servendosi dell’intelligence di un paese non alleato e, anzi, ostile alla<br />

Nato? L’artico<strong>lo</strong> di Sechi non intende rispondere a questa domanda ma fornisce ampio materiale<br />

documentario a corroborare quella che è piuttosto l’enunciazione di una tesi prim’ancora<br />

che una questione storiografica. La vicenda illustrata da Sechi comincia tra la fine <strong>della</strong><br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

guerra e gli anni ’50, fino a quando trent’anni più tardi Berlinguer, attraverso Ugo Pecchioli,<br />

«dispose la restituzione di 3 delle 4 radio ricetrasmittenti che Mosca aveva fatto installare, dalla<br />

propria intelligence, in via delle Botteghe Oscure» (p. 35).Gli apparecchi erano arrivati nella<br />

sede del PCI il 17 maggio del 1973, «<strong>per</strong> bonificare gli uffici del partito da infiltrazioni o<br />

intercettazioni <strong>della</strong> CIA, del Mossad ecc.» (p. 21). Il PCI aveva una propria rete <strong>per</strong> comunicare<br />

con gli apparati <strong>per</strong>iferici del partito, ma soprattutto <strong>per</strong> essere in continuo contatto<br />

con il PCUS che, in tempo reale, era informato «di ogni decisione, e poteva, quindi, esercitare<br />

tempestivamente il potere di veto. Questa tecno<strong>lo</strong>gia rappresentava, dunque, il nodo scorsoio<br />

<strong>della</strong> dipendenza del PCI da Mosca» (p. 35).<br />

Un capito<strong>lo</strong> a parte meritano l’armamento del PCI, il rafforzamento delle organizzazioni<br />

degli ex partigiani, dei servizi di informazione e di sicurezza del partito. Si tratta di un apparato<br />

e di un insieme di pratiche para-insurrezionali che si delineano fin dal 1947 e che cominciano<br />

ad essere smantellati all’inizio degli anni ’60, quando, scrive Sechi, il PCI cominciò<br />

ad auto-disarmarsi. Re<strong>per</strong>ti bellici vengono sequestrati nel 1961 e, seppur su scala ridotta, i<br />

ritrovamenti continuano nel 1962 e 1963: «Si tratta di armi rimaste nascoste dal 1945 o abbandonate<br />

da chi le aveva in custodia sin dalla guerra di liberazione. Non la paura e la casualità,<br />

che certamente non può escludersi in molti casi, ma una vera e propria regia presiedeva<br />

a questi rinvenimenti». Si può dire, conclude l’a., che il PCI «tenne» la linea di condotta adottata<br />

dal suo gruppo dirigente e concordata con Stalin, dopo l’esclusione dall’area di governo<br />

nel 1947: «evitare l’avventura di trasformare la <strong>lo</strong>tta politica – in corso in Italia – in guerra civile,<br />

mantenersi sul terreno <strong>della</strong> legalità democratica <strong>per</strong> sfruttarne tutti i possibili vantaggi<br />

[…]». Al tempo stesso rafforzare le difese: «Di fronte a un attacco degli avversari, o se fossero<br />

cambiati i rapporti di forza, era opportuno tenersi pronti anche sul piano militare» (p. 48).<br />

Sul problema <strong>della</strong> costruzione di un contro-mito dell’URSS interviene Andrea Mariuzzo<br />

che, sulla base del<strong>lo</strong> spoglio sistematico de «Il Corriere <strong>della</strong> Sera» e de «Il Messaggero» tra<br />

il 1948 e il 1955, delinea il formarsi di un’opinione pubblica critica nei confronti dell’URSS.<br />

I due giornali tentano, attraverso la pubblicazione di testimonianze di esiliati del b<strong>lo</strong>cco sovietico<br />

e di reportage di politica internazionale basati su documentazione americana, di smantellare<br />

il mito dell’URSS costruito dai comunisti.<br />

Sul problema <strong>della</strong> violenza politica e delle minacce di guerra civile nell’Italia del dopoguerra<br />

torna MI con due saggi di Massimo Storchi e di Philip Cooke, di argomento differente<br />

e di ben diversa estensione temporale. Il primo inquadra il problema <strong>della</strong> violenza politica<br />

in un arco temporale ampio, che segue le evoluzioni del sistema italiano dalla fine <strong>della</strong> seconda<br />

guerra mondiale quando i conflitti sono strettamente collegati alle alternative ideo<strong>lo</strong>giche<br />

<strong>della</strong> guerra fredda, agli anni ’60 e ’70 con l’emergere dell’offensiva terroristica, fino alla<br />

caduta del muro di Berlino e alla crisi del sistema dei partiti. Su un caso particolare si concentra<br />

invece il saggio di Cooke che esamina una trasmissione radio emanata verso l’Italia dalla<br />

Cecos<strong>lo</strong>vacchia nel decennio 1950-1960. Il programma era prodotto da rifugiati italiani<br />

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scappati dalla penisola negli anni del «processo alla resistenza». È in questo clima che ha <strong>per</strong>altro<br />

origine l’o<strong>per</strong>azione Stay behind cui è dedicato il saggio di Giacomo Pacini che ricostruisce<br />

la storia delle organizzazioni militari anti-comuniste attive in Italia nell’immediato dopoguerra.<br />

Al PCI nella riviste storiche italiane del <strong>2007</strong> sono dedicati un picco<strong>lo</strong> gruppo di articoli,<br />

prevalentemente concentrati sui rapporti con l’Unione sovietica e il b<strong>lo</strong>cco socialista. Fanno<br />

eccezione gli interventi di Giammarco Santese e di Alessandro Santoni.<br />

In SS e su una questione cruciale interviene Alexander Höbel che si sofferma sull’attenzione<br />

con cui il PCI guarda al nuovo corso cecos<strong>lo</strong>vacco fin dal 1967 e che culmina nel viaggio<br />

di Longo a Praga nel maggio del 1968. Tra giugno e luglio arriva in Italia una delegazione<br />

sovietica guidata da Kirilenko. Longo si dichiara favorevole al rinnovamento cecos<strong>lo</strong>vacco.<br />

Nel resoconto dell’incontro, conservato negli archivi <strong>della</strong> Fondazione Gramsci, si legge dell’esigenza<br />

che il gruppo dirigente del partito italiano avverte di un contenuto «più democratico<br />

e avanzato» da dare al socialismo. Per Kirilenko, al contrario, «il processo di democratizzazione<br />

è uscito dal control<strong>lo</strong> del partito e ciò ha creato un serio <strong>per</strong>ico<strong>lo</strong> <strong>per</strong> il regime socialista»<br />

(cit. a p. 524). La vicenda cecos<strong>lo</strong>vacca è uno specchio attraverso il quale verificare il rapporto<br />

tra ambizioni all’autonomia e fedeltà del PCI all’antica appartenenza internazionale.<br />

Muovendo da un giudizio di Silvio Pons, secondo il quale «il dato da evidenziare e da spiegare<br />

è anche la <strong>per</strong>sistenza del rapporto con l’Urss» (cfr. L’Urss e il Pci nel sistema internazionale<br />

<strong>della</strong> guerra fredda, in R. Gualtieri (a cura di) Il Pci nell’Italia repubblicana 1943-1991, Roma,<br />

Carocci, 2001, p. 31), Höbel <strong>lo</strong> attenua, ricordando come «negli stessi anni, dinanzi alla guerra<br />

del Vietnam, Moro e la Dc avevano espresso “piena comprensione” <strong>per</strong> l’alleato americano,<br />

non so<strong>lo</strong> non pronunciando condanne, ma tanto meno rinunciando a mantenere un rapporto<br />

privilegiato con gli Usa» (p. 533). Il principio a cui pretende attenersi Höbel è che «il<br />

legame con punti di riferimento internazionale costituiva dunque un elemento caratterizzante<br />

le maggiori forze politiche» (p. 533). A vantaggio del PCI, l’a. avanza «il progressivo emergere<br />

di una spinta critica e di una differenziazione strategica di portata significativa» (p. 534).<br />

Anni ’70<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Il quarantennale del movimento del 1968 ha prodotto un proliferare di pubblicazioni<br />

sugli scaffali delle librerie che non ha trovato riscontro, neppure in minima parte, sulle pagine<br />

delle riviste di storia oggetto delle nostre riflessioni. È pur vero che le riviste analizzate<br />

in questa rassegna sono state pubblicate nel <strong>2007</strong> e in occasione del quarantennale gli indici<br />

non rimarranno indifferenti all’evento. Il parallelismo ci sembra in ogni caso <strong>per</strong>tinente<br />

poiché segnala e conferma la carenza di un approfondimento critico come premessa e accompagnamento<br />

del gran parlare del ’68. Se le riviste sono ancora il termometro <strong>della</strong> ricerca in<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

corso nella comunità scientifica, il ’68 è indubbiamente un oggetto di studio <strong>per</strong>iferico fino<br />

almeno al <strong>2007</strong>.<br />

L’unica eccezione è rappresentata dal saggio di Francesca Socrate che prova a fornire una<br />

risposta alla domanda «se e come» è possibile individuare il ’68 come fenomeno storico e oggetto<br />

di studio. L’a. si col<strong>lo</strong>ca all’interno di quel fi<strong>lo</strong>ne storiografico e memorialistico che identifica<br />

il movimento del ’68 con la creazione di una comunità giovanile, politica, affettiva. Se<br />

questa è la cifra che <strong>per</strong>mette di distinguer<strong>lo</strong> da un «prima» e da un «dopo», Socrate analizzando<br />

la mancata mobilitazione del movimento intorno alla morte di Domenico Congedo – studente<br />

di Magistero morto il 27 febbraio 1969 precipitando dal 4° piano <strong>della</strong> facoltà dopo<br />

un’aggressione dei gruppi neofascisti – vi legge il venir meno di questa comunità studentesca.<br />

Utilizzando i documenti del movimento, dei gruppi politici e delle autorità di polizia, l’a. suggerisce<br />

che il carattere accidentale <strong>della</strong> morte di Congedo non è comunque sufficiente a spiegare<br />

gli scarsi echi e il ve<strong>lo</strong>ce oblio che essa ebbe tra gli studenti. I racconti <strong>della</strong> morte del<strong>lo</strong><br />

studente pugliese, celebrato nelle rare occasioni come un membro <strong>della</strong> comunità, raccontano<br />

anche il <strong>per</strong>dersi di questa comunità il cui presupposto stava nell’essere a<strong>per</strong>ta e inclusiva.<br />

Ritornano i nomi di Roberto Bartali e di Vladimiro Satta in relazione al<strong>lo</strong> studio del terrorismo<br />

di sinistra. Entrambi gli autori col<strong>lo</strong>cano le vicende in esame nel contesto delle relazioni<br />

internazionali. Sulla rivista inglese MI Bartali ripropone alcune delle tesi che <strong>lo</strong> scorso<br />

anno abbiamo già avuto modo di illustrare su queste pagine. Concentrandosi sul <strong>per</strong>iodo<br />

1968-1973, rintraccia i legami diretti tra la nascita delle BR e i servizi segreti del b<strong>lo</strong>cco sovietico<br />

in funzione anti-PCI. Queste connessioni suggeriscono una rilettura <strong>della</strong> politica del<br />

PCI, ostile alle BR e alla violenza politica ben prima del sequestro Moro e delle vicende <strong>della</strong><br />

seconda metà del decennio ’70. Satta si impegna invece a contrastare la retorica dei «misteri»<br />

fornendo dettagliate informazioni sui rapporti tra BR e gruppi palestinesi.<br />

In direzione di nuove piste di ricerca si muove invece Alfredo Agustoni, che intreccia la storia<br />

del<strong>lo</strong> sviluppo urbano, dell’edilizia popolare e dei movimenti degli inquilini a Milano. Una<br />

trama che racconta l’organizzazione del<strong>lo</strong> spazio urbano come strategia di disciplinamento dei<br />

soggetti e luogo di resistenza. Dopo aver brevemente delineato l’esordio delle politiche abitative<br />

in Italia e a Milano nei primi anni del ’900 e le contraddizioni <strong>della</strong> politica fascista – la cui retorica<br />

antiurbana si risolve in una <strong>per</strong>iferizzazione delle classe subalterne – Agustoni descrive il<br />

protagonismo del movimento inquilini e del movimento <strong>per</strong> la casa negli anni del<strong>lo</strong> sviluppo<br />

economico, <strong>della</strong> speculazione edilizia, dei forti movimenti migratori interni, dei movimenti sociali.<br />

Tra i molti, due aspetti ci preme sottolineare: innanzitutto l’intreccio tra mobilitazione politica<br />

dal basso e riforme istituzionali (ad esempio la legge 865/1971 <strong>per</strong> la riforma <strong>della</strong> casa popolare,<br />

la legge 329/1978 <strong>per</strong> l’equo canone e altre ancora); in secondo luogo il contributo che<br />

<strong>lo</strong> studio di queste forme di politicizzazione e di partecipazione attiva può portare alla comprensione<br />

delle soggettività, dei movimenti e delle <strong>lo</strong>tte degli anni ’70 problematizzando il paradigma<br />

dell’egemonia <strong>della</strong> violenza e delle forme più tradizionali <strong>della</strong> politica.<br />

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Il sistema politico italiano dopo il 1992<br />

Emerge con fatica nelle riviste italiane una riflessione storiografica sulla transizione repubblicana<br />

del 1992. Nei fatti in questa rassegna gli unici articoli recensiti provengono da un<br />

numero speciale che alla trasformazione del nostro sistema politico dedica MI, Political Change<br />

in Italy since 1994 a cura di Simon Parker che firma anche il saggio introduttivo. La rivista<br />

raccoglie contributi di studiosi italiani e stranieri su Silvio Berlusconi (Gianfranco Pasquino),<br />

sul fenomeno delle Leghe (Daniele Albertazzi), sul cambiamento dei modelli elettorali (Pao<strong>lo</strong><br />

Bellucci), sulla politica estera (James Walston), nonché su questioni più tecniche (Paola<br />

Mattei). In particolare, John Agnew si sofferma sull’importanza delle coordinate geografiche<br />

<strong>per</strong> comprendere la natura del cambiamento politico, spostando così l’accento che tradizionalmente<br />

viene posto sul ruo<strong>lo</strong> <strong>della</strong> televisione e sulla politica «senza territorio». In particolare<br />

l’a. rileva la natura esemplare che i comportamenti politico elettorali assumono nell’Italia<br />

meridionale. Il Sud, nell’analisi di Agnew, emerge come un’area di competizione tra le principali<br />

forze politiche ed di frammentazione più elevata che altrove dei risultati elettorali.<br />

Sottoculture e controculture giovanili<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Il tema delle culture giovanili dimostra una certa vitalità nella storiografia contemporanea;<br />

una tematica che affronta questioni come i consumi, le forme e gli spazi alternativi di politicizzazione,<br />

la resistenza e la critica al<strong>lo</strong> status quo. In questo contesto è determinante il numero<br />

monografico di MR intitolato Movimenti e culture giovanili, curato da Marco Fincardi<br />

e Catia Papa in una prospettiva che attraversa XIX e XX seco<strong>lo</strong>. Dorena Caroli propone una<br />

breve rassegna delle associazioni di scout in Russia, la <strong>lo</strong>ro evoluzione attraverso il regime sovietico<br />

e post sovietico; Silvia Zanella analizza la nascita <strong>della</strong> cultura Rastafarian nel contesto<br />

antico<strong>lo</strong>niale caraibico e la sua traduzione in Gran Bretagna tra i giovani caraibici e non, che<br />

trasformano il rastafarianesimo in una delle principali espressioni sottoculturali giovanili; Rosaria<br />

Nunziata propone una prima storia di Radio Popolare a partire da quei movimenti sociali<br />

e culturali che nella seconda metà degli anni ’70 ne furono i principali promotori. Mentre<br />

il contributo di Nunziata apre un campo di ricerca sulle es<strong>per</strong>ienze di comunicazione e sulle<br />

soggettività che dagli anni ’70 si sono trasfuse fino ai giorni nostri, non trascurando il portato<br />

di innovazione che dai movimenti si è riversato sul sistema comunicativo italiano, i primi<br />

due saggi si connotano principalmente come rassegne bibliografiche che sfuggono al confronto<br />

con le fonti primarie. Ana<strong>lo</strong>gamente Emanuela Vita affronta il tema del legame tra le<br />

sottoculture giovanili, intese come fruizione di musica, stili e consumo, e il dissenso nella<br />

RDT degli anni ’60. L’a. sottolinea il ruo<strong>lo</strong> dirompente del beat e del rock nel contesto tedesco<br />

orientale, l’atteggiamento ambivalente e strumentale del regime, a<strong>per</strong>ture e chiusure che<br />

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non hanno impedito che i cambiamenti nella vita quotidiana e l’anticonformismo si tramutassero<br />

in forme di dissenso.<br />

Ci riposiziona in Italia il contributo di Silvia Casilio sulla controcultura beat <strong>della</strong> metà<br />

degli anni ’60. Con un occhio attento al 1968 e quindi ai nessi e alle rotture tra es<strong>per</strong>ienze<br />

controculturali e movimento studentesco, l’a. traccia la parabola del movimento beat bilanciando<br />

efficacemente la ricostruzione dell’ostilità verso i «capel<strong>lo</strong>ni» messa in atto dal «Corriere<br />

<strong>della</strong> sera» e dai giovani missini e la trasformazione del movimento tra atteggiamenti di<br />

rottura e recu<strong>per</strong>i nel mercato di massa. Il movimento beat, grazie anche alle sua rivista «Mondo<br />

Beat» e ai luoghi pubblici di aggregazione, cercò di sviluppare un vocabolario e delle forme<br />

originali di protesta all’insegna del pacifismo e del rifiuto <strong>della</strong> società dei consumi, <strong>per</strong> i<br />

diritti civili e le libertà <strong>per</strong>sonali, emergendo come una delle genea<strong>lo</strong>gie del successivo movimento<br />

studentesco.<br />

I consumi come specifico oggetto di ricerca appaiono secondari tra gli articoli esaminati.<br />

L’unica eccezione è costituita dal saggio di Enrica Asquer che presenta la propria ricerca sul<br />

rapporto tra diffusione dell’uso <strong>della</strong> lavatrice – la «signora Candy» – e le trasformazioni dei<br />

ruoli di genere in Italia. A partire da una pubblicità Candy del 2004, l’a. efficacemente sottolinea<br />

ambivalenze, <strong>per</strong>manenze e rotture che hanno attraversato la rappresentazione di questo<br />

elettrodomestico in relazione alle trasformazioni sociali e culturali del ruo<strong>lo</strong> femminile e dei<br />

generi a partire dal<strong>lo</strong> sviluppo economico degli anni ’50. Se da un lato il messaggio di libertà<br />

dalla fatica è innegabile, dall’altro la meccanizzazione del lavoro domestico nel segno <strong>della</strong> sua<br />

privatizzazione e l’imporsi dei modelli di «casa nido» e «casa alveare» invitano ad interrogarsi<br />

sulle forme dell’emancipazione femminile avvenuta all’insegna <strong>della</strong> riproduzione <strong>della</strong> divisione<br />

privato-pubblico.<br />

Connessioni, intrecci, scambi<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

La storia dei femminismi a partire dagli anni ’70 e la storia dei movimenti migratori ci<br />

riconducono ad alcune novità teoriche e metodo<strong>lo</strong>giche <strong>della</strong> storiografia contemporanea. Ci<br />

riferiamo ad approcci interessati a cogliere i nessi, le articolazioni dei processi, materiali e culturali,<br />

in una dimensione transnazionale. Liliana Ellena ed Elena Petricola sono le curatrici<br />

del numero di Zap composto nel segno dell’interdisciplinarietà e dedicato ai «femminismi di<br />

frontiera» dagli anni ’70 ad oggi. Vincenza Perilli definisce «ana<strong>lo</strong>gia im<strong>per</strong>fetta» la tematizzazione<br />

del rapporto tra «sesso» e «razza» nell’es<strong>per</strong>ienza femminista in Italia, Francia e Stati<br />

Uniti. Per quanto riguarda l’es<strong>per</strong>ienza italiana, Perilli propone un nesso tra la mancata comprensione<br />

dei rispettivi sistemi di dominazione – sessismo e razzismo – e l’importanza crescente<br />

del concetto di «differenza sessuale» che a partire dagli anni ’80 ha contribuito ad occultare<br />

altre differenze. Paola Guazzo ricostruisce il ruo<strong>lo</strong> avuto dalle traduzioni di autrici lesbiche<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

– Adrienne Rich, Audre Lorde, Monique Wittig, Nicole Brossard, Michèle Causse, Mary<br />

Daly – nella strutturazione, definizione, autoidentificazione del movimento lesbico in Italia a<br />

partire dagli anni ’80. Laura Corradi ci invita invece a confrontarci con il tema dell’ecofemminismo,<br />

sulla sua matrice indiana e sugli scambi che intrecciano la battaglia ambientalista<br />

delle femministe attraverso i continenti. Sara Tagliacozzo delinea invece la ricchezza degli<br />

scambi tra Africa, Europa, America che compongono le biografie di alcune teoriche femministe<br />

– Ifi Amadiume, Werewere Liking, Amina Mama. Vi troviamo la rivendicazione <strong>della</strong><br />

matrice antico<strong>lo</strong>niale; l’interrogazione critica dei ruoli di genere appartenenti alle culture africane;<br />

il difficile rapporto con i nazionalismi; la connessione costitutiva dei femminismi africani<br />

con quelli occidentali secondo diverse articolazioni storiche e soggettive (mimicry, opposizione,<br />

decostruzione). Alla fine le etichette di «moderno» e di «tradizionale» attribuite ai rapporti<br />

di genere e ai rapporti interculturali risultano inadeguate a spiegare il processo continuo<br />

e sincretico di negoziazione e rielaborazione di elementi culturali e pratiche appartenenti a<br />

mondi differenti e compresenti.<br />

Nel campo degli studi culturali si pone Joseph Pugliese interrogando alcuni frammenti<br />

di storia <strong>della</strong> presenza e dell’identificazione degli immigrati di origine italiana a Sydney. A<br />

partire dalla mostra Italiani di Sydney e dall’uso reiterato del David di Michelange<strong>lo</strong>, ieri e oggi,<br />

come icona dell’identità italiana all’estero, Pugliese delinea le azioni dei vari soggetti, da<br />

quelli istituzionali agli emigranti di origine italiana, che o<strong>per</strong>ano <strong>per</strong> la definizione, promozione,<br />

rinegoziazione di una presunta identità italiana in Australia. Un terreno di conflitti in<br />

cui si scontrano da un lato il re<strong>per</strong>torio di pregiudizi del paese «ospite», dall’altro le fratture e<br />

le gerarchie tra «settentrionali» e «meridionali» che problematizzano l’identificazione con una<br />

identità italiana. Le trasformazioni materiali e identitarie in un contesto transnazionale, quel<strong>lo</strong><br />

ita<strong>lo</strong>-canadese, sono il tema del numero di SE curato da Sonia Cancian e Bruno Ramirez.<br />

Con efficaci argomentazioni che pongono al centro dell’analisi la specificità socioculturale e<br />

politica canadese, i due curatori sottolineano il protagonismo delle seconde generazioni ita<strong>lo</strong>canadesi,<br />

che si presentano come soggetto storico non semplicemente riconducibile al paradigma<br />

dell’assimilazione. Ciò è evidente soprattutto nella produzione artistica, dove giovani<br />

artisti di origine italiana sono tra i principali interpreti delle tematiche legate al mondo g<strong>lo</strong>bale,<br />

dalle migrazione ai legami che intrecciano in modo originale «<strong>lo</strong>calità» e «internazionalità».<br />

In questo contesto si col<strong>lo</strong>ca il saggio di Bruno Ramirez sulle little Italies canadesi che,<br />

contrariamente alle vicine statunitensi, non si sono trasformate in siti del commercio di una<br />

presunta memoria etnica. A Toronto e a Montreal i quartieri italiani continuano ad essere luoghi<br />

di residenza di vecchi e nuovi immigrati e conseguentemente spazi di produzione ed elaborazione<br />

di una italianità viva e in continua evoluzione. Nel<strong>lo</strong> stesso numero <strong>della</strong> rivista Sonia<br />

Cancian presenta il suo studio delle lettere private che nel secondo dopoguerra sono state<br />

scambiate tra gli emigranti e la <strong>lo</strong>ro comunità d’origine. Del ricco materiale l’a. si limita ad<br />

evidenziare il ruo<strong>lo</strong> dei reticoli transnazionali e le trasformazioni dei ruoli di genere sia in sen-<br />

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so conservatore sia emancipatorio. Il contributo di Marina Maccari-Clayton aggiunge invece<br />

importanti tasselli alla storia delle migrazioni italiane. Attraverso l’analisi dell’emigrazione di<br />

italiani dal Belgio al Canada negli anni ’50-’60, l’a. ricostruisce elementi insoliti delle politiche<br />

migratorie canadesi (ad esempio l’intento di privilegiare l’arrivo di italiani del nord d’Italia)<br />

e delle strategie di donne e uomini, <strong>per</strong> i quali il Belgio poteva rappresentare una tappa<br />

temporanea verso il desiderato approdo canadese. Questa mobilità «triangolare» sfugge alle<br />

statistiche su base nazionale e costituisce una sfida agli apparati di ricerca tradizionali. Uno<br />

degli aspetti più interessanti del saggio di Nicolas Violle risiede nell’oggetto del<strong>lo</strong> studio: il<br />

rugby come strumento di integrazione degli italiani in Francia. Un protagonismo databile fin<br />

dagli anni ’20 del ’900 e che ha assunto maggiori proporzioni a partire dal secondo dopoguerra.<br />

Efficacemente Violle evidenzia non so<strong>lo</strong> le dinamiche sociali ma anche il positivo impatto<br />

che il protagonismo sportivo ha avuto sull’immagine dell’intera comunità italiana in Francia.<br />

Nicola Pizzolato riprende invece la riflessione sulle <strong>lo</strong>tte che hanno accomunato i lavoratori<br />

immigrati a Torino e a Detroit negli anni 1968-69. Pizzolato propone di rivedere le letture<br />

più accreditate dalla storiografia, che interpretano i conflitti privilegiando a Detroit gli aspetti<br />

del conflitto razziale e a Torino quelli <strong>della</strong> <strong>lo</strong>tta di classe. Le testimonianze orali sulle quali<br />

si basa la sua proposta euristica pongono invece al centro delle <strong>lo</strong>tte «l’essere migranti» degli<br />

o<strong>per</strong>ai; una condizione di marginalità complessiva che potrebbe aver spinto verso l’attivismo<br />

politico come forma di riscossa e riconoscimento sociale.<br />

Studi co<strong>lo</strong>niali e postco<strong>lo</strong>niali<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Gli articoli di Gabriele Turi e Gennaro Ascione sono invece originali rispetto alle piste di<br />

ricerca evidenziate sinora. Turi affronta criticamente il dibattito che in Inghilterra ha accompagnato<br />

le celebrazioni <strong>per</strong> il bicentenario dell’abolizione <strong>della</strong> schiavitù il 25 marzo 1807.<br />

Egli intreccia efficacemente la costruzione pubblica <strong>della</strong> memoria e le interpretazioni storiografiche<br />

e non trascura utili parallelismi con il contesto francese. Ovviamente la complessità<br />

del dibattito storiografico (che problematizza la data prescelta, il ruo<strong>lo</strong> degli abolizionisti bianchi<br />

a favore delle <strong>lo</strong>tte degli schiavi, le motivazioni economiche) si <strong>per</strong>de nel dibattito pubblico<br />

nel quale gli attori istituzionali, tra cui Tony Blair, riescono a trasformare l’abolizione <strong>della</strong><br />

schiavitù in uno strumento <strong>per</strong> celebrare le virtù umanitarie dell’Im<strong>per</strong>o inglese. In questo<br />

contesto non è secondario il rifiuto di esplicitare delle scuse pubbliche che avrebbero potuto<br />

dar adito a richieste di risarcimento da parte degli eredi degli schiavi. A proposito di innovazioni<br />

storiografiche, Gennaro Ascione offre una completa ricostruzione <strong>della</strong> nascita e degli<br />

sviluppi dei subaltern studies, a partire dall’India degli anni ’70 e ’80 <strong>per</strong> approdare alle università<br />

ang<strong>lo</strong>sassoni contemporanee. L’a. sottolinea l’importanza <strong>della</strong> critica all’apparato epistemo<strong>lo</strong>gico<br />

del pensiero occidentale e alle narrazioni del passato da esso elaborate, tra i cui<br />

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esiti principali ritroviamo una critica <strong>della</strong> storiografia eurocentrica e del paradigma storicista-evoluzionista<br />

i cui intenti universalizzanti hanno nascosto le <strong>lo</strong>giche di potere sottese alla<br />

conoscenza dell’altro.<br />

Chiesa cattolica<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Chiude la nostra rassegna un intenso saggio di Alberto Mel<strong>lo</strong>ni <strong>per</strong> JMIS sulla Chiesa in<br />

Italia durante il pontificato di Giovanni Pao<strong>lo</strong> II. Un tema complesso, sicuramente ancora «caldo»<br />

e che la storiografia so<strong>lo</strong> ora comincia ad affrontare più compiutamente. L’analisi di Mel<strong>lo</strong>ni,<br />

che offre numerosi spunti critici, si muove nelle pieghe <strong>della</strong> struttura ecclesiale, lasciando<br />

il pontefice sul<strong>lo</strong> sfondo e concentrandosi piuttosto su una serie di passaggi, a cominciare<br />

dal ruo<strong>lo</strong> di catalizzatore assunto dalla Conferenza episcopale italiana negli anni <strong>della</strong> presidenza<br />

Ruini. Partendo dal famoso testo di Jemo<strong>lo</strong> Stato e Chiesa in Italia 1850-1950, Mel<strong>lo</strong>ni<br />

invita il lettore a rimuovere facili schematizzazioni, generalizzazioni giornalistiche e frequenti<br />

astoricismi, <strong>per</strong> interrogarsi sulla realtà <strong>della</strong> ricaduta politica <strong>della</strong> Chiesa italiana nel tessuto<br />

profondo del paese e, insieme, sul<strong>lo</strong> schieramento partitico e sulle istituzioni. Innanzi tutto,<br />

scrivendo <strong>per</strong> un pubblico straniero, il saggio si presenta anche come una breve guida alla<br />

complessità del cattolicesimo italico, «mobile comunione tra fedeli e pastori», divisa tra Nord<br />

e Sud, ceti sociali e appartenenze culturali, con alcune riflessioni semantiche sull’uso <strong>della</strong> parola<br />

Chiesa nel nostro paese (dove indica tanto il Vaticano come la parrocchia, in prospettiva<br />

ora <strong>lo</strong>cale, ora nazionale, ora universale). Tracciando la storia <strong>della</strong> CEI, prodotto conciliare,<br />

dagli anni <strong>della</strong> presidenza di mons. Urbani (1966-1969) e del «principato riformista» di Pao<strong>lo</strong><br />

VI (segnato da processi di profonda trasformazione dell’impianto liturgico e da un dinamico<br />

rapporto laici-ecclesiastici), Mel<strong>lo</strong>ni approda direttamente al terreno politico, evidenziando<br />

alcuni nodi nella relazione tra i vescovi e la DC. Mons. Poma (1969-1979) è presentato come<br />

un «papal president» che si mosse con moderazione, senza aprire al «progressismo sinodale»<br />

in atto in quel tempo nella conferenza tedesca o olandese (e in un certo senso anche latinoamericana),<br />

subendo la divisione tra gruppi radicali progressisti affascinati dalla sinistra e<br />

dal pragmatismo di movimenti come CL. Uno spartiacque è quindi individuato nella stagione<br />

del referendum del ’74 sul divorzio che evidenziò la fragilità dei progetti di riclericalizzazione<br />

<strong>della</strong> società italiana; l’esaurirsi <strong>della</strong> cultura <strong>della</strong> mediazione montiniana si associò all’avvento<br />

del papa polacco Giovanni Pao<strong>lo</strong> II. Dopo la complessa convivenza con un presidente<br />

<strong>della</strong> CEI, Anastasio Ballestero (1979-1985) e la stagione degli scandali che investirono <strong>lo</strong><br />

IOR, con l’avvento del cardinal Poletti (1985-1991), contemporaneamente nominato anche<br />

vicario di Roma, secondo Mel<strong>lo</strong>ni la CEI tornò a insistere sulla fenice dell’«unità politica dei<br />

cattolici», sull’onda anche del concordato del 1984 che <strong>per</strong>mise il passaggio dal sistema di «parsimonious<br />

financing» ereditato dal ’29 al «pros<strong>per</strong>ous mechanism» derivato dall’accordo Ca-<br />

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saroli-Craxi. Tutta la seconda parte del lavoro è quindi dedicata alla lunga stagione Ruini, chiamato<br />

nel 1986 da ausiliario <strong>della</strong> diocesi di Reggio Emilio alla segreteria <strong>della</strong> CEI, di cui sarebbe<br />

divenuto presidente cinque anni dopo <strong>per</strong> guidarla <strong>per</strong> un quindicennio. Ruini è presentato<br />

come un es<strong>per</strong>to conoscitore del mondo delle correnti democristiane, negli anni del<br />

Caf, poi costretto a confrontarsi con il crol<strong>lo</strong> del bipolarismo e l’imp<strong>lo</strong>sione del sistema politico<br />

italiano. Nella complessa transizione degli anni ’90 avrebbe cercato di proporre la CEI come<br />

un baluardo del patrimonio elettorale democristiano; mentre a Milano il cardinale Martini<br />

prendeva posizioni decise su temi politicamente sensibili, la CEI spostava il baricentro <strong>della</strong><br />

sua azione su temi come la famiglia, la bioetica e la scuola. Richiamando l’ultimo appel<strong>lo</strong> di<br />

Dossetti alla Costituzione, Mel<strong>lo</strong>ni rilegge i passaggi dell’ultimo quindicennio: sottolinea il<br />

ruo<strong>lo</strong> a tutto campo <strong>della</strong> CEI di Ruini, il suo protagonismo nel dibattito pubblico, le relazioni<br />

con i diversi attori politici, i mutamenti di stile, di linguaggio, nell’uso dei media, nella costruzione<br />

delle forme di control<strong>lo</strong>. La chiosa è quanto mai interrogativa, in una stagione contraddittoria,<br />

segnata dal rilancio di una religiosità che si vuole forte ma anche dal ca<strong>lo</strong> numerico<br />

di fedeli e dalla crisi del laicato. Lo scenario che Mel<strong>lo</strong>ni richiama è quel<strong>lo</strong> di una <strong>per</strong>dita<br />

dell’equilibrio continuamente cercato, che rischierebbe di gettare la Chiesa italiana in un labirinto<br />

infinito di negoziazioni che potrebbero al<strong>lo</strong>ntanarla da un ruo<strong>lo</strong> di inclusione di culture<br />

diverse, e ridurla sempre più ad un potente agente di <strong>lo</strong>bbying.<br />

Articoli citati:<br />

<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Acanfora, Pao<strong>lo</strong>, Myths and the political use of religion in Christian Democratic Cultura,<br />

JMIS, n. 3, pp. 307-338.<br />

Aga Rossi, Elena, De Gas<strong>per</strong>i e la scelta di campo, VS, n. 12, pp. 13-39.<br />

Agnew, John, Remaking Italy? Place Configurations and Italian Electoral Politics under the «Second<br />

Republic», MI, n. 1, pp. 17-38.<br />

Agustoni, Alfredo, La presa del palazzo. Sviluppo urbano, edilizia popolare e <strong>lo</strong>tte <strong>per</strong> la casa nella<br />

Milano del XX seco<strong>lo</strong>, Zap, n. 14, pp. 42-59.<br />

Albertazzi, Daniele Addressing «the People»: A Comparative Study of the Lega Nord’s and Lega<br />

dei Ticinesi’s Political Rhetoric and Styles of Propaganda, MI, n. 3, pp. 327-347.<br />

Ascione, Gennaro, «Indiani d’America». Studi postco<strong>lo</strong>niali, Stor, n. 34, pp. 43-72.<br />

Asquer, Enrica, La «Signora Candy» e la sua lavatrice. <strong>Storia</strong> di un’intesa <strong>per</strong>fetta nell’Italia degli<br />

anni Sessanta, Gen, n. 1, pp. 97-118.<br />

Baldoli, Claudia, Guido Miglioli: <strong>per</strong>corsi di un esule cattolico nell’Italia del dopoguerra, S-nodi,<br />

n. 1, pp. 13-40.<br />

Bartali, Roberto, Red Brigades (1969-1974): An Italian Phenomenon and a Product of the Cold<br />

War, MI, n. 3, pp. 349-369.<br />

88


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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Bedeschi, Giuseppe, Rosario Romeo e l’Italia contemporanea, NSC, XI, n. 2, pp. 5-20.<br />

Belco, Victoria, Sharecrop<strong>per</strong>s, war, and social change in central Italy, JMIS, n. 4, pp. 397-405.<br />

Bellucci, Pao<strong>lo</strong>, Changing Models of Electoral Choice in Italy, MI, n. 1, pp. 55-72.<br />

Bernardi, Emanuele, L’ordine pubblico nel 1947, VS, n. 12, pp. 105-129.<br />

Bettanin, Fabio, La guerra al tempo dell’atomica, Stor, nn. 35-36, pp. 207-228.<br />

Bianco, Giovanni, Livio Paladin storico <strong>della</strong> Costituzione repubblicana, Clio, n. 1, pp. 115-<br />

137.<br />

Bonfreschi, Lucia e Vodovar, Christine, Il ritorno al potere di de Gaulle e i trattati di Roma, VS,<br />

n. 14, pp. 103-133.<br />

Braga, Samanta, La zona <strong>della</strong> chiesa di S. Vito in Pasquiro<strong>lo</strong> nel centro di Milano tra due piani<br />

regolatori e una guerra (1934-1953), SU, nn. 114-115, pp. 245-254.<br />

Brizzi, Riccardo, Marchi, Michele, Pierre Rosanval<strong>lo</strong>n e le aporie <strong>della</strong> modernità politica francese,<br />

Cont, n. 1, pp. 53-81.<br />

Brizzi, Riccardo, «Venduti come detersivi». Le elezioni presidenziali del 1965 e i primi passi del<br />

marketing politico in Francia, RSP, n. 1, pp. 3-26.<br />

Bulgarelli, Odoardo, L’Italia verso la g<strong>lo</strong>balizzazione. La liberalizzazione valutaria del 1990,<br />

RSE, n. 2, pp. 159-182.<br />

Caccavo, Rossella, Borghesia industriale e «meridionalismo liberista».Isidoro Pirelli e il caso dell’area<br />

barese, Merid, n. 57, pp. 111-138.<br />

Cancian, Sonia, Intersecting labour and social networks across cities and borders, SE, n. 166, pp.<br />

313-326.<br />

Cancian, Sonia, Ramirez, Bruno, Post migration «Ita<strong>lo</strong>-Canada»: new <strong>per</strong>spectives on its past,<br />

present and future, SE, n. 166, pp. 259-272.<br />

Caroli, Dorena, Sempre pronti!. Le associazioni russe di scout e pionieri, MR, n. 25, pp. 91-102.<br />

Casilio, Silvia, «Beat si vive, inseriti si muore». L’epopea dei capel<strong>lo</strong>ni in Italia (1965-67), Merid,<br />

n. 56, pp. 213-236.<br />

Cavallaro, Maria Elena, La nascita dell’Unione europea occidentale: una parentesi o un passo in<br />

avanti nel processo di costruzione europea?, VS, n. 14, pp. 17-44.<br />

Cha<strong>per</strong>on, Sylvie, L’ingresso delle donne nella vita politica: Francia e Italia a confronto, Gen, n.<br />

2, pp. 117-136.<br />

Ciuffoletti, Sofia, Costituzione, identità e diritti umani in India, Clio, n. 4, pp. 567-580.<br />

Clayton Maccari, Marina, From «watchdog» to «salesman»: Italian re-emigration from Belgium<br />

to Canada after the Second world war, SE, n. 166, pp. 327-336.<br />

Comba, Michela, Un teatro nell’accademia militare: quarant’anni di ricostruzione del Regio di<br />

Torino, QS, 125, pp. 517-548.<br />

Cooke, Philip, «Oggi in Italia»: The Voice of Truth and Peace in Cold War Italy, MI, n. 2, pp.<br />

251-265.<br />

Corradi, Laura, Terra madre India. Pensiero e azione dell’ecofemminismo, Zap, n. 13, pp. 41-52.<br />

89


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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Davolio, Federica, La cucina e il suo pubblico. Per una storia dell’editoria e <strong>della</strong> cultura gastronomica<br />

in Italia, Storic, n. 3.<br />

Di Maggio, Marco, Il Partito comunista di francese, il movimento comunista e i fondamenti <strong>della</strong><br />

«via francese al socialismo» (1961-1964), SS, n. 4, pp. 1091-1118.<br />

Di Rienzo, Eugenio, Storici e Maestro. L’eredità di Gioacchino Volpe tra continuità e innovazione<br />

(1945-1962), Clio, n. 1, pp. 39-58.<br />

Diletti, Mattia, La guerra delle idee. I think tank e la genesi dell’intellighenzia conservatrice americana,<br />

Cont, n. 1, pp. 25-51.<br />

Donno, Michele, Il piano Marshall e la «parabola terzaforzista» del Partito socialista dei lavoratori<br />

italiani, VS, n. 13, pp. 153-182.<br />

Eley, Geoff, I fattori del processo democratico nell’Europa del XX seco<strong>lo</strong>, 900, n. 14-15, pp. 65-94.<br />

Esposito, Daniela, Danni bellici, ricostruzioni e restauri in Roma: 1943-1950, SU, nn. 114-<br />

115, pp. 13-61.<br />

Faggioli, Massimo, La dip<strong>lo</strong>mazia di Bonn e le encicliche di Giovanni XXIII, RSP, n. 2, pp. 139-<br />

155.<br />

Id., Ostpolitik vaticana e «questione tedesca», 1958-1968, Cont, n. 3, pp. 403-417.<br />

Fagio<strong>lo</strong>, Silvio, L’Europa di Adenauer, VS, n. 14, pp. 83-102.<br />

Falkenberg, Susanne, Antitedeschi vs antim<strong>per</strong>ialisti: psico<strong>lo</strong>gia di una lite storico-politica all’interno<br />

<strong>della</strong> sinistra radicale tedesca, Clio, n. 2, pp. 315-338.<br />

Faulenbach, Bernd, <strong>Storia</strong> e memoria del nazionalsocialismo. Un nuovo paradigma?, Cont, n.<br />

4,pp. 567-580.<br />

Fi<strong>lo</strong>camo, Roberta, Danni bellici a Cosenza: la ricostruzione del centro storico tra rinnovamento urbano<br />

e tutela degli antichi rioni nel secondo dopoguerra, SU, nn. 114-115, pp. 139-163.<br />

Fritz, Regina, Eschinger, Doreen, Memory Crossroad. Remembering the Ho<strong>lo</strong>caust in Hungary<br />

after 1945, DEP, n. 7.<br />

Grassi Orsini, Fabio, Guerra di classe e violenza politica in Italia. Dalla liberazione alla svolta<br />

centrista (1945-1947), VS, n. 12, pp. 75-104.<br />

Graziani, Sofia, La sessualità e la costruzione/distruzione dell’identità di genere durante la Rivoluzione<br />

Culturale: il caso dei Zhiqing, DEP, n. 7.<br />

Graziano, Manlio, The Rise and Fall of «Mediterranean Atlanticism» in Italian Foreign Policy:<br />

the Case of the Near East, MI, n. 3, pp. 287-308.<br />

Guazzo, Paola, Traduttrici e traditrici. Testi e ricezioni transnazionali nel contesto lesbo-femminista<br />

italiano dagli anni ottanta al 1990, Zap, n. 13, pp. 27-38.<br />

Guiso, Andrea, I Partiti comunisti e la crisi del 1947 in Italia e in Francia. Una riconsiderazione<br />

in chiave comparativa, VS, n. 12, pp. 131-168.<br />

Hasanli, Jamil, Zubok, Vladislav, La prima crisi <strong>della</strong> guerra fredda: Mosca e il petrolio iraniano<br />

(1943-1946), VS, n. 13, pp. 11-44.<br />

Hautala, Roman, L’im<strong>per</strong>o mongo<strong>lo</strong> nella storiografia sovietica, SS, n. 2, pp. 361-382.<br />

90


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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Höbel, Alexander, Il contrasto tra il Pci e il Pcus sull’intervento sovietico in Cecos<strong>lo</strong>vacchia, Nuove<br />

acquisizioni, SS, n. 2, pp. 523-550.<br />

Im<strong>per</strong>ato, Federico, L’Italia e i problemi del control<strong>lo</strong> degli armamenti e del disarmo (1958-<br />

1971), Clio, n. 2, pp. 255-280.<br />

Longo Adorno, Massimo, «The Dark Side of the Moon». La storiografia del conflitto nazi-sovietico<br />

e l’eredità <strong>della</strong> Guerra fredda, Clio, n. 1, pp. 81-102.<br />

Lunadei, Simona, Motti, Lucia, A scuola di politica: luoghi e modi <strong>della</strong> formazione delle donne<br />

<strong>della</strong> DC e del PCI, Gen, n. 2, pp. 137-164.<br />

Mariuzzo, Andrea, «La Russia com’è». L’immagine critica dell’Unione Sovietica e del b<strong>lo</strong>cco<br />

orientale nella pubblicistica italiana (1948-1955), RSP, n. 2, pp. 157-176.<br />

Martinez Oliva, Juan Car<strong>lo</strong>s, La stabilizzazione del 1947. Fattori interni e internazionali, VS,<br />

n. 12, pp. 41-73.<br />

Id., Aiutare l’Europa ad aiutare se stessa: il piano Marshall e la coo<strong>per</strong>azione economica europea,<br />

VS, n. 13, pp. 69-71.<br />

Marucci, Alessandro, Amintore Fanfani e la costruzione europea: dall’Ueo ai trattati di Roma<br />

(1954-1957), VS, n. 14, pp. 45-82.<br />

Mattei, Paola Legislative Delegation to the Executive in the ‘Second’Italian Republic’, MI, n. 1,<br />

pp. 73-89.<br />

Mel<strong>lo</strong>ni, Alberto, The politics of the «Church» in the Italy of Pope Wojtyla, JMIS, n. 1, pp. 60-85.<br />

Mussari, Bruno, La ricostruzione a Catanzaro nel secondo dopoguerra: un’occasione mancata <strong>per</strong><br />

la conservazione di un’identità, SU, nn. 114-115, pp. 113-138.<br />

Nani, Michele, «Un pubblico diverso»: giornalisti, storici e senso comune. Per una ricerca sugli usi<br />

<strong>della</strong> storia nel campo giornalistico, Cont, n. 3, pp. 371-401.<br />

Narinsky, Mikhail, La leadership sovietica e la crisi del Golfo (1990-1991), VS, n. 13, pp. 45-68.<br />

Nunziata, Rosaria, La nascita delle radio libere: il caso di Radio popolare, MR, n. 25, pp. 113-125.<br />

Oteri, Annunziata Maria, La città fantasma. Danni bellici e politiche di ricostruzione a Messina<br />

nel secondo dopoguerra (1943-1959), SU, nn. 114-115, pp. 63-112.<br />

Pacini, Giacomo, Le origini dell’o<strong>per</strong>azione Stay Behind, 1943-1956, Cont, n. 4, pp. 581-606.<br />

Pasquino, Gianfranco, The Five Faces of Silvio Berlusconi: The Knight of Anti-politics, MI, n. 1,<br />

pp. 39-54.<br />

Perilli, Vincenza, L’ana<strong>lo</strong>gia im<strong>per</strong>fetta. Sessismo, razzismo e femminismi tra Italia, Francia e Stati<br />

uniti, Zap, n. 13, pp. 9-25.<br />

Pertot, Gianfranco, Milano e le bombe. Le distruzioni, le macerie, i primi interventi, la tutela<br />

mancata, SU, nn. 114-115, pp. 255-302.<br />

Pesenti, Serena, 1945, Milano, Italia: restauro, urbanistica, architettura. Prime considerazioni<br />

<strong>per</strong> una lettura del dibattito, SU, nn. 114-115, pp. 211-244.<br />

Petrini, Francesco, Americanismo e privatismo. La Confindustria e il piano Marshall, VS, n. 13,<br />

pp. 117-151.<br />

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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Pierri, Bruno, La Gran Bretagna, l’Egitto e gli accordi sul Sudan, NSC, n. 1, pp. 67-104.<br />

Id., Il Medio Oriente al crocevia del seco<strong>lo</strong>: il ruo<strong>lo</strong> di Gran Bretagna e Stati Uniti e la dichiarazione<br />

tripartita del 1950, MC, n. 3, pp. 45-76.<br />

Id., La posizione di Israele verso gli accordi ang<strong>lo</strong>-egiziani del 1953-1954, Clio, n. 4, pp. 581-<br />

610.<br />

Pini, Mario Filippo, Perché l’Italia non riconobbe la Cina di Mao. Tutti i retroscena <strong>della</strong> scelta<br />

del governo italiano nel 1950, NSC, XI, 2, pp. 49-84.<br />

Pizzolato, Nicola, Gli o<strong>per</strong>ai, gli immigrati, la rivoluzione. Detroit e Torino: un’ipotesi comparativa<br />

(1967-73), Merid, n. 56, pp. 47-69.<br />

Poggiolini, Ilaria, <strong>Storia</strong> e storiografia sulle origini di un non-rapporto: la Gran Bretagna e le Comunità<br />

1950-1956, VS, n. 14, pp. 151-165.<br />

Portincasa Agnese, La pasta come stereotipo <strong>della</strong> cucina italiana. Patrimoni simbolici e identità<br />

nazionali nell’Italia del Novecento, Storic, n. 3.<br />

Pugliese, Joseph, Le altre Italie: identità geopolitiche, genea<strong>lo</strong>gie razzializzate e storie interculturali,<br />

SE, n. 168, pp. 837-854.<br />

Ricci, Aldo G., I timori di guerra civile e i governi del dopoguerra, NSC, n. 5, pp. 87-98.<br />

Sakwa, Richard, Il concetto di transizione. Tra storia, scienza politica e ideo<strong>lo</strong>gia, 900, n. 14-15,<br />

pp. 21-38.<br />

Salerno, Sergio, Notizie sul mercato. «Market abuse» e legislazioni nazionali (Stati Uniti ed Europa<br />

1934-2006), QS, n. 124, pp. 205-230.<br />

Santese, Giammarco, Il Partito Comunista Italiano e la questione palestinese (1945-1956): «l’Unità»<br />

e «Rinascita», MC, n. 2, pp. 63-104.<br />

Santoni, Alessandro, Berlinguer, il compromesso storico e il caso cileno , Cont, n. 3, pp. 419-439.<br />

Saraçgil, Ayse, Nazione e insegnamento <strong>della</strong> storia nella Turchia contemporanea, PP, n. 72, pp.<br />

43-70.<br />

Satta, Vladimiro, I collegamenti internazionali del terrorismo rosso italiano, NSC, n. 6, pp. 23-52.<br />

Scuccimarra, Luca, L’ultima parola. La fine <strong>della</strong> storia e i dilemmi <strong>della</strong> democrazia, 900, n.<br />

14-15, pp. 113-129.<br />

Sechi, Salvatore, Armi, radio ricetrasmittenti, corrieri e cifrari del Pci. La penetrazione nella società<br />

italiana negli anni Cinquanta, NSC, n. 2, pp. 21-48.<br />

Simoni, Marcella, Intrecci traumatici. <strong>Storia</strong>, memoria e identità nazionale nelle scuole israeliane<br />

e palestinesi, PP, n. 71, pp. 45-68.<br />

Socrate, Francesca, Una morte dimenticata e la fine del Sessantotto, DPRS, n. 1, pp. 157-190.<br />

Soravia, Bruna, La nuova storiografia israeliana, venti anni dopo, Storica, n. 35-36, pp. 133-<br />

158<br />

Storchi, Massimo, Post-war Violence in Italy: A Struggle for Memory, MI, n. 2, pp. 237–250.<br />

Tagliacozzo, Sara, Movimenti di pensiero. Biografie femministe africane tra diaspora e afrocentrismo,<br />

Zap, n. 13, pp. 55-67.<br />

92


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<strong>LE</strong> <strong>RIVISTE</strong> <strong>DEL</strong> <strong>2007</strong><br />

Tasseni, Giovanni, Il vice-segretario intransigente: Giuseppe Dossetti e la Dc: 1950-1951, dinamica<br />

di un distacco, NSC, n. 5, pp. 55-86.<br />

To<strong>lo</strong>melli, Marica, Deutschland in Herbst. La lunga transizione democratica nella Germania federale<br />

degli anni Settanta, 900, n. 14-15, pp. 155-173.<br />

Torp, Cornelius, L’economia mondiale prima <strong>della</strong> grande guerra. La prima ondata <strong>della</strong> g<strong>lo</strong>balizzazione<br />

economica, 900, n. 14-15, pp. 251-277.<br />

Treccani, Gian Pao<strong>lo</strong>, «Costruire, non ricostruire». Danni bellici e restauri nel nucleo antico di<br />

Brescia (1944-1954), SU, nn. 114-115, pp. 165-209.<br />

Tricarico, Daniele, Cucine nazionali a confronto. I <strong>per</strong>corsi <strong>della</strong> cucina italiana in Gran Bretagna,<br />

Storic, n. 3.<br />

Turi, Gabriele, Orgoglio e dispiacere. La Gran Bretagna e la tratta degli schiavi, PP, n. 72, pp.<br />

5-18.<br />

Turpin, Frédéric, Alle origini <strong>della</strong> politica europea di coo<strong>per</strong>azione al<strong>lo</strong> sviluppo: la Francia e la<br />

politica d’associazione Europa-Africa (1957-1975), VS, n. 14, pp. 135-150.<br />

van Radhen, Till, Paternità, ricristianizzazione e democrazia. La Germania federale negli anni<br />

Cinquanta e Sessanta, Cont, n. 4, pp. 607-631.<br />

Várdy, Agnes Huszár, Forgotten Victims of World War II: Hungarian Women in Soviet Forced Labor<br />

Camps, DEP, n. 7.<br />

Varsori, Antonio, Il piano Marshall: un dibattito storiografico concluso?, VS, n. 13, pp. 73-95.<br />

Vaudagna, Maurizio, American Studies in Italy: Historical Legacies, Public Contexts and Scholarly<br />

Trends, SdS, n. 51, pp. 17-63.<br />

Violle, Nicolas, Le rugby, agent d’intégration et de représentation des Italiens en France, AI, n.<br />

35, pp. 103-121.<br />

Vita, Emanuela, Ost-musik. Il dissenso nella Rdt attraverso le subculture musicali negli anni sessanta,<br />

Zap, n. 12, pp. 47-58.<br />

Volpi, Alessandro, La transizione economica. Maneggiare con cura, o abbandonare, 900, n. 14-<br />

15, pp. 39-54.<br />

Walston, James, Italian Foreign Policy in the ‘Second Republic’. Changes of Form and Substance,<br />

MI, n. 1, pp. 91-104.<br />

Zanella, Silvia, Il Rastafarianism: dall’antico<strong>lo</strong>nialismo caraibico alle subculture giovanili trasgressive,<br />

MR, n. 25, pp. 103-112.<br />

Zazzara, Gilda, Poetiche del lutto, politiche <strong>della</strong> memoria. Epitaffi di storici tra biografia e autobiografia,<br />

S-nodi, n. 1, pp. 65-93.<br />

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