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fessura del<strong>la</strong> porta in camera sua, «hai intenzione di aprire?<br />
Sembra quasi che vogliano buttar<strong>la</strong> giù.»<br />
Nostra madre girò <strong>la</strong> testa e vide me e Jonas che facevamo<br />
capolino dalle rispettive stanze. Abbozzò un sorriso. «Sì, tesoro.<br />
Adesso vado ad aprire. Non <strong>la</strong>scerò che buttino giù <strong>la</strong><br />
nostra porta.»<br />
I tacchi delle sue scarpe echeggiarono lungo il parquet del<br />
corridoio e <strong>la</strong> gonna lunga e leggera le ondeggiò sulle caviglie.<br />
La mamma era elegante e bel<strong>la</strong>, anzi, bellissima, con un<br />
sorriso insolitamente aperto che illuminava ogni cosa intorno<br />
a lei. Io ero fortunata ad avere i suoi capelli color miele e i<br />
suoi luminosi occhi azzurri. Jonas aveva il suo sorriso.<br />
Dal pianerottolo tuonarono voci imperiose.<br />
«L’nkvd!» sussurrò Jonas impallidendo. «Tadas ha detto<br />
che hanno portato via i suoi vicini su un camion. Stanno<br />
arrestando <strong>la</strong> gente.»<br />
«No, non qui», risposi. La polizia segreta sovietica non aveva<br />
motivo di interessarsi a noi. Andai in fondo al corridoio per<br />
ascoltare e guardai di nascosto oltre l’angolo. Jonas aveva<br />
ragione. Tre agenti dell’nkvd avevano circondato <strong>la</strong> mamma.<br />
Portavano berretti blu con un bordo rosso, su cui spiccava una<br />
stel<strong>la</strong> dorata. Un agente alto aveva in mano i nostri passaporti.<br />
«Ci serve più tempo. Saremo pronti domattina», disse <strong>la</strong><br />
mamma.<br />
«Venti minuti... o non vivrete abbastanza da arrivare a<br />
domattina», minacciò l’agente.<br />
«Per favore, abbassate <strong>la</strong> voce. Ho dei figli», sussurrò <strong>la</strong><br />
mamma.<br />
«Venti minuti», gridò l’agente. Buttò <strong>la</strong> sigaretta accesa<br />
sul pavimento pulito del nostro soggiorno e <strong>la</strong> schiacciò sul<br />
legno con lo stivale.<br />
Stavamo per diventare sigarette.<br />
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