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Scarica qui l'estratto del romanzo Il Profumo delle foglie di limone

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Alcuni estratti<br />

<strong>del</strong> <strong>romanzo</strong><br />

in ANTEPRIMA


«Un <strong>romanzo</strong> straor<strong>di</strong>nario...<br />

Parla <strong>del</strong>la paura e <strong>del</strong> coraggio,<br />

<strong>del</strong>lo sforzo che si compie per accorgersi<br />

<strong>di</strong> ciò che ci fa paura.»<br />

El Pais<br />

«Scorre come un fiume in piena,<br />

e si va avanti nella lettura spinti dal sospetto,<br />

dalla paura, dalla commozione.»<br />

ABC<br />

«Scuote la coscienza e svela l’orrore<br />

che la normalità cela.»<br />

El Mundo


Julián<br />

IL SOPRAVVISSUTO<br />

Sapevo cosa stava pensando mia figlia mentre mi guardava<br />

preparare la valigia con i suoi occhi scuri penetranti e<br />

un po’ impauriti. Erano come quelli <strong>di</strong> sua madre, mentre<br />

le labbra sottili le aveva prese da me, anche se con il passare<br />

degli anni, facendosi più rotonda, aveva finito per somigliare<br />

sempre <strong>di</strong> più a lei. Quando la paragonavo alle foto<br />

<strong>di</strong> Raquel a cinquant’anni, mi rendevo conto che erano<br />

proprio due gocce d’acqua. Mia figlia pensava che fossi un<br />

vecchio pazzo e senza speranza, ossessionato da un passato<br />

che ormai non importava più a nessuno ma <strong>del</strong> quale non<br />

riuscivo a <strong>di</strong>menticare neppure un giorno, un dettaglio,<br />

una faccia o un nome, anche se si trattava <strong>di</strong> un nome tedesco<br />

lungo e <strong>di</strong>fficile, mentre spesso dovevo sforzarmi<br />

per ricordare il titolo <strong>di</strong> un film visto da poco.<br />

A <strong>di</strong>re il vero, nelle mie con<strong>di</strong>zioni non mi sarebbe mai<br />

saltata in mente una simile follia se non mi fosse arrivata<br />

una lettera <strong>del</strong> mio amico Salvador Castro, detto Salva, che<br />

non avevo più visto da quando avevamo smesso <strong>di</strong> lavorare<br />

per il Centro, messo in pie<strong>di</strong> per dare la caccia agli ufficiali<br />

nazisti sparsi per il mondo.<br />

Quando presi in mano la busta nella mia casa <strong>di</strong> Buenos<br />

Aires e lessi il nome <strong>del</strong> mittente, per poco non ci rimasi<br />

secco. Poi la sorpresa lasciò spazio a un’emozione immensa.<br />

Salvador era uno dei miei, l’unica persona rimasta al<br />

mondo a sapere chi fossi veramente, da dove venissi e <strong>di</strong><br />

cosa fossi capace per non morire e per il contrario. Ci eravamo<br />

conosciuti da giovanissimi in quel corridoio stretto<br />

1


fra la vita e la morte che i credenti chiamano inferno e i<br />

non credenti come me anche. Aveva un nome, si chiamava<br />

Mauthausen, e non riuscivo a credere che l’inferno potesse<br />

essere <strong>di</strong>verso o peggio <strong>di</strong> così.<br />

Nella lettera Salva mi <strong>di</strong>ceva che da qualche anno si era<br />

trasferito in una residenza per anziani ad Alicante in Spagna.<br />

Un posto bello, soleggiato, immerso fra i giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong><br />

aranci e <strong>di</strong> limoni a pochi chilometri dal mare. Salva sapeva<br />

cosa avevo visto e sopportato, e io sapevo cosa aveva visto<br />

lui. Quando eravamo al campo Salva aveva ventitré anni<br />

e io <strong>di</strong>ciotto, fisicamente ero più forte <strong>di</strong> lui. Quando ci<br />

liberarono pesava trentotto chili. Era smilzo, pallido, malinconico<br />

e molto intelligente. A volte dovevo dargli un<br />

boccone <strong>di</strong> quello che là dentro chiamavano cibo, bucce<br />

<strong>di</strong> patate bollite o un tozzo <strong>di</strong> pane ammuffito; e non per<br />

compassione, ma perché avevo bisogno <strong>di</strong> lui per andare<br />

avanti. Ricordo che un giorno gli <strong>di</strong>ssi <strong>di</strong> non capire perché<br />

lottassimo per vivere, sapendo che saremmo morti comunque.<br />

Lui mi rispose che saremmo morti tutti prima o<br />

poi, anche quelli che se ne stavano nelle loro case, seduti<br />

in poltrona con un bicchiere <strong>di</strong> vino e un sigaro in mano.<br />

Per Salva il bicchiere <strong>di</strong> vino e il sigaro rappresentavano la<br />

bella vita a cui tutti gli esseri umani dovrebbero aspirare. E<br />

la felicità consisteva nell’incontrare una ragazza che lo facesse<br />

volare. Credeva anche che tutti gli esseri umani avessero<br />

il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> volare una volta nella vita.<br />

Ci sentivamo maledetti. A sei mesi dalla liberazione, con<br />

un aspetto pietoso che cercavamo <strong>di</strong> nascondere <strong>di</strong>etro a<br />

un vestito e a un cappello, Salva aveva già scoperto che esistevano<br />

varie organizzazioni il cui scopo era localizzare i<br />

nazisti e dar loro la caccia. Lo avremmo fatto anche noi.<br />

Quando ci liberarono, ci arruolammo nel Centro Memoria<br />

e Azione. L’idea fu sua. Quando uscimmo da lì, io volevo<br />

solo essere normale, confondermi tra le persone normali.<br />

Lui però mi <strong>di</strong>sse che era impossibile e che eravamo<br />

condannati a sopravvivere. E aveva ragione: non sono mai<br />

più riuscito a farmi la doccia con la porta chiusa o a tollerare<br />

l’odore <strong>di</strong> urina, neppure <strong>del</strong>la mia.<br />

2


Quando i cancelli si aprirono, io corsi fuori stor<strong>di</strong>to e in<br />

lacrime, mentre Salva uscì con una missione, anche se non<br />

si reggeva in pie<strong>di</strong>. Riuscì a localizzare e a trascinare davanti<br />

ai giu<strong>di</strong>ci novantadue alti ufficiali nazisti; in alcuni<br />

casi invece non potemmo fare altro che sequestrarli, sottoporli<br />

a un processo sommario e giustiziarli. Io non fui abile<br />

come Salva, mi capitò tutto il contrario. Non portai mai<br />

a termine una missione: alla fine li catturava sempre qualcun<br />

altro o riuscivano a scappare. Sembrava che il destino<br />

si prendesse gioco <strong>di</strong> me.<br />

Insieme alla lettera Salva mi mandava il ritaglio <strong>di</strong> un<br />

giornale pubblicato dalla comunità norvegese <strong>del</strong>la Costa<br />

Blanca, su cui compariva la foto dei coniugi Christensen.<br />

Fredrik doveva avere ottantacinque anni e Karin qualcuno<br />

<strong>di</strong> meno. Fu facile riconoscerli perché non avevano ritenuto<br />

necessario cambiare nome. A detta <strong>di</strong> Salva l’articolo<br />

non rivelava niente <strong>di</strong> loro, parlava semplicemente <strong>del</strong>la<br />

festa <strong>di</strong> compleanno che quell’anziano dall’aria rispettabile<br />

aveva organizzato a casa sua invitandovi vari connazionali.<br />

Riconobbi quegli occhi da a<strong>qui</strong>la puntati sulla preda.<br />

Era il genere <strong>di</strong> sguardo che ti resta impresso per tutta<br />

la vita.<br />

UNA RAGAZZA SOSPESA TRA UN AMORE FINITO<br />

E UN NUOVO INIZIO<br />

Sandra<br />

Mia sorella mi aveva lasciato la sua casa al mare perché<br />

potessi riflettere con tran<strong>qui</strong>llità su cosa dovevo fare, se<br />

sposarmi o meno con il padre <strong>di</strong> mio figlio. Ero incinta <strong>di</strong><br />

cinque mesi e ogni giorno ero sempre più confusa sull’opportunità<br />

<strong>di</strong> formare una famiglia, ma era anche vero che<br />

da completa incosciente avevo lasciato il lavoro, in un periodo<br />

in cui sarebbe stato <strong>di</strong>fficile trovarne un altro, e che<br />

3


occuparmi da sola <strong>del</strong> bambino non sarebbe stata certo<br />

una passeggiata. Per il momento era ancora nella mia pancia,<br />

ma poi... Che avrei fatto? Avrei finito per sposarmi per<br />

convenienza? Amavo Santi, ma non quanto sapevo <strong>di</strong> poter<br />

amare. Santi era a un passo, solo a un passo dal grande<br />

amore. Ma poteva anche essere che il grande amore esistesse<br />

solo nella mia testa, come il cielo, l’inferno, il para<strong>di</strong>so,<br />

la terra promessa, Atlantide e tutte quelle cose che<br />

non ve<strong>di</strong>amo e fin dall’inizio sappiamo che non vedremo<br />

mai.<br />

Non avevo voglia <strong>di</strong> prendere decisioni definitive. Mi andava<br />

bene soppesare con calma e senza angosce le varie<br />

possibilità, in quel momento irraggiungibili come le nuvole,<br />

mentre nel frigorifero c’era ancora roba da mangiare,<br />

mio figlio non era ancora uscito da là dentro e non mi<br />

chiedeva ancora niente. Era una situazione tutto sommato<br />

accettabile, che purtroppo sarebbe durata poco perché<br />

mia sorella aveva già trovato un in<strong>qui</strong>lino per il mese <strong>di</strong><br />

novembre.<br />

Era la fine <strong>di</strong> settembre e si poteva ancora fare il bagno<br />

e prendere il sole. Per andare in spiaggia dovevo prendere<br />

un motorino, una Vespa 50 che mia sorella, mio cognato e<br />

i miei nipoti mi avevano raccomandato <strong>di</strong> non parcheggiare<br />

mai senza catena. Dopo aver fatto colazione e innaffiato<br />

le piante (uno dei compiti che mia sorella mi aveva imposto),<br />

infilavo in una borsa <strong>di</strong> plastica <strong>di</strong> una vecchia rivista<br />

pescata da una cesta <strong>di</strong> vimini, una bottiglia d’acqua, il<br />

cappellino e un telo e andavo a sdraiarmi in spiaggia. Sotto<br />

il sole i problemi non esistevano. I turisti erano praticamente<br />

spariti. Incrociavo quasi sempre le stesse persone<br />

sul tragitto che <strong>di</strong> solito percorrevo a passo leggero quando<br />

ero stufa <strong>di</strong> stare stesa: una signora con due cagnolini,<br />

alcuni pescatori seduti accanto alle loro canne tese, un uomo<br />

<strong>di</strong> colore che indossava una djellaba e che evidentemente<br />

non aveva un posto migliore in cui andare, gente<br />

che faceva jogging sulla spiaggia e una coppia <strong>di</strong> pensionati<br />

stranieri sotto un ombrellone a fiori con i quali già mi<br />

scambiavo qualche sorriso cor<strong>di</strong>ale.<br />

4


Fu proprio grazie a loro che quella mattina non persi<br />

conoscenza e non cad<strong>di</strong> lunga <strong>di</strong>stesa sulla sabbia, ma mi<br />

misi solo in ginocchio e vomitai. Faceva troppo caldo, era<br />

uno <strong>di</strong> quei giorni in cui il termometro sale <strong>di</strong> colpo come<br />

se si fosse rotto. <strong>Il</strong> cappellino con la visiera non faceva molta<br />

ombra e avevo <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> portare l’acqua. Avevano<br />

ragione a <strong>di</strong>rmi che ero un <strong>di</strong>sastro. Me lo <strong>di</strong>cevano tutti<br />

quelli che avevano abbastanza confidenza per farlo. Mentre<br />

mi stendevo sul telo mi venne la nausea e tutto iniziò a<br />

girarmi intorno, ma barcollando riuscii ad arrivare al bagnasciuga<br />

per rinfrescarmi. Fu allora che non potei più a<br />

trattenermi e vomitai. Avevo mangiato troppo: da quando<br />

ero rimasta incinta la paura <strong>di</strong> svenire mi spingeva a ingozzarmi<br />

a più non posso. In quel momento la coppia <strong>di</strong> pensionati<br />

stranieri si avvicinò correndo, per quanto possano<br />

correre degli anziani sulla sabbia bollente. Ci misero un’eternità<br />

ad arrivare, mentre io cercavo un appiglio affondando<br />

le <strong>di</strong>ta nella sabbia bagnata che si <strong>di</strong>sfaceva sotto le<br />

mie mani.<br />

Stavo pensando: “Dio mio, non farmi morire”, quando<br />

due mani gran<strong>di</strong> e ossute mi afferrarono. Poi sentii una<br />

frescura d’acqua nella bocca. Una mano mi bagnava la<br />

fronte e mi accarezzava i capelli. Sentivo <strong>del</strong>le parole, strane<br />

e lontane, ma non capivo niente. Mi fecero sedere sulla<br />

sabbia e vi<strong>di</strong> che era la coppia straniera. L’uomo portò<br />

un ombrellone, quello con i fiori gran<strong>di</strong> sotto il quale si<br />

proteggevano sempre dal sole e con cui <strong>del</strong>imitavano il loro<br />

territorio. Evidentemente era più facile portare lì l’ombrellone<br />

che fare il contrario.<br />

«Ti senti bene?» furono le sue prime parole in spagnolo.<br />

Feci cenno <strong>di</strong> sì.<br />

«Possiamo portarti in ospedale.»<br />

«No grazie, non ho <strong>di</strong>gerito la colazione.»<br />

La donna aveva gli occhi piccoli e azzurri e li appuntò<br />

sulla mia pancia che, prominente e rotonda com’era,<br />

spuntava dal costume da bagno. Non aspettai che me lo<br />

chiedesse.<br />

«Sono incinta. A volte il cibo mi fa venire la nausea.»<br />

5


«Adesso riposati», mi <strong>di</strong>sse lei facendomi aria con un<br />

ventaglietto pubblicitario sul quale lessi, un po’ appannate,<br />

le parole Nor<strong>di</strong>c Club.<br />

«Vuoi bere un altro po’?»<br />

Bevvi un altro po’ d’acqua mentre loro mi osservavano<br />

senza sbattere gli occhi, come se mi stessero sorreggendo<br />

con lo sguardo.<br />

Sandra<br />

NUOVI AMICI<br />

<strong>Il</strong> giorno dopo non mi arrischiai ad andare in spiaggia.<br />

Ebbi tutta la giornata per prepararmi un pranzo salutare,<br />

leggere e stare tran<strong>qui</strong>lla. L’albero <strong>di</strong> <strong>limone</strong> e quello <strong>di</strong><br />

arancio davano al piccolo giar<strong>di</strong>no un’aria <strong>di</strong> para<strong>di</strong>so, e<br />

io ero Eva. <strong>Il</strong> para<strong>di</strong>so e io.<br />

Stavo proprio finendo <strong>di</strong> innaffiare le piante al tramonto,<br />

dopo un pisolino, quando sentii il rumore <strong>di</strong> una macchina<br />

che parcheggiava accanto al cancello d’ingresso.<br />

Sentii le portiere che si chiudevano e dei passi lenti e poi li<br />

vi<strong>di</strong>. Erano loro, i due anziani che mi avevano dato una<br />

mano in spiaggia. Sembravano contenti <strong>di</strong> vedermi, e anch’io<br />

lo ero: avevo passato troppo tempo da sola a rimuginare.<br />

Chiusi l’acqua e mi avvicinai a loro.<br />

«Che sorpresa!» esclamai.<br />

«Siamo contenti <strong>di</strong> vedere che ti sei ripresa», <strong>di</strong>sse lui.<br />

Parlavano molto bene lo spagnolo, ma avevano un accento<br />

straniero. Non era inglese, né francese. E non era<br />

neppure tedesco.<br />

«Sì, mi sono riposata, non quasi ho messo il naso fuori<br />

<strong>di</strong> casa.»<br />

Li invitai a entrare e a sedersi sotto il portico.<br />

«Non vogliamo <strong>di</strong>sturbare.»<br />

Servii loro <strong>del</strong> tè in una bella teiera <strong>di</strong> rame che mia so-<br />

6


ella teneva dentro una credenza in stile antico. Non offrii<br />

anche il caffè perché non avevo trovato una caffettiera.<br />

Lo bevvero a piccoli sorsi, mentre io raccontavo che non<br />

ero sicura <strong>di</strong> essere innamorata <strong>del</strong> padre <strong>di</strong> mio figlio e<br />

non volevo iniziare quella nuova tappa <strong>del</strong>la mia vita facendo<br />

una stupidaggine. Mi ascoltavano con grande comprensione<br />

e a me non importava che sapessero tutto <strong>di</strong><br />

me, o perlomeno quello che mi stava più a cuore. Non mi<br />

importava perché erano estranei: era come se stessi parlando<br />

all’aria.<br />

«Dubbi <strong>di</strong> gioventù», <strong>di</strong>sse lui prendendo la mano <strong>di</strong> sua<br />

moglie. Si capiva che l’aveva amata moltissimo e che ora<br />

non poteva stare senza <strong>di</strong> lei. Lei era una sfinge.<br />

Non era un uomo sorridente, però era così educato che<br />

sembrava stesse sorridendo. Era molto magro: gli si vedevano<br />

gli zigomi, il cranio e tutte le altre ossa. Indossava<br />

dei pantaloni estivi grigi e una camicia bianca a mezze maniche:<br />

era proprio un bell’uomo.<br />

«Se vuoi domani possiamo venire a prenderti. Ti porteremo<br />

in spiaggia e poi ti riaccompagneremo», <strong>di</strong>sse lui.<br />

«Per noi sarà un piacere», aggiunse lei sorridendo davvero<br />

con i suoi piccoli occhi azzurri, che forse un tempo<br />

erano stati belli ma adesso non lo erano <strong>di</strong> certo.<br />

Si guardarono parlandosi con gli occhi, poi si lasciarono<br />

la mano per prendere le tazze.<br />

«Verremo alle nove, né troppo presto né troppo tar<strong>di</strong>»,<br />

<strong>di</strong>sse lui e si alzarono.<br />

La donna mi mise la mano sul braccio e me lo afferrò<br />

come se tentasse <strong>di</strong> non farmi scappare.<br />

«Non devi portare niente, penserò a tutto io. Abbiamo<br />

una borsa frigorifero.»<br />

«Fredrik e Karin», <strong>di</strong>sse lui tendendomi la mano.<br />

Io gliela strinsi e poi <strong>di</strong>e<strong>di</strong> un bacio a Karin con un’espressione<br />

allegra e amara allo stesso tempo. Fino a quel<br />

momento non avevo saputo i loro nomi e non me ne ero<br />

neppure resa conto, forse perché fino a quel momento<br />

non mi era importato niente <strong>di</strong> loro ed erano stati dei perfetti<br />

estranei, come dei passanti in strada.<br />

7


«Sandra», feci io.<br />

Non avevo mai conosciuto i miei nonni, erano morti<br />

quando ero piccola. Ora la vita mi ricompensava con quei<br />

due nonni, dei quali non mi sarebbe <strong>di</strong>spiaciuto essere la<br />

nipote preferita o meglio l’unica, la depositaria <strong>di</strong> tutto il<br />

loro affetto e... <strong>di</strong> tutti i loro averi, quei beni favolosi per i<br />

quali non si deve lottare e che non bisogna neppure desiderare,<br />

perché li si ottiene per <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> nascita. Forse ciò<br />

che non mi avevano dato i legami <strong>di</strong> sangue me lo stava<br />

dando il destino.<br />

Julián<br />

FALSE APPARENZE<br />

Uscii e camminai fino alla macchina, respirando l’aria<br />

già piuttosto fresca dei giorni <strong>di</strong> settembre.<br />

Salii fino a Tosalet, incrociando macchine che avevano<br />

più fretta <strong>di</strong> me, sicuramente <strong>di</strong>rette verso qualche posto<br />

<strong>di</strong> lavoro. Dopo neanche un’ora <strong>di</strong> attesa il muso verde<br />

oliva <strong>di</strong> un fuoristrada sbucò dal piccolo fortino <strong>di</strong> Villa<br />

Sol, una specie <strong>di</strong> carro armato alla cui guida si trovava<br />

Fredrik Christensen. Accanto a lui c’era quella che doveva<br />

essere Karin. Mi immisi sulla strada principale <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> loro.<br />

Dopo circa cinque chilometri girammo a destra. Dopo<br />

qualche chilometro, una ragazza uscì da una villetta e salì<br />

in macchina. Proseguirono verso la spiaggia, mentre io<br />

continuavo a tallonarli.<br />

Scesero dall’auto. Era lui, ancora altissimo, magro, con<br />

le spalle larghe, le gambe e le braccia lunghe. Aprì il bagagliaio<br />

e tirò fuori un ombrellone, una borsa frigorifero e<br />

due se<strong>di</strong>e a sdraio. Lei, invece, non l’avrei riconosciuta. <strong>Il</strong><br />

suo corpo sembrava completamente alterato: camminava<br />

senza agilità, era ingrassata e deforme. Indossava un ampio<br />

pren<strong>di</strong>sole rosa aperto sui lati, lui dei pantaloni corti,<br />

8


una camicia abbondante e dei sandali. La ragazza portava<br />

una maglietta sopra il costume da bagno, un cappellino,<br />

l’asciugamano in spalla. Era giovane, doveva avere al massimo<br />

trent’anni; non era né mora né bionda, piuttosto castana,<br />

nonostante una tinta rossa le coprisse parte dei capelli.<br />

Aveva un tatuaggio nero e rosso sulla caviglia che<br />

sembrava una farfalla e un altro sulla schiena, dei caratteri<br />

cinesi o giapponesi, in nero. Una vittima perfetta per i<br />

Christensen. Potevano averla conosciuta in spiaggia e aver<br />

messo gli occhi su <strong>di</strong> lei per succhiarle un po’ <strong>di</strong> sangue<br />

fresco, per succhiarle l’energia, per contagiarsi con la sua<br />

freschezza. La gente in fondo cambia poco, e per Fredrik<br />

ogni suo simile era un essere <strong>di</strong> cui poteva approfittare<br />

per rubargli qualcosa. Non si cambia in due giorni, e<br />

nemmeno in quarant’anni: io nel profondo non ero cambiato.<br />

Cosa poteva sapere quella ragazzina <strong>di</strong> tutto questo? Come<br />

avrebbe potuto intravedere il male in due anziani che<br />

si prendevano cura <strong>di</strong> lei?<br />

Sembravano molto premurosi e gentili con quella ragazza<br />

che non era <strong>del</strong>la loro stessa razza ariana. Vederli fare<br />

<strong>del</strong> bene metteva paura. Agivano come se non fossero<br />

mai stati davvero coscienti <strong>di</strong> aver fatto <strong>del</strong> male. In genere,<br />

nella vita normale, il bene e il male si confondono<br />

spesso, ma a Mauthausen il male era il male. In tutta la<br />

mia vita non sono mai incappato nel bene assoluto, ma<br />

posso <strong>di</strong>re <strong>di</strong> aver visto da dentro il male con la M maiuscola<br />

e la sua forza demolitrice, e in quello non c’era<br />

niente <strong>di</strong> buono. Chiunque avesse visto Fredrik in quel<br />

momento avrebbe pensato: quest’uomo è stato giovane,<br />

ha dovuto lottare, ha lavorato, è andato in pensione e finalmente<br />

si gode il meritato riposo. E non avrebbe mai<br />

immaginato che si sbagliava e che avrebbe continuato a<br />

sbagliarsi ogni volta che avrebbe incontrato un uomo<br />

senz’anima.<br />

9


Sandra<br />

IL VELENO DEL DUBBIO<br />

Io e Julián ci mettemmo in cammino senza sospettare<br />

che a partire da quel momento Villa Sol non sarebbe stata<br />

mai più la stessa, come se all’improvviso si fosse alzato il sipario<br />

<strong>di</strong> un teatro e finalmente ci fosse una storia. Non lo<br />

capii subito, all’inizio non volevo capire, mi spaventai. Julián<br />

era serio. Aveva la fronte aggrottata e lo sguardo triste.<br />

Tirò fuori un ritaglio <strong>di</strong> giornale dalla tasca, forse l’annuncio<br />

<strong>di</strong> un’altra casa in ven<strong>di</strong>ta.<br />

«E sua moglie? Non la vedo mai», <strong>di</strong>ssi avvertendo una<br />

sgradevole tensione nell’aria.<br />

«Mia moglie è morta, non è mai stata <strong>qui</strong>.»<br />

In quel momento pensai che non appena fossimo scesi<br />

dall’auto me lo sarei tolto <strong>di</strong> torno con un calcio nelle palle.<br />

Una sola spinta, pensai, avrebbero potuto buttarlo a<br />

terra, e ci avrebbe messo così tanto a rialzarsi che nel frattempo<br />

avrei potuto correre per chilometri.<br />

«Mi spiace <strong>di</strong> averti mentito,» <strong>di</strong>sse, «ma è stato meglio<br />

così.»<br />

«Non ti capisco», <strong>di</strong>ssi sentendo i suoi occhi su <strong>di</strong> me e<br />

dandogli <strong>del</strong> tu, come lui faceva con me. Non spostavo lo<br />

sguardo dalla strada.<br />

«Non avrei mai voluto coinvolgerti, te lo giuro, ma<br />

quando ti ho conosciuta eri già coinvolta.»<br />

Coinvolta? E in cosa potevo essere coinvolta io, che passavo<br />

la vita fra le piante <strong>del</strong> giar<strong>di</strong>no e gli anziani?<br />

«Credo sia mio dovere <strong>di</strong>rti in che situazione ti trovi.»<br />

Non mi piaceva affatto che qualcuno cercasse <strong>di</strong> manipolarmi<br />

o giocasse con me, per cui alzai la voce più <strong>del</strong> dovuto.<br />

«So già qual è la mia situazione!»<br />

«No, non lo sai», <strong>di</strong>sse lui mentre parcheggiavo.<br />

Con il foglio <strong>del</strong> giornale in mano mi condusse a una<br />

panchina <strong>di</strong> pietra da cui si vedeva il mare.<br />

10


«Come si comportano con te Fredrik e Karin?»<br />

«Fred e Karin?»<br />

«La coppia <strong>di</strong> anziani norvegesi.»<br />

Non avevo la minima idea <strong>di</strong> dove volesse andare a parare<br />

quando gli risposi che si comportavano bene, che erano<br />

gentili, che sapevano rispettare i miei spazi, come facevo<br />

io con i loro. La storia <strong>del</strong>lo spazio lo fece vagamente sorridere.<br />

Non mi piacque che ridesse <strong>di</strong> quel che <strong>di</strong>cevo, mi<br />

fece innervosire.<br />

«Non avrei mai voluto farti vedere questo», <strong>di</strong>sse mostrandomi<br />

il foglio <strong>di</strong> giornale.<br />

Sulla pagina c’era una foto, la foto <strong>di</strong> una coppia. In<br />

quel momento vi<strong>di</strong> solo quello perché mi ero fissata sul<br />

suo sorriso ironico e non mi importava nient’altro.<br />

«Guardala bene, per favore. Non li riconosci?»<br />

«Non so cosa ci sia <strong>di</strong> così <strong>di</strong>vertente nel fatto che rispettino<br />

i miei spazi.»<br />

«È una frase fatta, non ti si ad<strong>di</strong>ce.»<br />

Presi il ritaglio e fissai la foto. Erano... erano Fred e Karin.<br />

Mi concentrai per osservarla meglio.<br />

«Sì, sono loro», <strong>di</strong>sse Julián. «Nazisti, criminali pericolosi.<br />

Fredrik Christensen ha eliminato centinaia <strong>di</strong> ebrei. Capisci<br />

quello che sto <strong>di</strong>cendo?»<br />

Rimasi perplessa. Non sapevo cosa pensare.<br />

«Ne sei sicuro?»<br />

«Sono venuto <strong>qui</strong> per lui. Non voglio che se ne vada all’altro<br />

mondo senza riconoscere le sue colpe, senza pagare<br />

per quello che ha fatto. Forse è l’unico a essere ancora<br />

vivo.»<br />

«Perché lo <strong>di</strong>ci a me? Perché non lo <strong>di</strong>ci alla polizia?»<br />

«Quando sono arrivato <strong>qui</strong> pensavo proprio questo: volevo<br />

rendere pubblica la sua storia e rovinargli la vita, ma<br />

sarebbe stata solo una piccola vendetta. Adesso penso che<br />

potrebbero condurmi ad altre persone. Tu entri ed esci<br />

dalla loro casa, non sospettano <strong>di</strong> te. Se tu non fossi incinta,<br />

se non avessi l’età per essere mia nipote e se io non mi<br />

sentissi un verme a domandartelo, ti chiederei <strong>di</strong> <strong>di</strong>rmi cosa<br />

ve<strong>di</strong> lì.»<br />

11


«Non ho visto nulla <strong>di</strong> speciale, e poi... sono miei amici.»<br />

«Tuoi amici? Te l’ho già detto, non voglio che tu corra<br />

alcun pericolo, ma questo pensiero toglitelo dalla testa: loro<br />

non sono amici <strong>di</strong> nessuno, sono vampiri che si nutrono<br />

<strong>del</strong> sangue altrui. E il tuo sangue li attira, è la loro linfa.<br />

Stai attenta.»<br />

Julián sapeva molto bene dove parlare senza che nessuno<br />

ci vedesse. Sembravamo la tipica coppia formata da un<br />

vecchio e una giovane che se ne sta mezza nascosta fra gli<br />

alberi. Avevo già il numero <strong>del</strong>l’hotel Costa Azul, in cui alloggiava,<br />

nel caso avessi voluto mettermi in contatto con<br />

lui, ma mi <strong>di</strong>sse che non sarei dovuta andarci <strong>di</strong> persona<br />

per nessun motivo, perché era sotto sorveglianza ed era<br />

pericoloso. La cosa più sensata sarebbe stata sparire dalla<br />

vita dei Christensen e dalla sua e tornare alla mia vita <strong>di</strong><br />

sempre. Mi pregò <strong>di</strong> non cadere nella tentazione <strong>di</strong> raccontare<br />

qualcosa ai miei amici nazisti, <strong>di</strong> trattenermi dal<br />

farlo, altrimenti sarebbero stati guai.<br />

«Tieni», <strong>di</strong>sse dandomi la pagina <strong>di</strong> giornale, «guardali<br />

con attenzione.»<br />

La piegai e me la misi in tasca.<br />

Cosa sapevo io <strong>di</strong> Julián? Niente <strong>di</strong> niente. Era apparso<br />

un giorno a casa mia e adesso mi <strong>di</strong>ceva quelle cose così<br />

strane. Avrei potuto credergli perché i nazisti erano esistiti<br />

e tutti sapevano <strong>del</strong>l’esistenza dei neonazisti, gente fissata<br />

con la svastica e cose <strong>del</strong> genere, ma Fred e Karin? Li conoscevo,<br />

Karin mi metteva un cuscino <strong>di</strong>etro la schiena<br />

quando mi sedevo sulla mia poltrona preferita, che era alta<br />

e aveva orecchie e poggiapie<strong>di</strong>. Mi sistemavano la poltrona<br />

accanto al camino anche se era spento, però quando<br />

lo accendevano era molto piacevole. Fred non parlava<br />

molto, quando c’era si limitava a uscire per comprare pasticcini<br />

e a servirci il tè: era Karin che si faceva carico <strong>del</strong><br />

gruppo. Karin mi stava insegnando a lavorare a maglia e a<br />

volte Fred riceveva qualche visita e restava un bel po’ a<br />

parlare con i suoi ospiti. Cosa c’era <strong>di</strong> strano in tutto questo?<br />

Julián mi aveva instillato il veleno <strong>del</strong> dubbio. Aveva<br />

appena finito <strong>di</strong> raccontarmi cose terribili sul conto dei<br />

12


miei amici. Mi aveva detto che l’infermiera Karin era una<br />

criminale senza scrupoli, che aveva contribuito a uccidere<br />

centinaia <strong>di</strong> persone per mettersi in luce accanto a suo marito,<br />

decorato dal Führer in persona. «Hai idea <strong>di</strong> quanto<br />

devi uccidere per meritarti una croce d’oro?» Mi aveva obbligato<br />

a dubitare <strong>di</strong> Fred e <strong>di</strong> Karin e a dubitare <strong>di</strong> lui.<br />

Non era più il vecchio bonario con il cappello bianco che<br />

parlava sempre <strong>di</strong> sua moglie: ora non sapevo più chi fosse.<br />

Poteva darsi che sua moglie fosse esistita davvero ma<br />

anche no. Poteva darsi che non volesse affittare la casa.<br />

Non mi piaceva che si fosse preso gioco <strong>di</strong> me. Almeno i<br />

norvegesi non avevano mentito, forse non mi avevano detto<br />

la verità, <strong>di</strong> certo non mi avevano raccontato la loro vita<br />

– il che, trattandosi <strong>di</strong> ultraottantenni, non era affatto normale<br />

–, ma in quel momento le informazioni che avevo<br />

sul loro conto erano esclusivamente frutto <strong>di</strong> ciò che avevo<br />

visto e sentito e <strong>del</strong>le mie conclusioni.<br />

Decisi <strong>di</strong> non <strong>di</strong>scutere con lui. La cosa più sensata sarebbe<br />

stata non chiedere e non sapere altro. Accompagnare<br />

in paese quello strano personaggio e, una volta arrivata<br />

lì, tornare da Karin.<br />

Ma se fosse stata la verità?<br />

© 2010, Garzanti Libri s.p.a., Milano<br />

Gruppo e<strong>di</strong>toriale Mauri Spagnol<br />

© Clara Sánchez, 2010<br />

© E<strong>di</strong>ciones Destino, S.A., 2010<br />

Titolo originale <strong>del</strong>l’opera:<br />

Lo que esconde tu nombre<br />

Traduzione dallo spagnolo <strong>di</strong><br />

Enrica Budetta<br />

13


ALCUNI DEI TANTI COMMENTI ENTUSIASTICI<br />

DELLE LETTRICI E DEI LETTORI<br />

Una storia in cui ci si immerge fin dalle prime pagine.<br />

L’ho letto tutto d’un fiato.<br />

Ana Estevez, su Literalia<br />

Un bel <strong>romanzo</strong> narrato in prima persona,<br />

maestoso e profondo. Mi ha incantata.<br />

Rocio, su Blog de libros<br />

Un libro bellissimo che riesce a creare<br />

un’atmosfera evocativa, forse non sempre verosimile,<br />

ma senz’altro molto avvolgente.<br />

Carmen, su Lettrice Blog de libros<br />

<strong>Il</strong> ritmo incalzante <strong>del</strong>la narrazione mantiene<br />

la tensione alta durante tutta la lettura. Avvincente.<br />

Julio Mendez, su Literalia


IN LIBRERIA<br />

IL 13 GENNAIO 2011<br />

Apri il lettore QR-Code sul tuo cellulare, inquadra il co<strong>di</strong>ce<br />

con la fotocamera e guarda il booktrailer.<br />

<strong>Il</strong> software per leggere i co<strong>di</strong>ci QR funziona su tutti i cellulari<br />

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- inviando un sms con la scritta “GEMS” al numero 349 2410601<br />

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