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«Quegli Italiani che oggi onoriamo non sono dimenticati»

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12 DIFESA ADRIATICA Marzo 2008<br />

L’esodo dei giuliano-dalmati<br />

10 FEBBRAIO:<br />

PERCHÉ E COME RICORDARE<br />

Quest’anno il Giorno del Ricordo ha assunto un più<br />

preciso significato e una ben maggiore portata, perché lo<br />

scorso 21 dicembre an<strong>che</strong> la Slovenia è entrata nel sistema<br />

europeo di S<strong>che</strong>ngen per la libera circolazione delle<br />

persone: è caduto il «muro di Gorizia»! E con lui, naturalmente,<br />

<strong>sono</strong> stati aperti tutti i «valichi»: da Fusine in<br />

Alta Val d’Isonzo a San Bartolomeo nel Golfo di Trieste<br />

(<strong>non</strong> così fra Slovenia e Croazia, <strong>che</strong> purtroppo continuano<br />

a tenere l’Istria spaccata in due). Ed il 1° gennaio<br />

la Slovenia è entrata an<strong>che</strong> nella Banca Centrale Europea<br />

e ha adottato l’Euro. Nello stesso giorno ha assunto la<br />

Presidenza semestrale dell’Unione Europea, l’organizzazione<br />

economico-politico <strong>che</strong> ha creato mezzo secolo<br />

di pace fra i popoli europei, liberandoli dai nazionalismi<br />

sciovinistici e dagli strumenti <strong>che</strong> li avevano sostenuti e<br />

aizzati. Si tratta di un fatto veramente di portata storica.<br />

Non solo per il piccolo popolo – 2 milioni di abitanti –<br />

della Slovenia, ma per tutta l’Europa e, in particolare, per<br />

l’Italia. E in modo particolarissimo per noi giulianodalmati.<br />

• • •<br />

Io <strong>sono</strong> diventato molto vecchio. Ma ciò <strong>non</strong>ostante<br />

<strong>non</strong> credevo - an<strong>che</strong> se speravo - di riuscire a veder cancellato<br />

il confine, con le sue barriere militari, polizieschi,<br />

doganali, valutarie, <strong>che</strong> alle porte di Trieste divideva<br />

Muggia da Capodistria (più precisamente, per me, San<br />

Rocco, dove ho vissuto parte della mia infanzia, da San<br />

Nicolò, dove andavo a fare i bagni, come tantissimi triestini);<br />

quel confine <strong>che</strong> divideva Opicina da Sesana e<br />

Basovizza da Lipizza (dove per tanti anni ho fatto le mie<br />

passeggiate famigliari domenicali).<br />

Era lo stupido, antieconomico, inumano confine <strong>che</strong><br />

l’ultimo perniciosa conflitto fra gli Stati europei ci aveva<br />

imposto precisamente 60 anni fa col Trattato di pace del<br />

10 febbraio ’47 – giorno al quale, perciò, ancoriamo il<br />

nostro «ricordo». Come nei decenni precedenti prima gli<br />

imperialismi e poi i nazionalismi avevano diviso l’Istria e<br />

la Dalmazia dalla Penisola italiana – e <strong>non</strong> solo Zara da<br />

Ancona, Spalato da Pescara, la “mia” splendida isola di<br />

Lesina (diventata Hvar) dal Lago pugliese di Lesina (della<br />

medesima forma topografica), e Ragusa da Bari, ma persino<br />

Fiume da Trieste. E il pervicace ipernazionalismo<br />

croato continua a tenerli divisi, oltretutto ostacolando pesantemente<br />

il completamento dell’integrazione europea<br />

an<strong>che</strong> al di là dell’Adriatico. Ma ci arriveranno presto o<br />

tardi an<strong>che</strong> loro, i croati e i serbi. Ineluttabilmente.<br />

Quando negli anni ’70 l’inasprirsi della «guerra fredda»<br />

faceva pensare a tutti <strong>che</strong> l’infausta e minacciosa<br />

«cortina di ferro» <strong>non</strong> dovesse cadere mai, an<strong>che</strong> solo<br />

sognare <strong>che</strong> quelle frontiere potessero essere abbattute –<br />

e <strong>non</strong> con l’ennesima guerra nazionalista, ma pacificamente,<br />

per comune consenso – pareva impossibile, assurdo.<br />

Ma, una volta tanto, la ragione spirituale ha vinto<br />

sulla forza materiale; lo spirito cristiano di solidarietà ha<br />

avuto la meglio sulla brutale ostentazione delle “divisioni”<br />

di Stalin (e di Tito). Così è stato dimostrato <strong>che</strong> an<strong>che</strong><br />

in quegli anni sarebbe stato più ragionevole e alla fine,<br />

an<strong>che</strong> più realistico, puntare sullo sviluppo e sul successo<br />

della politica europeista anziché arrampicarsi sugli<br />

specchi della diplomazia tradizionale, per “accontentare<br />

l’eretico” Tito con un trattato inutile ed umiliante come fu<br />

quello di Osimo (1975-1977).<br />

Tanto più <strong>che</strong> per praticare quella politica si ritenne<br />

di dover metter da parte i veri problemi dei rapporti umani,<br />

culturali e materiali degli Adriatici: quelli drammatici<br />

e irreparabili del passato, sacrificando an<strong>che</strong> moralmente<br />

una parte cospicua del popolo italiano, ma an<strong>che</strong> quelli<br />

di una penosa attualità <strong>che</strong> <strong>non</strong> è capace di riconoscere<br />

e far rispettare i diritti di quelle vittime: degli ormai pochi<br />

superstiti ma an<strong>che</strong> dei loro eredi. E ne sentiamo ancora<br />

gli effetti nel trattamento <strong>che</strong> subiamo da parte di una<br />

certa “routine” burocratica, alla quale il nostro «Ricordo»<br />

<strong>non</strong> dice nulla (per ignoranza geografica e per insensibilità<br />

politica). Peggio: si considerò possibile – addirittura<br />

doveroso – tentare di cancellarli dalla memoria degli<br />

italiani. An<strong>che</strong> a costo di provocare la comprensibile ma<br />

vana reazione di una sorta di revival nazionalistico (per<br />

molti, specie nella vecchia generazione, ancora fascinoso).<br />

• • •<br />

Invece quel oblio va rimosso. Finalmente ce ne siamo<br />

resi conto. Certo an<strong>che</strong> per il radicale mutamento<br />

della situazione politica internazionale e, conseguentemente,<br />

an<strong>che</strong> interna. Tanto <strong>che</strong> siamo arrivati al punto<br />

di far istituire – proprio per legge – il Giorno del Ricordo.<br />

Perché bisogna ricordare! Non tanto per dare occasione<br />

a noi vecchi di continuare a recriminare – legittimamente,<br />

sì, ma sterilmente – su un doloroso passato,<br />

ma per illuminare – positivamente – ai giovani la via della<br />

costruzione di un migliore avvenire.<br />

Bisogna ricordare anzitutto le cause politi<strong>che</strong>, economi<strong>che</strong><br />

e an<strong>che</strong> culturali di stampo nazionalistico <strong>che</strong><br />

hanno causato il nostro “doloroso passato” col sacrificio<br />

di migliaia di infoibati e di perseguitati, e con l’esodo di<br />

tutto il nostro popolo in un nefasto clima di ostilità preconcetta,<br />

di diffidenze irrazionali, di reciproco disprezzo,<br />

di odi e di vendette. Di terrore.<br />

Bisogna ricordare <strong>che</strong> i nazionalismi otto-novecenteschi,<br />

propagandando abilmente e sfruttando cinicamente<br />

i nobili sentimenti patriottici, hanno tradito e<br />

sconvolto una tradizione plurisecolare di convivenza<br />

pacifica e di reciproca civilizzazione, <strong>che</strong> aveva caratterizzato<br />

i popoli affacciati sull’Adriatico – anzitutto latini e<br />

slavi – con grandissimo vantaggio culturale, economico<br />

e civile.<br />

Bisogna ricordare <strong>che</strong> il vero patriottismo, l’amore<br />

per la Patria – per la sua gente e la sua terra, con la tutela<br />

dei valori peculiari dell’identità nazionale – <strong>non</strong> si realizza<br />

con le chiusure autarchi<strong>che</strong> né, tanto meno, coi conflitti<br />

rovinosi con gli altri Paesi, bersi con le lungimiranti<br />

aperture culturali ed economi<strong>che</strong>, garantite da istituzioni<br />

e politi<strong>che</strong> comuni.<br />

Bisogna ricordare, soprattutto, (e farlo capire bene alle<br />

nuove generazioni <strong>che</strong> <strong>non</strong> hanno vissuto né le guerre<br />

fratricide né, ovviamente, le foibe e l’esodo) <strong>che</strong> per porre<br />

riparo ai tremendi guasti prodotti dai nazionalismi di<br />

ieri e per impedire il loro riemergere – magari in nuove,<br />

diverse forme – <strong>non</strong> basta deplorarli e condannarli, ma è<br />

necessario creare gli strumenti politici e istituzionali,<br />

materiali e culturali, per renderli addirittura inconcepibili<br />

e impraticabili.<br />

Come si è fatto 50 anni fa con la CECA e con la CEE,<br />

quando Francia e Germania per risolvere le loro contese<br />

economi<strong>che</strong> (e quindi di potenze militari) hanno sostituito<br />

i can<strong>non</strong>i e i carri armati con le istituzioni europee<br />

comuni - il Parlamento Europeo e la Commissione, la<br />

Corte di Giustizia, la Banca Centrale – dove, per risolvere<br />

le inevitabili, naturali controversie, si discutono e si varano<br />

politi<strong>che</strong> comuni, regolate da norme valide per tutti.<br />

Come si è fatto negli anni ’90 con l’Unione Europea<br />

<strong>che</strong>, per ridare libertà, progresso sociale e sviluppo economico<br />

all’Europa Orientale, <strong>non</strong> ha usato missili e minacce<br />

atomi<strong>che</strong>, ma seggi in Parlamento, in commissione<br />

e in tutte le istituzioni comunitarie dove si gestiscono<br />

insieme i vantaggi delle politi<strong>che</strong> comunitarie.<br />

• • •<br />

In questa direzione, per raggiungere questo obiettivo,<br />

potrà e dovrà procedere in Adriatico an<strong>che</strong> la progettata<br />

Euroregione (con Veneto, Friuli, Carinzia, Slovenia e –<br />

specie per quanto ci interessa come giuliano-dalmati – in<br />

un tempo auspicabilmente <strong>non</strong> lontano, an<strong>che</strong> Istria e<br />

Dalmazia.<br />

Questa Euroregione adriatica – anziché subire la spinta<br />

perversa dei “micronazionalismi” verso la frantumazione<br />

dei Balcani in tanti piccoli staterelli nell’illusione di<br />

tutelare e potenziare le proprie identità etni<strong>che</strong>, culturali,<br />

religiose (vedi: Kosovo albanese e Serbia slava, le tre Bosnie<br />

cattolica, ortodossa e musulmana, e persino Montenegro<br />

e Serbia ambedue slave) – l’Euroregione (<strong>che</strong> dovrebbe<br />

nascere formalmente della prossima primavera) mira a<br />

unire nella comune elaborazione e attuazione di politi<strong>che</strong><br />

economi<strong>che</strong> e sociali (dei trasporti, dell’ambiente,<br />

del turismo, della sanità, ecc.) per mezzo del collaudato<br />

sistema comunitario europeo inventato apposta per garantire<br />

l’identità culturale, spirituale e materiale nell’unità<br />

politica e istituzionale. E pluribus unum!<br />

Solo così si riuscirà a mettere le nuove generazioni di<br />

Adriatici in condizione di <strong>non</strong> continuare a litigare sulla<br />

dolorosa storia del passato scritta col sangue degli uni e<br />

degli altri, ma di cominciare a scrivere insieme, pacificamente<br />

la storia del comune progresso civile dell’avvenire.<br />

• • •<br />

Lo scorso 15 gennaio a Lubiana – dove giungeva,<br />

benché ormai molto attenuata, l’eco dei vecchi scontri<br />

nazionalistici fra italiani e sloveni e si reclamava «riconciliazione»<br />

– il Presidente Napoletano, in visita di Stato,<br />

ha potuto rispondere <strong>non</strong> con promesse ed assicurazioni,<br />

ma con la forza dei fatti realizzati nel grande Progetto<br />

europeo: «riconciliazione»? Ma quale più efficace riconciliazione<br />

della partecipazione alla medesima Unione<br />

Europea?”<br />

E questo è stato indubbiamente il migliore avvio per<br />

la celebrazione del nostro Giorno del Ricordo 2008.<br />

Paolo Barbi<br />

Notizie liete...<br />

Nozze di diamante<br />

Ivetta e Erich Eisenbichler<br />

L’8 febbraio i miei genitori, Ivetta e Erich Eisenbichler, hanno celebrato le<br />

loro nozze di diamante, 60 anni di matrimonio! Un traguardo <strong>che</strong> ben pochi di<br />

noi hanno la fortuna, salute, e buona volontà di raggiungere. Sessanta anni<br />

insieme, per di più, senza mai una lite o “baruffa”, come piace a papà ricordare.<br />

Qui a Toronto abbiamo predisposto una bella festa in loro onore, ma ci<br />

piace condividere questo lietissimo traguardo con tutti gli amici lontani e con gli<br />

abbonati del nostro Giornale, di cui Ivetta, Erich, ed io siamo assidui lettori. Sia<br />

Ivetta <strong>che</strong> Erich <strong>sono</strong> nati a Lussinpiccolo e si sentono molto lussignani.<br />

La foto qui riprodotta fu scattata al loro matrimonio, giovani sposi felici, di<br />

fronte la loro casa in zona “Calvario” a Lussinpiccolo, casa dove poco più di un<br />

anno dopo io vidi la luce, il primo di tre figli. Il limone <strong>che</strong> si vede nello sfondo<br />

è ancora lì e produce abbondanti e gustosissimi limoni. La casa è adesso proprietà<br />

della cugina di mia mamma, Annamaria Plavac, la quale ci ospita a<br />

braccia aperte ogni volta <strong>che</strong> ritorniamo a Lussinpiccolo in vacanza.<br />

Konrad Eisenbichler<br />

È nata Carolina!<br />

Ecco la piccola Carolina, figlia della nostra collega Ra<strong>che</strong>le <strong>che</strong> l’ha data<br />

alla luce il 14 gennaio 2008 a Roma. All’amica Ra<strong>che</strong>le, al papà Gerardo, al<br />

bis<strong>non</strong>no on. Paolo Barbi, consigliere onorario dell’ANVGD, i complimenti più<br />

entusiasti e gli auguri<br />

più fervidi<br />

dalla Sede nazionale<br />

e dalla redazione<br />

di “Difesa<br />

Adriatica”<br />

E 60 anni di sacerdozio<br />

per don Martinoli<br />

Il 28 marzo mons. Nevio Martinoli festeggia i suoi 60 anni di sacerdozio,<br />

avendo frequentato il Seminario di Zara fino al 1944, anno in cui venne bombardata<br />

la città, e in seguito a Lussingrande, nell’isola amata di Lussino. Esule<br />

come la sua famiglia, si diresse a Genova dove il padre e il fratello Alfeo navigavano<br />

per la compagnia genovese “Giacomo Costa fu Andrea”, <strong>oggi</strong> Linea “C”.<br />

Celebrò la pirma Messa nella Chiesa di Santa Zita nel corso Buenos Aires di<br />

Genova. Benvoluto da tutti, ha sempre aiutato il prossimo.<br />

Lavora attualmente nella Cancelleria della Curia di Genova; è assitente spirituale<br />

dei Pellegrinaggi a Lourdes, Fatima, Loreto, Madonna della Guardia, e<br />

presta ausilio ai malati. D’estate accompagna in montagna i suoi “Lupetti” e le<br />

sue “Coccinelle”.<br />

È stato un grandissimo amico di Padre Flaminio Rocchi, nati entrambi nell’isola<br />

di Lussino. Anni addietro si riunivano con i loro compaesani, dato <strong>che</strong><br />

don Nevio era ed è tuttora presidente della Comunità di Lussinpiccolo e Padre<br />

Rocchi ne era presidente onorario.<br />

Nel libro scritto nel 2007 dal nipote di Padre Rocchi, Fabio, in una lettera del<br />

1998 Padre Flaminio scrisse ad Alfeo Martinoli, parlando del fratello don Nevio,<br />

esule da Lussino, con le testuali parole: «Io francescano, invidio la vita spirituale,<br />

il carattere dolce e l’apostolato appassionato dell’amico Nevio. Assieme partecipiamo<br />

a riunioni. Non l’ho mai sentito polemizzare. Ambedue siamo sacerdoti,<br />

vorrei amare la Maddona come lui. È un onore e una fortuna per la famiglia<br />

Martinoli avere sull’altare di Dio una lampada cosi luminosa e calda».<br />

Alfeo Martinoli

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