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GLI SCANDALOSI ANTIPODI DI MARzIANO CAPELLA<br />

podi nella nostra zona temperata boreale e gli antictoni in quella temperata australe degli anteci,<br />

entrambi sul meridiano opposto al nostro, e quindi anche a quello degli anteci (fig. 2).<br />

Un segno di conferma della collocazione invertita di antipodi e antictoni viene anche dal<br />

semplice avverbio similiter (605) che all’inizio di periodo apre la descrizione dell’emisfero<br />

inferiore, individuato in Marziano dall’orizzonte teorico: l’avverbio indica che la situazione<br />

è analoga e simmetrica a quella dell’emisfero superiore, dove Marziano aveva descritto<br />

prima la nostra regione abitabile «che si protende verso settentrione» e poi quella degli anteci<br />

«che si estende verso mezzogiorno e l’austro». Ora per l’emisfero inferiore, che costituisce<br />

una realtà geografica analoga e simmetrica a quella dell’emisfero superiore, viene proposta<br />

la medesima rappresentazione di quello superiore (similiter): prima gli antipodi e poi<br />

gli antictoni; dunque verso nord, sul nostro parallelo gli antipodi, verso sud, sul parallelo<br />

degli anteci, gli antictoni.<br />

Prosegue poi Marziano: sed nos cum illis diuersitas temporum… discriminat (605); se la<br />

identificazione di questi illi poteva essere un problema, ora non è difficile capire dal contesto<br />

che si tratta di anteci e antictoni, gli abitanti delle due regioni della fascia temperata<br />

australe che possono vedere il polo sud e rispetto ai quali noi abbiamo stagioni opposte:<br />

quando da noi è estate da loro è inverno, quando da noi è primavera, da loro è autunno; e<br />

conclude: nobis Arctoa lumina spectare permissum, illis penitus denegatum (605); noi possiamo<br />

scorgere le costellazioni polari, per loro questo non è possibile: illis, anteci e antictoni.<br />

Fin qui l’esposizione appare corretta.<br />

Marziano passa quindi a trattare dei nostri antipodi (antipodes autem nostri 606), che, lo<br />

ricordiamo, per l’autore del De nuptiis sono sullo stesso nostro parallelo ma sul meridiano<br />

opposto, nell’emisfero inferiore, rispetto all’orizzonte teorico. Con i nostri antipodi noi abbiamo<br />

in comune contemporaneamente le medesime stagioni (unum nobiscum tractum perferunt<br />

hiemis et flagrantiam communis aestatis), ma con una precisazione: sed noctem diuersam diesque<br />

contrarios, licet aestate grandes dies prolixasque hieme noctes, *** nobisque Septentrio<br />

conspicabilis lateat illos sine fine, che andrà intesa nel senso che quando da noi è notte, presso<br />

gli antipodi splende il giorno e viceversa (noctem diuersam, rispetto alla nostra), e la durata<br />

del giorno è inversa rispetto a quella della notte (diesque contrarios, rispetto alla notte), ma<br />

d’estate sono più lunghi i giorni, d’inverno le notti 27 . A questo punto è chiaro anche l’ita etiam<br />

27 Intendere invece «En revanche nos antipodes supportent au même titre que nous la période d’hiver<br />

et l’embrasement d’un été commun, une nuit différente et des jours contraires...» supponendo che<br />

«l’auteur a vraisemblablement voulu dire que les antipodes connaissent comme nous un hiver et un été,<br />

mais inversés», (così Ferré 2007, 16 e 105) significa da un lato forzare il testo latino, dall’altro sottovalutare<br />

una tradizione che stabiliva precise corrispondenze tra le stagioni e i periodi di illuminazione<br />

tra noi e le altre ecumeni (vd. per esempio lo stesso Marziano e Cleomede) . Inoltre non si vede ragione<br />

per non accogliere nel testo hieme (Willis, Ferré), ben attestato nella tradizione manoscritta e accolto<br />

da Dick e Eyssenhardt. Permangono nei codd. tracce del tentativo di dare sistemazione logica al<br />

passo e perciò Petersen 1870, 18 concludeva: «Itaque ego hunc locum pro desperato habeo».<br />

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