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VeNeRe ALLe Nozze DI FILoLoGIA e MeRCURIo. UNA PRoPoStA INDeCeNte?<br />

finisca per afferrare e trascinare capelli laceri. L’espressione ista cura, (l’impegno e la tensione<br />

per ascoltare le Artes) risponde all’uso che ne ha fatto Voluptas per indicare il dovere<br />

matrimoniale (VII 725 v. 14 nec te cura tori... ambit?); e i sensus iugalis sono le sensazioni,<br />

i ricordi coniugali suscitati in Venere dalla contingente situazione matrimoniale; e per la<br />

dea non saranno evocazioni gradevoli, vista la reazione rabbiosa che Mercurio paventa: il<br />

morso nero del fiele indica proprio la bile, nera, sede e origine dell’ira e Venere era celebre<br />

anche per la sua ira 24 . Riassumendo: la scherzosa proposta di Mercurio è valida purché<br />

Venere sia elegante, raffinata e non si adiri al pensiero di altri matrimoni. L’ultimo verso,<br />

(laceros trahat capillos) nella sua apparente incontrollata genericità, svela riferimenti precisi,<br />

a vicende note; evoca infatti una scena apuleiana (met. VI 10): Venere, adirata per il matrimonio<br />

del figlio Cupido con Psiche, quando finalmente ha davanti a sé la nuora, si scaglia<br />

su di lei, le lacera la veste, le strappa i capelli, le scuote il capo e la percuote duramente<br />

(inuolat eam uestemque plurifariam diloricat capilloque discisso et capite conquassato grauiter<br />

affligit); Marziano sintetizza questa scena recuperando però il verbo trahere dall’identica<br />

scena di poche righe prima, dove Apuleio aveva descritto l’analogo comportamento di<br />

Consuetudo nei confronti di Psiche, venuta a consegnarsi alla porta della reggia di Venere:<br />

et audaciter in capillos eius immissa manu trahebat eam (met. VI 9); e la veste stracciata<br />

(diloricat) e i capelli strappati (discisso) di Psiche spiegano la genesi dell’attributo laceros,<br />

compresso in una iunctura unica, per condensare gli elementi evocativi di una scena rilevante<br />

25 . Mercurio aveva inoltre ottime ragioni per rievocare allusivamente tutto questo: nella<br />

fabella apuleiana, proprio a lui si era rivolta Venere perché, come banditore divulgasse ovunque<br />

la ricerca della nuora Psiche; chi l’avesse consegnata avrebbe ricevuto come compenso<br />

sette baci da Venere stessa e uno di questi tutto particolare: appulsu linguae longe mellitum.<br />

Sul piano letterario un matrimonio e un motivo erotico collegano le due divinità 26 . Dunque<br />

24 In particolare l’ira di Venere è il motore dell’intera fabella di Amore e Psiche, da quando s’indigna<br />

per la concorrenza di Psiche (met. IV 29), a quando Giove, alla fine, la deve rabbonire: la sua è l’ira di<br />

Venere per antonomasia: stomachata biles Venerias (met. V 31); agli elementi apuleiani che innovano la<br />

personalità di Venere accenna Grimal 1963, 1-25; analizza le funzioni di Venere nella fabella Kenney 1990.<br />

25 In altro contesto, per esprimere il lutto e il dolore di Carite per la perdita del marito, Apuleio<br />

userà un’espressione analoga: adhuc uestes lacerantem, adhuc capillos distrahentem (met. VIII 8).<br />

26 In questa direzione va con ogni probabilità recuperato e spiegato un dettaglio delle prime pagine<br />

del De nuptiis apparentemente esornativo ed estemporaneo: Venere rideva divertita della nudità giovanile<br />

di Mercurio ormai adulto, e che proprio per questo decide di prendere moglie: ac iam pubentes<br />

genae seminudum eum incedere chlamidaque indutum parua inuelatum cetera humerorum cacumen<br />

obnubere sine magno risu Cypridis non sinebant (I 5); anche qui Marziano rivisita, a conferma della<br />

linea di lettura proposta e dei debiti contratti per questo tema, una descrizione apuleiana proprio di<br />

Mercurio: Adest luculentus puer nudus, nisi quod ephebica clamida sinistrum tegebat umerum... (met.<br />

X 30); e anche qui M. lascia un riconoscimento linguistico: la neoformazione apuleiana chlamyda, per<br />

il più usuale e frequentissimo chlamys (cf. Shanzer 1980, 64); se si esclude un passo molto incerto di<br />

Varrone (Men. 212) e il recupero in un testo grammaticale seriore (Frg. Bob., GL VI 623, 24), chlamy-<br />

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