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«Quegli Italiani che oggi onoriamo non sono dimenticati»

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4 DIFESA ADRIATICA Marzo 2008<br />

medaglie commemorative del Giorno<br />

del Ricordo ai congiunti degli infoibati.<br />

Nel corso della cerimonia <strong>sono</strong> intervenuti<br />

il Ministro Francesco Rutelli e<br />

l’on. Lucio Toth<br />

Il Presidente Napolitano ha rivolto<br />

un indirizzo di saluto ai presenti.<br />

Ha fatto seguito il concerto Omaggio<br />

per il Giorno del Ricordo.<br />

_________________________<br />

È questo il secondo anno in cui<br />

presenzio alla cerimonia del Giorno<br />

del Ricordo. Ho espresso con chiarezza<br />

il mio pensiero lo scorso anno. E<br />

qual<strong>che</strong> reazione inconsulta al mio<br />

discorso – <strong>che</strong> vi è stata fuori d’Italia -<br />

<strong>non</strong> ha scalfito la mia convinzione <strong>che</strong><br />

fosse giusto esprimermi, a nome della<br />

Repubblica, con quelle parole e con<br />

quell’impegno <strong>che</strong> <strong>sono</strong> contento di<br />

aver poco fa sentito ribadire dal Ministro<br />

Rutelli. Oggi aggiungerò, dunque,<br />

solo brevi considerazioni, rivolgendo<br />

il più cordiale saluto e sentimento di<br />

continua dalla prima pagina<br />

L’indirizzo di saluto del Presidente della Repubblica Napolitano<br />

<strong>«Quegli</strong> <strong>Italiani</strong> <strong>che</strong> <strong>oggi</strong><br />

<strong>onoriamo</strong> <strong>non</strong> <strong>sono</strong> <strong>dimenticati»</strong><br />

vicinanza a voi <strong>che</strong> avete appena ricevuto<br />

solenni – an<strong>che</strong> se tardivi – riconoscimenti,<br />

e a tutti coloro <strong>che</strong> qui<br />

rappresentano l’odissea carica di sofferenze<br />

cui è dedicato questo Giorno<br />

del Ricordo.<br />

Ritengo <strong>che</strong> sia ora giunto il momento<br />

di interrogarci sul più profondo<br />

significato del ricordo <strong>che</strong> fortemente,<br />

giustamente ci si è rifiutati di veder<br />

cancellato. L’omaggio alle vittime di<br />

quegli anni, insieme al doveroso riconoscimento<br />

delle ingiustizie subite, del<br />

dolore vissuto dai superstiti, dai loro<br />

discendenti e da chi fu costretto all’esodo,<br />

<strong>non</strong> pos<strong>sono</strong> e <strong>non</strong> devono prescindere<br />

da una visione complessiva<br />

– come quella richiamata con tanta<br />

efficacia ed eloquenza dal senatore<br />

Toth – serena e <strong>non</strong> unilaterale di quel<br />

tormentato, tragico periodo storico,<br />

segnato dagli opposti totalitarismi. E<br />

deve esserci di monito la coscienza<br />

<strong>che</strong> fu appunto la piaga dei nazio-<br />

Il testo dell’intervento di Lucio Toth<br />

al Quirinale in occasione del 10 febbraio<br />

«Il nostro posto nella storia<br />

della nazione italiana»<br />

e dalmati italiani. E su questo “ampio<br />

contesto” abbiamo riflettuto durante<br />

l’anno trascorso, con gli studiosi <strong>che</strong><br />

ci <strong>sono</strong> vicini.<br />

Non siamo del resto noi, istriani,<br />

dalmati e fiumani, il solo popolo <strong>che</strong><br />

abbia subito persecuzioni, pulizie etni<strong>che</strong>,<br />

genocidi soltanto a causa della<br />

propria identità nazionale. È giusto<br />

quindi raffrontare le nostre vicende a<br />

quelle di altre nazioni, vicine o lontane<br />

<strong>che</strong> siano dalle sponde dei nostri<br />

mari.<br />

Mettendo a paro sentimento e ragione,<br />

riflessione e passione politica,<br />

ci siamo resi conto <strong>che</strong> alle radici del<br />

dramma vissuto dalle nostre terre natali<br />

– dove per secoli abbiamo convissuto<br />

con conterranei di lingue diverse<br />

– vi <strong>sono</strong> cause intrinse<strong>che</strong> ed estrinse<strong>che</strong><br />

alla nostra posizione geografica<br />

e alla storia stessa dell’Europa, cause<br />

prossime e cause remote.<br />

Certo tra le cause prossime ed<br />

estrinse<strong>che</strong> vi fu lo scontro tra ideologie<br />

contrapposte: nazionaliste nel corso<br />

dell’Ottocento, socio-politi<strong>che</strong> nel<br />

corso dei Novecento, <strong>che</strong> ha visto consumarsi<br />

in pochi decenni il sogno dei<br />

nostri padri di vedersi riuniti alla<br />

Madrepatria e il distacco da essa della<br />

terra <strong>che</strong> ci aveva nutrito per generazioni.<br />

La contraddizione tra opposte aspirazioni<br />

nazionali <strong>non</strong> poteva <strong>non</strong> condurre<br />

in una terra di frontiera, come<br />

tale plurale nelle sue componenti, ad<br />

una inevitabile contrapposizione tra<br />

chi voleva <strong>che</strong> questa terra appartenesse<br />

allo Stato-Nazione-Italia e chi<br />

voleva invece <strong>che</strong> quella stessa terra,<br />

<strong>che</strong> sentiva altrettanto sua, fosse<br />

ricompresa in altro Stato.<br />

Lo scontro tra imperialismi contrapposti,<br />

<strong>che</strong> fu all’origine della prima<br />

guerra mondiale, e quello tra opposte<br />

ideologie – alcune totalitarie –<br />

<strong>che</strong> fu all’origine della seconda, <strong>non</strong><br />

favorì la comprensione reciproca, anzi<br />

la allontanò, scavando un solco profondo<br />

di rancori e di rivendicazioni.<br />

Quello <strong>che</strong> allora <strong>non</strong> si poteva<br />

continua dalla prima pagina<br />

capire, irretiti tutti da pregiudizi di pretese<br />

superiorità razziali o culturali,<br />

<strong>oggi</strong>, da cittadini adulti di un’Europa<br />

unita, si può e quindi si deve capire.<br />

Ma ci <strong>sono</strong> an<strong>che</strong> le cause remote,<br />

intrinse<strong>che</strong> all’essenza stessa della<br />

nostra identità di italiani dell’Adriatico<br />

orientale, <strong>che</strong> vanno esplorate e<br />

approfondite con spirito sereno.<br />

Le radici liberali<br />

dell’irredentismo adriatico<br />

Chi può rimproverare a noi, esuli<br />

dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia<br />

di avere amato la nazione italiana, di<br />

sentirci parte di essa, di aver conservato<br />

la nostra lingua e la nostra cultura<br />

di fronte a minacce e pressioni <strong>che</strong><br />

mettevano a rischio la nostra sicurezza<br />

e i nostri beni? E alla fine la nostra<br />

stessa vita?<br />

Inoltrandoci nella ricerca, soprattutto<br />

sullo sviluppo delle idee liberali<br />

e democrati<strong>che</strong> durante il XIX secolo,<br />

<strong>non</strong> si può <strong>non</strong> constatare come siano<br />

state queste idee il motore primo,<br />

l’ispirazione fondamentale della tute-<br />

nalismi, della gretta visione particolare,<br />

del disprezzo dell’“altro”, dell’acritica<br />

esaltazione della propria identità<br />

etnica o storica, a precipitare il nostro<br />

continente nella barbarie della guerra.<br />

Oggi, le ferite lasciate da quei terribili<br />

anni si <strong>sono</strong> rimarginate in un’Europa<br />

pacifica, unita, dinamica; un’Europa<br />

consapevole <strong>che</strong> gli elementi <strong>che</strong><br />

la uniscono <strong>sono</strong> infinitamente più forti<br />

di quelli <strong>che</strong> l’hanno divisa o pos<strong>sono</strong><br />

dividerla; un’Europa <strong>che</strong>, grazie alla<br />

cultura della pace e dell’operosa convivenza<br />

civile, è riuscita a prosperare<br />

come nessun’altra regione al mondo.<br />

Eppure, questa stessa Europa ha visto i<br />

Paesi dei Balcani, parte integrante della<br />

propria storia e della propria identità,<br />

divenire teatro ancora pochi anni<br />

fa di conflitti sanguinosi, <strong>che</strong> hanno<br />

lacerato Stati, comunità, famiglie, in<br />

un cupo ritorno all’orrore del passato.<br />

Sia dunque questo il monito del<br />

la della tradizione italiana nella penisola<br />

istriana e lungo le coste e le isole<br />

del Quarnero e della Dalmazia.<br />

L’autonomismo fu la chiave di volta<br />

di questa cultura politica, <strong>che</strong> prendeva<br />

atto realisticamente e onestamente<br />

della pluralità linguistica delle nostre<br />

regioni e ne voleva preservare le<br />

caratteristi<strong>che</strong> come risorse vitali delle<br />

nazioni <strong>che</strong> vi confluiscono, anziché<br />

come motivo di odio e di conflitto.<br />

Fu dal fallimento dell’autonomismo<br />

– per cause di politica internazionale<br />

<strong>che</strong> passavano sopra le nostre<br />

teste – <strong>che</strong> sorse l’irredentismo adriatico,<br />

come quello trentino. Ma all’interno<br />

di questo movimento l’atteggiamento<br />

prevalente <strong>non</strong> era quello della<br />

chiusura e della sopraffazione, ma<br />

un moto di riscossa nazionale <strong>che</strong> accomunava<br />

popoli diversi. Le parole e<br />

le azioni di Nicolò Tommaseo, di Antonio<br />

Baiamonti, di Carlo Combi, di<br />

Antonio Grossich e degli altri leader<br />

del “partito italiano” dell’Istria, della<br />

Dalmazia e di Fiume <strong>sono</strong> ben lontane<br />

da pulsioni oppressive o comunque<br />

scioviniste. Altrettanto lontane<br />

quelle di Scipio Slataper o di Giani<br />

Stuparich.<br />

Sono queste radici liberali a spiegare<br />

da un lato la simpatia verso le<br />

nostre aspirazioni della parte più avanzata<br />

della cultura italiana del tempo,<br />

sia tra le file repubblicane <strong>che</strong> tra quelle<br />

cattoli<strong>che</strong> e socialiste; dall’altro il dramma<br />

vissuto delle nostre popolazioni e<br />

L’esecuzione del concerto per il Giorno del Ricordo<br />

Roma, Quirinale, 10 Febbraio.<br />

Il Presidente Napolitano rivolge il suo saluto<br />

Giorno del Ricordo: se le ragioni dell’unità<br />

<strong>non</strong> prevarranno su quelle della<br />

discordia, se il dialogo <strong>non</strong> prevarrà<br />

sul pregiudizio, niente di quello <strong>che</strong><br />

abbiamo faticosamente costruito può<br />

essere considerato per sempre acquisito.<br />

E a subirne l’oltraggio sarebbe in<br />

primo luogo la memoria delle vittime<br />

delle tragedie <strong>che</strong> ricordiamo <strong>oggi</strong> e il<br />

cui sacrificio si rivelerebbe vano. Dimostriamo<br />

dunque nei fatti <strong>che</strong> quegli<br />

<strong>Italiani</strong> <strong>che</strong> <strong>oggi</strong> <strong>onoriamo</strong> <strong>non</strong> <strong>sono</strong><br />

dalle nostre classi dirigenti al sopravvenire<br />

del regime fascista, <strong>che</strong> mentre<br />

voleva apparire come erede del moto<br />

risorgimentale, ne contraddiceva i<br />

presupposti filosofici e morali.<br />

Ma andando ancora più in là ci si<br />

avvede una radice più profonda della<br />

presenza latina e veneta in quelle terre<br />

nei secoli di mezzo e nell’età moderna.<br />

Queste radici autoctone <strong>sono</strong><br />

la conseguenza di una civiltà giuridica<br />

gelosamente custodita nelle istituzioni<br />

rappresentative delle nostre città<br />

libere, <strong>che</strong> cercavano di coniugare le<br />

anti<strong>che</strong> Libertates comunali con il<br />

modello delle moderne democrazie<br />

liberali.<br />

L’età contemporanea <strong>non</strong> ha saputo<br />

preservare questa civiltà, sospingendo<br />

le nostre vite nel vortice delle esasperazioni<br />

ideologi<strong>che</strong> del Novecento.<br />

Dalla barbarie del “secolo breve”<br />

<strong>sono</strong> derivate per noi, come conseguenze<br />

ultime, la tragedia delle Foibe<br />

e il dramma del nostro Esodo, sotto la<br />

spinta di una spietata dittatura comunista.<br />

Perché <strong>non</strong> tornare alle sorgenti di<br />

questi ideali, in un’Europa <strong>che</strong> cerca<br />

la propria identità e la propria unità?<br />

Perché <strong>non</strong> trarre dalla nostra esperienza<br />

dolorosa un progetto di convivenza<br />

e di ritrovata comunità di fini<br />

tra tutte le nazioni <strong>che</strong> si affacciano<br />

sul nostro Adriatico?<br />

È questa la domanda <strong>che</strong> noi rivolgiamo<br />

a chi ancora <strong>non</strong> vuole aprire<br />

il cuore e la mente al significato più<br />

alto e più vero del Giorno<br />

del Ricordo. E quello<br />

<strong>che</strong> noi, italiani<br />

dell’lstria, di Fiume e<br />

della Dalmazia chiediamo<br />

è un ritorno alla<br />

ragione e alle verità: il<br />

nostro posto nella storia<br />

della nazione italiana,<br />

nella sua cultura,<br />

nel suo progresso civile.<br />

Gli artisti, i musicisti,<br />

i letterati di queste<br />

terre hanno dato un<br />

contributo decisivo<br />

alla cultura italiana, facendo<br />

più volte da tramite<br />

con le culture dell’Europa<br />

centrale e<br />

orientale.<br />

Non si tratta soltanto<br />

della letteratura triestina<br />

del Novecento,<br />

ma di una catena di<br />

dimenticati, e <strong>che</strong> il dolore di tanti <strong>non</strong><br />

è stato sprecato; dimostriamo di aver<br />

appreso tutti la lezione della storia, e<br />

di voler contribuire allo sviluppo di<br />

rapporti di piena comprensione reciproca<br />

e feconda collaborazione con<br />

paesi e popoli <strong>che</strong> hanno raggiunto o<br />

tendono a raggiungere la grande famiglia<br />

dell’Unione Europea.<br />

Il Presidente della Repubblica<br />

Giorgio Napolitano<br />

umanisti, di architetti, di uomini di<br />

scienza <strong>che</strong> ha collegato la tradizione<br />

romano-bizantina delle terre adriati<strong>che</strong><br />

orientali al Rinascimento e all’età<br />

moderna e contemporanea. Un contributo<br />

<strong>che</strong> è continuato fino ai nostri<br />

giorni in tutti i settori della vita nazionale,<br />

dalle attività produttive alla pubblica<br />

amministrazione, allo sport, al<br />

cinema, al teatro.<br />

Come è giusto an<strong>che</strong> ricordare <strong>che</strong><br />

al processo di unificazione nazionale<br />

parteciparono uomini e donne dell’Istria,<br />

di Fiume e della Dalmazia: nella<br />

politica, nella diplomazia, nelle guerre<br />

di indipendenza. E altre vite hanno<br />

dato alla nazione i profughi di allora e<br />

i loro figli, caduti negli ultimi decenni<br />

nelle forze armate e nelle forze dell’ordine<br />

al servizio della Repubblica.<br />

E questo contributo chiediamo <strong>che</strong><br />

sia riconosciuto, per rispetto della storia.<br />

E <strong>che</strong> nei libri di scuola e nei testi<br />

universitari italiani i nomi di Pola, di<br />

Fiume, di Zara, di Pirano o di Rovigno<br />

<strong>non</strong> siano cancellati, ma siano piuttosto<br />

un viatico di fratellanza tra i popoli<br />

delle due sponde adriati<strong>che</strong>.<br />

Dei tre elementi costitutivi dello<br />

Stato: popolo, territorio, istituzioni, la<br />

perdita del secondo <strong>non</strong> comporta la<br />

cancellazione di chi fa parte del primo.<br />

Come ne dà conferma l’art. 51,<br />

secondo comma, della Costituzione.<br />

Una proiezione di questa eredità<br />

è an<strong>che</strong> l’aspirazione degli esuli<br />

giuliano-dalmati di vedere riconosciuti<br />

i loro diritti sui beni acquisiti dagli avi<br />

con la loro laboriosità e <strong>che</strong> un regime<br />

liberticida ci ha tolto, o di vederli<br />

equamente risarciti da uno Stato onesto,<br />

capace di riconoscere i propri<br />

obblighi giuridici e morali verso una<br />

gente <strong>che</strong> tutto ha dato alla nazione.<br />

Allo stesso modo hanno diritto a<br />

una tutela coraggiosa i nostri connazionali<br />

rimasti nei territori di origine,<br />

<strong>che</strong> hanno testimoniato e difeso la loro<br />

identità in mezzo a tante avversità. Su<br />

di essi si invoca, a cominciare dal<br />

bilinguismo, la “tutela delle diversità<br />

identitarie” <strong>che</strong> è uno dei cardini dell’integrazione<br />

europea, di cui l’Italia è<br />

stata tra i fondatori e la cui guida è <strong>oggi</strong><br />

affidata alla Repubblica di Slovenia.<br />

Al termine di questo percorso di<br />

giustizia si troverà finalmente quel<br />

porto di riconciliazione <strong>che</strong> è il nostro<br />

traguardo finale. Questo è per noi, Signor<br />

Presidente, il senso vero del Giorno<br />

del Ricordo.<br />

Lucio Toth

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