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(606) iniziale del periodo successivo dove, come abbiamo visto, Marziano espone i rapporti<br />

climatico-astronomici tra gli anteci e i loro antipodi, cioè gli antictoni, rapporti che sono analoghi<br />

(etiam) a quelli tra noi e i nostri antipodi del periodo precedente.<br />

Anche l’esposizione sugli antipodi, quella che sembrava presentare gli errori più evidenti<br />

e che tanto stupore aveva sollevato, risulta in realtà corretta.<br />

La sezione relativa agli antipodi pare chiudersi con la seguente considerazione: nobisque<br />

Septentrio conspicabilis illos lateat sine fine; riferita agli antipodi, l’affermazione è inconciliabile<br />

con la loro collocazione marzianea nella zona temperata boreale. La brusca chiusura<br />

introdotta dall’enclitica ha fatto giustamente supporre a Dick una lacuna, soluzione accolta<br />

anche da Willis e Ferré, che però rifiutano illos (accolto invece da Eyssenhardt e Dick), per<br />

quanto ben testimoniato, ma omesso dalla prima mano di alcuni codici; linguisticamente il<br />

periodo è parallelo al precedente nobis Arctoa lumina spectare permissum, illis penitus denegatum<br />

(606) e al successivo nobisque penitus ignoratum (606), tutti con pronome esplicitamente<br />

espresso. Illos dunque non può indicare gli antipodi, che per Marziano si trovano nella<br />

zona temperata boreale, e quindi, diversamente da quanto richiede il testo, possono vedere<br />

le costellazioni polari. Sono invece gli anteci e gli antictoni che non possono vedere l’Orsa<br />

Maggiore: infatti per Marziano si trovano nella zona temperata australe; dunque illos (Septentrio...<br />

illos lateat sine fine) non può che individuare anteci o antictoni; degli anteci però<br />

Marziano parlerà subito dopo, mentre manca nel testo tràdito una analisi specifica della collocazione<br />

degli antictoni, a fronte di un esame dettagliato della posizione nostra, degli antipodi<br />

e degli anteci: questa porzione di testo successiva alla lacuna (testo che ovviamente non<br />

può riferirsi agli antipodi) è dunque la conclusione della sezione dedicata agli antictoni,<br />

sezione purtroppo caduta. E gli antictoni non possono vedere le costellazioni settentrionali.<br />

Marziano torna stranamente a parlare di antipodi quando esamina i fenomeni climatici e<br />

astronomici della zona torrida (607), in precedenza considerata inabitabile (602), mentre ora<br />

sono evidentemente riportati dati da fonti più aggiornate sulle conoscenze geografiche. Sulla<br />

particolare situazione equinoziale in cui giorno e notte hanno la medesima durata per tutti<br />

(Aequinoctiali autem tempore et oriens et occidens similiter apparebit 607) innesta osservazioni<br />

valide a rigore solo per chi si trova sulla linea equatoriale (dove persiste sempre una<br />

situazione equinoziale): costoro possono vedere tutte le stelle (per loro i poli giacciono sull’orizzonte)<br />

e vedono tramontare assieme quelle che assieme si sono levate. Inoltre aggiunge:<br />

Hi dies cunctos pares suis noctibus intuentur nec ullas meridiano die metiuntur umbras,<br />

affermazioni valide solo per chi è sull’equatore, la prima sempre, la seconda solo a mezzogiorno<br />

dell’equinozio 28 ; e prosegue eorumque antipodes dies noctesque sub eadem longitudine<br />

patiuntur: è chiaro che anche in questo passo gli antipodi si devono trovare sull’equa-<br />

- 97 -<br />

GLI SCANDALOSI ANTIPODI DI MARzIANO CAPELLA<br />

28 Solo sulla linea equatoriale il giorno è sempre uguale alla notte; all’equatore inoltre a mezzogiorno<br />

dell’equinozio non si hanno ombre; nella zona torrida compresa tra i due tropici non si hanno ombre<br />

a mezzogiorno soltanto quando il sole è allo zenit, ma la durata del giorno e della notte sono invertite.

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