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Giovanni delle Bande Nere.pdf - Libreria Militare Ares

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<strong>Giovanni</strong> <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong><br />

(1498 - 1526)<br />

Lettere 1510 1510-1526 1510 1526<br />

Lettere Lettere Lettere<br />

e e e Testamento Testamento Testamento Testamento<br />

in Archivio Storico Italiano 1858-59<br />

"Lettere inedite e Testamento di <strong>Giovanni</strong> de' Medici detto <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> con altre di Maria e Jacopo Salviati, di principi,<br />

cardinali, capitani, familiari e soldati (1510-1526)", raccolte dal cav. Filippo Moisè e pubblicate per cura di Carlo<br />

Milanesi, in Archivio Storico Italiano, presso G. P. Viesseux, Firenze, prima parte (Lettere 1-45 dal 30 maggio 1510 al 1°<br />

luglio 1518), n. s. T. VII, p. 2a (1858) pp. 3-40. Seconda parte (lettere 46-98 dal 9 ottobre 1518 al 15 dicembre 1521), n. s.<br />

T. VIII, p. 1a (1858), pp. 4-28. [Fantoni, p. 500]. Terza parte (lettere 99-136 dal 17 dicembre 1521 al 15 maggio 1524), T.<br />

IX, p. 1a (1859), pp. 3-29. Quarta parte (lettere 137-176 dal 29 maggio 1524 al 24 dicembre 1526. Testamento del 29<br />

novembre 1526), T. IX, p. 2a (1859), pp. 109-147.


Il monumento a <strong>Giovanni</strong> <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> di Baccio Bandinelli in piazza San Lorenzo a Firenze <strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> agli Uffizi


MEDICI, <strong>Giovanni</strong> de' detto <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> (Forlì 1498 - Mantova 1526)<br />

Capitano di cavalleria nella guerra di Urbino (1516-17), dopo aver ristabilito con le armi l'autorità papale, nel 1521 prese parte<br />

all'invasione del Ducato di Milano sotto gli ordini di Prospero Colonna. Governatore <strong>delle</strong> truppe fiorentine, nel 1522 passò nel<br />

campo francese, subendo la sconfitta della Bicocca. Tornato nel campo imperiale, nel 1523 e 1524 respinse i tentativi di<br />

invasione della Lombardia dal Piemonte e dalla Svizzera, ma a seguito del rovesciamento di fronte deciso dal nuovo papa<br />

Clemente VII (il cardinale Giulio de Medici), tornò nuovamente al fianco dei francesi e solo una grave ferita da archibugio sotto<br />

le mura di Pavia gli impedì di prendere parte alla disfatta del 24 febbraio 1525. Nominato capitano generale della fanteria italiana<br />

nell'esercito della lega di Cognac, rimase nel campo anti-imperiale anche dopo il ritiro del papa, imposto con la forza dalla<br />

fazione dei Colonna. Durante le operazioni sulla sinistra del Po contro i lanzichenecchi di Georg von Frundsberg, fu mortalmente<br />

ferito da un colpo di falconetto a Governolo. Padre di Cosimo I duca di Firenze. DBI [Maurizio Arfaioli].<br />

Medici, <strong>Giovanni</strong> De’ (<strong>Giovanni</strong> Dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>)<br />

Dizionario Biografico degli Italiani Maurizio Arfaioli<br />

MEDICI, <strong>Giovanni</strong> de’ (<strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>). – Nacque a Forlì il 6 apr. 1498 da Caterina Sforza, figlia illegittima<br />

del duca di Milano Galeazzo Maria e signora di Imola e Forlì, e dal suo terzo marito, <strong>Giovanni</strong> di Pierfrancesco de’<br />

Medici, detto il Popolano, giunto alla sua corte nel 1496 come ambasciatore della Repubblica fiorentina.<br />

Battezzato con il nome di Ludovico, dopo l’improvvisa morte del padre, il 14 sett. 1498 il M. ne assunse il nome per<br />

volontà della madre. Alla fine del 1499, alla vigilia dell’attacco <strong>delle</strong> forze franco-papali guidate da Cesare Borgia,<br />

Caterina inviò il M. a Firenze, dove lo raggiunse nel luglio 1501 perché costretta nel frattempo dai Borgia a rinunciare a<br />

ogni pretesa su Imola e Forlì. Nel 1503 vinse la dura battaglia legale contro il cognato, Lorenzo di Pierfrancesco de’<br />

Medici, per ottenere i beni ereditati dal defunto marito e la custodia del M., che da Lorenzo fu rapito e rinchiuso nel<br />

convento di S. Vincenzo Annalena, nel quartiere d’Oltrarno, dove rimase fino alla morte dello zio (20 maggio 1503).<br />

Caterina potè quindi dedicarsi all’educazione del M., sforzandosi di trasmettergli i valori della nobiltà militare italiana<br />

alla quale ella apparteneva. Caterina morì il 28 maggio 1509; poco prima affidò il M. alla tutela di Iacopo Salviati,<br />

membro di una <strong>delle</strong> famiglie più antiche e potenti di Firenze, e di sua moglie Lucrezia de’ Medici, figlia di Lorenzo il<br />

Magnifico. Il M., che sin dall’infanzia aveva dimostrato un temperamento violento e insofferente all’autorità, solo in parte<br />

frenato dalla forte figura materna, divenne un adolescente rissoso e dissoluto, amante <strong>delle</strong> armi, del gioco e <strong>delle</strong> donne,<br />

costretto per lunghi periodi lontano da Firenze nelle sue proprietà di Castello e di Trebbio a causa <strong>delle</strong> sue violente<br />

intemperanze.<br />

Nel 1512 i Medici tornarono al potere a Firenze e, grazie alla guida e alla protezione dei Salviati, il M. – sebbene<br />

appartenesse al ramo cadetto della famiglia che aveva appoggiato la cacciata di Piero di Lorenzo de’ Medici nel 1494 –<br />

non tardò a trovare una collocazione adatta alla propria indole e alle proprie aspirazioni nel contesto del nuovo regime<br />

mediceo.<br />

In effetti, il M. avrebbe vissuto quasi per intero la sua breve ma intensa vita adulta combattendo al servizio del blocco di<br />

potere che si era creato tra l’élite finanziaria fiorentina e i papi della famiglia Medici, Leone X e Clemente VII.<br />

Il M. ebbe il battesimo del fuoco e il suo primo vero comando – una compagnia di cavalleria – durante la cosiddetta<br />

guerra di Urbino (1516-17), voluta da Leone X per spogliare il duca di Urbino Francesco Maria I Della Rovere del suo<br />

Stato e del titolo e darli al proprio nipote, Lorenzo di Piero de’ Medici. Nel 1517 il M. sposò la figlia di Iacopo Salviati e<br />

di Lucrezia de’ Medici, Maria. Da questa unione nacque, il 15 giugno 1519, il loro unico figlio, Cosimo, futuro duca di<br />

Firenze. Tra il 1519 e il 1520, Leone X si servì del M. e <strong>delle</strong> sue truppe per riaffermare con le armi l’autorità papale su<br />

alcuni degli elementi più riottosi della nobiltà dello Stato della Chiesa. Risalgono a questo periodo la maggior parte degli<br />

episodi di violenza, duelli e risse sia a Firenze sia a Roma, per cui il M. sarebbe poi rimasto famoso. Nel 1521 partecipò<br />

all’invasione del Ducato di Milano, allora sotto il controllo della Francia, congiungendosi alle forze imperiali e papali<br />

comandate da Prospero Colonna.<br />

La campagna del 1521 costituì il primo assaggio di guerra vera per il M., che fino a quel momento aveva partecipato a<br />

conflitti di dimensioni e portata limitate; fu anche il suo primo diretto contatto con il frenetico processo di<br />

sperimentazione tattica che caratterizzò la fase finale <strong>delle</strong> guerre d’Italia. Nel corso della sua breve carriera, il M. si<br />

distinse per l’abilità e l’aggressività con le quali riusciva a sfruttare le potenzialità della cavalleria leggera (sia lancieri sia<br />

archibugieri a cavallo) e della fanteria tattica, composta da insiemi organici di picchieri e tiratori, in un periodo di<br />

transizione <strong>delle</strong> tecniche di combattimento. L’evento bellico, infatti, mutò da una guerra caratterizzata da frequenti<br />

battaglie campali a una prevalentemente di manovra, fatta di piccoli scontri, assedi e imboscate. Sebbene non fosse un<br />

innovatore (come è stato sostenuto dai suoi primi biografi), ma un interprete di altissimo livello della scienza militare del<br />

suo tempo, il M. fu un elemento di spicco della generazione di condottieri che portò a compimento il processo di<br />

trasformazione dell’arte della guerra iniziato in Italia nel 1494 con la calata di Carlo VIII di Valois.<br />

La campagna del 1521 si concluse con un pieno successo per le forze di Leone X e Carlo V d’Asburgo: nel novembre il<br />

capitano generale Prospero Colonna occupò Milano riportando al potere Francesco II Sforza, allora alleato degli Asburgo,<br />

mentre Parma e Piacenza tornarono a far parte dello Stato della Chiesa. Il 21 dicembre, però, Leone X morì


all’improvviso, privando il M. del suo principale referente politico in un momento critico per la sua carriera. Ai primi del<br />

1522 il M. fu nominato governatore <strong>delle</strong> truppe della Repubblica fiorentina, i cui confini erano resi malsicuri dalle<br />

conseguenze politiche e militari della repentina eclissi del potere mediceo a Roma. Nel marzo dello stesso anno però il<br />

M., spinto dalla scarsa considerazione mostrata nei suoi confronti sia dagli Imperiali sia dai Medici, decise di accettare le<br />

generose offerte che gli venivano fatte dal campo francese. Le modalità dell’improvviso cambio di bandiera del M.<br />

nocquero gravemente alla sua reputazione di condottiero, provocando tensioni e spaccature all’interno dei suoi uomini: il<br />

M. e i suoi si collocarono dunque dalla parte <strong>delle</strong> forze perdenti nella sanguinosa battaglia della Bicocca (27 apr. 1522),<br />

in seguito alla quale la Francia si vide sfuggire di mano ancora una volta il controllo del Ducato di Milano. Il M. passò<br />

quindi al servizio dello Sforza, del quale era parente per via materna, firmando una condotta per due anni.<br />

Risalgono a questo periodo i tentativi del M. di costituirsi un proprio Stato. Comprò Aulla in Lunigiana, entrando subito<br />

in violento contrasto con la potente famiglia Malaspina, e agì da protettore dei possedimenti della sorellastra Bianca<br />

Riario (figlia di Caterina Sforza e del primo marito Girolamo Riario), vedova del conte Troilo (I) de’ Rossi di San<br />

Secondo, e dei figli di questa nel territorio di Reggio Emilia. Il M. fu però costretto a rivendere Aulla nel 1525, e anche i<br />

suoi lunghi periodi di permanenza a Fano non si tradussero in nulla di concreto. In effetti, i titoli e le terre assegnati al M.<br />

nel corso della sua breve carriera andarono tutti perduti nel vortice politico e militare <strong>delle</strong> guerre d’Italia.<br />

Alla fine del 1523 il M., che militava nel campo imperiale, si distinse con i suoi nella vittoriosa difesa di Milano assediata<br />

dall’esercito francese guidato dall’ammiraglio di Francia Guillaume Gouffier. Nell’aprile 1524 costrinse a tornare sui loro<br />

passi 5000 fanti svizzeri che avevano disceso la Valtellina per andare in soccorso dei Francesi, e conquistò quindi<br />

Caravaggio e Abbiategrasso.<br />

Conclusesi le operazioni in Lombardia con un’altra dura sconfitta per la Francia, il M. – grazie anche alla preziosa<br />

mediazione della moglie Maria Salviati – tornò al servizio degli interessi del ramo principale della famiglia Medici, il cui<br />

potere era di nuovo saldo sia a Firenze sia a Roma in seguito alla morte di Adriano VI (14 sett. 1523) e all’elezione del<br />

cardinale Giulio de’ Medici a papa col nome di Clemente VII (19 nov. 1523). Seguendo l’orientamento in politica<br />

internazionale del nuovo pontefice, che, sebbene formalmente neutrale tra Asburgo e Valois, stava assumendo una<br />

posizione sempre più filofrancese, nel dicembre 1524 il M., alla testa di 2000 fanti e circa 200 cavalleggeri, si unì<br />

all’esercito francese che assediava Pavia, dove si erano ritirate le truppe imperiali sotto il comando di Antonio de Leyva.<br />

Ferito gravemente alla gamba destra da un colpo di archibugio il 20 febbr. 1525 durante una scaramuccia sotto le mura<br />

della città assediata, il M. fu costretto a lasciare il campo per farsi curare adeguatamente, e non partecipò alla decisiva<br />

battaglia di Pavia (24 febbraio), che si concluse con la spettacolare disfatta dell’esercito francese e la cattura dello stesso<br />

re Francesco I. Indebolite dalle perdite sostenute durante l’assedio e prive del loro capo, nel corso della battaglia le truppe<br />

del M. furono travolte e disperse dalla sortita della guarnigione di Pavia.<br />

Il rovinoso crollo <strong>delle</strong> fortune francesi in Italia seguito alla sconfitta di Pavia e la minaccia dell’affermarsi dell’egemonia<br />

asburgica sulla penisola provocarono la formazione della Lega antimperiale di Cognac, siglata il 22 maggio 1526 tra<br />

Francia, il duca di Milano, Venezia, Firenze e il papa, con l’appoggio esterno dell’Inghilterra. Il M. fu nominato capitano<br />

generale della fanteria italiana dell’esercito della Lega destinato a scacciare gli Imperiali dal Ducato di Milano. Il 20 sett.<br />

1526 i filoimperiali Colonna e i loro partigiani penetrarono a sorpresa in Roma, obbligando con le armi Clemente VII a<br />

ritirarsi dalla Lega per quattro mesi. Per mantenere il proprio comando il M., che era soldato del papa, si trovò quindi<br />

ancora una volta a passare agli stipendi del re di Francia. La situazione di sostanziale stallo della guerra in Lombardia<br />

seguita alla forzata, seppur momentanea, neutralità di Clemente VII, fu rotta dalla calata dal Tirolo di 12.000 fanti<br />

tedeschi reclutati e guidati da Georg von Frundsberg, che arrivarono il 21 novembre a Castiglione <strong>delle</strong> Stiviere dopo aver<br />

superato le difese dei valichi alpini predisposte dall’esercito veneziano. Per impedire il congiungimento dei<br />

lanzichenecchi di Frundsberg con le residue forze imperiali comandate dal duca Carlo di Borbone connestabile di Francia,<br />

Francesco Maria I Della Rovere, capitano generale della Lega in Italia, decise di seguire il consiglio del M., lasciando le<br />

truppe francesi e svizzere a presidiare il campo fortificato presso Vaprio d’Adda, posto a copertura di Milano, e<br />

muovendosi con le truppe più mobili della Lega, cioè la cavalleria e la fanteria italiane, per intercettare i Tedeschi prima<br />

che potessero attraversare il Po e rompere così il contatto con le forze della Lega. L’azione <strong>delle</strong> truppe italiane, guidate<br />

personalmente dal M. con la consueta aggressività, fu di particolare efficacia, e stava cominciando a dare i primi risultati<br />

quando, il 25 novembre, alla conclusione di uno scontro con la retroguardia dei lanzichenecchi a Governolo (alla<br />

confluenza del Mincio nel Po, nel Marchesato di Mantova), il M. fu colpito da un colpo di falconetto (un pezzo di<br />

artiglieria leggera) che gli fracassò il femore della gamba destra. Trasportato tra molte difficoltà a Mantova, nel palazzo<br />

del suo amico e compagno d’armi Luigi Gonzaga, il ritardo nei soccorsi e la gravità della ferita resero vana l’amputazione<br />

dell’arto leso, eseguita dal celebre medico ebreo Mastro Abramo.<br />

Il M. morì a Mantova nella notte tra il 29 e il 30 nov. 1526, probabilmente in conseguenza di una grave infezione.<br />

All’epoca dei fatti ci fu chi insinuò il dubbio che Mastro Abramo avesse in qualche modo causato la morte del M. dietro<br />

istigazione del marchese di Mantova Federico II Gonzaga, che, oltre a essere in trattative con gli Imperiali, era stato uno<br />

dei numerosi nemici personali del Medici. Tuttavia la morte, qualunque ne sia stata la causa effettiva, rappresentò il vero<br />

punto di inizio del mito del Medici. Sebbene nel corso della sua esistenza avesse raggiunto una certa fama, egli non si era<br />

sostanzialmente distinto dagli altri giovani e capaci comandanti della sua generazione che erano caduti sul campo nel<br />

corso della fase più sanguinosa e violenta <strong>delle</strong> guerre d’Italia prima di poter raggiungere la maturità militare. Il M. aveva


partecipato a una sola grande battaglia (quella della Bicocca), giocando in essa un ruolo abbastanza marginale e militando<br />

tra i perdenti. I suoi più grandi successi li ottenne al comando di alcune centinaia di cavalieri e di una unità di fanteria le<br />

cui dimensioni non superavano quelle di un reggimento o, secondo la terminologia militare italiana dell’epoca, di un<br />

«colonnello» (termine che indicava sia l’unità, cioè un corpo tra le 1000 e le 3000 unità, sia il suo comandante),<br />

raggiungendo il rango di generale solo nel corso della sua ultima campagna. Inoltre, il M. rimase per tutta la vita una<br />

figura di secondo piano nel contesto della famiglia Medici, e lasciò alla moglie e al figlio Cosimo un patrimonio familiare<br />

dissestato dai debiti e il peso di una reputazione postuma di soldato che a Firenze, dove erano ancora forti i tradizionali<br />

valori civici, rappresentò inizialmente più un’eredità imbarazzante che un merito.<br />

Il primo abbozzo di quello che era destinato a essere il mito del M. fu elaborato da Pietro Aretino, che era stato suo<br />

confidente e, alla fine, testimone diretto della sua agonia (Aretino, 1995). Fu tuttavia suo figlio Cosimo, eletto<br />

inaspettatamente duca di Firenze nel 1537, a promuovere la complessa rielaborazione letteraria e iconografica della figura<br />

paterna, destinata a trasformare il M. in un invincibile cavaliere rinnovatore dei costumi e <strong>delle</strong> tattiche della milizia<br />

italiana, il degno (seppur sfortunato) genitore del nuovo pater patriae di Firenze, capostipite della dinastia dei granduchi<br />

di Toscana. Scivolata in un relativo oblio a seguito dell’estinzione della dinastia stessa e del passaggio del Granducato<br />

agli Asburgo-Lorena nel 1737, la figura del M. conobbe nuovi e incisivi sviluppi durante il Risorgimento. A quel punto,<br />

da eroe dinastico qual era, il M. assurse al rango di eroe nazionale e romantico con il nome di <strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>,<br />

ultimo dei grandi «capitani di ventura» (una definizione peraltro inapplicabile al M.), supremo quanto tragico esempio di<br />

valore italico alla vigilia della disastrosa conclusione <strong>delle</strong> guerre d’Italia e dell’inizio del plurisecolare asservimento della<br />

penisola allo straniero. Quello di <strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> era stato uno dei vari titoli attribuiti al M. nella elaborazione<br />

postuma della sua leggenda. Le <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> erano le truppe di fanteria sotto il suo diretto comando nel corso dell’ultima<br />

campagna che, dopo la morte del M., avevano preso il lutto, abbrunando le loro bandiere e indossando «bande» (tracolle)<br />

nere. Oppostesi con successo a ogni tentativo di scioglimento e riorganizzazione imposto dall’alto, le <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong><br />

avevano formato un corpo a parte nell’esercito della Repubblica fiorentina fino al 31 ag. 1528, quando furono costrette<br />

alla resa dall’esercito imperiale ad Aversa. La necessità da parte dei letterati e degli storici risorgimentali di scoprire nel<br />

M. una nota di moralità e coerenza personale, in una vita professionale caratterizzata da frequenti cambi di bandiera, e di<br />

distinguerlo nettamente dai suoi «imbelli» e «tirannici» discendenti portò alla progressiva enfatizzazione del lutto preso<br />

dal M. e dalle sue truppe in occasione della morte di Leone X (cfr. Mémoires…), anticipando la nascita di <strong>Giovanni</strong> dalle<br />

<strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> alla fine del 1521. Col passare del tempo e il complicarsi dell’intreccio tra inventio letteraria e storiografica<br />

da cui aveva tratto origine, <strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> finì con l’acquisire vita e caratteristiche proprie, divenendo una<br />

figura sempre più distinta e autonoma dal M. storico. L’apice della elaborazione e della popolarità del personaggio fu<br />

raggiunto durante gli anni Trenta del Novecento, quando il regime fascista se ne appropriò, facendone una <strong>delle</strong> proprie<br />

icone. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il sovrapporsi degli effetti della reazione culturale alla retorica<br />

militarista fascista e di quelli del prolungato disinteresse manifestato dagli storici italiani nei confronti della storia militare<br />

dell’Età moderna ha fatto in modo che la figura del M. cadesse nell’oblio e non fosse ripresa in esame in modo organico<br />

fino a tempi storiograficamente recenti, rimanendo prigioniera di quella di <strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>.<br />

Fonti e Bibl.: Gran parte <strong>delle</strong> fonti manoscritte relative al M. si trovano in Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il<br />

principato; molte di esse sono state pubblicate: Lettere inedite e testamento di G. de’ M. detto <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> con altre<br />

di Maria e di Jacopo Salviati di principi, cardinali, capitani, familiari e soldati raccolte dal cav. Filippo Moisè, a cura di<br />

C. Milanesi, in Archivio storico italiano, n.s., 1858, t. 7, parte 2 a , pp. 3-48; 1858, t. 8, parte 1 a , pp. 3-40; 1859, t. 9, parte<br />

1 a , pp. 3-29; P. Gauthiez, Nuovi documenti intorno a G. de’ M. detto <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, ibid., XXX (1902), pp. 71-107;<br />

XXXI (1903), pp. 97-126. Alla base di quasi tutti i profili biografici del M. sono le due versioni della Vita di G. de’ M.<br />

scritte da Giovangirolamo de’ Rossi (Firenze, Biblioteca nazionale, Mss., II.I.174, cc. 1r-36r; Ibid., Biblioteca<br />

Riccardiana, Mss., 2032, cc. 1r-36r), il Discorso sopra G. de’ M. (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., XIII.89, cc. 25v-<br />

30v) scritto da G.B. Tedaldi (che era stato segretario del M.), e un altro breve resoconto anonimo sulla vita e le imprese<br />

del M. (ibid., II.II.325, c. 28v). Tra le molteplici edizioni di questi manoscritti, si segnalano in particolare S. Ciampi,<br />

Notizie dei secoli XV e XVI sull’Italia Polonia e Russia…, Firenze 1833, pp. 79-108, 135-179; Vite d’uomini d’armi e<br />

d’affari del secolo XVI, a cura di C. Cangiolli, Firenze 1866, pp. 73-211; G. de’ Rossi, Vita di G. de’ M. detto <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong><br />

<strong>Nere</strong>, a cura di V. Bramanti, Roma 1996; B. Varchi, Storie fiorentine, a cura di L. Arbib, I, Firenze 1834, pp. 66, 76, 91,<br />

97, 100-102, 112, 245, 310, 352, 426; M. Sanuto, I diarii, XXXIII-XLVIII, Venezia 1879-1902, ad ind.; Mémoires de<br />

Martin et Guillaume Du Bellay, a cura di V.L. Bourrilly - F. Vindry, I, Paris 1908, p. 216; F. Guicciardini, Storia d’Italia,<br />

a cura di S. Seidel Menchi, Torino 1971, ad ind.; P. Aretino, Lettere, a cura di P. Procaccioli, I, Roma 1997, ad ind.;<br />

Lettere scritte a Pietro Aretino, a cura di P. Procaccioli, I-II, Roma 2003-04, ad indices; A. Mossi, Compendio della vita<br />

del signor G. de’ M. padre del serenissimo Cosimo, primo gran duca di Toscana, Firenze 1608; S. Ammirato, Opuscoli,<br />

III, Firenze 1642, pp. 176-206; C. Mini, La vita e le gesta di G. de’ M. o Storia <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> e dei celebri capitani<br />

che vi militarono, corredata di documenti, Firenze 1851; P. Gauthiez, Jean des <strong>Bande</strong>s Noires, Paris 1901; L. Capranica,<br />

G. dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, Milano 1910; F.L. Taylor, The art of war in Italy, 1494-1529, Cambridge 1921, pp. 12, 53 s., 60,<br />

62, 69, 76, 136, 179; A.A. Monti, G. dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, Roma 1928; E. Allodoli, G. dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, Firenze 1929; V.E.<br />

Bravetta, G. dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, Torino 1932; C. Fratini, G. dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, Milano 1936; G. Pieraccini, La stirpe de’


Medici di Cafaggiolo, Firenze 1947, I, pp. 367-395; P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Torino 1952, pp.<br />

514, 525, 540, 548, 553, 557, 561, 574-577, 607 s.; I. Bartolini, G. <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>: G. de’ M., Firenze 1958; C. Marchi,<br />

G. dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> e il suo tempo: 1498-1526 (catal. Castrocaro Terme), a cura di T. Marcheselli, Imola 1998; F.<br />

Gurrieri - T. Gurrieri, G. <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>: nel cinquecentenario della nascita (1498-1526), Firenze 2000; G. <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong><br />

<strong>Nere</strong>, a cura di M. Scalini, Firenze 2001; M. Vannucci, G. <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, Roma 2004; M. Arfaioli, The Black Bands<br />

of <strong>Giovanni</strong>: infantry and diplomacy during the Italian wars (1526-1528), Pisa 2005, pp. XIII-XVII, 1-27; Enc.<br />

biografica e bibliografica «Italiana», C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, pp. 239-241.<br />

M. Arfaioli<br />

<strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong><br />

(1498 - 1526)<br />

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.<br />

<strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> oppure <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> al secolo <strong>Giovanni</strong> di <strong>Giovanni</strong> de' Medici (Forlì, 6 aprile 1498 – Mantova,<br />

30 novembre 1526) è stato un condottiero italiano del Rinascimento.<br />

Biografia Figlio del fiorentino <strong>Giovanni</strong> de' Medici (detto il Popolano) e di Caterina Sforza, la signora guerriera di Forlì e Imola, una<br />

<strong>delle</strong> donne più famose del Rinascimento, che si era strenuamente difesa da Cesare Borgia nella sua rocca forlivese. Venne chiamato<br />

Ludovico in onore dello zio Ludovico il Moro, duca di Milano, ma alla morte del padre, avvenuta quando aveva pochi mesi d'età, la<br />

madre gli cambiò il nome in <strong>Giovanni</strong>. Fu ritenuto da Niccolò Machiavelli come l'unica figura capace di difendere i regni italiani dalla<br />

discesa di Carlo V. <strong>Giovanni</strong> passò la propria infanzia in un convento, poiché la madre era prigioniera di Cesare Borgia. Nel 1509<br />

Caterina Sforza morì, ed essendo morto anche Luffo Numai, primo tutore di <strong>Giovanni</strong>, la tutela del giovane passò al canonico<br />

Francesco Fortunati e al ricchissimo fiorentino Jacopo Salviati, marito di Lucrezia de' Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico. Jacopo<br />

Salviati dovette spesso rimediare con la propria autorità e fama alle numerose intemperanze del ragazzo, ma nel 1511 non poté<br />

evitargli il bando da Firenze, per l'uccisione di un suo coetaneo in una lite tra bande di ragazzi, bando ritirato l'anno successivo.<br />

Quando il Salviati fu nominato ambasciatore a Roma nel 1513 <strong>Giovanni</strong> lo seguì, e qui fu iscritto nelle milizie pontificie grazie<br />

all'intercessione del Salviati presso papa Leone X, fratello di Lucrezia de' Medici. Il suo battesimo del fuoco nel nuovo ruolo di<br />

soldato papale avvenne il 5 marzo 1516 nella guerra contro Urbino al seguito di Lorenzo de' Medici. La guerra durò solo ventidue<br />

giorni, dopo i quali Francesco Maria I della Rovere si arrese; nonostante la propria indole irrequieta, <strong>Giovanni</strong> riuscì a insegnare agli<br />

uomini della sua compagnia - indisciplinati, rozzi e individualisti - disciplina e obbedienza. Ebbe anche modo di osservare, con acume<br />

caratteristico, il declino della cavalleria pesante. Al momento di crearsi una propria compagnia <strong>Giovanni</strong> scelse perciò di impiegare<br />

cavalli piccoli e leggeri, preferibilmente turchi o berberi, adatti a compiti tattici quali schermaglie d'avanguardia o imboscate;<br />

individuò nella mobilità l'arma più utile da usare. Un accento particolare fu messo sullo spirito di corpo, allora assai carente. I nuovi<br />

venuti ricevevano un addestramento particolare, spesso impartito da <strong>Giovanni</strong> personalmente; sovente i traditori erano condannati a<br />

morte. Sposò Maria Salviati, figlia di Jacopo, che gli diede un figlio, Cosimo, destinato un giorno a diventare Granduca di Toscana.<br />

Nel 1520 sconfisse diversi signorotti ribelli marchigiani, tra i quali Ludovico Uffreducci che restò ucciso in battaglia presso Falerone.<br />

Nel 1521 Leone X si allea con l'imperatore Carlo V contro Francesco I, per consentire agli Sforza di tornare padroni di Milano e per<br />

occupare le città perdute di Parma e Piacenza; <strong>Giovanni</strong> è assoldato e posto sotto il comando di Prospero Colonna. Partecipa in<br />

novembre alla battaglia di Vaprio d'Adda: oltrepassa il fiume controllato dai francesi e li mette in fuga, aprendo la strada per Pavia,<br />

Milano, Parma e Piacenza. Il 1º dicembre muore Leone X, e <strong>Giovanni</strong> per manifestare il lutto fa annerire le insegne, che fino ad allora<br />

erano a righe bianche e viola, diventando così famoso presso i posteri come <strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>. Nell'agosto 1523 <strong>Giovanni</strong><br />

viene ingaggiato dagli imperiali, e nel gennaio del 1524 attacca di notte il campo del francese Cavalier Baiardo, mentre questi<br />

dormiva e lo mette in fuga, facendo prigionieri oltre trecento soldati. Successivamente affronta gli Svizzeri, la più temuta fanteria<br />

dell'epoca, che intanto sono calati dalla Valtellina in aiuto dei Francesi; <strong>Giovanni</strong> li sconfigge a Caprino Bergamasco, costringendo<br />

l'armata francese a lasciare l'Italia. Intanto a Roma diviene papa Clemente VII, della famiglia Medici, cugino della madre di <strong>Giovanni</strong>,<br />

Caterina; il nuovo pontefice paga tutti i debiti di <strong>Giovanni</strong>, chiedendogli, però, in cambio, di passare con i Francesi. Questo accade nel<br />

novembre-dicembre 1524 quando Francesco I entra nuovamente in Italia per una campagna militare e ritorna in Lombardia<br />

schierandosi sotto Pavia, dove subirà la celebre cocente sconfitta e la prigionia. La compagnia di <strong>Giovanni</strong> non partecipa alla<br />

battaglia: in una scaramuccia il 18 febbraio 1525 <strong>Giovanni</strong> "fu da uno archibuso in uno stinco di gamba gravemente ferito" (G. G.<br />

Rossi, Vita di <strong>Giovanni</strong> de' Medici). Spesso vengono confusi i fatti e gli "attrezzi" del febbraio 1525 con quelli del novembre 1526,<br />

quando, effettivamente, <strong>Giovanni</strong> verrà ferito ad una coscia da un colpo di falconetto. Anche Pietro Aretino, nella famosissima e<br />

suggestiva lettera (la n. 4 del primo libro) dà la medesima versione" "... ecco (oimè) un moschetto che gli percuote quella gamba già<br />

ferita d'archibuso..."). Allo stesso modo, nel descrivere i momenti ed i luoghi <strong>delle</strong> cure la storiografia corrente pare non aver tenuto<br />

più di tanto in considerazione i documenti e le testimonianze ufficiali. In effetti <strong>Giovanni</strong> viene subito trasportato a Piacenza, come<br />

relaziona Maestro Abramo, il medico inviato dal marchese di Mantova. Ma il 7 di marzo (in M. Tabanelli, <strong>Giovanni</strong> de' Medici dalle<br />

<strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>) <strong>Giovanni</strong> arriva nel parmense: "... si fece portare nel parmigiano a i castelli della sorella" (G.G. Rossi, cit.). Solo nel<br />

mese di maggio <strong>Giovanni</strong> si recherà a Venezia, dove potrà giovarsi, nell'ultima parte della convalescenza, dei benefici bagni termali<br />

della vicina Abano. Le sue <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> in parte lo seguono, in parte si sciolgono. A Venezia <strong>Giovanni</strong> potrebbe mettersi al servizio<br />

della Serenissima, ma è tipo troppo ribelle e declina con la frase: «Né a me si conviene per esser io troppo giovane, né ad essa perché<br />

troppo attempata». Nel 1526 re Francesco I torna libero e in maggio, nasce la lega di Cognac contro l'Impero; papa Clemente si<br />

schiera con il re Francesco ed a <strong>Giovanni</strong> è affidato il comando <strong>delle</strong> truppe pontificie. Il 6 luglio il capitano generale Francesco Maria<br />

I della Rovere, di fronte alle soverchianti forze imperiali, abbandona Milano, ma <strong>Giovanni</strong> rifiuta l'ordine di fare la stessa cosa e<br />

attacca la retroguardia del nemico alla confluenza del Mincio col Po, sconfiggendo i lanzichenecchi, mercenari tedeschi capeggiati da<br />

Georg von Frundsberg. La sera del 25 novembre, nelle vicinanze di Governolo, <strong>Giovanni</strong> viene colpito allo stinco da un colpo di<br />

falconetto, (probabilmente fornito da Alfonso I d'Este) che gli procura una gravissima ferita.


« ... <strong>Giovanni</strong> de' Medici co' cavalli leggieri; e accostatosi più arditamente perché non sapeva che avessino avute artiglierie,<br />

avendo essi dato fuoco a uno de' falconetti, il secondo tiro roppe la gamba alquanto sopra al ginocchio a <strong>Giovanni</strong> de' Medici; del<br />

quale colpo, essendo stato portato a Mantova, morí pochi dí poi,... »<br />

( Francesco Guicciardini - Storia d'Italia, lib. 17 cap. 16)<br />

Viene subito trasportato a San Nicolò Po ma non si trova un medico perciò è trasportato a Mantova presso il palazzo di Luigi Gonzaga<br />

detto "Rodomonte", dove il chirurgo Abramo, che già lo aveva curato con successo due anni prima, gli amputa la gamba. Per<br />

effettuare l'operazione il medico chiede che 10 uomini tengano fermo <strong>Giovanni</strong>. Pietro Aretino testimone oculare, descrive le sue<br />

ultime ore in una lettera a Francesco Albizi:<br />

« «Neanco venti» disse sorridendo <strong>Giovanni</strong> «mi terrebbero», presa la candela in mano, nel far lume a sé medesimo, io me ne<br />

fuggii, e serratemi l'orecchie sentii due voci sole, e poi chiamarmi, e giunto a lui mi dice: «Io sono guarito», e voltandosi per tutto<br />

ne faceva una gran festa. »<br />

La cancrena è però inarrestabile e nel giro di pochi giorni lo porta alla morte. Il valoroso condottiero si spegne il 30 novembre 1526, e<br />

viene sepolto tutto armato nella chiesa di San Francesco a Mantova. <strong>Giovanni</strong>, in agonia, aveva inizialmente pensato di affidare il<br />

comando <strong>delle</strong> truppe a Lucantonio Cupano, uno dei suoi più fidi soldati o al nipote Pier Maria III Rossi di San Secondo Parmense,<br />

figlio della sorella Bianca Riario, ma è tutto inutile: prive del loro capo e del suo carisma, le bande si sciolgono.<br />

Sempre Pietro Aretino testimonia:<br />

« Si mosse a ragionar meco, chiamando Lucantonio con estrema affezione; e dicendo io: «Noi manderemo per lui», «Vuoi tu»,<br />

disse, «che un par suo lasci la guerra per veder amalati?». Si ricordò del conte di San Secondo, dicendo: «Almen fusse egli qui,<br />

che gli restarebbe il mio luogo». »<br />

E anche Giovan Girolamo de' Rossi, nipote di <strong>Giovanni</strong> e fratello del Conte di San Secondo, conferma:<br />

« Esso signore le raccomandò nella morte sua al conte Pietromaria Rosso di San Secondo, suo nipote, scrivendo a papa Clemente<br />

che non poteva darle più concenevolmente ad altri che a lui, il quale, per essere suo nipote e continovamente nutrito da lui nella<br />

guerra, sarebbe da i suoi soldati temuto e amato più d'ogni altro. »<br />

Le <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> L’origine <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> può farsi risalire alle compagnie che il giovane <strong>Giovanni</strong> de’Medici comandò durante la<br />

guerra di Urbino del 1517. Questo breve conflitto fu per <strong>Giovanni</strong> una “scuola militare” nella quale egli si formò per la fase cruciale<br />

<strong>delle</strong> guerre d'Italia, quella compresa tra il 1521 e il 1527, dove si guadagnò grande fama prima di essere mortalmente ferito a<br />

Governolo. Durante questi anni <strong>Giovanni</strong> e le sue <strong>Bande</strong> cambiarono ripetutamente campo, passando prima al servizio di Carlo V, poi<br />

di Francesco I, poi ancora di Carlo V e quindi nuovamente di Francesco I. Ferito alcuni giorni prima della battaglia di Pavia, <strong>Giovanni</strong><br />

fu portato a Piacenza per esservi curato. Le sue <strong>Bande</strong>, rimaste senza il loro capitano, nulla poterono contro la massa dei<br />

Lanzichenecchi imperiali sortiti dalla città assediata. La guerra, ripresa con la Lega di Cognac, vide nuovamente <strong>Giovanni</strong> schierato<br />

dalla parte del pontefice Clemente VII. Le <strong>Bande</strong> operarono come una forza distaccata dal grosso dell’esercito della Lega, guidato da<br />

Francesco Maria della Rovere, duca d’Urbino. Il “Gran Diavolo” con i suoi cavalieri e archibugieri tormentò gli imperiali diretti a<br />

Roma, creando loro grosse difficoltà. La sua morte rivelò la pochezza <strong>delle</strong> virtù militari del duca d'Urbino che lasciò via libera al<br />

nemico. Le <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> sopravvissero alla morte di <strong>Giovanni</strong> per quasi due anni. All’inizio del 1527 diedero ancora una volta prova<br />

della loro efficienza difendendo Frosinone dall’esercito del Viceré di Napoli. Nell'aprile dello stesso anno Clemente VII, ansioso di<br />

alleggerirsi <strong>delle</strong> gravose spese che il mantenimento di truppe mercenarie comportava, fidandosi dell’accordo con Carlo di Lannoy e<br />

ingannato da Carlo di Borbone, licenziò “imprudentissimamente - scrive il Guicciardini - quasi tutti i fanti <strong>delle</strong> bande <strong>Nere</strong>”. Un<br />

migliaio di questi, raccolti da Renzo da Ceri dopo che il pontefice ebbe finalmente realizzato che gli imperiali avrebbero investito<br />

Roma, tentarono di difendere la città dall'assalto nemico venendo in gran parte uccisi sulle mura. Le <strong>Bande</strong>, passate al soldo di<br />

Firenze, furono affidate ad Orazio Baglioni e parteciparono alla sciagurata spedizione guidata da Odet de Foix, visconte di Lautrec,<br />

per la conquista del regno di Napoli. Nel corso di questa campagna ebbero modo di distinguersi più volte per il loro valore. Non<br />

mancarono comunque dimostrazioni di crudeltà e ferocia, come avvenne in occasione della presa di Melfi “ dove - così ci informa il<br />

Sanuto - introno per forza dentro amazando tutti chi trovorono, fanti homeni et done, fino i putti, et fatti presoni, et sachizato la terra,<br />

nè alcun si salvò se non quelli se butorono de muri, quali si amazavano et erano etiam presi et morti”. Orazio Baglioni cadde in una<br />

scaramuccia sotto Napoli il 22 maggio 1528. Alla fine di agosto le <strong>Bande</strong>, falcidiate dai continui combattimenti e dalla peste, si<br />

arresero agli imperiali insieme ai resti dell’esercito della Lega, cessando definitivamente di esistere. Il nome di “<strong>Nere</strong>” con cui le<br />

bande di <strong>Giovanni</strong> de’Medici passarono alla storia, e con cui esse stesse cominciarono a nominarsi dopo la morte del loro condottiero,<br />

era dovuto al colore <strong>delle</strong> loro bandiere che <strong>Giovanni</strong> aveva cambiato da bianco e violetto in nero in segno di lutto per la morte dello<br />

zio, il papa Leone X. Le <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> rappresentarono la migliore espressione della strategia e tattica “all’italiana” emerse nel corso<br />

<strong>delle</strong> guerre rinascimentali. Composte in gran parte da archibugieri, si trattava di truppe leggere molto mobili, particolarmente adatte<br />

alla “piccola guerra”. Mentre negli scontri campali non erano in grado di sostenere l’urto dei massicci quadrati di picchieri se non<br />

erano sostenute a loro volta da fanterie inquadrate in ordine chiuso, nella guerriglia, nei colpi di mano, nelle azioni di avanguardia o di<br />

copertura erano tra il meglio che il “mercato” potesse offrire. Non per niente le parti in lotta si contesero sempre i loro servigi a suon<br />

di ducati. <strong>Giovanni</strong> era d’altra parte un professionista della guerra e anche molto abile, e come tale si faceva pagare profumatamente<br />

per il suo servizio. Tuttavia non era solo il denaro ad attirarlo ma anche la speranza che, alleandosi ora all’una ora all’altra parte, gli<br />

riuscisse prima o poi di ritagliarsi un feudo tutto suo. Il denaro, e si trattava di cifre enormi, gli era d’altronde indispensabile per<br />

pagare i soldati e mantenere così unita la compagine <strong>delle</strong> sue <strong>Bande</strong>. In un’epoca dove tutto era in vendita egli restò comunque<br />

sempre fedele a Firenze e alla casata dei Medici, rappresentata per l’occasione dai pontefici Leone X e Clemente VII. Finché il primo<br />

fu in vita, <strong>Giovanni</strong> rimase a fianco degli ispano-imperiali, alleati della Chiesa. Morto Leone X passò dalla parte dei francesi, poi<br />

ancora con gli spagnoli e quindi allettato dalle ricche offerte di Francesco I, ritornò con i francesi, tanto più che il nuovo papa,<br />

Clemente VII, propendeva per il re di Francia. Da quel momento diventò l’implacabile nemico dei lanzichenecchi tedeschi che lo<br />

gratificarono con il significativo soprannome di Gran Diavolo. La fama di <strong>Giovanni</strong> e <strong>delle</strong> sue <strong>Bande</strong> si diffuse rapidamente. In esse<br />

si arruolarono, come ci testimonia ancora Guicciardini, i “migliori fanti Italiani che allora prendessero soldo”; molti vi entrarono più<br />

per spirito di avventura che per vera sete di guadagno, visto che la disciplina vi era più severa che nelle altre formazioni e il soldo il


più <strong>delle</strong> volte era lento ad arrivare e sovente non arrivava affatto. Nelle loro file vi erano letterati falliti o velleitari, cadetti di famiglie<br />

nobili squattrinati e in cerca di riscatto, avventurieri professionisti, disperati e rifiuti della società, contadini che per non morire di<br />

fame si arruolavano per fare ad altri quello che era stato fatto a loro. Abili con l’archibugio e con la spada, questi soldati si<br />

trasformavano da Gran Diavoli del campo di battaglia a diavoli della rapina, della violenza e del saccheggio quando se ne presentava<br />

l’occasione e soprattutto quando le paghe tardavano troppo ad arrivare. Tra essi vi erano anche disertori e traditori. I primi una volta<br />

ripresi, venivano impiccati mentre i secondi, non appena scoperti, venivano inesorabilmente ”passati per le picche” dai loro stessi<br />

compagni, a simboleggiare la punizione collettiva che colpiva chi era venuto meno al giuramento di fedeltà al capitano e al vincolo<br />

solidale verso i propri compagni d’arme. Le <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong> non furono mai molto numerose. Anche nei loro momenti migliori non<br />

superarono le 4000 unità. A Caprino contro gli Svizzeri vi erano 200 cavalieri pesanti, 300 leggeri e 3000 archibugieri; a Pavia 50<br />

cavalieri pesanti, 200 leggeri e circa 2000 fanti. A Governolo <strong>Giovanni</strong> attaccò gli imperiali con 400 archibugieri, che furono<br />

trasportati a cavallo sul campo di battaglia da altrettanti cavalieri. Frosinone fu difesa da 1800 fanti. Le <strong>Bande</strong> erano costituite quasi<br />

interamente da italiani, per lo più toscani e romagnoli, con la probabile aggiunta di lombardi durante il periodo nel quale <strong>Giovanni</strong><br />

operò nell’Italia del nord. Ciò perché i paesi dell’Appennino tosco-emiliano fornivano uomini che costavano poco ed erano, almeno<br />

all’inizio della loro carriera di soldati, di poche pretese; inoltre i mercenari stranieri, lontani da casa, erano meno fidati e più propensi<br />

alla diserzione e a cambiare padrone. Nel volgere di breve tempo, sotto la guida di <strong>Giovanni</strong>, la <strong>Bande</strong> diventarono una formazione<br />

d’elite, con pochi riscontri nel panorama <strong>delle</strong> compagnie di ventura italiane, di cui costituirono l’ultimo e più importante esempio.<br />

Ebbero vita breve, come il loro giovane condottiero. Con lui entrarono nella storia, dopo la sua morte diventarono leggenda.<br />

« Non mi snudare senza ragione. Non mi impugnare senza valore. »(Scritta riportata sulla spada visibile nella statua degli Uffizi<br />

Un ritratto di <strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, dipinto da Gian Paolo Pace è conservato presso la Galleria degli Uffizi a Firenze. Il dipinto<br />

fu regalato da Pietro Aretino a Cosimo I de' Medici, figlio di <strong>Giovanni</strong>, ed era stato, in un primo tempo, commissionato a Tiziano, che<br />

però non poté realizzare il ritratto per altri impegni. La notizia ci arriva da Giorgio Vasari (Vite de' più eccellenti architetti, pittori, et<br />

scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri). La statua che lo ritrae seduto in Piazza San Lorenzo a Firenze fu commissionata<br />

da suo figlio Cosimo I de' Medici a Baccio Bandinelli. Un suo ritratto ottocentesco si trova anche in una nicchia nel lato corto degli<br />

Uffizi verso l'Arno, accanto ad altri famosi condottieri fiorentini (Francesco Ferrucci, Pier Capponi e Farinata degli Uberti).<br />

Filmografia<br />

• <strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, regia di Mario Caserini (1911)<br />

• Condottieri conosciuto anche come <strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, regia di Luis Trenker e Werner Klingler (1937)<br />

• I condottieri, <strong>Giovanni</strong> <strong>delle</strong> bande nere, regia di Luis Trenker (1950)<br />

• <strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, regia di Sergio Grieco (1956)<br />

• Il mestiere <strong>delle</strong> armi, regia di Ermanno Olmi (2001)<br />

Bibliografia<br />

• Mario Scalini, <strong>Giovanni</strong> <strong>delle</strong> <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong>, Milano, Silvana editoriale, 2001<br />

• Giorgio Batini, Capitani di Toscana, Firenze, Edizioni Polistampa, 2005, pp. 150 - 157 ISBN 88-8304-915-2<br />

• Giovangirolamo de Rossi, "Vita di <strong>Giovanni</strong> de Medici detto <strong>delle</strong> bande nere", Roma, Salerno Editrice, 1996.<br />

Altri progetti Wikimedia Commons contiene file multimediali su <strong>Giovanni</strong> dalle <strong>Bande</strong> <strong>Nere</strong><br />

Collegamenti esterni Approfondimento Approfondimenti e Curiosità<br />

http://www.palazzo-medici.it/mediateca/it/schede.php?id_scheda=60&sezione=1<br />

http://www.google.it/imgres?imgurl=http://www.cinemedioevo.net/Film/AC/condottier01<br />

www.compagniabandenere.it

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