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Marziano Capella e il proconsulare culmen<br />

1. La pluralità dei temi presenti, la complessità della genesi e della struttura stessa del<br />

racconto, la modulazione linguistica variata su più livelli costituiscono la specifica ricchezza<br />

del De nuptiis di Marziano Capella, ma contemporaneamente ne fanno anche un’opera<br />

densa, talora ermetica. Strettamente intrecciati, vi compaiono infatti fabula e artes, divinità<br />

e sapientes, iniziazioni misteriche e matrimoni celesti, l’autore stesso e il genere letterario<br />

personificato, poesia e poetica, prosa colta e lingua delle tecniche, argomenti seri e situazioni<br />

comiche, miti e allegorie. Questi motivi, assieme a sfuggenti accenni autobiografici, si<br />

condensano in serrata concisione nei versi che chiudono l’opera (IX 997-1000): il testo però,<br />

per la sua peculiarità di contenuto e di lingua è apparso impenetrabile o, addirittura, corrotto.<br />

La vana speranza di abbozzare un’interpretazione plausibile ha incrostato di inutili interventi<br />

testuali questi ventisette senari che, nella sostanza, continuavano a resistere ai tentativi<br />

esegetici 1 . È stato invece necessario analizzare l’intera fabula per cogliere il contenuto, il<br />

tono e la funzione stessa di questi versi 2 . La chiusa è così apparsa a un tempo sintesi estrema<br />

e compiaciuta valutazione dell’opera da parte del suo autore, prima del congedo definitivo;<br />

una calcolata autoironia di Marziano emergeva dal diatribico rapporto con Satura, e le<br />

precise e taglienti espressioni di scherno pronunciate da quest’ultima andavano a costituire<br />

una indiretta sphragis dell’autore, del quale, diversamente, non avremmo notizie.<br />

I versi finali si aprono con l’offerta dell’opera al dedicatario, il figlio Marziano, cui<br />

l’autore spiega le ragioni dell’ampiezza e la scelta del genere menippeo: è stata Satura in<br />

persona a suggerirgli la lunga opera e il contenuto disparato (haec quippe loquax docta<br />

indoctis aggerans / fandis tacendo farcinat, immiscuit / Musas deosque…, IX 998); fino a<br />

quel momento la collaborazione era stata piacevole (lepidula…, iocabunda, VI 576; lepi-<br />

1 Queste considerazioni erano già in Morelli 1909, 247 e hanno mantenuto sostanzialmente intatta<br />

la loro validità fino ai nostri giorni. Per valutare l’ampiezza delle emendazioni è sufficiente scorrere<br />

l’apparato di Dick 1978, 533-535; non tutte sono invece accolte nell’apparato di Willis 1983, il più<br />

recente editore del De nuptiis.<br />

2 È quanto emerge dalla accurata analisi di Cristante 1978, il contributo più interessante sulla chiusa;<br />

il testo della tradizione manoscritta vi trova documentata giustificazione e soprattutto una interpretazione<br />

persuasiva, alla luce dell’intero De nuptiis; stupisce quindi che Willis 1983, VIII consideri<br />

oscuri e corrotti i versi della chiusa e affermi «neque ego neque alius quisquam, qui Martianum edendum<br />

susceperit, ex his versibus vel sensum vel syntaxin ullam concinnare potuit», tanto più che egli<br />

stesso pone le cruces su un singolo termine e su due soltanto dei ventisette senari.<br />

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