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sistemarsi i riccioli scompigliati e mettersi il cappello. L’agente<br />
dell’nkvd <strong>la</strong> colpì sul<strong>la</strong> spal<strong>la</strong> con il calcio del fucile, buttando<strong>la</strong><br />
con <strong>la</strong> faccia contro lo specchio.<br />
«Porci borghesi, sempre a perdere tempo. Non le servirà<br />
quel cappello», <strong>la</strong> derise.<br />
La mamma si raddrizzò e ritrovò l’equilibrio, poi si lisciò <strong>la</strong><br />
gonna e aggiustò il cappello. «Mi scusi», disse in tono dimesso<br />
all’agente prima di sistemarsi di nuovo i riccioli e infi<strong>la</strong>rsi lo<br />
spillone di madreper<strong>la</strong> nel cappello.<br />
«Mi scusi»? Aveva detto proprio così? Quegli uomini fanno<br />
irruzione di notte in casa nostra, <strong>la</strong> sbattono contro lo specchio...<br />
e lei li supplica di «scusar<strong>la</strong>»? A quel punto <strong>la</strong> mamma<br />
allungò <strong>la</strong> mano per prendere il lungo cappotto grigio, e di<br />
colpo capii. Stava giocando con gli agenti del<strong>la</strong> polizia sovietica<br />
una delicata partita a carte, senza sapere quale mano<br />
sarebbe stata distribuita in seguito. La rividi nel<strong>la</strong> mia mente<br />
cucire gioielli, documenti, argento e altri valori nel<strong>la</strong> fodera<br />
di quel cappotto.<br />
«Devo andare in bagno», annunciai nel tentativo di distogliere<br />
l’attenzione da mia madre e dal cappotto.<br />
«Hai trenta secondi.»<br />
Chiusi <strong>la</strong> porta del bagno e mi guardai allo specchio. Non<br />
avevo idea di quanto in fretta sarebbe cambiato il mio viso,<br />
sfiorendo. Se l’avessi saputo, avrei fissato più a lungo il mio<br />
riflesso, cercando di memorizzarlo. Era l’ultima volta, per più<br />
di dieci anni, in cui mi sarei guardata in uno specchio vero.<br />
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