Leggi - I Cistercensi

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01.06.2013 Views

-20 - abbiamo la presunzione di trinciare giudizi e condanne quando non disponiamo neppure di un indizio di colpa? E quand'anche la colpa fosse manifesta, non possiamo scusare anche allora l'intenzione, spiegare il peccato con la fragilità, scusarlo a motivo della passione, della tentazione violenta cui il prossimo è stato esposto? Imitiamo quell'eremita: quando udiva che qualcuno aveva peccato esclamava: «Povero me. Oggi lui, domani io. Lui, certo farà penitenza, ma io? .. ». Forse Dio ha già perdonato coloro che noi stiamo condannando; perdonerà anche noi, noi autori di una critica tanto spietata? Se lasciassimo via libera alla luce per penetrare nelle pieghe più profonde della nostra coscienza, sarebbe tale la nostra sorpresa che non oseremmo più fissare gli occhi nella vita degli altri. Del resto, non richiede forse la legge della carità che noi pensiamo degli altri così come vogliamo che gli altri pensino di noi? E se noi desideriamo di essere lodati e stimati, perché anche noi non lodiamo e stimiamo gli altri? Questa regola è determinante per il comportamento di coloro che hanno il compito di sorvegliare e guidare la vita altrui: prima di condannare e punire i loro sudditi, essi abbiano la pazienza di esaminare se stessi; si troveranno peggiori degli altri; e allora le loro riprensioni saranno dettate unicamente dalla carità e dell'amore. C'è un'altra categoria di persone che sono in errore: coloro i quali, senza alcun fondamento di realtà, sospettano che gli altri pensino e parlino male di loro, e per conseguenza odiano tutti e non si fidano di nessuno. Per estirpare dal nostro animo questo vizio è necessario prima di tutto mortificare la brama di piacere agli uomini, di apparire perfetti e eccellenti; dobbiamo richiamare alla mente le parole di San Paolo: Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo (Gal 1, lO). Non solo, anzi dobbiamo evitare persino il desiderio di sapere che cosa gli altri pensano e dicono di noi. Tanto più perché spesso avviene che coloro i quali noi pensiamo stiano parlando male di noi, in realtà a noi non hanno neppure pensato. Ma soprattutto non dobbiamo dare agli altri motivo di pensare o parlar male di noi. Insomma in queste circostanze c'è l'Apostolo che ci insegna come comportarci: A me poco importa di venir giudicato da voi o da un consesso umano (1 Cor 4, 3). In realtà noi siamo quel che siamo dinanzi agli occhi di Dio. Che gli uomini ci lodino o ci insultino, che ci stimino o ci disprezzino, essi non possono renderei né migliori né peggiori. Card. GIOVANNI BONA Corso di vita spirituale I, 17, 3

- 21- 2. Sermone XVII - Nel giorno dell'Assunzione della B. V. Maria a cura di P. GERARDOCONSIGLIO «Gesù entrò in un villaggio: e una donna di nome Marta lo accolse in casa sua. E costei aveva una sorella di nome Maria », (Luc. X, 38). Avete sentito dal Vangelo la grande felicità delle due donne. Veramente grande felicità di Marta" o fratelli, che accolse tale ospite, lo servì e fu occupata nel suo ossequio. Grande felicità di Maria, che riconobbe l'eccellenza di tanto ospite, ne ascoltò la sapienza e ne gustò la dolcezza. CosÌ, infatti, narra l'evangelista che N. S. G. Cristo entrò in un villaggio e che una certa donna di nome Marta lo accolse in casa sua e lo servì. Ella aveva una sorella di nome Maria che, non appena Gesù entrò, corse ai suoi piedi ed ivi si mise a sedere, per udire le dolci sue parole; ed era talmente assorta alle parole del Signore, che non si curava di ciò che si facesse in casa, se qualcuno vi parlasse e quanto anche la sorella sua lavorasse. Chi di voi, infatti, se il Signore volesse entrare da lui, non godrebbe in modo meraviglioso e inneffabile? Che diremo, adunque, fratelli, dal momento ch'Egli non si trova col corpo in terra e non possiamo, perciò, accoglierlo corporalmente, e pertanto dobbiamo forse disperare della sua venuta? Piuttosto prepariamogli le nostre case e senza dubbio Egli verrà da noi al tempo delle nostre opere, meglio che se fosse venuto corporalmente. Queste donne furono senza dubbio beate, perché lo ricevettero corporalmente; ma molto più beate certamente, perché lo avevano ricevuto con la mente. Infatti in quel tempo molti lo accolsero corporalmente e mangiarono e bevvero con lui; ma, poiché non lo accolsero con la mente, questi rimasero miserabili. Chi, infatti, fu più infelice di Giuda? eppure egli servÌ il Signore corporalmente. Dirò di più. La stessa B. V. Maria, di cui oggi celebriamo la gloriosa Assunzione, senza dubbio fu beata, perché accolse il Figlio di Dio col corpo; ma tuttavia e proprio per questo più beata, perché lo aveva accolto nella mente. Direi una bugia, se ciò non lo avesse affermato il Signore. Ieri fu letto che una donna disse a nostro Signore: «Beato il grembo che ti ha portato e le mammelle che hai succhiato» (ibid.). E il Signore le rispose: «Che anzi: beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica », Perciò, o fratelli, prepariamogli un tale spirituale villaggio, affinché venga da noi nostro Signore. Infatti affermo con audacia che, se la Bea-

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abbiamo la presunzione di trinciare giudizi e condanne quando non disponiamo<br />

neppure di un indizio di colpa? E quand'anche la colpa fosse<br />

manifesta, non possiamo scusare anche allora l'intenzione, spiegare il<br />

peccato con la fragilità, scusarlo a motivo della passione, della tentazione<br />

violenta cui il prossimo è stato esposto?<br />

Imitiamo quell'eremita: quando udiva che qualcuno aveva peccato<br />

esclamava: «Povero me. Oggi lui, domani io. Lui, certo farà penitenza,<br />

ma io? .. ». Forse Dio ha già perdonato coloro che noi stiamo condannando;<br />

perdonerà anche noi, noi autori di una critica tanto spietata? Se<br />

lasciassimo via libera alla luce per penetrare nelle pieghe più profonde<br />

della nostra coscienza, sarebbe tale la nostra sorpresa che non oseremmo<br />

più fissare gli occhi nella vita degli altri.<br />

Del resto, non richiede forse la legge della carità che noi pensiamo<br />

degli altri così come vogliamo che gli altri pensino di noi? E se noi<br />

desideriamo di essere lodati e stimati, perché anche noi non lodiamo e<br />

stimiamo gli altri?<br />

Questa regola è determinante per il comportamento di coloro che<br />

hanno il compito di sorvegliare e guidare la vita altrui: prima di condannare<br />

e punire i loro sudditi, essi abbiano la pazienza di esaminare se<br />

stessi; si troveranno peggiori degli altri; e allora le loro riprensioni saranno<br />

dettate unicamente dalla carità e dell'amore.<br />

C'è un'altra categoria di persone che sono in errore: coloro i quali,<br />

senza alcun fondamento di realtà, sospettano che gli altri pensino e parlino<br />

male di loro, e per conseguenza odiano tutti e non si fidano di<br />

nessuno. Per estirpare dal nostro animo questo vizio è necessario prima<br />

di tutto mortificare la brama di piacere agli uomini, di apparire perfetti<br />

e eccellenti; dobbiamo richiamare alla mente le parole di San Paolo:<br />

Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo<br />

(Gal 1, lO). Non solo, anzi dobbiamo evitare persino il desiderio di sapere<br />

che cosa gli altri pensano e dicono di noi. Tanto più perché spesso<br />

avviene che coloro i quali noi pensiamo stiano parlando male di noi,<br />

in realtà a noi non hanno neppure pensato.<br />

Ma soprattutto non dobbiamo dare agli altri motivo di pensare o<br />

parlar male di noi. Insomma in queste circostanze c'è l'Apostolo che<br />

ci insegna come comportarci: A me poco importa di venir giudicato da<br />

voi o da un consesso umano (1 Cor 4, 3).<br />

In realtà noi siamo quel che siamo dinanzi agli occhi di Dio. Che<br />

gli uomini ci lodino o ci insultino, che ci stimino o ci disprezzino, essi<br />

non possono renderei né migliori né peggiori.<br />

Card. GIOVANNI BONA Corso di vita spirituale I, 17, 3

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