Archivio 2/07 link - Istituto ortopedico Gaetano Pini
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4<br />
Introduzione<br />
L’incidenza delle fratture dell’estremo<br />
prossimale di omero è<br />
attualmente in crescita, in quanto<br />
sono in aumento gli incidenti<br />
sportivi e da traffico da un lato, e<br />
dall’altro si sta progressivamente<br />
alzando l’età media della popolazione;<br />
con l’invecchiamento si<br />
verificano problemi di equilibrio<br />
e difficoltà di deambulazione,<br />
l’osso è frequentemente affetto<br />
da osteoporosi, condizione che<br />
ne riduce la resistenza meccanica<br />
ai traumi minori e aumenta il<br />
rischio di frattura.<br />
In passato il trattamento chirurgico<br />
delle fratture dell’epifisi<br />
prossimale di omero avveniva<br />
raramente per la scarsa disponibilità<br />
di sistemi di fissazione specifici<br />
per tali fratture. Per questo<br />
motivo, quando si decideva per<br />
l’intervento chirurgico, spesso lo<br />
si eseguiva con tecnica percutanea,<br />
previa esecuzione di manovre<br />
riduttive di trazione lungo<br />
l’asse del braccio e di elevazione<br />
dell’arto stesso. L’osteosintesi si<br />
eseguiva molto spesso solo con<br />
fili di Kirschner. L’inefficacia<br />
della riduzione attraverso manovre<br />
indirette e l’instabilità della<br />
sintesi eseguita attraverso i fili di<br />
Kirschner ha portato, in alcuni<br />
casi, a risultati deludenti. Per<br />
questo motivo, negli anni, le<br />
nostre indicazioni al trattamento<br />
si sono sempre più spostate<br />
verso la riduzione a cielo aperto<br />
e le aziende hanno studiato<br />
mezzi di sintesi dedicati.<br />
L’80% circa delle fratture dell’omero<br />
prossimale è solo modicamente<br />
scomposto [1,2] e consente<br />
pertanto al paziente, dopo<br />
una adeguata immobilizzazione<br />
e conseguente riabilitazione, di<br />
raggiungere un risultato funzionale<br />
più che soddisfacente con<br />
un trattamento incruento [3,4].<br />
Nel rimanente 20% dei casi le<br />
fratture dell’omero prossimale<br />
presentano una scomposizione<br />
tale da imporre il trattamento<br />
chirurgico ai fini di limitare il<br />
danno residuo funzionale dell’articolazione<br />
gleno-omerale.<br />
Questo è il problema principale<br />
cui deve oggi far fronte lo specialista<br />
<strong>ortopedico</strong>: restituire al<br />
paziente una spalla dotata di una<br />
buona funzionalità residua in<br />
assenza di dolore. Tale obiettivo<br />
è ancora oggi difficilmente raggiungibile<br />
nella sua totalità, sia<br />
per la frequente presenza di una<br />
importante frammentazione<br />
della frattura, che comporta una<br />
maggior difficoltà nella ricostruzione<br />
anatomica, sia per la scarsa<br />
qualità del tessuto osseo, che<br />
rende difficile una buona stabilizzazione.<br />
Ciò implica la necessità<br />
di prolungare il periodo di<br />
immobilizzazione per scongiurare<br />
il rischio di una scomposizione<br />
secondaria del focolaio.<br />
Classificazione delle fratture<br />
dell’epifisi prossimale<br />
di omero<br />
La classificazione delle fratture<br />
dell’estremo prossimale di<br />
omero può essere fatta su base<br />
morfologica (classificazione di<br />
Neer: tipo e numero di frammenti)<br />
oppure su base biologica<br />
(classificazione AO/ASIF: vascolarizzazione<br />
residua) o ancora su<br />
base descrittiva (classificazione<br />
descrittiva di Hertel, detta “sistema<br />
Lego”).<br />
Secondo la classificazione proposta<br />
da Neer nel 1970 [5] le<br />
linee di frattura si localizzano tra<br />
le quattro componenti anatomiche<br />
della porzione prossimale<br />
dell’omero (testa omerale, piccola<br />
tuberosità, grande tuberosità,<br />
diafisi). In base a tale osservazione<br />
sono state individuate fratture<br />
a due, tre e quattro frammenti,<br />
mentre in un gruppo a parte<br />
venivano raggruppate le fratture<br />
in cui era presente la lussazione<br />
della testa omerale.<br />
L’associazione svizzera AO/ASIF<br />
ha proposto, all’inizio degli anni<br />
Ottanta, una revisione della classificazione<br />
di Neer. Tale nuova<br />
classificazione AO [6] ha lo<br />
scopo di valutare la probabilità<br />
di una vascolarizzazione residua<br />
della testa omerale. In tal modo<br />
vengono fornite indicazioni sulla<br />
prognosi, con particolare riferimento<br />
al rischio di sviluppare<br />
una necrosi avascolare. La classificazione<br />
AO riconosce tre gruppi<br />
principali:<br />
- A: frattura extra-articolare unifocale<br />
- B: frattura extra-articolare bifocale<br />
con parziale estensione alla<br />
porzione intra-articolare<br />
- B: frattura intra-articolare che<br />
archivio di<br />
Ortopedia<br />
e Reumatologia<br />
Criteri di scelta delle osteosintesi nelle fratture complesse dell’omero prossimale<br />
F. Odella1 ,R.Leo1 , S. Odella2 , B. Boniforti3 1II Divisione, Centro di Chirurgia della Spalla e del Gomito, <strong>Istituto</strong> Ortopedico G. <strong>Pini</strong>, Milano; 2Centro per la Chirurgia della Mano, <strong>Istituto</strong> Ortopedico G. <strong>Pini</strong>, Milano;<br />
3Divisione di Ortopedia Fondazione <strong>Istituto</strong> San Raffaele “G. Giglio”, Cefalù DOI 10.10<strong>07</strong>/s10261-0<strong>07</strong>-0188-0<br />
ABSTRACT Decision making in osteosynthesis of complex fractures<br />
of the proximal humerus<br />
Only 20% of the fractures of the proximal humerus requires surgical treatment. In<br />
this case it is essential to restore the normal anatomy of the proximal humeral epiphysis<br />
by performing an accurate reduction.<br />
Surgery is evaluated on the basis of the following criteria: amount of head-diaphysis<br />
displacement, amount of rotation of the humeral head, amount of elevation of<br />
the greater tuberosity.<br />
Osteosynthesis devices will be chosen among K-wires, cannulated screws and fixedangle<br />
plates, on the basis of bone quality.<br />
può coinvolgere 2, 3 o 4 frammenti.<br />
In quest’ultimo gruppo c’è un<br />
rischio elevato di necrosi avascolare.<br />
In ciascuno di questi tre gruppi<br />
si riconoscono poi altrettanti<br />
sottogruppi che indicano il<br />
grado di scomposizione della<br />
frattura: sottogruppo 1 = frattura<br />
lievemente scomposta; sottogruppo<br />
2 = frattura scomposta;<br />
sottogruppo 3 = frattura scomposta<br />
con fattori addizionali<br />
(lussazione, frammentazione).<br />
Le fratture a quattro frammenti<br />
individuate nel 1970 da Neer,<br />
per esempio, secondo la moderna<br />
classificazione AO fanno<br />
parte del gruppo C2 e C3.<br />
Più recentemente Hertel ha proposto<br />
un interessante sistema<br />
descrittivo di classificazione<br />
delle fratture detto “sistema<br />
Lego” [7]. Esso si basa sulla individuazione<br />
dei 5 possibili piani<br />
in cui possono essere separate le<br />
componenti ossee. Tali piani si<br />
trovano:<br />
- tra la grande tuberosità e la<br />
testa<br />
- tra la grande tuberosità e la<br />
diafisi<br />
- tra la piccola tuberosità e la<br />
testa<br />
- tra la piccola tuberosità e la<br />
diafisi<br />
- tra la grande e la piccola tuberosità.<br />
Questi 5 piani producono 12<br />
quadri fratturativi diversi, ben<br />
rappresentati graficamente dalla<br />
reciproca disposizione di 4 mattoncini<br />
“Lego”.<br />
Criteri di scelta del<br />
trattamento<br />
Il chirurgo <strong>ortopedico</strong> che<br />
affronta una frattura di omero<br />
prossimale deve innanzitutto<br />
decidere quando è necessario un<br />
trattamento chirurgico. I criteri<br />
di scelta del trattamento si basano<br />
sullo studio accurato del tipo<br />
di frattura, nella quale si valutano<br />
i seguenti parametri:<br />
- entità dello spostamento testadiafisi<br />
(Fig. 1): si tratta di<br />
valutare l’integrità della cosiddetta<br />
cerniera mediale [7]<br />
Fig. 1. Spostamento “testa-diafisi”<br />
- grado di rotazione della testa<br />
omerale (Fig. 2): viene individuato<br />
da un angolo compreso<br />
tra una linea parallela al terreno<br />
e una linea tangente il<br />
margine laterale e il margine<br />
mediale del frammento di<br />
testa omerale<br />
a<br />
b<br />
Fig. 2. Angolo di rotazione della testa omerale<br />
illustrato schematicamente (a) mediante Rx (b)<br />
- entità di risalita del trochite<br />
(Fig. 3). Va sottolineato come<br />
tale risalita possa essere assoluta<br />
o relativa: si parlerà di<br />
risalita assoluta in caso di frattura<br />
isolata della grande tuberosità<br />
(2 frammenti) e conseguente<br />
trazione del sovraspinoso,<br />
mentre si parlerà di risalita<br />
relativa quando, in caso di<br />
frattura a 4 frammenti, il trochite<br />
appare risalito soprattutto<br />
in seguito alla rotazione e<br />
all’ingranamento in valgo della<br />
testa omerale.<br />
Una volta deciso il trattamento<br />
chirurgico, appare oggi imprescindibile<br />
poter prevedere, con<br />
la migliore accuratezza possibile,<br />
il rischio di insorgenza di una<br />
necrosi avascolare al fine di effettuare<br />
una scelta chirurgica ragionata,<br />
osteosintesi o protesi, e, nel<br />
contempo, di fornire una corretta<br />
informazione al paziente circa<br />
i rischi cui andrà incontro,<br />
anche a distanza dall’intervento,<br />
e che potrebbero compromettere<br />
la qualità del risultato raggiunto.<br />
Per questo motivo numerosi<br />
lavori hanno focalizzato, da una<br />
parte, l’anatomia normale della<br />
vascolarizzazione dell’epifisi<br />
omerale prossimale [8,9], e dall’altra<br />
hanno cercato di individuare<br />
i fattori di rischio associati<br />
allo sviluppo di una necrosi<br />
avascolare.<br />
a<br />
b<br />
c<br />
Fig. 3. Risalita del trochite illustrata schematicamente<br />
(a) e mediante Rx (b, c)<br />
Tale argomento è stato studiato,<br />
tra gli altri, in maniera dettagliata<br />
nel 2004 da Hertel [7] il quale<br />
ha studiato la vascolarizzazione<br />
residua della testa omerale individuando,<br />
mediante misurazioni<br />
dirette in vivo, alcuni parametri<br />
che sono buoni predittori di<br />
ischemia e altri che sono moderati<br />
o scarsi predittori di ischemia.<br />
I buoni predittori di ischemia<br />
includono:<br />
- lunghezza della porzione di<br />
testa omerale che si prolunga<br />
nella regione metafisaria (calcar)<br />
prima di incontrare la<br />
linea di frattura (Figg. 4, 5).<br />
Tale lunghezza è direttamente<br />
proporzionale alla probabilità<br />
che la testa omerale continui a<br />
rimanere perfusa. Nel lavoro<br />
di Hertel [7] tale lunghezza<br />
era mediamente pari a 13 mm<br />
nelle teste con perfusione residua<br />
e a 2 mm nelle teste ischemiche<br />
- integrità residua relativa della<br />
cerniera mediale (si tratta della<br />
continuità dell’arco naturale<br />
individuato dalla zona metafisaria<br />
e dalla testa omerale).<br />
Tale parametro si misura attraverso<br />
l’entità della scomposizione<br />
tra la testa e la diafisi.<br />
Dal lavoro di Hertel [7] si
a<br />
b<br />
Fig. 4. Scarsa lunghezza del “calcar” illustrata<br />
schematicamente (a) e mediante Rx (b)<br />
a<br />
b<br />
Fig. 5. Buona lunghezza del “calcar” illustrata<br />
schematicamente (a) e mediante Rx (b)<br />
evince che tale distanza era<br />
pari a 4 mm nelle teste con<br />
perfusione residua e a 13 mm<br />
nelle teste ischemiche.<br />
Tra i moderati o scarsi predittori<br />
di ischemia citiamo:<br />
- rotazione del frammento di<br />
testa omerale in direzione di<br />
valgismo o varismo<br />
- scomposizione del trochite<br />
superiore a 8-10 mm rispetto<br />
al margine supero-laterale del<br />
collo anatomico<br />
- associazione con una lussazione<br />
gleno-omerale<br />
- separazione della testa omerale<br />
(“head split fracture”)<br />
- numero di frammenti della<br />
frattura.<br />
Una volta in possesso delle<br />
informazioni che indicano l’intervento<br />
chirurgico per una<br />
determinata frattura e di quelle<br />
che consentono di predire l’insorgenza<br />
di una necrosi avascolare,<br />
il chirurgo deve effettuare la<br />
scelta finale: osteosintesi o protesi.<br />
La sostituzione protesica è una<br />
scelta sempre molto delicata, che<br />
oggi viene presa in considerazio-<br />
ne meno spesso rispetto al passato<br />
e che non può prescindere<br />
dalla valutazione dell’età biologica<br />
del soggetto, e conseguentemente<br />
dalle sue naturali richieste<br />
funzionali, dalla valutazione<br />
della qualità dell’osso su cui eseguire<br />
l’eventuale osteosintesi e<br />
infine dal grado di comminuzione<br />
della frattura. Non vanno<br />
altresì trascurati il livello medio<br />
di attività del paziente e il potenziale<br />
riabilitativo stimato del<br />
paziente stesso.<br />
Appare a tale proposito interessante<br />
notare come, in passato,<br />
McLaughlin [10] affermasse che<br />
il ripristino di una anatomia normale<br />
non fosse strettamente<br />
essenziale per la normale funzionalità<br />
della spalla.<br />
Al contrario, oggi sempre più si<br />
sostiene che, nel caso in cui si<br />
scelga la strada della osteosintesi,<br />
è essenziale eseguire il massimo<br />
sforzo al fine di ottenere una<br />
riduzione quanto più anatomica<br />
possibile, perché questo è il presupposto<br />
principale per garantire<br />
alla spalla la miglior funzionalità<br />
residua possibile dopo il<br />
trauma. Inoltre, nell’ipotesi in<br />
cui si dovesse manifestare una<br />
necrosi avascolare secondaria<br />
della testa omerale, le possibilità<br />
di successo di un intervento di<br />
protesi di spalla saranno maggiori<br />
grazie al corretto posizionamento<br />
delle 2 tuberosità, con<br />
conseguente mantenimento del<br />
corretto asse di trazione dei<br />
rispettivi “tiranti” muscolari.<br />
Osteosintesi: scelta del tipo<br />
di impianto<br />
Negli anni sono stati proposti<br />
innumerevoli mezzi di sintesi e<br />
diverse tecniche chirurgiche<br />
L’obiettivo comune di qualsiasi<br />
“riduzione e osteosintesi a cielo<br />
aperto” (ORIF = Open Reduction<br />
and Internal Fixation) è quello di<br />
stabilizzare meccanicamente la<br />
frattura mantenendo la riduzione<br />
ottenuta e promuovendo la naturale<br />
evoluzione dei processi di<br />
consolidazione dell’osso.<br />
La scelta del mezzo di sintesi in<br />
questo tipo di fratture non può<br />
prescindere dallo studio della<br />
qualità dell’osso. A parte lo studio<br />
delle normali radiografie,<br />
che può fornire solo un approccio<br />
indiretto empirico del grado<br />
di osteoporosi, esistono metodi<br />
quantitativi per la misurazione<br />
del grado di osteoporosi basandosi<br />
solamente sugli esami<br />
radiografici. A tal proposito<br />
Tingart, nel 2003 [11] ha studiato<br />
come misurare la qualità dell’osso<br />
dell’omero prossimale<br />
basandosi sui semplici radiogrammi.<br />
Si esegue la misurazione<br />
dello spessore medio dell’osso<br />
corticale, sia mediale sia laterale,<br />
della diafisi omerale prossimale<br />
a 2 livelli distanti 20 mm<br />
l’uno dall’altro: il più craniale di<br />
questi è stato individuato come<br />
il punto più prossimale della<br />
diafisi in cui il bordo endostale<br />
della corticale mediale e il bordo<br />
endostale della corticale laterale<br />
archivio di<br />
Ortopedia<br />
e Reumatologia<br />
risultano paralleli tra loro. È<br />
stato dimostrato come la media<br />
dei valori dello spessore corticale<br />
nei 4 punti precedentemente<br />
descritti sia altamente correlata<br />
alla densità ossea media dell’omero<br />
prossimale.<br />
La scelta del mezzo di sintesi,<br />
dunque, dovendo essere mirata<br />
all’ottenimento di una fissazione<br />
stabile, non può prescindere<br />
dalla valutazione accurata della<br />
densità ossea del paziente, ricordando<br />
che la tenuta delle viti<br />
sarà affidata soprattutto alla sottile<br />
corticale esterna piuttosto<br />
che alla struttura trabecolare<br />
della testa omerale.<br />
Essenzialmente oggi utilizziamo:<br />
- fili di Kirschner, che possono<br />
essere applicati con tecnica<br />
percutanea oppure a cielo<br />
aperto. Si tratta di un sistema<br />
di fissazione assai pratico e<br />
poco costoso che trova l’impiego<br />
principale nelle fratture<br />
a 2 e a 3 frammenti in presenza<br />
di buona massa ossea. Tale<br />
sistema di fissazione trova i<br />
suoi limiti nei casi di impiego<br />
su terreno osteoporotico, a<br />
causa del rischio elevato di<br />
una perdita di tenuta e conseguente<br />
possibile migrazione<br />
del filo. L’utilizzo dei fili di<br />
Kirschner con tecnica percutanea,<br />
e in particolare il loro<br />
inserimento in direzione latero-mediale,<br />
deve sempre essere<br />
eseguito ricordando la presenza<br />
del nervo circonflesso,<br />
la cui distanza dal margine<br />
laterale dell’acromion è mediamente<br />
pari a 57 mm (minimo<br />
35 mm e massimo 70 mm)<br />
[12]. Un altro studio anatomico<br />
ha rilevato la distanza minima<br />
del nervo addirittura pari a<br />
31 mm [13];<br />
- in casi di fratture a tre frammenti<br />
o a quattro frammenti<br />
impattate in valgo, se la riduzione<br />
è anatomica e la cuffia<br />
dei rotatori e l’incastro osseo<br />
esercitano di per sé un’azione<br />
stabilizzante, la sintesi può<br />
essere eseguita con viti cannulate<br />
da 4 mm (Fig. 6);<br />
- placca a stabilità angolare tipo<br />
“Phylos” o “PH-LCP” (Fig. 7).<br />
Entrambi i mezzi di sintesi<br />
sfruttano, in linea teorica, il<br />
principio della fissazione<br />
esterna, in quanto offrono la<br />
possibilità di solidarizzare le<br />
viti alla placca creando così<br />
una struttura rigida esterna<br />
alla frattura che stabilizza fra<br />
loro i frammenti ossei a monte<br />
e a valle della frattura stessa<br />
(Fig. 8). La differenza fra le<br />
placche “Phylos” e le placche<br />
“PH-LCP” consiste nel numero<br />
massimo teorico di viti previste<br />
nella componente cefalica<br />
– 6 nel sistema “Phylos” e 4<br />
nel sistema “PH-LCP” – e nella<br />
maggiore lunghezza massima<br />
della placca del sistema<br />
Phylos, che è stata progettata<br />
per fratture che coinvolgono,<br />
oltre alla testa omerale, anche<br />
la diafisi;<br />
- osteosutura. Se eseguita con<br />
suture non riassorbibili numero<br />
“2” può essere impiegata<br />
a<br />
b<br />
c<br />
Fig. 6. Esempio di osteosintesi con viti cannulate<br />
Fig. 7. Esempio di placca a stabilità angolare<br />
come mezzo di sintesi unico<br />
oppure può essere associata ad<br />
altri sistemi. Alcuni Autori<br />
hanno impiegato tale metodo<br />
di sintesi come l’unico per il<br />
trattamento delle fratture a 2 e<br />
3 parti [14] mentre altri lo<br />
hanno utilizzato addirittura<br />
per le fratture a 4 parti impattate<br />
in valgo [15].<br />
Nella nostra esperienza le osteosuture<br />
rappresentano un mezzo<br />
molto utile per incrementare la<br />
stabilità meccanica di una frattura<br />
già trattata con i metodi di<br />
osteosintesi tradizionali precedentemente<br />
descritti, ma non<br />
crediamo che esse garantiscano<br />
da sole una sufficiente stabilità ai<br />
fini di evitare la scomposizione<br />
secondaria della frattura.<br />
Purtroppo, a volte, gli sforzi chirurgici<br />
compiuti nella riparazione<br />
della frattura conducono<br />
comunque a un risultato insoddisfacente,<br />
ossia a una spalla<br />
a<br />
b<br />
Fig. 8. Esempio di osteosintesi con placca a stabilità<br />
angolare<br />
5<br />
dolorosa e limitata dal punto di<br />
vista funzionale.<br />
Lo studio delle cause di insuccesso<br />
è altrettanto importante<br />
per potere, nei limiti del possibile,<br />
limitare al minimo la percentuale<br />
di pazienti insoddisfatti,<br />
che è comunque presente nella<br />
totalità delle casistiche presentate<br />
dai vari Autori:<br />
- fallimento della osteosintesi:<br />
disaccoppiamento tra il montaggio<br />
metallico che è stato<br />
eseguito e l’osso che lo ospita,<br />
con conseguente perdita della<br />
riduzione della frattura. La<br />
causa è quasi sempre l’osteoporosi,<br />
che determina una<br />
scarsa tenuta meccanica del<br />
mezzo di sintesi. Una causa<br />
secondaria può essere un’inappropriatezza<br />
del posizionamento<br />
dell’impianto, che<br />
lavora in modo biomeccanicamente<br />
scorretto. Infine, una<br />
ulteriore causa di fallimento<br />
dell’osteosintesi è data da una<br />
scarsa compliance del paziente,<br />
che non ha rispettato i<br />
tempi minimi di immobilizzazione<br />
indicati dal chirurgo<br />
dopo l’intervento e ha eseguito<br />
volontariamente una mobilizzazione<br />
attiva della spalla<br />
senza sufficiente tutela esterna;<br />
- necrosi avascolare: la perdita<br />
di vascolarizzazione dell’epifisi<br />
prossimale dell’omero è<br />
legata sia all’interruzione dell’apporto<br />
vascolare da parte<br />
dell’arteria circonflessa anteriore<br />
e della sua diretta prosecuzione,<br />
l’arteria arcuata, sia<br />
alla mancata insorgenza di<br />
perfusione retrograda per<br />
opera del circolo anastomotico<br />
con l’arteria circonflessa posteriore<br />
dell’omero. Tale circolo<br />
anastomotico è sostenuto da<br />
piccoli vasi periostali presenti
6<br />
nella porzione postero-mediale<br />
del collo anatomico che, se<br />
ancora integri, riescono a<br />
mantenere irrorata l’epifisi<br />
prossimale omerale penetrando<br />
nella testa attraverso le<br />
inserzioni della capsula articolare.<br />
La causa di tutto ciò è<br />
solitamente da individuare nel<br />
livello di frattura che, se si<br />
trova anche solo pochi millimetri<br />
al di sopra del collo anatomico,<br />
può interrompere il<br />
predetto circolo anastomotico,<br />
che rappresenta l’unica fonte<br />
di vascolarizzazione residua<br />
dell’epifisi omerale prossimale<br />
dopo la frattura [16, 17];<br />
- difetto di consolidazione: la<br />
perdita dell’anatomia normale<br />
dell’omero prossimale con<br />
consolidazione non ottimale<br />
di una o di entrambe le tuberosità<br />
o della testa omerale. La<br />
causa può essere individuata<br />
in una cattiva riduzione in<br />
corso di intervento oppure in<br />
una perdita della riduzione nei<br />
primi giorni del post-operatorio,<br />
legata a una mancanza di<br />
tenuta nell’osso dei mezzi<br />
metallici di sintesi;<br />
- pseudoartrosi: è l’assenza di<br />
consolidazione del focolaio di<br />
frattura. La causa è solitamente<br />
una osteosintesi instabile<br />
che causa micromovimenti nel<br />
focolaio di frattura, impedendo<br />
di fatto lo sviluppo dei<br />
naturali processi di consolidazione,<br />
oppure una osteosintesi<br />
eseguita dopo una cattiva<br />
riduzione dei frammenti.<br />
Osteosintesi: tecnica chirurgica<br />
Le nuove tecniche chirurgiche<br />
sono volte a limitare al minimo<br />
l’invasività locale e la deperiostizzazione<br />
dei tessuti attorno<br />
alla frattura, nonché la quantità<br />
di metallo, al fine di ridurre al<br />
minimo il danno vascolare iatrogeno.<br />
Posizionamento<br />
Il posizionamento del paziente<br />
sul tavolo operatorio deve prevedere<br />
l’utilizzo dell’amplificatore<br />
di brillanza e le manovre di riduzione.<br />
Noi preferiamo il paziente<br />
in decubito semi-seduto, con la<br />
spalla il più possibile al di fuori<br />
del lettino operatorio.<br />
Via chirurgica<br />
La via chirurgica che utilizziamo<br />
è dedicata al tipo di frattura che<br />
dobbiamo affrontare:<br />
- via transdeltoidea nelle fratture<br />
che coinvolgono soprattutto<br />
la grande tuberosità. In questi<br />
casi utilizziamo una incisione<br />
a spallina con esposizione del<br />
terzo antero-laterale deltoideo<br />
e individuazione del rafe deltoideo<br />
sito tra 1/3 anteriore e<br />
1/3 medio del deltoide stesso.<br />
Una volta individuato palpatoriamente<br />
il margine acromiale<br />
antero-laterale, procediamo<br />
disinserendo il deltoide dall’acromion<br />
sino in prossimità<br />
della articolazione acromionclaveare.<br />
La divaricazione deltoidea<br />
procede per via transdeltoidea<br />
pura, sviluppando<br />
per circa 4-5 cm il rafe deltoideo<br />
in direzione distale, sempre<br />
ricordando che a circa 5<br />
cm dal margine laterale dell’acromion<br />
possiamo incontrare<br />
le fibre del nervo circonflesso<br />
che si sfioccano sul deltoide<br />
proprio nella regione laterale<br />
dello stesso. Nel contempo si<br />
scolla, per via sottoperiostea,<br />
la porzione deltoidea ancora<br />
inserita al massiccio acromiale,<br />
al fine di liberare circa 1 cm<br />
di bordo osseo acromiale per<br />
poi procedere, successivamente,<br />
alla acromionplastica. Tale<br />
via ha il vantaggio di permettere<br />
un’ottima visibilità della<br />
grande tuberosità e una conseguente<br />
buona possibilità di<br />
manovra per poi procedere a<br />
una accurata riduzione;<br />
- via deltoideo-pettorale: nelle<br />
fratture a 4 frammenti, in<br />
quelle a 3 frammenti che coinvolgono<br />
la piccola tuberosità e<br />
nelle fratture che coinvolgono<br />
il collo chirurgico omerale.<br />
Individuiamo in questo caso il<br />
solco-deltoideo pettorale e la<br />
vena cefalica. Tale individuazione,<br />
a volte non immediata,<br />
viene guidata dalla divergenza<br />
della direzione delle fibre del<br />
deltoide rispetto alle fibre del<br />
gran pettorale e dalla presenza<br />
di un segmento costituito da<br />
tessuto adiposo, disposto nella<br />
direzione principale delle fibre<br />
muscolari, al di sotto del quale<br />
generalmente è collocata la<br />
vena cefalica. Se la situazione<br />
locale lo consente, tendiamo a<br />
salvare la vena cefalica, che<br />
divarichiamo lateralmente<br />
prima di sviluppare accuratamente<br />
il solco-deltoideo pettorale<br />
prossimalmente dall’apice<br />
della coracoide e distalmente<br />
sino all’inserzione del gran<br />
pettorale. A questo punto si<br />
isola il margine laterale del<br />
tendine congiunto, che viene<br />
divaricato lateralmente per la<br />
durata dell’intervento. Una<br />
volta individuato il capo lungo<br />
del bicipite riconosciamo le 2<br />
tuberosità.<br />
Riduzione e osteosintesi<br />
Alla base del risultato, infatti, c’è<br />
la ricostruzione anatomica della<br />
frattura. Una volta ottenuta la<br />
riduzione migliore possibile, un<br />
impegno altrettanto arduo è affidato<br />
all’impianto di sintesi che<br />
andremo a posizionare e che ha<br />
il difficile compito di mantenere<br />
tutti i frammenti in situ sino a<br />
che il processo di naturale consolidamento<br />
dell’osso sarà avanzato.<br />
La manovra base della riduzione<br />
è la rotazione del frammento<br />
della testa omerale. Essa avviene<br />
mediante manovre delicate<br />
aventi lo scopo di ricreare un<br />
rapporto ottimale tra la testa<br />
omerale e la glenoide, annullando<br />
quella rotazione in varo o in<br />
valgo che spesso è caratteristica<br />
archivio di<br />
Ortopedia<br />
e Reumatologia<br />
di questo tipo di fratture. Dopo<br />
che tale rotazione ha avuto<br />
luogo, generalmente le due<br />
tuberosità ritrovano spontaneamente<br />
la loro posizione anatomica<br />
al di sotto del frammento di<br />
testa omerale (Fig. 9). A questo<br />
punto, e solamente ora, si può<br />
eseguire una fissazione temporanea<br />
con fili di Kirschner.<br />
L’ottenimento di una riduzione<br />
quanto più vicina possibile a<br />
quella anatomica è un elemento<br />
chiave per garantire che le forze<br />
si scarichino in modo omogeneo<br />
sui frammenti ossei, limitando<br />
così il carico che dovrà sostenere<br />
l’impianto metallico di sintesi<br />
[18]; questa ridistribuzione delle<br />
forze scaricate sull’impianto<br />
riduce il rischio di una scomposizione<br />
secondaria della frattura<br />
legata a un cedimento della<br />
tenuta dell’impianto stesso.<br />
Alcuni Autori hanno studiato in<br />
dettaglio la distribuzione della<br />
densità ossea all’interno dell’epifisi<br />
omerale prossimale per<br />
orientare le viti in una regione a<br />
maggior densità ossea relativa,<br />
aumentandone conseguentemente<br />
la tenuta meccanica. Tale<br />
a<br />
b<br />
c<br />
d<br />
Fig. 9. a-d Disegno schematico della sequenza<br />
ideale di riduzione<br />
regione è stata individuata sul<br />
piano frontale, nella porzione<br />
più craniale della testa omerale,<br />
vicino alla superficie articolare;<br />
sul piano trasversale, invece,<br />
essa corrisponde alla porzione<br />
più posteriore e mediale della<br />
testa omerale.<br />
Infatti Saitoh e coll., nel 1994<br />
[19], attraverso studi fisici strumentali<br />
specifici hanno dimostrato<br />
come l’area dotata della<br />
maggiore densità ossea (Bone<br />
Mass Density) è localizzata nella<br />
porzione superiore della testa<br />
omerale vicino alla cartilagine<br />
articolare.<br />
Attraverso altri sistemi strumentali,<br />
anche Hepp e coll., nel<br />
2003 [20], hanno dimostrato<br />
come la più alta densità trabecolare<br />
all’interno dell’epifisi omerale<br />
prossimale si trovi nella porzione<br />
craniale della testa omerale.<br />
D’altra parte questi Autori<br />
hanno anche trovato che lo spessore<br />
delle trabecole ossee è maggiore<br />
nelle regioni posteriori e<br />
mediali della testa omerale.<br />
Infine Tingart e coll., nel 2003<br />
[21], hanno riscontrato che la<br />
densità ossea trabecolare è più<br />
alta nella porzione più craniale<br />
dell’omero e, in questo ambito,<br />
essa è massima a livello della<br />
porzione articolare posteriore.<br />
Discussione e conclusioni<br />
Gli studi pubblicati sulle fratture<br />
dell’estremo prossimale dell’omero<br />
sono numerosi, ma non<br />
sono omogenei per quanto<br />
riguarda il tipo di classificazione<br />
adottata, il tipo di frattura esaminato,<br />
il tipo di impianto eseguito,<br />
e non ultimo la qualità dell’osso<br />
del paziente pur a parità di<br />
età anagrafica.<br />
La mancanza di omogeneità<br />
nella raccolta dei dati nei lavori<br />
esaminati rende impossibile il<br />
confronto dei risultati ottenuti<br />
dai vari Autori nelle diverse casistiche,<br />
sia per quanto riguarda la<br />
scelta del tipo di sintesi sia per la<br />
scelta tra un trattamento di tipo<br />
conservativo o chirurgico in caso<br />
di fratture a 4 frammenti impattate<br />
in valgo; non siamo a conoscenza<br />
di studi pubblicati in letteratura<br />
che confrontino i due<br />
diversi trattamenti per questo<br />
particolare tipo di frattura.<br />
Björkenheim e coll. [2] hanno<br />
valutato 72 pazienti affetti da<br />
una frattura a 4 parti dell’estremo<br />
prossimale dell’omero e trattati<br />
con placca a stabilità angolare<br />
tipo “Phylos”. Il follow-up è<br />
stato di 1 anno. Mediante la<br />
valutazione proposta da<br />
Constant essi hanno trovato in<br />
36 casi buoni risultati, in 31<br />
discreti e in 5 cattivi. È stata<br />
osservata la presenza di necrosi<br />
avascolare in 3 pazienti (4,16%<br />
dei casi).<br />
Maxwell e coll. [14] hanno valutato<br />
28 spalle affette da fratture a<br />
2 e 3 frammenti trattate esclusivamente<br />
con osteosutura. I risultati<br />
sono stati eccellenti nel 78%<br />
dei casi, soddisfacenti nell’11%<br />
dei casi e scarsi nel restante 11%<br />
dei casi. Non c’è stato alcun caso<br />
di necrosi avascolare in questa<br />
casistica. È stato altresì osservato<br />
che, in tutti i casi in cui i pazienti<br />
erano insoddisfatti, essi non<br />
erano stati in grado di aderire al<br />
protocollo di rieducazione assistita<br />
a causa della sintomatologia<br />
dolorosa.<br />
Le fratture a 4 frammenti impattate<br />
in valgo con cuffia integra<br />
raramente vanno incontro a<br />
necrosi avascolare; infatti l’assenza<br />
di una scomposizione laterale<br />
della testa omerale rispetto<br />
alla diafisi preserva la capsula e il<br />
periostio mediale e il circolo<br />
anastomotico integro garantisce<br />
una perfusione retrograda della<br />
testa omerale, aumentandone<br />
conseguentemente le probabilità<br />
di sopravvivenza.<br />
L’incidenza di necrosi avascolare<br />
in questo tipo di fratture è stato<br />
studiato nel 1991 da Jakob [22],<br />
che ha trovato un’incidenza di<br />
necrosi avascolare pari al 26% su<br />
18 casi.<br />
Resch [17], Autore di una tecnica<br />
personale di riduzione percutanea,<br />
segnalava nel 1995 una<br />
incidenza di necrosi avascolare<br />
pari al 9%.<br />
Una delle complicazioni più frequenti<br />
in questo particolare tipo<br />
di fratture è la perdita di sostanza<br />
ossea. Robinson e coll. [23],<br />
nel 2003, hanno presentato una<br />
casistica di 25 pazienti affetti da<br />
questo tipo di frattura trattati<br />
chirurgicamente mediante<br />
osteosintesi con viti cannulate o<br />
con placche di sostegno. Il difetto<br />
di sostanza ossea è stato colmato<br />
con un sostituto dell’osso:<br />
il “Norian Skeletal Repair<br />
System”. Al controllo dopo uno<br />
e due anni nessun paziente ha<br />
mostrato segni di osteonecrosi.<br />
La percentuale dei pazienti soddisfatti<br />
senza dolore residuo è<br />
stata pari all’84% dei casi, in 3<br />
casi su 25 (12%) è stata riferita la<br />
presenza di lieve dolorabilità<br />
residua. Un caso solo ha riferito<br />
dolore moderato (4%).<br />
Non tutte le necrosi dell’epifisi<br />
prossimale dell’omero sono<br />
dolorose. Ciò è dovuto al fatto<br />
che la necrosi può essere focale,<br />
ossia può interessare solo una<br />
porzione della testa omerale; in<br />
caso di interessamento completo<br />
della testa omerale il paziente<br />
può creare meccanismi di compenso<br />
biomeccanico e fisiologico<br />
tali per cui non accusa dolore<br />
durante il movimento. Gerber,<br />
nel 1998 [24], ha osservato che i<br />
risultati clinici dei pazienti in cui<br />
si è sviluppata una necrosi avascolare<br />
in presenza di buon posizionamento<br />
delle tuberosità<br />
sono sovrapponibili a quelli<br />
ottenuti dai pazienti trattati con<br />
endoprotesi. In un altro studio<br />
di Wijgman del 2002 [25] si evidenzia<br />
come in una casistica di<br />
60 pazienti affetti da fratture a 3<br />
o 4 frammenti trattate chirurgicamente<br />
con fissazione interna,
la percentuale di osteonecrosi sia<br />
stata pari al 37%, ossia 22 casi<br />
su 60. Di questi 22 casi, 15<br />
hanno avuto una necrosi solo<br />
focale e 7 hanno subito un collasso<br />
completo della testa da<br />
necrosi avascolare completa. Se<br />
poi si esaminano i 22 casi di<br />
necrosi avascolare si osserva che<br />
17 pazienti su 22 hanno comunque<br />
un “Constant score” buono<br />
o eccellente e solo 5 su 22 lo<br />
hanno basso (23% del totale<br />
delle necrosi). Tali studi dimostrano<br />
come la necrosi non sempre<br />
comporti un risultato funzionale<br />
negativo.<br />
A oggi il trattamento delle fratture<br />
dell’epifisi prossimale dell’omero<br />
non è stato standardizzato,<br />
ma nuova attenzione è stata<br />
rivolta alla riduzione anatomica<br />
della frattura e all’importanza<br />
della vascolarizzazione, che sono<br />
i due elementi che maggiormente<br />
influenzano i risultati nel<br />
post-operatorio.<br />
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