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UN MARE DI RICORDI.pdf - Sistema Bibliotecario Urbano

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BIBLIOTECA VIRGILIO BROCCHI<br />

VIA A. CASOTTI 1 – 16167 GENOVA<br />

TELEFONO 010 321892<br />

ASPETTANDO<br />

Slow fish 2013<br />

● VENER<strong>DI</strong>’ 3 MAGGIO ORE 16,30<br />

<strong>UN</strong> <strong>MARE</strong> <strong>DI</strong> RICOR<strong>DI</strong><br />

sapori, immagini, profumi ed emozioni<br />

I lettori della Biblioteca Brocchi<br />

raccontano il loro mare<br />

Stefano Stefanacci, voce recitante.<br />

Racconto animato di Milena Lanzetta, insegnante.


Giorgio Gazzolo<br />

<strong>UN</strong> PESCE RE --- LAMPRIS REGIUS<br />

e la sua fine ingloriosa<br />

Quattro valenti pescatori, un giorno di molti anni fa, pescarono questa meraviglia nelle<br />

acque di Portofino, a parecchie miglia di distanza dalla costa, e alla profondità di circa<br />

500 metri.<br />

Arrivati a terra Tito, Giorgio, Mario e Renato - dopo aver fotografato il pesce -<br />

decisero di…. dividerlo per mangiarselo.<br />

Vista l‟eccezionalità della cattura, il giorno dopo sul Secolo XIX apparve la notizia.<br />

Già i quattro pescatori erano un po‟ dispiaciuti di aver trattato come un pesce<br />

qualunque una creatura del mare che davvero aveva un aspetto regale. Ma questo<br />

dispiacere divenne ancora più grave quando la Direttrice del Museo di Storia Naturale<br />

telefonò domandando dov‟era finito il Lampris Regius e si scandalizzò molto sentendosi<br />

rispondere che era stato mangiato! Avrebbe meritato una sistemazione dignitosa nelle<br />

belle sale del museo genovese.


Teresa Gatto<br />

RACCONTO <strong>DI</strong> <strong>MARE</strong><br />

Ad Aghios Nicolaos abitavamo in una graziosa casetta bianca con le finestre azzurre,<br />

un grande giardino profumato di magnolia la circondava. Sotto l‟albero dei fiori<br />

bianchi, si sedeva una vecchia sdentata e quieta che ci aveva affittato la stanza.<br />

Quando non ero in spiaggia, passavo molto tempo con lei; mi insegnò a sbucciare i fichi<br />

d‟ India senza pungermi, insieme pulivamo le acciughe e certi pesci lunghi e sottili di<br />

cui non conoscevo il nome e li mettevamo sotto sale in grandi “arbanelle” di vetro. Si<br />

stava senza parlare, erano le cose che si facevano insieme che ci legavano, le sue mani<br />

si muovevano con abilità e gentilezza, avevo l‟impressione, in quel momento della mia<br />

vita, che lei, lei sola conoscesse il valore delle cose che toccava. Erano preziosi i<br />

capperi, il sale, il pesce azzurro, i pomodori che raccoglieva al tramonto dentro a un<br />

grembiule, con delicatezza. Li lucidava e li sistemava dentro a una scodella di zinco<br />

insieme a piccole mele tonde, osservandoli uno a uno con molta attenzione, con un<br />

piacere sottile e intimo che le faceva increspare appena le labbra in un‟ ombra di<br />

sorriso. Anche le forbici e il coltellino che portava sempre con sé, non erano semplici<br />

oggetti ma strumenti benedetti da rispettare e da amare.<br />

Stare con lei aggiustava tutto, i suoi occhi guardavano e vedevano quello che c‟era da<br />

vedere, ogni cosa stava in se stessa e si poteva osservarla senza sentirsi aggrediti e<br />

soprafatti. Nel suo cortile, nella sua casa, nella sua isola, eri tu che sceglievi, che ti<br />

avvicinavi al mondo, quello vero, essenziale, fatto di azioni, di rapporti, di sentimenti<br />

semplici, di amore per le persone, di cibi autentici e golosi. Impagabili emozioni, per<br />

una ventenne inquieta, spaventata da un mondo carico di sollecitazioni.<br />

Così ho amato la Grecia, i suoi colori e i suoi piatti profumati, attraverso gli occhi<br />

sorridenti di questa donna di cui ho ancora una foto sbiadita, sul cui retro, purtroppo,<br />

non si legge più il nome . Per alcuni anni ci scambiammo qualche cartolina: le sue, erano<br />

paesaggi al tramonto sul mare o ricette stampate in italiano su improbabili tovaglie a<br />

quadretti. Quando mi decisi a tornare a casa, dopo aver rimandato la partenza mille<br />

volte, lei mi accompagnò alla corriera e mi strinse la mano con gli occhi umidi . Erano le<br />

prime volte che sperimentavo il distacco. In seguito imparai a soffrire e a<br />

dimenticare.<br />

Il tocco asciutto delle dita della vecchina di Creta che si posavano sul mio viso, prima<br />

che mi voltassi per scomparire dalla sua vista per sempre, quel timido, inaspettato<br />

gesto, invece, lo ricordo ancora.


Fulvio Bucci<br />

ALICI NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE<br />

Siamo a Giglio Porto, è una bella mattinata di maggio e siamo ormeggiati con la barca a<br />

vela noleggiata alla banchina. L‟equipaggio è stanco dopo la traversata notturna ma è<br />

contento del previsto riposo: ripartiremo per il rientro alla base dell‟ Argentario il<br />

giorno dopo.<br />

Mangeremo in barca o al ristorante?<br />

Dobbiamo decidere: se mangiamo in barca dobbiamo prepararcelo. Discussione tra i<br />

membri dell‟equipaggio: chi farà il cuoco? E quale menù? Mentre ferve la discussione<br />

arrivano le barche dei pescatori: una di queste scarica delle belle acciughe. Fanno<br />

voglia: è argento del mare!<br />

Mi decido: farò io il cuoco. Compro un kilo di pesce: acciughe e inizio a pulirle. Sono<br />

sode ma si aprono facilmente, tolgo testa e interiora e la spina centrale, le stendo in<br />

una padella, cerco i limoni, li spremo e le cospargo di succo.<br />

Il primo succo si tinge di marrone scuro, scioglie il sangue e pulisce i filetti. Dopo una<br />

buona ora si inclina la padella, si scola il liquido e si rinnova il succo di limone: ora è<br />

pulito ed i filetti sono rosati.<br />

Copro il tutto per lasciare riposare. Al momento di pranzo cospargo con un filo d‟olio.<br />

L‟equipaggio se le divora in uno spazio di un baleno, si complimenta con me e si mette a<br />

discutere se erano alici o acciughe, perché alcuni di loro essendo frequentatori<br />

dell‟Adriatico chiamano alici lo stesso pesce: allora io asserisco che solo quelle del<br />

Tirreno sono acciughe, perché sono più adatte ad essere mangiate crude!<br />

Le alici le mandiamo nel paese delle meraviglie!


Franca Vassallo<br />

GITA ALLE CINQUE TERRE<br />

Era il mese di giugno ed un mattino, splendido, imbarcandomi sul battello da La Spezia<br />

alle Cinque Terre guardai il mare con occhio più attento. Era il colore dell'acqua che mi<br />

colpì, quel verde smeraldo lo avevo visto solo a Paraggi. Appena lasciato il golfo ed<br />

entrando in mare aperto mi resi ancora conto che il colore del mare era di un azzurro<br />

indescrivibile; lo avevo notato così solo in alcuni quadri. Il mare era agitato, l'emozione<br />

era tanta, sembrava di essere in una grande culla.<br />

Si dondolava un po' a destra e un po' a manca. Tra i passeggeri l'animazione non<br />

mancava, inoltre dal microfono di bordo una voce femminile illustrava i luoghi delle<br />

coste ripetendo tutto anche in inglese.<br />

Venni a sapere tanti aneddoti e particolari a me finora sconosciuti. La prima tappa fu<br />

Portovenere, peraltro già visitata alcune volte in passato, ma quel mattino c'era un'<br />

atmosfera diversa. I pescatori stavano scaricando le ultime cassette del loro<br />

"pescato" e quel profumo di pesce fresco portava il pensiero alla bontà che avrebbe<br />

avuto in tavola. Salimmo il "Carruggio" assaporando i profumi che uscivano dai vari<br />

negozi: dal pane alla focaccia, dal basilico al pesto.....Passeggiammo sul ciottolato e<br />

passata la scogliera con la Grotta dedicata a Lord Byron giungemmo alla chiesetta di<br />

S. Pietro. Ammirai sempre più stupita l'incantevole golfo dei Poeti e l'infrangersi delle<br />

onde sulle scogliere sottostanti. La chiesa era decorata in modo originale con fiori<br />

tutti bianchi. C'era ancora il banchetto degli sposi, ma la cerimonia nuziale era già<br />

stata celebrata. Proseguimmo il percorso verso Vernazza, ma le condizioni del mare<br />

non ci permisero di attraccare, così l'imbarcazione puntò per Monterosso, che<br />

raggiungemmo intorno a mezzogiorno, dopo una navigazione sempre più emozionante. Lì<br />

pranzammo e non ci mancarono gli assaggi di acciughe e vino bianco. Dopo aver visitato<br />

Monterosso e apprezzato il dolce profumo dei limoni ci avviammo verso il molo. La<br />

navigazione del ritorno fu ancora più emozionante e movimentata. Il battello fece<br />

scalo a Portovenere per far scendere e salire altri passeggeri. Giungemmo a La Spezia<br />

sul far della sera, un po' stanchi, ma con il cuore gonfio di gioia per la bella giornata<br />

trascorsa, e gli occhi colmi di azzurro.


Emilia Musso<br />

BOCCADASSE: EMOZIONI E RICOR<strong>DI</strong> DEGLI ANNI SESSANTA<br />

Mario e Giuliano: i ragazzi pescatori con ö Caiga –<br />

il calzolaio-Filetti, presenti tutti i giorni di ogni estate sul molo a destra della spiaggia.<br />

A Boccadasse verso le otto di mattina la Cate (Caterina a pescaea) parte con il suo<br />

carretto pieno di cassette di pesce, prima con la madre Maria, anni dopo con la figlia<br />

Wilma. La Cate viene su dal mare verso la rimessa dei tram (allora U. I. T. E.) dove si<br />

trova una piccola piazzetta e lì posteggia il suo carretto e continua a dare la sveglia a<br />

tutti con le sue grida: "Vereee... Vere anciue... amiaele mai belle donne... o l'è argento<br />

de ma, son de Boccadaze, impivele salevele quelle belle; faevele e cotelette... sentì o<br />

profummo de arzilio... Vereee..."<br />

Alcune persone scendono a comprare, altre mandano giù dalla finestra il cestino legato<br />

ad una corda, dall'osteria di CALISTO esce la Rosa e compra acciughe da friggere,<br />

sarde da fare ripiene al forno, moscardini di Santa Margherita.<br />

L‟OSTERIA <strong>DI</strong> CALISTO CON CUCINA CASALINGA era all'angolo sulla piazzetta<br />

dove si fermava la Cate per fare colazione. All'osteria spesso arrivava AMEDEO<br />

(quello dei famosi gelati di Boccadasse) per bere il grappino, d'estate il grigio-verde<br />

(grappa e menta), c'era sempre un viavai di operai, tramvieri, postini, muratori delle<br />

case in costruzione per un caffè od un cappuccino e più tardi per il pranzo di<br />

mezzogiorno per il quale la ROSA era famosa: era ottimo e si spendeva poco.<br />

L'osteria di Calisto era un punto di riferimento per amici, compagni e spesso per chi<br />

aveva bisogno di un pasto caldo.<br />

Inoltre il 27 di ogni mese (giorno di paga) veniva la BUCCI<strong>UN</strong>ELLI una rappresentante<br />

di libri degli "Editori Riuniti" e "Feltrinelli"; li esponeva su due o tre tavoli fino alle<br />

11.30 per venderli a rate ai tanti lavoratori che avevano anche fame di cultura e pochi<br />

soldi.<br />

Una vita semplice ricca di rapporti umani autentici che si possono recuperare anche<br />

oggi attraverso le numerose iniziative di questa Biblioteca


Giorgio Matricardi<br />

ANCIÔE BELLE FRESCHE<br />

Del tempo passato mi restano ricordi spesso frammentati e sbiaditi, eppure le parole<br />

"Anciôe belle fresche" mi risuonano ancora nelle orecchie come le stessi sentendo ora.<br />

Ogni mattina accompagnavo mio figlio Nicolò a scuola e, quasi come un rito, passavamo dal<br />

panificio a comprare un pezzo di focaccia per la merenda; erano gli anni '90, dovrei<br />

aggiungere del secolo scorso ma la cosa mi fa un po' effetto... Nicolò frequentava la<br />

seconda elementare e il distacco al mattino era ancora un po' problematico; la merenda<br />

comprata da papà era un po' come portarsi dietro un pezzettino di casa, un qualche cosa<br />

di rassicurante. A Genova, poi, una striscia di focaccia a metà mattina è una tradizione<br />

difficile da ignorare.<br />

Spesso vedevamo quella donna salire dalla via che porta a Boccadasse, spingendo<br />

lentamente il suo carretto di legno carico di pesci e gocciolante: non più giovane,<br />

abbastanza appesantita, un naso pronunciato e due occhi azzurri e vivaci, camminava<br />

dondolando da un piede all'altro, infagottata nel tipico vestire delle famiglie di pescatori<br />

liguri: la gonna ampia e lunga sotto il ginocchio, a fiorellini chiari su fondo scuro, da cui<br />

spuntavano i piedi infagottati in pesanti calze di lana e infilati in scarpe un po' informi; un<br />

paio di maglioni indossati uno sopra l'altro senza preoccuparsi che i colori intonassero, il<br />

grembiule scuro e lungo, allacciato dietro il collo e sulla schiena, con una tasca sul davanti<br />

da cui spuntava il manico di un coltello per pulire i pesci e l'angolo di qualche banconota da<br />

mille lire, uno straccio buttato su una spalla e l'immancabile fazzoletto di cotone legato<br />

dietro la testa a nascondere i capelli ormai grigi. Mentre camminava, incurante delle<br />

macchie che tempestavano qua e là i suoi indumenti, gridava “Anciôe belle frescheeeee...”<br />

con una tono acuto e sonoro che faceva sembrare quelle parole più una cantilena che un<br />

richiamo.<br />

Una mattina però si è fermata proprio di fronte al panificio ed è entrata: aveva le gote<br />

rosse per il freddo, respirava pesantemente; ha detto alla commessa “Damme in panettö”<br />

con un tono confidenziale che mi ha fatto pensare ad un gesto ripetuto tutte le mattine, a<br />

un'altra sorta di tradizione. Ha tirato fuori il coltello, ha aperto in due il panino, è uscita,<br />

ha preso una manciata di bianchetti dal suo carretto e li ha infilati a imbottire il panino.<br />

Ha cominciato subito a mangiare quella che ho immaginato essere la sua colazione. Con<br />

Nicolò ci siamo guardati: pane e bianchetti crudi? Mio figlio teneva in mano la sua striscia<br />

di focaccia ancora calda, fasciata nella carta oleata: i suoi occhi esprimevano un misto di<br />

incredulità e repulsione. La donna ha ripreso il suo cammino, spingendo il carretto e<br />

mangiando di gusto il panino e noi abbiamo proseguito la strada verso la scuola.<br />

Da quel giorno, ogni tanto mi chiedo: pane e bianchetti crudi? Chissà com'è? Non ho mai<br />

provato ad assaggiare un simile panino, ma non ho neppure smesso di immaginare, ogni<br />

tanto, la sensazione del primo morso, col fresco e profumato sapore del pesce che si<br />

mischia alla calda fragranza del pane appena uscito dal forno... Chissà...


Silvana Canevelli<br />

SAPORE <strong>DI</strong> <strong>MARE</strong>- 1950<br />

Nonna Nicoletta…un profumo di cucina che partiva dai suoi vestiti, che lo stordiva.”<br />

Nonna, ti posso aiutare?”.Ma lei, vestita di grigio, il muccetto bianco tenuto da<br />

forcelle di tartaruga, aveva sempre pronta la scusa per tenerlo fuori dalla cucina, lo<br />

sguardo spento dalla cataratta, che si perdeva su quel nitore sempre più sottile sotto<br />

il mattarello. Ma poi c‟era il giorno della pulizia delle acciughe e lui, otto anni di<br />

curiosità, aveva finalmente il permesso di aiutare, di riempire la bacinella di<br />

terracotta con acqua e aceto dentro la quale Nicoletta passava velocemente i<br />

pesciolini argentati dopo averli sfilettati con cura, poi lo guardava severamente, gli<br />

diceva”ora va‟ a giocare”, e lo spediva fuori dalla cucina, però aggiungeva “Se vuoi, più<br />

tardi, mi puoi accompagnare al forno ”. E lui alzava le braccia e le muoveva<br />

furiosamente, e batteva i piedi perché la felicità che sentiva dentro, doveva uscire dal<br />

suo corpo in qualche modo. E poi si nascondeva dietro la porta di cucina, si sedeva per<br />

terra e aspettava…meno di mezz‟ora e la voce della nonna si posava su di lui come una<br />

carezza” vatti a preparare Giorgio, fra dieci minuti usciamo”. E anche lei si preparava<br />

e quando usciva dalla sua camera, sapeva di violetta e aveva un‟ombra di rossetto sulle<br />

labbra inesistenti. Poi entrava in cucina, ne usciva subito dopo con il tegame ricoperto<br />

da un panno bianco, gli diceva di aprire la porta, di chiuderla, e poi erano cinque piani<br />

di scale fatti senza una parola-. Solo quando erano fuori, la nonna diceva”Tieni con<br />

cura eh”. E Giorgio riceveva dalle sue mani il preziosissimo tegame e lo teneva come<br />

fosse stata una reliquia e si muoveva come se fosse in processione, guardando<br />

compunto davanti a sé. La strada la conosceva a memoria, centosei passi in avanti, poi<br />

la svolta a sinistra, altri cinquantadue passi in salita ed ecco la bottega del fornaio che<br />

l‟avvolgeva con i suoi profumi. Dopo circa una mezz‟ora che lui trascorreva a passare in<br />

rassegna i dolci sul bancone e la nonna a parlare con le altre clienti in attesa, il<br />

miracolo della consegna della torta di acciughe cotta al forno che la nonna avvolgeva<br />

nel panno e gliela consegnava soltanto sul portone di casa. Un sapore di mare che non<br />

avrebbe mai più dimenticato…


Alda Bernardelli<br />

2013 IL MIO ANNO FORT<strong>UN</strong>ATO<br />

Ultimo giorno dell‟anno, frenesia di festa,gente indaffarata a preparar cenoni in casa<br />

per risparmiare un po‟, per far durare più a lungo la magra tredicesima.<br />

Tu, in un supermercato in attesa, io, animalista convinta.<br />

Ti raggiungo con le forbici in tasca, pronta.<br />

Mi avvicino al banco del pesce prendo il numero e aspetto il mio turno, una coppia<br />

davanti a me sceglie per la cena e in cuore mio spero che non ti veda.<br />

E‟ andata bene… non ti hanno notato hanno deciso diversamente prenderanno un‟orata<br />

da fare al forno.<br />

Sei in offerta solo per oggi costi solo 9,80 euro, un affare per essere capodanno.<br />

Tocca a me, la commessa un po‟ stanca mi chiede distrattamente cosa voglio, ed io le<br />

dico “ l‟astice che è nella vasca,quello lì il più grosso,ma mi raccomando non lo fasci<br />

stretto nel sacchetto, deve respirare (?) ”<br />

Mi guarda in modo strano un po‟ perplessa e mi suggerisce come cucinarti al meglio, i<br />

tempi di cottura ecc. e mi augura buon appetito, ma io le faccio presente che ti<br />

porterò al mare !! Che non ti voglio mangiare, ma voglio ridarti la libertà.<br />

Ride divertita, mi prende per matta, scuote la testa e mi ripete “buon appetito” tanto<br />

da farmi capire che non mi crede e che ha la certezza che finirai in bella vista tra<br />

foglie di insalata e maionese.<br />

Ma tu sei già nel sacchetto, tra le mie mani e io mi precipito alla cassa; c‟è coda e<br />

fremo per te, con un po‟ di fortuna e se l‟angelo custode degli astici ti assiste, tra<br />

poco sarai in mare !.<br />

Accarezzo con la mano libera il freddo delle forbici nella mia tasca sinistra e con<br />

l‟altra stringo le maniglie del sacchetto per non farti cadere, per non perderti, per non<br />

farti male.<br />

Usciamo dal supermercato, e destino vuole che la commessa del banco pesce é fuori<br />

anche lei, è andata al bidone della spazzatura a buttare qualcosa , mi riconosce e<br />

vedendomi prendere una direzione che secondo lei non è quella giusta, mi chiede in<br />

tono ironico guardando me e il sacchetto penzolante “ non va‟ verso il mare? ” e le<br />

rispondo “ certo ma passo attraverso i giardini perché la via così e più‟ diretta, è più<br />

breve” e lei mi dice “ Si ! buon appetito!”.<br />

Ma non cerco comprensione da chi non crede, corro verso il mare, la distanza e poca e<br />

ci raggiunge Laura, mia figlia, è giovane, è agile e svelta andiamo in spiaggia e<br />

scegliendo il luogo adatto lei salta su uno scoglio a pelo d‟acqua e apre il sacchetto. Ti<br />

guardiamo, sei bello, sei verde e sei fortunato.<br />

Le porgo le forbici, lei taglia il nastro che ti avvolge le chele e ti accompagna con la<br />

mano adagio in acqua.<br />

Sei libero, ma non lo sai ancora, rimani un minuto interdetto, non sai dove sei è tutto<br />

diverso dalla vasca sporca in cui annaspavi prima, sei finalmente libero muovi le<br />

zampette adagio tastando il fondo sabbioso e vai al riparo lentamente sotto una<br />

roccia sporgente e poi ti fai coraggio e avanzi verso il mare più profondo. E‟ lì la tua<br />

nuova casa, è lì la tua speranza di vita, è lì il tuo futuro ora sei fuori dall‟incubo ! Per<br />

te il 2013 è un anno fortunato, non ti hanno cucinato, per me il 2013 inizia altrettanto<br />

bene perché so di aver fatto una cosa buona. Quando mi capita di ritornare in spiaggia,<br />

ti penso, ti cerco con lo sguardo e spero che tu sia sopravvissuto, ma nel qual caso il<br />

destino non avesse voluto così, so‟ che sei morto libero.


Bampi Orietta<br />

MA SE GHE PENSÖ<br />

Ma se ghe penso mi vedo u ma…………. Inizia così una canzone che è nei cuori dei<br />

genovesi, per me, nata a Sturla ma con mamma di Boccadasse, il mare è sempre stato<br />

una componente essenziale della vita. La mattina, per prima cosa si guardava il mare,<br />

mentre la sera si guardava il mare, mentre la sera si guardava per prevedere il tempo<br />

l‟indomani.<br />

Ho imparato a nuotare in in “ciappeletta” che non significa piccola caramella ma pietra<br />

piccola una “ciappa” appunto. Ricordo che tutti i giorni si andava a fare il bagno tra gli<br />

scogli, mia mamma portava un coltellino mozzo con il quale estraeva la polpa dei ricci e<br />

delle telline per mangiarle a crudo . Tornati a casa c‟era il rito dell‟ago bruciato con il<br />

quale mi toglieva le spine dei riccia mani e piedi.<br />

Ci recavamo spesso da Sturla a Boccadasse, dove abitavano i nonni e gli zii. Mio zio<br />

andava sempre a pescare e c‟era pesce per tutti . Ricordo allora, non avendo il<br />

frigorifero, mia mamma friggeva le “boghe” e poi le metteva in carpione per<br />

conservarle.<br />

Divenuti ragazzi, poi i pescatori ci portavano con loro a ritirare le reti, o a pescare i<br />

“banchetti “.<br />

Bisognava partire prima del sorgere del sole, e trovarci sul posto, “l‟Armia” per<br />

gettare la rete, quella a maglie fini, Il silenzio era avvolgente, si sentiva solo lo<br />

sciabordio dell‟acqua lungo la barca, il mare era scuro e il cielo, prima del sorgere del<br />

sole tra l‟azzurro ed il viola .<br />

Si buttava la rete, quasi a riva, e la si trascinava mentre si procedeva a remi .<br />

Intanto il sole faceva capolino da monte Moro, un piccolo puntino luminoso che pian<br />

piano colorava le cose intorno a noi.<br />

Spesso la pesca era buona e tornavamo a casa felici ed appagati.<br />

Ma se ghe penso è passato tanto tempo ……………. L‟è megiu non pensà………………


Gambino Giovanni<br />

<strong>UN</strong>A BRUTTA STORIA<br />

Quando ero giovane facevo il pescatore per arrotondare lo stipendio e procuratomi un<br />

gozzo da pesca della mia natia Sicilia, andavo per mare sfidando le intemperie per<br />

poter rivendere il pescato ai ristoranti. Per i miei tre figli ancora piccoli i sacrifici li<br />

facevo volentieri.<br />

Ho sempre pescato tanto, ero bravo , l‟esperienza non mi mancava ed uscivo in mare<br />

anche quando gli altri pescatori per condizioni proibitive del mare decidevano di<br />

rimanere a terra.<br />

Andavo fuori a tutte le stagioni con il sole a picco, con il mare forza 5, con il freddo<br />

pungente scaldandomi le mani con un piccolo scaldino quando ancora il mare era nero di<br />

notte e lo scirocco incalzava.<br />

Un bel giorno di primavera, invece, il tempo era clemente e la temperatura mite.<br />

Partii dalla Foce e come sempre andai alcune miglia al largo, la mia barca era<br />

attrezzata anche per la pesca di grossi pesci ed ero felice, potevo affrontare bene<br />

qualunque evenienza.<br />

Dopo un paio di ore in mare mi ritrovai circondato da un banco di innumerevoli<br />

splendidi delfini che mi saltavano a fianco e non ebbi dubbi….e decisi, stupidamente, di<br />

catturarne uno per poter anch‟io nella mia vita poter assaggiare il famoso<br />

“moschiamme” , delizia riservata a pochi.<br />

Preso da questo pensiero, mi issai sulla barca e come il capitano Ahab in Moby Dick ,<br />

presi la fiocina e arpionai il primo delfino più prossimo al bordo della mia barca.<br />

L‟animale rimase stupito dell‟arpionata a tradimento e appena sentì il dolore nel fianco<br />

iniziò disperatamente a dibattersi e con enorme sforzo anche da parte mia riuscii ad<br />

issare il pesce dentro la barca.<br />

Ma non calcolai una cosa, i delfini non sono pesci come tutti gli altri, loro hanno un<br />

anima speciale…<br />

La ferita sanguinava e un rivolo di sangue e mare cosparse il paiolato del gozzo, la sua<br />

schiena si inarcava nel disperato ultimo tentativo di ritornare in acqua ed io avezzo<br />

alla sofferenza estrema di tante creature rimasi invece allibito quando sentii il<br />

delfino emettere strazianti lamenti e dai i suoi bellissimi occhi blu veder sgorgare<br />

lacrime vere.<br />

Non ebbi esitazioni, lo sollevai a fatica e lo ributtai in mare.<br />

Mi allontanai, sperando di avergli ridato una opportunità di vita.<br />

A casa non raccontai nulla, rimasi in silenzio a pensare.<br />

Il giorno seguente ritornai nella stessa zona di pesca , ma da lontano vidi una schiena<br />

grigia galleggiare immobile sul pelo dell‟acqua e sperai con tutte le mie forze che non<br />

fosse lui, ma dovetti arrendermi alla realtà.<br />

Piansi, ero solo, la mia famiglia non mi vedeva, nessuno poteva giudicarmi per la mia<br />

debolezza , ma ancora adesso dopo tanti anni il mio dispiacere è vivo è come se lo<br />

avessi ucciso ieri.<br />

Questa è una brutta storia, non la volevo neanche raccontare, ma è giusto<br />

trasmettere a tutti di pensare prima di agire e di valutare la conseguenza delle<br />

proprie azioni anche nei confronti degli animali e di riconoscere i propri errori per non<br />

ripeterli mai più.


Clara Crovetto<br />

S T O R I E<br />

Ne vengo da generazioni di venditori di pesce: nonno, padre, zio, cugini.<br />

L‟odore del mare l‟ho nelle narici da quando tettavo latte; da ragazzina, a volte,<br />

mi lamentavo quando papà rientrava dal mercato, mi redarguivano con la frase:<br />

“Ringrazia quella puzza!”.<br />

In fondo per me puzza non era, ma un odore familiare, e tanto buono.<br />

Il pesce era il cibo più frequente in tavola, svariate volte la settimana, mi<br />

piaceva tutto quanto, da grande ho imparato a cucinarlo in tutte le salse, con<br />

l‟eccezione della paella, che mia madre faceva, due volte l‟anno, o giù di lì, era<br />

una grande festa. Quando andai in Spagna, la comparai con la sua, e decisi che<br />

mamma era la meglio cuoca al mondo. Non l‟ho mai preparata, prima c‟era lei, ora<br />

mi fa tristezza.<br />

L‟odore del mare l‟ho sempre con me, quando tira scirocco, l‟aria ne è carica; se<br />

lo voglio intenso e pulito lascio la città, e scelgo ponente o levante, noi di Genova<br />

scegliamo anche così, magari guardando da dove tira il vento!<br />

A ponente verso il confine, con tutto il fascino che questa parola può evocare; a<br />

levante verso il Monte, il nostro, con la M maiuscola, per noi levantini è solo e<br />

sempre quello di Portofino; e poi oltre, doppiata la sua punta, il profumo<br />

intrecciato a quello del pitosforo e del tamerisco del Tigullio, la terra dei miei<br />

avi.<br />

Il Monte, a volte, penso di camminarlo, con un bel cielo terso di tramontana,<br />

annusare le foglie di mirto e vedere la sagoma della Corsica; a volte lo percorro<br />

davvero, arrivo a S. Rocco, sono tentata dai tavolini del baretto sul golfo,<br />

abbandono l‟idea di un aperitivo con stuzzichini, e proseguo verso le „Batterie‟ o<br />

Punta Chiappa. Lì una volta, vicino ai battelli per S. Fruttuoso, ho visto<br />

l‟anfratto verde bottiglia tinto di piccole meduse viola, che spettacolo,<br />

sembrava un cartone animato.<br />

Quando sono sul Monte, mi sembra impossibile lasciarlo, e mi dico come potrò<br />

mai tornare in città.<br />

Al rientro, dopo una curva sull‟Aurelia, vedo Genova morbidamente adagiata sul<br />

bordo del mare, canto di sirena, città calamita, irrinunciabile, e mi rassereno.<br />

Queste sono le cornici, i profumi, i colori, della mia vita, dentro ci sta tutto il<br />

resto.<br />

Tra l‟altro, nella mia cucina sempre un‟arbanella di acciughe salate, nel freezer<br />

un pesce o un suo trancio, in giardino persa e salvia, in credenza timo raccolto<br />

ed essiccato.


Stefania Cappellini<br />

La storia di una cena<br />

Immaginate per un attimo di essere sdraiati in una scatola di vetro, a pancia in giù sul<br />

ghiaccio, con mani e piedi legati e un pezzo di nastro adesivo sulla bocca. E‟ ormai una<br />

giornata che siete in quella posizione, o forse cinque minuti, in effetti vi è difficile<br />

dirlo con precisione. Siete legati in mezzo a centinaia di giganteschi pacchetti di<br />

tetrapack, sacchetti di plastica, bottiglie di lemonsoda, elastici e spazzole per capelli.<br />

Centinaia di persone si muovono intorno a voi. Vi guardano, ma sembrano non vedervi,<br />

prese a saltare da uno scaffale all‟altro, come tutte spinte da uno stesso impulso<br />

perverso a voi sconosciuto. Quante ore, o giorni, o minuti saranno passati? Qualcuno si<br />

ferma, vi osserva, dice qualcosa in una lingua incomprensibile.<br />

Un‟altra voce risponde da dietro la vostra testa, che è ormai talmente infreddolita da<br />

non pensare nemmeno di poterla provare a girare. Da quanti anni, o giorni, siete chiusi<br />

lì dentro? ogni secondo dura un minuto, ogni minuto un‟ora, mentre contate il tempo<br />

secondo dopo secondo, e ad ogni secondo vi chiedete quanti altri ne dovranno seguire.<br />

Un guanto enorme si protende verso di voi, vi solleva. La prima voce parla un‟altra volta<br />

e voi vi ritrovate di nuovo con la pancia sul ghiaccio. Qualcuno di fianco a voi viene<br />

sollevato a sua volta e chiuso in un pacchetto di cellofan. Due persone, mentre<br />

scelgono le patatine fritte nello scaffale vicino al vostro, guardano la scena come<br />

fosse la cosa più normale del mondo. Tutti intorno a voi si comportano come se lo<br />

fosse. Voi li guardate senza capirli e vi chiedete perché siete chiusi lì dentro… e forse<br />

è un bene che di questa domanda non possiate conoscere la risposta…<br />

Io vivevo nel buco di uno scoglio (forse questa frase avrei dovuto interromperla a "io<br />

vivevo"…), levigato dalle onde del mare. Conoscevo perfettamente il mio fondale e<br />

sapevo che ogni onda avrebbe portato qualcosa di diverso e di nuovo. Me ne stavo lì,<br />

per giornate intere sulla mia roccia, a sentire il risucchio delle onde sul mio<br />

corpo immobile. Non so come abbia fatto a ritrovarmi catapultato all‟inferno, è stato<br />

un attimo, quello che mi ricordo è solo il fondo del mare, e poi decine, centinaia di<br />

pesci schiacciarsi e contorcersi sulla mia schiena e sotto la mia pancia. L‟acqua che<br />

scendeva, sempre di più, trascinandoci verso il basso, lasciandoci soffocare sempre più<br />

schiacciati l‟uno sopra l‟altro in balia della forza di gravità, ammucchiati come una<br />

catasta di legna. Avevo paura, non capivo.<br />

All‟improvviso siamo precipitati su un piano duro e asciutto. Vedevo tutti morire<br />

soffocati, in preda alle convulsioni. Poi mi sono sentito sollevare, qualcosa di stretto e<br />

doloroso mi costringeva le chele. Io non capivo, non sapevo cosa stesse succedendo,<br />

tuttora non so cosa sia successo né cosa succeda. Non so come né perché mi sia<br />

ritrovato all‟inferno. Il mio corpo è atrofizzato dal ghiaccio. Fatico a muovere le<br />

zampe. Un dolore costante e logorante mi stringe la testa e non mi lascia un solo<br />

istante di tregua. Mi chiedo perché, mi chiedo cosa sia il posto in cui mi trovo. Dove<br />

sono le onde del mare? Mi chiedo da quanto tempo mi trovo qui e quanto ancora ne<br />

dovrà passare. Mi chiedo se sarà questo il posto in cui dovrò morire o cosa ancora mi<br />

aspetti. e intanto aspetto, aspetto rassegnato, secondo dopo secondo. Conto il tempo,<br />

senza lasciar passare un solo secondo senza chiedermi come e perché sia stato<br />

strappato al mio mare e se mai potrò rivederlo.<br />

E grido in silenzio, perché voi non la potete sentire la mia voce straziata. E imploro chi<br />

di voi ha un cuore di riportarmi a casa.<br />

Un astice dei milioni… proprio uno… proprio io…


Giuseppe Criaco<br />

<strong>UN</strong> RACCONTO <strong>DI</strong> <strong>MARE</strong><br />

Mi chiamo Pepy Criaco, sono nato nel 1935 a Brancaleone, un paesino sulla costa ionica,<br />

nel 1957 ho preso il brevetto da bagnino agli ex bagni Strega di Genova, con il massimo<br />

dei voti.<br />

Durante la mia prima stagione ho fatto salvataggi ai Bagni San Nazaro di Corso Italia,<br />

ma sono stato bagnino anche a Quinto ai Bagni Rotonda, ai Bagni Paradiso e anche agli<br />

Scogliera sulla passeggiata di Nervi. Ogni giorno salvavo qualcuno e tutte le persone si<br />

ricordavano di me, che è una grande soddisfazione. Ho lavorato per 37 stagioni e ho<br />

salvato decine e decine di persone, anche alle piscine di Albaro. Mi sono fatto male più<br />

volte buttandomi in mare e una volta mi sono rotto un braccio ma io e la ragazza da<br />

salvare siamo arrivati a terra.<br />

L‟ultimo grosso salvataggio che ho fatto è stato quando ero in servizio agli Scogliera:<br />

le onde arrivavano persino in passeggiata e hanno travolto una ragazza di Brescia,<br />

nonostante fosse sullo scoglio più alto. Io e Pendola ci siamo immediatamente tuffati e<br />

siamo andati al largo in attesa dei soccorsi. Dopo circa tre quarti d‟ora è arrivato un<br />

elicottero dei vigili del fuoco, mentre la motovedetta della Capitaneria di Porto è<br />

arrivata dopo circa un‟ora e mezza per prenderci a bordo. In passeggiata c‟erano vigili<br />

urbani, tre ambulanze, forze dell‟ordine e un sacco di gente che guardava; quel giorno<br />

sono annegate 4 persone nel levante ligure e la ragazza che io avevo salvato era l‟unica<br />

che era sopravvissuta.<br />

Mesi dopo ai Bagni Lido, l‟ex Sindaco Cerofolini mi ha consegnato una medaglia d‟oro<br />

per salvataggi in mare.<br />

Pochi anni dopo a Palazzo Tursi l‟ex sindaco mi ha consegnato un‟altra medaglia d‟oro<br />

al valore civile del Ministero degli Interni, confermandomi che sono il bagnino con più<br />

salvataggi di tutti.<br />

Nell‟Agosto del 1970 insieme ad altri ho promosso lo sciopero dei bagnini per chiedere<br />

la stabilità del nostro posto di lavoro. Chissà come mai nell‟anno successivo, il 1971,<br />

sono stato l‟unico a non essere richiamato in servizio! Ma grazie all‟ interessamento<br />

diretto del Sindaco Cerofolini nel 1973 sono stato richiamato e reintegrato in<br />

servizio.<br />

Ho finito di fare il bagnino nel 1994.


Anna La Pignola<br />

IL <strong>MARE</strong><br />

Io amo il mare.<br />

Abitavo a Santa Margherita, in una casetta vicino al mare.<br />

Dalla finestra della mia cucina vedevo i pescatori armeggiare le reti tra le barche...<br />

Era l‟alba quando partivano al largo per cercare i pesci, per poi tornare al tramonto<br />

carichi di pesci di tanti colori, rossi e azzurrini.<br />

Una volta, sulla riva, arrivava tanta gente per comprare.<br />

Ci andavo anche io ed ero tanto felice a guardare quei pesci sguizzare dalle mani dei<br />

pescatori.<br />

Quando tornavo a casa, pensavo subito a cucinare le triglie fritte o arrostite<br />

e facevo il sugo di vongole e cozze, tipo ragù: è una mia ricetta speciale!<br />

Adesso non lo faccio più; quanta malinconia e quanta nostalgia per quella casetta.<br />

Dove abito adesso non mi piace proprio.<br />

Nelle belle giornate primaverili, la mia casa era piena di sole, ero felice e scrivevo<br />

sempre poesie e canzoni, quel mare mi dava la voglia di fare tante cose.<br />

Vorrei ritrovare l‟armonia di quel tempo, ma non ci riesco più.<br />

Anche qui vedo il mare da lontano, ma non è la stessa cosa.<br />

Come mai non riesco più a scrivere?<br />

Me lo chiedo sempre.<br />

Io vorrei ricominciare, ho ancora tante cose da dire e da fare,<br />

ho lasciato tanto indietro e voglio rifarmi, voglio scrivere ancora tante poesie, tante<br />

canzoni...<br />

Io amo la vita, la natura, il sole, il cielo e il mare perché fanno parte di me.<br />

Mio caro mare, aiutami tu a ricominciare; tu mi darai la forza che non ho più.<br />

Proteggi sempre i miei figli, anche se ora sono lontani.<br />

Tu sei tutto per me.<br />

Tua fedele devota,<br />

Anna


Eva Pisano e Marino Vacchi<br />

DELLO ZIGRINO NON SI BUTTA VIA NIENTE<br />

(Da neigra nu se caccia via ninte)<br />

Da testimonianze di vecchi pescatori di Cornigliano<br />

Durante la stagione di “magra” per i naselli, i pescatori di Cornigliano uscivano a pesca<br />

di “neigre”. La neigra o zigrino (detto anche “diavolo” a Roma o “ diavulu di funnu” a<br />

Catania) è uno squaletto di circa 1 metro e mezzo di lunghezza che si può pescare con<br />

palamiti tra 200 e 800 metri di profondità. Il corpo è di un bel grigio antracite (da<br />

cui i nomi) con bellissimi grandi occhi verdi fluorescenti. La pelle è ruvida e dura.<br />

Una volta pescato, lo zigrino era una vera e propria piccola miniera di prodotti<br />

alimentari, farmaceutici, per l‟artigianato e l‟industria, insomma …da neigra nu se<br />

cacciava via ninte. Ecco perché.<br />

La carne è buona da mangiare a tranci, come il palombo.<br />

La pelle era essiccata e usata per fare oggetti di pelletteria (borsette, portafogli,<br />

cinturini per orologi, etc). Soprattutto era ricercata dagli ebanisti per levigare i<br />

mobili di legno pregiato. Anche la pelle di un altro squalo, lo “smeriglio “ (nome<br />

scientifico Lamna nasus) era usata fin dall‟antichità per levigare gli oggetti di legno<br />

(da cui il termine “smerigliare”). Questo uso particolare della pelle di squalo, come<br />

cartavetro naturale, è dovuto alla presenza sulla superficie, di innumerevoli piccole<br />

scaglie dentellate molto resistenti.<br />

La parte più consistente dello zigrino è il fegato che può pesare anche fino ad un<br />

terzo dell‟animale. Cosa si faceva con il fegato? L‟enorme fegato veniva lasciato per<br />

giorni e giorni a “decantare” in particolari contenitori impermeabili realizzati in banda<br />

stagnata (“latte”) finché dal tessuto non veniva rilasciato tutto l‟olio.<br />

Questo olio aveva due tipi di utilizzazione, una industriale ed una farmaceutica.<br />

Nelle industrie locali era ricercato per le sue proprietà nella tempra dei metalli (era<br />

penetrante e non prendeva fuoco durante la lavorazione).<br />

Nella farmacia popolare veniva usato come rimedio contro infezioni della pelle. In<br />

particolare sembra che fosse assolutamente efficace contro la rogna (non solo dei<br />

cani).<br />

Dai racconti dei pescatori non si dice dell‟odore che doveva scaturire dalle latte in cui<br />

il fegato piano piano si trasformava in prezioso olio ma……..non ci vuole troppa fantasia<br />

ad immaginare qualcosa di forte e di non propriamente gradevole!<br />

Per chi vuole essere più scientifico: il nome della neigra è Dalatias licha


Antonella Costanzo<br />

FESTIVAL DELLA SCIENZA 2011<br />

MAGAZZINI DEL COTONE, PRIMO PIANO<br />

LA SALATURA DELLE SAR<strong>DI</strong>NE (Laboratorio)<br />

1 novembre 2011, Festival della scienza, pioggia battente. Siamo al Porto Antico e ci rifugiamo<br />

all'interno dei Magazzini del Cotone. Capitiamo per caso al secondo piano, dove è stato<br />

allestito lo stand Biodiversità: ricchezza di Liguria organizzato dall'Arpal.<br />

Tra giochi, degustazioni, video dei prodotti della nostra regione (quali miele, olive ed olio<br />

d'oliva) e del nostro artigianato (come la sedia Chiavarina), un piccolo laboratorio, a cui i<br />

visitatori possono assistere e partecipare, è dedicato alla preparazione della Salatura delle<br />

sardine. In questo spazio, nell'anno che celebra i 150 anni dell'Unità d'Italia, con questa<br />

iniziativa, volgiamo lo sguardo alle nostre spalle per guardare al futuro grazie a un semplice<br />

procedimento di conservazione dei cibi in cui sapienza e tradizione, delicatezza e semplicità<br />

possono convivere. La stessa preparazione del pesce richiede attenzione e precisione:<br />

impugnando la coda della sardina con la mano destra e utilizzando il pollice, è necessario<br />

esercitare contemporaneamente una pressione e torsione per separare la testa dalla lisca;<br />

successivamente i pesci vengono appoggiati su un foglio di carta da cucina prima di essere<br />

trattati per la salatura.<br />

Siamo da soli, ma l'animatrice ci accoglie e inizia a mostrarci le fasi principali per la<br />

conservazione di questo piccolo pesce dal corpo affusolato e compresso e abitante del Mar<br />

Mediterraneo e dell'Oceano Atlantico. Arbanella, sale grosso da cucina e sardine sono i<br />

protagonisti di un piatto gustoso da assaporare da solo o condimento necessario ed essenziale<br />

per la preparazione di altre pietanze.<br />

Sul tavolo sono disposti gli ingredienti, sopra menzionati: i contenitori di vetro (le già<br />

menzionate arbanelle), pesce fresco (le sardine, accuratamente pulite, private della testa e<br />

delle viscere) e sale grosso da cucina.<br />

Inizia il laboratorio: sul fondo dell'arbanella l'animatrice stende uno strato di sale grosso<br />

sopra il quale appoggia un primo strato di sardine, tenendole accustate l'una all'altra e tutte<br />

con la testa e la coda rivolte nella stessa direzione.<br />

Ultimata questa operazione, procede a ricoprirle con il sale e dispone quindi un altro strato di<br />

sardine sistemate perpendicolarmente allo strato precedente. Strato di sale e strato di<br />

sardine, sino al completo riempimento del recipiente. Sopra l'ultimo strato di sale pone una<br />

lastra di pietra o legno su cui appoggerà un peso che ha lo scopo di tenere schiacciate e<br />

compresse le sardine.<br />

La nostra interlocultrice ci dice come dobbiamo proseguire per concludere le fasi necessarie<br />

alla conservazione della carne di questo piccolo pesce: trascorsi quindici giorni, l'arbanella<br />

dovrà essere aperta in modo da eliminare i residui di sangue esplusi dalle sardine e si dovrà<br />

rabboccare la salamoia (300 gr. di sale per 1 lt d'acqua). Il vaso, infine, andrà riposto in un<br />

luogo fresco. In seguito, dopo quaranta giorni, sotto il getto dell'acqua corrente, le sardine,<br />

una volta lavate, sono pronte per essere condite con olio, aglio e spezie (timo o prezzemolo)<br />

oppure utilizzate come base per la preparazione di sughi, salse, verdure o altri piatti a base di<br />

pesce.<br />

Nel frattempo altri visitatori si sono radunati intorno al tavolo, incuriositi. Noi ce ne andiamo<br />

per lasciare loro il posto e per proseguire la nostra visita al Festival.


Alfonso Tummolo<br />

<strong>UN</strong> IMMERSIONE FATALE<br />

Ho iniziato tardi ad andare sott‟acqua.<br />

La prima volta che mi sono immerso con pinne e maschera volevo abbandonare questo<br />

sport, ma piano piano ho vinto la timidezza iniziale.<br />

La svolta è stata quando un mio amico mi ha convinto ad iscrivermi un Circolo<br />

subacqueo dove ho imparato ad andare in apnea e successivamente tutte le tecniche di<br />

pesca subacquea.<br />

Quell‟anno facemmo una spedizione in Sardegna, nell‟isola di Molara, restammo lì 15<br />

giorni e pescavamo per 12 ore.<br />

Questa esperienza mi ha aperto nuovi orizzonti e insieme ad alcuni amici abbiamo<br />

cominciato a spaziare su fondali più impegnativi nei pressi dell‟isola di Tavolara, Capo<br />

Figari e Capo Testa.<br />

L‟anno successivo ho conosciuto un certo Salvadori Pippo che mi chiese se volevo<br />

andare con lui una settimana nell‟isola di Tavolara. Diventammo amici dopo essere<br />

rimasti in mezzo al mare con il motore in panne: dovevamo tornare a casa e il<br />

traghetto era prenotato per quella stessa sera.Mi sono buttato in acqua, ho nuotato<br />

fino alla costa e lì alcuni tedeschi con il motoscafo ci offrirono il loro aiuto.<br />

Dopo ci fu la terza svolta clamorosa della mia esperienza subacquea.<br />

Pippo, il mio amico, era anche un istruttore. Mi convinse a scendere nelle profondità,<br />

con le bombole fino a 60-80 metri.<br />

A quel punto ci sembrava di non avere più limiti: pescavamo cernie fino a 50 chili<br />

orate, dentici branzini, aragoste e cicale di mare che si trovavano dentro a grotte<br />

marine sommerse.<br />

Abbiamo conosciuto scontri con squali.<br />

Ci siamo immersi in mezzo a tonni di 200 chili e a centinaia di tritoni da 1 quintale<br />

l‟uno.<br />

Nuotavamo con i delfini..<br />

Eravamo felici.<br />

Ma da lì a poco, Pippo ebbe diversi incidenti in acqua. E l‟ultimo gli fu fatale.<br />

Un giorno risalì troppo velocemente in superficie e un embolia midollare non lo<br />

perdonò, nonostante la camera iperbarica.<br />

In quel periodo io ero molto impegnato e non potevo seguirlo.<br />

Una brutta, orribile mattina arrivato in ufficio aprii il giornale ed ecco in prima pagina<br />

la sua foto …<br />

Capii che non l‟avrei più rivisto e che le belle immersioni sott‟acqua con lui sarebbero<br />

rimaste sul fondo del mare insieme ai ricordi della nostra amicizia.


Barbara Garassino<br />

<strong>UN</strong>A CENA IN<strong>DI</strong>MENTICABILE<br />

Ti ho conosciuto per caso, colpita dalla tua voce sensuale e profonda che filtrava attraverso un<br />

paravento di un elegante ristorante del centro. Ero sola ad affogare qualche banale dispiacere in una<br />

bottiglia di pregiato vino italiano, che di lì a poco avrebbe causato qualche altro ben più concreto<br />

dispiacere alla mia carta di credito. La pungente curiosità di dare un volto a quella voce ed il mio<br />

irrefrenabile istinto da predatrice mi hanno spinto impazienti ad un attacco rapido e disarmante; così,<br />

fingendo di essermi smarrita in quei dieci metri quadrati di sala nel goffo tentativo di cercare la<br />

toilette, mi sono materializzata davanti al tuo tavolo. Per un insperato colpo di fortuna anche tu eri solo<br />

e stavi minuziosamente dissezionando cinque incolpevoli triglie fritte. Il tuo aspetto attraente e<br />

vagamente ostile rendeva onore alla tua voce e quando i tuoi occhi, di un azzurro intenso appena<br />

intorbidito dal vino o dalla stanchezza, si sono posati curiosi su di me, ho deciso che ti avrei posseduto<br />

e che lo avrei fatto proprio quella sera. Così è stato! Spesso, per sentire forse appagato il tuo immenso<br />

narcisismo, mi hai chiesto perché proprio tu: non so. Quello che invece so è che da quella sera non ci<br />

siamo più lasciati: aperitivi, pranzi, cene, notti e caffè, ogni scusa era buona perché ci potessimo<br />

incontrare ed ogni incontro terminava immancabilmente in un appagante rapporto sessuale; i nostri<br />

corpi erano alla continua ricerca l‟uno dell‟altro, i nostri sguardi non saziavano mai la loro brama e le<br />

nostre dita percorrevano territori ormai noti, ma non per questo meno eccitanti.<br />

Così sono trascorsi sei mesi, in un turbinio di sensazioni ed in un crescendo di sentimenti, fintanto che,<br />

timida e paurosa, ti ho confidato la mia totale devozione ed il mio assoluto amore: errore lessicale<br />

imperdonabile! Infatti non sono state le parole seppure pesanti e cariche di significato “devozione” ed<br />

“amore” a turbare il tuo equilibrio, anzi, essendo linfa vitale per il tuo smisurato ego, sono state accolte<br />

con imbarazzante disinvoltura; invece gli aggettivi “totale” ed “assoluto” erano proprio inaccettabili!<br />

All‟inizio della nostra storia avevamo (forse il plurale è eccessivo) stabilito precise regole da rispettare:<br />

non avrei mai dovuto parlare di fidanzamento, non mi sarei mai dovuta interessare ad altre eventuali<br />

tue frequentazioni, garantendoti così la tua irrinunciabile libertà (ovviamente la reciprocità era<br />

sottintesa) ed avrei dovuto accuratamente evitare una diffusione capillare della notizia, perché le cose<br />

belle è meglio vivere in privato. Quindi, stabilito tutto ciò, perché avevo scelto proprio quei due dannati<br />

aggettivi? Allora ero come tutte quelle donne che affermavo di disprezzare nel loro stolto ed inutile<br />

tentativo di volere cambiare le carte in tavola; allora anche io come tutte le altre volevo solamente<br />

metterti in gabbia, chiuderti in una scatola nera senza luce e senza aria; allora ero anche io un‟ipocrita,<br />

una debole ed una noiosa femmina soltanto travestita da persona intelligente. D‟altronde, in ogni caso,<br />

ero sempre una donna… Finalmente muta ed incapace di una qualsiasi replica a tanta spocchiosa<br />

arroganza, ho lasciato che ti comportassi da uomo, da vero uomo, sul quale si può sempre fare<br />

affidamento perché ha un‟innata capacità intrinseca di risolvere qualsiasi problema con calma e con<br />

razionalità, ovvero ti ho lasciato tirare un pugno sul muro, urlante e fermamente convinto di aver<br />

marcato un punto a tuo favore nel vischioso mondo dei rapporti di coppia.<br />

Ho aspettato qualche giorno per fare sbollire la tua insensata collera e per poter contare su una<br />

massiccia dose di testosterone circolante, poi ti ho chiamato, profondendomi in ampie ed articolate<br />

giravolte di scuse ed ammettendo senza pudore alcuno tutte le mie bieche e gravissime colpe. Hai avuto<br />

il buon cuore di perdonarmi, facendomi però giurare sulla mia gatta Piera che non avrei più osato dire o<br />

soltanto pensare eresie simili; ho giurato, anche se avevo le dita rigorosamente incrociate, perché non è<br />

giusto che i miei errori ricadano sulla povera Piera e perché intanto ero al telefono e ti ho invitato a<br />

casa per una cena riconciliatrice con il seguente menù:<br />

Antipasto: spiedini di alici, pomodoro ed olive. Primo: zuppa di fagioli bianchi, baccalà e tortelli allo<br />

zenzero. Secondo: baccalà mantecato alla veneziana. Dolce: sorbetto di pere alla vodka. Il tutto<br />

accompagnato da un delizioso vino bianco fermo delle valli trentine. Tu adori il pesce ed io sono cuoca<br />

capace e fantasiosa, perciò c‟erano tutti i presupposti perché si realizzasse una cena indimenticabile.<br />

Ora che sei qui, abbandonato su quella sedia, con un rivolo di sorbetto di pere alla vodka che ti scende<br />

incurante lungo il mento, con ancora l‟inguardabile tovagliolo legato dietro al collo e gli occhi per sempre<br />

fissi sui candidi resti del baccalà mantecato alla veneziana, ho finalmente dato un senso alla nostra<br />

ultima lite ed a tutta la nostra storia: non erano gli aggettivi ad essere sbagliati, bensì i sostantivi ed<br />

appena ho mutato quel quartetto lessicale tutto mi è parso assolutamente chiaro e cristallino e quando<br />

le mie mani di cuoca abile ed esperta hanno spruzzato di veleno le inconsapevoli alici o lo hanno iniettato<br />

nei tortelli allo zenzero o ancora lo hanno versato in piccole lacrime di lucida follia sopra il baccalà, nella<br />

mia testa lampeggiavano instancabili come fastidiose luci al neon, quattro parole: totale disprezzo ed<br />

assoluto odio.


Lisa Pesatori<br />

ARTURO, <strong>UN</strong> PESCIOLINO CORAGGIOSO<br />

Impigliato nella rete, si dibatteva con le poche forze che ancora gli rimanevano, lo spirito di<br />

sopravvivenza lo induceva ad acrobazie quasi impossibili per un povero pesciolino fuori dall‟acqua.<br />

Forse ce l‟avrebbe fatta. Sentiva che sarebbe riuscito a salvarsi. Era riuscito a trovare un<br />

piccolissimo buco nella rete, e con le poche forze che gli erano rimaste, cercò di infilarsi in<br />

quell‟insperata fessura. Era salvo. Guizzò felice nell‟acqua, riprendendosi velocemente e la brutta<br />

esperienza già scompariva dalla sua giovane mente. Nuotò tutto il giorno, assaporando la gioia di<br />

trovarsi nel suo elemento naturale: la meravigliosa acqua salata del mare. Dopo tante ore di<br />

capriole e piroette, Arturo stava addormentandosi in un angolo intricato di piante marine. Non<br />

era tranquillo, faceva sogni brevi e agitati, svegliandosi di soprassalto tremante di paura.<br />

-Cosa fare? Nascondersi negli antri bui dei fondali misteriosi del mare? Questo pensiero lo<br />

riempiva di terrore. Avrebbe certamente incontrato i pesci tanto temuti che lo avrebbero<br />

mangiato come una caramella.<br />

All‟alba era ancora sveglio e l‟euforia del giorno prima era del tutto sfumata.<br />

La consapevolezza di aver vinto una prova tanto difficile avrebbe dovuto riempirlo di<br />

soddisfazione e dargli forza per vincere altri ostacoli, invece si sentiva solo e smarrito. Ad un<br />

tratto una luce lattiginosa attirò la sua attenzione. Con stupore vide una medusa danzare con<br />

tanta grazia, che il suo piccolo animo si riempì di rispettosa ammirazione.<br />

“Chi sei?”, sussurrò con un filo di voce, “non farmi del male, ti prego.” La medusa continuò a<br />

volteggiare e Arturo, incerto se essere contento o preoccupato, immaginò l‟affascinante<br />

visitatrice una Fata venuta per salvarlo.<br />

“So tutto di te”, finalmente disse la medusa, avvicinandosi. “Vieni, lasciati guidare e ti prometto<br />

che sarai al sicuro”. Arturo, traboccante di gratitudine, nuotò nella scia luminosa che la Fata<br />

lasciava dietro di sé.<br />

Osservava seppur con un minimo di trepida ansia, pesci di varie grandezze e colori. Li guardava<br />

con eccitazione, sapendo che non gli avrebbero fatto alcun male; probabilmente un filtro magico<br />

lo rendeva invisibile ai loro occhi.<br />

Quanto era riconoscente alla buona Fata! Avrebbe voluto in qualche modo dimostrarle la sua<br />

gratitudine e l‟occasione gli si presentò ben presto.<br />

Una sera, entrarono in una grotta che sembrava di cristallo, conchiglie rosa dai riflessi di<br />

madreperla emettevano suoni dolcissimi.<br />

Quasi sospesa tra fili d‟alghe e steli di fiori marini, la medusa riposava e nulla turbava il suo<br />

sonno tranquillo. Tra i suoi lunghi e flessuosi tentacoli, Arturo aveva trovato una culla ideale e si<br />

beava di tanta perfezione… Improvvisamente ebbe la sensazione di uno strano rumore. Con<br />

sgomento vide uno squalo di enormi dimensioni dirigersi verso la loro grotta. . Doveva fare subito<br />

qualcosa e questa volta doveva essere lui a difendere e proteggere la sua benefattrice.<br />

Approfittando di un attimo di disattenzione del minaccioso animale, si spinse velocemente verso<br />

la testa della medusa.<br />

“Cara Amica” le mormorò all‟orecchio, “mi dispiace disturbare il tuo sonno, ma si sta presentando<br />

un pericolo molto grave e se tu non interverrai, saremo perduti.”<br />

La medusa con incredibile prontezza, trascinò il pesciolino spaventato sotto una coltre di<br />

finissima sabbia che sollevandosi, diffuse una nebbiolina molto fitta. Si udì un forte colpo di coda<br />

e d‟incanto tutto ritornò come se nulla fosse accaduto.<br />

“Ti voglio bene,” sussurrò Arturo e la Fata rispose: “Anch‟io ti voglio bene caro pesciolino. Hai<br />

dimostrato coraggio ed un animo generoso. Temevi più per la mia vita che per la tua. Ora è<br />

arrivato il momento di lasciarci, devi imparare a percorrere la tua strada e superare le difficoltà<br />

che si presenteranno, con le sole tue forze.”<br />

“Non ci vedremo più…” disse in un soffio Arturo, mentre il cuore era talmente stretto che gli<br />

pareva di soffocare. La medusa era scomparsa. Piccoli pesci lo invitavano festosamente a<br />

giocare.<br />

“Forse ho sognato” pensò con tristezza, ma il sentimento che provava era reale, profondo e<br />

niente l‟avrebbe cancellato. Sarebbe rimasto dentro di lui per sempre.<br />

Sorrise e di buon grado si unì ai nuovi amici.


Cabam Francesca<br />

Ö PESCIÖ<br />

Pöveo pesciö, da quande t‟an pescou te‟ arrestöu l‟euggiö.<br />

avertö pin de püia ghe a pugnatta de rammu ch‟a t‟aspeta.<br />

Ti ghe ancön quae dè scappà poveö pesciö no ghè ninte da fa.<br />

Ghemmö za tuttö pe mettite a o feugo:<br />

ciòule, carotte, sellö e in un po‟de sa.<br />

E quande l‟euggiö u diventia‟ na perla e te‟ accuegan drentu ao piatö<br />

te bastia‟ cöndite con l‟euiö e ö limon .<br />

Pe gustà na pitansa prelibà a l‟è na stöia de tutti…<br />

anche de l‟ommo: già pe ù ma‟ e pe a tera in libertae<br />

che invece da pugnatta peu branzin a lè un gaelo de taera sciù au veilin.


Franca e Viviana<br />

MIA NONNA E LE ACCIUGHE ALL’AGLIATA<br />

In estate io e la mamma andiamo sempre a trovare nonna Lucia a La Spezia, nella sua<br />

casa d‟ origine.<br />

Ci prepara sempre degli ottimi pranzetti, tra cui cucina le acciughe impanate con una<br />

salsa di mollica.<br />

Mi chiede sempre di aiutarla nella preparazione e io mi diverto un sacco a togliere le<br />

teste alle acciughe.<br />

Di solito ne compra una quindicina di media grandezza e, dopo che ho levato la testa, la<br />

nonna le apre come un libro, le lava e le lascia asciugare.<br />

Mi incarica di sbattere le uova con il sale e di tuffarci dentro le acciughe infarinate e<br />

poi lei le passa nel pane grattugiato .<br />

Dopo arriva il bello, cioè quando la nonna frigge le acciughe nell‟olio bollente, anche se<br />

mi fa stare lontano perché ha paura che mi bruci.<br />

In una ciotola mi fa mescolare l‟aglio a fettine sottili con mollica di pane, sale e aceto<br />

e dopo lei versa il composto in una padella con olio extra- vergine e fa cuocere fino a<br />

quando si formano delle bollicine .<br />

Arrivati a questo punto mi caccia via dalla cucina, perché la salsa deve riposare sulle<br />

acciughe per almeno un‟ora e io non vedo l‟ora di mangiarle. Sono buonissime!


Franca e Viviana<br />

RACCONTI, RICETTE <strong>DI</strong> <strong>MARE</strong>… LA CAPPONADDA!<br />

La cosa che amo più fare è andare con il mio migliore amico Max in barca a vela.<br />

Di solito costeggiamo la Liguria fino alla Toscana, andiamo a prendere il sole all‟<br />

Isola d‟Elba o mangiamo il gelato a Portofino. Adoro la sensazione di vuoto<br />

intorno a me quando mi trovo in mezzo al mare, ma quando accade che il mare e<br />

il cielo si confondono diventa il mio scenario preferito.<br />

In genere partiamo presto, nonostante Max faccia ancora fatica ad alzarsi al<br />

mattino. Buttiamo delle esche in mare e ogni tanto qualche pesce abbocca e lo<br />

portiamo a casa. Ma il meglio viene quando arriva l‟ora di pranzo e abbiamo un<br />

certo appetito: ci piace mangiare come i marinai di un tempo! Incarico mia<br />

moglie di comprare le gallette più dure che trova, pomodori, tonno e acciughe a<br />

volontà. Sfrego l‟aglio sulle gallette e le passo in una ciotola con aceto e poca<br />

acqua per ammorbidirle. Max mi aiuta tagliando i pomodori, le acciughe e il<br />

tonno e versa tutto in un recipiente, dove ci spezzo dentro le gallette,<br />

condendo con olio, sale, pepe e aceto. Alle volte mettiamo anche delle uova<br />

sode, ma senza esagerare perché a noi piace mangiare come i veri marinai.<br />

Ce ne stiamo tutto il giorno sulla barca, un po‟ pescando e parlando del più e del<br />

meno, ricordando aneddoti divertenti di quando eravamo giovani.<br />

Quando arriva il tramonto di solito torniamo verso il porto e andiamo a casa,<br />

ancora con lo stomaco pieno, grazie ai nutrimenti dell‟ottimo pranzo in mezzo al<br />

mare.


Ingredienti per 4 persone<br />

Ricetta proposta da<br />

Linello Bruna<br />

ACCIUGHE RIPIENE<br />

- 500 grammi di acciughe<br />

- 100 grammi di mollica di pane<br />

- 70 grammi di parmigiano reggiano<br />

- 1 uovo<br />

- 1 bicchiere di latte<br />

- 1 cucchiaio di aglio e prezzemolo tritate e saltate in padella<br />

- olio extravergine di oliva<br />

- Maggiorana<br />

- Sale<br />

- Pangrattato e olio per la rifinitura<br />

Si possono friggere o in alternativa cuocere al forno.


Ricetta proposta da<br />

Lilli<br />

SEPPIE CON I PISELLI<br />

Ingredienti:<br />

-seppie ( media grandezza, preferibilmente fresche ) 1 kg<br />

-piselli 500g<br />

-aglio 1-2 spicchi<br />

-prezzemolo 1 ciuffo<br />

-vino bianco secco 1 bicchiere<br />

-olio extra vergine 4 cucchiai<br />

-sale fino 1 pizzico<br />

-alloro 1 foglia<br />

Preparazione:<br />

- lavate e pulite le seppie togliendo la pelle e il nero, tagliatele a listelli e:<br />

- in una casseruola versate 4 cucchiai di olio e fatevi rosolare 1-2 spicchi<br />

d‟aglio, il prezzemolo tritato e la foglia di alloro;<br />

- unite le seppie e bagnatele con il vino bianco secco, mescolate e sfumate per 2<br />

minuti;<br />

- salate, coprite la pentola con il coperchio e lasciate cuocere a fuoco<br />

dolce per 10 minuti;<br />

- aggiungete i piselli, rimettete il coperchio e fate cuocere a fuoco dolce altri<br />

15 minuti;<br />

Questa preparazione si può servire con le patate lesse oppure con il riso in<br />

bianco.


Ricetta proposta da<br />

Irene Castagneto<br />

BURRIDA ALLA LIGURE<br />

Ingredienti<br />

- 1 kg di polpo e seppie<br />

- 500 grammi di cozze<br />

- 300 grammi cannolicchi<br />

- 500 grammi di porcini secchi<br />

- 200 grammi di pomodori maturi<br />

- 1 gambo di sedano<br />

- 1 cipolla<br />

- 1 carota<br />

- 1 spicchio di aglio<br />

- 1 ciuffo di prezzemolo<br />

- 5 grammi di pancetta una sola fetta<br />

- 2 filetti di acciughe sottili<br />

- 50 grammi di pinoli<br />

- 1 bicchiere di vino bianco<br />

- 1 bicchiere di olio extravergine di oliva<br />

- sale, pepe<br />

- pane casereccio a fette<br />

- qualche foglia di basilico<br />

Preparazione<br />

Pulite il polpo e le seppie eliminando la vescichetta con l‟ inchiostro senza romperla<br />

tagliate le sacche a listarelle e i tentacoli a tocchetti.<br />

Spazzolate le cozze ed eliminate l‟eventuale ciuffo di alghe. Lasciate a bagno i<br />

cannolicchi per un‟ ora in acqua tiepida salata.<br />

Sciacquate il pesce in acqua corrente e lasciatelo sgocciolare.<br />

Ammorbidite i funghi in acqua tiepida.<br />

Scottate i pomodori in acqua bollente per pelarli, quindi eliminate i semi e tritateli.<br />

Preparate un battuto con funghi, sedano cipolla e carota, tritate aglio, prezzemolo e<br />

tagliate a cubetti la pancetta.<br />

Scaldate in una casseruola l‟olio con le acciughe spezzettate.<br />

Prima che inizino a friggere, unite la pancetta, i pinoli, il battuto di verdure e il trito<br />

di aromi.<br />

Fate ammorbidire mescolando.<br />

Quindi aggiungete i pomodori .<br />

Dopo 5 minuti mettete a cottura il polpo e seppie bagnate con il vino, fatelo<br />

evaporare, salate e pepate.<br />

Dopo circa 15 minuti mettete a cottura anche i cannolicchi, cozze e gamberetti.<br />

Bagnate con un mestolo di acqua salata, coprite e proseguite per 20 minuti a fuoco<br />

vivo. Scodellate la burrida, ben calda.


- 400 grammi di riso<br />

-400 grammi di scampi<br />

- 300 grammi di zucchine<br />

- 1 cipolla<br />

- 1 bicchiere di vino bianco secco<br />

- brodo vegetale<br />

- 80 grammi di burro<br />

- sale<br />

Ricetta proposta da<br />

Irene Castagneto<br />

RISO CON SCAMPI E ZUCCHINE<br />

Ingredienti<br />

Preparazione<br />

Tritate finemente la cipolla, fatela imbiondire nel burro e versatevi il riso, mescolate<br />

e aggiungete poco alla volta il vino bianco.<br />

Unite le zucchine pulite e tagliate a pezzetti poi mescolate proseguendo la cottura<br />

continuando ad aggiungere brodo caldo man mano che occorre.<br />

Quando il riso è ancora molto al dente, unite gli scampi puliti, regolate di sale,<br />

mescolate e spegnete la fiamma.<br />

Ponete un tovagliolo sulla pentola e chiudetela con il coperchio.<br />

Dopo 5 minuti servite . Volendo potete sostituire al vino bianco dello spumante secco .


Ricetta proposta da<br />

Alessandra Tassino<br />

SPEZZATINO <strong>DI</strong> PESCE SPADA E OLIVE TAGGIASCHE AL PROFUMO<br />

D’ALLORO<br />

Ingredienti per 6 -8 persone<br />

* 800 grammi di pesce spada a fette abbastanza spesse<br />

* farina<br />

* olio extravergine d‟oliva<br />

* 1 spicchio d‟aglio<br />

* 3 cipollotti<br />

* 12 - 15 olive taggiasche<br />

* 1 bicchiere di vino bianco<br />

* sale e pepe<br />

Preparazione<br />

Tagliare il pesce spada a dadini e infarinarlo leggermente, non troppo altrimenti<br />

risulterà appiccicoso.<br />

Soffriggere nell‟olio l‟aglio e i cipollotti affettati finemente, poi unire il pesce spada e<br />

farlo rosolare a fuoco vivace.<br />

Aggiustare di sale e pepe, poi aggiungere le olive e l‟alloro, e sfumare con il vino.<br />

Coprire il tegame, proseguire la cottura per 5 minuti e servire caldo.

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