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TRAPPOLE E MISTERI DI unA TRADuzIOnE<br />

Il lettore incontra difficoltà di comprensione anche nell’episodio di Simonide (V 538), tradizionale<br />

inventore della mnemotecnica: il crollo della sala del banchetto rende irriconoscibili<br />

i convitati e Simonide li individua e li riconosce ricordando l’ordine dei posti che occupavano.<br />

Ma R. traduce in un italiano improbabile («una volta che, infatti, la sala del banchetto fu<br />

improvvisamente rovinata») l’espressione cum enim conuiuii locus subito corruisset; inoltre i<br />

propinqui non saranno ‘i vicini’, bensì i parenti, come confermano, tra gli autori che riferiscono<br />

l’episodio, Cicerone (de orat. II 353) e Quintiliano (inst. XI 2,13); e la conclusione, nella<br />

similitudine tra memoria e pagina scritta, sarà che il ricordo delle cose è contenuto in immagini<br />

come se fossero delle lettere (imaginibus uero quasi litteris rerum recordatio continetur) e<br />

non «gli oggetti memorizzati sono contenuti nelle immagini come in una sorta di lettere delle<br />

cose», stravolgendo la tradizione della tecnica dei luoghi e delle immagini, simili rispettivamente<br />

alla cera (o alla pagina) e alle lettere, come tràdito da Cicerone e Quintiliano. Inoltre se<br />

la memoria può essere aiutata da una ars, attraverso l’exercitatio, tutto si complica quando si<br />

conclude che «di questa parte il dono è questo, di cogliere le cose e le parole con una comprensione<br />

non soltanto sicura, ma anche rapida» così intendendo cuius partis [scil. memoriae] hoc<br />

munus est, ut non tantum firma, uerum etiam celeri comprehensione res uerbaque percipiat,<br />

dove munus indicherà non il dono, ma il compito, la funzione della memoria, cioè cogliere e<br />

tenere a mente (comprehensio) con sicurezza e rapidità cose e parole.<br />

Il lettore tralascia di discutere quanto, e non è poco, meriterebbe di essere approfondito<br />

e si chiede se questa traduzione possa essere affidabile almeno per una comprensione complessiva<br />

della fabula, di quella cornice di avvenimenti che racchiudono l’esposizione delle<br />

arti tecniche. Difficile poter dare una risposta positiva. In apertura del De nuptiis (I 2) M.<br />

replica al figlio, al quale era parso ancora assonnato, con l’espressione creperum sapis, resa<br />

dalla traduttrice con «sai quello che è oscuro», interpretazione che finisce per velare e negare<br />

lo spoudogheloion che caratterizza l’inizio dell’opera. Al contrario creperum sapis significa<br />

«hai le idee confuse»; il sintagma ricorre anche a VIII 805 v. 2, dove creperum uidens<br />

indica la vista annebbiata di Sileno.<br />

Allo stesso modo, nei paragrafi iniziali del sesto libro (VI 576-77) la traduzione crea serie<br />

difficoltà alla comprensione dei meccanismi strutturali dell’opera. Qui Satura viene in soccorso<br />

di M., incapace di procedere col racconto; Satura è colei che, nella finzione letteraria, ha<br />

suggerito a M. l’intera opera; M. lo dichiarava in apertura (fabellam... quam Satura... hiemali<br />

peruigilio... edocuit, I 2); all’inizio del libro sesto M. ripete ancora che Satura si era assunta<br />

l’onere dell’intera opera fin dall’inizio (quae totam fabellam ab inchoamentorum motu limineque<br />

susceperit, VI 676); ma nell’interpretazione di R. tutto si rovescia, sconvolgendo la genesi<br />

dell’opera e la sua valenza: sarebbe Satura che ascolta l’opera di M.: «aveva ascoltato l’intera<br />

storiella fin dal suo primo avviarsi». Curiosamente anche Stahl (Stahl-Johnson-Burge<br />

1977, 216) aveva proposto la stessa interpretazione («Satire... an attentive listener to my entire<br />

story from the very beginning»), palesemente errata. Le successive parole di Satura (… plurimum<br />

affatimque oliui, quantumque palaestras perluere uel sponsi ipsius posset, superfluo<br />

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