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TRAPPOLE E MISTERI DI unA TRADuzIOnE<br />
ché a III 261 labrum inferius è reso «labbro superiore»? Perché a VII 725 v. 6 germanam è<br />
«gemella»? Perché a VII 775 sumamus VIIII et XXV diventa «prendiamo 9 e 5»? e a VIII 880<br />
ultra XXII partes diventa «oltre i 32 gradi»? Perché infine a III 223 un teres quoddam... ferculum,<br />
quod leui exterius elephanto praenitebat è immaginato come «un recipiente tornito...<br />
che riluceva all’esterno di lieve avorio» confondendo lEuis (levigato) con leuis (leggero)? A<br />
IX 925 e ancora a 926 e 928 tibiae / tibicen è reso, come spesso. con «flauto / flautista», ma<br />
nel libro di Harmonia si potrebbe essere più precisi, come fanno gli interpreti più accorti,<br />
che mantengono il latinismo, poiché le tibiae e il corrispondente greco aulós indicano, diversamente<br />
dal nostro flauto, strumenti ad ancia. Però a IX 924 calamos... inflauere è reso con<br />
«gonfiarono le zampogne», che evoca zampogne nostrane più che strumenti di canne (la<br />
siringa di Pan) entro cui si soffia (inflare). Ma lo strumento più strano sono certamente le<br />
arpe nel cielo di Saturno, divinità potente e terribile nel suo aspetto di drago, di leone, di cinghiale:<br />
Filologia fugge dalla sua gelida sfera, «atterrita dalle arpe e dai rimbombi» (harpis<br />
bombisque perterrita II 197). Ma harpa (gr. ἅρπη) indica la falce, il falcetto, la spada,<br />
insomma lo strumento da taglio tipico dell’iconografia di Saturno e non l’improbabile anacronistico<br />
strumento musicale.<br />
Altre letture lasciano fortemente perplesso il lettore, anche se non pregiudicano la comprensione<br />
complessiva di un passo o di una scena: ma va ricordato che nella decriptazione del<br />
pensiero di M., sistematicamente espresso attraverso allegorie, anche i dettagli diventano elementi<br />
sostanziali. Così nell’espressione Iuno conscendentis precibus non repugnans (II 150)<br />
sarà difficile intendere, come fa R., «preghiere che salivano», senza far ricordare al lettore una<br />
matita blu: il gen. conscendentis indica Filologia che sta salendo al cielo, e Giunone non si<br />
oppone alle preghiere che la sposa le rivolge. E ancora a I 169 Filologia entra nel circolo lunare<br />
e supplica la Luna con gli aromi adatti a una dea e da vicino ne osserva il corpo celeste<br />
(lunarem ingressa circulum uirgo diuae congruis nidoribus supplicabunda de proximo conspicatur<br />
globosum... corpus); ma R. intende: «la vergine, dopo essere entrata nel circolo lunare,<br />
supplicata da vapori sacrificali adatti a una dea, contemplò da vicino un certo corpo sferico»,<br />
rovesciando così senso logico e grammatica, come d’altra parte era già successo a I 5:<br />
Mercurio, spinto dalla fama dei reciproci amori degli dèi e dal fatto che stando al servizio di<br />
parecchi di loro aveva modo di osservare gli affetti e i legami nuziali di tutti, decise a sua volta<br />
di prendere moglie: Hac igitur fama hisque deorum alternis amoribus motus concitusque Cyllenius,<br />
simulque quod cunctorum affectiones et thalamos, dum paret pluribus, conspicatur,<br />
uxorem ducere instituit. Il testo non pare irresistibile, ma R. stravolge ancora logica, lessico e<br />
sintassi: «Emozionato e trasportato, dunque, da questa fama e da questi reciproci amori degli<br />
dèi, il Cillenio, mentre al contempo osservava che gli affetti e le nozze sono di tutti – questo<br />
alla maggioranza appare chiaro –, decise di prender moglie». Al lettore appare chiaro soltanto<br />
che l’uso di un dizionario e una sintassi elementari non sono da tutti.<br />
Analogamente a I 73, davanti ai raggi splendenti del Sole, Giove si sarebbe stranamente<br />
oscurato, mentre invece rifulgevano le sfere che reggeva nella destra: in realtà Giove non si<br />
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