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Avevano spento anche la luna - Il Circolo

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Ruta SepetyS<br />

<strong>Avevano</strong> <strong>spento</strong><br />

<strong>anche</strong> <strong>la</strong> <strong>luna</strong><br />

Romanzo


«<strong>Avevano</strong> <strong>spento</strong> <strong>anche</strong> <strong>la</strong> <strong>luna</strong> è un romanzo duro e<br />

poetico al tempo stesso. Un’opportunità per colmare un<br />

vuoto troppo a lungo dimenticato.»<br />

The Wall Street Journal<br />

«Pochi libri sono ben scritti, pochissimi sono importanti,<br />

questo romanzo è entrambe le cose.»<br />

The Washington Post<br />

«I commenti entusiastici dei librai dimostrano <strong>la</strong> potenza<br />

di questo romanzo.»<br />

Publishers Weekly<br />

«Morirono più di venti milioni di persone. Ma c’è<br />

ancora chi nega questa realtà. Ruta Sepetys, figlia di un<br />

rifugiato lituano, dimostra che <strong>la</strong> verità è un’altra. Commovente.<br />

Un romanzo importante, che merita il maggior<br />

pubblico possibile.»<br />

Booklist<br />

813576


Lina ha appena compiuto quindici anni<br />

quando scopre che basta una notte, una<br />

so<strong>la</strong>, per cambiare il corso di tutta una<br />

vita. Quando arrivano quegli uomini e<br />

<strong>la</strong> costringono ad abbandonare tutto. E<br />

a ricordarle chi è, chi era, le rimangono<br />

soltanto una camicia da notte, qualche<br />

disegno e <strong>la</strong> sua innocenza. È il 14 giugno<br />

del 1941 quando <strong>la</strong> polizia sovietica irrompe<br />

con violenza in casa sua, in Lituania.<br />

Lina, figlia del rettore dell’università,<br />

è sul<strong>la</strong> lista nera, insieme alle famiglie<br />

di molti altri scrittori, professori, dottori.<br />

Sono colpevoli di un solo reato, quello<br />

di esistere. Verrà deportata. Insieme al<strong>la</strong><br />

madre e al fratellino viene ammassata<br />

con centinaia di persone su un treno<br />

e inizia un viaggio senza ritorno tra le<br />

steppe russe. Settimane di fame e di sete.<br />

Fino all’arrivo in Siberia, in un campo di<br />

<strong>la</strong>voro dove tutto è grigio, dove regna il<br />

buio, dove il freddo uccide, sussurrando.<br />

E dove non resta niente, se non <strong>la</strong> polvere<br />

del<strong>la</strong> terra che i deportati sono costretti a<br />

scavare, giorno dopo giorno.<br />

Ma c’è qualcosa che non possono togliere<br />

a Lina. La sua dignità. La sua forza.<br />

La luce nei suoi occhi. E il suo coraggio.<br />

Quando non è costretta a <strong>la</strong>vorare, Lina<br />

disegna. Documenta tutto. Deve riuscire<br />

a far giungere i disegni al campo di prigionia<br />

del padre. È l’unico modo, se c’è,<br />

per salvarsi. Per gridare che sono ancora<br />

vivi. Lina si batte per <strong>la</strong> propria vita, decisa<br />

a non consegnare <strong>la</strong> sua paura alle<br />

guardie, giurando che, se riuscirà a sopravvivere,<br />

onererà per mezzo dell’arte e<br />

del<strong>la</strong> scrittura <strong>la</strong> sua famiglia e le migliaia<br />

di famiglie sepolte in Siberia.<br />

Ispirato a una storia vera, <strong>Avevano</strong> <strong>spento</strong><br />

<strong>anche</strong> <strong>la</strong> <strong>luna</strong> spezza il silenzio su uno<br />

dei più terribili genocidi del<strong>la</strong> storia, le<br />

deportazioni dai paesi baltici nei gu<strong>la</strong>g<br />

staliniani. Venduto in ventotto paesi, appena<br />

uscito in America è balzato in testa<br />

Segue sull’altro risvolto


alle c<strong>la</strong>ssifiche del «New York Times».<br />

Definito all’unanimità da librai, lettori,<br />

giornalisti e insegnanti un romanzo importante<br />

e potente, racconta una storia<br />

unica e sconvolgente, che strappa il respiro<br />

e rive<strong>la</strong> <strong>la</strong> natura miracolosa dello<br />

spirito umano, capace di sopravvivere e<br />

continuare a lottare <strong>anche</strong> quando tutto<br />

è perso.<br />

Ruta Sepetys è nata in Michigan, da<br />

una famiglia di rifugiati lituani. Non ha<br />

mai dimenticato le sue origini e <strong>la</strong> storia<br />

del<strong>la</strong> sua famiglia. Per questo è andata<br />

in Lituania, nel tentativo di recuperare<br />

<strong>la</strong> memoria paterna. Per scrivere <strong>Avevano</strong><br />

<strong>spento</strong> <strong>anche</strong> <strong>la</strong> <strong>luna</strong> le ricerche sono<br />

state impegnative e l’hanno portata a visitare<br />

i campi di <strong>la</strong>voro in Siberia e a conoscere<br />

storici e tantissimi sopravvissuti,<br />

che l’hanno aiutata a descrivere i partico<strong>la</strong>ri<br />

più importanti di quel passato di<br />

atrocità.<br />

In copertina:<br />

<strong>Il</strong>lustrazione di ushadesign


1.<br />

Mi portarono via in camicia da notte.<br />

Ripensandoci, i segnali c’erano tutti: foto di famiglia bruciate<br />

nel camino, <strong>la</strong> mamma che nel cuore del<strong>la</strong> notte cuciva<br />

l’argenteria e i gioielli più belli nel<strong>la</strong> fodera del suo cappotto<br />

e il papà che non tornava dal <strong>la</strong>voro. <strong>Il</strong> mio fratellino, Jonas,<br />

continuava a fare domande. Anch’io ne facevo, ma forse mi<br />

rifiutavo di riconoscere i segnali. Solo più tardi mi resi conto<br />

che <strong>la</strong> mamma e il papà intendevano scappare con noi. Ma<br />

non scappammo.<br />

Fummo portati via.<br />

14 giugno 1941. Mi ero messa <strong>la</strong> camicia da notte e mi ero<br />

seduta al<strong>la</strong> scrivania per scrivere una lettera a mia cugina Joana.<br />

Aprii un nuovo blocco di carta avoriata e un astuccio di<br />

penne e matite, un regalo del<strong>la</strong> zia per il mio quindicesimo<br />

compleanno.<br />

La brezza serale entrava dal<strong>la</strong> finestra aperta e fluttuava<br />

sul<strong>la</strong> scrivania, facendo danzare le tende. Sentivo il profumo<br />

del mughetto che io e <strong>la</strong> mamma avevamo piantato due anni<br />

prima. «Cara Joana.»<br />

Non fu un bussare. Fu un rimbombo cupo e insistente<br />

che mi fece sobbalzare sul<strong>la</strong> sedia. Dei pugni battevano sul<strong>la</strong><br />

nostra porta d’ingresso. Dentro casa, nessuno si mosse. Io<br />

mi alzai dal<strong>la</strong> scrivania e sbirciai in corridoio. Mia madre era<br />

appiattita contro <strong>la</strong> parete, di fronte al<strong>la</strong> carta del<strong>la</strong> Lituania<br />

incorniciata, con gli occhi chiusi e il viso tirato da un’angoscia<br />

che non vi avevo mai visto prima. Stava pregando.<br />

«Mamma», disse Jonas, un solo occhio visibile attraverso <strong>la</strong><br />

15


fessura del<strong>la</strong> porta in camera sua, «hai intenzione di aprire?<br />

Sembra quasi che vogliano buttar<strong>la</strong> giù.»<br />

Nostra madre girò <strong>la</strong> testa e vide me e Jonas che facevamo<br />

capolino dalle rispettive stanze. Abbozzò un sorriso. «Sì, tesoro.<br />

Adesso vado ad aprire. Non <strong>la</strong>scerò che buttino giù <strong>la</strong><br />

nostra porta.»<br />

I tacchi delle sue scarpe echeggiarono lungo il parquet del<br />

corridoio e <strong>la</strong> gonna lunga e leggera le ondeggiò sulle caviglie.<br />

La mamma era elegante e bel<strong>la</strong>, anzi, bellissima, con un<br />

sorriso insolitamente aperto che illuminava ogni cosa intorno<br />

a lei. Io ero fortunata ad avere i suoi capelli color miele e i<br />

suoi luminosi occhi azzurri. Jonas aveva il suo sorriso.<br />

Dal pianerottolo tuonarono voci imperiose.<br />

«L’nkvd!» sussurrò Jonas impallidendo. «Tadas ha detto<br />

che hanno portato via i suoi vicini su un camion. Stanno<br />

arrestando <strong>la</strong> gente.»<br />

«No, non qui», risposi. La polizia segreta sovietica non aveva<br />

motivo di interessarsi a noi. Andai in fondo al corridoio per<br />

ascoltare e guardai di nascosto oltre l’angolo. Jonas aveva<br />

ragione. Tre agenti dell’nkvd avevano circondato <strong>la</strong> mamma.<br />

Portavano berretti blu con un bordo rosso, su cui spiccava una<br />

stel<strong>la</strong> dorata. Un agente alto aveva in mano i nostri passaporti.<br />

«Ci serve più tempo. Saremo pronti domattina», disse <strong>la</strong><br />

mamma.<br />

«Venti minuti... o non vivrete abbastanza da arrivare a<br />

domattina», minacciò l’agente.<br />

«Per favore, abbassate <strong>la</strong> voce. Ho dei figli», sussurrò <strong>la</strong><br />

mamma.<br />

«Venti minuti», gridò l’agente. Buttò <strong>la</strong> sigaretta accesa<br />

sul pavimento pulito del nostro soggiorno e <strong>la</strong> schiacciò sul<br />

legno con lo stivale.<br />

Stavamo per diventare sigarette.<br />

16


2.<br />

Volevano arrestarci? Dov’era il papà? Corsi nel<strong>la</strong> mia stanza.<br />

Sul davanzale del<strong>la</strong> finestra era comparsa una pagnotta<br />

appena sfornata, con una grossa mazzetta di rubli infi<strong>la</strong>ta<br />

sotto. La mamma arrivò sul<strong>la</strong> soglia con Jonas che <strong>la</strong> seguiva,<br />

standole attaccato.<br />

«Ma, mamma, dove andremo? Che cosa abbiamo fatto?»<br />

chiedeva lui.<br />

«È un equivoco. Lina, hai sentito? Dobbiamo fare in fretta<br />

e prendere tutto ciò che è utile, <strong>anche</strong> se non ci siamo necessariamente<br />

affezionati. Avete capito? Lina! I vestiti e le scarpe<br />

devono essere <strong>la</strong> nostra priorità. Cercate di infi<strong>la</strong>re tutto<br />

quello che riuscite in una so<strong>la</strong> valigia.» La mamma guardò<br />

verso <strong>la</strong> finestra. Si affrettò a far scivo<strong>la</strong>re il pane e il denaro<br />

sul<strong>la</strong> scrivania e chiuse di scatto le tende. «Promettetemi che<br />

se qualcuno cercherà di aiutarvi lo ignorerete. Sistemeremo<br />

da soli <strong>la</strong> faccenda. Non dobbiamo trascinare parenti e amici<br />

in questo malinteso, capite? Anche se vi chiameranno a voce<br />

alta, voi non dovete rispondere.»<br />

«Ci arresteranno?» chiese Jonas.<br />

«Promettetemelo!»<br />

«Te lo prometto», disse piano Jonas. «Ma dov’è il papà?»<br />

La mamma rimase zitta un attimo, battendo le palpebre<br />

rapidamente. «Lui ci verrà incontro. Abbiamo venti minuti.<br />

Raccogliete le vostre cose. Subito!»<br />

La camera cominciò a girare. La voce del<strong>la</strong> mamma mi<br />

riecheggiava in testa. «Subito. Subito!» Che cosa stava succedendo?<br />

I rumori del mio fratellino di dieci anni che correva<br />

in giro per <strong>la</strong> sua stanza mi fecero scattare qualcosa dentro.<br />

17


Tirai fuori con uno strattone <strong>la</strong> mia valigia dall’armadio e <strong>la</strong><br />

aprii sul letto.<br />

Esattamente un anno prima, i sovietici avevano cominciato<br />

a trasferire truppe oltre il confine, nel nostro paese. Poi, in<br />

agosto, <strong>la</strong> Lituania era stata ufficialmente annessa all’Unione<br />

Sovietica. Una volta che mi ero <strong>la</strong>mentata a cena, il papà mi<br />

aveva sgridato dicendomi di non dire mai e poi mai qualcosa<br />

di negativo sui sovietici. Mi aveva mandato in castigo in camera<br />

mia. Dopo quel<strong>la</strong> volta non dissi più niente ad alta voce. Ma<br />

ci pensavo molto.<br />

«Le scarpe, Jonas, calze di scorta, un cappotto!» sentivo <strong>la</strong><br />

mamma gridare dal corridoio. Presi dal<strong>la</strong> menso<strong>la</strong> una foto<br />

del<strong>la</strong> nostra famiglia e misi <strong>la</strong> cornice d’oro a faccia in su<br />

nel<strong>la</strong> valigia vuota. I volti mi guardarono, felici, ignari. Era<br />

<strong>la</strong> Pasqua di due anni prima. La nonna era ancora viva. Se<br />

davvero stavamo andando in prigione, volevo portar<strong>la</strong> con<br />

me. Ma non era possibile che ci mettessero in prigione. Non<br />

avevamo fatto niente di male.<br />

Colpi e rumori secchi esplodevano in tutta <strong>la</strong> casa.<br />

«Lina», disse <strong>la</strong> mamma precipitandosi in camera mia, con<br />

le braccia cariche. «Sbrigati!» Spa<strong>la</strong>ncò l’armadio e i cassetti,<br />

tirò fuori freneticamente le mie cose e le gettò al<strong>la</strong> rinfusa<br />

in valigia.<br />

«Mamma, non riesco a trovare il mio album da disegno.<br />

Dov’è?» le chiesi in preda al panico.<br />

«Non lo so. Ne compreremo uno nuovo. Metti via i tuoi<br />

vestiti. Svelta!»<br />

Jonas corse nel<strong>la</strong> mia stanza. Si era vestito per andare a<br />

scuo<strong>la</strong>, con <strong>la</strong> divisa e il cravattino, e teneva in mano <strong>la</strong> cartel<strong>la</strong>.<br />

I capelli biondi erano accuratamente pettinati con <strong>la</strong> riga da<br />

parte. «Sono pronto, mamma», disse con <strong>la</strong> voce che tremava.<br />

«N-no!» balbettò lei, rimanendo senza fiato al<strong>la</strong> vista di<br />

Jonas con <strong>la</strong> divisa del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> privata. Fece un respiro forzato<br />

e abbassò <strong>la</strong> voce. «No, tesoro, <strong>la</strong> valigia. Vieni con me.»<br />

Lo afferrò per un braccio. «Lina, mettiti le scarpe e le calze.<br />

Svelta!» Prima di correre nel<strong>la</strong> stanza di Jonas mi gettò il<br />

soprabito estivo e io lo indossai.<br />

Infi<strong>la</strong>i i sandali e presi due libri, i nastri per i capelli e <strong>la</strong><br />

18


spazzo<strong>la</strong>. Dov’era finito il mio album da disegno? Afferrai<br />

dal<strong>la</strong> scrivania il blocco di carta avoriata, l’astuccio di penne<br />

e matite, il rotolo di rubli e li sistemai fra i mucchi di roba che<br />

avevamo buttato in valigia. Chiusi le serrature a scatto e corsi<br />

fuori dal<strong>la</strong> camera, le tende che si gonfiavano e sbattevano<br />

sul<strong>la</strong> pagnotta fresca rimasta sul<strong>la</strong> scrivania.<br />

Vidi il mio riflesso nel<strong>la</strong> porta a vetri del<strong>la</strong> panetteria e mi soffermai<br />

un momento. Avevo una macchia di vernice verde sul mento.<br />

La grattai via e spinsi <strong>la</strong> porta. Un campanello squillò sopra <strong>la</strong> mia<br />

testa. <strong>Il</strong> negozio era caldo e profumava di lievito.<br />

«Lina, che bello vederti.» La donna si precipitò al bancone per<br />

servirmi. «Che cosa ti posso dare?»<br />

La conoscevo? «Mi scusi, io non...»<br />

«Mio marito è professore all’università. Lavora per tuo padre»,<br />

mi spiegò. «Ti ho visto in città con i tuoi genitori.»<br />

Annuii. «Mia madre mi ha chiesto di comprare una pagnotta»,<br />

le dissi.<br />

«Certo», rispose <strong>la</strong> donna dandosi da fare dietro il bancone. Avvolse<br />

una pagnotta tonda nel<strong>la</strong> carta marrone e me <strong>la</strong> porse.<br />

Quando allungai i soldi, lei scosse <strong>la</strong> testa.<br />

«Ti prego», sussurrò <strong>la</strong> donna, «non potremo mai sdebitarci,<br />

davvero.»<br />

«Non capisco.» Allungai verso di lei <strong>la</strong> mano con le monete. Mi<br />

ignorò.<br />

<strong>Il</strong> campanello tintinnò e qualcuno entrò nel negozio. «Salutaci<br />

tanto i tuoi genitori», si raccomandò <strong>la</strong> donna prima di servire<br />

l’altro cliente.<br />

Più tardi, quel<strong>la</strong> sera, chiesi al papà chiarimenti sul pane.<br />

«È stato molto gentile da parte sua, però non era il caso», disse lui.<br />

«Ma cosa hai fatto?» gli domandai.<br />

«Niente, Lina. Hai finito i compiti?»<br />

«Ma devi aver fatto qualcosa per meritarti il pane gratis», insistetti.<br />

«Non mi merito niente. Si sta dal<strong>la</strong> parte del giusto, Lina, senza<br />

aspettarsi gratitudine né ricompense. Adesso va’ a finire i compiti.»<br />

19


3.<br />

La mamma riempì una valigia altrettanto grande per Jonas.<br />

Lo faceva sembrare ancora più minuscolo di quel che<br />

era e lui doveva regger<strong>la</strong> con entrambe le mani, piegandosi<br />

all’indietro per sollevar<strong>la</strong> da terra. Non si <strong>la</strong>mentò del peso<br />

né chiese aiuto.<br />

<strong>Il</strong> rumore di vetri e ceramiche infranti risuonava dolente<br />

nell’appartamento a intervalli rapidi. Trovammo nostra madre<br />

in tinello che gettava per terra <strong>la</strong> cristalleria e le porcel<strong>la</strong>ne<br />

più belle. Aveva <strong>la</strong> faccia lucida di sudore e i riccioli biondi<br />

le ricadevano liberi sugli occhi.<br />

«No, mamma!» gridò Jonas correndo verso i cocci rotti che<br />

si ammucchiavano sul pavimento.<br />

Io lo tirai indietro prima che toccasse i vetri. «Mamma,<br />

perché stai rompendo il tuo servizio bello?»<br />

Lei si fermò e fissò <strong>la</strong> tazza di porcel<strong>la</strong>na che teneva in mano.<br />

«Perché ci sono troppo affezionata.» La scagliò per terra,<br />

senza nemmeno soffermarsi a guardar<strong>la</strong> rompersi prima di<br />

prenderne un’altra.<br />

Jonas si mise a piangere.<br />

«Non piangere, tesoro. Ne prenderemo di più belle.»<br />

La porta si spa<strong>la</strong>ncò di scatto e tre agenti dell’nkvd entrarono<br />

in casa impugnando fucili a baionetta. «Che cosa è<br />

successo qui?» chiese un agente alto, esaminando i danni.<br />

«È stato un incidente», rispose <strong>la</strong> mamma calma.<br />

«Lei ha distrutto delle proprietà sovietiche», tuonò lui.<br />

Jonas si tirò vicino <strong>la</strong> valigia, per paura che <strong>anche</strong> quel<strong>la</strong><br />

potesse diventare da un minuto all’altro proprietà sovietica.<br />

La mamma si guardò nello specchio dell’anticamera per<br />

20


sistemarsi i riccioli scompigliati e mettersi il cappello. L’agente<br />

dell’nkvd <strong>la</strong> colpì sul<strong>la</strong> spal<strong>la</strong> con il calcio del fucile, buttando<strong>la</strong><br />

con <strong>la</strong> faccia contro lo specchio.<br />

«Porci borghesi, sempre a perdere tempo. Non le servirà<br />

quel cappello», <strong>la</strong> derise.<br />

La mamma si raddrizzò e ritrovò l’equilibrio, poi si lisciò <strong>la</strong><br />

gonna e aggiustò il cappello. «Mi scusi», disse in tono dimesso<br />

all’agente prima di sistemarsi di nuovo i riccioli e infi<strong>la</strong>rsi lo<br />

spillone di madreper<strong>la</strong> nel cappello.<br />

«Mi scusi»? Aveva detto proprio così? Quegli uomini fanno<br />

irruzione di notte in casa nostra, <strong>la</strong> sbattono contro lo specchio...<br />

e lei li supplica di «scusar<strong>la</strong>»? A quel punto <strong>la</strong> mamma<br />

allungò <strong>la</strong> mano per prendere il lungo cappotto grigio, e di<br />

colpo capii. Stava giocando con gli agenti del<strong>la</strong> polizia sovietica<br />

una delicata partita a carte, senza sapere quale mano<br />

sarebbe stata distribuita in seguito. La rividi nel<strong>la</strong> mia mente<br />

cucire gioielli, documenti, argento e altri valori nel<strong>la</strong> fodera<br />

di quel cappotto.<br />

«Devo andare in bagno», annunciai nel tentativo di distogliere<br />

l’attenzione da mia madre e dal cappotto.<br />

«Hai trenta secondi.»<br />

Chiusi <strong>la</strong> porta del bagno e mi guardai allo specchio. Non<br />

avevo idea di quanto in fretta sarebbe cambiato il mio viso,<br />

sfiorendo. Se l’avessi saputo, avrei fissato più a lungo il mio<br />

riflesso, cercando di memorizzarlo. Era l’ultima volta, per più<br />

di dieci anni, in cui mi sarei guardata in uno specchio vero.<br />

21


4.<br />

I <strong>la</strong>mpioni in strada erano spenti ed era quasi buio pesto.<br />

Gli agenti marciavano dietro di noi, obbligandoci a tenere il<br />

loro passo. Vidi <strong>la</strong> signora Raskunas sbirciare da dietro le tendine.<br />

Nell’attimo in cui si accorse che <strong>la</strong> guardavo, scomparve.<br />

La mamma mi diede un colpetto al braccio per farmi capire<br />

che dovevo tenere <strong>la</strong> testa bassa. Jonas si stava affannando a<br />

portare <strong>la</strong> sua valigia, che gli batteva sui polpacci.<br />

«Davai!» ordinò un agente. Sbrigarsi, sempre sbrigarsi.<br />

Avanzammo fino all’incrocio, verso una grossa sagoma<br />

scura. Era un camion, circondato da altri agenti dell’nkvd.<br />

Mentre ci avvicinavamo al retro del veicolo, vidi che dentro<br />

c’erano delle persone sedute sulle loro valigie.<br />

«Spingimi su prima che lo facciano loro», si affrettò a sussurrarmi<br />

mia madre: non voleva che un soldato le toccasse il<br />

cappotto. Feci come mi aveva chiesto. Gli agenti spintonarono<br />

Jonas sul camion. Lui cadde a faccia in giù e <strong>la</strong> valigia gli fu<br />

gettata addosso. Io riuscii a salire senza cadere ma, quando<br />

mi raddrizzai, una donna mi guardò e si portò di colpo <strong>la</strong><br />

mano al<strong>la</strong> bocca.<br />

«Lina, tesoro, abbottonati il soprabito», mi esortò <strong>la</strong> mamma.<br />

Abbassai lo sguardo e vidi <strong>la</strong> mia camicia da notte a fiori.<br />

Nel<strong>la</strong> fretta di cercare l’album da disegno, mi ero dimenticata<br />

di cambiarmi. Scorsi poi una donna alta e magra, con<br />

il naso a punta, che fissava Jonas. La signorina Grybas. Era<br />

una zitel<strong>la</strong> che insegnava nel<strong>la</strong> nostra scuo<strong>la</strong>, una maestra di<br />

quelle severe. Riconobbi <strong>anche</strong> altre persone: <strong>la</strong> bibliotecaria,<br />

il proprietario di un albergo del<strong>la</strong> zona e parecchi uomini<br />

che avevo visto par<strong>la</strong>re con il papà per strada.<br />

22


Eravamo tutti sul<strong>la</strong> lista. Non sapevo bene che cosa fosse<br />

quel<strong>la</strong> lista, sapevo solo che c’era scritto sopra il nostro nome,<br />

così come quello delle altre quindici persone sul camion con<br />

noi. <strong>Il</strong> portellone posteriore venne chiuso con un colpo secco.<br />

Un vecchio calvo di fronte a me emise un flebile gemito.<br />

«Moriremo tutti», disse piano. «Sono sicuro che moriremo.»<br />

«Sciocchezze!» si affrettò a ribattere <strong>la</strong> mamma.<br />

«Invece sì», insistette lui. «È <strong>la</strong> fine.»<br />

<strong>Il</strong> camion si avviò con un sobbalzo in avanti, facendo cadere<br />

tutti dalle valigie su cui erano seduti. <strong>Il</strong> calvo all’improvviso<br />

si tirò goffamente in piedi, scavalcò il portellone del pianale<br />

e saltò giù. Si schiantò sul marciapiede e si <strong>la</strong>sciò sfuggire un<br />

<strong>la</strong>mento simile a quello di un animale catturato in una trappo<strong>la</strong>.<br />

La gente a bordo si mise a gridare. <strong>Il</strong> veicolo si fermò<br />

con uno stridio di pneumatici e gli agenti balzarono a terra.<br />

Abbassarono il portellone e vidi l’uomo che si contorceva a<br />

terra per il dolore. Lo sollevarono e gettarono il suo corpo<br />

raggomito<strong>la</strong>to di nuovo sul camion. Una gamba sembrava<br />

straziata. Jonas nascose <strong>la</strong> faccia nel<strong>la</strong> manica del<strong>la</strong> mamma.<br />

Lo presi per mano. Stava tremando. Mi si annebbiò <strong>la</strong> vista,<br />

serrai gli occhi e li riaprii. <strong>Il</strong> veicolo si rimise in moto di scatto.<br />

«no!» si <strong>la</strong>mentò l’uomo tenendosi <strong>la</strong> gamba.<br />

<strong>Il</strong> camion si fermò davanti all’ospedale. Tutti sembrarono<br />

sollevati all’idea che si sarebbero presi cura dell’uomo calvo<br />

ferito. Ma non fu così. I russi si erano fermati ad aspettare.<br />

Una donna sul<strong>la</strong> lista stava partorendo. Non appena fosse<br />

stato tagliato il cordone ombelicale, avrebbero gettato lei e<br />

suo figlio sul camion.<br />

23

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