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Inizio - OpenstarTs

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le a una estensione di 500 stadi, e uno stadio equivale a 125 passi, cioè 8 stadi equivalgono<br />

a mille passi (un miglio), per cui 500 stadi, la misura di un grado, equivalgono a 62.500 passi<br />

... ut unius partis latitudo istic quingentorum stadiorum mensura tendatur; singula uero stadia<br />

centum uiginti quinque passibus explicata, quae octo millenos passus absoluunt, unde<br />

quingenta stadia, quae sunt partis unius, milia passuum colligunt sexaginta duo passusque<br />

quingentos (VI 610); R. traduce: «… in modo tale che qui la lunghezza di una singola parte<br />

si estenda nella misura di cinquecento stadi; ora, poiché i singoli stadi si estendono per centoventicinque<br />

passi, fanno ottomila passi (corsivo mio), per cui cinquecento stadi che appartengono<br />

a una singola sezione, comprendono sessantaduemila e cinquecento passi»; e inoltre<br />

la comprensione si complica, per la uariatio lessicale ‘parte’ / ‘sezione’, per indicare in<br />

realtà il grado terrestre (sempre pars in M.). E se l’universo è costituito dai quattro elementi,<br />

simili a se stessi (sui similis omnis circumagentium naturarum ambitus reperitur VIII<br />

815), nessun circolo celeste potrà turbare l’omogeneità della propria zona (nulli possunt<br />

aetherium tractum circoli uariare): i circoli dunque sono puramente teorici e incorporei; ma<br />

tradurre «nessun circolo può variare il proprio percorso celeste» significa disseminare ulteriori<br />

trappole sul percorso del lettore. A VIII 857 intendere che Mercurio si distanzia dalla<br />

terra di un segno e mezzo e Venere di 46 gradi è una sciocchezza, causata da negligenza,<br />

visto che M. scrive: a quo... disparatur, cioè si distanzia «dal sole», come la realtà richiede.<br />

nella parte finale, dedicata alla ritmica, nonostante l’uso di fonti come Aristide Quintiliano,<br />

M. sembra riferire concetti privi di logica, che farebbero sorridere un lettore di testi ritmici<br />

o metrici, naturalmente secondo la lettura di R. Così a IX 969 M. scrive: sed rhythmice est<br />

ars omnis in numeris, quae numeros quosdam propriae conuersionis accipiat flexusque legitimos<br />

sortiatur; afferma cioè che la ritmica è un’arte che si basa completamente sui ritmi e<br />

che ammette determinati ritmi connessi alle possibili variazioni e sceglie variazioni secondo<br />

norme precise; è però impossibile cogliere tutto questo dalla traduzione di R.: «Ora, interamente<br />

in misure consiste l’arte ritmica, che ammette appunto misure determinate della propria<br />

conversione e sostituzione secondo una legge». E subito dopo propone un enigmatico<br />

«Ma siccome si è detto che alla misura si aggiungono la vista e l’udito...»; dovrebbe corrispondere<br />

a sed quia uisus auditusque numero dictus accedere... che però significa: «Ma poiché<br />

si è detto che la vista e l’udito hanno accesso al ritmo...», cioè l’udito e la vista possono<br />

cogliere il ritmo; e il tempo primo (primum... tempus, IX 971), unità ritmica minima e indivisibile,<br />

diventa, sportivamente, «il primo tempo». I rapidi accenni di M. ai tipi di ritmi sono<br />

stravolti: bacchii uero sunt dicti, quod bacchicis maxime sonis congruunt, isque bacchius<br />

ludus est, qui illis carminibus aptatur (IX 988), non significherà «I bacchî invece sono così<br />

chiamati perché sono costituiti in massima parte da suoni bacchici, ed è bacchica quella rappresentazione<br />

che si compone di questi carmi». M., con un po’ più di precisione scrive: «I<br />

(ritmi) bacchiaci si chiamano così perché si accordano in modo particolare con le musiche<br />

bacchiche, ed è proprio la festa di Bacco quella che si addice a quei carmi». Poco dopo: il<br />

peone diagyios è costituito ex longa positione et breui et longa elatione (IX 989) cioè da una<br />

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TRAPPOLE E MISTERI DI unA TRADuzIOnE

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