31.05.2013 Views

T'ai Chi Ch'üan, identità ed emozioni - prima pagina

T'ai Chi Ch'üan, identità ed emozioni - prima pagina

T'ai Chi Ch'üan, identità ed emozioni - prima pagina

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Anno Accademico 2006/2007<br />

Relatore: Caterina Gozzoli<br />

Bonalumi Sara<br />

Nr. Matricola 2704450<br />

Facoltà di Psicologia<br />

Corso di laurea in Psicologia<br />

Il fior di prugno:<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, <strong>identità</strong> <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong>


INDICE<br />

INTRODUZIONE........................................................................................................................................................3<br />

CAPITOLO 1 - I COSTRUTTI PSICOLOGICI IN RELAZIONE AL T’AI CHI CH’ÜAN: L’IDENTITA’ ...........7<br />

1.1. Guida alla lettura......................................................................................................................7<br />

1.2. Cosa intendiamo per “<strong>identità</strong>” .................................................................................................8<br />

1.3. Identità, formazione e narrazione............................................................................................13<br />

1.4. L’<strong>identità</strong> nel nostro tempo.....................................................................................................14<br />

1.5. Identità e identificazione: investimento affettivo.....................................................................17<br />

1.6. L’<strong>identità</strong> nella letteratura cinese contemporanea....................................................................20<br />

1.7. Identità corporea e integrazione mente-corpo..........................................................................21<br />

1.8. Identità corporea e integrazione mente-corpo nello sport.........................................................23<br />

1.9. Identità e identificazione nello sport .......................................................................................25<br />

1.10. Identità e apprendimento delle arti marziali ............................................................................26<br />

1.11. Identità e autoconsapevolezza.................................................................................................29<br />

1.12. Concludendo … Identità e autoconsapevolezza nelle arti marziali e nello sport.......................32<br />

CAPITOLO 2 - I COSTRUTTI PSICOLOGICI IN RELAZIONE AL T’AI CHI CH’ÜAN: LE EMOZIONI.......34<br />

2.1. Una necessaria delimitazione del campo .................................................................................34<br />

2.2. Cosa intendiamo per “emozione”............................................................................................35<br />

2.3. La regolazione emotiva ..........................................................................................................38<br />

2.4. Competenza emotiva e consapevolezza di sé: il filo rosso tra <strong>emozioni</strong> e <strong>identità</strong>....................39<br />

2.5. Emozioni che connettono corpo e mente.................................................................................39<br />

2.6. Emozioni e respirazione .........................................................................................................41<br />

2.7. Percepirsi in movimento.........................................................................................................42<br />

2.8. Emozioni e apprendimento .....................................................................................................44<br />

CAPITOLO 3 - L’ARTE DEL T’AI CHI CH’ÜAN..................................................................................................46<br />

3.1. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e il Kung-fu...............................................................................................46<br />

3.2. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: le scuole di pensiero.................................................................................49<br />

1


3.3. La storia del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan .................................................................................................57<br />

3.4. L’essenza del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan................................................................................................60<br />

3.5. La forza interna ......................................................................................................................63<br />

3.6. Le tre forme di energia interiore .............................................................................................64<br />

3.7. Collegamento tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e Psicologia: <strong>emozioni</strong> <strong>ed</strong> <strong>identità</strong> .....................................67<br />

CAPITOLO 4 - LA RICERCA..................................................................................................................................71<br />

4.1. Questioni aperte e finalità della ricerca ...................................................................................71<br />

4.2. Gli interrogativi di ricerca in dettaglio ....................................................................................72<br />

4.3. Gli obiettivi conoscitivi: il razionale .......................................................................................75<br />

4.4. La metodologia ......................................................................................................................77<br />

4.5. I risultati: analisi delle interviste ai maestri .............................................................................84<br />

4.6. I risultati: analisi delle interviste agli allievi..........................................................................119<br />

4.7. I risultati: analisi tra i gruppi.................................................................................................137<br />

4.8. Conclusioni della ricerca ......................................................................................................141<br />

CONCLUSIONI DEL PERCORSO ........................................................................................................................146<br />

2


INTRODUZIONE<br />

“Cielo e Uomo uniti, una sola cosa!”<br />

(Chang Dsu Yao)<br />

Il fior di prugno è lo strano titolo che ho scelto per il mio lavoro di tesi; questa scelta si<br />

fonda su due motivi in particolare: uno è che il fior di prugno è il simbolo del Kung Fu (di<br />

cui il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan fa parte, insieme allo Shao Lin) e l’altro è che l’immagine del fiore,<br />

sia esso di prugno e di altri tipi, mi sembra una metafora suggestiva, che si adatta bene a<br />

rappresentare l’<strong>identità</strong> di una persona. La concezione di <strong>identità</strong> che mi accingo ad<br />

approfondire è quella di un’integrazione tra le differenze, come un fiore costituito da un<br />

centro e da diversi petali, che sono uniti, integrati a formare qualcosa di diverso dalla<br />

somma delle singole parti. Le metafore avranno nel corso di questo lavoro un ruolo<br />

privilegiato, perché, come ogni esp<strong>ed</strong>iente poetico, nascondendo alcuni elementi di realtà,<br />

ne rivelano altri, difficilmente esprimibili in forme diverse. Mi sembrano quindi<br />

particolarmente utili per riferirsi ai costrutti psicologici in generale, e all’<strong>identità</strong> e alle<br />

<strong>emozioni</strong> in particolare, perché sono questioni particolarmente sfuggevoli, non facilmente<br />

descrivibili dalle persone.<br />

L’integrazione è “mettere insieme” e contemporaneamente “tenere distinti” e si riferisce<br />

all’integrazione tra i diversi aspetti di una persona, ma anche tra quella persona e gli altri.<br />

Come si inseriscono le <strong>emozioni</strong> in questo discorso? Le <strong>emozioni</strong> sono il collante, ciò che<br />

permette una forte integrazione tra gli aspetti di sé, per esempio tra la mente e il corpo, e tra<br />

il sé e gli altri: le <strong>emozioni</strong> derivano dalla relazione con uno stimolo, sono il nostro modo di<br />

rapportarci a quello stimolo. Da un'altra prospettiva, le <strong>emozioni</strong> sono anche un aspetto da<br />

integrare: riconoscere le nostre <strong>emozioni</strong>, nel senso di riuscire ad accoglierle, è importante<br />

per la vita psicologica sana di ogni persona.<br />

La domanda dalla quale parte la mia ricerca è se il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sia uno degli strumenti<br />

a disposizione nella nostra cultura per realizzare una migliore integrazione a livello di<br />

3


<strong>identità</strong> e di <strong>emozioni</strong>. Il corollario a questa domanda è quali siano le caratteristiche<br />

specifiche del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, per cui quest’arte marziale riesce a sviluppare integrazione.<br />

Riguardo alle motivazioni personali per cui ho progettato questa ricerca, c’è essenzialmente<br />

l’entusiasmo per il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, un entusiasmo che mi anima fin dall’inizio della mia<br />

pratica e non dà minimo segno di affievolirsi! A questo si è poco alla volta aggiunta la<br />

curiosità sulla possibilità che alcuni effetti che ho sperimentato sulla mia pelle siano<br />

condivisi da altri praticanti. Ho iniziato a praticare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan nel 2005, è trascorso un<br />

periodo che potrebbe sembrare lungo o breve: a me sembra breve! La mia sensazione<br />

temporale è dovuta a più fattori: la maggior parte dei praticanti che conosco ha<br />

un’esperienza pluriennale molto più estesa della mia e il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è un’arte così<br />

estesa che i maestri stessi si dichiarano, umilmente, all’inizio di questa lunga strada (il Tao,<br />

che si può tradurre come la Via), si v<strong>ed</strong>ono come alla base di un lungo bastone<br />

(riprendendo le parole del maestro Chang)! Quando ho iniziato a frequentare questo corso<br />

non conoscevo nulla sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e cr<strong>ed</strong>evo che avrei appreso qualche movimento,<br />

armonico e coordinato, in un tempo abbastanza breve: consideravo un periodo di sei mesi<br />

più che sufficiente allo scopo! Quando ho scoperto che i miei compagni di corso erano<br />

molto più anziani (in termini di pratica) di me, ho iniziato a pensare che imparare T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan e riscontrare qualche risultato apprezzabile mi avrebbe richiesto molto più tempo di<br />

quello che pensavo! Infatti, dopo tre anni di pratica costante, mi sento e so di essere una<br />

principiante. Nonostante questa mia inesperienza, mi sento anche parte di un gruppo che<br />

condivide alcune conoscenze; intendendo quindi dare a queste conoscenze una forma meno<br />

aleatoria, ho iniziato a scriverne e ho cercato di dare loro una forma culturalmente<br />

riconosciuta e condivisibile, che fosse rappresentativa del pensiero degli esperti di<br />

quest’arte marziale e dei partecipanti, tentando di esplicitare i termini usati e i loro<br />

significati profondi da un punto di vista psicologico. Ho cercato così di integrare due mie<br />

“anime” e due mie passioni, quella per quest’arte marziale e quella per la psicologia.<br />

Alcuni punti di intersezione tra queste due aree sono apparsi nella mia mente come<br />

un’illuminazione, derivata da <strong>emozioni</strong> provate durante la pratica e dal mio percorso di<br />

formazione psicologica e di autoriflessione: sono argomenti collegati all’<strong>identità</strong>, alla<br />

necessità di integrare i diversi aspetti della propria esistenza in un sé sufficientemente<br />

continuo e coerente, alla facilitazione che la pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan può offrire nello<br />

4


svolgere questo compito; sono anche gli argomenti connessi con il provare forti <strong>emozioni</strong><br />

nella pratica sportiva in generale e nello specifico del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Altri punti di<br />

intersezione tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e psicologia mi sono stati suggeriti dalla bibliografia sul<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, che spesso indaga il rapporto tra quest’arte e le <strong>emozioni</strong>, ma limita<br />

l’analisi agli effetti che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ha sul livello di attivazione psicofisiologica<br />

connesso alle <strong>emozioni</strong> (per esempio, si studiano gli effetti del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sul<br />

controllo dell’attivazione fisiologica dovuta alla collera), trascurando invece, per quel che<br />

ho trovato, sia gli effetti inversi (delle <strong>emozioni</strong> sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan), sia il vissuto affettivo<br />

soggettivo dei praticanti, cioè il modo in cui le varie persone coinvolte (maestri e allievi)<br />

vivono e gestiscono le <strong>emozioni</strong> relative alla pratica.<br />

L’intenzione del mio lavoro di ricerca è quindi di comprendere come i praticanti, intesi<br />

come maestri e allievi (perché entrambi praticano e studiano il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan) vivono<br />

quest’arte marziale, soprattutto relativamente alla loro <strong>identità</strong> e alle loro <strong>emozioni</strong>.<br />

Il seguente lavoro è articolato in quattro capitoli: i primi tre sono uno studio bibliografico<br />

rispettivamente sui temi dell’<strong>identità</strong>, delle <strong>emozioni</strong> e del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

Nel primo capitolo passiamo in rassegna il pensiero di vari autori che si sono occupati di<br />

<strong>identità</strong> in vari ambiti; consideriamo il rapporto tra <strong>identità</strong> e narrazione, tra <strong>identità</strong> e<br />

identificazione, tra <strong>identità</strong> e autoconsapevolezza, sempre nel quadro generale dell’<strong>identità</strong><br />

come integrazione dinamica, cioè in continuo sviluppo. Anche in quest’idea di progettualità<br />

v<strong>ed</strong>iamo già una corrispondenza tra <strong>identità</strong> - il proprio progetto di percorrere una certa via<br />

- e T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan - che è contemporaneamente la Via e il mezzo che permette di<br />

percorrerla.<br />

Nel secondo capitolo trattiamo il tema delle <strong>emozioni</strong> seguendo un approccio bio-psico-<br />

sociale. L’approfondimento delle <strong>emozioni</strong>, quindi, consisterà nel v<strong>ed</strong>erle come un ponte<br />

che unisce mente e corpo, e unisce l’individuo con tutto ciò che esiste nel mondo (tra cui<br />

anche gli altri) e la cui costruzione risente delle relazioni significative in cui l’individuo è<br />

inserito. Inoltre cerchiamo di capire gli effetti positivi che potrebbe avere l’incremento di<br />

consapevolezza delle proprie <strong>emozioni</strong>.<br />

Due temi attraversano questi due capitoli in modo trasversale: l’apprendimento e il rapporto<br />

tra mente e corpo.<br />

5


Nel terzo capitolo introduciamo il lettore alla comprensione di che cosa sia l’arte marziale<br />

del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: ne v<strong>ed</strong>iamo la storia, le filosofie che fondano le sue origini e ne<br />

costituiscono l’essenza, v<strong>ed</strong>iamo una descrizione fisica e qualche fotografia dei movimenti;<br />

introduciamo l’ampissimo studio dell’energia “psicofisica” Ch’i e della forza interna,<br />

sviluppata attraverso il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

L’ultimo capitolo riguarda la ricerca svolta sul rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan da una parte <strong>ed</strong><br />

<strong>emozioni</strong> e <strong>identità</strong> dall’altra. In questo capitolo sono spiegati gli obiettivi conoscitivi della<br />

ricerca, è decritta la metodologia e sono discussi i risultati.<br />

L’integrazione sarà il tema portante e la finalità di tutto il lavoro.<br />

6


CAPITOLO 1 - I COSTRUTTI PSICOLOGICI IN RELAZIONE AL T’AI CHI<br />

CH’ÜAN: L’IDENTITA’<br />

1.1. Guida alla lettura<br />

“Durezza e rigidità sono compagne della morte,<br />

morbidezza e flessibilità compagne della vita.”<br />

(Lao Tzu, Tao Te <strong>Chi</strong>ng)<br />

La ricerca bibliografica, che riporto in questo capitolo, mi ha guidata ad una<br />

rappresentazione variegata e multi-semantica del costrutto “<strong>identità</strong>”: quella che segue è<br />

l’illustrazione del pensiero di vari autori, tra cui compaiono psicologi, sociologi, filosofi e,<br />

visto il tema della mia ricerca, anche maestri di arti marziali; sempre all’insegna della<br />

metafora del fior di prugno, queste concezioni mi sembrano diverse e complementari,<br />

cosicché, da questo quadro composito, v<strong>ed</strong>o emergere anche una figura organizzata<br />

dell’<strong>identità</strong>, che mi sembra di poter descrivere così: l’<strong>identità</strong> consiste in un progetto di<br />

sviluppo; consiste nella consapevolezza di sé come individuo integrato nelle sue varie parti,<br />

che sono vissute come sufficientemente continue e coese; l’<strong>identità</strong> può essere<br />

rappresentata come una narrazione co-costruita; si manifesta, come processo<br />

complementare all’identificazione, nella differenziazione di sé dall’altro.<br />

La mia intenzione è inoltre di mettere in luce due processi in particolare, in cui v<strong>ed</strong>o<br />

connettersi la questione dell’<strong>identità</strong> e la pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: l’apprendimento (con<br />

il cambiamento che ne deriva) e l’uso del corpo. Entrambi questi temi sono affrontati sia da<br />

un punto di vista generale (ma sempre limitato alla connessione con il nostro tema generale<br />

dell’<strong>identità</strong>), sia dal punto di vista dello sport e, dove possibile, specificatamente delle arti<br />

marziali.<br />

7


A questo, ho aggiunto un accenno su <strong>identità</strong> e identificazione nella società attuale,<br />

occidentale e cinese (la scelta è motivata dal fatto che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ha la sua antica<br />

origine in Cina), con l’intenzione di ritornare brevemente sul tema nella parte sperimentale.<br />

Nella stesura del capitolo, queste concezioni e questi temi a volte si sovrappongono e altre<br />

volte si alternano; spero che, nel complesso, risultino sufficientemente integrati per il<br />

lettore.<br />

1.2. Cosa intendiamo per “<strong>identità</strong>”<br />

Lo studio dell’<strong>identità</strong> non può prescindere da una rivisitazione della teoria eriksoniana:<br />

Erikson evidenzia la natura complessa e multidimensionale dell’<strong>identità</strong>, che è indagata<br />

nella sua formazione, perché la natura stessa dell’<strong>identità</strong> coinvolge non solo il presente<br />

dell’individuo, ma anche il suo passato e il suo futuro (Confalonieri & Grazzani Gavazzi,<br />

2002). Inoltre l’<strong>identità</strong> appare come l’integrazione fra le tre dimensioni di soma, psiche <strong>ed</strong><br />

ethos; quindi, elementi biologici, psicologici e sociali indirizzano lo sviluppo<br />

dell’individuo.<br />

“Il processo di formazione di <strong>identità</strong> è una configurazione che va evolvendosi, una<br />

configurazione che gradualmente tende ad integrare tra loro i dati costituzionali, i bisogni<br />

libidici incompatibili, le capacità privilegiate, le identificazioni più significative, le difese<br />

più stabili, le sublimazioni riuscite e i ruoli più resistenti.” (Erikson, 1982, pag. 71).<br />

L’<strong>identità</strong> svolge una funzione unificatrice nell’intero corso dell’esistenza umana, (anche se<br />

la sua formazione è particolarmente evidente nel periodo adolescenziale), permettendo<br />

un’oscillazione tra i poli della continuità e del cambiamento, perché garantisce<br />

all’individuo il mantenimento dell’integrazione e, quindi, la sicurezza necessaria per<br />

sperimentarsi in nuovi ruoli e identificazioni.<br />

Erikson considera la formazione dell’<strong>identità</strong> come un percorso di sviluppo bio-psico-<br />

sociale, concretizzato dall’individuo attraverso le sue personali risposte a determinati<br />

compiti di sviluppo, caratteristici della fase di sviluppo attraversata. L’esito positivo o<br />

8


negativo della transizione alla fase di sviluppo successiva sarà determinato<br />

dall’adeguatezza delle risposte trovate dall’individuo per affrontare il compito insorto nella<br />

fase prec<strong>ed</strong>ente.<br />

Il compito di costruzione dell’<strong>identità</strong> è affrontato specialmente durante l’adolescenza. Esso<br />

consiste nei processi di sperimentazione e identificazione, per cui l’adolescente abbandona<br />

le identificazioni prec<strong>ed</strong>enti e cerca nuovi modelli identificativi; sperimenta appartenenze a<br />

diversi gruppi, nuovi e molteplici ruoli sociali, senza tuttavia impegnarsi definitivamente in<br />

nessuno di questi. Queste esperienze favoriscono il confronto, l’autoriflessione e la<br />

conoscenza di sé. Se affrontato in modo positivo, questo compito conduce alla costituzione<br />

della forza di f<strong>ed</strong>eltà a un impegno assunto e conduce ad una maggiore consapevolezza<br />

della propria <strong>identità</strong>, con la percezione di un sé continuo e coerente. In ogni caso, il<br />

processo di costruzione dell’<strong>identità</strong> non si conclude definitivamente con l’adolescenza, ma<br />

continua nelle fasi successive, articolandosi in compiti di sviluppo diversi.<br />

Il costrutto di <strong>identità</strong> adottato da Erikson trova un sinonimo in quello di integrazione di<br />

Siegel (2001): a livello intrapersonale (successivamente v<strong>ed</strong>remo che c’è anche un livello<br />

interpersonale), l’integrazione è contemporaneamente di tipo sincronico (integrazione dei<br />

vari processi mentali attivati in un dato momento in uno stato mentale coeso) e di tipo<br />

diacronico. Questa seconda forma è quella che ci interessa di più per ciò che riguarda<br />

l’<strong>identità</strong>, perché consiste nell’integrazione nel tempo tra i vari stati mentali, ossia tra i vari<br />

stati del sistema, altrimenti denominati stati del Sé (Siegel, 2001). L’integrazione<br />

diacronica consiste nell’organizzazione del flusso degli stati mentali, cioè nella rivisitazione<br />

metacognitiva della transizione da uno stato ad un altro. In questo processo di costruzione<br />

di coerenza è quindi basilare la capacità di tollerare il passaggio da uno stato di<br />

organizzazione a uno di disorganizzazione (nella transizione da uno stato mentale ad un<br />

altro) e il ritorno a uno stato di ri-organizzazione.<br />

La capacità di integrare i vari Sé specifici in un senso di Sé coerente e unitario inizia in<br />

adolescenza, quando il ragazzo diventa consapevole dell’esistenza di vari Sé, anche in<br />

conflitto tra loro. Con l’emergere delle capacità cognitive e con uno sviluppo sano dei vari<br />

Sé, che non devono essere inconciliabili, l’adolescente acquisisce la capacità di integrarli;<br />

queste capacità di integrazione, sia sincronica che diacronica, sono dipendenti dalle<br />

<strong>emozioni</strong>. Una disregolazione emotiva, che è associata a stili di attaccamento insicuri, porta<br />

9


a inferiori capacità di integrazione tra gli stati del Sé, che possono essere internamente coesi<br />

ma inconciliabili tra loro. La possibilità di integrazione dipende largamente dalle esperienze<br />

relazionali, <strong>prima</strong> quelle di attaccamento, poi quelle con altri significativi. Se il soggetto<br />

sperimenta tipi di Sé molto diversi tra loro, a seconda delle figure con cui entra in relazione<br />

significativa, e se questi Sé sono inconciliabili per modelli mentali <strong>ed</strong> emozionali<br />

sottostanti, l’individuo non riesce a integrarli e quindi non riesce a sentirsi coeso.<br />

Le capacità di integrazione vengono continuamente create e ri-create nell’interazione tra<br />

processi neurofisiologici e processi relazionali. Le prime relazioni significative sono quelle<br />

di attaccamento, ma successivamente anche le relazioni con i pari, con gli insegnanti, con il<br />

partner sentimentale, con il terapeuta,… Ciò che passa nelle relazioni significative, che<br />

influenza la capacità di creare una coerenza tra i vari Sé, è la possibilità di manifestare<br />

apertamente i vari aspetti inerenti allo specifico Sé che viene attivato: se il soggetto può<br />

esprimere abbastanza liberamente i suoi vari Sé, nei suoi vari contesti sociali, riuscirà a<br />

diventarne consapevole e quindi a integrarli; altrimenti, alcuni dei suoi Sé veri saranno<br />

mantenuti nascosti, inconsci e non riconosciuti, ma continueranno ad avere effetti emotivi<br />

sul soggetto, che non riuscirà a dare un senso a queste sue <strong>emozioni</strong> (rimarranno stati<br />

mentali isolati e non compresi).<br />

In ottica sistemica (Siegel, 2001), i processi di integrazione utilizzano i fenomeni di<br />

risonanza (influenza reciproca) fra sottosistemi diversi, che si manifestano a livello mentale<br />

(intraindividuale) come “rientro” e, a livello relazionale (integrazione interindividuale)<br />

come “sintonizzazione”: attraverso questi due tipi di risonanza, ogni sottosistema coinvolto<br />

raggiunge una maggior complessità, per l’incremento della sua coesione interna in un dato<br />

momento e per la maggior coerenza nel tempo. Sia a livello intraindividuale, sia a livello<br />

interindividuale, la sensazione tipicamente provata è un senso di connessione, o di unità,<br />

caratteristica per esempio della relazione con un’attività in cui si è particolarmente coinvolti<br />

(suonare uno strumento, praticare uno sport, …).<br />

Lo stesso autore affronta inoltre il tema dell’importanza delle narrazioni autobiografiche<br />

per quanto concerne l’<strong>identità</strong> e l’integrazione: le narrazioni autobiografiche riflettono la<br />

capacità di delineare un senso nel mondo interno e relazionale in cui l’individuo è<br />

coinvolto. In particolare, la coerenza narrativa nell’Adult Attachment Interview riflette il<br />

10


grado di integrazione tra i vari aspetti di Sé. Inoltre, i processi narrativi non solo<br />

rispecchiano la capacità di integrazione dell’individuo, ma la affinano, migliorandola.<br />

Anche Bruner osserva che la formazione dell’<strong>identità</strong> consiste in un processo di<br />

attribuzione di un senso soggettivo a episodi <strong>ed</strong> esperienze di per sé discontinui ma ordinati<br />

dal lavoro della mente (Confalonieri & Grazzani Gavazzi, 2002): la mente assegna alle<br />

esperienze un certo grado di importanza e le integra in strutture mentali differenziate, che si<br />

esprimono attraverso le narrazioni; le narrazioni sono pensieri e racconti creati per gli altri<br />

o anche solo per sé, in cui l’individuo cerca di dare una forma continua e coerente ai suoi<br />

ricordi, estraendo da essi uno o più denominatori comuni e compiendo un vero e proprio<br />

atto autobiografico di interpretazione.<br />

La narrazione è quindi lo strumento per l’espressione della propria <strong>identità</strong>, ma ne<br />

costituisce anche l’essenza stessa: secondo Bruner (Bruner, 1998), l’<strong>identità</strong> prende forma<br />

e si struttura attraverso la narrazione di sé (osservato in relazione con gli altri) offerta a se<br />

stessi (e agli altri). Evidenziamo in questa frase anche un’altra caratteristica delle<br />

narrazioni: la loro socializzazione e il loro inserimento nelle pratiche culturali. Il soggetto<br />

può narrare la sua storia (così come il suo presente e il suo futuro immaginato) perché è<br />

inserito in un ambiente sociale: da una parte crea e condivide i suoi significati grazie alla<br />

sua capacità di connettersi ad altre menti e, dall’altra parte, la sua cultura di appartenenza<br />

gli offre schemi di aspettative validi per dare significato agli eventi e gli offre una selezione<br />

di generi letterari entro cui scegliere il più adatto per il suo scopo.<br />

Che l’<strong>identità</strong> non sia una realtà naturale basata su valori assoluti, ma sia costruita<br />

culturalmente e acquisita attraverso processi sociali, evidenti in primis nell’assegnazione di<br />

un nome, è un’idea antica (Sanguineti, 2002), che attraversa la storia del pensiero e anche<br />

quella della letteratura. Una novità, invece, che inizia a rendersi visibile nel periodo<br />

romantico per esplodere nel ‘900, è la concezione di un Io diviso, un’<strong>identità</strong> non integra<br />

ma precaria. Ne v<strong>ed</strong>iamo alcuni esempi anche nella letteratura del ‘900: in Kafka possiamo<br />

trovare l’espressione dell’indifferenza di <strong>identità</strong>, per cui un individuo può svegliarsi e<br />

trovarsi fisicamente trasformato in insetto, senza che ciò implichi anche una rivoluzione<br />

interiore; in Pirandello, il soggetto cerca di guardare se stesso nel modo in cui lo<br />

guarderebbe un estraneo, perché considera questo come l’unico modo per conoscersi; Joyce<br />

sostituisce il flusso di coscienza, quindi un monologo interiore che fluisce senza fine, al<br />

11


discorso del soggetto guidato dalla ragione. Attraverso questi autori e i loro testi, v<strong>ed</strong>iamo<br />

come sia cambiata la concezione di <strong>identità</strong>: ci parlano dell’impossibilità di conoscere la<br />

propria <strong>identità</strong> come un’entità che può essere congelata, sezionata e studiata in un<br />

momento della sua esistenza; l’<strong>identità</strong> può apparire solo nel suo divenire storico. Il<br />

problema non è più “conosci te stesso”, motto che sottintende l’esistenza di un’<strong>identità</strong> data<br />

dalle esperienze passate, fissa, che attende di essere scoperta, ma il motto diventa<br />

“trasforma te stesso”. Il passato di un individuo non ha di per sé valore conoscitivo, ma ha<br />

valore per il modo in cui si esprime nell’attualità delle sue scelte riguardo al presente e<br />

futuro. Possiamo quindi affermare che la conoscenza si sviluppa nell’attività pratica e che<br />

l’<strong>identità</strong> si manifesta e si compie nella prassi. “L’<strong>identità</strong> si definisce attraverso la<br />

conoscenza non di quanto esiste già, ma attraverso un processo di sviluppo e, soprattutto,<br />

l’elaborazione di un programma.” (Sanguineti, 2002, pag. 145). Il soggetto è quindi prassi,<br />

lavoro di costruzione <strong>ed</strong> è quindi più esposto, rispetto al passato, all’autocoscienza e, con<br />

essa, a maggiori tormenti e angoscia sulla sua <strong>identità</strong>.<br />

Anche Kaneklin e Gozzoli (Kaneklin & Gozzoli, Identità adulta al lavoro e cultura della<br />

flessibilità, in press.) partono da un’idea di <strong>identità</strong> che “diviene”, all’interno dell’attuale<br />

società che promuove la flessibilità e la globalizzazione. Questo comporta vantaggi e rischi<br />

per l’<strong>identità</strong> personale: da una parte maggiori opportunità di accrescere le proprie risorse<br />

conoscitive, dall’altra il pericolo di non riuscire a trovare un senso alle incongruenze.<br />

Bisogna ripensare l’<strong>identità</strong>, passare da una concezione di “permanenza” a una di<br />

“continuità”, dove la continuità si esprime tra interno <strong>ed</strong> esterno, coinvolgendo cioè non<br />

solo l’individuo, ma il sistema relazionale in cui è inserito: l’<strong>identità</strong> non ha luogo<br />

nell’individuo, ma è il prodotto delle varie relazioni significative di cui è parte.<br />

Anche gli autori del modello sistemico (Beebe & Lachmann, 2002) sostengono una tesi<br />

relazionale dell’<strong>identità</strong>. Questo costrutto è qui concepito come prassi; ma nessuna azione<br />

(prassi) può avere luogo individualmente, perché ha sempre un corrispettivo in un “altro”,<br />

quindi ogni prassi è relazionale. Per questo motivo non ha senso intendere l’<strong>identità</strong> come<br />

“appartenente” a un individuo, ma come un progetto co-costruito nelle relazioni<br />

significative. Sullivan (1964) ipotizza che una persona abbia tante <strong>identità</strong> quante sono le<br />

sue relazioni sociali e questa concezione viene ripresa da Beebe e Lachmann per spiegare<br />

12


come l’organizzazione dell’individuo venga continuamente forgiata dai molteplici contesti<br />

diadici a cui appartiene.<br />

L’attuale ampliamento dei contesti di appartenenza (di cui discutiamo nei paragrafi<br />

seguenti) si riflette, quindi, sull’<strong>identità</strong> costituendo un ulteriore motivo di ansia: infatti,<br />

questo comporta un aumento della naturale paura delle relazioni <strong>ed</strong> il rischio di ritirarsi dal<br />

legame con l’altro, generando una fuga nell’individualismo e un impoverimento<br />

dell’<strong>identità</strong> 1 .<br />

È soprattutto nella prospettiva psicosociologica che si evidenzia l’intreccio tra la<br />

componente individuale e sociale dell’<strong>identità</strong>. Secondo questo approccio, infatti, l’<strong>identità</strong><br />

può essere definita come il punto di intersezione tra le logiche psichiche e le logiche sociali:<br />

essa rappresenta un processo mai finito di costruzione psicologica e sociale. In quest’ottica<br />

di forte integrazione tra individuo e società, quindi, la crisi del processo identitario emerge<br />

come effetto di mutazioni e cambiamenti profondi a livello sociale, che la persona non<br />

riesce a gestire. In particolare, nell’attuale società, le mutazioni sono così profonde e veloci<br />

da mettere in discussione i punti di riferimento che <strong>prima</strong> permettevano di provare un senso<br />

di continuità e coerenza: il progetto dell’<strong>identità</strong>, in tale contesto, è sottoposto a rischi<br />

molto maggiori che in passato (Orlando, Kaneklin, & Gozzoli, 2005).<br />

1.3. Identità, formazione e narrazione<br />

Abbiamo visto come il costrutto di <strong>identità</strong> sia inteso attualmente come progetto individuale<br />

di sviluppo: questa concezione lo mette, inoltre, necessariamente in relazione con il<br />

1 La società contemporanea è caratterizzata da comportamenti sempre più individualistici, che sembrano<br />

nascere da un aumento di ansia sociale, legata al fatto che all’individuo è sempre più richiesto di costruire e di<br />

re-inventare continuamente il senso del suo lavoro, dei suoi rapporti interpersonali, della sua <strong>identità</strong>. Una<br />

possibile soluzione adottata dagli individui è l’isolamento emotivo: la persona cerca il proprio riferimento<br />

solo nel proprio mondo interno e rischia così di scindere il suo mondo mentale da quello esterno. Le relazioni<br />

sociali esistono solo in presenza: sono vissute come svincolate dal sé e sono rappresentate come rapporti che<br />

possono essere interrotti, quando necessario per tutelare il sé, senza conseguenze emotive per il soggetto.<br />

13


costrutto della formazione e apprendimento. Vorrei allora introdurre anche qualche nozione<br />

sulle attuali concezioni di formazione e apprendimento.<br />

Kaneklin e Scaratti (1998) evidenziano, a questo proposito, il legame tra narrazione e<br />

formazione. Riconoscere questo rapporto significa concepire la formazione come connessa<br />

a processi di pensiero e di elaborazione e adottare un’ipotesi di apprendimento<br />

dall’esperienza, che valorizza le situazioni operative concrete, all’interno delle quali i<br />

soggetti riescono a costruire il loro rapporto con la realtà. Riconoscere questo rapporto (tra<br />

formazione e narrazione) significa affermare una concezione di conoscenza come processo<br />

di costruzione interattiva, negoziale e situata.<br />

Inoltre, intendere la formazione come interconnessa alla narrazione ha importanti<br />

ripercussioni metodologiche e teoriche. Dal punto di vista metodologico, il riconoscimento<br />

della connessione tra formazione e narrazione significa che i ricercatori avvertono meno<br />

l’esigenza di paradigmi assoluti e sono più disponibili al confronto tra modelli teorici e<br />

approcci diversi ma complementari. Dal punto di vista teorico, la valorizzazione della<br />

narrazione consente un approccio interdisciplinare, permettendo una migliore comprensione<br />

dell’uomo-persona nella sua globalità.<br />

Dal punto di vista del costrutto di <strong>identità</strong>, questa concezione consolida il nesso tra <strong>identità</strong><br />

e narrazione e tra <strong>identità</strong> e processo di sviluppo progettuale scelto dall’individuo per se<br />

stesso. Si potrebbe anzi considerare l’<strong>identità</strong> come il luogo interm<strong>ed</strong>io in cui avviene<br />

l’interazione tra i processi della narrazione e della formazione, il luogo interno/esterno dove<br />

avviene la riflessione sull’esperienza, necessaria per l’apprendimento inteso in senso<br />

formativo.<br />

1.4. L’<strong>identità</strong> nel nostro tempo<br />

In questo paragrafo intendo evidenziare alcuni aspetti della situazione sociale attuale, per<br />

gli effetti che possono avere sull’<strong>identità</strong> individuale.<br />

14


Iniziamo con il considerare la prospettiva di Bauman (Bauman, 2005), per il quale la<br />

società della <strong>prima</strong> modernità, nonostante risultasse dalla distruzione della comunità<br />

premoderna (la Gemeinschaft), è stata in grado di rigenerare delle forme di aggregazione<br />

sociale (stati-nazione, classi,…) capaci di tenere unite le diverse componenti sociali. La<br />

nuova società, e la cultura consumistica che la alimenta, è responsabile proprio della<br />

distruzione di quelle strutture. La società dei consumi non è infatti una nuova modalità di<br />

associazione: è un modello atomizzato, non più della somma delle sue parti. La<br />

conseguenza di questo vuoto è un’estremizzazione dei processi di individualizzazione. Agli<br />

individui isolati della società globalizzata tocca, infatti, il duplice compito di dover<br />

risolvere singolarmente i problemi che originano in ambiti sempre più al di fuori della<br />

propria portata, e di dover scegliere, altrettanto singolarmente, la propria <strong>identità</strong> sociale e<br />

la propria appartenenza di gruppo. Paradossalmente, la società globalizzata accentua<br />

proprio quei processi di esclusione, ghettizzazione e frammentazione, che sono anche gli<br />

ostacoli alla creazione di una comunità intessuta di comune e reciproco interesse: la sola via<br />

percorribile, secondo Bauman, per contrastare i devastanti effetti della globalizzazione.<br />

Le recenti vertiginose accelerazioni culturali, avvenute sotto la spinta del processo di<br />

globalizzazione, hanno sottratto a molti individui la percezione della propria <strong>identità</strong>,<br />

creando una sorta di “furto identitario” 2 . Secondo Bartholini (2003), le soluzioni<br />

attualmente trovate alla questione della costruzione dell’<strong>identità</strong> sono: adottare la maschera<br />

identitaria dei parvenu globalizzati, tipici dell’Occidente avanzato, oppure quella dei paria<br />

etnocentrici, tipici dei paesi periferici del mondo, oppure ancora rientrare nella categoria<br />

dei nuovi superuomini. Ciascuno è la maschera di se stesso, è uno e nessuno: uno perché<br />

può adottare una maschera, un simulacro identitario; nessuno perché l’individuo rimane<br />

privo di reale consapevolezza di sé, non essendo la sua <strong>identità</strong> frutto di scelte e riflessioni,<br />

ma un simulacro posticcio, nel senso di non autentico e temporaneo. L’individuo non è più<br />

2 Bauman ci parla, infatti, del passaggio da una società fondata sul lavoro e orientata da una progettualità di<br />

lungo periodo, a una società dei consumi, condizionata da una prospettiva a breve termine, istantanea,<br />

frammentaria <strong>ed</strong> episodica. Ovviamente, le due forme di società plasmano figure sociali differenti: nella <strong>prima</strong><br />

è centrale la figura del lavoratore, soggetto politico per eccellenza; nella seconda emerge quella del<br />

consumatore, soggetto massimamente impolitico. E se, come sappiamo, l’<strong>identità</strong> si definisce nella sua<br />

progettualità, capiamo in che senso la società attui questa forma di furto identitario.<br />

15


possessore di un’<strong>identità</strong>, ma è un homo multiplex, affittuario di una serie di<br />

rappresentazioni occasionali.<br />

L’<strong>identità</strong> è, secondo Taylor (Bartholini, 2003), un’esperienza individuale che non può mai<br />

essere completamente scissa da quella sociale: le due parti, quella individuale e sociale,<br />

sono le due facce della stessa m<strong>ed</strong>aglia, che testimoniano l’impossibilità di intendere<br />

l’uomo scisso dal suo contesto sociale, cioè dalle relazioni di cui concretamente fa<br />

esperienza. Questa reversibilità dell’<strong>identità</strong> testimonia anche la sua naturale dialettica:<br />

l’<strong>identità</strong> si forma come dialogo tra l’io e gli altri, prende forma distinguendosi dagli altri di<br />

cui l’io fa esperienza e creando con loro relazioni di somiglianza, non di equivalenza,<br />

quindi sempre caratterizzate da confronti e conflitti. Il processo di globalizzazione ha<br />

allargato i cerchi gruppali in cui è inserito il soggetto, aumentando potenzialmente la carica<br />

conflittuale intrinseca in ogni relazione. Se non facciamo esperienza di questa conflittualità<br />

è perché accettiamo dei compromessi, che evitano la dialettica distruttiva, ma negano anche<br />

la possibilità di distinguersi. L’accettazione di una maschera identitaria posticcia va proprio<br />

nella direzione del compromesso tra la necessità umana di distinguersi (sapere chi si è) e la<br />

spinta sociale alla convivenza con un numero di persone crescente: l’alternativa è tra<br />

scegliere un suicidio sociale, attraverso l’auto-emarginazione dei paria, che preserva il<br />

nostro Sé dalle incursioni sistemiche, oppure accettare di seguire il carro dei parvenu<br />

globalizzati, nelle due forme possibili dell’uomo massa 3 e dell’individualista sistemico 4 .<br />

L’alternativa, proposta da Bartholini (2003), è la creazione di un’<strong>identità</strong><br />

trascendentalizzata, derivante da un continuo processo astrattivo-riflessivo dell’io che<br />

pensa, in un dialogo con gli altri io: scegliendo volontariamente di porsi in un’astratta<br />

3 La figura dell’uomo massa richiama il quarto assunto di base di Turquet sui gruppi. Mentre è in azione<br />

questo assunto di base (dell’unità), i membri del gruppo entrano in un funzionamento mentale per cui<br />

l’unione tra loro è la soluzione ottimale: essi allora entrano in uno stato di partecipazione passiva, perdendo la<br />

loro individualità per ottenere un’inclusione salvifica.<br />

4 Se l’uomo massa ricorda il funzionamento del quarto assunto di base dei gruppi, l’individualista sistemico<br />

richiama l’attività mentale del gruppo attiva nel quinto assunto di base (Me-ness), individuato da Lawrence,<br />

Bain e Gould. In questo caso, è il rifugiarsi nel proprio mondo interno che viene vissuto dall’individuo come<br />

soluzione salvifica, perché consente di allontanarsi dalle relazioni con il gruppo, avvertito come persecutorio.<br />

16


“posizione originaria”, al di là del posto occupato nella geografia del mondo; mettendosi<br />

nei panni degli altri e cercando con loro un confronto e un’intesa; vivendo la dialettica <strong>ed</strong><br />

entrando nella dinamica del mutuo riconoscimento e auto-riconoscimento identitario. Nella<br />

pratica dialogico-astrattiva che sublima il conflitto, le differenze entrano in relazione tra<br />

loro e ciò permetterebbe il formarsi di <strong>identità</strong> riflessive, di individui non più<br />

omogeneizzati, ma decisori nella prassi politica locale.<br />

Riprenderemo queste considerazioni nel paragrafo seguente, osservandole però da un punto<br />

di vista diverso, cioè in termini di investimento affettivo da parte del soggetto su Ego e su<br />

Alter (che equivale a dire sul Sé e sull’oggetto).<br />

1.5. Identità e identificazione: investimento affettivo<br />

In questo paragrafo v<strong>ed</strong>iamo come alcuni autori hanno inteso il costrutto di <strong>identità</strong><br />

mettendolo in relazione al costrutto suo complementare di identificazione: introduciamo<br />

quindi la concezione di Gallino (1999) di <strong>identità</strong> come differenziazione di Ego da Alter;<br />

inoltre, propongo un’integrazione tra la teoria degli investimenti affettivi su Ego e Alter<br />

(Gallino, 1999) e quella già discussa, di stampo più sociologico, di Bartholini (2003);<br />

infine, v<strong>ed</strong>remo che Gallino rimanda anche all’altro concetto, trattato nel paragrafo<br />

prec<strong>ed</strong>ente, di frammentazione attuale, imputandola però alla frammentazione delle<br />

identificazioni.<br />

Identità e identificazione sono come due lati della stessa m<strong>ed</strong>aglia: non esiste l’una senza<br />

l’altra. Per <strong>identità</strong>, Gallino (1999) intende la tendenza e il desiderio dell’individuo (Ego) a<br />

sentirsi differenziato rispetto agli altri significativi (Alter), incontrati dallo stesso nelle<br />

associazioni (intese come contesti sociali) di appartenenza; per identificazione intende<br />

invece la tendenza e il desiderio di sentirsi affiliato e somigliante ad Alter.<br />

Attualmente, sia Gallino che Bartholini (2003) evidenziano una moltiplicazione delle<br />

associazioni di appartenenza di ciascun individuo, che comporta, come abbiamo visto, sia<br />

un aumento della convivenza sociale (con un aumento potenziale anche della carica<br />

conflittuale, intrinseca in ogni relazione), sia un senso di frammentazione.<br />

17


Anche Bauman (Bauman, 2000) concorda con questa visione, recuperando l’espressione di<br />

Gellner dell’“uomo modulare”: l’uomo di oggi è un camaleonte sociale perché prende<br />

costantemente in prestito frammenti di <strong>identità</strong> da qualsiasi fonte disponibile e li assembla a<br />

seconda delle situazioni in cui si trova. L’<strong>identità</strong> è ora rappresentabile dalla metafora<br />

dell’“armadio componibile” e non più dell’“armadio costituito da un solo pezzo”. Bauman<br />

non si riferisce, però, all’esistenza di un’<strong>identità</strong> multifattoriale nell’individuo, per cui egli<br />

può attivare uno specifico set di molteplici sé tra loro accorpati, a seconda del contesto hic<br />

et nunc in cui si trova; non si nega, cioè, il vantaggio dell’adattamento flessibile della<br />

propria <strong>identità</strong> al contesto. Quello che qui si discute è il rischio attuale che l’individuo non<br />

investa più su nessuno dei contesti sociali in cui è apparentemente inserito. Questo perché<br />

sono possibili contemporaneamente molteplici processi di identificazione, ognuno dei quali<br />

mai risolutivo: ciascuno di noi è ovunque parzialmente dislocato e le sue identificazioni<br />

sono costantemente in espansione.<br />

Le strategie utilizzate dal soggetto per gestire la moltiplicazione delle appartenenze possono<br />

essere distinte in due tipi: la divisione dell’Ego in tempi sequenziali che si susseguono in<br />

modo serrato, o la costruzione di relazioni seriali, velocemente abbandonate per costruirne<br />

di nuove. La differenza è dovuta al tipo di investimento affettivo che lega il soggetto<br />

all’associazione di appartenenza (autori diversi potrebbero denominarlo anche<br />

“investimento affettivo sull’oggetto”): la <strong>prima</strong> strategia, infatti, consiste nella divisione-<br />

frammentazione dell’investimento, che risulta comunque intenso 5 ; la seconda strategia<br />

sembra equivalere a un avvizzimento dell’affetto, con un investimento ridotto. Entrambe<br />

queste strategie si riflettono in modo diverso non solo sull’identificazione, ma anche<br />

sull’<strong>identità</strong>.<br />

Integrando la teoria di Gallino e di Bauman, possiamo quindi tentare di spiegare la causa<br />

per cui l’individuo è tentato al ritiro del suo investimento affettivo nei confronti dei contesti<br />

5 Questa situazione coincide con quella descritta da Freud (Freud, 1947, pag. 186): “Quando queste<br />

identificazioni diventano troppo numerose, troppo intense, incompatibili le une con le altre, ci si trova di<br />

fronte ad una situazione patologica, o, per lo meno, di fronte al preludio di una situazione simile. Ne può<br />

risultare una dissociazione dell’io, le cui differenti identificazioni riescono a isolarsi le une dalle altre<br />

opponendosi resistenze. … Si assiste a conflitti che non sono sempre e necessariamente patologici.”<br />

18


sociali. Secondo Gallino, ciò è dovuto all’attuale moltiplicazione dei contesti di<br />

inserimento; nella prospettiva di Bauman, a questa espansione sproporzionata, si aggiunge<br />

l’incapacità dell’attuale società dei consumi di aggregare, di riconoscere senso alla presenza<br />

degli individui; tutta la partecipazione del singolo si risolve nel consumare un prodotto,<br />

anche quando la sua partecipazione avviene nel lungo periodo. E per consumare un<br />

prodotto, non c’è bisogno di mobilitare affetto; ma nel lungo termine, nei tempi<br />

dell’<strong>identità</strong>, quali sono gli effetti dell’assenza di investimento? Proviamo qui di seguito a<br />

rispondere, analizzando l’attuale situazione.<br />

Le molteplici possibilità di associazione da una parte accrescono supporti e opportunità per<br />

sperimentare nuove <strong>identità</strong> e identificazioni e abbandonare quelle prec<strong>ed</strong>enti non più<br />

gratificanti, dall’altra costituiscono un rischio di erosione di <strong>identità</strong> e identificazione:<br />

l’alternanza reiterata, la pendolarità tra formazioni sociali e istituzionali discontinue e<br />

incomunicanti tra loro, imp<strong>ed</strong>isce a molti Ego il consolidamento delle proprie <strong>identità</strong>.<br />

Infatti, la formazione di <strong>identità</strong> e identificazione avviene in conseguenza dell’investimento<br />

affettivo su Alter (cioè sull’oggetto), che richi<strong>ed</strong>e come condizione necessaria un certo<br />

decorso temporale. L’investimento affettivo su Alter è necessario in primis, per lo sviluppo<br />

di identificazione con i simili, che è un processo filogeneticamente più arcaico rispetto allo<br />

sviluppo dell’<strong>identità</strong> (riconoscere i simili e affiliarsi a loro era utile per la sopravvivenza<br />

dell’individuo e per evitare il pericolo dell’avvicinamento a individui diversi e pericolosi)<br />

(Gallino, 1999); lo sviluppo dell’<strong>identità</strong>, risultante dalla differenziazione dal simile, è un<br />

processo complementare, che richi<strong>ed</strong>e un investimento affettivo diverso e più complesso<br />

(per questo filogeneticamente seguente, secondo Gallino), ma implica comunque anche un<br />

investimento affettivo su Alter (personalmente ipotizzerei che richi<strong>ed</strong>a un investimento<br />

affettivo su Ego, ma contemporaneamente su Alter per mantenerne l’affiliazione).<br />

Vorrei evidenziare le somiglianze con i concetti discussi da Bartholini (2003): l’<strong>identità</strong><br />

trascendentalizzata, che sembra all’autrice l’unica soluzione identitaria possibile nella<br />

situazione attuale, consiste in un continuo dialogo e confronto tra sé e gli altri, in modo da<br />

evitare sia l’isolamento, sia il “dissolvimento” della propria <strong>identità</strong>; il dialogo equivale a<br />

un investimento affettivo reciproco sia su Ego che su Alter; questi concetti inoltre<br />

richiamano molto da vicino una concezione di <strong>identità</strong> come processo, che viene co-<br />

costruito nelle relazioni significative.<br />

19


L’attuale serialità e pendolarità tra le diverse <strong>identità</strong> e identificazioni del soggetto<br />

ritraggono la sua inclinazione ad un investimento affettivo ridotto e diviso su ciascuno dei<br />

molteplici oggetti con cui crea relazione. Questo, secondo Gallino (1999), produce effetti<br />

sia sull’identificazione sia sull’<strong>identità</strong> (infatti, è evidente il nesso tra questa descrizione<br />

delle tendenze attuali e il rischio di un’integrazione carente tra i vari contesti di<br />

appartenenza dell’individuo); però, l’autore evidenzia che le molteplici appartenenze<br />

sembrano attivamente ricercate dall’individuo attuale, più che essere passivamente subite e<br />

perciò ipotizza che non si debba diagnosticare tanto una crisi dell’<strong>identità</strong> del soggetto<br />

attuale, quanto un suo deficit di identificazione.<br />

1.6. L’<strong>identità</strong> nella letteratura cinese contemporanea<br />

Vorrei ora introdurre altre riflessioni, di tipo prettamente sociologico, ma nate nell’ambito<br />

della letteratura contemporanea, riguardanti l’<strong>identità</strong> nella Cina attuale, vista attraverso lo<br />

sguardo di giovani scrittori cinesi. Nell’introduzione a una raccolta di racconti di questi<br />

autori (che molti critici definiscono la “Nuova Generazione”), si legge che il filo rosso che<br />

accomuna questi racconti è il senso di frammentazione provato dai personaggi<br />

(Meinshousen, 2006): la ripetizione di immagini di frammentazione è l’esp<strong>ed</strong>iente narrativo<br />

utilizzato dai diversi giovani autori per comunicare il senso di smembramento provato dai<br />

loro personaggi nel confronto con la modernità. La modernità, che in Cina consiste nel<br />

confronto con la globalizzazione e nel confronto con l’Occidente, provoca <strong>emozioni</strong> di<br />

attesa speranzosa e contemporaneamente di paura: la modernità è desiderata perché porta<br />

con sé benessere e speranze di libertà; è temuta per l’insicurezza dovuta a ogni<br />

cambiamento e per la paura di perdita del proprio senso, dato dalle tradizioni.<br />

Per cogliere il riflesso che, secondo questi scrittori cinesi, la modernità ha sull’<strong>identità</strong><br />

dell’individuo, prendiamo a titolo di esempio il personaggio del racconto “Telecomando”:<br />

la sua casa è invasa da moderni elettrodomestici telecomandati, che sono la sua unica<br />

passione e sono anche rappresentazione della modernità nella sua duplice faccia di<br />

benessere e libertà di scelta, ma anche di cambiamento difficilmente gestibile<br />

dall’individuo, perché conduce all’eccesso (l’obesità del protagonista) e all’isolamento.<br />

20


Uscendo dalla metafora usata dallo scrittore, il protagonista “subisce” un cambiamento in<br />

vari aspetti della sua vita personale, a causa di un cambiamento nella realtà sociale<br />

“esterna” all’individuo. Non riuscendo a gestire questo cambiamento, ma dovendosi<br />

comunque adattare ad esso, egli adotta come strategia l’accettazione passiva di quello che<br />

capita davanti a lui, strategia che ha però il contro-effetto di confinarlo, isolato, nel suo<br />

appartamento, da cui tutto può v<strong>ed</strong>ere, ma senza essere visto. Lo sfondo è quindi una realtà<br />

sociale attuale che blocca il desiderio progettuale, bloccando anche lo sviluppo<br />

dell’<strong>identità</strong>.<br />

1.7. Identità corporea e integrazione mente-corpo<br />

In questo paragrafo riporto il pensiero di vari autori che sostengono che il corpo e la sua<br />

rappresentazione mentale siano il fondamento dell’<strong>identità</strong>.<br />

Innanzitutto, possiamo considerare che tutte le azioni coinvolgono necessariamente il corpo<br />

e il corpo è una componente intrinseca all’<strong>identità</strong> che si esplicita nelle azioni, nei sintomi,<br />

nelle memorie somatiche, nonché nella rappresentazione di sé. Anche ogni interazione è<br />

m<strong>ed</strong>iata dal corpo: il sé corporeo degli individui in interazione è necessariamente coinvolto<br />

in moltissimi aspetti.<br />

Sul legame tra <strong>identità</strong> e corporeità, iniziamo con il ricordare che secondo Erikson l’<strong>identità</strong><br />

appare come l’integrazione fra le tre dimensioni di soma, psiche <strong>ed</strong> ethos; quindi, elementi<br />

biologici, psicologici e sociali indirizzano lo sviluppo dell’individuo.<br />

Anche Freud sostenne che l’io fosse innanzitutto e soprattutto un io corporeo e, visto che<br />

usava il termine io in modo intercambiabile con quello di sé, possiamo intendere che il<br />

proprio senso di sé, che si sviluppa nel tempo come un sé psicologico, abbia inizio come un<br />

sé corporeo, basato soprattutto su input di tipo sensoriale (Krueger, 2002). L’integrazione<br />

di questo sé corporeo, inclusa l’immagine corporea, diventa un aspetto fondamentale della<br />

rappresentazione di sé.<br />

21


Lichtenberg descrive il costrutto di sé corporeo come una combinazione tra l’esperienza<br />

psichica della propria corporeità, che include le sensazioni sulla superficie del corpo e al<br />

suo interno (v<strong>ed</strong>remo in seguito che altri autori definiscono questa componente del sé<br />

corporeo come schema corporeo), il funzionamento del corpo e l’immagine corporea<br />

(Krueger, 2002). Lo sviluppo del sé corporeo avviene in tre fasi continue: la <strong>prima</strong> consiste<br />

nella precoce esperienza psichica del corpo; la seconda fase corrisponde al’inizio della<br />

consapevolezza di un’immagine corporea, con l’integrazione tra la percezione interna <strong>ed</strong><br />

esterna; l’ultima fase consiste nell’integrazione del sé corporeo come un contenitore del<br />

proprio sé psicologico: è in questo punto che i due sé si fondono per formare un senso di<br />

<strong>identità</strong> coeso.<br />

Durante lo sviluppo sano si compie un’integrazione tra il proprio sé psicologico, che cerca<br />

un embodiment, e il proprio sé corporeo, che cerca una mentalizzazione. L’inclusione del sé<br />

corporeo nella rappresentazione di sé è resa possibile dalle precoci esperienze relazionali e<br />

interattive tra il neonato e i caregivers: ricordiamo gli studi sul ruolo delle cure di handling<br />

e holding e in generale sulla necessità, per il neonato, di una sintonizzazione caratterizzata<br />

da calore e attenzioni nei confronti del corpo del bambino. È attraverso questo scambio di<br />

affetto attraverso i due corpi che il bambino riesce a sentire di risi<strong>ed</strong>ere nel suo corpo e<br />

poco alla volta sviluppa il sentimento di essere integrato, prova una sensazione di unità tra<br />

mente e corpo.<br />

Una componente del sé corporeo è la rappresentazione mentale del proprio corpo in un<br />

determinato momento. Questa è denominata schema corporeo (Balconi, 2006) e consiste<br />

nella rappresentazione mentale del proprio corpo, definita dalla postura, da un insieme di<br />

movimenti e da una superficie con precisi confini spaziali. Nella definizione dello schema<br />

corporeo sono rilevanti due categorie di input: quelli di tipo enterocettivo sono i più<br />

rilevanti e comprendono i recettori tendinei e muscolari; l’altro tipo di input è definito<br />

esterocettivo, perché riguarda la percezione della realtà esterna all’organismo, essendo di<br />

natura tattile e visiva 6 . I due ordini di informazioni sono successivamente integrati in<br />

un’unica rappresentazione corporea. È utile considerare anche le aree corticali che<br />

6 Anche Freud parla del corpo (e della sua superficie in particolare) come una “fonte da cui possono emanare<br />

contemporaneamente percezioni interne <strong>ed</strong> esterne” (Freud, 1947, pag. 180).<br />

22


intervengono nella costruzione dello schema corporeo. Tra queste ci sono la corteccia<br />

somatosensoriale e parietale, nonché parte del sistema limbico. Anche l’attività motoria<br />

riveste un ruolo importante per l’integrazione delle informazioni corporee enterocettive <strong>ed</strong><br />

esterocettive, che equivale all’integrazione tra componenti interne all’organismo e<br />

componenti esterne ad esso (Balconi, 2006). Lo schema corporeo ha notevoli ripercussioni<br />

sull’<strong>identità</strong>, perché è una componente di base dell’autoriferimento, cioè della capacità del<br />

soggetto di fare riferimento a sé come individuo distinto dagli altri.<br />

1.8. Identità corporea e integrazione mente-corpo nello sport<br />

Vorrei ora sviluppare i concetti esposti finora in modo generale, contestualizzandoli<br />

nell’area dello sport e, per quanto mi è stato possibile rintracciare notizie nella ricerca<br />

bibliografica, delle arti marziali.<br />

In questo paragrafo cerco di approfondire il legame riconosciuto dai vari autori tra <strong>identità</strong><br />

e aspetti corporei, specificandolo nel contesto dello sport.<br />

Abbiamo visto nel paragrafo prec<strong>ed</strong>ente che il corpo è il luogo del nostro esistere, il luogo<br />

di incontro e di possibilità di conoscenza della realtà. Per questo ogni cambiamento e<br />

trasformazione di sé deve passare attraverso il corpo. Il corpo è quindi passaggio obbligato<br />

per qualsiasi apprendimento 7 e sviluppo. Questo è vero a maggior ragione quando<br />

l’apprendimento implica il corpo come protagonista, per esempio nell’apprendimento di<br />

uno sport. Ma cosa significa “passare dal corpo”? L’apprendimento sportivo vero e proprio<br />

non è finalizzato al solo apprendimento tecnico: non basta cioè utilizzare il proprio corpo<br />

per apprendere le tecniche, ma vengono coinvolti anche altri aspetti del sé corporeo.<br />

Innanzitutto, verrà coinvolta la rappresentazione del proprio corpo: abbiamo già visto,<br />

infatti, che il sé corporeo non è composto solo dal corpo come ente fisico, ma anche dalla<br />

7 Inoltre, come v<strong>ed</strong>remo nel capitolo seguente, il coinvolgimento del corpo nei processi di apprendimento e<br />

sviluppo è necessario perché ogni apprendimento deriva da (e provoca) <strong>emozioni</strong>, che hanno una base<br />

corporea inestinguibile.<br />

23


sua rappresentazione mentale. Ciò significa che è necessario essere sufficientemente<br />

consapevoli del proprio corpo, cioè bisogna avere la capacità di percepirlo in quanto ente<br />

reale, concreto (Padoan, 2006). Una percezione corretta di sé, però, è connessa anche a<br />

sensazioni e sentimenti, non solo a rappresentazioni. Quando questa connessione non<br />

combacia o si interrompe, la rappresentazione del corpo, cioè l’immagine di sé, perde la sua<br />

consistenza reale: diventa astratta, surreale. Nello sviluppo sano dell’<strong>identità</strong> corporea, c’è<br />

alternanza tra immagine reale di sé e immagine ideale, (detto in altri termini, c’è<br />

integrazione tra aspetti mentali e corporei) <strong>ed</strong> è questa oscillazione la fonte dello sviluppo:<br />

essa infatti permette l’integrazione tra reale e ideale e il continuo cambiamento verso una<br />

direzione scelta di sviluppo.<br />

Questo è evidente in primis nell’attività sportiva, dove l’immagine ideale diventa una<br />

nuova realtà attraverso una pratica corporea, perché è possibile un’immersione di sé in un<br />

contesto ideale, ma contemporaneamente questa immersione è effettuata con la<br />

consapevolezza (solo temporaneamente abbandonata) del proprio corpo reale, che viene ri-<br />

assunto subito dopo essersi confusi nel contesto. Questa immersione però deve rimanere<br />

temporanea, facendo oscillare la mente tra immagine ideale e immagine reale di sé. Il<br />

rischio, infatti, consiste nella riduzione alla sola immagine ideale, con il prevalere della<br />

rappresentazione rispetto alle sensazioni e ai sentimenti relativi al corpo reale; in questo<br />

caso, si perde l’aderenza con il reale e si diventa una persona surreale, confusa nel contesto,<br />

con un dissolvimento dell’<strong>identità</strong>. Un esempio può essere quello di un uomo maturo che si<br />

identifica unicamente nell’immagine ideale e fanciullesca di uomo muscoloso <strong>ed</strong> in<br />

competizione. L’immagine, privata del riferimento al reale, diviene un idolo che richi<strong>ed</strong>e in<br />

sacrificio i sentimenti umani <strong>ed</strong> il corpo diventa uno strumento della volontà, al servizio<br />

dell’immagine: si crea un’alienazione, derivata dalla scissione tra immagine e realtà del<br />

proprio corpo. Il corpo diventa così un non-corpo e l’<strong>identità</strong> diviene indipendente dal suo<br />

essere biologico, diventa surreale, non ancorata alla realtà 8 .<br />

8 Questa concezione è diffusa a livello sociale più allargato rispetto al solo ambito sportivo: si può fare<br />

riferimento, per esempio, alle tecniche estreme di manipolazione corporea. L’idea che attraversa queste<br />

recenti diverse manipolazioni del corpo è che il corpo possa essere modificato, con l’aggiunta o la<br />

sostituzione di alcuni pezzi, come fosse una macchina: questa idea toglie anche l’ultima illusione di un Io<br />

dato, quello corporeo (Sanguineti, 2002).<br />

24


1.9. Identità e identificazione nello sport<br />

Consideriamo ora il rapporto tra <strong>identità</strong> e sport nei termini delle relazioni sociali insite<br />

nella pratica di uno sport e quindi nei termini del rapporto tra <strong>identità</strong> e identificazione. I<br />

risultati della mia ricerca bibliografica sono stati organizzati per cercare di rispondere alla<br />

domanda: che tipo di relazioni si instaurano all’interno di un’associazione sportiva? Che<br />

tipo di investimento affettivo comportano? Affronteremo successivamente, nella parte<br />

sperimentale, la questione sul modo in cui questa appartenenza si riflette sull’<strong>identità</strong> dello<br />

sportivo.<br />

L’elemento sociale nello sport sembra andare oltre il semplice chiacchiericcio durante o<br />

dopo la sessione di allenamento (Dyck & Archetti, 2003): il praticante ha bisogno di<br />

testimoni che partecipino alle sue scoperte e ai suoi progressi, per verificarli, per discuterne<br />

e per celebrarli. In gran parte, ciò che un atleta sa della propria performance è contenuto nei<br />

commenti offerti o immaginati di questi “altri significativi e consapevoli”. Le relazioni<br />

sociali interne alla propria associazione sportiva, quindi, influenzano molto l’immagine di<br />

sé in termini di successo o fallimento e influenzano l’apprendimento di uno sport,<br />

attraverso una funzione di “specchio attivo” svolta da istruttori e compagni.<br />

Consideriamo un tipo particolare di relazione in ambito sportivo: la relazione di<br />

apprendimento. L’apprendimento di uno sport coinvolge come elemento preminente<br />

l’istruzione formale, che equivale a insegnamenti formali sul sapere e saper applicare le<br />

tecniche del corpo caratteristiche dello specifico sport intrapreso, ma, come in ogni forma<br />

di apprendimento, l’atleta è coinvolto anche nell’acquisizione di un saper essere, derivato<br />

dall’immersione in particolari schemi di preferenza, di significato e di valutazione (‘the<br />

proselytizing’). Praticare uno sport richi<strong>ed</strong>e la consapevolezza delle istruzioni dettate<br />

esplicitamente da altri sul modo migliore per realizzare una performance, ma richi<strong>ed</strong>e anche<br />

un certo grado di accordo collusivo su ciò che non è detto, eppure è condiviso dal gruppo di<br />

allenamento. Da questo deriva anche la necessità, per gli etnografi dello sport (Dyck &<br />

Archetti, 2003), di considerare sia l’azione sociale di istruzione fisica e tecnica, che avviene<br />

nelle situazioni di apprendimento sportivo formale, sia l’azione sociale delle situazioni<br />

25


elazionali informali, dove le persone imparano attraverso l’osservazione e l’ascolto<br />

reciproci.<br />

La linea che separa il training sportivo formale dall’apprendimento di tecniche del corpo<br />

attraverso l’osservazione, l’imitazione e ciò che Mauss chiama “le circostanze della vita in<br />

comune” è molto sottile. Per Mauss (1973) l’individuo, fin dalle prime fasi di sviluppo, è<br />

<strong>ed</strong>ucato all’arte di usare il proprio corpo in modi specifici soprattutto attraverso<br />

l’imitazione delle azioni riuscite, compiute davanti a lui o con lui, da persone autorevoli e<br />

in cui ripone fiducia.<br />

A conferma di queste affermazioni, le persone che praticano uno sport sperimentano spesso<br />

un senso di comunitas (Turner, 1969) nel gruppo di allenamento, che coinvolge<br />

visceralmente individui difficilmente associabili in altri modi; e così come il gruppo è<br />

avvertito come una famiglia, lo sport diventa un rito sociale (Dyck, Archetti, 2003), se non<br />

quasi-religioso, per la sua capacità di connessione interindividuale, in un momento storico<br />

in cui questa è diventata più difficile.<br />

Questo significa che le associazioni sportive favoriscono (o addirittura si fondano, per la<br />

natura stessa dell’apprendimento di uno sport, sull’esigenza di) un investimento affettivo<br />

dell’individuo sul gruppo, facilitandone l’identificazione e quindi l’assunzione di<br />

un’<strong>identità</strong> meno pendolare? Esistono caratteristiche peculiari della partecipazione a<br />

un’associazione sportiva, che favoriscono lo sviluppo di identificazione e <strong>identità</strong>?<br />

Cercherò di dare un contributo nel rispondere a queste domande nella successiva parte<br />

sperimentale.<br />

1.10. Identità e apprendimento delle arti marziali<br />

Se l’<strong>identità</strong> consiste nel progetto di sviluppo scelto dall’individuo <strong>ed</strong> è quindi un lavoro di<br />

costruzione in corso, v<strong>ed</strong>iamo come l’apprendimento, in quanto forma che imprime un<br />

cambiamento nell’individuo, svolga una funzione importante nella costruzione dell’<strong>identità</strong><br />

(Padoan, 2006).<br />

26


Abbiamo anche visto come l’<strong>identità</strong> sia in relazione con i molteplici schemi interpretativi<br />

poss<strong>ed</strong>uti dal soggetto in un certo momento: tali schemi sono perlopiù inconsci e si<br />

manifestano nelle narrazioni e, più in generale, nell’attribuzione di un significato culturale e<br />

soggettivo agli eventi.<br />

Qualsiasi tipo di apprendimento richi<strong>ed</strong>e al discente una trasformazione delle proprie<br />

premesse, perché pone problemi che esulano dai suoi schemi conoscitivi preesistenti,<br />

mostrandone i vincoli e sollecitandolo a creare nuovi sistemi di significato, per adattarsi<br />

alla nuova situazione. Una fase insita in ogni processo di apprendimento è l’apertura di<br />

domande e problemi nei discenti: è un momento “caldo”, in cui è più facile innescare<br />

processi di riflessione sui propri schemi conoscitivi, che hanno quindi più probabilità di<br />

entrare nei processi di coscienza. Anche l’apprendimento di un’arte marziale, derivato non<br />

solo dagli insegnamenti formali, ma anche dalla costante pratica del discente e dalla sua<br />

partecipazione alla vita in comune, dovrebbe sollecitare il processo riflessivo (Padoan,<br />

2006): cercheremo di capire, <strong>prima</strong> attraverso l’esposizione bibliografica e poi nella parte<br />

sperimentale, se il tipo di riflessione sviluppata nella pratica marziale possi<strong>ed</strong>e<br />

caratteristiche distintive rispetto all’apprendimento in altri campi.<br />

Nel caso dell’apprendimento di un’arte marziale, potremmo distinguere tra forme di<br />

apprendimento che perseguono una trasformazione del discente accolto nella sua interezza<br />

e forme che si limitano all’apprendimento tecnico fine a se stesso, perseguendo il <strong>prima</strong>to<br />

della prestazione assoluta e riducendo il discente a un ruolo impersonale. Nel primo caso, si<br />

evidenzia una differenza tra praticare e saper praticare, cioè, oltre all’apprendimento di una<br />

tecnica, si sollecita la riflessione, che è parte integrante del processo di insegnamento-<br />

apprendimento: la riflessione consisterà sia in un pensiero sull’azione, cioè<br />

un’anticipazione delle mosse al fine di migliorare il risultato, sia in un pensiero nell’azione,<br />

cioè una riflessione sul modo di applicare le tecniche apprese, con cui il praticante analizza<br />

le routine contemplate nei suoi schemi conoscitivi e le perturbazioni, riconoscendo ciò che<br />

sta facendo. Con la riflessione nell’azione, il praticante diviene maggiormente consapevole<br />

dei suoi schemi conoscitivi connessi con la sua azione e in tal modo ottiene anche l’effetto<br />

di ampliare il suo schema con nuovi particolari (per esempio, diverrà più consapevole delle<br />

sue sensazioni propriocettive). Questa maggior consapevolezza, sviluppata dagli atleti di<br />

arti marziali, sui propri schemi conoscitivi riguardanti componenti fisiche (il proprio corpo,<br />

27


il movimento, lo spazio, il tempo,…) si riflette anche su componenti diverse della loro<br />

<strong>identità</strong>? E questa sollecitazione dei processi di consapevolezza riguardo ai propri schemi<br />

connessi alla pratica marziale, stimola anche una riflessione sul processo stesso di<br />

apprendimento? Anche per queste domande proverò a formulare risposte nella parte<br />

sperimentale.<br />

Così come esistono due tipi semplificati di insegnamento delle arti marziali, esistono anche<br />

due tipi semplificati di praticanti (Padoan, 2006): quelli “di superficie” si fermano<br />

all’aspetto ludico e tecnico e hanno difficoltà ad approfondire la pratica, proprio perché non<br />

tentano la strada della maggior consapevolezza dei propri schemi; altri cercano un<br />

approfondimento della pratica e investono molto di sé in un lavoro di ricerca e di<br />

realizzazione. È evidente che per i due tipi di praticanti, l’apprendimento della stessa arte<br />

marziale avrà esiti diversi sullo sviluppo della loro <strong>identità</strong>, anche in funzione del loro<br />

diverso grado di coinvolgimento.<br />

Padoan (2006) nomina alcuni aspetti dell’<strong>identità</strong>, che considera coinvolti nella pratica di<br />

un’arte marziale. Questi comprendono almeno: la percezione e il sentimento del proprio<br />

corpo, le proprie produzioni (l’organizzazione quotidiana del proprio tempo, i propri<br />

interessi,…), il sentimento di riuscire il meglio possibile in un dominio di eccellenza, il<br />

rapporto con la propria storia personale e culturale, il confronto con altre tradizioni e<br />

simboli culturali (orientali), il gioco di equilibrio tra il bisogno di appartenenza al<br />

gruppo/associazione e il bisogno di distinzione e personalizzazione, la creazione di un<br />

progetto formativo, la scoperta e il disvelamento cosciente di sé agli altri.<br />

Un’altra autrice che indaga il rapporto tra <strong>identità</strong> e arti marziali (nel suo caso l’Aikido,<br />

un’arte marziale di origine giapponese) è Tamara Kohn (Dyck & Archetti, 2003): facendosi<br />

portavoce delle parole del maestro <strong>Chi</strong>ba, la Kohn sostiene che la pratica dell’Aikido è<br />

diretta al perfezionamento delle tecniche di movimento e, attraverso queste, è finalizzata<br />

allo sviluppo del senso di sé e degli altri. L’Aikido, in quest’analisi, risulta essere un<br />

supporto (particolarmente utile nell’attuale società frammentata) allo sviluppo della<br />

28


consapevolezza di sé e degli altri, proprio perché incentiva la consapevolezza del proprio<br />

corpo in movimento 9 .<br />

1.11. Identità e autoconsapevolezza<br />

Nelle pagine prec<strong>ed</strong>enti abbiamo citato molte volte il termine “autoconsapevolezza”,<br />

intendendolo anche in sensi diversi, accordandoci ai termini e ai significati utilizzati dai<br />

vari autori. Sintetizzando, abbiamo considerato l’autoconsapevolezza come consapevolezza<br />

dei vari e molteplici sé, per esempio del proprio sé corporeo; abbiamo parlato di<br />

consapevolezza delle proprie scelte di sviluppo, che presuppone consapevolezza della<br />

situazione reale interna <strong>ed</strong> esterna all’individuo; ritroviamo il concetto di<br />

autoconsapevolezza anche nell’apprendimento, dove questo termine si specifica come<br />

consapevolezza del soggetto riguardo ai suoi schemi conoscitivi, che entrano in conflitto<br />

con un significato nuovo e deviante, producendo una modificazione delle conoscenze e un<br />

riassetto degli schemi mentali. Quest’ultimo significato rimanda all’autoconsapevolezza<br />

intesa come conoscenza della discrepanza tra un comportamento attuale e un<br />

comportamento ideale, che motiva al cambiamento.<br />

Se vogliamo tentare una definizione, dobbiamo sicuramente trovarne una molto ampia! Una<br />

possibile è la seguente: l’autoconsapevolezza è la presa di coscienza delle proprie<br />

caratteristiche cognitive, emotive, relazionali e delle proprie risorse (dalla voce<br />

“Autoconsapevolezza” http://www.nienteansia.it/glossario-dizionario-di-<br />

psicologia/termini-a2.html).<br />

Sui vari dizionari di Psicologia che ho consultato, non è riportato il termine<br />

autoconsapevolezza, ma quelli di autocoscienza, coscienza riflessiva e autoconoscenza, che<br />

9 “The practice of aikido, which features purely defensive techniques, is direct<strong>ed</strong> not toward competition, but<br />

rather toward mastery of physical techniques and, through these, toward an enhanc<strong>ed</strong> sense of self and<br />

others. Kohn’s analysis highlights the attractions of aikido as a means of self- development and personal<br />

healing in a fragment<strong>ed</strong> contemporary world.” (Dyck & Archetti, 2003, pag. 4)<br />

29


sono spesso usati come sinonimi 10 , nel significato molto generale di conoscenza di sé. In<br />

molti testi, inoltre, si evidenzia la difficoltà di trovare una definizione, per la varietà dei<br />

contesti in cui questi termini sono utilizzati e per le rispettive diverse accezioni. Esiste però<br />

un punto comune a tutte le accezioni del termine autocoscienza: la necessità, per i processi<br />

di autocoscienza, di focalizzare l’attenzione sul sé. In questo senso, autocoscienza è un<br />

costrutto contenuto in quello più ampio di coscienza e per questo rapporto di inclusione, si<br />

differenzia dall’universo del non-conscio (Balconi, 2006).<br />

L’autocoscienza è il livello gerarchicamente sovraordinato tra i vari sistemi di coscienza. A<br />

questo livello la coscienza stessa e i suoi meccanismi divengono oggetto di osservazione da<br />

parte del sistema pensante, attraverso un meccanismo riflessivo della coscienza su se stessa.<br />

Balconi parla di diversi livelli di autocoscienza (confronta figura 1). Innanzitutto, a un<br />

livello minimo di ricorsività, l’autocoscienza consiste nella capacità di modificare i propri<br />

comportamenti (automonitoraggio), quando questa implichi la consapevolezza della propria<br />

azione: ne è un esempio la capacità di regolare consapevolmente il proprio comportamento<br />

in relazione all’ambiente esterno, con la scelta di un’azione adeguata e con la creazione di<br />

una mappa complessiva del significato dei comportamenti proprio e altrui. In secondo<br />

luogo, l’autocoscienza può manifestarsi come autoriferimento, cioè il riconoscimento della<br />

propria persona come distinta dagli altri. In terzo luogo, l’autocoscienza si manifesta come<br />

consapevolezza della consapevolezza (metacognizione), cioè capacità specie-specifica di<br />

riflettere sui propri (e sugli altrui) processi cognitivi. Infine, essa può essere rappresentata<br />

come autopercezione di sé, nel senso di percezione dell’insieme corpo-mente e di<br />

definizione della propria appartenenza ad una cultura. I resoconti autobiografici sono un<br />

tipico esempio di quest’ultimo tipo di competenza <strong>ed</strong> è soprattutto qui che l’<strong>identità</strong> è<br />

collegata all’autocoscienza, perché ne è una conseguenza: “Il senso di <strong>identità</strong> è anche<br />

riferibile ad una forma di coscienza contemplativa, che include la rappresentazione dello<br />

schema corporeo, delle sue componenti enterocettive <strong>ed</strong> esterocettive” (Balconi, 2006, pag.<br />

64).<br />

10 Nel Dizionario di Psicologia di Galimberti (1999), per esempio, si legge che “autocoscienza” significa<br />

conoscenza di sé, per cui spesso si trova anche l’espressione “autoconoscenza”.<br />

30


Figura 1: I diversi livelli di autocoscienza.<br />

Ovviamente questi diversi livelli di autocoscienza sono integrati tra loro e non nettamente<br />

distinguibili uno dall’altro. L’autocoscienza è costituita infatti da una serie di processi<br />

sovraordinati e trasversali rispetto a molte variabili psicologiche. Per esempio, nella<br />

concezione di autocoscienza come pianificazione strategica e rappresentazione della propria<br />

azione, è evidente l’intervento delle <strong>emozioni</strong> nel dare un significato agli stimoli e nel<br />

preparare l’organismo all’azione.<br />

In questo testo, ho privilegiato il termine autoconsapevolezza a quello di autocoscienza,<br />

perché più utilizzato nell’ambito del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e delle discipline riguardanti la<br />

m<strong>ed</strong>itazione. Inoltre, adottando questa espressione, intendo mantenere una concezione<br />

ampia, senza distinguere, almeno in questa <strong>prima</strong> parte, la conoscenza del proprio corpo,<br />

della propria immagine di sé, della propria storia, dalla conoscenza sui propri stati di<br />

coscienza. Questa scelta è finalizzata a comprendere i molteplici aspetti<br />

dell’autoconsapevolezza che potrebbero essere in rapporto con l’<strong>identità</strong>, con le <strong>emozioni</strong> e<br />

con il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e che verranno approfonditi nella successiva parte sperimentale.<br />

31


Tra <strong>identità</strong> e autoconsapevolezza c’è un rapporto stretto, come è testimoniato dalle già<br />

citate definizioni di <strong>identità</strong> date da Erikson (1982) e da Sanguineti (2002). Per<br />

quest’ultimo, l’<strong>identità</strong> consiste sì nel progetto di trasformazione di sé, ma comprende<br />

comunque la conoscenza di se stessi, solo che anziché cercarla nella storia passata, essa va<br />

cercata nel modo in cui il soggetto si relaziona nel momento presente e nei suoi progetti<br />

circa il futuro.<br />

Date queste premesse, anticipo qui un concetto che svilupperò soprattutto nel seguito del<br />

lavoro: un incremento dell’autoconsapevolezza si riflette sull’<strong>identità</strong> individuale; ciò che<br />

mi interessa verificare in questa ricerca è se e come la pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

intervenga in questo rapporto tra autoconsapevolezza e <strong>identità</strong>.<br />

1.12. Concludendo … Identità e autoconsapevolezza nelle arti marziali e nello<br />

sport<br />

Visto il tema della mia ricerca, vorrei riprendere il pensiero espresso da un maestro di<br />

Aikido, il maestro <strong>Chi</strong>ba (Dyck, Archetti, 2003), riguardo al rapporto tra<br />

l’autoconsapevolezza e il “trovare un senso” per la propria esistenza di corpo-psiche. Ho<br />

inserito tra parentesi la mia interpretazione delle parole del maestro, per meglio inquadrarle<br />

negli argomenti che ho trattato in questo capitolo.<br />

Per il maestro <strong>Chi</strong>ba, il fine dell’autoconsapevolezza è trovare un ordine (che potremmo<br />

altrimenti definire un senso, una direzione di sviluppo, un’<strong>identità</strong>) in se stessi, a partire dal<br />

caos. Per sopravvivere e per sentirsi vivi, bisogna trovare un “centro”, così che la destra e la<br />

sinistra (che noi possiamo leggere, per esempio, come “il corpo” e “la mente”) non entrino<br />

in conflitto tra loro. Quando l’individuo cresce, sviluppando le nozioni di io, me e mio (cioè<br />

le nozioni che noi definiamo comunemente “<strong>identità</strong>”), è come se perdesse il centro<br />

32


(l’integrazione tra le sue parti). E la pratica dell’Aikido è, secondo il maestro <strong>Chi</strong>ba, una<br />

delle vie migliori per scoprire questo ordine psico-fisico 11 .<br />

Questa ricerca personale di un “centro” di sé, aspira alla realizzazione di un “mindful<br />

body” 12 (Thompson, 1996), cioè alla concezione dell’individuo non come mente o come<br />

corpo, ma come il luogo in cui le idee e le azioni, il sé e la società si incontrano e si<br />

intrecciano, influenzandosi a vicenda.<br />

Come avviene questa integrazione e perché è necessaria? Praticare uno sport comporta<br />

processi ricorrenti in cui l’individuo mette in pratica un’azione, avverte le sensazioni che ne<br />

conseguono, provando un’esperienza diretta (soggettiva) dell’azione, e conseguentemente<br />

riflette sull’azione stessa, per migliorare la sua performance (Dyck & Archetti, 2003). Nello<br />

sport e nella danza, gli atleti sperimentano una vasta gamma di <strong>emozioni</strong> e una rinnovata<br />

consapevolezza di sé, derivata dall’autoriflessione: l’azione fisica è soggetta a continue<br />

valutazioni e correzioni, con cui l’atleta cerca di ripetere pattern di movimento socialmente<br />

riconosciuti e desiderabili. Che sia un’autoriflessione iniziata dal singolo atleta, o che sia<br />

innescata dal suo istruttore, o nasca all’interno del gruppo di partecipanti, questo processo<br />

attiva inevitabilmente l’auto-consapevolezza del praticante e ne incrementa le capacità.<br />

Praticando uno sport, l’individuo trova risposte alle domande “chi uno è, cosa uno fa e cosa<br />

non riesce (ancora) a fare” e integra questi vari livelli attraverso gli interventi di istruttori e<br />

compagni e attraverso processi di autoriflessione: ciò che l’azione sportiva produce è il sé.<br />

11 “The nature of consciousness is to find order in chaos… In order to be alive, you must have centre, so that<br />

the left and right don’t argue with each other… As the notion of I, me, and mine grows in a natural<br />

progression, the centre is sort of lost. And I consider aikido training one of the best ways to discover that<br />

organic order.” (Dyck & Archetti, 2003, pag. 146)<br />

12 “The mindful body is the house in which ideas and action, self and society meet and influence one another.”<br />

(Dyck & Archetti, 2003, pag. 148)<br />

33


CAPITOLO 2 - I COSTRUTTI PSICOLOGICI IN RELAZIONE AL T’AI CHI<br />

CH’ÜAN: LE EMOZIONI<br />

2.1. Una necessaria delimitazione del campo<br />

“Nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, la padronanza completa del movimento<br />

permette di arrivare all’espressione totale dell’individuo.”<br />

(Muradoff, Tai <strong>Chi</strong> Chuan)<br />

Il campo d’indagine delle <strong>emozioni</strong> è vastissimo e comprende vari ambiti scientifici, tra cui<br />

l’ambito psicologico e biologico: le <strong>emozioni</strong> rappresentano, infatti, per molti autori<br />

specializzati in entrambi gli ambiti (confrontiamo infra la biologa Candace Pert e la<br />

psicoterapeuta Joan Chodorow), l’interfaccia tra psiche e soma. Data l’ampiezza<br />

dell’argomento, mi sembra utile iniziare delimitando il campo della mia ricerca sulle<br />

<strong>emozioni</strong>, ponendomi comunque l’obiettivo di mantenere, per quanto possibile, la ricchezza<br />

e la fecondità dell’approccio bio- psico- sociale, che ben si addice anche all’incrocio tra le<br />

variabili che qui mi interessano: il movimento del corpo, le <strong>emozioni</strong> ad esso connesse,<br />

l’intervento delle relazioni sociali nel modulare la consapevolezza delle proprie <strong>emozioni</strong>.<br />

In questo capitolo, mi preme documentare che: lo stretto rapporto esistente tra mente e<br />

corpo è m<strong>ed</strong>iato soprattutto dalle <strong>emozioni</strong>; le <strong>emozioni</strong> danno significato agli eventi e<br />

dipendono da vari fattori relazionali; l’incremento di consapevolezza delle proprie<br />

<strong>emozioni</strong> migliora lo stato di benessere di un individuo; il movimento del corpo si riflette<br />

sulle <strong>emozioni</strong>; infine, che le <strong>emozioni</strong> sono attivate anche solo dal rendersi conto che si sta<br />

apprendendo qualcosa.<br />

34


2.2. Cosa intendiamo per “emozione”<br />

Le definizioni del termine “emozione” variano molto in scuole psicologiche diverse e anche<br />

questa varietà ci rivela la complessità del nostro oggetto. Inoltre, le <strong>emozioni</strong> sono processi<br />

solo teoricamente scindibili dagli altri processi mentali (per esempio, da quelli cognitivi): in<br />

realtà tutti i fenomeni mentali sono intrecciati tra loro e si influenzano vicendevolmente. Le<br />

<strong>emozioni</strong> sono quindi implicate in tutte le attività della mente e per questo, trovo<br />

particolarmente utile la definizione ampia che ne dà Siegel (2001): l’emozione è l’energia<br />

che dirige, organizza, amplifica e modula l’attività cognitiva. È utile anche ricordare, con<br />

questo stesso autore, che le <strong>emozioni</strong> sono regolate e nello stesso tempo svolgono funzioni<br />

regolative su vari aspetti dell’individuo.<br />

Un processo emotivo consta di tre fasi (Siegel, 2001); inizialmente, l’emozione, detta<br />

“<strong>prima</strong>ria”, consiste nello stato di arousal psicofisico, per cui l’attenzione si dirige verso<br />

uno stimolo valutato come significativo: l’emozione <strong>prima</strong>ria è la risposta orientativa<br />

iniziale, che modula i flussi di energia all’interno del cervello e dà quindi inizio a qualsiasi<br />

attività cerebrale. La condivisione delle <strong>emozioni</strong> <strong>prima</strong>rie avviene a livello sensoriale <strong>ed</strong> è<br />

una necessità, soprattutto per i bambini piccoli, perché valorizza il loro sentire e permette<br />

loro di sentirsi riconosciuti (Amadei, 2005), favorendo così lo sviluppo sano, attraverso la<br />

miglior comprensione del mondo interiore (autoconsapevolezza) <strong>ed</strong> esterno (approfondirò<br />

questi concetti nel paragrafo seguente).<br />

La seconda fase dei processi emotivi è l’attribuzione di una valenza positiva o negativa allo<br />

stimolo: con questa valutazione, l’organismo si prepara per azioni diverse nei confronti<br />

dell’oggetto (avvicinamento o allontanamento). La fase successiva comporta la valutazione<br />

dell’emozione stessa: essa comprende la valutazione del proprio arousal e delle risorse<br />

disponibili per gestirlo, tra cui si annoverano anche le interazioni interpersonali (qui mi<br />

limito ad anticipare che, quindi, i fattori sociali influenzano le capacità e le modalità con cui<br />

gli stati emozionali <strong>prima</strong>ri vengono ulteriormente elaborati).<br />

Anche la localizzazione cerebrale delle funzioni emotive ci offre informazioni utili per<br />

capire alcune caratteristiche delle <strong>emozioni</strong>, soprattutto ci mostra come le <strong>emozioni</strong> siano<br />

coinvolte in processi molto diversi e complessi, cioè nella regolazione dei processi interni<br />

35


dell’organismo, ma anche dei processi interpersonali. I “centri cerebrali” in cui possiamo<br />

riconoscere una maggior localizzazione delle funzioni emotive sono il sistema limbico e la<br />

corteccia orbito- frontale (Siegel, 2001). In realtà entrambe queste aree sono centri di<br />

integrazione di informazioni di vario tipo: gli stimoli giungono al cervello attraverso i<br />

canali sensoriali, sono sottoposti a valutazione <strong>prima</strong>ria dall’amigdala, che trasmette il suo<br />

output alla corteccia orbito-frontale per l’ulteriore elaborazione; però, sia l’amigdala che la<br />

corteccia orbito-frontale processano informazioni anche di tipo sociale, come il<br />

comportamento non verbale degli altri e il loro stato della mente. Inoltre, elaborano<br />

informazioni sulle modificazioni dell’ambiente interno all’organismo e regolano la sua<br />

attivazione. Ciò che ci interessa qui è che le <strong>emozioni</strong> coinvolgono tutti questi processi,<br />

influenzandoli <strong>ed</strong> essendone influenzate.<br />

Una caratteristica fondamentale delle <strong>emozioni</strong> è la funzione che svolgono nel processo di<br />

valutazione, cioè di assegnazione di un significato agli stimoli (Siegel, 2001): se non<br />

provassimo <strong>emozioni</strong>, risponderemmo indiscriminatamente a qualsiasi stimolo e<br />

reagiremmo ad essi in modo indifferenziato. Il significato viene assegnato allo stimolo<br />

inducendo nell’organismo uno specifico stato di arousal: l’emozione agisce attraverso la<br />

stimolazione di determinati circuiti cerebrali che attivano un tipo specifico di arousal<br />

(esistono infatti diverse forme di arousal), per cui l’individuo interpreta lo stimolo in un<br />

certo modo, cioè conferisce un colore soggettivo alla realtà a cui è sottoposto. La<br />

valutazione non avviene solo per le caratteristiche presenti qui e ora nello stimolo, ma come<br />

integrazione tra aspetti legati al presente <strong>ed</strong> esperienze passate, che vengono attivate in base<br />

alle connessioni hebbiane.<br />

Nel processo di valutazione dello stimolo interviene anche la percezione dei propri segnali<br />

somato-sensoriali, chiamati marker somatici, che sono le reazioni somatiche conseguenti<br />

alla percezione e valutazione di uno stimolo. Essi informano il soggetto su come si sente,<br />

permettendogli di capire che significato ha quello stimolo per lui (Siegel, 2001). Questi<br />

segnali somato-sensoriali sono registrati dalla corteccia cerebrale e rientrano nel processo di<br />

valutazione dello stimolo. Sono di due tipi: i cambiamenti dei muscoli di volto e arti e i<br />

cambiamenti a livello degli organi interni. La capacità di percepire i propri marker somatici<br />

e di d<strong>ed</strong>urne il proprio stato emotivo è diversa da individuo a individuo; è ciò che possiamo<br />

definire “autoconsapevolezza emotiva” e dipende dalla modalità di attaccamento (Siegel,<br />

36


2001) e da tutte le variabili ad essa connesse, tra cui in seguito evidenzierò il grado di<br />

riconoscimento dei segnali del bambino da parte del caregiver (Amadei, 2005).<br />

Rileviamo anche che l’autoconsapevolezza emotiva, cioè la consapevolezza del proprio<br />

stato di arousal, è resa possibile dal coinvolgimento della memoria di lavoro nel processo<br />

emotivo. La consapevolezza emotiva è la capacità del soggetto di riconoscere le <strong>emozioni</strong><br />

proprie e altrui e consiste in diversi livelli di consapevolezza (Balconi, 2006): la<br />

consapevolezza delle sensazioni fisiche, la tendenza all’azione, le singole <strong>emozioni</strong>, il loro<br />

insieme e la capacità di comprendere la complessità delle proprie e altrui esperienze<br />

emotive. Un aspetto strettamente connesso alla consapevolezza emotiva è la capacità di<br />

autoregolazione delle <strong>emozioni</strong>, che consiste nella capacità dell’individuo di gestire il<br />

proprio stato emotivo, influenzandolo in diversi modi possibili. Alcuni modi della<br />

regolazione delle <strong>emozioni</strong> coinvolgono la consapevolezza emotiva: per esempio, le<br />

<strong>emozioni</strong> possono essere gestite rispetto al piano valutativo; in secondo luogo, si possono<br />

modulare i piani d’azione nei confronti dell’evento emotigeno; in terzo luogo, la coscienza<br />

può intervenire nell’automonitoraggio delle proprie espressioni emotive (Balconi, 2006).<br />

Un’altra funzione delle <strong>emozioni</strong>, evidentemente connessa a quanto ho ricordato sopra, è<br />

quella sociale: le persone usano le espressioni affettive altrui, manifestate per lo più<br />

attraverso segnali non verbali, per d<strong>ed</strong>urre il loro stato mentale e ottenere così nuove<br />

informazioni sulla realtà (Tronick, 2006). Inoltre, la capacità di comprendere le <strong>emozioni</strong><br />

altrui (empatia) permette la condivisione di uno stesso stato mentale con l’altro e favorisce,<br />

grazie a questo stato di risonanza, lo sviluppo di un sentimento di appartenenza (Siegel,<br />

2001). Lo stato di connessione emozionale, unitamente allo scaffolding offerto dal<br />

caregiver, ottiene quindi questi due effetti: aumenta sia la complessità del sistema individuo<br />

(offrendogli nuove informazioni sulla realtà esterna), sia la sua coesione (offrendogli una<br />

consapevolezza più matura di sé). L’insieme di questi aspetti è ciò che Tronick definisce<br />

“uno stato di espansione diadica della consapevolezza”. Ai fini della mia ricerca, mi<br />

interessa ricordare che ogni scambio interattivo emozionale (nel nostro caso, anche quelli<br />

con il maestro e con i compagni di pratica di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan) comporta potenzialmente<br />

un’espansione diadica della consapevolezza. Questo perché ogni individuo possi<strong>ed</strong>e<br />

capacità di autoregolazione, ma anche vincoli, che possono essere superati grazie<br />

all’incontro con l’altro.<br />

37


2.3. La regolazione emotiva<br />

La regolazione emotiva è la capacità di esprimere le proprie <strong>emozioni</strong> e di gestire le proprie<br />

espressioni affettive, in modo da ottenere un comportamento flessibile, organizzato e<br />

adattivo. Autoregolarsi significa mantenere una buona alternanza tra il sé spontaneo<br />

(interiore) e il sé sociale.<br />

L’autoregolazione si raggiunge modulando il proprio stato mentale, attraverso la gestione<br />

dei processi interni all’individuo (attribuzione di un significato diverso allo stimolo,<br />

regolazione dell’arousal, …) o dei processi sociali (variare l’interpretazione del contesto,<br />

usare lo stato mentale altrui per inferire nuovi significati, …); quindi, per regolare il flusso<br />

energetico e informativo delle <strong>emozioni</strong>, usiamo i processi emotivi stessi.<br />

D<strong>ed</strong>ico un paragrafo a questo argomento perché nella bibliografia sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

(Cicerone, 2006), si legge che questa pratica incrementa le capacità di autocontrollo, che<br />

ritengo sia usato come sinonimo di autoregolazione emotiva: nella parte sperimentale,<br />

quindi, intendo approfondire se questi costrutti siano davvero equivalenti e in quale modo si<br />

possa ottenere, secondo i maestri del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, questo effetto.<br />

A questo riguardo, secondo Siegel (2001), la modulazione intenzionale di un<br />

comportamento emozionale spontaneo passa necessariamente attraverso la strettoia<br />

dell’elaborazione cosciente delle proprie <strong>emozioni</strong>. Per lo più, i processi emotivi avvengono<br />

a livello inconscio, ma le <strong>emozioni</strong> (sia <strong>prima</strong>rie, che discrete) possono divenire<br />

consapevoli, quando intervengono i processi della memoria di lavoro. La mia seguente<br />

ricerca sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan cercherà infatti di verificare se esso aumenti le capacità di<br />

autoregolazione emotiva proprio sviluppando la consapevolezza.<br />

Per modulare le reazioni emozionali, Siegel indica l’importanza, oltre che<br />

dell’autoconsapevolezza emotiva, anche della flessibilità di risposta, cioè della capacità di<br />

valutare e di integrare molteplici informazioni, relative allo stimolo, all’ambiente e<br />

all’organismo. La flessibilità di risposta è quindi una capacità integrativa, che consiste nella<br />

capacità di rispondere, in modo adattivo e internamente collaborativo, al variare dei contesti<br />

interiori e interpersonali.<br />

38


2.4. Competenza emotiva e consapevolezza di sé: il filo rosso tra <strong>emozioni</strong> e<br />

<strong>identità</strong><br />

La competenza emotiva consiste nella capacità di autoregolazione dell’individuo e di mutua<br />

regolazione all’interno del sistema interattivo. Essa ha origine nelle interazioni precoci tra<br />

genitore e neonato e si manifesta nell’individuo come capacità di modulare in modo<br />

abbastanza flessibile il proprio stato emotivo, senza ecc<strong>ed</strong>ere nel controllo degli affetti<br />

negativi, perché questi possono essere gestiti nella coppia interattiva attraverso una<br />

continua oscillazione tra successi interattivi e fallimenti, che però vengono riparati<br />

(Amadei, 2005). Anche se la competenza emotiva è una variabile che potrebbe essere<br />

misurata a livello individuale, viene costantemente gestita dalla coppia (come influenza<br />

reciproca tra autoregolazione e regolazione interattiva) e originariamente è il genitore che<br />

offre uno scaffolding emozionale al neonato; è in questo modo che ognuno dei due partner<br />

espande il proprio stato di consapevolezza di sé (Tronick, 2006) e contemporaneamente<br />

sviluppa le sue capacità di autoconsapevolezza emotiva, cioè le capacità di percepire i<br />

propri marker somatici, il proprio arousal e di d<strong>ed</strong>urne il proprio stato emotivo (Siegel,<br />

2001); essa è diversa da individuo a individuo e dipende dalla modalità di attaccamento e<br />

dal grado di riconoscimento dei segnali del bambino da parte del caregiver (Amadei, 2005).<br />

Se vogliamo quindi rintracciare un filo conduttore tra <strong>emozioni</strong> e <strong>identità</strong>, potremmo<br />

cercarlo qui, nel passaggio da competenza emotiva a consapevolezza di sé, che può essere<br />

ampliata nell’incontro emozionale con l’altro, quando questi riesce a riconoscere la nostra<br />

comunicazione emotiva, restituendocela arricchita di senso. Il riconoscimento delle nostre<br />

<strong>emozioni</strong> da parte di un altro individuo, unito alla condivisione emozionale, ci permette di<br />

riprendere contatto con le nostre <strong>emozioni</strong>, diventandone più competenti.<br />

2.5. Emozioni che connettono corpo e mente<br />

Come ho già anticipato nel paragrafo introduttivo di questo capitolo, “le <strong>emozioni</strong> nascono<br />

nel punto di congiunzione fra materia e mente, passando dall’una all’altra in tutte e due i<br />

39


sensi e influenzandole entrambe” (Pert, 2000, pag. 226). Le <strong>emozioni</strong> connettono<br />

inscindibilmente mente e corpo in un unico insieme, ipotesi corroborata dalle ricerche<br />

biologiche della biologa Pert, per cui il substrato biochimico delle <strong>emozioni</strong><br />

corrisponderebbe alla rete di comunicazioni tra cervello e corpo, m<strong>ed</strong>iate da particolari<br />

peptidi che svolgono la funzione di trasmettitori di informazioni, e i cui recettori si trovano<br />

soprattutto nel cervello emozionale, nelle aree deputate all’elaborazione delle informazioni<br />

provenienti dai cinque sensi, nel sistema endocrino <strong>ed</strong> in quello immunitario. Secondo le<br />

ricerche di Pert, il benessere psicosomatico corrisponde al libero fluire delle <strong>emozioni</strong> (cioè<br />

dei peptidi, che vengono facilmente accolti dai recettori ad essi deputati) nell’organismo,<br />

inteso come un insieme integrato di mente-corpo. “Quando le <strong>emozioni</strong> vengono espresse,<br />

fluiscono liberamente e tutti i sistemi sono integri e solidali. Quando invece le <strong>emozioni</strong><br />

sono represse, le vie della rete psicosomatica si ostruiscono, bloccando il flusso delle<br />

sostanze chimiche unificanti.” (Pert, 2000, pag. 328). Questo avviene anche con le<br />

<strong>emozioni</strong> negative: tentare di reprimerle significa creare un blocco nel flusso dei segnali<br />

trasmessi dai peptidi e si riflette in una divisione di ciò che originariamente avrebbe dovuto<br />

essere un tutto integrato. Connetterci con le nostre <strong>emozioni</strong> (Amadei, 2005), consentire<br />

loro di entrare nella nostra consapevolezza, permette di liberarci da schemi del passato che<br />

intrappolano il nostro progetto di sviluppo, cioè la nostra <strong>identità</strong>.<br />

Connettersi con le proprie <strong>emozioni</strong> significa lasciarle fluire senza blocchi, gestirle senza<br />

reprimerle, sia quelle positive, sia (compito più difficile) quelle che generalmente<br />

consideriamo negative per il disagio che ci fanno provare. Se vogliamo dirlo in termini<br />

winnicottiani, significa incontrare il proprio vero Sé; qui, vorrei però soffermarmi<br />

maggiormente sui concetti che ho trovato nel libro di Amadei (2005), perché mi ha sorpresa<br />

la somiglianza con le parole del maestro <strong>Chi</strong>ba di Aikido (che ho riportato nel capitolo<br />

sull’<strong>identità</strong> in nota 2): connettersi con le <strong>emozioni</strong> significa arrivare all’imm<strong>ed</strong>iatezza della<br />

propria esperienza, trovando nuovamente il proprio centro, la propria essenza. Ri-trovare il<br />

proprio centro si manifesta come un ri-trovare pace nelle proprie percezioni: riconoscere la<br />

loro verità soggettiva, che ci rende unici nel nostro modo di rapportarci alla realtà. Le<br />

tecniche che facilitano l’individuo nell’entrare in contatto con la sua essenza sono quelle<br />

che lo aiutano ad essere consapevole delle sue percezioni e a sentirsi soggetto percettore.<br />

Tra queste tecniche rientrano, secondo Gaddini (Amadei, 2005), le modalità cliniche<br />

40


psicologiche e alcune pratiche di m<strong>ed</strong>itazione che mirano allo sviluppo della presenza<br />

mentale, la mindfulness.<br />

2.6. Emozioni e respirazione<br />

Trattando del rapporto tra <strong>emozioni</strong> e corpo, vorrei anche richiamare la teoria vascolare<br />

dell’efferenza emotiva, secondo cui il ritmo e la modalità della respirazione, che sono<br />

sottoposte al controllo volontario, contribuiscono a raffr<strong>ed</strong>dare la regione dell’ipotalamo<br />

sottesa al mantenimento degli stati emotivi positivi connessi alla sensazione di benessere<br />

(Anolli & Legrenzi, 2001). Il raffr<strong>ed</strong>damento ipotalamico è connesso con stati emotivi<br />

positivi, mentre un aumento della sua temperatura è connesso con stati emotivi negativi.<br />

Grazie alla sua particolare configurazione vascolare (confronta figura 2), la temperatura di<br />

questa regione può però essere modificata attraverso la modulazione della respirazione:<br />

adottando una respirazione nasale e con ritmo lento e regolare, la regione venosa del seno<br />

cavernoso raffr<strong>ed</strong>da la carotide interna <strong>prima</strong> che essa entri nell’ipotalamo, contribuendo<br />

così all’abbassamento della temperatura ipotalamica.<br />

Figura 2: Illustrazione della configurazione vascolare implicata nel raffr<strong>ed</strong>damento ipotalamico.<br />

41


Alcune tecniche di m<strong>ed</strong>itazione, il training autogeno, lo yoga e anche il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e<br />

molte altre arti marziali insegnano a regolare la respirazione, rendendola più profonda e<br />

regolare e implicando anche un ampliamento della consapevolezza e delle capacità di<br />

controllo 13 .<br />

Anche per Tronconi (1998), con la m<strong>ed</strong>itazione e altre pratiche affini si impara a controllare<br />

le proprie <strong>emozioni</strong>. Il termine “controllo” non è inteso però come repressione, ma come<br />

osservazione delle <strong>emozioni</strong> e sviluppo di maggiore consapevolezza, che interpone il<br />

pensiero tra il provare un’emozione e il reagire automaticamente ad essa.<br />

2.7. Percepirsi in movimento<br />

È curioso come già nell’etimologia del termine emozione (ex -movere, traducibile<br />

“muovere via”), sia intrinseco il concetto di movimento: in effetti, le <strong>emozioni</strong> vengono<br />

spesso descritte anche come un’energia che muove l’individuo e se dovessimo immaginarle<br />

visivamente, probabilmente molte persone (di sicuro io!) le rappresenterebbero come un<br />

fluido che scorre nel corpo, una linfa vitale e variamente colorata che si muove<br />

ininterrottamente, con ritmo diverso, in ogni canale del nostro organismo. È anche per<br />

questo che mi interessa molto la relazione che le <strong>emozioni</strong> hanno con il movimento, almeno<br />

13 Un esempio della stretta connessione tra respirazione e tecniche di m<strong>ed</strong>itazione si può trovare nel<br />

programma di vari corsi di m<strong>ed</strong>itazione; tra di essi, cito l’attuale corso intitolato “Il corpo nella preghiera”,<br />

tenuto da Padre Davide Magni proprio nel periodo in cui svolgo questa tesi. Il corso si propone come<br />

obiettivo l’integrazione tra le dimensioni essenziali della persona umana: il corpo (luogo della fisicità<br />

materiale), la mente (intesa come luogo dei pensieri, delle idee,…) e lo spirito (qui inteso come la s<strong>ed</strong>e delle<br />

<strong>emozioni</strong>, dei sentimenti,… e della relazione con il divino). La concezione fondamentale del corso è che la<br />

nostra vita quotidiana, compresa la preghiera, avviene sempre dentro-con-attraverso il nostro corpo.<br />

L’itinerario del corso proc<strong>ed</strong>e quindi attraverso il corpo, nel senso che si impara a sviluppare la<br />

consapevolezza del corpo, per poi estendere questa esperienza a tutti gli altri ambiti vitali. Al principio si<br />

diviene consapevoli della respirazione, per passare poi alla consapevolezza della postura (la collocazione<br />

nello spazio, che ha sempre un significato affettivo), fino ad esplorare il movimento (in questo corso, inteso<br />

come movimento nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan).<br />

42


con quello che si può osservare dall’esterno: il movimento fisico. Mi sembra utile<br />

sviluppare questo aspetto anche perché abbiamo già discusso il nesso tra <strong>emozioni</strong> e corpo;<br />

quello che intendo presentare ora è l’emozione come energia sia mentale, che fisica.<br />

“Man mano che il pensiero e il linguaggio verbale si organizzano <strong>ed</strong> evolvono, il rapporto<br />

con il nostro percepire, sentire e immaginare tende ad affievolirsi e l’unità corpo-psiche ne<br />

risulta intaccata” (Garufi & Adorisio, 1998, pag. 11). Il movimento, e la danza in<br />

particolare, sono sempre (e ovunque) stati usati dall’uomo come strumenti veri e propri per<br />

entrare in contatto con la sua dimensione istintiva e spirituale e per esprimerla: ne è prova il<br />

fatto che la spiritualità si è espressa <strong>prima</strong> nel culto, nel movimento del corpo e solo<br />

successivamente nel mito e nelle narrazioni. Il movimento del corpo, nei culti, svolgeva una<br />

funzione sociale di condivisione delle <strong>emozioni</strong> e una funzione di ponte con l’ignoto che<br />

l’uomo trovava nel mondo: permetteva di esprimere e contenere l’angoscia causata<br />

dall’incontro con una realtà ignota e insondabile. Il movimento mantiene tuttora questa<br />

funzione, permettendoci di approcciare il non conosciuto e di manifestare l’inesprimibile<br />

che è in noi (Chodorow, 1998). Mi sembra interessante anche annotare velocemente la<br />

mancanza di riti che coinvolgano il corpo nella sua dimensione di veicolo di contenuti<br />

mentali, nella cultura occidentale contemporanea.<br />

Il forte nesso esistente tra <strong>emozioni</strong> e corporeità è già noto in ambito psicologico: il corpo è<br />

come un narratore, che riesce a comunicare ciò che le parole non riescono ad esprimere<br />

direttamente: il corpo di un individuo parla di sentimenti che non sono ben accolti nella sua<br />

mente conscia (Krueger, 2002). Nell’analisi, così come in tutte le relazioni, le parole non<br />

sono sufficienti per esprimere e per comprendere i significati intesi dalle persone: è in<br />

questo luogo, che altrimenti rimarrebbe vuoto di senso, che avviene la comunicazione<br />

attraverso il corpo in movimento.<br />

Anche per Jung (Jung, 1990) il movimento del corpo, come altre forme di espressione da<br />

lui denominate “immaginazione attiva” (arte pittorica, poetica, drammatica e plastica),<br />

riesce a creare un ponte tra conscio e inconscio, attraverso la percezione dell’unità corpo-<br />

psiche. La teoria del movimento e delle <strong>emozioni</strong>, formulata dalla Chodorow, che ora<br />

discuto, si fonda su quella di Jung. Le <strong>emozioni</strong>, per la Chodorow come per altri autori che<br />

abbiamo già nominato, sono l’ingr<strong>ed</strong>iente principale di cui è composto il “luogo<br />

interm<strong>ed</strong>io” tra psiche e soma; per questo, ogni emozione percepita in modo diretto<br />

43


comporta un incontro tra corpo e psiche. La danza e il movimento spontaneo in generale<br />

sono connessi a questo luogo da una parte perché è lì che emerge la motivazione a<br />

muoversi e dall’altra perché possono influire su questo “luogo”, modificandolo (Chodorow,<br />

1998): a volte, la danza agisce sulle <strong>emozioni</strong> perché offre loro una via di sfogo, una<br />

liberazione catartica; altre volte, invece, le trasforma, affinando la nostra sensibilità alle<br />

nostre stesse <strong>emozioni</strong>. Riassumendo, c’è una relazione di influenza bidirezionale tra<br />

<strong>emozioni</strong> e danza (qui intesa come sinonimo di movimento spontaneo).<br />

Ai fini della mia ricerca è necessario tenere presente che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è considerato<br />

ingenuamente come una sorta di danza, per i suoi movimenti lenti, dolci e sinuosi; i maestri<br />

generalmente non concordano con questa opinione “ingenua”, perché sottolineano la base<br />

marziale essenziale del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. È inoltre necessario informare il lettore che il T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan non è un movimento spontaneo: ritengo che alcune caratteristiche avvicinino<br />

queste due pratiche, ma nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan il passaggio all’atto non si può definire<br />

spontaneo. Per questo motivo, non analizzeremo l’influenza che le <strong>emozioni</strong> hanno sul<br />

movimento nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, ma potremo studiare la relazione inversa, cioè gli effetti<br />

che il movimento può avere sul cambiamento delle <strong>emozioni</strong>.<br />

2.8. Emozioni e apprendimento<br />

Ho deciso di annotare qualche concetto anche riguardo al rapporto tra <strong>emozioni</strong> e<br />

apprendimento, anche se il tema richi<strong>ed</strong>erebbe uno spazio molto più ampio, perché nella<br />

mia ricerca mi occuperò anche di aspetti concernenti l’apprendimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

L’apprendimento ha necessariamente una componente emozionale, che spesso è<br />

sottovalutata rispetto alla controparte cognitiva: in realtà, non esiste un pensiero “depurato”<br />

dall’emozione, perché semplicemente non esisterebbe pensiero (Morelli & Zaffalon, 2006).<br />

Ci sono alcune caratteristiche dei processi di apprendimento in cui è più facile cogliere<br />

l’impatto delle <strong>emozioni</strong>: anzitutto, abbiamo visto sopra che le <strong>emozioni</strong> provate sono la<br />

base che ci permette di dare un significato alla realtà percepita, possiamo dire che sono il<br />

mezzo con cui ci appropriamo, almeno provvisoriamente, della realtà. In secondo luogo,<br />

44


apprendere è sempre un processo relazionale, perché la mente non è individuale, ma è nella<br />

relazione: apprendere significa cooperare per trovare un’interpretazione condivisa (Morelli<br />

& Zaffalon, 2006). L’ultimo aspetto che intendo sottolineare è che in ogni apprendimento è<br />

intrinseco il conflitto: apprendere significa mettere in discussione i propri assunti, osservare<br />

una parte di realtà da un punto di vista diverso dal prec<strong>ed</strong>ente; in ogni caso, “è uscire da un<br />

campo di conoscenze rassicuranti per entrare in un altro, che all’inizio non rassicura ma<br />

inquieta, anche se attrae mentre spaventa” (Morelli & Zaffalon, 2006, pag. 3). In sintesi,<br />

l’apprendimento – quello che promuove un’evoluzione nell’individuo, non il conformismo<br />

– implica un coinvolgimento affettivo perché richi<strong>ed</strong>e investimenti relazionali e perché<br />

consiste nell’elaborazione (faticosa) di un conflitto, per approdare a una risoluzione<br />

provvisoria e condivisa.<br />

45


CAPITOLO 3 - L’ARTE DEL T’AI CHI CH’ÜAN<br />

3.1. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan 14 e il Kung-fu<br />

Nulla al mondo è più morbido e c<strong>ed</strong>evole dell’acqua,<br />

eppure nel distruggere ciò che è duro e forte<br />

non vi è nulla che riesca a superarla.<br />

La c<strong>ed</strong>evolezza prevale sulla forza,<br />

la morbidezza batte la durezza.<br />

(Lao Tzu, Tao Te <strong>Chi</strong>ng)<br />

Il Kung-fu è la parola cinese con cui, nei Paesi occidentali ci si riferisce all’insieme di tutte<br />

le Arti Marziali Tradizionali Cinesi, che includono il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. La parola Kung-fu,<br />

in realtà, è una parola molto generica, perché significa “esercizio svolto con abilità” e<br />

pertanto potrebbe riferirsi anche ad attività diverse dalle arti marziali (Chang & Fassi,<br />

Enciclop<strong>ed</strong>ia del Kung Fu Shaolin, 1993). In lingua cinese, infatti, si usano altre espressioni<br />

per indicare le Arti Marziali, ma il termine Kung-fu è talmente diffuso nelle lingue<br />

occidentali, che risulta difficilmente sostituibile (confronta Figura 3).<br />

14 Nel testo è stato utilizzato il metodo di traslitterazione degli ideogrammi di Wade-Giles, in accordo con la<br />

scelta operata da vari autori. Nella bibliografia sono rimasta f<strong>ed</strong>ele alla traslitterazione adottata dallo stesso<br />

autore. La grafia di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan secondo l’altrettanto diffuso metodo Pinyn corrisponde invece a Taiji<br />

Quan.<br />

Riguardo alla pronuncia, al di là del metodo di traslitterazione adottato, si legge: Tai Ci (con un suono<br />

interm<strong>ed</strong>io tra la c dolce e la g dolce) Ciüan (la lettera c si legge come la c dolce; la lettera ü si legge come in<br />

francese).<br />

46


Figura 3: Nella figura, letta dall’alto al basso e da sinistra a destra, è riportata la scrittura del maestro<br />

Chang Dsu Yao degli ideogrammi: Shao Lin Ch’üan, T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, Kung fu.<br />

Le Arti Marziali Cinesi sono state suddivise in due grandi gruppi:<br />

• Wai <strong>Chi</strong>a, cioè “sistema esterno”, comprende tutti gli stili duri o esterni, chiamati<br />

così per l’importanza attribuita in queste Arti Marziali alle caratteristiche “esteriori”<br />

come vigore fisico, acrobazia e velocità. Il principale stile esterno è lo Shao Lin<br />

Ch’üan.<br />

47


• Nei <strong>Chi</strong>a, o “sistema interno”, che comprende invece tutti gli stili morbidi o interni,<br />

chiamati così per l’importanza che viene attribuita in essi allo sviluppo dell’energia<br />

interna. Il più importante stile interno è il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

In realtà questa divisione, anche se comoda, è determinata da cause storiche (che introdurrò<br />

più avanti), più che da reali differenze tra i due tipi di stili: in entrambi, per raggiungere<br />

l’efficacia bisogna combinare la durezza con la morbidezza. È nella fase iniziale<br />

dell’apprendimento che la differenza è più marcata, perché le tecniche vengono eseguite in<br />

maniera forte e veloce negli stili “duri”, mentre negli stili “morbidi” vengono effettuate<br />

molto lentamente e in completa decontrazione muscolare.<br />

Il simbolo grafico del Kung-fu, che dà anche il titolo alla mia tesi, è un cerchio bianco e<br />

nero (chiamato T’ai <strong>Chi</strong>) raffigurante l’unione di Yin e Yang, circondato dai cinque petali<br />

gialli del fior di prugno, simboli rispettivamente del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e dello Shao Lin<br />

Ch’üan (confronta figura 4).<br />

Figura 4: Il simbolo del Kung fu.<br />

48


3.2. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: le scuole di pensiero<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan letteralmente significa “Boxe (Ch’üan) della Suprema (T’ai) Polarità<br />

(<strong>Chi</strong>)”. Questa denominazione indica che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è un’Arte Marziale basata<br />

sulle leggi che regolano l’interazione e l’alternarsi di quelli che sono, secondo il pensiero<br />

cinese, i due principi base (o poli) dell’universo: Yin, il principio negativo e Yang, il<br />

principio positivo, senza che questi termini abbiano implicazioni morali. (Chang & Fassi,<br />

2004).<br />

Sono molte le scuole filosofiche che hanno influenzato per migliaia di anni la vita e le<br />

istituzioni del popolo cinese e anche la nascita del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan; ognuna di esse,<br />

offrendo la sua interpretazione del mondo e delle attività umane, mette in luce anche un<br />

principio fondamentale del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

Figura 5: L’origine e l’integrazione delle due<br />

polarità.<br />

Yin e Yang<br />

La teoria Yin-Yang è molto antica e i filosofi<br />

cinesi se ne servivano per spiegare l’origine<br />

dell’universo. Questo all’inizio era in uno<br />

stato di assenza di differenziazioni, assenza<br />

di poli, denominato Wu <strong>Chi</strong> (Li Deyin,<br />

2004). A un certo punto si formarono due<br />

polarità di segno diverso che sono<br />

considerati i principi fondamentali<br />

dell’universo (confronta figura 5):<br />

− Yang: il principio positivo, maschile,<br />

corrispondente a luce, giorno, sole,<br />

esterno, duro, movimento, …<br />

rappresentato dal colore bianco;<br />

− Yin: il principio negativo, femminile, corrispondente a oscurità, notte, luna, interno,<br />

morbido, quiete, … rappresentato dal colore nero.<br />

49


I due principi interagirono imm<strong>ed</strong>iatamente dando origine alla cosiddetta Suprema Polarità<br />

o T’ai <strong>Chi</strong>. La formazione della polarità Yin-Yang è considerata dai filosofi cinesi la legge<br />

base dell’universo. Yin e Yang costituiscono, infatti, i veri e propri emblemi della dualità<br />

fondamentale esistente in ogni parte del cosmo, dualità che trova la sua unificazione nel<br />

simbolo del T’ai <strong>Chi</strong>. È importante evidenziare che Yin e Yang non hanno un significato<br />

morale (buono-cattivo) e che sono considerati elementi complementari, non contrastanti.<br />

Bisogna quindi cercare un’armonia fra di loro <strong>ed</strong> evitare ogni situazione sbilanciata. Tutte<br />

le distinzioni sono, inoltre, relative: ciò che è Yin relativamente a una cosa, può<br />

contemporaneamente essere anche Yang in rapporto ad un’altra.<br />

Figura 6: La rappresentazione più comune del<br />

T’ai <strong>Chi</strong> T’u, o diagramma del T’ai <strong>Chi</strong>.<br />

Figura 7: Il continuo mutamento del T’ai <strong>Chi</strong>.<br />

L’unione di Yin con Yang è raffigurata nel<br />

diagramma del T’ai <strong>Chi</strong>, che può essere<br />

rappresentato graficamente in modi diversi,<br />

tra cui il più noto è riportato in figura 6:<br />

l’armonia fra gli opposti è dimostrata<br />

dall’uguaglianza delle due superfici bianca e<br />

nera.<br />

La particolare suddivisione a S fra le due aree<br />

fa sì che i perimetri di Yin e Yang siano<br />

uguali al perimetro dell’intera circonferenza. I<br />

punti nero e bianco stanno ad indicare che Yin<br />

e Yang non sono assoluti, ma che vi è sempre<br />

un poco di Yin in Yang e viceversa. Il<br />

diagramma va pensato in perpetua rotazione<br />

(confronta figura 7), perché, insieme alla sua<br />

forma circolare, simboleggia l’evoluzione<br />

ciclica della natura.<br />

Il diagramma del T’ai <strong>Chi</strong> è anche il simbolo del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Infatti, tutti i movimenti<br />

di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sono circolari, come le linee del diagramma. Inoltre, durante<br />

l’esecuzione delle tecniche vi è un ininterrotto alternarsi di Yin e Yang di cui bisogna<br />

imparare ad essere consapevoli. Per esempio, il pi<strong>ed</strong>e avanti è Yang, quello dietro è Yin,<br />

ma non appena facciamo un passo in avanti Yang si trasforma in Yin e viceversa.<br />

50


La teoria dei cinque elementi<br />

I cinque elementi, che derivano dall’interazione di Yin con Yang (confronta figura 8), non<br />

indicano tanto delle sostanze primordiali, quanto dei modi di trasformazione della natura.<br />

Figura 8: La creazione del mondo nella<br />

teoria di Yin e Yang.<br />

Ognuno di essi costituisce una vera e propria<br />

fase di un processo in continuo mutamento<br />

attraverso cui la natura assume sempre nuovi<br />

aspetti. I cinque elementi sono simboleggiati da<br />

legno, fuoco, terra, metallo e acqua. Ogni<br />

elemento, nell’ordine sopra indicato, dà origine<br />

all’elemento seguente e vince l’elemento ancora<br />

successivo, come rappresentato in figura 9.<br />

A partire da ogni elemento si ha dunque una<br />

catena di corrispondenze che legano tutte le<br />

manifestazioni del Cielo, della Terra e<br />

dell’Uomo. L’uomo non è più allora un essere<br />

isolato, ma un microcosmo in intima relazione<br />

con i fenomeni del macrocosmo.<br />

Figura 9: Le relazioni tra i cinque elementi.<br />

51


I <strong>Chi</strong>ng<br />

Il libro classico (<strong>Chi</strong>ng) delle mutazioni (I) è un’opera antichissima 15 che veniva utilizzata<br />

per pr<strong>ed</strong>ire il futuro. Gli antichi saggi intuirono che tutto nell’universo è in perpetuo<br />

mutamento (principio delle mutazioni). Nulla è permanente salvo la mutazione stessa. Ma<br />

quest’ultima è regolata da leggi ben precise, da una ciclicità legata alla vita naturale: il sole<br />

sorge sempre a est, l’acqua scorre sempre verso il basso e così via. Da ciò gli antichi<br />

filosofi d<strong>ed</strong>ussero che anche il futuro non si sviluppa a caso, ma segue determinate leggi<br />

che, opportunamente interpretate, permettono di pr<strong>ed</strong>ire il corso degli eventi.<br />

Figura 10: Le varie combinazioni possibili derivate<br />

dall’assemblaggio di Yin e Yang danno origine a 4 di-<br />

grammi, a 8 trigrammi e a 64 esagrammi: questi<br />

costituiscono il codice dell’I <strong>Chi</strong>ng.<br />

Il codice contenuto nel Libro delle<br />

Mutazioni è costruito su di una<br />

complessa rappresentazione grafica,<br />

che ha come segni elementari il tratto<br />

lineare continuo __ (Yang) e quello<br />

discontinuo _ _ (Yin), che qui<br />

simboleggiano l’affermazione e la<br />

negazione relativamente alla richiesta<br />

effettuata da un individuo sulle<br />

possibili evoluzioni degli eventi per lui<br />

significativi. Ma, poiché tutto è in<br />

continua trasformazione, il sì e il no<br />

possono associarsi in un’infinita serie<br />

di definizioni più sfumate. Graficamente questa possibilità è rappresentata dalle varie<br />

combinazioni possibili che possono assumere Yin e Yang: questi vengono associati <strong>prima</strong><br />

in coppie di segmenti, poi in trigrammi e finalmente in esagrammi. Si ottengono così 64<br />

combinazioni possibili (confronta figura 10).<br />

La legge delle mutazioni è il principio fondamentale che ci insegna l’I <strong>Chi</strong>ng. Questo<br />

principio ha influenzato molto il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, che è caratterizzato da movimenti<br />

15 Possiamo notare che il primo commento al libro è datato intorno al 1100 a.C.<br />

52


circolari in continua mutazione e da un ininterrotto alternarsi di Yin e Yang. Anche nel T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan nulla è mai definitivo, tutto è in costante ciclico movimento.<br />

Il confucianesimo<br />

Per K’ung Fu Tzu 16 (latinizzato in Confucio, dove Tzu significa “maestro”), il Tao (parola<br />

che letteralmente significa “Via”) consiste nel praticare determinate virtù. La virtù<br />

fondamentale è la sensibilità umana, un concetto molto vicino a quello di amore per il<br />

prossimo. Le nostre azioni devono essere guidate dalla sensibilità, ma devono essere<br />

regolate anche da una seconda virtù che Confucio chiamava Li, parola che possiamo<br />

tradurre con “rispetto per i riti”. Li non deve essere pura formalità, ma l’espressione<br />

esteriore della sensibilità. Il messaggio di Confucio può essere, ai nostri fini, semplificato in<br />

due insegnamenti: “Un uomo nobile si rivela in ogni cosa secondo il dovere, un uomo<br />

volgare secondo l’interesse che può derivargliene”; e “Solo colui che veramente ama gli<br />

altri è capace di adempiere ai propri doveri in società” (Colli, 2001, pag.19).<br />

Il confucianesimo influenza tuttora il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan soprattutto nell’ambito del rituale: di<br />

questo fanno parte la cerimonia del saluto, le relazioni fra maestro e allievi, le relazioni fra<br />

gli allievi, nonché la venerazione per gli antichi maestri.<br />

Il taoismo<br />

Il taoismo è la filosofia che maggiormente ha influito sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: quest’arte,<br />

infatti, ha avuto la sua origine, che rimane comunque molto fumosa, sul monte Wu Tang,<br />

luogo amato dagli eremiti taoisti.<br />

Le idee fondamentali del taoismo sono contenute in una famosa opera, il “Tao Te <strong>Chi</strong>ng” o<br />

Libro Classico della Via e della Virtù, popolarmente attribuito al filosofo Lao Tzu,<br />

personaggio in parte leggendario, che sarebbe stato di poco più anziano di Confucio.<br />

Purtroppo, però, come per la storia antica della Cina, per la quale non possiamo avere una<br />

16 Confucio visse nell’antica Cina feudale tra il 551 a.C. e il 479 a.C.<br />

53


conoscenza chiara, per la mancanza di fonti, e per l’impossibilità di differenziare tra storia<br />

effettiva e leggenda, anche per il testo del Tao Te <strong>Chi</strong>ng non abbiamo riferimenti<br />

abbastanza certi sulla data, sull’autore e sul significato dei suoi scritti; le versioni date dagli<br />

attuali filologi sono assai diverse! Nel presente lavoro, utilizzo la traduzione riportata nel<br />

testo di Chang e Fassi (2004), che ha quantomeno il pregio di rendere più agevole, rispetto<br />

ad altre traduzioni, la comprensione di un significato possibile. Possiamo dire che i due<br />

autori offrono al lettore un’interpretazione già elaborata del testo, riportandone il senso alla<br />

pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: questo, da una parte, rende più agevole la comprensione e,<br />

dall’altra, ci facilita nell’obiettivo di capire meglio quest’arte marziale. Sintetizzando, il<br />

mio attuale interesse non è tanto esporre il vero significato del Tao Te <strong>Chi</strong>ng 17 , ma<br />

comprendere come due maestri di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, nonché individui di ampia cultura,<br />

abbiano applicato il testo originale al T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

Il taoismo è la filosofia del Tao, parola che significa “Via”. Nel confucianesimo, il Tao ha<br />

un significato morale, nel taoismo esso è invece considerato un principio al di sopra della<br />

morale, una specie di legge universale che è insita nella natura e che la regola. Ma il Tao è<br />

un concetto così vasto che non può essere adeguatamente definito, perché “il Tao che può<br />

essere espresso con parole non è il vero Tao”.<br />

L’armonia degli opposti e la loro relatività è un altro insegnamento importante del Tao Te<br />

<strong>Chi</strong>ng. Tutti gli opposti vanno dunque accettati e tutto è relativo, pertanto non esiste la<br />

possibilità che uno degli opposti prevalga definitivamente sull’altro. Non dobbiamo lottare<br />

contro le forze della natura, ma dobbiamo fare come il bravo marinaio che non si oppone al<br />

vento, ma usa la sua forza per farsi trasportare. Questo è il famoso principio del “non agire”<br />

(Wu Wei). Tale espressione, però, significa semplicemente che non dobbiamo agire in<br />

modo forzato, ma essere spontanei, lasciar fare al Tao.<br />

Un altro concetto importante è quello del Te, parola che si può tradurre come “Potere<br />

virtuale”: un piccolo seme, per esempio, ha il potere virtuale di trasformarsi in una grande<br />

17 Per un approfondimento, si può consultare la versione del Tao Te <strong>Chi</strong>ng intitolata: Tao Te <strong>Chi</strong>ng, Il libro<br />

della Via e della Virtù, a cura di J.J.L. Duyvendak, <strong>ed</strong>ito da Adelphi nel 1983 nella traduzione dal francese di<br />

A. Devoto.<br />

54


pianta e possi<strong>ed</strong>e, quindi, un grande Te. Tutto ciò che ha raggiunto il suo massimo è<br />

soggetto, invece, alla decadenza. Vi è perciò una maggiore potenzialità di vita e di sviluppo<br />

nelle cose apparentemente morbide e deboli che non in quelle dure e forti: “Durezza e<br />

rigidità sono compagne della morte, morbidezza e flessibilità compagne della vita”.<br />

La morbidezza e la c<strong>ed</strong>evolezza sono qualità essenziali nella pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

Nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan non bisogna mai opporsi alla forza dell’avversario, ma utilizzare la sua<br />

stessa violenza per batterlo. Per il principio del “Non agire”, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è un’arte<br />

esclusivamente difensiva: non bisogna agire attaccando, ma adattare la nostra azione a<br />

quella dell’avversario.<br />

Il buddhismo Ch’an<br />

Il buddhismo ha le sue origini in India e, quando si diffonde in Cina nel VI secolo d.C.,<br />

adotta alcune categorie del taoismo, il sistema filosofico già esistente in quel contesto: in<br />

questo senso, il buddhismo a cui ci riferiamo in questa discussione è quella particolare<br />

“via” che si è sviluppata dall’intreccio tra categorie del pensiero indiano 18 e cinese. Questa<br />

corrente di pensiero prende nome di buddhismo Ch’an, traducibile come m<strong>ed</strong>itazione 19 , ma<br />

18 Del buddhismo ricordiamo qui alcune categorie: quella di anicca, per cui tutto, nell’esistenza, è<br />

impermanente: i piaceri e i dispiaceri, ma anche il sé. A questo concetto si affianca quello di anatta, che<br />

significa che il desiderio proviene dall’ignoranza, perché deriva dalla concezione individualistica dell’io, che<br />

in realtà esiste solo in quanto relazionato: l’<strong>identità</strong> individuale è un nodo di una rete di relazioni e per questo<br />

non è isolabile. Anatta non nega in modo assoluto ogni sé, ma la pretesa di ogni sé di porsi come assoluto.<br />

Conseguenza è che il desiderio di qualcosa per sé è frutto dell’ignoranza e può portare solo a sofferenza;<br />

l’unica soluzione è quindi l’estinzione del desiderio, lo stato di nirvana. Il nirvana può essere raggiunto<br />

attraverso la saggezza, unita alla morale e alla m<strong>ed</strong>itazione: queste tre direttrici del percorso individuale sono<br />

fortemente in interazione (Magni, 2004).<br />

19 La m<strong>ed</strong>itazione buddhista consiste nella coltivazione del potenziale della mente, per andare oltre la natura<br />

delle situazioni interne <strong>ed</strong> esterne nelle quali ci troviamo. Attraverso questo mezzo la percezione erronea<br />

viene corretta, per giungere all’equilibrio e alla tranquillità. Un tipo di m<strong>ed</strong>itazione consiste nella<br />

concentrazione della mente su un unico punto focale, in cui si ottiene uno stato di coscienza alterato. L’altra<br />

forma di m<strong>ed</strong>itazione, più propriamente buddhista, si chiama vipassana; qui lo stato di concentrazione è<br />

coltivato solo fino all’abolizione delle distrazioni, senza entrare in uno stato di coscienza diverso dalla veglia,<br />

55


è meglio conosciuta in occidente con il nome giapponese Zen 20 . Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ha<br />

sicuramente una matrice più taoista che buddhista, ma non si può negare l’influsso della<br />

scuola Ch’an sul suo sviluppo. Il buddhismo Ch’an insegna che si può sperare di arrivare<br />

alla “illuminazione” solo attraverso la concentrazione e la m<strong>ed</strong>itazione e non tramite la<br />

conoscenza <strong>ed</strong> il ragionamento. Durante la m<strong>ed</strong>itazione bisogna fare “il vuoto totale” dentro<br />

se stessi, far tacere l’incessante voce della mente, abolire ogni pensiero 21 . È importante<br />

imparare ad essere distaccati dalle cose, dal proprio corpo, dalle <strong>emozioni</strong>. Lo stadio più<br />

difficile è infine il distacco dal proprio io. All’inizio occorre un certo sforzo per divenire<br />

senza sforzo; far uso di precise intenzioni, onde esserne privo. Tramite il distacco si entra in<br />

contatto con una realtà diversa: una nuova visione di se stessi e del mondo. “La mente<br />

diventa come uno specchio: è perfettamente lucida, presente e riflette tutto ciò che vi è<br />

intorno senza che pensieri o preoccupazioni possano interferire” (Chang & Fassi, 2004,<br />

pag. 30).<br />

Nella pratica delle arti marziali si può così arrivare a uno stato di ricettività totale, che<br />

permette di reagire istintivamente, inconsciamente e nella maniera corretta al minimo<br />

stimolo.<br />

Un’altra categoria interessante mutuata dal buddhismo indiano è la figura del bodhisattva.<br />

Egli è colui che ha raggiunto un livello tale di sapere, che è entrato in una dimensione di<br />

diversa compassione: è capace di condividere l’altrui dolore e gioia con una benevolenza<br />

incondizionata. Il bodhisattva però non solo sa, ma decide anche di condividere questa sua<br />

conoscenza. Arrivato sulla soglia del nirvana, cioè alla soglia dell’estinzione di ogni<br />

pensiero <strong>ed</strong> emozione umani, <strong>prima</strong> di “attraversare il fiume”, egli rinuncia alla propria<br />

estinzione per aiutare gli altri a giungervi (Magni, 2004). Questa figura di maestro ci<br />

ma vivendo in esso in modo nuovo: vivendo un senso di non attaccamento, di apertura e di disponibilità<br />

benevola nei confronti degli altri (Magni, 2004).<br />

20 Il nome Zen consiste solo nella traslitterazione della pronuncia giapponese del termine cinese Ch’an.<br />

21 Questo stato viene definito anche “obliare se stessi”.<br />

56


icorda di non travisare il vero senso, spesso ricordato dai grandi maestri, del buddhismo<br />

per il Kung fu: esso è un’arte marziale, ma non è per la guerra 22 .<br />

3.3. La storia del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

Gli storici che si occupano di arti marziali non hanno un compito facile da svolgere: le<br />

origini del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, e in generale del Kung Fu, sono ancora molto discusse e non si<br />

giungerà probabilmente mai a una conclusione soddisfacente (Corcoran & Farkas, 1983):<br />

questo a causa della carenza di documenti scritti (perché la conoscenza era trasmessa molto<br />

gelosamente a pochi individui e perlopiù attraverso una trasmissione orale) e per l’uso di<br />

diversi tipi di trascrizione, adottati per la traslitterazione dagli ideogrammi cinesi (che<br />

hanno prodotto non pochi fraintendimenti). Tutto ciò ha inoltre facilitato la proliferazione<br />

di diverse leggende sulle origini di queste discipline. Una questione abbastanza certa,<br />

comunque, è che l’origine della disciplina più taoista del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e di quella più<br />

buddhista dello Shao Lin Ch’üan siano strettamente correlate.<br />

L’origine dello Shao Lin Ch’üan è datata intorno alla fine del V secolo d.C. sulle pendici<br />

del monte Sung: qui fu costruito un tempio a cui venne dato il nome di Shao Lin Szu, ossia<br />

“tempio della giovane foresta”. Poco alla volta, i monaci iniziarono a praticare le arti<br />

marziali e acquistarono presto fama di invincibilità. Con il passare dei secoli la boxe del<br />

tempio Shao Lin diventò popolare in tutta la Cina e incominciarono a differenziarsi vari<br />

stili, alcuni dei quali molto morbidi e flessibili, che possono essere considerati i progenitori<br />

degli stili interni.<br />

22 A questo proposito, mi sembra doveroso riportare quanto discusso in un colloquio personale con Padre<br />

Davide Magni, studioso di buddhismo e di arti marziali. Egli afferma che il vuoto mentale della m<strong>ed</strong>itazione<br />

nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan (e nel Kung fu in generale) non consiste in una sterilizzazione emotiva, ma nel far tacere<br />

i sensi per poter giungere al proprio mondo interno e profondo: in questo caso, obliare se stessi significa<br />

giungere alla radice del nostro bisogno di prevaricare sull’altro per poterlo gestire in modo consapevole,<br />

pervenendo anche alla compassione per l’altro.<br />

57


Figura 11: Chang San Feng.<br />

Per quanto riguarda le origini del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, ci<br />

sono molteplici versioni: una teoria, probabilmente<br />

più leggendaria che reale, è che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

sia stato creato nel XIII secolo da un monaco taoista<br />

chiamato Chang San Feng (confronta figura 11) e<br />

vissuto nel XIII secolo d.C.<br />

“Narra la leggenda che Chang San Feng, esperto di<br />

arti marziali, un giorno assistette al combattimento<br />

fra una gru <strong>ed</strong> un serpente. Quest’ultimo si sottraeva<br />

ai secchi e rettilinei colpi di becco dell’uccello con<br />

movimenti morbidi, sinuosi, lenti e continui, ma poi<br />

contrattaccava con fulminea rapidità. Il monaco<br />

comprese, allora, che i movimenti circolari e<br />

continui sono preferibili a quelli rettilinei e<br />

interrotti, e che la morbidezza e la flessibilità<br />

prevalgono sulla durezza e sulla forza come già<br />

aveva insegnato il filosofo Lao Tzu. Egli applicò,<br />

quindi, questi principi alle arti marziali creando così<br />

il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan” (Chang & Fassi, 2004, pag. 11).<br />

Una seconda teoria suggerisce che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ebbe origine da una spontanea<br />

integrazione tra quattro scuole di boxe già esistenti; altri attribuiscono la creazione del T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan ad altri personaggi. Le fonti principali, però, concordano nell’affermare che le<br />

prime tracce concretamente riscontrabili su quest’arte marziale si hanno a partire dall’inizio<br />

del XIX secolo, quando veniva insegnato dalla famiglia Ch’en, nella provincia di Honan in<br />

Cina. Alcuni affermano anche che sia questa famiglia ad aver inventato il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

(Corcoran & Farkas, 1983).<br />

Probabilmente, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ha origine come sviluppo delle prime forme organizzate<br />

di esercizio fisico (Huard & Huong, 1973). La ginnastica antica presentava due aspetti, per<br />

nulla opposti, anzi complementari. Il primo aspetto era basato sul riposo e sull’immobilità.<br />

Era il lavoro dell’energia interiore, il Ch’i Kung, cioè una serie di esercizi di respirazione.<br />

L’altro aspetto si concentrava maggiormente sul movimento e derivava dagli esercizi taoisti<br />

58


(Tao Yin): si realizza con una serie di esercizi, i più antichi dei quali sono otto, si chiamano<br />

Pa Tuan <strong>Chi</strong>n e vengono tuttora svolti all’inizio di ogni sessione di Kung Fu.<br />

Le fonti diventano più precise mano a mano che ci accostiamo ai secoli più vicini a noi.<br />

Così sappiamo che nel 1644 iniziò l’ultima dinastia dell’Impero Cinese, quella dei Ch’ing: i<br />

praticanti di Shao Lin Ch’üan (il più importante stile esterno) rimasero f<strong>ed</strong>eli alla deposta<br />

dinastia Ming e lo stesso tempio Shao Lin diventò uno dei focolai della resistenza e venne<br />

quindi incendiato e distrutto più volte. Per non avere problemi con le autorità, i maestri di<br />

stili interni iniziarono a evidenziare la distinzione fra stili interni <strong>ed</strong> esterni, rimarcando la<br />

differenza tra le arti da loro praticate e la Boxe del tempio Shao Lin.<br />

Nei primi decenni del XIX secolo, come abbiamo già anticipato, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan era<br />

insegnato in gran segreto e solo a pochi allievi dai membri della famiglia Ch’en. Coloro che<br />

ebbero il merito di diffondere in Cina il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan furono però i membri della<br />

famiglia Yang. Per far comprendere l’atteggiamento sospettoso e geloso che regnava<br />

nell’insegnamento delle arti marziali, narriamo una storia suggestiva. Poiché i membri della<br />

famiglia Ch’en non accettavano estranei fra gli allievi, Yang Lu Ch’an, il capostipite della<br />

famiglia Yang, ricorse allo stratagemma di farsi assumere come servitore dal maestro Ch’en<br />

e per molto tempo spiò le sue lezioni allenandosi poi segretamente nelle ore notturne. Fu<br />

infine scoperto dal maestro, ma questi, stupito per l’abilità dimostrata dal giovane<br />

domestico, decise di accettarlo come allievo. In breve egli divenne il migliore di tutti e,<br />

trasferitosi a Pechino, aprì una scuola e iniziò a insegnare la sua arte al pubblico; insegnò<br />

anche ai nobili della corte dei Ch’ing e alle guardie imperiali. Questo ebbe naturalmente<br />

una notevole importanza per la diffusione del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

Per un lungo periodo di tempo, però, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan venne insegnato esclusivamente<br />

come una forma salutare di ginnastica, mentre gli aspetti marziali continuavano ad essere<br />

trasmessi solo a pochi allievi selezionati.<br />

Poco alla volta si sono pertanto sviluppati due tipi di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan:<br />

− Un T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan “di strada”, destinato al grande pubblico e finalizzato alla<br />

sola ginnastica salutare; questo tipo di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, che si pratica nelle<br />

strade e nei parchi, ha avuto comunque il merito di diffondere quest’arte anche<br />

fuori dalla Cina.<br />

59


− Un T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan “di scuola”, il cui insegnamento fino a poco tempo fa era<br />

limitato a pochissimi allievi selezionati; questo programma comprende non solo<br />

gli aspetti ginnici e salutari, ma anche quelli marziali, filosofici e m<strong>ed</strong>itativi.<br />

L’insegnamento di questo tipo di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è molto rigoroso e richi<strong>ed</strong>e<br />

una pratica di molti anni sotto la guida di un vero maestro.<br />

La più ampia diffusione del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan in Cina si ebbe ad opera del maestro Yang<br />

Ch’eng Fu, che, però, lo insegnava in pubblico esclusivamente come una forma di salutare<br />

esercizio fisico, riservando l’insegnamento dell’aspetto marziale a pochi allievi. La<br />

diffusione negli USA è avvenuta soprattutto per opera di un allievo di Yang Ch’eng Fu: il<br />

maestro e m<strong>ed</strong>ico Cheng Man Ch’ing. Per quanto riguarda l’Italia, invece, il maestro Chang<br />

è stato uno dei primi a introdurre le arti marziali cinesi.<br />

Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è oggi incluso nel sistema delle arti marziali cinesi, ma da una parte ne<br />

viene enfatizzato solo l’aspetto di ginnastica salutare e dall’altra è stata addirittura<br />

introdotta la pratica sportiva agonistica, anch’essa contraria allo spirito profondo dell’Arte:<br />

il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è infatti un’arte esclusivamente difensiva, il cui scopo non è<br />

assolutamente quello di prevalere sugli altri. Inoltre la competizione tende a sviluppare<br />

l’ego, mentre nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan la cosa più importante è “dimenticare se stessi” (Chang<br />

& Fassi, 2004).<br />

3.4. L’essenza del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

Riporto qui di seguito i principi fondamentali del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, elencati dal maestro<br />

Fassi (Fassi, 2006):<br />

• Il nostro cuore deve essere “puro”, ossia vuoto di rancori e di altre <strong>emozioni</strong><br />

negative, ma colmo d’amore per Dio, per i compagni e per l’arte che pratichiamo;<br />

• La mente deve essere calma, vuota di preoccupazioni e di pensieri estranei,<br />

concentrata e consapevole di tutto ciò che avviene fuori e dentro di noi, cioè delle<br />

sensazioni fisiche, del respiro, delle tecniche eseguite, del continuo alternarsi di Yin<br />

60


e Yang. Il pensiero deve guidare attivamente la circolazione dell’energia interna<br />

(Ch’i);<br />

• La respirazione deve essere diaframmatica, profonda, lenta, regolare, senza<br />

interruzioni. L’inspirazione e l’espirazione devono essere in perfetto accordo con la<br />

tecnica eseguita;<br />

• Il corpo deve essere rilassato (ma non rilasciato) e la postura corretta (schiena dritta,<br />

gomiti e spalle bassi,…). Tutte le parti del corpo devono essere perfettamente<br />

coordinate<br />

• I movimenti sono lenti (veloci solo in alcune applicazioni marziali), continui e<br />

circolari. Essi nascono sempre da una rotazione o da uno spostamento della vita.<br />

Questi principi sono applicati in tutto il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Possiamo ricordare qui alcune<br />

parti fondamentali di quest’arte marziale: innanzitutto, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan consiste nella<br />

cosiddetta “forma” (Lu), costituita da 108 posture in continuo mutamento: questo è<br />

l’esercizio fondamentale, che si esegue molto lentamente, da soli o in gruppo, soprattutto<br />

durante le lezioni; esso mima un combattimento contro un avversario immaginario.<br />

Alcune tecniche della forma di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

Fin dalle prime lezioni, inoltre, ogni allievo è messo a confronto con un altro esercizio,<br />

chiamato T’ui Shou, ossia “spingere con le mani”: queste tecniche si applicano in coppia e<br />

sono finalizzate non ad apprendere come spingere un avversario, ma ad imparare a deviare<br />

una forza che viene esercitata da un avversario contro di noi. L’esercizio del Lu serve<br />

61


quindi per imparare a dirigere la nostra energia, mentre il T’ui Shou serve per imparare a<br />

controllare l’energia di un’altra persona.<br />

Anche la pratica delle armi fa parte dell’arte del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Le armi fondamentali<br />

sono quattro: la sciabola, il bastone lungo, la lancia e la spada 23 .<br />

Anche in questo caso esiste sia un esercizio-forma, contro un avversario immaginario, sia<br />

un esercizio in coppia 24 . Se inizialmente l’allievo deve imparare a controllare l’arma, ad un<br />

secondo livello l’arma diventa un prolungamento del corpo, come se uomo e arma fossero<br />

uniti; ma il livello della vera maestria si ha quando l’arma acquista come una vita propria,<br />

tale da dare l’impressione che sia l’arma stessa a muovere il corpo della persona.<br />

23 È interessante notare che ogni arma e il pugno (che simboleggia tutte le tecniche a mono nuda) è in<br />

relazione con uno dei cinque elementi: il bastone rappresenta il legno, la sciabola il metallo, la lancia il fuoco,<br />

la spada (che è l’arma più nobile) l’acqua e il pugno la terra. Come nella teoria degli elementi di Yin e Yang,<br />

quindi, ogni arma può essere battuta dall’arma successiva secondo una visione di ciclicità, per cui anche<br />

l’ultima arma della lista, quella più nobile (la spada) può essere vinta da un avversario disarmato, perché la<br />

terra vince sull’acqua: la mano nuda, che normalmente viene battuta da un semplice bastone può dunque<br />

arrivare a prevalere sulla spada.<br />

Alcune tecniche con le armi: sciabola e bastone.<br />

24 Caratteristica specifica degli esercizi in coppia con le armi del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è che le due armi non si<br />

urtano mai, ma si sfiorano soltanto. Ogni attacco infatti deve essere neutralizzato con un’opportuna schivata<br />

del corpo e non deve essere parato opponendo forza a forza.<br />

62


Oltre a questi, esistono molti altri esercizi nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan; ho scelto di descrivere<br />

questi perché alcuni intervistati hanno fatto riferimento ad essi per spiegare il loro rapporto<br />

con il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

3.5. La forza interna<br />

“La forza del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan viene dall’interno <strong>ed</strong> è basata sulla morbidezza e sul<br />

rilassamento. Quanto più sarete morbidi, tanto più rapidamente acquisterete la forza<br />

interna. Quando siete rilassati le vostre braccia diventano pesanti, altrimenti esse tendono,<br />

per così dire, a galleggiare” (Chang & Fassi, 2004).<br />

Ciò che si impara praticando T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è che nella morbidezza dei movimenti esiste<br />

una qualità di forza diversa da quella muscolare, che noi occidentali siamo abituati a<br />

pensare come unica forza esistente. Questo nuovo tipo di forza, che potremmo definire<br />

psicofisica, è chiamata Nei <strong>Chi</strong>n in lingua cinese (tradotto “forza interna”) e si ottiene<br />

essenzialmente come effetto della canalizzazione e della concentrazione dell’energia<br />

interna. Non bisogna però considerare Nei <strong>Chi</strong>n come una forma di forza avente<br />

caratteristiche misteriose o addirittura quasi magiche; essa ha invece una concreta realtà<br />

fisica, o meglio psicofisica. Tutte le parti del corpo umano (muscoli, ma soprattutto<br />

tendini,…) giocano infatti la loro parte nello sviluppo di Nei <strong>Chi</strong>n, ma devono avere il<br />

supporto della mente, necessario per il rilassamento del corpo (per eliminare i blocchi a<br />

livello di muscoli e articolazioni) e per la concentrazione (focalizzazione dell’attenzione).<br />

Nei <strong>Chi</strong>n è una forza di natura morbida, viva <strong>ed</strong> elastica. Tradizionalmente quest’idea viene<br />

espressa dicendo che essa è una forza “rotonda”, riferendosi sia alla sua qualità di<br />

movimento morbido, sia al fatto che sfrutta il movimento circolare e quindi la forza<br />

centrifuga. Con Nei <strong>Chi</strong>n, per esempio, si può neutralizzare un attacco rettilineo con una<br />

rotazione del proprio corpo, sfruttando la forza del nostro avversario e spingendolo via<br />

lungo una linea tangente alla curva del nostro movimento; ma, come dimostra anche questo<br />

esempio, pur essendo morbida, Nei <strong>Chi</strong>n è infinitamente superiore alla dura forza ottenuta<br />

dalla contrazione muscolare. “Il trattato attribuito a Wu Yü Hsiang è molto chiaro in<br />

63


proposito: Nei <strong>Chi</strong>n è come acciaio temprato cento volte, capace di distruggere ogni<br />

durezza” (Chang & Fassi, 2004, pag. 95).<br />

3.6. Le tre forme di energia interiore<br />

Scopo del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è quindi imparare a utilizzare e a sviluppare Nei <strong>Chi</strong>n, la forza<br />

interna. Per acquisire Nei <strong>Chi</strong>n, bisogna prec<strong>ed</strong>entemente imparare a controllare un tipo di<br />

energia denominata anch’essa interna, cioè un’energia diversa da quella muscolare.<br />

Figura 12: La piccola<br />

circolazione del Ch’i: durante la<br />

respirazione, il Ch’i deve<br />

circolare nel corpo attraverso un<br />

percorso che inizia e termina nel<br />

naso, passando dal Tan T’ien.<br />

Secondo il pensiero taoista, l’uomo è per così dire<br />

impregnato di tre energie interiori, differenziate per le<br />

funzioni da loro svolte e per il loro grado di raffinazione: la<br />

<strong>prima</strong> si chiama <strong>Chi</strong>ng, è la meno raffinata. Qui ci basta<br />

sapere che è “l’essenza”, la sostanza originale di cui una<br />

cosa è fatta e che ne conserva la vera natura fino al suo<br />

declino. La seconda è Ch’i e la terza è Shen.<br />

Le ultime due forme di energia interna sono più importanti<br />

per i miei scopi di ricerca, quindi le tratterò in modo più<br />

dettagliato.<br />

La seconda energia è chiamata Ch’i, parola che si può<br />

tradurre in molti modi, tra i quali i più significativi mi<br />

sembrano: energia interna, energia vitale, energia<br />

respiratoria. Respirando, gli esseri viventi si caricano di<br />

energia vitale e grazie a quest’ultima possono muoversi e<br />

vivere. Durante l’atto respiratorio, l’aria c<strong>ed</strong>e<br />

all’organismo non solo l’ossigeno, ma anche il Ch’i.<br />

Quest’ultimo percorre nell’organismo determinati canali<br />

energetici (i cosiddetti “meridiani” dell’agopuntura), che<br />

vengono stimolati e quindi riattivati durante il movimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, attraverso<br />

la pressione su specifici punti vitali: per meglio comprenderlo, possiamo descrivere il Ch’i<br />

64


come un fluido psicofisico. Il Ch’i può venire attivato, diretto e fatto fluire nel corpo dalla<br />

mente, con risultati straordinari riguardanti innanzitutto il benessere psicofisico e,<br />

conseguentemente, la capacità di sviluppare forza interna (Chang & Fassi, 2004). Per<br />

praticare correttamente il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è importante che l’aria, inspirata attraverso il<br />

naso, raggiunga il centro del nostro ventre; in altre parole, dobbiamo adottare una<br />

respirazione di tipo diaframmatico (addominale) e non una respirazione toracica. Questo<br />

concetto è espresso nel Trattato Classico di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, di Wang Tsung Yüeh, come<br />

“far scendere il Ch’i nel Tan T’ien” (Chang & Fassi, 2004, pag. 56), cioè nel punto<br />

energetico che rappresenta il baricentro del nostro corpo (confronta figura 12). Per far<br />

scendere il Ch’i nel Tan T’ien la mente gioca un ruolo importante: bisogna avere un’intensa<br />

consapevolezza dell’accumulo del Ch’i nel nostro baricentro. In tal modo la mente diventa<br />

calma e concentrata <strong>ed</strong> è allora possibile raggiungere una perfetta coordinazione fisica e<br />

mentale.<br />

Nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è pertanto di fondamentale importanza imparare a “sentire” il Tan<br />

T’ien, che possiamo considerare il nostro centro psicofisico. Peraltro, il controllo del<br />

respiro è basilare anche nella vita quotidiana: alle <strong>emozioni</strong> negative, alle tensioni fisiche e<br />

psichiche si può infatti reagire controllando la respirazione, rendendola profonda<br />

(addominale) e regolare.<br />

Bisogna ricordare anche che per praticare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è essenziale uno stato di<br />

rilassamento dell’intero corpo, in assenza del quale il Ch’i fluisce nei meridiani con<br />

difficoltà, come l’acqua scorre a fatica in un canale ostruito. Per rilassare il corpo è<br />

necessario allentare le tensioni dei muscoli, dei tendini e dei legamenti: per questo motivo<br />

bisogna bandire la forza ottenuta dalla contrazione muscolare. L’allentamento delle tensioni<br />

deve essere intenzionale, quindi si deve imparare ad avere consapevolezza delle parti del<br />

corpo contratte. Un presupposto importante è quindi quello di avere una mente calma; ma<br />

uno stato di rilassamento psicofisico è ottenibile anche attraverso la regolazione della<br />

respirazione.<br />

Le <strong>emozioni</strong> positive (serenità, gioia, entusiasmo,…) sono collegate al rilassamento e<br />

quindi alla respirazione addominale, mentre quelle negative (rabbia, dolore, paura,…)<br />

provocano delle tensioni fisiche; in questi casi, è facile che si usi la respirazione toracica: il<br />

65


espiro allora diventa corto e affannoso (per esempio, quando singhiozziamo per il dolore o<br />

trasaliamo per la paura).<br />

Nella bibliografia sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan si legge spesso della necessità di controllare le<br />

<strong>emozioni</strong> (Yu, 2005) e degli effetti che la pratica di quest’arte marziale ha sullo sviluppo di<br />

questa capacità (Cicerone, 2006): con l’espressione “controllo” si intende l’esigenza di<br />

regolare la respirazione per mantenere uno stato rilassato, che permette la libera<br />

circolazione dell’energia interna.<br />

Secondo la m<strong>ed</strong>icina tradizionale cinese il Ch’i, circolando nel corpo, svolge varie funzioni:<br />

è la fonte di ogni movimento; è la causa delle trasformazioni che avvengono dentro di noi;<br />

mantiene funzionali gli organi interni, proteggendoli dalle cosiddette “influenze perniciose<br />

esterne”.<br />

C’è uno stretto rapporto tra Ch’i e pensiero: quest’ultimo può guidare il Ch’i in tutto il<br />

corpo, attraverso una forma di attenzione focalizzata, che deve anticipare il flusso<br />

dell’energia per dirigerla nella direzione giusta. Bisogna quindi sviluppare consapevolezza<br />

del Ch’i e di ogni parte del nostro corpo: questo obiettivo può essere raggiunto grazie alla<br />

m<strong>ed</strong>itazione s<strong>ed</strong>uta o in movimento. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è appunto una forma di<br />

m<strong>ed</strong>itazione dinamica, che facilita la concentrazione perché obbliga a concentrarsi sul<br />

movimento, dimenticando in maniera naturale ogni possibile distrazione.<br />

È importantissimo raggiungere la consapevolezza fisica del flusso del Ch’i, perché solo<br />

così esso può essere sviluppato e controllato. Bisogna imparare a visualizzare l’interno del<br />

nostro corpo e letteralmente spingere con il pensiero la corrente del Ch’i nella direzione<br />

voluta.<br />

Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è eseguito molto lentamente proprio per permettere alla mente di<br />

affrontare questo grande impegno di concentrazione; dopo parecchi anni di studio alcuni<br />

praticanti raggiungono uno stato in cui il Ch’i va autonomamente nella direzione giusta,<br />

rendendo possibile “svuotare” la mente e raggiungere un vero e proprio stato m<strong>ed</strong>itativo.<br />

La terza energia interna è chiamata Shen, traducibile come “energia mentale”: è la forma<br />

più raffinata di energia interna e solo l’essere umano può poss<strong>ed</strong>erla. Shen è l’energia che<br />

66


ende possibile la concentrazione (attenzione focalizzata) e la consapevolezza del corpo in<br />

ogni sua parte. Il suo forte legame con le funzioni mentali è testimoniato anche dalla<br />

localizzazione della fonte di Shen in un punto al centro della fronte tra i due sopraccigli;<br />

una volta attivata e concentrata in questo punto, l’energia non rimane però ferma ma circola<br />

in tutto il corpo.<br />

“Due flussi di energia si muovono dunque in due direzioni opposte e la mente deve essere<br />

focalizzata sia nel baricentro del corpo sia alla sommità del capo. Con ciò si ottiene non<br />

solo il perfetto bilanciamento psicofisico dell’individuo, ma anche la possibilità di ottenere<br />

la vera forza” (Chang & Fassi, 2004, pag. 90).<br />

L’unione tra Ch’i e Shen rende possibile la concentrazione applicata al movimento del<br />

corpo, l’intima unione di energia mentale e moto, che rende fluidi, maestosi e vitali i<br />

movimenti. Qui è da rintracciare l’integrazione, il vero e proprio legame tra mente e corpo.<br />

Grazie a Shen la mente perviene a quello stato di concentrazione perfetta che è la<br />

condizione necessaria per raggiungere, in seguito, uno stato di “supercoscienza” in cui si<br />

arriva a perdere consapevolezza del proprio io, pur rimanendo presenti. Questo è lo stato in<br />

cui l’Uomo e il Tao (la “Via”) sono fusi insieme (Chang & Fassi, 2004).<br />

3.7. Collegamento tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e Psicologia: <strong>emozioni</strong> <strong>ed</strong> <strong>identità</strong><br />

Finora, ho descritto il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan nella sua anima di arte marziale e come forma di<br />

m<strong>ed</strong>itazione dinamica; c’è però una terza caratteristica intrinseca al T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: il suo<br />

essere anche una forma di ginnastica psicofisica. Da questo punto di vista, esso svolge<br />

funzioni preventive (conservazione della salute) e terapeutiche (cura di varie affezioni), sia<br />

di tipo fisico, sia psicosomatico. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan viene utilizzato a scopi terapeutici in<br />

vari Paesi orientali e occidentali, ritenendo che possa essere quantomeno un valido<br />

supporto di altre metodologie terapeutiche (Chang & Fassi, 2004).<br />

67


Uno degli scopi del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è infatti quello di potenziare l’energia interna.<br />

Abbiamo visto nei paragrafi prec<strong>ed</strong>enti che, per sviluppare l’energia interna, il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan utilizza alcune competenze e quindi ne favorisce lo sviluppo. In particolare:<br />

− Favorisce il rilassamento psicofisico, anche grazie all’insegnamento di tecniche di<br />

respirazione e grazie ai movimenti lenti eseguiti in piena decontrazione muscolare;<br />

− Sostiene lo sviluppo della consapevolezza del corpo in ogni sua parte. In questo ha<br />

un ruolo anche la respirazione addominale, che agisce come un massaggio a<br />

beneficio degli organi interni, rendendo possibile “sentirli”;<br />

− Favorisce lo sviluppo delle capacità di attenzione focalizzata, che, da una parte<br />

consente di “sgombrare” la mente dai pensieri confusi e disorganizzati, e dall’altra<br />

parte consente di migliorare le tecniche, rendendosi conto delle posture scorrette,<br />

spesso connesse a contratture e blocchi, consentendo quindi di eliminare le tensioni<br />

psicofisiche. Per potenziare le capacità di concentrazione, vengono incentivate<br />

anche tecniche di visualizzazione.<br />

Inoltre, attraverso la pratica si può arrivare a comprendere meglio il proprio modo di essere,<br />

fino a una consapevolezza vera di sé e della propria unità psicofisica; il graduale<br />

superamento di ostacoli e “limiti” conduce a maggior fiducia nelle proprie capacità e a<br />

maggior coraggio nell’affrontare se stessi e il mondo.<br />

Il percepirsi come unità psicofisica e la consapevolezza del proprio corpo fin negli organi<br />

interni, sono argomenti di grande interesse per i costrutti psicologici di <strong>identità</strong> e di<br />

<strong>emozioni</strong>. Le <strong>emozioni</strong> (confronta capitolo 2), infatti, svolgono un ruolo cruciale<br />

nell’integrazione tra mente e corpo, e la consapevolezza del proprio corpo (per esempio dei<br />

propri marker somatici) è una competenza importante dell’autoconsapevolezza emotiva.<br />

Inoltre, la flessibilità dei comportamenti emozionali, necessaria per il benessere<br />

psicologico, passa necessariamente attraverso la strettoia dei processi della memoria di<br />

lavoro, che coinvolgono la coscienza e l’attenzione (Siegel, 2001): come abbiamo visto, la<br />

pratica costante del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan può sviluppare le potenzialità individuali in questi<br />

ambiti.<br />

68


La conoscenza di sé mi sembra un altro punto di collegamento interessante tra il costrutto<br />

psicologico di <strong>identità</strong> e il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Il maestro Li I Yü afferma a questo proposito:<br />

“praticando con costanza l’esercizio fondamentale di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan – la cosiddetta<br />

“forma”, che si esegue individualmente e rappresenta un combattimento con un avversario<br />

immaginario – è possibile conoscere se stessi, invece gli esercizi di combattimento a due<br />

permettono di conoscere gli altri” (Chang & Fassi, 2004, pag. 159).<br />

Nell’arte marziale del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, conoscere se stessi significa essere consapevoli<br />

della propria energia; conoscere l’avversario vuol dire invece comprendere l’energia di chi<br />

ci attacca (ricordando che per “energia” si intende un concetto diverso dall’energia fisica).<br />

Per conoscere l’altro (la sua energia), il praticante deve “dimenticare se stesso”, nel senso<br />

di avere la mente libera da qualsiasi intenzione per aderire all’avversario, seguendone i<br />

movimenti e le intenzioni con il proprio corpo e mente. Il principio del “dimenticare se<br />

stessi” è quindi inteso come una forma di m<strong>ed</strong>itazione che connette l’Uomo con l’Altro- da-<br />

sé e permette la vera comprensione delle cose, migliorando, paradossalmente, anche la<br />

comprensione di sé.<br />

La conoscenza di sé è un punto importante anche del costrutto psicologico di <strong>identità</strong> (si<br />

v<strong>ed</strong>a per esempio, nel capitolo 1, la definizione di <strong>identità</strong> fornita da Erikson).<br />

Nell’affrontare questa ricerca, mi è sembrato interessante osservare come il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan possa influire sullo sviluppo dell’<strong>identità</strong>, per esempio fornendo agli individui che<br />

lo praticano con d<strong>ed</strong>izione e continuità un nuovo modo per conoscere se stessi e forse un<br />

nuovo modo per entrare in relazione con gli altri.<br />

Interiormente, mi risuona un richiamo reciproco tra la necessità di porsi in una posizione<br />

“trascendentalizzata” (la teoria di Bartholini, citata nel capitolo 1) tra l’<strong>identità</strong> propria e<br />

altrui, in modo da creare un dialogo e non rifugiarsi nell’isolamento e, dall’altra parte,<br />

l’invito dei maestri di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan a dimenticare se stessi per aderire e comprendere<br />

l’avversario (l’altro): svuotare la mente per avere una comprensione più lucida di tutta la<br />

realtà, interna <strong>ed</strong> esterna al soggetto.<br />

Riassumendo, il collegamento tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e costrutti psicologici chiama in causa<br />

alcune parole chiave. Queste sono: consapevolezza del corpo, attenzione focalizzata,<br />

69


visualizzazione, rilassamento, controllo delle <strong>emozioni</strong>, integrazione psicofisica,<br />

consapevolezza dei propri limiti e delle proprie potenzialità, m<strong>ed</strong>itazione.<br />

Ci sono, a mio avviso, altre parole che collegano T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e Psicologia, ma queste<br />

non sono altrettanto indagate in rapporto a quest’arte marziale. La mia intenzione è di<br />

cogliere l’occasione della mia ricerca sperimentale per approfondire anche questi aspetti:<br />

apprendimento <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong> a esso connesse, relazioni con il gruppo e con il maestro,<br />

consapevolezza delle proprie <strong>emozioni</strong>.<br />

70


CAPITOLO 4 - LA RICERCA<br />

4.1. Questioni aperte e finalità della ricerca<br />

Prima di iniziare la parte sperimentale, mi sembra utile definire alcuni punti di conclusione<br />

della parte teorica e alcune questioni aperte dalla stessa, giacché saranno anche i punti di<br />

partenza per il proseguimento del lavoro.<br />

Innanzitutto, proviamo a chi<strong>ed</strong>erci: che cosa unisce <strong>identità</strong> <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong>?<br />

I fili dell’<strong>identità</strong> e delle <strong>emozioni</strong> si intrecciano in vari punti del loro percorso e<br />

analizzando il materiale bibliografico possiamo ipotizzare alcuni nodi possibili. Questi<br />

sono:<br />

− Il tema dell’autoconsapevolezza;<br />

− Identità come mindful body <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong> come energia che connette mente e corpo;<br />

− Relazioni sociali significative come opportunità per sviluppare un incontro<br />

emozionale e, attraverso questo, per espandere l’autoconsapevolezza e<br />

l’integrazione di sé.<br />

L’intenzione sottostante alla presente ricerca è di esplorare in modo più dettagliato il<br />

rapporto tra <strong>identità</strong> <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong>, generando, alla fine, delle ipotesi sui punti di intersezione<br />

tra questi due aspetti della mente umana.<br />

Questa ricerca dei “territori comuni”, in cui <strong>emozioni</strong> e <strong>identità</strong> si intrecciano, non è però<br />

indagata in astratto, ma nel contesto della pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

Una parte consistente della ricerca, quindi, riguarderà l’analisi di quali effetti il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan possa avere in relazione alle diverse componenti che abbiamo visto, nella parte<br />

teorica, essere costitutive di <strong>identità</strong> <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong>. Un interrogativo sarà quindi: come<br />

interviene la pratica di quest’arte marziale su <strong>identità</strong> <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong>?<br />

71


Più nello specifico, le questioni aperte riguardano i possibili effetti della pratica di T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan soprattutto sull’autoconsapevolezza, sulla realizzazione di un “mindful body” e<br />

sulla gestione delle <strong>emozioni</strong> (soprattutto in termini di flessibilità del comportamento<br />

affettivo).<br />

Oltre ad elencare gli effetti del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, però, il mio interesse è rivolto anche a<br />

cercare di capire quali possano essere i fattori che rendono possibili questi effetti,<br />

considerando, oltre ad alcuni fattori intrinseci alla specifica arte marziale, anche e<br />

soprattutto i fattori sociali, cioè le relazioni che i vari soggetti intrecciano in palestra.<br />

Verranno quindi indagate le caratteristiche dell’identificazione, le caratteristiche dei gruppi<br />

di praticanti, le variabili cognitive, affettive e sociali della relazione maestro-allievo.<br />

Volendo sintetizzare tutti questi interrogativi, possiamo dire che essi intendono sottoporre a<br />

verifica, nel settore dell’arte marziale del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, la forte affermazione di Dyck e<br />

Archetti (2003) secondo cui “ciò che l’azione sportiva produce è il sé”.<br />

4.2. Gli interrogativi di ricerca in dettaglio<br />

Analizzando la <strong>prima</strong> parte teorica, emergono molte questioni aperte, che riporto qui di<br />

seguito in modo dettagliato, perché rappresentano gli interrogativi concreti per i quali<br />

cercherò di trovare una risposta in questa seconda parte del lavoro: essi sono da una parte<br />

gli scopi conoscitivi della ricerca, dall’altra sono le fondamenta da cui ho iniziato a<br />

costruire gli strumenti e saranno in seguito le domande che utilizzerò per l’analisi delle<br />

risposte.<br />

Inserisco fin da ora, per comodità, la distinzione tra questioni riguardanti gli allievi, il<br />

maestro, o entrambe le figure. Questa scelta è finalizzata a facilitare la seguente creazione<br />

di due razionali diversi per le interviste ai maestri e agli allievi. Inoltre, di fianco a ogni<br />

interrogativo ho indicato l’area tematica del razionale alla quale si riferisce.<br />

Il razionale, che rappresenta lo schema delle aree di indagine, è descritto dopo gli<br />

interrogativi, perché deriva dalla sintesi e schematizzazione degli stessi.<br />

72


Gli aspetti relativi solo agli allievi sono:<br />

− Come è vissuta l’<strong>identità</strong> di “praticante di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan” dagli allievi di vari<br />

gradi? È vissuto come un sé integrato o come adozione di una maschera<br />

provvisoria? Si riferisce all’area A1)1<br />

− Che tipo di investimento affettivo comportano le relazioni instaurate all’interno<br />

dell’associazione sportiva? Come si riflette questa appartenenza sull’<strong>identità</strong> dello<br />

sportivo? A2)1 A1)1<br />

− Quanto gli allievi considerano emozionalmente significativa la relazione con il<br />

maestro di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan? A2)1<br />

− Come viene vissuta l’identificazione con il gruppo di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan? A2)1<br />

Gli aspetti relativi solo al maestro sono:<br />

− Quanto il maestro si sente emozionalmente significativo per gli allievi? B2)1<br />

− Ci sono differenze tra la concezione occidentale e cinese di <strong>identità</strong> e identificazione<br />

nella società attuale? B5<br />

Alcuni aspetti sono relativi a entrambe le figure:<br />

− Quali sono gli aspetti dell’<strong>identità</strong> coinvolti nell’essere un “praticante di T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan”? Particolare attenzione sarà rivolta ai seguenti aspetti: la percezione e il<br />

sentimento del proprio corpo, le proprie produzioni (l’organizzazione quotidiana del<br />

proprio tempo, i propri interessi,…), il sentimento di riuscire il meglio possibile in<br />

un dominio di eccellenza, il rapporto con la propria storia personale e culturale, il<br />

confronto con altre tradizioni e simboli culturali (orientali), il gioco di equilibrio tra<br />

il bisogno di appartenenza al gruppo/associazione e il bisogno di distinzione e<br />

personalizzazione, la creazione di un progetto formativo, la scoperta e il<br />

disvelamento cosciente di sé agli altri. A1)1 B1)2<br />

− Praticare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è vissuto come una modalità che facilita l’integrazione di<br />

molteplici sé? Dal punto di vista autoriflessivo o affettivo? A1)2.1 B1)3.1<br />

73


− Le <strong>emozioni</strong> e/o sensazioni provate nel praticare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan riflettono un<br />

sentimento di connessione (tipico dei fenomeni di risonanza intraindividuale e/o<br />

interindividuale, che consentono l’integrazione)? A2)1 A2)2 B2)1 B2)2<br />

− Esistono caratteristiche peculiari della partecipazione a un’associazione sportiva,<br />

che favoriscono un investimento affettivo dell’individuo sul gruppo? A2)1 B2)1<br />

− Come viene vissuto il rapporto con la cultura cinese? A1)1 B1)2<br />

− Le relazioni con il maestro e con i compagni di pratica presentano alcune delle<br />

caratteristiche degli scambi emozionali che permettono un’espansione diadica della<br />

consapevolezza? A2)1 B2)1<br />

− La pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sviluppa l’autoconsapevolezza emotiva? A2)3.2<br />

B2)3.2<br />

− La pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sviluppa la flessibilità del comportamento<br />

emozionale?A2)3.1 A2)3.3 B2)3.1 B2)3.3<br />

− La pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sviluppa l’autoconsapevolezza del corpo? A1)2.2<br />

A1)2.3 A2)3.2 B1)3.2 B1)3.3 B2)3.2<br />

− L’ipotizzato incremento di consapevolezza delle sensazioni propriocettive si riflette<br />

anche su componenti diverse dell’<strong>identità</strong>? A1)2 B1)3<br />

− Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ha effetti di integrazione tra mente e corpo? A1)2.2 B1)3.2<br />

− Il movimento del corpo nella pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan si riflette sulle <strong>emozioni</strong>?<br />

A2)4 B2)4<br />

− Il movimento del corpo nella pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan incrementa la<br />

consapevolezza di sé? A2)4 B2)4 A1)2.3 B1)3.3<br />

− La pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan influisce su alcuni aspetti della valutazione di uno<br />

stimolo emotigeno? In particolare influisce sulla capacità di percepire e/o di<br />

modificare alcuni marker somatici? A2)3.1 B2)3.1 A2)3.2 B2)3.2 A1)2.3 B1)3.3<br />

− Il costrutto di autocontrollo è equivalente a quello di autoregolazione emotiva?<br />

A2)3.1 B2)3.1<br />

− In che modo la pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan influisce sulla regolazione emotiva?<br />

A2)3.3 B2)3.3<br />

74


Agli interrogativi prec<strong>ed</strong>enti, derivanti direttamente dall’esame bibliografico riportato nella<br />

parte teorica, possono essere aggiunti altri interrogativi coinvolti nei costrutti di <strong>identità</strong> <strong>ed</strong><br />

<strong>emozioni</strong>: tra di essi, quelli applicabili solo al maestro sono:<br />

− La formazione degli istruttori relativamente agli aspetti della relazione. B3<br />

− Come è concepito il gruppo dal maestro? B4<br />

− Quale concezione di apprendimento/insegnamento è sostenuta dal maestro?<br />

(esempio: apprendimento dal gruppo, dall’autoriflessione, dall’autorità,…<br />

apprendimento “tecnico” o “totalizzante”, che coinvolge l’allievo nella sua intera<br />

persona,…) (Esempio di domanda: secondo lei, quali sono le cose essenziali che un<br />

allievo deve fare per apprendere il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan?) B3<br />

Gli altri interrogativi coinvolti, applicabili sia al maestro sia agli allievi, sono:<br />

− Concezioni dell’apprendimento e dell’insegnamento per maestro e allievi. A3 B3<br />

− Come viene gestita l’emozione nel gruppo? A2)3.3 B2)3.3<br />

− Come vengono gestite le <strong>emozioni</strong> provate dal singolo? A2)3.3 B2)3.3<br />

− Metafore per descrivere i rapporti (allievo-maestro, con il gruppo, ruolo,…). A2)1<br />

A2)3.3 A3 B2)1 B2)3.3 B3<br />

4.3. Gli obiettivi conoscitivi: il razionale<br />

I prec<strong>ed</strong>enti interrogativi possono essere schematizzati in alcune aree, per comprendere<br />

meglio gli scopi della successiva ricerca. Di seguito specifico le aree, già distinte tra:<br />

indagine con i maestri e indagine con gli allievi.<br />

A) Aree d’indagine riguardanti gli allievi:<br />

1) Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e l’<strong>identità</strong>:<br />

1. L’<strong>identità</strong> “praticante di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan”<br />

75


1. Quali aspetti coinvolti?<br />

2. Integrazione con gli altri sé<br />

3. Rapporto con la cultura cinese<br />

2. Effetti del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sull’<strong>identità</strong> dei praticanti<br />

1. Sull’integrazione tra diversi sé<br />

2. Sull’integrazione tra mente e corpo<br />

3. Sull’autoconsapevolezza<br />

2) Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e le <strong>emozioni</strong>:<br />

1. Investimento affettivo<br />

1. Sulle relazioni in palestra<br />

2. Sull’apprendimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

2. Emozioni provate nella pratica<br />

3. Effetti del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sulla capacità di gestire le <strong>emozioni</strong><br />

1. Regolazione emotiva<br />

2. Autoconsapevolezza emotiva (saper percepire i marker)<br />

3. Modalità di regolazione delle <strong>emozioni</strong><br />

a. Del soggetto<br />

b. Nel gruppo<br />

4. Effetti del movimento sulle <strong>emozioni</strong><br />

3) Concezioni dell’apprendimento e dell’insegnamento.<br />

B) Aree d’indagine riguardanti i maestri:<br />

1) Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e l’<strong>identità</strong>:<br />

1. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e l’<strong>identità</strong> del maestro<br />

1. Aspetti dell’<strong>identità</strong> professionale<br />

2. Rapporto con la cultura cinese<br />

2. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e l’<strong>identità</strong> degli allievi: quali aspetti coinvolti?<br />

3. Effetti del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sull’<strong>identità</strong>:<br />

1. Sull’integrazione tra diversi sé<br />

2. Sull’integrazione tra mente e corpo<br />

3. Sull’autoconsapevolezza<br />

76


2) Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e le <strong>emozioni</strong>:<br />

1. Investimento affettivo<br />

1. Investimento affettivo sugli allievi<br />

2. Rappresentazioni dell’investimento affettivo degli allievi<br />

2. Emozioni provate nella pratica<br />

3. Effetti del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sulla capacità di gestire le <strong>emozioni</strong><br />

1. Regolazione emotiva<br />

2. Autoconsapevolezza emotiva (saper percepire i marker)<br />

3. Modalità di regolazione delle <strong>emozioni</strong><br />

a. Del soggetto<br />

b. Nel gruppo<br />

4. Effetti del movimento sulle <strong>emozioni</strong><br />

3) Concezione dell’apprendimento/insegnamento<br />

4) Concezione del gruppo<br />

5) Diversità di concezioni nella cultura occidentale e cinese<br />

4.4. La metodologia<br />

Scelte metodologiche<br />

Le finalità conoscitive sottostanti alla presente ricerca sono, come detto in prec<strong>ed</strong>enza,<br />

innanzitutto la descrizione delle variabili <strong>identità</strong> <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong>, inserite nel contesto dell’arte<br />

marziale del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan; in secondo luogo, il fine è formulare delle ipotesi sui rapporti<br />

reciproci tra queste variabili.<br />

L’ottica della ricerca si qualifica come qualitativa, per l’attenzione diretta alle parole e ai<br />

significati intesi dai soggetti della ricerca: lo scopo è infatti quello di indagare <strong>identità</strong> <strong>ed</strong><br />

<strong>emozioni</strong> dal punto di vista dei soggetti, cogliendo il più possibile la ricchezza dei loro<br />

significati, senza forzarli in etichette prestabilite e rilevando tali significati nel loro contesto<br />

naturale.<br />

77


Un oggetto di studio può infatti essere indagato dall’esterno, attribuendo un maggior peso<br />

al significato dato dal ricercatore, o può essere compreso da un punto di vista interno ai<br />

soggetti, evidenziando i significati delle persone che hanno un’esperienza diretta di tale<br />

oggetto. Nello studio dello sport è stato spesso utilizzato il primo approccio, ma, poiché lo<br />

sport e le altre attività corporee sono processi dai quali possiamo trarre significati, si ritiene<br />

ora più produttivo un approccio in grado di cogliere quali siano questi significati locali<br />

(Dyck & Archetti, 2003) e l’approccio emico risulta quindi più valido. Anziché le<br />

descrizioni dall’esterno dei vari aspetti concernenti uno sport, si privilegiano quindi le<br />

narrazioni, che amplificano le voci individuali dei praticanti (Dyck & Archetti, 2003).<br />

Un ulteriore motivo per privilegiare le narrazioni fornite dai soggetti è legato alla natura<br />

dell’oggetto della ricerca: <strong>identità</strong> <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong>. Le narrazioni, infatti, sono in stretta<br />

connessione con l’<strong>identità</strong>: possiamo considerare la narrazione sia come una forma di<br />

espressione dell’<strong>identità</strong>, sia come un’opportunità di dare una forma più integrata ai propri<br />

ricordi, compiendo un vero e proprio atto autobiografico di interpretazione e sviluppando<br />

l’<strong>identità</strong> stessa.<br />

In questa ricerca, inoltre, vengono intervistati maestri e allievi riguardo al loro rapporto<br />

formativo di apprendimento/insegnamento. Il raccontare e il raccontarsi diventa quindi<br />

anche un materiale di per sé potenzialmente formativo, che permette una maggiore<br />

integrazione tra idee e parole fino allora rimaste inespresse nella mente degli intervistati, i<br />

quali hanno così la possibilità di sperimentare l’aprirsi di spazi di novità e di recuperare<br />

elementi importanti per il proprio sé personale (e professionale, almeno per i maestri).<br />

Per questo, la mia scelta metodologica è stata quella di adottare uno strumento di<br />

rilevazione che riuscisse a dare importanza alle narrazioni offerte dai soggetti di questa<br />

ricerca. L’intervista e l’analisi di contenuto carta-matita dei testi narrativi prodotti mi<br />

sembrano lo strumento e la modalità di analisi più adatti a comprendere il senso soggettivo<br />

degli intervistati e a cogliere in modo più vero e profondo le variabili connesse alla loro<br />

<strong>identità</strong> <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong>.<br />

All’interno delle interviste ho utilizzato uno strumento semi-proiettivo: in una domanda<br />

finale, chi<strong>ed</strong>o all’intervistato di osservare e scegliere tra varie fotografie, quelle che<br />

rappresentano meglio il modo in cui lui/lei vive il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. L’inserimento di questa<br />

78


domanda permette all’individuo intervistato di esprimere le sue rappresentazioni e le sue<br />

<strong>emozioni</strong> utilizzando una comunicazione di tipo figurativo, affiancata a quella verbale,<br />

permettendogli anche di sentirsi maggiormente a suo agio e di allentare la tensione<br />

accumulata durante l’intervista.<br />

Un’ulteriore precisazione relativa allo strumento di intervista: ho scelto di formulare una<br />

domanda in cui chi<strong>ed</strong>o all’intervistato di osservare alcuni cartoncini riportanti alcuni temi<br />

da approfondire nel colloquio e di parlarmene molto liberamente, eventualmente<br />

selezionandoli, disponendoli in una sequenza, … La scelta di questa metodologia è<br />

motivata dall’intenzione di:<br />

− seguire il discorso spontaneo del soggetto;<br />

− mettere il soggetto maggiormente a proprio agio;<br />

− rendere più interattivo lo strumento;<br />

− ottenere informazioni più ricche: l’intervistato può tornare più liberamente su temi<br />

già trattati in risposte prec<strong>ed</strong>enti, perché non risponde a domande in sequenza;<br />

− lasciare il soggetto più libero di creare un discorso generale: le aree indagate sono<br />

infatti strettamente connesse tra loro, quindi per l’intervistato potrebbe essere<br />

difficile isolarle per dare una risposta su un’area specifica;<br />

− consentire al soggetto di selezionare solo alcune aree, evitando di rispondere a<br />

domande che potrebbe avvertire come eccessivamente invasive.<br />

Gli strumenti: le interviste<br />

Prima di illustrare gli strumenti utilizzati nella ricerca, va tenuto presente che le interviste<br />

sono strumenti approntati da un ricercatore per facilitargli la conoscenza di una realtà. Non<br />

dovrebbero essere strumenti di schematizzazione della conoscenza. Le domande presentate<br />

di seguito in una data sequenza, quindi, costituiscono una traccia teorica, che va adattata al<br />

discorso spontaneo dell’intervistato per facilitare l’espressione del suo modo di<br />

rappresentare la realtà. Queste interviste sono infatti idealmente concepite come un<br />

colloquio con argomenti prestabiliti da trattare, ma con una sequenza non rigida e con la<br />

possibilità di inserire domande diverse a seconda dell’intervistato. Allo stesso tempo, la<br />

79


sequenza proposta è finalizzata a mantenere la conversazione su un filo conduttore il più<br />

possibile fluido e spontaneo.<br />

Domande dell’intervista per i maestri<br />

Introduzione da leggere all’intervistato:<br />

Questa intervista intende approfondire alcuni campi di conoscenza sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

connessi con la Psicologia. In particolare ci soffermeremo sul rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan,<br />

consapevolezza di sé, <strong>emozioni</strong> e relazioni sociali.<br />

Nei limiti del tempo che può conc<strong>ed</strong>ermi, sono particolarmente interessata non solo alle<br />

conoscenze che vuole trasmettermi, ma anche a episodi di vita <strong>ed</strong> esempi che le vengono in<br />

mente, a proposito delle domande che le propongo.<br />

Prima di iniziare, le comunico che le sue risposte resteranno anonime e saranno usate solo a<br />

scopo statistico, come previsto dalla legge 675 (legge sulla privacy).<br />

1) Può dirmi i motivi che l’hanno spinta a diventare un maestro di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan?<br />

2) Quali differenze ha riscontrato tra la cultura cinese e quella occidentale, riguardo alle<br />

varie questioni connesse alla pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan?<br />

3) Come si è trovato a rapportarsi con la cultura cinese?<br />

4) Secondo lei, quali effetti potrebbe avere la pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sui vari aspetti<br />

della vita psicologica di una persona?<br />

5) Su questi cartoncini sono segnati alcuni possibili aspetti su cui il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

potrebbe avere delle influenze. Le chi<strong>ed</strong>erei di guardarli con calma e di parlarmi<br />

liberamente degli effetti che secondo lei ha il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan su di essi. (Sui cartoncini<br />

ci sono le scritte: sulle <strong>emozioni</strong>; sulla consapevolezza di sé; sull’integrazione tra<br />

aspetti diversi; sulla relazione con il proprio corpo; sulla capacità di controllarsi; sulla<br />

regolazione delle <strong>emozioni</strong>; altro).<br />

6) Riflettendo sulla sua esperienza di maestro, secondo lei i suoi allievi quali effetti hanno<br />

sperimentato? Indaga sui fattori che causano questi effetti.<br />

80


7) Ora vorrei parlare delle relazioni sociali in cui è inserito un allievo di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

Lei come descriverebbe la relazione tra allievi del corso di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan?<br />

(eventualmente indagare i fattori che causano le differenze tra diversi tipi di relazione)<br />

8) Quali sono, secondo lei, le <strong>emozioni</strong> che circolano nella relazione tra i suoi allievi?<br />

(eventualmente: può farmi degli esempi?)<br />

9) Quali sono, secondo lei, le caratteristiche che dovrebbe avere la relazione tra allievi?<br />

10) Quali sono, secondo lei, le caratteristiche che dovrebbe avere la relazione maestro-<br />

allievo? Indaga su <strong>emozioni</strong> e sentimenti presenti nella relazione attuale.<br />

11) Che cosa le piacerebbe che i suoi allievi imparassero attraverso il suo insegnamento?<br />

(eventualmente: che cosa le piacerebbe che i suoi allievi imparassero in quanto gruppo<br />

o in quanto persone singole?)<br />

12) Secondo lei, quali sono le esperienze utili per apprendere ciò che ritiene importante?<br />

(eventualmente: quali sono le azioni intraprese da questa palestra per sostenere<br />

l’apprendimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan?)<br />

13) Secondo lei, quali sono i contenuti che gli istruttori di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan dovrebbero<br />

apprendere durante il periodo di formazione?<br />

14) Per concludere, le chi<strong>ed</strong>o di osservare alcune immagini e di dirmi qual è quella che<br />

rappresenta meglio il suo modo di vivere il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

Domande dell’intervista per gli allievi<br />

Introduzione da leggere all’intervistato:<br />

Questa intervista intende approfondire alcuni campi di conoscenza sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

connessi con la Psicologia. In particolare ci soffermeremo sul rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan,<br />

consapevolezza di sé, <strong>emozioni</strong> e relazioni sociali.<br />

Nei limiti del tempo che può conc<strong>ed</strong>ermi, sono particolarmente interessata non solo alle<br />

conoscenze che vuole trasmettermi, ma anche a episodi di vita <strong>ed</strong> esempi che le vengono in<br />

mente, a proposito delle domande che le propongo.<br />

Prima di iniziare, le comunico che le sue risposte resteranno anonime e saranno usate solo a<br />

scopo statistico, come previsto dalla legge 675 (legge sulla privacy).<br />

81


1) Può dirmi i motivi che l’hanno spinta a iniziare il corso di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan?<br />

2) Essere un praticante di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan come influisce sull’organizzazione della sua<br />

vita?<br />

3) Come si è trovato a rapportarsi alla cultura cinese?<br />

4) Secondo lei, quali effetti potrebbe avere la pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sui vari<br />

aspetti della vita psicologica di una persona?<br />

5) Su questi cartoncini sono segnati alcuni possibili aspetti su cui il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

potrebbe avere delle influenze. Le chi<strong>ed</strong>erei di guardarli con calma e di parlarmi<br />

liberamente degli effetti che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ha avuto nella sua esperienza. (Sui<br />

cartoncini ci sono le scritte: sulle <strong>emozioni</strong>; sulla consapevolezza di sé;<br />

sull’integrazione tra aspetti diversi; sulla relazione con il proprio corpo; sulla<br />

capacità di controllarsi; sulla regolazione delle <strong>emozioni</strong>; altro). Indaga sui fattori<br />

che causano questi effetti.<br />

6) Passiamo a considerare le relazioni sociali. Come descriverebbe la relazione che ha<br />

con gli altri allievi del suo corso di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan? Approfondire quali<br />

<strong>emozioni</strong>/sentimenti attraverso racconto di episodi.<br />

(eventuale approfondimento: quali sono i luoghi o i momenti in cui vive la relazione<br />

con gli altri allievi?)<br />

7) Come descriverebbe la relazione che ha con il maestro?<br />

8) Mi può descrivere le <strong>emozioni</strong> o i sentimenti che caratterizzano la sua relazione con<br />

il maestro?<br />

9) Che cosa le sembra di avere imparato, a livello generale, frequentando il corso di<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan?<br />

10) Potrebbe raccontarmi un episodio legato alla sua esperienza di praticante di T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan che considera particolarmente significativo?<br />

11) Secondo lei, che cosa dovrebbe insegnare un maestro di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ai suoi<br />

allievi?<br />

12) Quali sono le caratteristiche che le piacciono del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan?<br />

13) Per concludere, le chi<strong>ed</strong>o di osservare alcune immagini e di dirmi qual è quella che<br />

rappresenta meglio il suo modo di vivere il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

82


Il campione e la rilevazione<br />

La popolazione studiata è quella dei praticanti di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, che viene qui suddivisa<br />

tra maestri e allievi per il diverso ruolo che hanno rispetto a quest’arte marziale e per la<br />

diversa esperienza nella pratica; si suppone che ciò si rifletta anche su un diverso grado di<br />

consapevolezza riguardo agli effetti di quest’arte marziale.<br />

Il campione è costituito da 7 maestri di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e 7 allievi. L’intero campione fa<br />

parte dei praticanti di varie palestre di Milano e provincia; i maestri sono stati rintracciati in<br />

parte attraverso conoscenza personale e in parte prendendo contatti telefonici con le<br />

palestre e le associazioni citate su libri inerenti il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Gli studenti sono stati<br />

selezionati all’interno del gruppo di allievi dei maestri contattati, cercando di ottenere un<br />

campione diversificato per sesso, fasce di età (comunque adulti) e livello di esperienza nella<br />

pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Purtroppo non è stato possibile far partecipare alla ricerca un<br />

allievo per ogni maestro, ma ho cercato di mantenere una diversificazione del campione di<br />

studenti anche rispetto a questa variabile: ho quindi intervistato 2 allievi di un maestro, altri<br />

2 di un altro maestro, 2 di un terzo maestro e, per finire, 1 allieva di una quarta maestra.<br />

La numerosità del campione è necessariamente ridotta per la dimensione limitata della<br />

popolazione (soprattutto dei maestri di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan) e per la scarsa disponibilità di<br />

tempo (soprattutto degli allievi). Questo non inficia però con la validità della ricerca, che,<br />

anzi, è più interessata allo studio intensivo di casi, con la finalità di generare ipotesi,<br />

piuttosto che alla numerosità del campione, utile quando la finalità della ricerca è di<br />

verificare ipotesi forti già esistenti.<br />

La rilevazione dei dati è avvenuta attraverso interviste condotte face to face; il luogo fisico<br />

è stato all’interno delle palestre per i maestri, mentre per gli allievi si è optato, dove<br />

possibile, per la palestra che frequentano, in altri casi mi sono recata nella loro abitazione,<br />

per andare incontro alle loro scarse disponibilità di tempo. La scelta del luogo e dell’orario<br />

è dovuta a questioni oggettive come l’indisponibilità di altri luoghi adatti per lo<br />

svolgimento dell’intervista <strong>ed</strong> è dovuta al tentativo di corrispondere, da una parte,<br />

all’esigenza di facilitare il consenso dei maestri e degli allievi alla ricerca, e, dall’altra, di<br />

mantenere un setting adatto alla ricerca, limitando l’influenza di fretta, stanchezza,…; dove<br />

83


consentito, è stato utilizzato un ufficio, in modo da evitare il più possibile fenomeni di<br />

distrazione.<br />

Le risposte sono state audio-registrate e in seguito trascritte e analizzate; la scelta di<br />

registrare le risposte è finalizzata ad avere una maggiore cura per le parole utilizzate e per il<br />

significato inteso dagli individui intervistati, limitando l’intervento di variabili connesse<br />

all’eccessiva interpretazione e alle dimenticanze dell’intervistatore.<br />

Modalità di analisi dei dati e restituzione dei risultati<br />

L’analisi dei dati consiste nell’analisi qualitativa del contenuto delle interviste, elaborate<br />

attraverso un’analisi carta-matita.<br />

Verranno considerati i risultati nel gruppo dei maestri e in quello degli allievi; seguirà<br />

un’analisi tra i due gruppi.<br />

La modalità di restituzione più adatta mi sembra essere un colloquio con ogni intervistato<br />

(eventualmente maestro insieme ai suoi allievi), con l’accompagnamento di una copia<br />

scritta, che mi è stata richiesta da vari insegnanti.<br />

4.5. I risultati: analisi delle interviste ai maestri<br />

Aspetti dell’<strong>identità</strong> professionale e concezioni dell’apprendimento e dell’insegnamento<br />

Innanzitutto, è utile riportare che alcuni soggetti intervistati sono maestri di T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan, altri si definiscono insegnanti, o anche istruttori, perché il titolo di maestro di T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan si acquisisce per nomina da parte di un altro maestro. Questa differenza non è<br />

però molto marcata, riguardo alla concezione dell’apprendimento e dell’insegnamento; la<br />

differenza riguarda soprattutto il fatto che i maestri svolgono questa attività come attività<br />

professionale <strong>prima</strong>ria, mentre gli insegnanti svolgono un’attività lavorativa diversa e<br />

insegnano T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan come attività secondaria. Le motivazioni all’insegnamento però,<br />

84


non sembrano risentire di questa differente organizzazione della vita. Per questo, i termini<br />

“maestro” e “insegnante” saranno qui usati come sinonimi, salvo diversa specificazione.<br />

Riguardo alle motivazioni all’insegnamento, quasi tutti gli intervistati specificano che sono<br />

approdati all’insegnamento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan “per caso”: “non avevo mai pensato di<br />

diventare maestro di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan”, non era un obiettivo prefissato. Tutti gli insegnanti<br />

affermano che l’insegnamento è un modo per approfondire la loro stessa pratica del T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan: “chi insegna, insegnando impara”; insegnare è uno strumento per “ricodificare<br />

tutto, per re-imparare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan”, per “mettersi in gioco, come quando si scala una<br />

montagna!”. Oltre a questa motivazione, tutti ricordano che hanno iniziato a insegnare<br />

“proprio per necessità”: è troppo difficile non condividere con altri la propria passione;<br />

allora, la motivazione principale è la condivisione della propria esperienza e soprattutto del<br />

proprio entusiasmo, della propria passione per qualcosa che si è trovato, che è bello, ma<br />

non solo: è anche utile, per sé e per gli altri! Qui si legge sia il desiderio di fare del bene<br />

agli altri, sia l’impossibilità di starsene zitti a guardare, “bisogna comunicarlo!”.<br />

L’insegnamento diventa anche, per alcuni, uno scopo importante della propria esistenza:<br />

“adesso forse sono qui per questo, forse per insegnare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan”. Riguardo al<br />

ritorno economico, le idee sono apparentemente contrastanti: un maestro afferma che nel<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan non si deve insegnare per avere un ritorno, “T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è un continuo<br />

dare, senza mai pensare a un ritorno, soprattutto in termini economici!”, un maestro invece<br />

afferma che anche il ritorno economico del proprio insegnamento è utile: “il ricavato<br />

economico dà la possibilità di viaggiare e di documentarsi meglio sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan” e<br />

un altro insegnante nota che il ritorno economico non può essere la motivazione principale,<br />

anche perché non ti dà la possibilità di arricchirti, comunque è un indice sul gradimento e<br />

sull’utilità di ciò che fai: “vuol dire che lavori bene!”<br />

Una categoria interessante riguarda le caratteristiche essenziali del processo di<br />

apprendimento: per imparare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan bisogna “avere un buon maestro e poi<br />

anche approfondire la pratica con l’esperienza personale”, ma questi due fattori sono<br />

strettamente interrelati: “il maestro ci ha dato le informazioni, noi le abbiamo provate e<br />

insieme abbiamo trovato… questa è la parola: insieme!”. Proc<strong>ed</strong>ere insieme lungo la via<br />

dell’apprendimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan significa che c’è una reciprocità di apprendimento<br />

tra insegnante e studente, e significa anche che la trasmissione di conoscenze può arrivare<br />

85


solo fino a un certo punto: se nessun allievo amplia, in qualche modo, il messaggio del suo<br />

maestro, il contenuto che verrà trasmesso si impoverirà sempre più, perché non si riesce a<br />

trasmettere tutto ciò che si sa: “lo studente dovrebbe mettere un valore aggiunto: dovrebbe<br />

intuire le cose che l’altro non riesce a trasmettere, senza però mutare in altri modi il<br />

messaggio originale: è così che la conoscenza si evolve in continuazione!”. Nelle parole di<br />

tutti i maestri risulta molto forte il sentimento di affetto e di riconoscenza nei confronti dei<br />

loro maestri: “grazie a Dio, noi abbiamo avuto il maestro Chang, che ci ha trasmesso<br />

l’essenza vera del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan!”. E il buon maestro è quello che è consapevole della<br />

ricchezza del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: “il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è fatto di tanti aspetti”, “il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan è sia una pratica di m<strong>ed</strong>itazione, sia una ginnastica per la salute psicofisica, sia<br />

un’arte marziale: è molto difficile separare questi aspetti!”. Un elemento che mi sembra<br />

molto interessante sottolineare (visto che alcuni insegnanti riportano il dubbio e il<br />

dispiacere che ci sia una “tendenza attuale ad insegnare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan come un<br />

balletto”) è che tutti i maestri affermano l’esigenza di conoscere tutti e tre questi aspetti.<br />

Contemporaneamente tutti gli intervistati affermano anche che “ciascun insegnante è libero<br />

di preferire uno di questi aspetti del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e di enfatizzarlo nel suo insegnamento<br />

privilegiando alcuni esercizi piuttosto che altri”.<br />

Visto il ruolo del maestro, in questo percorso che si svolge “insieme”, v<strong>ed</strong>iamo ora il ruolo<br />

dell’allievo: come si può imparare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan? Il metodo di apprendimento<br />

riconosciuto da tutti è la pratica: “praticare praticare praticare!”, “osare sempre fare”,…<br />

Nelle parole di tutti si legge l’essenzialità di non perdere le occasioni: partecipare ad ogni<br />

lezione è un’occasione da non perdere: “la vita è fatta di opportunità e se ne perdi una non<br />

la ritrovi più!”, partecipare ai seminari intensivi, viaggiare, confrontarsi con persone <strong>ed</strong><br />

insegnanti diversi, cogliere ogni occasione di vita quotidiana per mettere in pratica ciò che<br />

ti sembra di aver imparato: “bisogna prendere il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e riportarlo nella vita”.<br />

Anche l’entusiasmo, la passione che uno ci mette è essenziale: “bisogna amare il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan: l’entusiasmo è la base!”, “se c’è il cuore, c’è anche la mente e anche il corpo”. La<br />

ricerca personale del senso di ciò che si sta facendo è alla base di qualsiasi<br />

approfondimento: “chi<strong>ed</strong>etevi perché lo fate! Si può fare il salto di qualità,<br />

nell’apprendimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, solo se si trovano delle motivazioni più profonde<br />

dello stare bene in gruppo, del farlo perché così sto bene”; l’insegnamento è una soluzione<br />

possibile per continuare ad approfondire la propria ricerca della Via.<br />

86


In questa relazione di apprendimento, rientra anche il gruppo: “praticare all’unisono è un<br />

modo per imparare”, attraverso il confronto con gli altri del mio gruppo; “ciascuno diventa<br />

non solo il praticante, ma supporto per la pratica degli altri”; a questo proposito, è molto<br />

meglio l’esempio diretto, come un genitore con il figlio: “uno può parlare tanto, ma se poi<br />

non dà l’esempio diretto…!”.<br />

Il ruolo della comunicazione verbale nell’insegnamento rimane un punto oscuro, nelle mie<br />

interviste: alcuni insegnanti privilegiano fortemente l’esempio con il corpo in movimento;<br />

altri affermano che usano un metodo molto parlato, oltre che attraverso l’esempio; in<br />

generale, però, secondo tutti i maestri il metodo deve “cercare di inserirsi al livello<br />

interm<strong>ed</strong>io tra ciò che uno sa già e ciò che deve ancora apprendere”; a seconda del livello<br />

dell’allievo, bisogna inizialmente avere come obiettivo di insegnamento/apprendimento la<br />

concentrazione su tutti i particolari del corpo. In effetti, che un maestro privilegi il verbale o<br />

l’esempio corporeo, forse, è di relativo interesse: l’importante è che consideri “tantissimi<br />

particolari: la posizione del pi<strong>ed</strong>e, dell’anca, della spalla,…”, perché “il primo obiettivo è<br />

essere molto concentrati sul corpo”, farsi delle domande come “qui, è giusto osso? E<br />

muscolo? E il respiro com’è? Sento l’energia che scorre?”. È solo in un momento<br />

successivo che l’obiettivo del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan diventa la m<strong>ed</strong>itazione: imparare a c<strong>ed</strong>ere,<br />

“c<strong>ed</strong>o ma non scappo”, cioè a creare un vuoto mentale: “il genio fa il vuoto: e allora può<br />

saltare da qua a là, velocissimamente, v<strong>ed</strong>e tutto, contemporaneamente l’inizio e la fine, e<br />

tac! In un secondo ha l’illuminazione! Questo è il vuoto della mente”. Creare un vuoto è<br />

una capacità applicabile anche nella vita quotidiana, soprattutto in quella relazionale:<br />

“impari a generare uno spazio dove lasciar entrare l’altra persona”.<br />

Creare un vuoto, avere un’illuminazione, è anche ciò che ti consente di capire il fine ultimo<br />

del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, che si identifica anche con le finalità dell’insegnamento del T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan. Il maestro Chang, le cui parole vengono riportate da un maestro e suo allievo,<br />

diceva che il fine ultimo del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è questo: “cielo e uomo uniti in una sola<br />

cosa”. Si può anche usare le parole di altri insegnanti intervistati: il fine è “riconoscersi col<br />

tutto”, provare un “amore incondizionato per tutti i praticanti”. Altri definiscono questo<br />

obiettivo finale come sviluppo dell’integrazione negli allievi: integrazione tra i vari aspetti<br />

del proprio corpo, ma anche integrazione con l’altro (“ascolto e accettazione dell’altro”) e<br />

87


infine come integrazione con il tutto, perché “siamo tutti manifestazioni diverse dello stesso<br />

principio primo”.<br />

Un’altra sotto-area è l’oggetto, il contenuto dell’insegnamento, che può comprendere<br />

anche quello che i maestri desidererebbero riuscire a trasmettere: quasi tutti danno la<br />

prec<strong>ed</strong>enza alle tecniche: “cosa vorrei che imparassero? Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan!”. Questa<br />

prec<strong>ed</strong>enza è stabilita da tutti i maestri almeno per quanto riguarda la formazione degli<br />

istruttori, mentre per l’iniziale formazione degli allievi, alcuni insegnanti preferiscono<br />

iniziare a insegnare a “sentire con la pancia”, cioè danno più spazio al sentire il proprio<br />

corpo e le proprie <strong>emozioni</strong>. Ad ogni modo, l’insegnamento non si riduce mai alla<br />

trasmissione di tecniche: “oltre alle tecniche vorrei che imparassero ad usare l’energia<br />

interna, la loro forza, per sé e anche per gli altri”: in tutte le interviste leggo l’intenzione di<br />

formare degli allievi che abbiano la voglia e la capacità per continuare l’opera di<br />

trasmissione, di condivisione con altri di quel qualcosa di bello che hanno trovato lungo il<br />

cammino.<br />

A questo proposito possiamo anche aprire una domanda: chi è il maestro di T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan? È un maestro di vita? Alcuni insegnanti rimarcano che non si sentono tali e non<br />

vogliono neppure diventarlo: “non voglio: chi sono io per dire a qualcuno come deve<br />

vivere?!”. In questo però non leggo un distacco dalla vita degli allievi, ma un desiderio di<br />

lasciarli liberi di esplorare vie diverse per migliorare la loro vita: “non penso di dover<br />

insegnare nulla riguardo alla vita, perché una persona può crescere, non è che deve emulare<br />

il maestro: ognuno deve trovare la propria <strong>identità</strong> di per sé”. Altri usano la metafora del<br />

maestro come “colui che indica la via”, ma la usano per affermare che un istruttore deve<br />

essere estremamente competente “per non causare danni anche alla salute degli allievi”.<br />

Ma allora, in sintesi, chi è il maestro? “È una persona anche lui!”, “è quello che sta davanti<br />

al carro”, “è una persona che ha imparato qualcosa <strong>prima</strong> di te”, qualcosa di bello e di utile,<br />

e allora vuole condividerlo, “è una persona entusiasta, appassionata, che ama il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan”, “è una persona che sa trasmettere il suo entusiasmo, perché all’inizio l’allievo è<br />

trascinato”, e poi chissà quante altre caratteristiche ha! In fin dei conti, è qualcuno che<br />

declina la sua attività in base a quello che è! Ciò che è comune è il desiderio di condividere<br />

questa “cosa potenzialmente immensa” che è il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, unito alla libertà di cercare<br />

88


strade diverse o ulteriori. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan infatti è uno strumento, nella concezione di<br />

tutti gli intervistati, e come tale è uno tra tanti altri possibili e auspicabili.<br />

Riguardo alle esperienze che i maestri considerano importanti per l’apprendimento, casella<br />

che potremmo definire con l’etichetta “metodo di insegnamento”, oltre al ruolo<br />

dell’esempio genitoriale e alla discussione sul ruolo di maestro di vita, già discussi <strong>prima</strong>,<br />

spicca il ruolo assegnato da vari insegnanti ai seminari intensivi: in queste situazioni,<br />

l’allievo può socializzare con altri allievi e con insegnanti “umanamente diversi”; può<br />

confrontarsi con persone diverse e alcuni maestri affermano che il confronto è addirittura la<br />

caratteristica principale per approfondire la pratica. Forse, il fatto che l’insegnante debba<br />

“indicare la via” riguarda proprio la questione del metodo: “il gruppo che apprende<br />

potrebbe essere rappresentato come un gruppo intento a far avanzare il carro della cultura:<br />

uno tira davanti, che potrebbe essere il maestro; e c’è chi spinge dietro, che potrebbero<br />

essere gli studenti: e allora sì che il carro va!” Non se c’è solo uno dei due ruoli! “Il maestro<br />

è maestro solo se ha degli allievi, se no è maestro di chi?!”; <strong>ed</strong> è anche per questo che un<br />

maestro dovrebbe anche adattare il proprio insegnamento alle situazioni che incontra: non<br />

esiste un solo metodo, una verità, bisogna cercare di utilizzare un metodo adatto al contesto<br />

sociale: “il mio maestro, che proveniva direttamente dalla Cina, aveva un modo di<br />

insegnare molto secco, dava tutto molto per scontato; poi ha capito che in Italia un certo<br />

tipo di atteggiamento è meglio non tenerlo! E si è ammorbidito”; il metodo va adattato<br />

anche alla situazione del gruppo e alle sue dinamiche, alla serata: “cambio molto, stacco,<br />

cerco di adattarmi alle esigenze del gruppo, perché a volte li v<strong>ed</strong>i stanchi, altre volte li v<strong>ed</strong>i<br />

agitati,… devi cercare di rendere sempre la lezione interessante!”<br />

Gli intervistati mostrano di avere anche un’etica dell’insegnamento. I loro “comandamenti”<br />

sono: “non insegnare ciò che non sai!”, non vantarti di sapere cose che in realtà non sai;<br />

“insegna solo quando il tuo livello di conoscenza comprende almeno una scienza teorica e<br />

tecnica sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan”, cioè quando possi<strong>ed</strong>i una conoscenza dei principi teorici<br />

classici, delle tecniche fondamentali e della biomeccanica del movimento, “perché hai in<br />

mano delle persone”; “insegna tutto ciò che sai!”, cioè non essere geloso delle tue<br />

conoscenze, condividile per arricchire gli altri e ne v<strong>ed</strong>rai anche un ritorno per te; a queste<br />

regole generali, si aggiungono anche vari corollari, tra cui ricordo: “il rispetto dell’altro<br />

89


viene <strong>prima</strong> di tutto!” e “meglio se attingi anche ad altri saperi, oltre alle conoscenze sul<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan”.<br />

La rappresentazione delle relazioni tra allievi: concezioni del gruppo <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong> nel<br />

gruppo<br />

Riguardo a quest’area di analisi, potremmo innanzitutto considerare che i maestri si<br />

dividono in due gruppi e in questa suddivisione ha un forte peso la scuola di appartenenza<br />

dell’intervistato: un gruppo di maestri ritiene che le relazioni nel gruppo degli allievi siano<br />

un punto centrale su cui focalizzare l’attenzione, lo si nota innanzitutto dalla spontaneità<br />

con cui nominano l’argomento, anche <strong>prima</strong> delle domande che ne richi<strong>ed</strong>ono un<br />

approfondimento. In questo caso, le relazioni tra allievi sono considerate dal maestro un<br />

interessante oggetto di osservazione e una dinamica da considerare attentamente anche<br />

nello svolgersi dell’insegnamento. Il secondo gruppo di maestri considera le relazioni tra<br />

allievi come un oggetto importante, ma secondario rispetto ad altre questioni della pratica.<br />

Un rappresentante del secondo gruppo afferma che: “Le discipline orientali sono<br />

individuali, ma di gruppo; potremmo usare la parola “interdipendenti”, perché uno è libero<br />

ma anche insieme agli altri, liberi.”<br />

Tutti gli insegnanti, però, concordano nel ritenere le relazioni sociali nel gruppo degli<br />

allievi come una questione importante. Potremmo concludere che tutti considerano<br />

importanti le relazioni, ma alcuni se ne occupano (in svariati modi che ora andremo ad<br />

approfondire) perché le ritengono una parte direttamente inerente la pratica del T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan, mentre altri sanno che le relazioni tra allievi sono importanti, ma non le<br />

considerano un punto che li riguarda, in quanto maestri. Un insegnante di questo gruppo<br />

ben esprime questo parere dichiarando che “lui, proprio, non ci mette becco!”.<br />

Andiamo ora a verificare perché tutti gli intervistati riconoscono che le relazioni tra allievi<br />

siano così importanti.<br />

“Diciamo che nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, proprio perché è una relazione, le <strong>emozioni</strong> vengono scongelate e il<br />

proprio ruolo viene messo in discussione e questo porta a delle reazioni inaspettate. La cosa che è importante<br />

è sviluppare comunque la relazione anziché la reazione, cioè la dialettica tra “parlo e ascolto”. Nella relazione<br />

si deve seguire lo stesso principio attuato col corpo, cioè la c<strong>ed</strong>evolezza. Per esempio nel T’ui Shou, sentire<br />

90


quando un altro ti spinge può essere difficile e se è difficile farlo col corpo, è ancora più difficile farlo con la<br />

mente!”<br />

Ma che tipo di relazione è, quella tra gli allievi? Una caratteristica interessante è che, oltre<br />

ad essere basata sulla comunicazione verbale, come tutte le relazioni, avviene anche su base<br />

non verbale, cioè, per buona parte, si svolge attraverso il corpo e, nel lavoro di applicazione<br />

a due (il T’ui Shou), si svolge attraverso il contatto fisico.<br />

“Tra compagni si sviluppano relazioni e sentimenti molto profondi…quando ci si approccia al T’ui Shou i<br />

principianti si irrigidiscono. Perché? Perché non c’è l’attitudine al contatto fisico: da noi, nella nostra cultura,<br />

è come relegato al darsi la mano! A poco a poco si apre un mondo nuovo della relazione corporea che è un<br />

mondo che i bambini e i cuccioli conoscono benissimo, quello della lotta e del gioco.”<br />

“Il T’ui Shou è un ascolto attraverso il tatto, attraverso la pelle. La pelle non è più il mio guscio che mi<br />

racchiude ma è anche ciò che mi permette di ascoltare l’altro. La pelle non serve più a separarmi dall’altro ma<br />

a comunicare con l’altro.”<br />

Mi sembra doveroso sottolineare però che alcuni maestri non considerano questo lavoro di<br />

applicazione a due come significativo dal punto di vista emotivo:<br />

“Nel T’ui Shou noi dobbiamo acuire al massimo la sensibilità tattile soprattutto, che non è facile, perché<br />

dobbiamo arrivare a sentire la minima energia che viene esercitata contro di noi e a questa c<strong>ed</strong>ere, però direi<br />

che come <strong>emozioni</strong>… se intendiamo <strong>emozioni</strong> come amore per la pratica, questo c’è; però lì io devo essere<br />

concentrato soprattutto sulla sensibilità tattile e sul sentire l’energia dell’altro.”<br />

Le <strong>emozioni</strong> che caratterizzano il gruppo degli allievi, nell’ottica dei maestri, sono<br />

generalmente improntate a sentimenti positivi: in generale, c’è uno “spirito compagnone”,<br />

si creano relazioni anche profondamente significative, alcuni maestri ricordano che “ci sono<br />

stati anche diversi matrimoni tra i loro allievi”; ci sono poi anche alcuni elementi “di<br />

disturbo” rispetto a questo clima di gruppo e un insegnante afferma che suo compito, in<br />

questi casi, è quello di far integrare queste persone nel gruppo. Altri maestri invece<br />

ritengono che questo non rientri nei loro compiti e lasciano la creazione di una buona<br />

relazione di gruppo all’iniziativa e alle pr<strong>ed</strong>isposizioni degli allievi:<br />

“Penso che c'è chi ci cr<strong>ed</strong>e <strong>ed</strong> è più portato: ci sono alcune persone che sono molto (userei la parola)<br />

“intrippate dentro”, che ci cr<strong>ed</strong>ono, e con chi ci cr<strong>ed</strong>e provano delle cose belle. Poi però ci sono quelli un po'<br />

più superficiali. Però in generale c'è un bel rapporto, emozionale non lo so. Ho visto che ci sono rapporti di<br />

amicizia: poi le <strong>emozioni</strong> in che direzione vanno non lo so, però sicuramente non sono negative. Penso che<br />

siano più positive!”<br />

91


Generalmente, come si v<strong>ed</strong>e anche nelle frasi prec<strong>ed</strong>enti, le <strong>emozioni</strong> sono positive. Alcuni<br />

maestri le considerano anche molto profonde:<br />

“Esiste una sorta di … intimità? No, forse questa è una parola troppo grossa: è meglio chiamarla complicità:<br />

in quel momento c’è un riconoscimento dell’esperienza emotiva vissuta insieme, anche se molto tempo<br />

<strong>prima</strong>.”<br />

“Ci si sente fratelli, come in una famiglia, ma le <strong>emozioni</strong> degli allievi non sono catalogabili: sono come un<br />

sentire diverso.”<br />

“Tra compagni si sviluppano relazioni e sentimenti molto profondi, più profondi di quelli che vanno a<br />

stabilirsi in un gruppo con cui si fa una semplice attività fisica o un’attività intellettuale. Potremmo dire: quel<br />

feeling che si può stabilire in una comunità, in una squadra di pallacanestro, sommato a quell’intesa che può<br />

esserci in una comunità di volontariato: se sommiamo tutte insieme, queste cose potrebbero dare un risultato<br />

simile al feeling nel gruppo dei praticanti di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.”<br />

Non ci sono solo <strong>emozioni</strong> positive, però: tra gli allievi esistono gelosie, desiderio di<br />

apparire più bravi degli altri, soprattutto forse agli occhi del maestro; e allora forse è meglio<br />

disinteressarsene, cercare di trattare tutti gli allievi nello stesso modo e lasciare che i<br />

problemi se li risolvano da soli:<br />

“Si creano delle dinamiche, all'interno delle palestre e dei corsi, che io ritengo folli, però fanno parte<br />

dell'animo umano.<br />

Onestamente, tra allievi, le dinamiche che si creano non mi interessano, perché c'è da perdersi, ne sto fuori!<br />

Per me sono tutti uguali, non c'è alcuna differenza. Io vengo da palestre in cui c'erano i preferiti: sono cose<br />

folli! E a volte farti travolgere dai problemi tra loro ci porta su una strada assurda.”<br />

“C'erano quelli che si sentivano più bravi, quelli più visti, quelli meno visti, quello mi guarda di meno, quello<br />

mi guarda di più, quello è simpatico quello vuole mangiare la pizza, cose dell'altro mondo! Che sembra di<br />

poter gestire queste cose, ma in realtà non è così, perché entri all'interno di una dinamica… come in ogni<br />

gruppo. Si creavano delle gerarchie interne: che brutto! Per questo io ho deciso di non interessarmi dei<br />

problemi tra allievi.”<br />

Un altro maestro invece ritiene che nelle arti marziali dinamiche ci sia molta rivalità:<br />

“Nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan invece mi sembra che ci sia molto più amore, più legame, più amicizia. Il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan aiuta molto a relazionarsi. Io lo v<strong>ed</strong>o anche nel corso delle persone non più giovani, al mattino, dove<br />

l'ultimo arrivato è accolto bene anche dal più avanzato. Mentre nelle arti dinamiche viene accolto in modo<br />

quasi schifato: “guarda quello là, non sa stare in pi<strong>ed</strong>i!” Nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, se non quasi nulla, pochissimo.<br />

Poi è vero che ci sono vari step evolutivi: anche nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, se uno entra e non sa muoversi,…<br />

dipende anche culturalmente da com’è la persona.”<br />

92


Mi sembra decisamente interessante sottolineare che i due maestri si riferiscono, almeno<br />

negli esempi che portano, ad allievi di due fasce d’età molto diverse: il primo tratta di<br />

giovani adulti, mentre il secondo riporta il caso di anziani. Inoltre, il primo insegnante è<br />

molto giovane e vive più da vicino la situazione di essere un allievo, perché continua ad<br />

esserlo tuttora (come tutti gli insegnanti, non ancora maestri, che ho intervistato).<br />

Il fatto che la relazione “scongeli le <strong>emozioni</strong>” ha delle notevoli ripercussioni sulla<br />

concezione del gruppo da parte del maestro.<br />

Il gruppo è concepito da tutti gli insegnanti, anche se a livello diverso, sia come uno<br />

strumento di apprendimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, sia come uno strumento di supporto per<br />

lo sviluppo personale degli allievi. In effetti, queste due concezioni sono solo teoricamente<br />

scindibili, ma nelle parole dei maestri sono spesso sovrapposte.<br />

Sul gruppo come strumento di apprendimento della disciplina marziale abbiamo già<br />

discusso nel paragrafo prec<strong>ed</strong>ente: praticare all’unisono serve per confrontarsi in tempo<br />

reale; “è necessario che chi ha più esperienza si ricordi che è responsabile anche della<br />

pratica di chi ha meno esperienza”, cioè ognuno deve insegnare agli altri, condividere<br />

conoscenze, ma senza sostituirsi al maestro: “la critica va bene, ma purché sia costruttiva,<br />

non tanto per parlare!”. Il gruppo è anche concepito come strumento di supporto per lo<br />

sviluppo: “la palestra, se è seria, diventa un vero e proprio centro di relazioni tra allievi”,<br />

“soprattutto per gli anziani, la socializzazione permessa dal frequentare un corso di T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan è importantissima!”; ma il supporto del gruppo all’individuo emerge anche come<br />

sostegno allo sviluppo emotivo: “il gruppo diventa l’utero”, che può permettere all’allievo,<br />

spaventato da un’emozione molto intensa scongelata dalla pratica, di sentirsi accolto e<br />

sostenuto in una relazione caratterizzata dall’accettazione, intesa come assenza di pre-<br />

giudizi. Lo stesso consiglio di praticare all’unisono ha la doppia valenza di essere un valido<br />

supporto per l’apprendimento e di “non sentirsi più una cellula separata, ma sentire di far<br />

parte di un organismo più grande: devo sentirlo a livello di energia!”.<br />

Una caratteristica importante delle relazioni che si sviluppano nell’ambito del T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan è che esse sono improntate allo stesso principio generatore del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: la<br />

c<strong>ed</strong>evolezza, dove c<strong>ed</strong>ere non sta per scappare e può essere appresa nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e<br />

applicata nelle relazioni sia all’interno che all’esterno della palestra:<br />

93


“L’insegnamento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è sempre questo: quello di non voler vincere contro l’altro,<br />

apparentemente; ossia, se l’altro mi attacca (e può essere in ufficio, in una scuola, in qualsiasi contesto),<br />

verbalmente eccetera, io c<strong>ed</strong>o, ma non scappo! Come il rilassamento non è rilasciamento: c<strong>ed</strong>o, ma non<br />

scappo. Rimango attaccato a lui e lui non riesce a liberarsi di me; più mi attacca e più non mi trova, perché<br />

non cado nella sua trappola. È molto difficile, perché noi vogliamo sempre prevalere sull’altro: uno sente<br />

male e si irrigidisce, oppure un altro ci attacca e cerchiamo di sopraffarlo, salvo che lui non sia più grosso e<br />

allora scappiamo. E invece il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ci insegna un’altra soluzione: io c<strong>ed</strong>o ma son sempre lì, finché<br />

lui fa un passo falso, si può fare male, se attacca forte; si può fare male perché esagera (anche verbalmente) e<br />

cade da solo nella trappola. Però io c<strong>ed</strong>o: non voglio dimostrare la mia superiorità, che poi non c’è.”<br />

Questo nelle situazioni relazionali conflittuali, ma anche nelle relazioni emotivamente<br />

positive il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ti insegna a “generare uno spazio vuoto, che l’altro possa<br />

utilizzare per entrare in relazione con noi”, mantenendo al contempo uno spazio proprio:<br />

“Il lavoro del T’ui Shou è un lavoro in cui si c<strong>ed</strong>e all’avversario, senza cercare di crearsi dei pregiudizi<br />

sull’avversario, senza precostituire un immagine di lui. Ma questo non vuol dire rinunciare al proprio io, anzi<br />

vuol dire cercare una centratura maggiore di se stessi, e questo vuol dire anche una ricollocazione dell’io, un<br />

ridimensionamento, quando nella nostra cultura spesso l’io è portato ad espandersi e ad essere esagerato.<br />

Invece nella cultura del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan non c’è l’idea di annullare l’io, ma c’è l’idea di ridimensionarlo, di<br />

ricollocarlo, soprattutto in relazione agli altri. Perché l’idea del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è che ognuno di noi fa parte<br />

di tutto ciò che ci circonda e interagiamo con tutto ciò che ci circonda e ne siamo parte in modo talmente<br />

profondo che non possiamo staccarcene.”<br />

Insieme alla c<strong>ed</strong>evolezza, caratteristica delle relazioni interne al T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è la<br />

continua alternanza tra un ruolo più attivo (Yang) e uno più passivo (Yin), che vista in<br />

ottica relazionale è come dire la continua “dialettica tra parlo e ascolto”.<br />

Un maestro considera il ruolo di queste due peculiarità del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan riferendosi alle<br />

donne:<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan apre spazi in cui si può cambiare la gerarchia sociale, proprio perché ci si inverte di ruolo,<br />

ci si alterna. Allora le donne possono provare un differente ruolo sociale. Poi, soprattutto nell’incontro a due<br />

del T’ui Shou, così come nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan in generale, c’è la cultura della c<strong>ed</strong>evolezza e questo è un modo<br />

per rivalutare un modo di fare più femminile anche nelle relazioni. E con questa cultura si trovano male alcuni<br />

uomini, che sono abituati a prevaricare e considerano questo come un diritto, e in questo caso la donna può<br />

scoprire che è più brava e rivaluta le sue caratteristiche. Questo perché nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan si impara ad usare<br />

la c<strong>ed</strong>evolezza, la morbidezza, cosa poco utilizzata nella nostra società, che privilegia l’autorità, la forza,<br />

l’attacco.”<br />

94


“Quello che si dovrebbe sviluppare nelle relazioni del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è una concatenazione esperienziale: la<br />

c<strong>ed</strong>evolezza come dialettica tra ascolto e azione.”<br />

E con questa citazione ci troviamo in un’altra sottoarea: quali sono, dal punto di vista dei<br />

maestri, le caratteristiche desiderabili nella relazione tra allievi? I maestri desiderano che<br />

la relazione tra i loro allievi sia una relazione amichevole, “improntata all’ascolto e al non<br />

giudizio”, “tutti dovrebbero capire che non ci sono preferenze” “è anche per questo che,<br />

durante la forma del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan non si porta la cintura che contraddistingue il grado”.<br />

Ognuno dovrebbe cercare di accettare l’altro, per ottenere un’integrazione non solo<br />

intraindividuale, ma anche interpersonale e poi con il Tutto, per realizzare la finalità ultima<br />

del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. “Sei parte di un Tutto con gli altri, avete origine dallo stesso<br />

principio!”.<br />

“È l’idea che esista un grandissimo contenitore, infinito, che è la fonte della nostra stessa esistenza, l'esistenza<br />

di tutto; e attraverso il Ch’i, attraverso la manifestazione duale di Yin e Yang ha generato ogni cosa e nel<br />

generare ogni cosa è se stesso e di questo se stesso ognuno di noi fa parte, ogni cosa. Ecco, questo tipo di<br />

consapevolezza di sé, che è un po' più allargata di quello che dicevamo, viene qualche passo più in là, ma è la<br />

vetta del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: in quel momento in cui senti che non ti stai muovendo da solo, ma che ti stai<br />

muovendo insieme a tutto il resto, allora acquisisci una consapevolezza diversa, che non è più forse la<br />

consapevolezza di sé, ma è una consapevolezza più allargata.”<br />

… “Cielo e uomo uniti, una cosa sola”.<br />

Un’ulteriore categoria di analisi riguardante il gruppo degli allievi è la gestione della<br />

disciplina nel gruppo, da parte del maestro. I maestri osservano che il gruppo di praticanti<br />

spesso si comporta come una scolaresca: “sono tanti! Sono anche difficili da tenere,<br />

diventano un po’ come bambini: chiacchierano, si divertono, perché si crea una dimensione<br />

ludica”;<br />

“Nella relazione tra allievi non si dovrebbe perdere tempo a parlare come portinaie “blablabla” e a giudicare<br />

“fai così, no ma si fa così!”: è giusto, la critica è costruttiva, il confronto è costruttivo, se è costruttivo, non<br />

deve essere solo per “cianciare”. Quando c'è lezione, dovrebbero seguire tutti la lezione bene e poi tirare fuori<br />

delle cose, per esempio “ho notato che quello lì fa diverso da me”, oppure “com'è questo?”: porre delle<br />

domande a chi insegna.”<br />

“La difficoltà maggiore per un insegnante è quella di tenere unito lo spogliatoio”: ci sono<br />

persone troppo invadenti, che non hanno sviluppato un loro confine e allora continuano a<br />

“strabordare” e ci sono quelle che non sanno difendersi, che hanno un confine<br />

95


eccessivamente controllato: questi due tipi di persone, però, possono anche essere<br />

complementari tra loro:<br />

“Le persone che normalmente non sanno difendersi ho provato a sentirle arginare queste persone un po’<br />

troppo invadenti. E questo avviene un po’ anche in seguito alla pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Ogni tanto io<br />

intervengo, però mai direttamente, riprendendo una persona: di solito intervengo in maniera generale, nel<br />

gruppo. Parlando dell’atteggiamento, del comportamento,… Poi, con chi lo posso fare, li prendo magari a<br />

parte e dico «non insegnare tu, se ci sono io».”<br />

In generale, lo stile di gestione consiste nell’adattare la propria azione alla situazione<br />

particolare vissuta in quel momento dal gruppo, considerando soprattutto il livello emotivo,<br />

conservando però certi “paletti” per mantenere una certa disciplina, come tra l’altro si<br />

conviene a un’arte marziale o a una disciplina m<strong>ed</strong>itativa.<br />

L’investimento affettivo riguardante il maestro<br />

Un aspetto molto significativo dell’investimento affettivo del maestro è l’investimento sul<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: questa forma di affetto/sentimento potrebbe essere riassunta nella frase:<br />

“bisogna amare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan!”, che, con parole diverse, è stata nominata, ma molto<br />

spesso anche ampliata, da tutti gli insegnanti intervistati. L’entusiasmo è qualcosa di<br />

naturale, che i maestri provano spontaneamente; ma va anche trasmesso: è questa la base<br />

dell’essere un maestro e dell’essere un buon maestro!<br />

“La cosa che mi spinge e che può essere coinvolgente è che io sono animata da una grande passione e per cui<br />

ciò che inevitabilmente faccio è trasmettere questa … questa passione!”<br />

“Bisognerebbe praticarlo con il cuore, avere amore per la pratica! Il maestro diceva che bisogna praticare T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan con corpo, mente e col cuore: bisogna amare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Se uno non lo pratica in uno<br />

stato emotivo di amore, proprio, per quello che fa, poi <strong>prima</strong> o poi smette. Bisogna sempre fare: con la mente,<br />

col corpo, col cuore; no solo corpo, anche la mente, no solo mente, anche corpo, ma il più importante è il<br />

cuore. Se c’è cuore, allora uno lo fa con la mente e col corpo. E questo punto è l’emozione, se vogliamo<br />

chiamarla così, l’amore per l’arte, che chiaramente vale per qualsiasi cosa che facciamo.”<br />

“Io ho fatto esperimenti facendo il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan con la musica e si provavano delle <strong>emozioni</strong> molto belle;<br />

ho provato un forte piacere a farlo, però penso che il suo habitat sia proprio il silenzio: anche il silenzio può<br />

essere musica, basta sentirlo! Perciò facendo T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan si provano delle <strong>emozioni</strong> proprio “dentro”,<br />

molto profonde, perché si percepisce l’energia dentro mentre tu la guidi, attraverso la mente, dove vuoi tu.”<br />

96


“I motivi sono fondamentalmente nella passione per la pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ”<br />

“Io quando ho cominciato a fare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sono rimasto subito estremamente entusiasta. Per me<br />

l’emozione era fortissima e l’emozione più forte era l’entusiasmo e la passione che questo mi ha scatenato.<br />

Dal punto di vista personale, all’inizio questa passione mi ha portato a volerla comunicare agli altri e secondo<br />

me, anche se da un lato è assolutamente normale, questo diventa anche insopportabile per gli altri, perché<br />

comunque anche gli amici che ti sentono parlare continuamente di questa cosa che poi loro non provano,<br />

diventa anche un po’ fastidioso, secondo me. Per cui, dopo il primissimo periodo, ho capito che la cosa<br />

dovevo elaborarmela per conto mio, perché alla fine sembri un invasato di qualcosa e poi diventi anche un po’<br />

supponente, come se gli altri, che non capiscono questa cosa, fossero meno illuminati di te, e non va bene, si<br />

perde quella necessaria umiltà che è indispensabile per imparare. Allora, la mia passione è stata un po’<br />

organizzata: è per questo che dico che insegnarlo è diventata un’esigenza. Io insegno fondamentalmente per<br />

piacere.”<br />

“Io agli allievi cerco di trasmettere queste cose, non avendo più l’età per far v<strong>ed</strong>ere calci volanti o cose simili!<br />

Ma anche un istruttore giovane, che magari non ha tanta esperienza, dovrebbe mettere tutto se stesso in quello<br />

che fa e allora sì che trasmette veramente! E allora non importa se non ha una grande esperienza, ma la sua<br />

buona volontà, sempre nella consapevolezza che non siamo maestri.”<br />

Le interviste dicono, e a volte rivelano solo tra le righe, moltissime <strong>emozioni</strong> dei maestri!<br />

La tenacia: “avere f<strong>ed</strong>e, nel maestro <strong>prima</strong> di tutto, se no si farà molta fatica a imparare! E<br />

sicuramente il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan rafforzerà questa f<strong>ed</strong>e. E poi fare pratica, fare pratica con i<br />

partner. Osare sempre fare.”<br />

“Richi<strong>ed</strong>e costanza, coraggio e l’acquisizione di una capacità di mettersi in discussione. La costanza va a<br />

lavorare sulla volontà. Nella pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan necessariamente la pratica deve diventare<br />

quotidianità. Io, ad esempio, avendo un altro lavoro, mi alzo alle 6 e mi alleno fino alle 7 ogni mattina. E uno<br />

mi dice “ma chi te lo fa fare?!”. Non si ha un riconoscimento di questo all’esterno e questo è molto utile<br />

perché i riconoscimenti esterni portano ad esaltare l’ego. Siccome non c’è un riconoscimento esterno, è una<br />

cosa che si deve verificare solo su se stessi e la risposta te la devi dare tu.”<br />

La curiosità: “tutto è nato perché stavamo cercando qualcosa di più profondo; v<strong>ed</strong>endo il<br />

maestro Chang, c’era un profumo, proprio, nel muoversi! Ci ha colpiti e incuriositi!”.<br />

“Mi ha sempre incuriosito la cultura cinese, perchè ha dato la nascita a questa disciplina e al taoismo. Mi ha<br />

sempre incuriosito perché l’ho trovato soddisfacente per la mia ricerca.”<br />

L’orgoglio quando qualcuno dei propri allievi ha un successo, nelle arti marziali o nella sua<br />

vita personale, grazie alla sua partecipazione alla vita di palestra, l’orgoglio per i propri<br />

allievi, in generale.<br />

97


“Abbiamo tutta gente molto “a posto”, sono meravigliose! E sono anche giovani… E di questo siamo<br />

orgogliosi!”<br />

“Penso che il fatto che si evolva la conoscenza, grazie agli studenti, sia motivo di orgoglio anche per chi ti<br />

prec<strong>ed</strong>e.”<br />

“Un episodio significativo…ce ne sono tanti! Per esempio, una ragazza che mi diceva: “io non riesco mai ad<br />

avere le mani calde e da quando faccio T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan con te, sento di avere le mani calde!”<br />

“Insegnare alle schiappe è la cosa interessante: se riesce a imparare è motivo di orgoglio!”<br />

“Ieri ho incontrato una signora che diceva "ah, mio figlio veniva giù da lei, è tornato dall'Australia dopo<br />

tr<strong>ed</strong>ici mesi che era via e adesso è ripartito e ha detto: se incontrate il maestro salutatelo, perché io là gli ho<br />

pensato! Io sono diventato cintura nera e gli insegnamenti che mi ha dato mi sono stati molto utili." E mi ha<br />

messo molto a disagio questa cosa! E mi ha salutato, ringraziandomi per quello che avevo fatto e io ho detto:<br />

"ma non è vero! Io gli ho solo insegnato quello che sapevo, ma è lui, suo figlio, che ha preso bene queste cose<br />

e le ha realizzate!" Io non c'entro niente, gli ho dato delle informazioni, ma è lui bravo! Sì, io dò un contributo<br />

di informazioni, poi magari anche di spirito: la serietà dell'insegnante è indispensabile. Ma io faccio solo il<br />

mio compito!”<br />

L’orgoglio, però, è anche unito all’umiltà, perché il maestro deve rimanere umile:<br />

“Essere maestri serve, perché l’allievo lo cerca questo ruolo, ne ha bisogno, ma dopodiché bisogna smettere,<br />

perché in realtà nessuno è maestro: bisogna rimanere sempre umili: se uno ti fa una domanda che non sai, dici<br />

“un momento, devo chi<strong>ed</strong>ere al mio maestro, poi le darò la risposta”.<br />

“Direi che si diventa maestri per vocazione, anche se a volte lo si fa per una gratificazione dell’io, per poi<br />

poter pensare che tu sei tanto bravo. Ed è un pericolo questo, perché distorce dalla via: aldilà di un giudizio<br />

morale, è un distaccarsi da quello che è l’insegnamento. L’insegnamento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan dovrebbe essere<br />

un continuo dare. Non si dovrebbe pensare all’insegnamento come a un ritorno, soprattutto per il proprio<br />

ego.”<br />

E a volte <strong>emozioni</strong> e sensazioni si fondono: non si capisce bene dove inizia l’una e finisce<br />

l’altra: questo capita per esempio quando parlano del rilassamento del corpo, che è anche<br />

calma della mente.<br />

“Per fare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan bisogna mettersi in uno stato psicofisico particolare, che è il rilassamento: ci vuole<br />

una mente calmissima, ma sveglissima, non che dorme. Un corpo rilassatissimo, ma non rilasciato. Quindi,<br />

l’idea è questa: che il corpo deve essere rilassato, ma dentro deve circolare il Ch’i. E questa è una sensazione<br />

molto difficile.”<br />

98


[L’intervistato sceglie l’immagine del volo come rappresentativa del suo modo di vivere il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan]<br />

“Mi esprime la libertà, mi sembra che qui tutti questi uccelli non stiano volando, ma siano trasportati dall’aria,<br />

si stiano lasciando andare. Mi piace molto questo abbandono nell’aria.”<br />

Altri esempi di stretta interconnessione tra <strong>emozioni</strong> molto forti e sensazioni poco<br />

comunicabili sono:<br />

“Fare per esempio la forma la mattina, in campagna, in mezzo alla natura, sentire il proprio corpo e respirare<br />

l'aria fresca: fare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan in determinati modi è piacevole, io lo faccio anche perché mi piace: sentire<br />

il proprio corpo in movimento è piacevole, è un'emozione positiva!”<br />

“Nel fare le tecniche di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, io, adesso, godo proprio! Al sentire questo pensiero che si esprime<br />

dentro, attraverso il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan! Ma è difficile spiegare, diceva il maestro Chang, a uno che non ha mai<br />

visto il mare quanto sia salato!”<br />

“Per me fare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è continuamente lavorare su questo: avere la consapevolezza di quando sono<br />

fuori asse, quando sono contratta, … e chiaramente se vado più a fondo, scopro che dietro a quella contrattura<br />

c’è un’emozione, qual è quell’emozione, a cosa è legata, e allora il lavoro diventa più profondo. E ci si arriva,<br />

anche con gli allievi, dopo un po’ di tempo che si lavora insieme.”<br />

Alcune <strong>emozioni</strong> dei maestri emergono soprattutto nella domanda semi-proiettiva: molti di<br />

essi infatti scelgono come rappresentativa del loro modo di vivere il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

l’immagine degli uccelli bianchi e neri in volo nel cielo azzurro (alcuni di loro nominano il<br />

volo come metafora per rappresentare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan addirittura nel discorso spontaneo,<br />

<strong>prima</strong> che gli venga richiesto di scegliere un’immagine!) e riportano come motivazione il<br />

senso di libertà che provano nel praticare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, il lasciarsi andare, il sentirsi<br />

lievi, il godimento, il top. Molti altri scelgono la tigre nell’acqua: perché è rilassata ma<br />

energica, perché il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è “come una tigre che dorme”, perché “in questo<br />

momento sta godendo… non è preoccupata, sta godendo, della sua vita!”. Un’altra<br />

immagine che ha riscosso un certo successo è quella del calzolaio- artigiano, perché “è un<br />

lavoro costante, meritorio, lungo nel tempo, meticoloso”, “per la cura dei particolari” e<br />

perché è “un’immagine poetica”. Anche le immagini della natura sono rappresentative per i<br />

maestri: “perché fare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è bello e piacevole”, perché “praticando T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan ci si sente parte del Tutto”.<br />

Ai maestri intervistati è stato richiesto di riflettere anche sugli effetti del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

sulle <strong>emozioni</strong>: mi sembra interessante anticipare che la maggior parte dei maestri non ha<br />

raccontato solo degli effetti sulle <strong>emozioni</strong> in generale o su quelle degli allievi, ma anche<br />

99


sulle proprie: non notano quindi una differenza sostanziale tra gli effetti che il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan ha sugli allievi e su di loro, in termini di <strong>emozioni</strong>:<br />

“Non capivo come mai, però io come iniziavo a fare certi tipi di esercizio, scoppiavo in un pianto convulso,<br />

come un bambino piccolo che non sa dire qual è il disagio, però dentro ce l’ha. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan l’ha fatto<br />

emergere. C’erano due strade lì: o scappavo e non mi presentavo più in palestra e quante volte avevo questo<br />

istinto, perché mi vergognavo di piangere di fronte agli altri. Questo succ<strong>ed</strong>e spessissimo quando si fanno<br />

certi tipi di lavori (lavoro coi gruppi, re-birthing,…): ce ne sono diversi e anche il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è uno di<br />

questi. Diciamo che se hai la fortuna di trovare il sostegno e la protezione di qualcuno, quando stai veramente<br />

male, qualcuno come io spero di essere per gli altri, allora ci riesci ad andare avanti!”<br />

“Se io sento di far parte del Tutto, e che quindi tutto ha uno scopo, anche le <strong>emozioni</strong>, le più forti si<br />

ridimensionano. <strong>Chi</strong>aro che ci sono ancora: sento il dolore se oggi ci sei e domani, tangibilmente, non ti v<strong>ed</strong>o<br />

più, ma se io sento che rientri nel grande Tutto e anche io sono lì, questo dolore diventa meno. Le religioni<br />

hanno tentato di spiegarla in diversi modi questa cosa: è l’accettazione della morte, che è il dilemma<br />

dell’uomo. Io sto lavorando su questo nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.”<br />

“Le caratteristiche ideali della relazione tra allievi e di quella maestro-allievi sono le stesse, salvo che dal<br />

maestro sarebbe logico aspettarsi una maggiore continuità rispetto a queste cose.”<br />

Riguardo all’investimento affettivo del maestro sugli allievi, riporto innanzitutto alcune<br />

metafore che usano i maestri per cercare di descrivere il loro rapporto. Alcune frasi<br />

intendono mostrare la differenza dal rapporto discepolo-maestro inteso in senso<br />

tradizionale:<br />

“La parola allievi non mi piace tantissimo, preferisco chiamarli “studenti”, perché studiano T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.”<br />

“Io nelle mie classi non ho mai, tendenzialmente, cercato e trovato un atteggiamento discepolo-maestro come<br />

era per gli antichi maestri cinesi; ho sempre cercato di stimolare la relazione tra allievi.”<br />

Altre metafore ci aiutano a cogliere come i maestri intendono il rapporto affettivo con i loro<br />

allievi:<br />

“Il maestro sicuramente si affeziona tantissimo agli allievi, ma bisogna cercare di mantenere un giusto<br />

distacco emotivo, quel tanto che basta per farteli sentire tutti e per capire quello che in quel momento ha più<br />

bisogno di attenzione rispetto ad un altro. Lì hai un ruolo e non è facile mantenere il giusto rapporto.<br />

Sicuramente la cosa difficile per l’insegnante è che tutte queste persone arrivano in palestra e tu sei un punto<br />

di riferimento. Tu inevitabilmente sei dall’altra parte in quel momento. Ecco perché cerco sempre di essere<br />

allieva almeno con qualcuno. Si ha bisogno ogni tanto di un maestro! Potrei dire che c’è sicuramente una<br />

relazione di grande simpatia con gli allievi, però amicizia è una parola grossa: tutti diventiamo un po’ fratelli,<br />

nel senso che stiamo facendo lo stesso percorso, ognuno a livelli diversi, ma se ci lasciamo noi insegnanti<br />

100


prendere troppo dalle <strong>emozioni</strong> non riusciamo più ad essere nella relazione di aiuto. C’è la proiezione, no? E<br />

allora devo mantenere il giusto distacco emotivo. Però, d’altra parte, non condivido assolutamente gli<br />

atteggiamenti dei maestri che dicono “io sono il maestro!”: per me il rispetto deve passare anche attraverso il<br />

riconoscimento.”<br />

“In Cina i praticanti si considerano fratelli: i più anziani sono come fratelli maggiori; significa familiarità.<br />

Anche se questo è ambivalente, perché significa anche chiusura verso l’esterno, chi non è della famiglia. In<br />

certi maestri c’è questa forma di gelosia, che è poi una chiusura. Per come la vivo io, questa familiarità è più<br />

un sentimento di affinità e affetto.”<br />

“C’è sempre questo legame che va al di là del fatto che ci si frequenti o meno: rimane questo legame.”<br />

“Per me sono tutti uguali, non c'è alcuna differenza. Io vengo da palestre in cui c'erano i preferiti: sono cose<br />

folli, che proprio non mi interessano assolutamente! È un po' anche questo un retaggio della mentalità cinese.”<br />

“Quando usciamo dalla lezione siamo amici, andiamo a mangiare una pizza, beviamo una birra e ridiamo.<br />

Quando facciamo il seminario, dopo la lezione, non è che io vado nella stanzetta e mi distacco da tutti! Vado<br />

al bar, facciamo l'aperitivo, facciamo una partita a bigliardino, ci si prende in giro; però quando c'è la lezione,<br />

io se fossi un allievo mi aspetterei professionalità. Cioè, piuttosto se non so una cosa ti dico che non la so.<br />

Anche a lezione però si ride: serve a catalizzare l'attenzione, a volte anche con una battuta. Prendersi in giro<br />

serve a riacquistare attenzione. Sdrammatizzare serve per capire che in fondo siamo lì per divertirci, per<br />

passare un'ora e mezza o due insieme ad altre persone, con uno che ti sta insegnando delle cose che ha<br />

imparato <strong>prima</strong>. Così la mente si sblocca, supera quel momento: è anche un lavoro psicologico interessante,<br />

quindi mi piace molto questo lavoro: non manipolatorio, ma di adattamento, di integrazione con il gruppo!<br />

D'altronde T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è Yin e Yang, quindi trasformazione dell'uno nell'altro e compensazione!”<br />

Un altro aspetto dell’investimento affettivo nella pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan concerne la<br />

rappresentazione che il maestro ha riguardo alle <strong>emozioni</strong> e i sentimenti che gli allievi<br />

provano nei suoi confronti: in questo ambito, nelle interviste spicca il sentimento di<br />

riconoscenza, di ringraziamento affettuoso. Un modo che gli allievi hanno per esprimere<br />

questi sentimenti è il saluto, che “implica un rispetto inteso in senso molto ampio nei<br />

confronti degli altri, siano essi compagni o maestri”; ma spesso gli allievi esprimono anche<br />

verbalmente questo riconoscimento: gli allievi parlano e si confidano con il maestro, anche<br />

se il grado di confidenza dipende molto dalla relazione esistente oltre la lezione. Alcuni<br />

maestri si dichiarano “a disagio” quando alcuni allievi esprimono una riconoscenza, che<br />

forse il maestro giudica eccessiva; in altri casi, dalle parole dell’intervistato traspare un<br />

sentimento di soddisfazione, un sentirsi riconosciuti nel loro lavoro e nella loro persona.<br />

101


Così come i “fallimenti”, gli abbandoni bruciano agli insegnanti: quelli che ne parlano<br />

intendono gli abbandoni come dei fallimenti della relazione: quelli che lasciano la pratica<br />

sono le persone che avrebbero più bisogno di stare in un gruppo, di sentirsi accolti nelle<br />

loro <strong>emozioni</strong>; sono quelli che si sentono emotivamente destabilizzati dalle questioni della<br />

pratica e non rispondono a questa “perdita di equilibrio” con l’accettazione della sfida, ma<br />

con la rinuncia, l’allontanamento.<br />

“Io ho avuto esperienza di persone che hanno cominciato a praticare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e dopo pochissime<br />

lezioni se ne sono andate e quando mi è capitato di capire o comunque di indagare e cercare di capire i motivi<br />

per cui se ne sono andate, il motivo spesso era una forte destabilizzazione emotiva. Cioè l’impatto emotivo è<br />

stato troppo forte e si sono ritirati. Il mio maestro ci racconta che spesso tra le persone che si avvicinano al<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, quelle che più sentono e hanno la necessità di praticarlo, sono le prime che se ne vanno. E<br />

questo è proprio un sintomo di quella destabilizzazione di cui le dicevo. Forse su di me questa<br />

destabilizzazione ha scatenato la curiosità, il piacere <strong>ed</strong> il gusto di praticarla; altri invece si spaventano.”<br />

Il coinvolgimento emotivo dei maestri con gli allievi è anche molto intenso, a volte; mi ha<br />

colpita molto un episodio che dimostra quanto un maestro possa sentirsi vicino ai suoi<br />

allievi, raccontato da un maestro in risposta alla mia domanda di narrarmi degli episodi<br />

significativi nelle sue relazioni con gli allievi:<br />

“Poi ci sono episodi strani, di “vicinanza del pensiero”. Per esempio, una volta vivevo un momento molto<br />

brutto e una mia allieva, che non poteva saperlo perché abitava lontano, mi scrisse un sms chi<strong>ed</strong>endomi “ma<br />

va tutto bene? <strong>Chi</strong>amami pure se hai bisogno” proprio in quel momento lì, sapeva che avevo bisogno, come se<br />

potesse esserci un altro tipo di comunicazione. Ma anche altri episodi e con altre persone, a volte succ<strong>ed</strong>e!<br />

Sono effetti collaterali della pratica carini. Dopo un po’ ho smesso di stupirmi di queste cose, perché può<br />

accadere, non è scritto da nessuna parte che deve accadere, ma è proprio per il principio che tutto ciò che ci<br />

circonda è della m<strong>ed</strong>esima sostanza, della m<strong>ed</strong>esima energia: quindi è possibile che si verifichino cose di<br />

questo tipo, però sono cose curiose!”<br />

Molti maestri avvertono anche un senso di responsabilità molto forte nei confronti del forte<br />

investimento affettivo degli allievi su di loro:<br />

“Tu sei un punto di riferimento.”<br />

“Il rapporto maestro-allievo, dall’allievo è vissuto con gran rispetto e quasi sottomissione, che per certi versi<br />

ha la sua utilità, per altri, può essere usata dal maestro per trattenere a sé gli allievi, per fini egoistici. È quindi<br />

da tenere in grande attenzione, in gran conto. Ma questa attenzione si riferisce sempre al maestro: se pensa<br />

che il suo insegnamento sia un modo per dare agli altri in modo disinteressato, non dovrebbe approfittarne.<br />

Però spesso non è così. Anche perché il maestro è umano! Quindi ha le sue contraddizioni. Generalmente<br />

102


sono piuttosto gelosi dei loro allievi e non amano che frequentino altri maestri. Questo può essere in parte<br />

giustificato, perché creerebbe confusioni nell’allievo.”<br />

“Dipende dalla persona che lo fa! Dicevo: ha una controindicazione se la persona ci specula. Ma non se lo fa<br />

con amore… Che se uno fa con amore quello che fa, non c’è cattiveria dentro, perciò non c’è speculazione,<br />

sia essa di tipo economico, o come plagio. Perché alcuni potrebbero usare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan come plagio<br />

verso gli studenti di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.”<br />

E da qui all’emulazione del maestro, alla perdita della propria <strong>identità</strong>, il passaggio è breve,<br />

ma lo analizziamo successivamente.<br />

Quasi tutti i maestri affermano però che gli allievi devono affidarsi al maestro, non in modo<br />

acritico, ma la fiducia è la base per poter apprendere qualcosa che è così distante dal nostro<br />

modo di vivere:<br />

“Sicuramente avere f<strong>ed</strong>e, nel maestro <strong>prima</strong> di tutto, se no farà molta fatica a imparare. E sicuramente il T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan rafforzerà questa f<strong>ed</strong>e.”<br />

“Non si dice nei primi tre giorni, ma visto che sono tante le cose da apprendere, una persona dovrebbe fidarsi<br />

del maestro. Che è difficile, perché la fiducia è una cosa forte!”<br />

I maestri e la cultura cinese<br />

La rappresentazione che i maestri intervistati hanno della cultura cinese è piuttosto<br />

variegata: nelle interviste ci si riferisce alla cultura cinese contemporanea come molto<br />

diversa dalla nostra per alcuni aspetti (molti parlano anche della diversità della pratica del<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan), ma omologata alla nostra da un punto di vista più generale:<br />

“Oggi in Cina hanno una visione occidentale delle cose anche per quanto riguarda le arti marziali. Lì è<br />

risaputo che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan giova anche alla salute, però è stata un po’ amputata la pratica nel suo<br />

insieme, ma questo un po’ da tutte le parti: è mantenuta la parte salutare, ma è amputata la parte marziale, che<br />

è più complessa, e quella m<strong>ed</strong>itativa, che richiama l’aspetto taoistico, che adesso in Cina non è molto<br />

accettato! Si può dire che la Cina si è adeguata molto all’occidente, non c’è molta differenza. Capita di trovare<br />

persone che praticano in modo tradizionale, ma è difficile trovarne! A livello di massificazione del T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan, direi che è tutto centrato sull’aspetto diciamo esteriore della pratica, salvo appunto gli aspetti m<strong>ed</strong>ici<br />

salutari, dove ci sono state ricerche di una certa serietà.”<br />

“Culturalmente, l’occidente è andato avanti: la tecnologia probabilmente ha dato agli occidentali quella spinta<br />

per andare avanti, con la condizione della donna, la condizione socioculturale. La globalizzazione la sta<br />

103


cambiando tutta: discoteche, Mac Donalds. Però là c’è ancora il culto della famiglia, da noi c’era 50 anni fa.<br />

Però la cultura orientale è sicuramente attualmente complementare alla nostra. Dovrebbe esserlo. Per esempio<br />

nella m<strong>ed</strong>icina: la m<strong>ed</strong>icina cinese, l’agopuntura, … funzionano, non su tutto! Come da noi la nostra<br />

m<strong>ed</strong>icina!”<br />

Alcuni maestri riconoscono anche una grande differenza nel metodo di insegnamento e<br />

apprendimento delle arti marziali tra la nostra cultura attuale e la cultura cinese antica:<br />

“Io ho avuto principalmente due maestri cinesi. Le differenze rispetto all'insegnamento sono che quello cinese<br />

è molto più “secco”: soprattutto la <strong>prima</strong> insegnante dava molto per scontato certe cose, che invece non lo<br />

sono in realtà; io con i miei allievi ne parlo in continuazione! <strong>Chi</strong>aro che anche loro poi si ammorbidiscono:<br />

quando il secondo maestro è arrivato in Italia era molto carico, molto forte, molto energico, molto più secco.<br />

Con il tempo ha capito che in Italia un certo tipo di atteggiamento è meglio non tenerlo, quindi negli ultimi<br />

anni si era ammorbidito molto.”<br />

Molti maestri si riferiscono anche alla diversità tra il pensiero occidentale e la filosofia<br />

taoista dalla quale ha avuto origine il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, ma riconoscono<br />

contemporaneamente un attuale convergere del pensiero scientifico occidentale verso<br />

alcune scoperte già avvenute secoli fa nel pensiero filosofico- scientifico orientale:<br />

“Nella cultura orientale, nel modo di v<strong>ed</strong>ere la vita del pensiero orientale, non c’è una separazione tra la<br />

mente <strong>ed</strong> il corpo, per cui si parla tranquillamente di qualcosa che si riferisce ad entrambi. Oggi in psicologia<br />

si parla di quello che viene definito “ascolto attivo”: si intende un modo di osservare una determinata<br />

situazione cercando di diminuire il più possibile i pregiudizi o quelle che vengono chiamate le “premesse<br />

implicite” e nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan si parla di “fare il vuoto”, per poter ascoltare il messaggio dell’altro senza<br />

che queste premesse implicite vadano a distorcerlo, ma senza, allo stesso tempo, perdere la propria<br />

centralità.”<br />

“C'è un abisso: il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sovverte completamente le nostre abitudini! Però non parlerei di mentalità<br />

e di cultura cinese, parlerei proprio di filosofia del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Intanto c'è una visione di unità del tutto,<br />

che manca completamente nella nostra cultura: alla base c'è la filosofia del Tao, in cui c'è un'interazione<br />

continua tra i due elementi e non bisogna mai pensare di poter tendere solo verso uno di essi. Mentre da noi<br />

c'è più una concezione di dualismo, siamo più separatisti, i due concetti sono separati. La stessa separazione la<br />

usiamo per trattare i fenomeni della mente e del corpo. Anche tutto questo continuo sforzo verso l'attenzione e<br />

una maggiore consapevolezza non esiste assolutamente nella nostra cultura.”<br />

Queste differenze nella filosofia, espressa nei testi classici del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, sono<br />

considerate dai maestri una ricchezza e tutti affermano che è stato difficile “farle proprie”,<br />

adottarle come stile di vita; però, dicono che quando le hai comprese veramente, cambia<br />

104


completamente il modo di vivere, di pensare, di sentire; e tutti vorrebbero condividere<br />

questo cambiamento con i loro allievi. Consideriamo quindi il rapporto personale del<br />

maestro con la cultura cinese:<br />

“Posso dire che noi tendiamo a razionalizzare tutto, anche le <strong>emozioni</strong>, tendiamo a usare preferibilmente<br />

l’emisfero cerebrale, mentre i cinesi hanno sempre dato molto ascolto a quel punto nella loro pancia che si<br />

chiama Tan T’ien e che è il sentire attraverso le <strong>emozioni</strong>. Allora, nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan si ritorna a scoprire che<br />

abbiamo altre capacità: un ascolto diverso da quello con le orecchie; una comprensione diversa da quella<br />

intellettiva; scopriamo che forse abbiamo una capacità di sentire attraverso qualcos’altro.”<br />

“I primi anni sembrava che per fare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan dovessi mangiare con le bacchette cinesi e possibilmente<br />

vestire come i cinesi! Quindi all'inizio è stata una immersione nella loro cultura; pian piano questa cosa è<br />

andata scemando, perché ho capito che soprattutto la Cina di oggi non aveva niente a che fare col T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan. Quindi il mio rapporto si è spostato sempre di più dalla cultura cinese verso il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Come<br />

mi sono trovato? È stato difficile: ho comunque dovuto, e devo tuttora, perché non è una cosa che si risolve in<br />

un breve tempo, stravolgere alcuni concetti e abitudini di vita per entrare nelle abitudini e nei concetti di vita<br />

del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan; è molto diverso. Per esempio è un modo diverso di entrare in relazione, perché nel T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan devi imparare a generare uno spazio dove lasciar entrare l'altra persona.”<br />

Rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e sviluppo delle capacità individuali: ordine di apparizione<br />

Nel corso dell’intervista ai maestri è stata posta questa domanda di approfondimento:<br />

“Su questi cartoncini sono segnati alcuni possibili aspetti su cui il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan potrebbe<br />

avere delle influenze. Le chi<strong>ed</strong>erei di guardarli con calma e di parlarmi liberamente degli<br />

effetti che secondo lei ha il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan su di essi. (Sui cartoncini ci sono le scritte:<br />

sulle <strong>emozioni</strong>; sulla consapevolezza di sé; sull’integrazione tra aspetti diversi; sulla<br />

relazione con il proprio corpo; sulla capacità di controllarsi; sulla regolazione delle<br />

<strong>emozioni</strong>; altro).”<br />

Vari maestri hanno spontaneamente disposto questi aspetti in un ordine preciso che secondo<br />

loro rispecchia l’ordine di comparsa degli effetti a seconda dei vari gradi di sviluppo e di<br />

approfondimento della pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. È molto interessante notare che l’ordine<br />

scelto è stato uguale per quasi tutti i maestri:<br />

1. Effetti riscontrati dai maestri relativamente al corpo (relazione con il corpo e<br />

consapevolezza in ogni sua parte)<br />

105


2. Effetti riscontrati dai maestri relativamente alle <strong>emozioni</strong> (capacità di dirigere le<br />

<strong>emozioni</strong> e capacità di controllarsi)<br />

3. Integrazione tra aspetti diversi (intesa come integrazione interpersonale del<br />

praticante con il “Tutto”).<br />

Riporto il discorso di un maestro che sintetizza molto bene quanto detto:<br />

“Intanto io li metterei in questa sequenza: Relazione col corpo, Consapevolezza di sé, Regolazione delle<br />

<strong>emozioni</strong>, Capacità di controllarsi, Integrazione tra aspetti diversi.<br />

Innanzitutto instaurare una relazione col corpo, che è un po’ anche la linea taoista: instaurare una relazione col<br />

proprio corpo, cioè conoscerlo: conoscere com’è fatto, come si muove, come lo muoviamo,… <strong>Chi</strong>aramente<br />

questo aumenta la consapevolezza del nostro stato fisico e già questo lavoro porta la mente al contatto con la<br />

dinamica della meccanica corporea. Questo è il primo strumento per cominciare a regolare le <strong>emozioni</strong>, cioè:<br />

l’emozione quando prorompe è perché ci sono delle vecchie situazioni congelate nei tessuti muscolari, che<br />

esplodono quando non vengono più schiacciate dalle situazioni quotidiane del carattere … e <strong>prima</strong> o poi<br />

sbottano, quando si viene a contatto con la sensazione di muoversi e di non poterle controllare; questi due, la<br />

liberazione dell’emozione e la capacità di controllarle, chiaramente sono una conseguenza del lavoro che fai<br />

col corpo, che aumenta la consapevolezza di sé e quindi la capacità di regolare in qualche modo l’emozione e,<br />

di conseguenza, di controllarci e di controllare; anche se controllare non è un termine molto bello, perché in<br />

realtà nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan noi non è che controlliamo il corpo, noi aiutiamo il corpo a liberarsi, a liberarsi del<br />

controllo. E tutto questo serve a portare all’integrazione tra aspetti diversi, soprattutto nel lavoro del T’ui<br />

Shou, nel v<strong>ed</strong>ere non tanto la diversità dell’altro, ma che l’altro è simile a noi: è un mettersi in relazione<br />

attraverso il contatto e l’ascolto, e l’alternanza tra i due, che è la cosa più difficile in quel momento: c’è<br />

un’unione tra i due, che si scambiano i ruoli: uno più attivo, uno più passivo, che si alternano; e c’è anche una<br />

dimensione di gioco, proprio per il contatto.<br />

Un maestro ha scelto un ordine diverso, ma questo mi sembra spiegabile anche per il fatto<br />

che ha inteso in modo diverso dagli altri maestri il significato dei cartoncini: in particolare,<br />

si è riferito alle “<strong>emozioni</strong>” intese come entusiasmo per la pratica e come benessere<br />

psicofisico, quindi le ha poste all’inizio della sequenza, come uno dei primi effetti che la<br />

pratica comporta.<br />

Altri maestri non hanno fatto riferimento ad un particolare ordine di comparsa, ma anche<br />

questi soggetti hanno parlato dell’integrazione tra il praticante e il Tutto come obiettivo<br />

finale del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e come un livello che si raggiunge molto avanti nella pratica; è<br />

molto poetica e significativa la metafora musicale dell’armonia, usata da due maestri per<br />

descrivere questa forma di integrazione.<br />

106


“Ci sono riuscito non attraverso una costrizione, un obbligarmi a, ma piuttosto attraverso il vibrare con<br />

un'armonia diversa rispetto alla vita, quindi quando si è sviluppata una percezione più armonica nell’insieme;<br />

perché non guardo a quell’omuncolo che sono, se mi guardo nei confronti dell'universo; ma se mi metto in<br />

sintonia e sviluppo una visione più allargata, tutto diventa più facile. Adotto una visione più allargata,<br />

umana.”<br />

“Quando fai T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan senti il profumo della libertà del muoversi… penso che un uccello goda<br />

volando, farsi trasportare dal vento… e lo stesso fa il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Io ho provato per esempio qualche<br />

settimana fa, alla festa delle nostre discipline, a fare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan con la musica e sentivo che si era<br />

proprio armonizzata…”<br />

Rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e gestione delle <strong>emozioni</strong><br />

Inizio a descrivere questo rapporto attraverso le parole di un maestro:<br />

“Maggiore rilassamento nella vita, cioè imparare a stare più rilassati o perlomeno a sciogliere subito le<br />

tensioni quando si generano, quindi anche una maggiore reattività nel senso positivo del termine, non la<br />

reattività meccanica, ma una reattività a partire dalla consapevolezza: c'è qualche cosa che mi ferisce, che mi<br />

urta e io non subisco, ma velocemente riesco ad avere il controllo della situazione.<br />

E secondo me lo sviluppo di queste cose non è dovuto solo all'aspetto marziale, del tipo “oggi mi so difendere<br />

e quindi mi sento più sicuro”, ma è dovuto all'ampliamento della visione interna, cioè alla presa di una<br />

maggiore consapevolezza, che porta a sviluppare maggiore rispetto per se stessi e meno paura: si conosce di<br />

più la vita.<br />

Per consapevolezza intendo la presenza, tanto per cominciare: io sono s<strong>ed</strong>uto in questa stanza e non mi<br />

dimentico che sono s<strong>ed</strong>uto in questa stanza. Mentre sono s<strong>ed</strong>uto in questa stanza mi accorgo delle mie<br />

tensioni fisiche, interne, mentali o emotive e posso cambiarle volontariamente. Poi c'è anche una<br />

consapevolezza dell'ambiente: percepisco che le cose sono colorate, cioè il calore e la qualità vibratoria<br />

dell'ambiente non mi sfuggono e allo stesso modo sento chi mi sta di fronte: quindi una presenza allargata, è<br />

contemporaneamente all'interno e all'esterno.”<br />

Nel testo si possono già notare alcuni effetti del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan riscontrati dai maestri<br />

sulla gestione delle <strong>emozioni</strong>, in termini di regolazione delle <strong>emozioni</strong>, di<br />

autoconsapevolezza emotiva e di modalità di regolazione delle <strong>emozioni</strong>; ora<br />

approfondiremo queste tre aree.<br />

Innanzitutto possiamo chi<strong>ed</strong>erci cosa intendono i maestri per regolazione delle <strong>emozioni</strong>:<br />

molti di essi parlano, in un primo momento, di “controllo”, ma si correggono subito dopo,<br />

107


affermando che questa non è la parola più indicata; allora le parole utilizzate sono “guidare,<br />

incanalare le <strong>emozioni</strong>”, “gestire la sfera emotiva”, nel senso di:<br />

“La capacità di esserci, nella vita, serve per non lasciarsi sopraffare da qualcosa che agisce e reagisce in modo<br />

del tutto meccanico e al di fuori di ogni possibilità di controllo, perché è la parte più veloce. Vuole dire avere<br />

l'unica chance di governare la sfera emotiva, di governarla o anche di non lasciarsi colorare completamente<br />

dall'emozione. Se pensiamo alle <strong>emozioni</strong> negative, la rabbia ingovernabile, la paura,… allora avere la<br />

possibilità di decidere di non vivere quell'emozione diventa importante. Di fronte a un'aggressione anche<br />

verbale, poter esserci <strong>prima</strong>.”<br />

La differenza tra “controllo” e “gestione” consiste nel considerare il controllo come un<br />

intervento del pensiero razionale: allora è impossibile controllare le <strong>emozioni</strong>:<br />

“L'emozione è troppo veloce [per essere controllata dal pensiero] e quando è arrivata è troppo tardi!”<br />

“Le <strong>emozioni</strong> negative sono la cosa più difficile da gestire, perché io non posso dire “io non voglio<br />

arrabbiarmi, adesso non mi arrabbio”; bisogna lavorarci moltissimo, perché è troppo rapida l’emozione,<br />

quando arriva io son già arrabbiato. Quindi bisogna essere molto preparati, lavorarci moltissimo!”<br />

La regolazione delle <strong>emozioni</strong> è ben rappresentata nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan dall’applicazione a<br />

due del T’ui Shou. L’emozione e la sua regolazione derivano dal movimento del corpo<br />

insieme a un’altra persona, che porta a sviluppare una maggiore consapevolezza del proprio<br />

corpo, della propria presenza e insieme una consapevolezza, intesa come riconoscimento,<br />

dell’altro; allora la regolazione consiste nella liberazione dell’emozione e anche nel<br />

controllo dell’emozione, che si alternano tra loro come nel T’ui Shou si alternano il ruolo<br />

attivo (ti attacco) e quello passivo (ti lascio attaccare, non reagisco, ma sono sempre lì).<br />

Anche la pratica a solo (la forma del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan) sembra avere delle influenze sulla<br />

capacità di regolazione emotiva:<br />

“Si parte dal controllo del movimento e si arriva a sentire il proprio corpo; poi si passa sicuramente dal corpo<br />

all’emozione e quindi diventa un controllo anche della propria emozione. La capacità di controllarsi si<br />

sviluppa in un modo o nell’altro: da un lato riporta al controllo quelle persone che non ne hanno, che non<br />

hanno confini e “strabordano” in continuazione, ma potrebbe essere anche un lasciarsi andare, per quelle<br />

persone che sono eccessivamente controllate.”<br />

Come avviene questa modificazione delle capacità di regolazione emotiva dei praticanti?<br />

Quali sono i fattori del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan che provocano questi effetti? Un fattore<br />

riconosciuto da tutti i nostri insegnanti è la forte concentrazione e consapevolezza che gli<br />

108


studenti di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sono costretti a sviluppare per poter praticare correttamente<br />

questa disciplina. Contemporaneamente, tutti i maestri sottolineano che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

è uno strumento come altri, che aiuta in questo lavoro, ma non ha doti magiche: è<br />

necessario anche un lavoro molto profondo e prolungato su di sé, che parte dalla<br />

quotidianità della pratica e arriva ad approfondire la disciplina molto oltre la semplice<br />

oretta di lezione!<br />

“E non basta dire faccio T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan per togliermi la preoccupazione, certo m’aiuta, però devo lavorare<br />

molto sull’emozione negativa. È uno dei lavori più difficili. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan aiuta perché quando uno è<br />

molto concentrato, dimentica tutto il resto. Ma bisognerebbe farlo tutti i giorni, magari per un quarto d’ora,<br />

concentrarmi!”<br />

“La cosa interessante del <strong>T'ai</strong> <strong>Chi</strong> è quel livello di presenza, di consapevolezza di cui si parlava <strong>prima</strong>, che<br />

portato a un buon livello di pratica e ricercato costantemente nella vita, ti dà quella capacità di essere presente<br />

<strong>prima</strong> che l'emozione si origini. Quella che nello zen è chiamato il qui e ora, che è importante anche nel <strong>T'ai</strong><br />

<strong>Chi</strong>. È un grande livello di presenza e di saper ascoltare l'avversario; però soprattutto la presenza: ci devi<br />

essere per sentire.”<br />

Tutto parte dall’ascolto del corpo, ma questo è solo l’inizio: è un “ascolto del corpo per<br />

liberare la mente” e questo ascolto del corpo “consiste nell’ascolto del movimento, ma non<br />

solo, anche nel sentire bene la postura: il radicamento, la struttura, le articolazioni.”<br />

Riguardo alla regolazione delle <strong>emozioni</strong> del singolo attraverso la gestione nel gruppo ne<br />

abbiamo già parlato nel paragrafo sul gruppo; qui riprendo un testo importante e sottolineo<br />

che, nonostante tutti i maestri riconoscano un ruolo importante alle relazioni tra allievi, solo<br />

una maestra ha riportato questa interessante modalità di gestione delle <strong>emozioni</strong>. Secondo<br />

questa insegnante, un'altra fonte di sostegno importante per la gestione delle forti <strong>emozioni</strong><br />

che emergono nella pratica è il maestro.<br />

“Senza volerlo, solo facendo una respirazione di tipo diaframmatico, alle persone si muovono delle <strong>emozioni</strong>.<br />

Quello che accade all’apparenza è che magari la persona comincia a diventare bianca, comincia a star male,<br />

potrebbe venire del pianto,… e allora lì bisogna aiutarli a entrare nella relazione di aiuto, fare da sostegno,<br />

tranquillizzare la persona e spiegare alla persona che cosa sta accadendo. Di solito si fa all’interno del gruppo<br />

e si fa spiegando che il gruppo diventa un sostegno, diventa l’utero e che quel pezzettino dell’emozione che si<br />

è mossa è servita per fare quel tipo di percorso. E questo accade spesso, se si lavora in un certo modo con il<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, però l’importante è sostenere la persona e farle capire che può succ<strong>ed</strong>ere. … Diciamo che se<br />

hai la fortuna di trovare qualcuno come io spero di essere per gli altri, se hai la fortuna di sentire il sostegno e<br />

la protezione allora ci riesci ad andare avanti!”<br />

109


Un’interessante modalità di regolazione delle <strong>emozioni</strong> riportata da quasi tutti gli<br />

insegnanti è sentirsi parte del Tutto: questo porta a un ridimensionamento delle proprie<br />

<strong>emozioni</strong>, perché l’evento emotigeno viene da una parte limitato nella sua importanza e<br />

dall’altra viene colto nella sua necessità. Per certi versi, la sensazione di fusione con il<br />

Tutto comporta anche il sentimento di sentirsi compresi (sia fisicamente che<br />

energeticamente).<br />

“Controllare è avere una consapevolezza acquisita in ogni cellula che se le cose accadono è perché doveva<br />

essere così e di conseguenza le tue <strong>emozioni</strong> nei confronti di quell’accadimento lì vengono ridimensionate:<br />

l’evento non diventa più abnorme. Questo non vuol dire che non si prova dolore per un lutto, per esempio, ma<br />

lo si vive con una consapevolezza diversa. Però ritengo anche che ci sia da fare tanto di quel lavoro su di sé<br />

che la pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan finalizzata a farlo una volta a settimana … io dico a volte: «dovrei<br />

chiudermi in un barattolo di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan!».<br />

“Le tue <strong>emozioni</strong> non ti fanno più trasalire. Te le esalta talmente, che fa come un chiodo che schiaccia chiodo,<br />

cioè le <strong>emozioni</strong> schiacciano altre <strong>emozioni</strong>. Non è che diventi asettico, eh! È che uno non è più angosciato…<br />

tipo l’innamorato angosciato perché è stato lasciato, ma anche un fallimento economico, penso che uno che ha<br />

studiato T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e che ha già molta crosta di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan addosso reagisce diversamente…uno<br />

che ha perso la casa <strong>ed</strong> è rimasto in mezzo alla strada e pensa “be’, ho perso tutto…faccio T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan!”<br />

dovrebbe essere così, ma è difficile ottenerlo.”<br />

“La consapevolezza del sé è importantissima, per l’autodifesa, se no non avremmo più difese. Ma nello stesso<br />

tempo la fusione con l’altro, col tutto, con la natura,… mi porta anche a saper gestire quelle <strong>emozioni</strong>, a volte<br />

troppo intense, che potrebbero farmi ammalare. Perché ci si ammala di <strong>emozioni</strong> troppo intense. E allora ecco<br />

che è un continuo scambio e integrazione con il tutto, fusione con il tutto.”<br />

Nelle parole di alcuni maestri, il sentimento di sentirsi “armonicamente integrati con il<br />

Tutto” non può essere scisso da una particolare modalità di respirazione, che deve essere<br />

profonda e “centrata nel ventre, in quel punto che i cinesi chiamano Tan T’ien”<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ci insegna a respirare. Respirare profondamente. Quello che si dice avere una respirazione<br />

bassa, cioè addominale, quella che si ha naturalmente quando siamo rilassati o quando ridiamo serenamente.<br />

Quando invece uno si spaventa o è arrabbiato, la respirazione è toracica. Dall’altra parte, quindi, se uno è<br />

impaurito, angosciato e inizia a respirare profondamente, mandando l’aria nella regione addominale del corpo,<br />

anche la sua emozione si calma. Uno non può essere arrabbiato, in pr<strong>ed</strong>a all’ira o a qualsiasi emozione<br />

negativa, in pr<strong>ed</strong>a alla paura, se ha la respirazione bassa. Per cui se anche viene un terremoto, uno deve<br />

respirare bene; è quello il difficile. Che quando uno è in pr<strong>ed</strong>a all’ira, la respirazione sale e allora il maestro<br />

diceva “sempre fare Ch’i basso, poi no paura”.<br />

110


“Provo delle sensazioni molto belle quando sento il corpo che sta entrando in armonia col respiro e anche con<br />

quello che sta intorno a te; è una sensazione molto bella, di libertà, poi ti svegli quando scendi negli spogliatoi<br />

e torni alle tue faccende… e lì è uno shock!”<br />

Una modalità interessante di regolazione delle <strong>emozioni</strong> è un altro tipo di modificazione del<br />

significato dell’evento, per cui il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan assomiglia alla gestione creativa dei<br />

conflitti:<br />

“La gestione creativa del conflitto prev<strong>ed</strong>e, attraverso l’ascolto attivo, una gestione dei conflitti che non è<br />

relegata al semplice “io ti attacco io mi difendo” oppure al “io ti attacco e tu mi attacchi”. Per cui è come<br />

trovare altre strategie e strade come il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan propone già. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan propone di lasciarsi<br />

andare, di non opporsi all’avversario, di non opporre la forza alla forza.”<br />

Rapporto tra movimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong><br />

“Se noi accettiamo l’idea dell’unità tra corpo e mente, capiamo che posso lavorare sull’atteggiamento emotivo<br />

anche lavorando sul corpo. Quando lavoro sulla postura, sul modo di tenere le spalle, i gomiti o anche il modo<br />

di coordinare certi movimenti, questo inevitabilmente tocca le <strong>emozioni</strong>, va a creare delle situazioni a livello<br />

emotivo.”<br />

“Questi movimenti vanno a lavorare sulla coscienza, sul profondo, sull’io e quando questo si produce a coppie<br />

e capisci che anche l’altro lo sente, si stabilisce una comunione che difficilmente si realizza con altre cose.”<br />

Nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan tutto muta continuamente: tutto il corpo continua a muoversi. In<br />

generale, “sentire il proprio corpo in movimento è piacevole: è un’emozione positiva”; ma<br />

il movimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan che tipo di movimento è? E quali effetti emotivi<br />

comporta?<br />

Nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, il movimento deve essere rilassato, ma non rilasciato;<br />

“Quello che si dovrebbe sviluppare nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è la c<strong>ed</strong>evolezza, come dialettica tra ascolto e<br />

azione.”<br />

“Il maestro Chang mi diceva di pensare al serpente: il serpente quando si muove è morbidissimo, i suoi<br />

movimenti sono lenti, rotondi; però non è molle; oggi diciamo morbido, ma morbido non dà l’idea. “Perché<br />

dentro c’è Ch’i.” Il serpente è un po’ il simbolo del Ch’i, perché si muove lento, ma si indovina un’enorme<br />

energia che c’è in questo corpo.”<br />

111


È un movimento marziale, perché “se uno non conosce l’applicazione marziale del<br />

movimento, che è il significato di un certo movimento, questo poco alla volta cambia: se<br />

uno non sa che l’avversario è di fronte, a un certo punto può girare la testa, anche solo per<br />

una questione estetica.” Qui però siamo interessati a v<strong>ed</strong>ere il movimento del T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan in rapporto alle <strong>emozioni</strong>.<br />

Il movimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è preciso e quindi ti dà un confine,<br />

“ma paradossalmente il fatto che questi movimenti siano sempre fluidi e circolari e senza mai interruzioni<br />

(proprio come dicono i cinesi: come si srotola un bozzolo di seta), fa sì che le persone con eccessivo<br />

autocontrollo (che sono le persone che quando le v<strong>ed</strong>e sono un po’ dei pinocchietti che si muovono, sono<br />

molto rigidi) sviluppino la capacità di lasciarsi andare.”<br />

È un movimento in equilibrio:<br />

“Per me il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è diventato la costante ricerca dell’equilibrio. Che però si sposta continuamente, è<br />

come il vento che sposta il filo d’erba, ma il filo d’erba ha una radice e la tendenza verso il cielo. Lui non lo<br />

sa, è solo un filo d’erba, però sta facendo T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan da sempre, tutta la vita!”<br />

È un movimento che coinvolge tutto il corpo e quindi sembra avere effetti di integrazione di<br />

sé:<br />

“All’inizio la nostra mente non sa stare contemporaneamente su due cose. E allora un esercizio con il corpo<br />

che ci fa fare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è quello di far “giocare il nostro cervello a ping pong”: sono qui sono là, sono<br />

qui sono là e poi tac, è come se ci fosse questa fusione tra l’alto e il basso, tra la testa e la pancia… attraverso<br />

esercizi specifici, che si chiamano “lavorare con l’8”. Dopo un po’ si ha la percezione di sentire questo<br />

movimento orizzontale che si trasforma in un movimento elicoidale che coinvolge tutto il corpo.”<br />

Per descrivere il movimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, molti maestri ricorrono alla metafora del<br />

volo, che indica la leggerezza, il lasciarsi andare, il muoversi insieme allo stormo.<br />

Alcuni insegnanti fanno anche fare esercizi “di fiducia”:<br />

“per esempio faccio fare degli esercizi in cui uno prende per mano un altro e lo porta in giro per la stanza ad<br />

occhi chiusi. Tutti questi esercizi, non sono modi usuali e previsti dalla nostra cultura e questo è<br />

destabilizzante, facciamo cose che non rientrano nella nostra visione.”<br />

Alcuni esercizi di movimento sono quelli a solo, cioè la forma del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e gli<br />

esercizi di respirazione; altri esercizi coinvolgono anche la relazione con un compagno, che<br />

implica sia il contatto fisico, sia un’alternanza dei ruoli.<br />

112


“Nel T’ui Shou c’è un continuo scambio di ruolo. Questo scongela delle situazioni di ruolo bloccate sul polo<br />

attivo o su quello passivo. Il movimento libera il corpo dal controllo, dalla rigidità del ruolo a cui è sottoposto<br />

nella vita quotidiana, perché obbliga il soggetto ad alternarsi con un altro soggetto nello svolgere un ruolo<br />

attivo/passivo. La liberazione dell’emozione e la capacità di controllarle sono una conseguenza del lavoro che<br />

fai col corpo … questo perché aiuti il corpo a liberarsi del controllo.”<br />

Rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e <strong>identità</strong><br />

Come già anticipato, i maestri non distinguono tra effetti del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sugli allievi o<br />

sulla loro stessa vita, anche per quanto riguarda l’<strong>identità</strong>: nel loro pensiero, allievi e<br />

maestri sono comunque praticanti di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan; solo che sui maestri, cioè su chi<br />

pratica da molto tempo, si presuppone che abbia un’influenza maggiore in termini di<br />

pervasività di ciò che è stato appreso nella pratica, che dovrebbe essere esteso<br />

maggiormente alla vita quotidiana.<br />

Una delle differenze maggiori a questo proposito è quindi nell’ambito dell’integrazione di<br />

quell’aspetto dell’<strong>identità</strong> che potremmo definire “essere un praticante di T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan” con gli altri aspetti di sé, che rientrano nella vita quotidiana: i maestri sono quelli<br />

che “hanno fatto qualche passo in più su questa strada, che è infinita, come il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan”. Un’insegnante usa a questo proposito una metafora molto eloquente:<br />

“Io dico a volte: «dovrei chiudermi in un barattolo di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan!».”<br />

I maestri, quindi, parlano della bellezza del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, degli effetti positivi che ha<br />

avuto sulla loro vita, e contemporaneamente avvertono la difficoltà di integrare<br />

completamente la filosofia del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan nella loro vita quotidiana:<br />

“è una sensazione molto bella, di libertà, poi ti svegli quando scendi negli spogliatoi e torni alle tue<br />

faccende…e lì è uno shock! E lì ti rendi conto che la libertà non esiste!”<br />

Però, più una persona pratica, con continuità, più sviluppa la sua capacità di integrazione;<br />

certo che praticarlo un’ora a settimana non basta! Bisogna praticarlo: conta la quantità e<br />

conta la volontà, l’impegno di applicare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan alla vita.<br />

“Penso che uno che ha studiato T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e che ha già molta crosta di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan addosso<br />

reagisce diversamente…”<br />

113


Un modo interessante di integrare meglio il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan nella propria vita è quello di<br />

insegnarlo:<br />

“Per me l’insegnamento è stata una fase per poter ricodificare tutto: dopo 20 anni di arti marziali ho capito<br />

che il salto di qualità potevo farlo solo mettendomi in discussione e riprovare a insegnare le cose dopo averle<br />

digerite.”<br />

V<strong>ed</strong>iamo ora più in dettaglio quelli che i maestri ritengono essere gli effetti del T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan sull’integrazione tra diversi sé. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan richi<strong>ed</strong>e e sviluppa<br />

l’integrazione tra diversi ruoli: ogni praticante alterna un ruolo attivo con uno passivo,<br />

come un parlare e un ascoltare; questo comporta l’integrazione di un modo di fare più<br />

c<strong>ed</strong>evole, morbido: l’integrazione del lato femminile in ogni persona.<br />

“Nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan in generale, c’è la cultura della c<strong>ed</strong>evolezza e questo è un modo per rivalutare un modo<br />

di fare più femminile anche nelle relazioni. E con questa cultura si trovano male alcuni uomini, che sono<br />

abituati a prevaricare e considerano questo come un diritto.”<br />

Alcuni studenti non riescono a integrare questi nuovi lati:<br />

“a volte questa scoperta di nuovi lati di sé spaventa troppo e allora scappano! Abbandonano la pratica.”<br />

Un altro aspetto che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan aiuta a integrare è la capacità di “sentire attraverso<br />

la pancia”, al di là della comprensione intellettiva, sviluppa la capacità di comprensione<br />

emotiva; questo è motivato anche dal fatto che “bisogna praticare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan con<br />

corpo, mente e cuore”.<br />

Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, quindi, ti aiuta a integrare diversi punti di vista e questo a sua volta si<br />

riflette su una maggiore capacità di integrazione con l’altro, nelle relazioni interpersonali.<br />

“Nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan si parla di “fare il vuoto”, per poter ascoltare il messaggio dell’altro senza che queste<br />

premesse implicite vadano a distorcerlo, ma senza, allo stesso tempo, perdere la propria centralità.”<br />

“La cosa che per me è diventata fondamentale è quella di lavorare su di me per integrarmi con l’altro. E a<br />

volte l’altro mi ha insegnato tante cose diverse. Ecco condivido che si pratichi il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan da soli per<br />

migliorare, ma mi fanno veramente ridere quelli che lavorano sull’aspetto esteriore e quindi la loro finalità è<br />

di fare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan bello, preciso, eccetera.”<br />

Nel T’ui Shou si diviene consapevoli del proprio tatto, della propria pelle, che è ciò che ci<br />

contiene e contemporaneamente ciò che ci permette di entrare in con-tatto con un’altra<br />

persona.<br />

114


Inoltre, il T’ui Shou comporta un ridimensionamento dell’io:<br />

“Nella cultura del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan non c’è l’idea di annullare l’io, ma c’è l’idea di ridimensionarlo, di<br />

ricollocarlo, soprattutto in relazione agli altri. Perché l’idea del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è che ognuno di noi fa parte<br />

di tutto ciò che ci circonda e interagiamo con tutto ciò che ci circonda e ne siamo parte in modo talmente<br />

profondo che non possiamo staccarcene.”<br />

Questo ci porta alla categoria seguente, cioè a un tipo di integrazione del sé diversa dalle<br />

prec<strong>ed</strong>enti: l’integrazione dell’individuo in qualcosa di sovraordinato, che è stato<br />

chiamato dai vari maestri in modi diversi, riassumibili nel concetto di Tao, di Tutto, … Per<br />

sentire questa integrazione nel Tutto è molto importante divenire consapevoli di se stessi e<br />

contemporaneamente della propria appartenenza a un insieme più allargato (“qui è un po’<br />

come stabilire se sia nato <strong>prima</strong> l’uovo o la gallina!”) e praticare la forma all’unisono con<br />

tutto il gruppo.<br />

“Allora il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan diventa un mezzo per comprendere tutte le altre cose; affronti anche le altre cose in<br />

modo diverso.”<br />

Il rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e integrazione tra mente e corpo deriva dalla stessa<br />

filosofia del Tao, per cui c’è una compenetrazione e una continua interazione tra elementi<br />

diversi; inoltre, nel pensiero orientale, tra mente e corpo non c’è alcuna separazione, che<br />

invece esiste nel nostro pensiero di occidentali:<br />

“Il bello del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, uno dei suoi scopi, è che in quell’ora che fai dovresti identificarti con te stesso,<br />

col tuo corpo, quindi raggiungere la consapevolezza del movimento che stai facendo e raggiungere questa<br />

comunione tra corpo e mente.”<br />

Il Ch’i, questa sorta di “energia psicofisica”, può quindi essere guidato nel corpo, in punti<br />

precisi del corpo (anche per la prevenzione e la cura delle malattie) dalla mente e viceversa,<br />

come testimonia la frase:<br />

“I Tao Ch’i Tao, Ch’i Tao I Tao: il pensiero guida l’energia, l’energia guida il pensiero.”<br />

Il Ch’i è un’energia che integra aspetti diversi (diversi almeno secondo la concezione<br />

occidentale) dell’individuo:<br />

“Questa energia “psicofisica” si esprime attraverso il corpo; ma c’entra anche la mente, perché la guida il<br />

pensiero; e poi c’entrano anche le <strong>emozioni</strong>, perché quando provi un’emozione percepisci di più l’energia.”<br />

115


L’integrazione tra mente e corpo, cioè il guidare il Ch’i nel corpo attraverso il pensiero,<br />

avviene attraverso la visualizzazione del proprio corpo:<br />

“Devi riuscire però a visualizzare quello che stai facendo. Tipo: se devo andare a muovere il gomito perché è<br />

valgo, allora faccio Ch’i Kung (che è già intrinseco al T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan): lavoro con l’energia. Solo che nel<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan c’è anche l’I <strong>Chi</strong>ng: il continuo mutamento.”<br />

E l’I <strong>Chi</strong>ng (il testo che ispira il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, che sostiene un continuo mutamento di<br />

tutto ciò che esiste) riporta a un aspetto intrinseco allo studio dell’<strong>identità</strong>: il sentimento di<br />

continuità del sé. La continuità è un concetto che ritorna spesso nelle interviste, anche se<br />

attraverso parole diverse:<br />

“Io consiglio sempre di cercare di essere costanti, afferrare ogni opportunità. Io ho avuto parecchi incontri e<br />

nulla nella vita è un caso … Adesso mi rendo conto che molti dei miei passi mi hanno portato in una direzione<br />

che non è stata casuale.”<br />

“Uno poi è, diverrà il risultato di quello che è stato. Se ha fatto T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sarà il risultato del T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan!”<br />

Un altro effetto del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sull’<strong>identità</strong> è dato dall’aumento di<br />

autoconsapevolezza. Un maestro mi ha descritto la distinzione tra tre tipi di consapevolezza<br />

sviluppati dal T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: una consapevolezza che ha la mente, una consapevolezza<br />

che ha il corpo, una consapevolezza che ha il cuore. Penso che il seguente testo sia troppo<br />

importante per poter essere sintetizzato e tagliato: lo riporto quasi integralmente per<br />

permettere una migliore comprensione del senso.<br />

“Io devo essere consapevole del corpo; di conseguenza quando faccio T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, devo essere<br />

consapevole di quello che faccio, devo sentire quello che faccio; e se non lo sento non sto facendo T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan. Quando io sono in una posizione (esempio, T’an Pien) devo essere consapevole di quello che faccio:<br />

la gamba è dritta? I pi<strong>ed</strong>i come sono, nella posizione giusta? Ho la sensazione della rotazione delle cosce<br />

verso l’esterno? Prima bisogna praticare e prendere coscienza del corpo, sentire il corpo, ogni parte del corpo.<br />

Devo sentirla, non dimenticarla. Allora, <strong>prima</strong> sensazione “osso”, diceva il maestro. Poi “muscolo”: come è<br />

giusto? Dopodiché devo prender coscienza della respirazione: respiro giusto? Che consapevolezza ho se non<br />

comincio a prestare questa attenzione?! Avere questa profonda concentrazione su questi particolari: <strong>prima</strong> del<br />

corpo, la superficie, i muscoli, il respiro. Dopo posso andare più in profondità e cominci, a partire dal respiro,<br />

a sentire l’energia che circola: sento l’energia che circola?<br />

Il secondo livello è la consapevolezza dell’energia: ho la sensazione che l’energia dalla terra salga lungo la<br />

parte interna delle cosce? Devo sentire lungo la parte esterna, l’energia che va giù. Se no, faccio un esercizio<br />

116


che potrebbe essere qualsiasi cosa fatta lentamente; che va bene come ginnastica così, ma in realtà non ha<br />

nessuna di queste implicazioni, che sono profondissime.<br />

Devo essere consapevole. Cioè, la mente deve intervenire: <strong>prima</strong> comandando al corpo, poi osservando, poi<br />

essendone consapevole. Poi la mente se ne può dimenticare, ma deve ricordarselo il corpo. Ossia, il corpo può<br />

essere consapevole senza la mente, indipendentemente dalla mente. Ci sono tanti tipi di consapevolezza: c’è<br />

sempre la consapevolezza della mente, che interviene e guarda tutto; la consapevolezza del corpo è un altro<br />

tipo di consapevolezza. Come memorie diverse: è lo stesso. Noi abbiamo una memoria della mente, del corpo<br />

e del cuore, che intervengono: una memoria emotiva, una intellettiva e una fisica. La memoria del corpo è<br />

molto più rapida; se uno deve suonare uno strumento, le dita sanno: la memoria è nelle dita, non è nella<br />

mente. Certo, per una miglior consapevolezza, bisogna mettere insieme tutto: la mente, il corpo e il cuore. È<br />

un lavoro lunghissimo! E questo è un lavoro che si può fare tramite il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Certo, quanti lo<br />

fanno? Pochissimi!<br />

Poi da qui, devi arrivare più in profondità, quella che anche tu forse hai chiamato “<strong>identità</strong>”, più in profondità,<br />

al proprio io. E allora devo sentire che devo tendere a quello che il maestro Chang diceva lo scopo supremo<br />

del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: cielo e uomo uniti una sola cosa. Allora mi rendo conto che, a seconda di quello a cui<br />

uno cr<strong>ed</strong>e, la mia energia, il mio io, il mio piccolo io è diventato il grande Io, il vero Io. E questo è lo scopo<br />

supremo, però se non c’è tutto questo lavoro! È così che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan diventa veramente una forma di<br />

m<strong>ed</strong>itazione, però passa <strong>prima</strong> dalla percezione fisica di quello che avviene nel mio corpo e anche intorno a<br />

me: percezione dei sensi fisici (vista, udito, tatto), dopodiché iniziano i sensi interiori, con l’immaginazione<br />

creativa.”<br />

Per acc<strong>ed</strong>ere a quest’ultimo scalino, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan come m<strong>ed</strong>itazione in movimento, è<br />

necessario che la mente entri in uno stato di supercoscienza, chiamato il “vuoto della<br />

mente”: è uno stato in cui la mente è estremamente sveglia, ma a un passo dal sonno. Per<br />

arrivare allo stato di supercoscienza,<br />

“ci vuole uno stato di intensa concentrazione mentale e solo dopo la mente si può vuotare <strong>ed</strong> è il momento in<br />

cui ho le grandi intuizioni: riesco a v<strong>ed</strong>ere contemporaneamente l’inizio e la fine.”<br />

Conoscere e sentire il proprio corpo è una competenza che si articola in vari aspetti, nella<br />

pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan:<br />

“conoscere com’è fatto il proprio corpo e come si muove”;<br />

“essere consapevoli della velocità del proprio movimento: a volte diamo le indicazioni di fare il primo Lu<br />

almeno, ma proprio almeno, in 4 minuti e ci si rende conto che i principianti in 2 minuti hanno già finito!”;<br />

“essere consapevoli di avere uno spazio vitale”;<br />

117


“essere consapevoli di quando si è fuori asse e quando ci sono delle tensioni muscolari”;<br />

“essere consapevoli di tutti i particolari del corpo e del proprio confine”.<br />

Questi vari aspetti della consapevolezza del corpo sono la base per poter continuare sulla<br />

via del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Concludendo:<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è uno strumento che ci porta dentro nell’ascolto di noi”<br />

Ascolto psicofisico di noi stessi, che coinvolge anche l’ascolto a livello emotivo.<br />

Rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e altri aspetti dell’<strong>identità</strong><br />

Altre relazioni importanti tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e <strong>identità</strong> dei praticanti, emerse dalle<br />

interviste ai maestri, riguardano il pericolo di perdita di <strong>identità</strong> degli allievi, l’incremento<br />

del sentimento di efficacia e autostima, lo sviluppo morale.<br />

Se il maestro non è guidato da buone intenzioni, potrebbe plagiare l’allievo e sostenere così<br />

la confusione identitaria dell’allievo:<br />

“Spesso gli allievi esprimono quello che si chiama “timore riverenziale”. E questo, se è fatto con coscienza,<br />

va bene. Le caratteristiche di entrambi dovrebbero essere l’umiltà e la criticità: se diventa acriticità non va<br />

bene… si diventa un po’ come soldatini. Questo non vuol dire contestare il maestro, ma non assumere i suoi<br />

vestiti, non parlare come lui: questo è un imm<strong>ed</strong>esimarsi, un vestirsi che equivale alla perdita della propria<br />

persona. Essere devoti non vuol dire rinunciare a se stessi.”<br />

“La persona può crescere, non è che deve emulare il maestro, ognuno deve trovare la sua <strong>identità</strong> di per sé;<br />

gradualmente una persona può prendere un percorso di vita diverso. Secondo me la relazione col maestro non<br />

deve essere troppo direttiva in questo senso, deve lasciare molto spazio all’allievo per riguardo alla sua<br />

crescita e lasciarlo confrontare con altre persone nella disciplina.”<br />

Però il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan può sviluppare molto il senso morale dei praticanti, proprio perché<br />

rende più consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni:<br />

“Penso che una persona non possa che migliorare spiritualmente facendo T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: c’è questa sua<br />

religiosità anche nel modo di agire. Diventi più sensibile, aumenti le tue capacità emotive!”<br />

Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sviluppa l’autostima, la sicurezza, la capacità di difendersi:<br />

118


“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è una disciplina basata sulla scommessa di avere ancora qualcosa di nuovo da imparare e,<br />

soprattutto con gli anziani, questo si riflette soprattutto sul piano psicologico: questo è stato l’elemento<br />

distintivo, ho notato, per l’aumento dell’autostima e della vitalità.”<br />

“Le donne hanno la possibilità di rivalutare il loro modo di fare più c<strong>ed</strong>evole e morbido: capiscono che il loro<br />

modo di fare può essere usato anche per difendersi.”<br />

Secondo i maestri, anche la trasmissione agli altri ha effetti positivi per insegnanti e allievi:<br />

“Quando la persona comincia a trasmettere quello che ha acquisito, si ha tutta una serie di effetti positivi: una<br />

maggior sicurezza, senso di autostima, una maggior fiducia nell’affrontare le cose della vita.”<br />

“Abbiamo visto gente che aveva mestieri umilissimi, però magari diventavano maestri di arti marziali, al di là<br />

del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, e questo ha dato una vera e propria <strong>identità</strong> a queste persone. Poi, noi non abbiamo mai<br />

pompato troppo sul fatto “io sono un maestro”, però il fatto di trovare un’<strong>identità</strong> è molto importante.”<br />

4.6. I risultati: analisi delle interviste agli allievi<br />

Concezioni dell’apprendimento e dell’insegnamento<br />

La motivazione per cui gli allievi hanno iniziato il corso di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, stranamente,<br />

non è molto varia: quasi tutti hanno iniziato per consiglio di un esperto (fisioterapista,<br />

agopuntore, m<strong>ed</strong>ico, amici,…), spesso anche come terapia imposta:<br />

“Ho accettato quello che mi è stato detto, cioè che poteva essere una cosa interessante, che fa bene alla mente,<br />

al fisico, alla salute, per cui mi sono avvicinato.”<br />

“Il tutto è partito da questa malattia, da questa forte ansia che non mi permetteva di mangiare e mi aveva quasi<br />

portato al limite dell’anoressia. L’agopuntore mi ha consigliato allora di fare un tipo di ginnastica, mi ha<br />

indirizzato al T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, che io non sapevo nemmeno cosa fosse.”<br />

La motivazione, per tutti, è cambiata notevolmente nel corso del tempo, divenendo più<br />

intrinseca, legata all’entusiasmo per il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e ai benefici effettivamente<br />

riscontrati:<br />

“Poi col tempo ho visto che mi dava dei benefici, mi aiutava a controllare l’ansia e così ho continuato e mi<br />

sono appassionata.”<br />

119


“Mi sono avvicinato e non l’ho più mollato! Ormai sono 4 anni!”<br />

“Il maestro mi richiama tante volte, ma io continuo a venire e ci metto la buona volontà che occorre!”<br />

“E io sono sempre lì a cercare questo Ch’i ben<strong>ed</strong>etto! E lei mi dice che non devo pensarci… come non devo<br />

pensarci?! Adesso sono in questa dimensione qua, di ricerca.”<br />

Le caratteristiche ideali per l’apprendimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, secondo gli allievi sono<br />

essenzialmente l’accompagnamento da parte dell’insegnante: alcuni si dichiarano molto<br />

soddisfatti dell’accompagnamento che ricevono a lezione, altri ne richi<strong>ed</strong>ono di più:<br />

l’accompagnamento richiesto è nella forma della correzione, della maggiore omogeneità<br />

delle classi per livello dei praticanti, in modo che si possa proc<strong>ed</strong>ere nell’apprendimento<br />

seguiti meglio, della riduzione del numero di allievi per classi: in tutte queste richieste (e<br />

sono tante!) si legge il desiderio di una maggiore attenzione all’apprendimento di ciascun<br />

allievo.<br />

“è un controsenso che un allievo desideri che il maestro lo riprenda! Invece per me la correzione è un modo<br />

per migliorare: possibile che non abbia niente da dirmi?!”<br />

“Lui fa già tanto, però dovrebbe avvicinarsi di più alla persona che fatica ad imparare a fare gli esercizi.<br />

Avvicinarsi alla persona qualche volta in più. Lui lo fa con qualcuno, ma non lo fa con tutti. Comunque non ci<br />

abbandona!”<br />

“Mi piace copiare da lui! Vado sempre davanti, così copio da lui!”<br />

“Mi piacciono le osservazioni, così miglioro!”<br />

Gli allievi desidererebbero anche avere più tempo nella loro vita quotidiana per praticare<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, in modo da poter apprendere di più:<br />

“Però le vacanze ti fanno perdere l’allenamento, e siccome il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è basato su apprendimento e<br />

ragionamento, bisognerebbe farlo anche durante l’estate nelle località di vacanza, ma questo non è fattibile;<br />

allora riprendendo da capo è come essere sempre al primo anno.”<br />

V<strong>ed</strong>iamo ora il pensiero degli allievi sul metodo di insegnamento (e apprendimento): se il<br />

desiderio è per maggiori attenzioni da parte del maestro, tutti affermano che è utile anche il<br />

lavoro di ricerca individuale, che dà ottimi risultati nei tempi lunghi:<br />

“Poi ho capito che lui è un bravo maestro, c’è poco da fare! Perché se veniva lui poi magari me lo<br />

dimenticavo, invece ho capito il movimento … ora cerco di farmi le domande e le risposte da sola!”<br />

120


“Il maestro adotta questo sistema di farti fare le cose, che inizialmente a me non piaceva, di andare avanti per<br />

forza senza capire quello che stai facendo e se lo fai bene o male; adesso ho imparato ad accettarlo come tipo<br />

di insegnamento, perché alla lunga dà i suoi frutti, ti annoia forse meno rispetto al fare un pezzettino per volta.<br />

E’ vero che all’inizio c’erano molti istruttori che lavoravano con i principianti a gruppi, facendoci v<strong>ed</strong>ere<br />

passo a passo i fondamenti e le posizioni corrette di mani e pi<strong>ed</strong>i. Adesso il maestro non fa così, ti fa andare<br />

avanti, ma alla lunga questo ha i suoi frutti, anche se ad alcuni piace e ad altri no. Adesso io, forse perché<br />

penso di avere acquisito alcune basi, faccio meno fatica a “scopiazzare”; magari per un principiante è più<br />

difficile.”<br />

La soluzione migliore sembra il compromesso tra la vicinanza del maestro e il suo<br />

allontanamento per lasciare libertà di sperimentare:<br />

“C'è un accompagnamento, a scuola io lo sento molto, a imparare a imparare; a tollerare l'inevitabile<br />

frustrazione che c'è quando “non mi viene ancora questa tecnica!”, quando non l'hai capita … [concretamente]<br />

io posso essere corretta dal mio istruttore, ma anche lui può essere corretto dal maestro; c'è un sistema a<br />

cascata, in cui viene supervisionato il lavoro del livello successivo. Quindi gli accompagnatori sono molto<br />

presenti, direi.”<br />

“Il suo metodo consiste nel portarci a fare i gesti come li v<strong>ed</strong>iamo da lui, ma non solo ripetendoli ma<br />

arrivandoci con la nostra memoria visiva: lui ci fa v<strong>ed</strong>ere un movimento più volte, poi noi dobbiamo<br />

ricordarlo senza che lui debba farcelo ripetere in modo “pappagallesco”.”<br />

Il compito del maestro è, in sintesi:<br />

“il maestro deve insegnare le tecniche innanzitutto, ma poi anche far capire all’allievo che è solo attraverso la<br />

ripetizione continua delle tecniche che potrà percepire quello che non si può insegnare, cioè potrà percepire<br />

l’energia, potrà diventare consapevole. Non è una cosa semplice, eh?!”<br />

“Il maestro dirige, pre-si<strong>ed</strong>e il cammino. Ma accompagna il cammino: cammina con. Se non c’è l’allievo, non<br />

c’è trasmissione; non c’è tradizione; non c’è evoluzione del sapere né apprendimento, che è reciproco.”<br />

Altro ruolo importante nell’apprendimento è quello dell’apprendimento tra pari:<br />

“Parliamo sempre di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, dei movimenti che il maestro ci insegna. Magari l’altra persona che mi<br />

ascolta dice “io questo non l’ho capito” e viceversa io. Io ripeto quello che non ha capito lei e lei ripete quello<br />

che non ho capito io. Ci aiutiamo, parlando.”<br />

Altre questioni interessanti riguardo all’apprendimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sono la<br />

questione del tempo, la conoscenza per identificazione e la concezione globale<br />

dell’individuo nel trattare l’allievo:<br />

121


“Viene favorito molto un atteggiamento di umiltà, un dire “sono in <strong>prima</strong> elementare e <strong>prima</strong> di arrivare<br />

all'università c'impiegherò un po' di tempo!”; viene molto sottolineato l'aspetto non veloce di ogni<br />

acquisizione vera. Questo è un aspetto fondamentale nello sviluppo dell'<strong>identità</strong>: ci vuole tempo! Anche per<br />

imparare un'arte.”<br />

“L’immagine del calzolaio mi fa pensare ad un lavoro di molta pazienza, quasi da certosino perché deve esser<br />

molto preciso. In generale ritengo il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan un lavoro in cui bisogna avere molta pazienza, fare le<br />

cose con molta calma, ci vuole tantissimo tempo per imparare le cose.”<br />

“La concezione orientale della conoscenza dice che essa avviene per identificazione. Questo avviene per<br />

esempio nell’imparare l’uso delle armi: è <strong>prima</strong> imparare ad avere in mano quell'arma e poi imparare a essere<br />

e diventare quest'arma: è un processo di progressiva identificazione, è un tentativo di entrare in risonanza, è<br />

un processo di profonda imm<strong>ed</strong>esimazione. Questo è un livello di conoscenza non intellettuale.”<br />

“C’è un altro arricchimento per chi frequenta una scuola così: è un invito più completo rispetto a fare quattro<br />

salti. Per esempio, uno può accorgersi che si innervosisce un po' troppo quando non capisce, quando non<br />

impara subito.”<br />

La finalità ultima del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è per alcuni una forma di elevazione, in questo caso<br />

il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è concepito come m<strong>ed</strong>itazione o come vera e propria forma di preghiera;<br />

per altri allievi, questa rimane sullo sfondo o è completamente assente nelle loro parole. In<br />

alcune interviste è dato un peso molto maggiore al sentirsi parte di un gruppo,<br />

all’ampliamento delle relazioni sociali (soprattutto tra gli anziani) attraverso l’accettazione<br />

dell’altro. Una persona pensa maggiormente alla finalità marziale del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

Altri godono del movimento e delle sensazioni prodotte dal T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, tanto che<br />

ritengono questa una delle sue finalità principali: il beneficio psicofisico prodotto.<br />

Ovviamente, il più delle volte, queste finalità convivono nella stessa persona.<br />

Gruppo <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong> nel gruppo<br />

Riguardo all’investimento affettivo sul gruppo con cui si pratica T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, nessun<br />

allievo parla di <strong>emozioni</strong> negative; tutti affermano di avere un buon rapporto con tutti, di<br />

aver stretto rapporti intensi solo con alcuni compagni, ma di avvertire un legame, anche se<br />

meno intenso, con tutti. In particolare, si sentono ben accolti nel gruppo, sentono di farne<br />

parte e queste nuove amicizie, nella vecchiaia, possono anche sostituire le amicizie del<br />

periodo prec<strong>ed</strong>ente di vita.<br />

122


“Quando mi trovo tra gli altri mi sento .. non importante, ma una di loro, come far parte di una grande<br />

famiglia! Questo è importante, il sentirsi qualcuno dentro un gruppo. Impari a non essere tanto esuberante e<br />

far affiorare il tuo io, perché in fondo sono tutti un po’ egocentrici, allora cerco sempre di frenare questo io, in<br />

fondo il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ti insegna anche queste cose.”<br />

“Tutti mi adorano, è un piacere perché mi chiamano con i diminutivi! Si v<strong>ed</strong>e che sono tenera, tutti mi dicono<br />

“come sei dolce!”, perché io invio dei messaggini che mi sembrano carini, adatti a una persona. E loro mi<br />

ringraziano, mi dicono “come sei cara, come sei dolce” e a me fa molto piacere!”<br />

“Io ho una bella relazione con tutti e sono, come dire, carini!”<br />

“Ho continuato a mantenere lo stesso orario non per abitudine, ma perché ci sono le stesse persone, sono un<br />

po’ abitudinario. Io non sono molto espansivo, quando c’è da conoscere altra gente … poi mi trovo bene con<br />

tutti.”<br />

“In generale le arti marziali, soprattutto il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, generano un po’ un effetto non di fratellanza, ma<br />

un po’ più di complicità che non di competizione che c’è nelle altre discipline. Devi essere più disponibile<br />

comunque al confronto anche con l’altra persona che frequenta, anche se è alle prime armi. Anzi,<br />

probabilmente il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan a me ha fatto scattare ad esempio la voglia di farlo v<strong>ed</strong>ere a qualcuno.”<br />

Risulta anche che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan favorisca la relazione: attraverso la condivisione di un<br />

compito comune e attraverso l’accettazione degli altri.<br />

“io sono socievole per natura, però il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan favorisce l’aggregazione perché accomuna: partiamo<br />

dal niente e arriviamo a qualcosa. E questo accade anche a persone diverse da me, più permalose.”<br />

“T’aiuta anche il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ad accettare anche le persone impacciate: ho imparato ad avvicinarmi con<br />

dolcezza e a fargli capire “non preoccuparti”, perché le persone se le riprendi si sentono anche mortificate,<br />

invece ho imparato a dare fiducia in se stessi.”<br />

“descriverei le relazioni tra allievi come solidarietà, cioè come consapevolezza di un compito comune sul<br />

quale c’è un sostegno reciproco.”<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan diventa un luogo di comunanza e di condivisione della vita, di incontro tra persone<br />

diverse. E sono quei tipi di solidarietà che si hanno poche volte: un altro esempio è quando si suona insieme,<br />

una sinfonia! Dove non ci si ritrova solo a eseguire delle note, ma ci si trova a vivere un'esperienza interiore<br />

ben più profonda, ovviamente comprensibile solo a chi la prova, difficilmente descrivibile; ma ci si incontra<br />

tra persone!”<br />

Le metafore usate sono “come suonare insieme una sinfonia”, quella di un “coro”, “una<br />

piccola comunità che si muove”; anche in queste interviste, inoltre, appare la metafora del<br />

“volo” per descrivere l’interdipendenza:<br />

123


“Ci si muove come tanti uccelli in volo nel cielo, in cui il movimento di ciascuno tiene conto degli altri. Cioè<br />

è importante lavorare individualmente nel raffinare le proprie tecniche, ma è molto importante anche imparare<br />

a muoversi insieme agli altri. Questo vuol dire adeguare la propria velocità, a seconda dei compagni intorno,<br />

… c’è questo rapporto tra componente individuale e di gruppo: cioè sono io, ma faccio parte anche di un<br />

gruppo. Non devo smettere di essere me stessa, ma devo riuscire a rapportarmi alle persone che ho intorno.”<br />

Alcuni allievi (quelli che sentono di più la valenza relazionale del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan) v<strong>ed</strong>ono<br />

nell’insegnante la figura che dovrebbe gestire il gruppo:<br />

“Il maestro ha un carattere abbastanza rigido, ma si sforza di essere accettato; col suo temperamento il<br />

maestro favorisce un po’ l’allontanamento delle persone permalose: dovrebbe fare un ulteriore sforzo. Certo,<br />

il lavoro di fare crescere una squadra è gravoso! Per cui i suoi atteggiamenti sono da capire, però anche lui<br />

dovrebbe cercare di essere meno impulsivo verso di noi…”<br />

“Una volta c'è stato un conflitto e l’insegnante mi ha fatto il lavaggio del cervello “voi non la dovete trattare<br />

così, non la dovete escludere!” E allora adesso questa mi adora e mi viene sempre vicino e in fondo la<br />

capisco, perché devi capire un po' anche quello che c'è dietro.”<br />

Sulla regolazione delle <strong>emozioni</strong> nel gruppo, oltre a ciò che si può cogliere nelle frasi<br />

prec<strong>ed</strong>enti, aggiungo che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è percepito come una disciplina che<br />

incrementa l’apertura di sé agli altri, quindi aiuta a relazionarsi e riduce l’ansia: questo per<br />

la semplice partecipazione a un’attività che si svolge in palestra, ma anche perché c’è una<br />

condivisione di esperienze emozionanti; alcuni imputano questo effetto anche al tipo di<br />

movimento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

“Il frequentare la palestra fa si che, anche involontariamente, si creino dei rapporti con altre persone: se non<br />

sei proprio un orso che vuole chiudersi nella caverna, per forza di cose devi socializzare.”<br />

“il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan t’aiuta anche ad accettare le persone: ho imparato ad avvicinarmi con dolcezza e a fargli<br />

capire “non preoccuparti”, perché le persone se le riprendi si sentono anche mortificate, invece ho imparato a<br />

dare fiducia in se stessi. Ora spero che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan mi aiuti a imparare a perdonare.”<br />

“Allora, il maestro una volta mi ha staccata dal gruppo e mi ha fatto fare un esercizio da sola e l’ho fatto bene<br />

e mi hanno applaudita! Non le dico, ero rossa come un peperone, però ero tutta emozionata, è stato bello quel<br />

momento lì!”<br />

“Praticare un’arte marziale, e soprattutto il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, sviluppa la disponibilità al confronto con l’altro,<br />

anche se è alle prime armi. Probabilmente perché c’è più una sua componente femminile che non maschile.”<br />

Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan influenza anche le relazioni sociali esterne alla palestra: l’entusiasmo è<br />

condiviso anche con gli esterni:<br />

124


“Parlo anche con le altre persone del mio cortile. Faccio pubblicità, in un certo senso. Mi piace parlare anche<br />

con le altre persone: loro mi ascoltano e io sento che vorrebbero farlo anche loro, però non hanno tempo!”<br />

Investimento affettivo sul maestro e sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

L’investimento affettivo sul maestro è notevole! V<strong>ed</strong>iamo subito degli esempi:<br />

[alla mia domanda: “Come descriverebbe la relazione che ha con il maestro?” una signora risponde,<br />

emozionata] “Dunque, ha messo proprio il dito nella piaga! Con il maestro ho un rapporto che mi dà<br />

soggezione, però mi piace quando mi insegna, mi segue. Ci tengo molto alle sue attenzioni nei miei confronti!<br />

Copio molto da lui, mi piace molto!”<br />

“Ho notato che guarda sempre verso di me, quando spiega … e questo mi fa piacere.”<br />

“Vorrei farle v<strong>ed</strong>ere che sono capace …”<br />

“Il maestro è più simpatico degli altri che ho conosciuto; è più … in sintonia con gli allievi.”<br />

Nei confronti del maestro c’è soggezione, c’è rispetto, c’è stima e c’è gratitudine, che però<br />

a volte è difficile da esprimere, forse perché è un’emozione molto intensa:<br />

“Arriva sempre nel profondo … capisce subito!”<br />

“Non gliel’ho mai chiesto … una volta ci ho messo dei mesi solo per chi<strong>ed</strong>ergli un numero di telefono!<br />

Pensavo sempre “no, adesso non è il momento!” … ma magari <strong>prima</strong> o poi lo farò!”<br />

“A livello personale, ci sono dei momenti che mi emoziona, perché la vorrei anche ringraziare: non l'ho mai<br />

fatto, <strong>prima</strong> o poi dovrò ringraziarla, perché penso che le faccia piacere. Però non ho ancora trovato il<br />

momento! Perché certe lezioni ti dà delle <strong>emozioni</strong>, ti coinvolge, ti dà tante cose! Come si può dire... quando<br />

tu non è che hai paura della persona, ma è un po' la paura di fare qualcosa di sbagliato che lei ti possa<br />

giudicare male. Mi inibisce un po’ da questo punto di vista. Mi dà questo senso di... rispetto, ecco!”<br />

Il rapporto con il maestro si estende oltre al rapporto tecnico tra un istruttore concepito<br />

secondo il senso occidentale e uno sportivo;<br />

“Il maestro tende a proporsi un po' anche come un maestro di vita.”<br />

“A seconda della persona che arriva <strong>ed</strong> il bisogno che ha di guida, avrà un rapporto, io dico, più o meno<br />

transferale! Quindi si affiderà con tutto se stesso piuttosto che no, questo dipende un po’ dalle caratteristiche<br />

dell'allievo e un po' anche da quello che vuole. Io noto che ci sono persone che investono di più e persone che<br />

investono meno: ci sono persone che hanno aspettative un po' grandi, un po' troppo grandi.”<br />

“Però direi che quello che è specifico di queste scuole è l'aspetto di scuola di vita, in cui un maestro va molto<br />

al di là dell'aspetto tecnico: è una relazione che si estende alla salute globale dell’allievo … c’è un invito alla<br />

coerenza di vita: ci si occupa della vita dell’allievo anche al di fuori dell’ora di lezione.”<br />

125


“Sicuramente ho molta stima per lui, sia per le sue conoscenze a livello di arti marziali, sia per le conoscenze<br />

di vita, di esperienze di vita che ha e ti può comunque trasmettere. Mi piace come persona, al di là della<br />

bravura come maestro nell’ambito della palestra, per come esprime le sue idee e le sue esperienze e per come<br />

ascolta le tue; ritengo che possa sempre darti un consiglio utile e valido su come agire o comportarti in<br />

determinate occasioni.”<br />

È interessante notare che come episodio più significativo, la maggior parte degli allievi<br />

sceglie di raccontare un episodio emozionalmente intenso, in cui c’è stata una condivisione<br />

di un accadimento e dell’emozione sia con il maestro che con il gruppo:<br />

“Il primo passaggio per la cintura nera: a parte l’agitazione per l’esame, è stato un momento top, è stato molto<br />

particolare e non sarà uguale al secondo passaggio di nera! Legato a questo c’è stato il momento in cui il<br />

maestro ti mette la cintura e c’è l’applauso: sono cose legate assieme, anche se è stato in due momenti diversi,<br />

perché l’investitura (se vogliamo usare un termine m<strong>ed</strong>ioevale!) è stata fatta il mart<strong>ed</strong>ì a lezione, quindi dopo<br />

due giorni dall’esame, con tutti gli altri.”<br />

“E tutti mi hanno applaudito e mi hanno detto che sono stata brava!”<br />

“c'è stata una ragazza che mi ha chiesto di farle v<strong>ed</strong>ere una cosa e io ho escogitato un modo diverso per<br />

farglielo imparare meglio e alla fine della lezione mi ha ringraziato, dicendomi “grazie, mi hai fatto imparare<br />

delle cose che non riuscivo a capire! Sei proprio brava!” E io le dico “non devi dirlo a me, dillo alla mia<br />

maestra!”<br />

In tutti questi casi c’è un riconoscimento dell’intenso lavoro svolto dall’allievo da parte del<br />

maestro e degli altri allievi; e c’è un riconoscimento da parte dell’allievo nei confronti del<br />

suo maestro, grazie al quale ha potuto apprendere ciò che lo ha portato a meritare questo<br />

successo.<br />

Anche l’investimento affettivo sul T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è importantissimo nei sentimenti degli<br />

allievi: molti affermano che inizialmente l’approccio alla materia è stato un po’ fr<strong>ed</strong>do,<br />

soprattutto quelli che l’hanno iniziato dietro consiglio terapeutico o come sostegno agli<br />

amici. Anche loro però, dopo questo primo impatto, hanno cominciato ad apprezzarlo<br />

sempre più, si sono sentiti sempre più coinvolti, fino ad esserne entusiasti, ad avere sogni<br />

riguardo al loro futuro di praticanti e a non volerlo più lasciare, perché lo sentono come una<br />

parte integrante della loro vita.<br />

“Questa piccola cosa, questi piccoli esercizi sento che hanno migliorato la mia vita. Poi, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan mi<br />

consola, mi consola proprio.<br />

126


I primi tempi non ero entusiasta, mi sembrava una perdita di tempo. Una volta ho detto anche “non vengo<br />

più”. Poi invece mi sono entusiasmata e adesso vengo con entusiasmo, con volontà e quando il maestro dice<br />

che la lezione è finita, mi dispiace perché nel momento più bello dice fine. Per me un’ora è poca, per dire!”<br />

“L’intenzione è quella, un domani, di aumentare la frequenza e forse fare anche il corso istruttori!”<br />

“Mia figlia mi dice che, in futuro, quando andrà via, potrei anche aprirmi una palestra e insegnare il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan! Ma … io penso che se riesco a superare l’esame di istruttore è già tanto!”<br />

“Ora spero che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan mi aiuti a imparare a perdonare.”<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è come una calza che mi va bene!”<br />

“Mi piace il suo riferirsi alla legge dell’uomo: mi piace perché è una metafora della vita.”<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è tutto bello! È come una musica, un’armonia: ti fa provare un senso di pace e di presenza<br />

mentale”<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è la mia oasi di pace, perché mi dà questo senso di tranquillità, di tempi normalizzati: è la<br />

cosa che mi piace di più e a cui non voglio rinunciare.”<br />

Rapporto tra movimento <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong><br />

Le caratteristiche del movimento, che hanno in vario modo effetto sulle <strong>emozioni</strong>, nei<br />

resoconti degli allievi sono:<br />

è un movimento rilassante e piacevole:<br />

“Ti fa capire che la vita è fatta anche di queste cose piacevoli!”<br />

“Sono movimenti molto lenti che però ti consentono di volare, quindi di avere questa forza, ti dà l’idea di<br />

esserti alleggerito, il fatto di poter volare sciogliendo tutte le tensioni.”<br />

“Può avere degli affetti di rallentamento delle onde cerebrali; pare che nella prevalenza di onde Alfa ci sia un<br />

effetto di rilassamento psicofisico, un cambiamento dello stato d’animo, una migliore capacità di<br />

visualizzazione e di rigenerazione della mente, una maggiore creatività e una migliore flessibilità mentale.”<br />

È un movimento lento, ma complesso, gli allievi di età più avanzata dicono a riguardo che<br />

ti fa sentire padrone del tuo corpo e più abile:<br />

“tenevo le braccia in modo sbagliato e non capivo, poi ho imparato e questo mi ha emozionato! E ora un<br />

po’… mi vanto!”<br />

127


“Mi riesce molto bene, mi dà soddisfazione e mi aiuta moralmente e fisicamente.”<br />

“La parte della lezione che mi piace di più è quella accoppiata alla descrizione storica dei movimenti. Noi<br />

perché teniamo le mani così? Potremmo immaginare di essere noi i padroni del mondo, il mondo è tondo, e lo<br />

facciamo muovere e lo governiamo.”<br />

“Quando sento la radio mi muovo, perché a me piaceva ballare quando ero una ragazza, mi muovo e penso al<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Mi viene proprio la voglia di muovermi, mi piace. Sento di essere più spontanea nel<br />

movimento!”<br />

È un movimento interdipendente:<br />

“come in un volo, mi muovo da solo, ma tenendo conto degli altri compagni che si muovono insieme a me.”<br />

Un’allieva descrive anche alcuni esercizi specifici di respirazione, che migliorano il suo<br />

stato di salute psicofisica, riducendo l’ansia e quindi la sensazione di chiusura dello<br />

stomaco.<br />

Un’altra allieva descrive il movimento che le piace di più di tutta la pratica del T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan: questo è un movimento rotatorio, ma a parte le sue caratteristiche fisiche, dice che<br />

è un movimento che ha appreso in una situazione emotiva particolarmente intensa, in cui è<br />

stata aiutata dal maestro.<br />

Il movimento del T’ui Shou e delle applicazioni a due in generale è descritto da un allievo<br />

come il movimento più coinvolgente perché più complesso e da un’altra allieva viene<br />

descritto così:<br />

“C’è un incontro con tutto il mondo di un’altra persona, che mi sta di fronte. È un contatto fisico e anche<br />

attraverso lo sguardo, che è, in tutte le culture, il luogo dell’energia mentale <strong>ed</strong> emotiva. È quindi un incontro<br />

tra le energie mentali delle due persone.”<br />

“È stato solo quando la mia mano, il mio polso era unito al polso di questa persona qui davanti, mi prendeva il<br />

braccio e io gli prendevo il braccio, io inspiravo e lui espirava e viceversa: è stato solo allora che io ho capito<br />

che sono ancora contratta nella zona delle scapole. Questo per dire come è molto interessante questo secondo<br />

livello, di esposizione al mondo dell'altro: si imparano tante cose su di sé e sull'altro.”<br />

128


Rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e capacità di gestire le <strong>emozioni</strong><br />

Potremmo descrivere sinteticamente questo rapporto attraverso le parole enunciate da un<br />

allievo:<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ripristina una calma interiore.”<br />

In particolare, gli allievi parlano degli effetti che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ha avuto sulla loro<br />

capacità di regolare alcune <strong>emozioni</strong> in particolare: la rabbia, l’ansia, la tristezza; inoltre<br />

vari soggetti riportano uno sviluppo della tenacia.<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan mi ha aiutato, non subito ma almeno da due,tre anni a questa parte, a prendermela meno<br />

per le cose, lasciando che gli eventi vadano comunque per il loro corso, a rendermi conto che non posso fare<br />

sempre tutto entro lo stesso giorno: faccio le cose nel limite del possibile ma non posso farmi in cinquanta!<br />

Cerco di prendere le cose con più tranquillità senza farmi prendere dall’ansia. Nello stesso tempo, quando<br />

comunque sono stressata, ad esempio per le scadenze molto importanti per il mio lavoro, mi aiuta ad<br />

autocontrollare questa ansia.”<br />

“Ora che faccio T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sono diversa, non sono più quella di <strong>prima</strong>. Ho migliorato in qualcosa e il<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan mi ha aiutato in questo. Ho mandato via il nodo dei giorni tristi, sono più contenta, più<br />

distratta, meno chiusa e il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan mi ha aiutato molto in questo. Quando vado a casa mi sento bene!”<br />

“L’autocontrollo è, che so, il non dire una parola di troppo a una persona. Se lo fai di proposito, sai che a<br />

quella persona non devi dire certe cose, non gliele dici, però ti devi sforzare. Invece la capacità di controllarsi<br />

senza che tu te ne renda conto, allora sì, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan può aiutarti in questo, che è diverso, però! Il T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan ha migliorato questa cosa. Non sono io che volontariamente smetto di comportarmi in un certo<br />

modo aggressivo, ma mi viene naturale. Perché se io l’avessi fatto volontariamente quella tensione che<br />

accumulavo durante il giorno mi sarebbe venuto, che so, il mal di testa!”<br />

“Ho imparato a starmene più calma, più tranquilla!”<br />

“Ho imparato a non demordere, a continuare, a essere umile e a non gasarmi.”<br />

“Ho capito che bisogna lasciarsi andare e non trattenere le <strong>emozioni</strong> per far v<strong>ed</strong>ere che sei forte.”<br />

Quali modalità di regolazione vengono sostenute attraverso la pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan?<br />

Gli allievi riportano il sostegno da parte del gruppo e dell’insegnante, l’avere un impegno<br />

che da una parte fa sentire utile e realizzata la persona e dall’altra normalizza lo spazio-<br />

tempo nella vita quotidiana, l’apprendimento di una modalità di respirazione più corretta e<br />

distensiva, la possibilità di interpretare diversamente gli accadimenti.<br />

“Mi ha aiutata ad alzare la testa, attraverso il sostegno dell’insegnante e il sentirmi parte di un gruppo.”<br />

129


“Mi impegna la giornata, sento di fare qualcosa in cui mi sento utile.”<br />

“Ho provato anche a piangere i primi tempi, perché non capivo il maestro! Mi è venuto un nodo alla gola<br />

perché mi sentivo un asino! La volta dopo, la mattina, il maestro mi ha chiesto: “ha portato i fazzoletti?!”<br />

“In generale mi aiuta a normalizzare la mia vita, mi dà uno spazio di tranquillità che normalmente non ho,<br />

perché la mia giornata quasi sempre è molto stressante; almeno in quell’ ora in cui faccio T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

normalizzo i miei tempi, non faccio tutto di corsa!”<br />

“Mi ha aiutato anche a socializzare meglio con le persone: per la paura di stare male io non cercavo di creare<br />

rapporti, di uscire, di parlare con gli altri; questa paura mi imp<strong>ed</strong>iva di fare una vita normale. Il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan mi ha aiutato a risolvere poco alla volta questo problema. Mi ha cambiato radicalmente nei rapporti<br />

sociali, ad aprirmi. Probabilmente proprio la pratica fisica mi ha aiutato facendomi sentire meglio, e<br />

aiutandomi a superare l’ansia perché mi ha insegnato a respirare come si deve! Di conseguenza è migliorato il<br />

mio umore, la mia voglia di vivere, è venuto un po’ tutto da solo; inoltre il frequentare la palestra fa sì che,<br />

anche involontariamente, si creino dei rapporti con altre persone.”<br />

“Riuscire a respirare meglio e quindi a controllare la rabbia mi ha aiutato, a sua volta, nei rapporti con gli<br />

altri.”<br />

“Prima dovevo scaricare la tensione sbottando, adesso riesco ad evitare di farlo: ne parlo più tranquillamente<br />

rispetto a <strong>prima</strong>.”<br />

“Prima ero molto rissosa, anche qui in casa, se le cose non funzionavano urlavo e “prendevo a martellate”!<br />

Invece adesso sono cambiata: lascio perdere oppure ritorno sui miei passi a distanza di tempo e magari risolvo<br />

i problemi. Io penso che sia anche perché ho trovato la pace in me stessa, è un autocontrollo che sono riuscita<br />

a trovare in me stessa.”<br />

“Impari a prendere le cose nella giusta misura, a guardarle dall’alto, in modo più distaccato.”<br />

“Non c'è solo una rivelazione a se stessi di quello che avviene a livello emotivo, ma anche il fornire degli<br />

strumenti per rimuovere gli stati non salutari, quindi <strong>ed</strong>ucare un’emotività creativa e positiva; perché un<br />

rilassamento ricercato e perseguito attraverso il corpo, produce uno stato mentale di tranquillità, quella quiete<br />

che consente uno stato di vipassana, la chiara visione di come stanno le cose, quindi la collocazione nella<br />

realtà in maniera oggettivamente ricettiva. Per questo dicevo che è un'interpretazione euristica, perché<br />

consente un'interpretazione ermeneutica più accurata di quello che vivi, attraverso la pratica. Questo è un<br />

effetto rilevabile, non imm<strong>ed</strong>iatamente certo!<br />

Apre a una molteplicità di sfumature diverse, a una possibilità di interpretazione ulteriore. Ti permette una<br />

capacità di v<strong>ed</strong>ere le cose in maniera più ampia, più ricca, perché non è definita in modo stretto, ma evocata<br />

per analogia: quindi consente un approccio analogico e una duttilità mentale. È un allenamento delle<br />

ulteriorità dei significati: nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è stimolato il circolo ermeneutico.”<br />

130


Riguardo all’autoconsapevolezza emotiva, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ha quindi l’effetto di<br />

sviluppare la consapevolezza delle tensioni e anche di fornire degli strumenti per attenuarle<br />

e “scioglierle”:<br />

“Io ho cominciato a rendermene conto solo facendo T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e il fatto di incominciare a sentire e<br />

percepire queste tensioni in qualche parte del corpo (tensioni dovute a motivi assurdi e che non avevano<br />

ragione d’essere) e riuscire ad allentarle (che è il passo successivo) è stato fondamentale per me! Il fatto di<br />

essere più rilassati, a livello generale, non solo fisico ma anche psichico, si ottiene con l’esercizio.<br />

<strong>Chi</strong>aramente però con due ore alla settimana non è che può avere lo stesso effetto di avere interrotto una cosa<br />

che stressava da 30 anni. In piccolo, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, fa questo e applicato in dosi un po’ più massicce ha<br />

degli effetti notevoli!”<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan aiuta a divenire consapevoli delle <strong>emozioni</strong> che si vivono e trovano nel corpo un luogo di<br />

rivelazione: il corpo rivela quello che viviamo … grazie all'esercizio si entra in una dimensione di attenzione,<br />

di presa di consapevolezza dinamica, non statica, in quella precarietà dell'equilibrio che continuamente va<br />

ricercato e con un'attenzione alla fluidità dei movimenti.”<br />

Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è in relazione anche con il sentimento di riuscire e l’emozione dovuta<br />

all’esibizione:<br />

“… alla fine siamo rimaste a farlo in due oltre all’insegnante e mi sentivo al centro dell'attenzione! E lì<br />

l'emozione fa dei brutti scherzi! Però sono riuscita ad arrivare fino in fondo! Sentivo le gambe che tremavano<br />

per l'emozione, però ho vinto, sono arrivata fino in fondo!”<br />

“Sono contenta, mi sento realizzata, cioè mi sento che sono, mi scusi l’espressione, un po’importante, che so<br />

fare qualcosa in più, data la mia età, che non ho mai fatto in vita mia, insomma mi sento bene con me stessa!<br />

Mi vanto, mi scusi la parola, in un certo senso, e mi piace!”<br />

“Uso sempre questo episodio per ricordarmi di essere riuscita a superare questo periodo buio della mia vita.”<br />

Rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e <strong>identità</strong><br />

Riferendosi strettamente al proprio vissuto, gli allievi descrivono questo rapporto<br />

approfondendo tutti i campi previsti nel razionale. Gli effetti da loro percepiti<br />

sull’integrazione tra diversi sé sono:<br />

“all'inizio il principiante che fa T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan impara a muovere il corpo e le braccia, poi dovrà entrare<br />

sempre di più in questo movimento e raggiungere la calma, la consapevolezza di sé e se possibile uno stato<br />

m<strong>ed</strong>itativo: questo è il livello maggiore di identificazione con il movimento. Analogamente, nell'utilizzo di<br />

131


un'arma, <strong>prima</strong> ci sarà l'attenzione su come la impugno, come la muovo nello spazio, com’è la mia<br />

coordinazione corporea; poi è come se io e l'arma diventassimo un tutt'uno. C’è una maggiore integrazione:<br />

nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan si guadagna in interezza: sono tutt'uno con l'arma, sono tutt'uno con la persona davanti a<br />

me, sono tutt'uno anima-e-corpo mentre sto muovendo il mio corpo. Forse, il termine più adeguato potrebbe<br />

essere non identificazione, ma integrazione, mettere insieme parti o aspetti diversi [sottolineo che<br />

l’intervistata ne sta parlando <strong>prima</strong> della presentazione dei cartellini da parte mia]. E in questo senso, le<br />

pratiche sportive del mondo d'oggi sono profondamente disarmoniche: non favoriscono l'integrazione, ma<br />

favoriscono la dissociazione, secondo me, cioè lì sono invitata a dissociarmi da quello che sto facendo e non a<br />

essere più integrata!”<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan si pone alla confluenza dei saperi dell’uomo, cioè integra l’aspetto di mente-corpo-spirito,<br />

perché integra le conoscenze in campo fisiologico, psicologico-<strong>ed</strong>ucativo e rientra anche in quel complesso<br />

mondo dell'interiorità, che è la cura della spiritualità. Si pone come sintesi dei saperi sull’uomo e in questo<br />

modo aiuta una visione più ampia e nell’ottica della complementarietà, non dell’esclusione vicendevole.”<br />

“Un maestro dovrebbe insegnare due cose che sono apparentemente in contraddizione, ma uno dice l'altro. Il<br />

coraggio e l'umiltà. L'umiltà, che deriva da humus, significa la consapevolezza della propria realtà, l'essere<br />

con i pi<strong>ed</strong>i per terra. E il coraggio invece è la magnanimità, essere protesi verso l'alto. Fare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

comporta proprio questo: stare coi pi<strong>ed</strong>i per terra e la testa mandata verso l'alto!”<br />

Gli effetti percepiti dagli allievi sull’integrazione tra mente e corpo sono:<br />

“Gli esercizi fatti col corpo, soprattutto quelli di respirazione, mi aiutano a controllare questi stati, soprattutto<br />

la rabbia, che era poi quella che mi rodeva il fegato e mi faceva stare male; non riesco a controllare ad<br />

esempio la commozione …”<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, paragonato all'aerobica e allo step, dove c'è uno stereo altissimo, la proposta di fare la<br />

cyclette con dei video,… è molto diverso: qui c'è silenzio, c’è concentrazione, c’è intensità, c'è un'unità<br />

psicosomatica, cioè c’è un corpo che viene invitato a collegarsi a una mente per fare qualcosa. C'è un invito<br />

ad essere interi, a unire l'interno con l'esterno.”<br />

In merito alla relazione tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e autoconsapevolezza, abbiamo già visto che<br />

la pratica aumenta la capacità di percepire e di allentare le tensioni psicofisiche; sviluppa la<br />

sensazione del corpo e anche la percezione delle sue esigenze; inoltre aumenta la capacità<br />

di concentrazione e contemporaneamente distrae dalle preoccupazioni:<br />

“Ho imparato a conoscere il mio corpo, anche se non ancora del tutto.”<br />

“Mi dà un senso di consapevolezza di quello che sto facendo in quel momento.”<br />

“Sviluppa la consapevolezza biomeccanica del movimento e quindi la consapevolezza di come il corpo vive e<br />

di cosa si vive attraverso il corpo.”<br />

132


“… due infermieri mi tenevano a forza e il m<strong>ed</strong>ico diceva “siamo pronti!”. Allora io ho detto “no, scusi non<br />

sono pronta io!” Cr<strong>ed</strong>o che sia intervenuta la mia esperienza nella palestra e la mia conoscenza dei maestri<br />

della palestra. Allora ho cercato di far capire a questo m<strong>ed</strong>ico che io avevo bisogno di un minuto per respirare<br />

adeguatamente (non ho parlato del Tan T’ien, se no mi ricoveravano direttamente nel reparto psichiatrico!).<br />

Fare arti marziali vuol dire “mi sono fatta male, ma continuo a essere io proprietaria del mio corpo! Fermo lì,<br />

io voglio presentarmi al meglio, rilassata!”.<br />

Riguardo all’integrazione con l’altro, ne abbiamo già parlato relativamente al gruppo, ma<br />

può essere sintetizzata molto semplicemente attraverso due dei tanti resoconti:<br />

“In generale, ho imparato a non pretendere dagli altri quello che io pretendo da me stessa, ad essere<br />

sicuramente meno intransigente. Ora mi capita di riuscire a comprendere di più le motivazioni degli altri!”<br />

“Il nostro cervello emette delle onde che entrano in risonanza, in sintonia con la lunghezza d'onda dello<br />

stimolo. Nella nostra scuola, durante la pratica, non ci limitiamo al silenzio, ma veniamo invitati (soprattutto i<br />

più avanzati) a emettere delle vocalizzazioni. Durante la pratica viene detto, per esempio, “<strong>Chi</strong>”, “An” [nomi<br />

cinesi delle tecniche della forma]: cioè, a uno di noi, del coro, viene richiesto di vocalizzare questi suoni; … è<br />

un suono con una frequenza che sembra mettere in sintonia le onde cerebrali dei vari partecipanti.”<br />

L’<strong>identità</strong> “praticante di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan”<br />

Il rapporto con la cultura cinese è diverso da quello che ho riscontrato nei maestri,<br />

soprattutto perché tra gli allievi c’è molta differenza, mentre il gruppo dei maestri<br />

presentava un’opinione più omogenea. Alcuni allievi si dichiarano disinteressati nei<br />

confronti della cultura cinese antica e delle origini del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, altri, al contrario,<br />

sono molto interessati agli approfondimenti; altri sono in una posizione interm<strong>ed</strong>ia, per cui<br />

gradirebbero un ulteriore approfondimento, ma concepiscono il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan come una<br />

disciplina che si può praticare anche senza tale approfondimento. Le opinioni, quindi, sono<br />

molto variegate:<br />

“Le posso dire la mia opinione sulla storia del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, che è una disciplina orientale. Per me è<br />

affascinante: questo tipo di ginnastica non mi sorprende, perché i cinesi hanno un modo di vita, di<br />

comportamento, di studio, di ragionamento … tutto diverso dal nostro; a me interessa scoprirlo, nei limiti del<br />

possibile. La parte della lezione che mi piace di più infatti è quella accoppiata alla descrizione storica dei<br />

movimenti. Ho apprezzato molto l’intercalare gli esercizi, abbinandoli ai movimenti di terra, cielo, acqua e<br />

fuoco: ci fa apprezzare tutte le considerazioni fatte dagli orientali per arrivare a questa disciplina.”<br />

133


“Non mi interessa personalmente la cultura cinese perché non sento che sia necessaria. Per me è già<br />

sufficiente praticare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.”<br />

Alcuni allievi intervistati conoscevano già la cultura cinese e si sono avvicinati al T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan anche come approfondimento della stessa: in questo caso, l’interesse è molto forte,<br />

così come il rispetto e il desiderio di arricchire le proprie conoscenze nei confronti di questa<br />

civiltà. Inoltre, c’è una profonda condivisione dei principi della filosofia all’origine del T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan:<br />

“L'individuo, per la concezione cinese, non è chiuso in se stesso: tramite la respirazione, ma anche tramite il<br />

Ch’i, è in continuo scambio con l'universo che sta intorno, proprio come nella respirazione c'è un continuo<br />

scambio, in questo caso gassoso; c'è anche uno scambio energetico tra me e il cosmo: tra me e la terra, tra me<br />

e il cielo, tra me e l'altra persona, tra me e il gruppo.”<br />

“Come m<strong>ed</strong>ico io sono affascinata dalla m<strong>ed</strong>icina tradizionale cinese. E come altre forme di m<strong>ed</strong>icina, erano<br />

m<strong>ed</strong>icine psicosomatiche: davano per scontato che la salute fisica non potesse prescindere da una salute<br />

emozionale, davano per scontato questi processi di osmosi.”<br />

“Per me è materia di studio, fa parte del mio lavoro, quindi mi ci trovo molto bene! Da una ventina d'anni fa<br />

parte della mia vita. Sono arrivato al T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan dopo una frequentazione teoretica.”<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è una pratica estremamente diffusa, ma ad un livello di conoscenza estremamente basso: è<br />

andata perduta quella tradizione da cui aveva origine e che è il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan Non si conosce il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan, con tutta la competenza fisiologica e m<strong>ed</strong>ica, cioè la stragrande maggioranza delle persone non<br />

conosce gli effetti terapeutici della stimolazione dei meridiani, per esempio, che ogni movimento nel T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan comporta. Non conoscendo questo, diventa solo un’attività callistenica.”<br />

Contemporaneamente, alcuni mostrano un contrasto molto forte tra l’opinione nei confronti<br />

della cultura cinese antica, che considerano ricca di significati, e quella odierna, che v<strong>ed</strong>ono<br />

anche con disprezzo perché “troppo poco attenta ai diritti dell’uomo”.<br />

Un altro aspetto interessante dell’<strong>identità</strong> di praticante è l’integrazione tra questo aspetto<br />

dell’<strong>identità</strong> e gli altri aspetti. Nelle mie interviste, l’integrazione risulta essere molto<br />

buona: per alcuni è come se il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan facesse parte della loro natura da sempre,<br />

anche <strong>prima</strong> di iniziare a praticarlo, per cui si trovano bene nei panni di praticante di<br />

quest’arte:<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan conferma il mio modo di vivere, il mio carattere e il mio modo di pensare: è come una<br />

calza che mi va bene!”<br />

134


Altri allievi notano che alcune caratteristiche della pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan facilitano<br />

questa integrazione e raccontano come il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan si sia integrato nella loro vita<br />

(sempre con un effetto molto positivo!):<br />

“Direi che quello che è specifico di queste scuole è l'aspetto di scuola di vita, in cui un maestro va molto al di<br />

là dell'aspetto tecnico. Vengono dati una serie di consigli sullo stile di vita generale, e questo si allarga a<br />

mangiare, dormire, rigenerarsi anche dal lavoro, d<strong>ed</strong>icarsi alla propria vita con un buon equilibrio. Altrimenti<br />

non ha senso che uno venga a fare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan per tutta la vita e poi, quando esce di qui, vive molto male.<br />

Quindi è un invito alla coerenza di vita!”<br />

“Ora che faccio T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan sono diversa, non sono più quella di <strong>prima</strong>. Ho migliorato in qualcosa!”<br />

“E allora ho pensato: “guarda come puoi usare le arti marziali nelle emergenze della vita!”<br />

“A livello spirituale, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan mi consente di vivere la mia relazione di f<strong>ed</strong>e, la mia preghiera, in<br />

maniera molto più profonda e a tutti i livelli. E approfondisce il mio discorso speculativo, perché apre a una<br />

molteplicità di sfumature diverse: è un allenamento a una visione più ampia!”<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è una metafora della vita!”<br />

Riguardo agli aspetti dell’<strong>identità</strong> coinvolti dall’essere un praticante di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan,<br />

abbiamo già considerato il rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e percezione e sentimento del<br />

proprio corpo; tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e sentimento di riuscire; tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e confronto<br />

con la cultura orientale e tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e creazione di un progetto formativo (quando<br />

abbiamo parlato dei sogni sul proprio futuro).<br />

Ciò che rimane da esplicitare, rispetto agli interrogativi di partenza, è per esempio il<br />

rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e organizzazione della vita quotidiana. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è<br />

vissuto dagli intervistati come un aspetto importante di sé, un aspetto ben integrato nella<br />

vita quotidiana, cercando di m<strong>ed</strong>iare tra il forte interesse provato per le lezioni e gli<br />

impegni lavorativi o familiari: tutti riescono a trovare un compromesso abbastanza<br />

soddisfacente.<br />

“Io vengo con mia moglie, però lei fa il primo turno di lezione, mentre io faccio il secondo. Questo non tanto<br />

perché ci riteniamo separati in casa, ma perché abbiamo dei nipoti che vanno a scuola in due s<strong>ed</strong>i diverse, e<br />

vogliamo renderci disponibili in caso di bisogno, per incontrare anche le esigenze dei loro genitori che<br />

lavorano.”<br />

“Bisognerebbe farlo anche durante l’estate, nelle località di vacanza, ma questo non è fattibile!”<br />

135


“Quando ho iniziato a frequentare qui era soprattutto perché era molto comodo, lavorando molto vicino non<br />

avevo problemi di spostamenti! Probabilmente se fosse stato più scomodo non avrei neanche iniziato! Ora<br />

non lavoro più qui e quindi arrivo da casa. Ora lavoro a casa, con i tempi che voglio io, però ho continuato a<br />

mantenere lo stesso orario: non per abitudine, ma perché ci sono le stesse persone, sono un po’ abitudinario.<br />

Io non sono molto espansivo, quando c’è da conoscere altra gente … poi mi trovo bene con tutti!”<br />

Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è un impegno: questa sua dimensione è piacevole, perché per gli anziani,<br />

per esempio, diventa un interesse che occupa il troppo tempo libero che si trovano a dover<br />

gestire e anche perché è un impegno che, come abbiamo visto, normalizza i tempi della<br />

vita, creando una dimensione spazio-temporale di sicurezza, anti-stress, che non muta<br />

nonostante l’ansiogeno variare delle altre condizioni.<br />

Riguardo alla gestione del “gioco di equilibrio” tra il bisogno di appartenenza al gruppo e il<br />

bisogno di distinzione e personalizzazione, possiamo ricordare la metafora del gruppo di<br />

praticanti come uno stormo di uccelli, dove ognuno si muove per conto suo, pensando al<br />

suo movimento, ma tenendo conto anche di “mantenere una forma nell’insieme” o la<br />

concezione del rapporto maestro-allievo come un rapporto di reciproca solidarietà:<br />

“C'è un travaso di nozioni, che colloca il maestro come colui che emette, eroga, e l'allievo come colui che<br />

riceve, che raccoglie. Ma evidentemente non ci sarebbe nessun maestro senza degli allievi! E chi riceve non è<br />

soltanto un ricettore passivo, ma a sua volta dà senso e significato al lavoro didattico: diventa allora, anche lì,<br />

una solidarietà e una trasmissione reciproca di acquisizioni <strong>ed</strong> elaborazioni delle acquisizioni. E questo dilata<br />

il confine di una relazione di ricezione asimmetrica, nell'ottica di una solidarietà dello stesso tipo della<br />

relazione tra allievi.”<br />

Ricordo, sempre riguardo al rapporto appartenenza-distinzione, quanto riportato da<br />

un’allieva circa la sensazione di fatica che si fa per relazionarsi anche con persone che<br />

inizialmente non attirano, però è una fatica che lei decide di sostenere perché ne vale la<br />

pena.<br />

“Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan mi ha cambiata perché ora cerco di accettare tutti così come sono: ci sono tante persone,<br />

ognuna diversa dall'altra: c'è quella gentile, quella simpatica, quella antipatica, quella che quando la guardi<br />

pensi “questa mi sta proprio…” però la devi accettare e così la conquisti! E ti accorgi che in fondo non era<br />

tutto così male come pensavi!”<br />

L’ultimo aspetto dell’<strong>identità</strong> da analizzare, o meglio da esplicitare, riguarda la scoperta e il<br />

disvelamento cosciente di sé agli altri, che è anche uno dei punti focali della ricerca:<br />

riguardo alla scoperta di sé abbiamo visto come il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan promuova la<br />

136


consapevolezza di sé sotto molti aspetti: una consapevolezza psicofisica. Anche il<br />

disvelamento cosciente di sé agli altri sembra molto ampliato da questa pratica:<br />

“Quando facciamo il Ch’i Kung l'emozione viene fuori! All'inizio era molto forte, perché il tuo corpo quasi<br />

rifiutava le cose; questo è un lavoro che muove quello che è il tuo profondo. Però dopo lasciandosi andare,<br />

con l'aiuto dell'esperta, io ho capito tante cose: che bisogna lasciarsi andare e non trattenere le <strong>emozioni</strong>, per<br />

far v<strong>ed</strong>ere che o sei forte o sei debole.”<br />

“La capacità di autocontrollo aumenta, però in alcuni casi può essere interpretata male perché uno si<br />

autocontrolla ma in realtà non si sta autocontrollando ma si sta in qualche modo castrando. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

non ha influito nel senso di “mi cucio la bocca perché se no direi chissà che cosa”. Per spiegare meglio il<br />

concetto di autocontrollo posso fare l’esempio del tennis. Ho iniziato a fare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan quando stavo<br />

ancora lavorando, quindi sotto stress incr<strong>ed</strong>ibili, io al tennis ero una furia! Mi rendevo conto io stesso e gli<br />

altri dicevano che quando ero in campo ero irriconoscibile, proprio una cosa esagerata, quando uscivo dal<br />

campo ero la persona più buona del mondo. Ecco, da quando ho iniziato a praticare T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan questa<br />

cosa qui mano a mano è sparita, nonostante fosse il periodo più stressante dal punto di vista lavorativo.<br />

Sicuramente con il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan non ho acquisito l’autocontrollo, inteso in senso di controllo volontario,<br />

ma sono migliorato perché mi ha sciolto la tensione emotiva, in generale.”<br />

“Prima dovevo scaricare la tensione sbottando, altrimenti stavo male fisicamente, adesso riesco ad evitare di<br />

farlo, parlo più tranquillamente rispetto a <strong>prima</strong> e così riesco a controllare meglio la mia rabbia.”<br />

4.7. I risultati: analisi tra i gruppi<br />

Analizzando le interviste degli allievi mi sono accorta fin dalle prime categorie della grande<br />

diversità di questo gruppo di intervistati rispetto al gruppo dei maestri, non solo, come è<br />

ovvio, per la diversità dei contenuti tra i due gruppi, ma anche per la differenza di<br />

“omogeneità interna” ai due gruppi, per cui i maestri mi sono sembrati molto più simili tra<br />

loro rispetto a quanto risultano essere gli allievi tra loro: in sintesi, nelle interviste degli<br />

allievi si riscontrano molte più differenze individuali di quelle che si trovano nel gruppo dei<br />

maestri. Considerando poi che diversità significa anche ricchezza e complessità, riusciamo<br />

a cogliere questo dato generale nelle interviste degli allievi: è difficile creare un discorso<br />

univoco, valido per tutti loro, proprio per l’eterogeneità interna di questo gruppo; e questo<br />

si riflette anche sulla ricchezza dei dati disponibili. Quello che ho fatto è stato comporre un<br />

collage avvicinando tra loro i colori che mi apparivano simili!<br />

137


Naturalmente questa eterogeneità interna al gruppo degli allievi è dovuta, almeno in parte,<br />

al fatto che l’influenza del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan nella vita di un allievo ha degli effetti molto più<br />

vari rispetto agli effetti che ha sui maestri: tra gli allievi c’è una differenza di base<br />

importante, che non c’è tra i maestri, riguardante la loro attività professionale (per alcuni<br />

maestri, l’insegnamento del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan non è l’attività lavorativa <strong>prima</strong>ria, ma nelle<br />

interviste non sono emerse differenze tra loro riguardo all’<strong>identità</strong> professionale, anche<br />

perché venivano intervistati su questo aspetto della loro attività).<br />

Un’altra caratteristica generale che differenzia i due gruppi è che negli allievi rilevo una<br />

maggiore propensione, rispetto ai maestri, a cogliere le differenze individuali esistenti tra i<br />

praticanti del gruppo; per esempio gli allievi enfatizzano maggiormente che non si può<br />

discutere a livello generale sul tipo di investimento affettivo messo in atto dalle varie<br />

persone del gruppo: sottolineano un po’ di più le differenze rispetto a quanto facciano i<br />

maestri. Questo non significa però che non notino le somiglianze, ma marcano anche la<br />

differenza tra persone del loro gruppo di pratica. Si può supporre che questa differenza tra i<br />

due gruppi intervistati sia attribuibile al fatto che il maestro (per il suo ruolo) è “dall’altra<br />

parte”: si relaziona più al gruppo nell’insieme che non all’individuo; gli allievi invece si<br />

relazionano con le persone, perché sono parte del gruppo. Ci tengo a sottolineare, però, che<br />

questa differenza è molto sottile, perché sia gli allievi che i maestri si riferiscono, nelle loro<br />

interviste, sia a “facce”, sia a “cori”: l’impressione è però che tra i maestri prevalga<br />

l’attenzione ai cori, piuttosto che alle facce. V<strong>ed</strong>iamo <strong>prima</strong> un’allieva e poi un maestro,<br />

confrontandoli sulla stessa domanda su che tipo di <strong>emozioni</strong> circolano nella relazione tra<br />

allievi:<br />

“Si può proporre lo stesso trattamento terapeutico, però è come andare dal sarto: ognuno porta la stoffa che<br />

ha, quindi l'abito che ne verrà fuori dipenderà dalla stoffa iniziale. Senza nessun tipo di giudizio sulla stoffa<br />

più preziosa o meno. Ognuno è fatto come è fatto e ognuno riesce a entrare in contatto con le parti più<br />

profonde di sé a seconda di quello che trova dentro di sé. Queste arti possono favorire il contatto, l’interezza,<br />

questa possibilità di rigenerazione più profonda: perché si entra in questi stati più profondi della mente,<br />

perché si scioglie il corpo,… Poi, a livello emozionale, che cosa io posso sentire alla fine della forma di T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan è una cosa molto mia, individuale, molto diversa da chi mi sta di fianco!”<br />

“Non lo so. Penso che c'è chi ci cr<strong>ed</strong>e <strong>ed</strong> è più portato: ci sono alcune persone che sono molto (userei la<br />

parola) “intrippate dentro”, che ci cr<strong>ed</strong>ono, e con chi ci cr<strong>ed</strong>e provano delle cose belle. Poi però ci sono quelli<br />

un po' più superficiali. Però c'è un bel rapporto, emozionale non lo so. Ho visto che ci sono rapporti di<br />

138


amicizia: poi le <strong>emozioni</strong> in che direzione vanno non lo so, però sicuramente non sono negative. Penso che<br />

siano più positive, in senso buono.”<br />

Possiamo ipotizzare che i maestri siano più propensi a sottolineare le somiglianze tra allievi<br />

anche per una questione <strong>ed</strong>ucativa: se la finalità del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è l’integrazione con il<br />

Tutto, i maestri dovranno dare il buon esempio nel sentire, nel riconoscere e nel sostenere<br />

una profonda integrazione! In effetti, nelle interviste, i maestri riportano di avvertire, di<br />

sentire questa integrazione, questa “armonia con il tutto”. Gli allievi sono consapevoli di<br />

questa finalità del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, ma non ne fanno parola, almeno relativamente alle loro<br />

sensazioni personali: è come se dicessero “ci cr<strong>ed</strong>o, e spero che <strong>prima</strong> o poi anch’io<br />

avvertirò questa sensazione, ma per ora non sono ancora riuscito a sentirlo nel profondo,<br />

oppure ci sono riuscito in modo fugace”.<br />

“Certe volte mi congratulo con me stessa perché v<strong>ed</strong>o che riesco a fare l'esercizio come va fatto, alla ricerca di<br />

quello che può essere questo Ch’i ben<strong>ed</strong>etto! E certe volte ho la consapevolezza che non so fare niente!<br />

Questo anche come paragone con chi ne sa più di te.”<br />

Nonostante questa differenza, però, abbiamo visto come in entrambi i gruppi ci sia una<br />

forte integrazione del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan con gli altri aspetti dell’<strong>identità</strong> personale: si<br />

inserisce bene nella vita quotidiana sia dei maestri che degli allievi.<br />

Un’altra differenza tra i due gruppi riguarda la “densità” delle frasi: per accorgersene basta<br />

guardare l’arcobaleno di colori sulla copia cartacea che ho utilizzato per analizzare le<br />

interviste dei maestri! Ogni frase di queste interviste è sottolineata con tanti colori diversi,<br />

perché in ogni frase riscontravo stralci utili per l’analisi di varie categorie del razionale:<br />

questo significa che i maestri riportavano, in molte delle loro frasi, un pensiero che<br />

integrava insieme molte categorie del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Nelle riposte degli allievi accade<br />

diversamente, cioè ogni loro frase risponde a una categoria di analisi, senza grandi<br />

sovrapposizioni con altre categorie: il loro discorso risulta molto più ancorato alle domande<br />

da me poste e si legge quindi, negli allievi, una minore integrazione tra i vari aspetti del<br />

T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan. Questa mi sembra una conseguenza naturale della maggiore esperienza<br />

dei maestri nell’ambito del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, che in questo senso riportavano un pensiero<br />

già parzialmente pensato e organizzato <strong>prima</strong> dell’intervista.<br />

Riguardo alle somiglianze, mi sembra utile riportarne alcune che ho riscontrato tra allievi e<br />

insegnante corrispondente: innanzitutto mi ha colpita la corrispondenza tra la concezione<br />

139


del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan che ha il maestro e i suoi allievi. Intendo dire che se un maestro<br />

pr<strong>ed</strong>ilige l’aspetto marziale del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan rispetto all’aspetto m<strong>ed</strong>itativo o<br />

relazionale, anche i suoi allievi mostrano di pr<strong>ed</strong>iligere lo stesso aspetto. Quello che mi<br />

sono chiesta a tale proposito è se gli allievi abbiano scelto il maestro più rispondente a ciò<br />

che cercavano (una disciplina più marziale, più m<strong>ed</strong>itativa,…) o se questa corrispondenza<br />

di concezione derivi dall’apprendimento, cioè dalla trasmissione di una tradizione di scuola,<br />

che passa “di padre in figlio”, e in questo caso da maestro ad allievo. Considerando le<br />

interviste, direi che in alcuni casi è vera la <strong>prima</strong> ipotesi e in altri casi la seconda: gli allievi<br />

che si sono avvicinati al T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan senza averne una conoscenza pregressa (sono la<br />

maggioranza) hanno appreso questa concezione dal maestro, perché non erano alla ricerca<br />

di qualcosa di preciso. Altri allievi, che si sono avvicinati al T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan conoscendolo,<br />

in parte erano alla ricerca di una disciplina m<strong>ed</strong>itativa, ma in parte hanno anche cambiato la<br />

loro concezione avvicinandola a quella del maestro.<br />

Ci sono varie somiglianze più specifiche tra insegnante e allievi corrispondenti: alcune mi<br />

hanno colpita particolarmente e le riporto di seguito.<br />

Maestro: “Penso che T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan faccia bene alle persone che sono molto dinamiche, perché lì è un’oasi<br />

di pace per loro!”<br />

Allieva: “Mi aiuta a normalizzare i tempi: è la mia oasi di pace!”<br />

Maestro: “È difficile spiegare, diceva il maestro Chang, a uno che non ha mai visto il mare quanto sia salato!”<br />

Allievo: “è solo ripetendo in continuazione le tecniche che si acquisisce la consapevolezza e si trovano poi<br />

alcune cose che non è possibile insegnare: come si fa a spiegare l’energia? O a spiegare come sentire<br />

l’energia?”<br />

Insegnante: “la cosa che per me è diventata fondamentale è quella di lavorare su di me per integrarmi con<br />

l’altro. E a volte l’altro mi ha insegnato tante cose diverse. Ecco condivido che si pratichi il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

da soli per migliorare, ma mi fanno veramente ridere quelli che lavorano sull’aspetto esteriore e quindi la loro<br />

finalità è solo di fare il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan bello! Se non c’è altro, è pura forma, tutto bello da v<strong>ed</strong>ere, ma tanto<br />

vuoto…”<br />

Allieva: “Insegnare... deve trasmettere, più che altro, perché insegnare la forma è un conto, ma è il contenuto<br />

che deve essere imparato! Perché ci sono dei ragazzi che sono capaci, sono tutti eleganti, però quando li v<strong>ed</strong>i<br />

esercitare li v<strong>ed</strong>i vuoti e lì subentra la capacità dell'insegnante di trasmettere i contenuti! Altrimenti è come<br />

fare un balletto!”<br />

140


Maestro: “la cosa importante, soprattutto con gli anziani, è che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è una disciplina basata sulla<br />

scommessa di avere qualcosa di nuovo da imparare! E questo è stato l’elemento distintivo, ho notato, per<br />

l’aumento dell’autostima e della vitalità stessa della persona.”<br />

Allieva: “Mi sento una scolara che va a scuola e impara. Mi sento la voglia di imparare e vorrei essere più<br />

brava e capire di più, ma purtroppo è un po’ difficile, però, piano piano, insomma...!”<br />

Maestro: “è molto importante praticare all’unisono … è anche un modo per sentire l’energia di gruppo, perché<br />

praticando insieme all’unisono, non sono più una cellula separata, ma faccio parte di un organismo più<br />

grande.”<br />

Allieva: “quello che caratterizza la forma lunga è proprio quello di muoversi come tanti uccelli in volo nel<br />

cielo, in cui il movimento di ciascuno tiene conto degli altri. Cioè: è importante lavorare individualmente nel<br />

raffinare le proprie tecniche, ma è molto importante anche imparare a muoversi insieme agli altri.”<br />

Maestro: “Il genio fa il vuoto: e allora può saltare da qua a là, v<strong>ed</strong>e tutto, l’inizio e la fine e tac! In un secondo<br />

ha l’intuizione! Questo è il vuoto della mente nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.”<br />

Allieva: “il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan può avere degli effetti di rallentamento delle onde cerebrali; pare che nella<br />

prevalenza di onde Alfa ci sia una maggiore creatività e una migliore flessibilità mentale.”<br />

Altro allievo: “Attraverso quell'approccio, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan apre a una molteplicità di sfumature diverse, a<br />

una possibilità di interpretazione ulteriore. Ti permette una capacità di v<strong>ed</strong>ere le cose in maniera più ampia,<br />

più ricca, perché non è definita in modo stretto, ma evocata per analogia. È un allenamento delle ulteriorità<br />

dei significati: è stimolato il circolo ermeneutico.”<br />

4.8. Conclusioni della ricerca<br />

Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è considerato da tutti gli allievi un ottimo strumento per conoscere se<br />

stessi a molti livelli, per ri-conoscersi e contemporaneamente per modificarsi, ma senza che<br />

questa modificazione passi attraverso il controllo razionale: è una modificazione spontanea,<br />

che avviene poco alla volta e naturalmente, non si capisce bene per quali motivi, anche<br />

perché risulta difficile isolare i vari fattori. E se questa modificazione di sé non è ancora<br />

spontanea, cioè richi<strong>ed</strong>e impegno e fatica, le persone sperano, ma soprattutto hanno molta<br />

fiducia nel fatto che <strong>prima</strong> o poi diventerà facile, naturale: ci cr<strong>ed</strong>ono! Hanno sviluppato<br />

fiducia in sé, negli altri e nel T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan.<br />

141


Questo significa che gli strumenti che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan offre ai suoi praticanti per<br />

modificarsi, nell’apprendimento della disciplina così come nello sviluppo globale della loro<br />

persona, si riferiscono a un insieme di modalità di autoregolazione e di eteroregolazione.<br />

In particolare, un ruolo importantissimo è lo sviluppo delle capacità soggettive di<br />

autoconsapevolezza, intesa da maestri e allievi come capacità di percepire il proprio stato<br />

corporeo di tensione psicofisica e, come secondo step evolutivo, capacità di allentare queste<br />

tensioni.<br />

Riguardo alle modalità di eteroregolazione offerte dalla pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ricordo<br />

in particolare il ruolo delle relazioni con i compagni “di pari livello” e con il maestro.<br />

Questi due tipi di relazioni sono rappresentate dagli allievi come molto significative, anche<br />

se in modo diverso: potremmo dire che non cambia la quantità dell’investimento affettivo,<br />

ma la qualità, perché il maestro è vissuto come una persona che dovrebbe sostenere, i<br />

compagni sono vissuti come persone con le quali ci si vuole (o ci si può) integrare, in una<br />

relazione di solidarietà reciproca. Se vogliamo usare una metafora, usata anche da qualche<br />

intervistato, le relazioni in palestra sono raffigurate come una grande famiglia. Il maestro è<br />

quello che si avvicina di più al genitore: gli allievi lo raffigurano (a volte nelle descrizioni<br />

reali e a volte nella loro immagine ideale) contemporaneamente vicino come una figura<br />

materna e potente come una figura paterna, al di là del sesso reale del maestro o della<br />

maestra. I compagni sono come i fratelli: c’è un rapporto di parità e reciprocità, c’è la fatica<br />

dell’accettazione, c’è il sostegno reciproco e c’è la dimensione ludica.<br />

Un altro strumento potentissimo che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan offre a chi lo pratica è la capacità di<br />

entrare in uno stato di supercoscienza, che permette di tenere insieme la dimensione di<br />

autoregolazione e di eteroregolazione: con la pratica, nei livelli più alti di sviluppo, si può<br />

raggiungere uno stato di integrazione di vari aspetti di sé, di integrazione tra sé e gli altri e<br />

di integrazione di sé e degli altri con il Tao, il Tutto: “Cielo e Uomo uniti, una sola cosa”.<br />

Questo, in sintesi, mi sembra lo strumento più potente del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: offre una<br />

possibilità di integrazione molto forte e contemporaneamente molto ampia!<br />

Ciò che è emerso dalla ricerca è che per ottenere questa integrazione, il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan<br />

non opera una cancellazione degli aspetti divergenti (intesi come aspetti “strani” e anche<br />

spiacevoli di sé, ma anche di altri membri del gruppo e di altre “cose e persone” del<br />

142


Mondo), ma li contiene accettandoli. Potremmo dire che c’è una forte integrazione tra la<br />

teoria classica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, che afferma una co-esistenza e una complementarietà<br />

tra gli opposti (nel Tao) e la pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: ciò che ogni praticante si propone<br />

di ottenere è appunto un contenimento di tutto in sé e di sé nel tutto!<br />

Anche il rapporto tra T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e flessibilità del comportamento affettivo merita una<br />

nota conclusiva: nella strutturazione della mia ricerca mi aspettavo di trovare una relazione<br />

significativa tra il ruolo dell’autoconsapevolezza corporea e l’aumento della flessibilità del<br />

comportamento emotivo; non solo ho riscontrato questa relazione, ma ne ho rilevata anche<br />

un’altra inattesa. Dalle interviste emerge infatti che la flessibilità emotiva è sviluppata<br />

anche da un'altra variabile intrinseca al T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan: l’integrazione tra il sé e il tutto,<br />

che permette al soggetto uno stato di consapevolezza “oggettiva”, una visione più chiara e<br />

più completa (perché tiene insieme punti di vista diversi) di tutto ciò che esiste nel Mondo.<br />

Un altro aspetto emerso (e sempre sulla via della maggiore integrazione) è che l’<strong>identità</strong> di<br />

praticante di T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è molto ben integrata con la propria <strong>identità</strong> globale, sia per i<br />

maestri che per gli allievi. Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan è un’armonia! E un’armonia è composta da<br />

un insieme di melodie, così ben intrecciate tra loro che risulta difficile per l’orecchio<br />

isolarle una dall’altra! Il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan suona come una di queste melodie: è in continuità<br />

con le altre melodie della vita quotidiana, si intreccia con loro, sia per i maestri che per gli<br />

allievi.<br />

Come e dove si intrecciano, dunque, <strong>emozioni</strong> e <strong>identità</strong>? La mia risposta è:<br />

nell’integrazione.<br />

Entrambi i costrutti hanno un effetto di integrazione tra i vari aspetti di un individuo:<br />

connettono mente e corpo, connettono il sé con gli altri e probabilmente connettono anche<br />

molti altri aspetti.<br />

Entrambi gli aspetti (<strong>identità</strong> <strong>ed</strong> <strong>emozioni</strong>) sono profondamente intrecciati in ogni persona:<br />

nelle interviste, per esempio, è difficile per i soggetti isolare gli effetti che il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan ha avuto sulle variabili che rientrano nell’area delle <strong>emozioni</strong> e su quelle nell’area<br />

dell’<strong>identità</strong> (alcuni esplicitano verbalmente questa difficoltà); ma questo era prev<strong>ed</strong>ibile,<br />

perché sono costrutti che hanno origine da un pensiero con un’intenzione “scolastica”.<br />

143


Contemporaneamente, l’<strong>identità</strong> e le <strong>emozioni</strong> di un individuo subiscono effetti di<br />

integrazione o di dis-integrazione a seconda delle vicissitudini della vita. Il T’ai <strong>Chi</strong><br />

Ch’üan, in quest’ottica, si pone come uno strumento che facilita l’integrazione.<br />

La domanda che rimane aperta è soprattutto quella sugli altri sport: uno sport che non ha le<br />

implicazioni di un’arte marziale, che tipo di integrazione ha con l’<strong>identità</strong> e le <strong>emozioni</strong> dei<br />

suoi praticanti? Qual è la differenza, in termini psicologici, tra il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan e altri<br />

sport in generale e soprattutto rispetto agli sport della società occidentale attuale?<br />

Prima di riassumere le conclusioni in forma grafica, vorrei riferire qualche nota anche<br />

riguardo alla reazione dei maestri alla situazione di intervista, perché mi è sembrato<br />

interessante e curioso il modo di alcuni di loro di rapportarsi ad essa. Innanzitutto, sono<br />

rimasta stupita dalla disponibilità con cui hanno accettato di partecipare alla mia ricerca:<br />

tutti i maestri che ho contattato, anche quelli raggiunti telefonicamente senza una<br />

conoscenza pregressa e senza referenze, si sono dichiarati subito molto interessati; alcuni di<br />

loro, che non ero riuscita a raggiungere al primo tentativo, mi hanno ricontattata incuriositi<br />

e hanno accettato volentieri di approfondire l’argomento che proponevo loro. Questo<br />

atteggiamento testimonia quanto già discusso <strong>prima</strong> riguardo alla loro appassionata<br />

curiosità e alla loro costante ricerca di modi per approfondire la loro conoscenza del T’ai<br />

<strong>Chi</strong> Ch’üan. Oltre a questo desiderio di ricerca, vorrei mettere in luce anche un altro<br />

atteggiamento interessante: alcuni insegnanti mi hanno espresso il desiderio (alcuni anche<br />

la preoccupazione) di riv<strong>ed</strong>ere la trascrizione dell’intervista e alcuni mi hanno chiesto di<br />

apportare delle modifiche per rendere il discorso più preciso rispetto ad una discussione<br />

orale. Personalmente, ritengo che queste preoccupazioni siano dovute al desiderio di<br />

“rifinire” meglio le idee espresse: riconosco in questo desiderio di precisione un’ulteriore<br />

prova del loro forte investimento affettivo sull’arte del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, un voler<br />

controllare che nessuno possa usare le loro parole contro non tanto loro (sapevano fin<br />

dall’inizio che le risposte sarebbero rimaste anonime!), ma contro la loro disciplina; lo v<strong>ed</strong>o<br />

come un desiderio di proteggere il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan da interpretazioni che potrebbero<br />

distorcere la sua millenaria essenza, perché il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan deriva pur sempre da una<br />

filosofia lontana da noi. Bisogna trattarlo con cura, come si tratta un libro antico, con la<br />

cura di un artigiano che trasmette il suo lavoro, la sua arte, i suoi attrezzi: una tradizione!<br />

144


Le conclusioni della mia ricerca hanno preso anche una forma grafica: ho riportato questa<br />

forma tra gli allegati (allegato numero 2). All’interno del grande contenitore, il Tao, che<br />

integra tutto ciò che contiene, c’è l’arte marziale del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, che integra i suoi vari<br />

praticanti (i cerchietti gialli), siano essi maestri o allievi, in un gruppo. Alcuni praticanti<br />

sono un po’ più inseriti nella disciplina del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, altri lo sono un po’ meno; e a<br />

questo corrisponde un diverso grado di integrazione dell’<strong>identità</strong> di praticante nella propria<br />

<strong>identità</strong> globale. Dalla mia ricerca emerge che il T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan ha effetti (le frecce rosse e<br />

blu) sull’<strong>identità</strong> e sulle <strong>emozioni</strong> dei praticanti, e che questi vanno nella direzione di una<br />

maggiore integrazione.<br />

Quello che mi sorprende, anche perché non è nato da un’intenzione consapevole, è che il<br />

cerchio si chiuda così armonicamente dal titolo d’inizio ai titoli di coda! Mi spiego meglio:<br />

guardando questa figura, che rappresenta le mie conclusioni, mi chi<strong>ed</strong>o … ma non è questa<br />

figura molto simile a quella che rappresentava l’inizio, il fior di prugno?<br />

145


CONCLUSIONI DEL PERCORSO<br />

In questa parte intendo approfondire, a conclusione del percorso, il significato che ha avuto<br />

per me lo svolgimento di questa tesi.<br />

Innanzitutto mi ha permesso di approfondire molti aspetti del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan, quest’arte<br />

che è entrata nella mia vita e mi ha entusiasmata sempre più, da questi pochi anni in cui<br />

l’ho incontrata. Mi ha permesso di cogliere le somiglianze e le differenze tra il mio modo di<br />

viverla e quello di altri allievi, e mi ha permesso di conoscere il pensiero di alcuni allievi e<br />

maestri che non cr<strong>ed</strong>o avrei potuto apprendere in altri modi. Parlando con loro e rileggendo<br />

il loro pensiero, mi sono sorpresa e ho provato un sentimento di empatia con loro per la<br />

profondità delle “conoscenze emozionanti” che avevano deciso di condividere con me;<br />

l’emozione che si prova nel capire una parte importante della vita di un’altra persona è<br />

molto forte: ho sentito la mia vita entrare in contatto con la loro! E ho pensato che mi<br />

piacerebbe riuscire a sentire con questa stessa profondità le sensazioni che mi descrivevano,<br />

soprattutto relativamente alla pratica del T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan! C’è tempo … cr<strong>ed</strong>o che<br />

l’importante sia v<strong>ed</strong>ere la strada!<br />

Dal punto di vista della Scienza Psicologica, questo lavoro mi è servito per integrare gli<br />

apprendimenti (almeno alcuni!) che hanno accompagnato questi anni universitari: forse è<br />

proprio per questo lavoro che ho fatto su di me, che l’integrazione è diventata anche un<br />

leitmotiv importante di questa tesi.<br />

Quello che però mi ha colpita di più è stata la semplicità e al contempo la stranezza con la<br />

quale ho “chiuso il cerchio”: nel momento in cui ho provato a tracciare una<br />

rappresentazione grafica delle conclusioni mi è venuta in mente questa immagine a cerchi<br />

sovrapposti, interagenti e integrati uno con l’altro, che ho descritto <strong>prima</strong> e ho inserito in<br />

questo volume come allegato numero 2. Non è stato particolarmente difficile immaginarla!<br />

E soprattutto, come un’illuminazione improvvisa, dopo qualche ora ho intuito la<br />

somiglianza tra questa figura disegnata a mano e la rappresentazione stilizzata del fior di<br />

prugno, simbolo del Kung fu, da me prescelta (nel senso di “eletta” rispetto ad altre e nel<br />

senso anche di “scelta <strong>prima</strong>” di aver organizzato il lavoro di tesi) anche come simbolo<br />

146


grafico dell’<strong>identità</strong> come integrazione. Allora mi sono sorpresa! E mi sono chiesta i motivi<br />

di queste due scelte, così simili, ma anche così “casuali” per rappresentare la stessa cosa!<br />

La conclusione che ho trovato è che nel mio profondo, l’integrazione abbia proprio questa<br />

forma: un fiore, con un centro e tanti petali intorno! Questa nuova consapevolezza di<br />

qualcosa di nuovo e di mio è il risultato che qui e ora mi sembra quello più importante e<br />

che mi fa assaporare uno stato di commozione e soddisfazione! Ringrazio chi ha voluto<br />

condividere con me questo “stato dinamico” e chi mi ha permesso di raggiungerlo<br />

attraverso questo percorso: in molti modi diversi, con comportamenti di sostegno, di<br />

vicinanza, di disponibilità, di altruismo, di gratuità!<br />

I miei ringraziamenti vanno a Gianna e Alfr<strong>ed</strong>o, i miei genitori, che mi hanno aiutata in<br />

mille e uno modi, in tutta la vita come in questa tesi, e a Ivan, il mio fidanzato, che mi ha<br />

sempre sostenuta e aiutata!<br />

I miei ringraziamenti vanno ai miei maestri (di vita!) attuali e del passato: sono maestri di<br />

Arti Marziali, di Psicologia, di Musica, di tutte le Scuole che ho frequentato nella mia vita!<br />

I miei ringraziamenti vanno agli amici, che sono tutte le persone (inclusi gli zii e mia<br />

cugina) che mi hanno accompagnata sulla via, per un tratto lungo o breve, ma comunque<br />

significativo e intenso!<br />

I miei ringraziamenti vanno a tutte le care persone che sono state disponibili a partecipare a<br />

questa ricerca, dimostrandomi affetto, sostegno e collaborazione: all’interno dell’Università<br />

la professoressa Caterina Gozzoli e la dottoressa <strong>Chi</strong>ara D’Angelo. Fuori dall’università: il<br />

maestro Santini (che è anche il mio maestro!), il maestro Cuturello, il maestro Fassi, il<br />

maestro Gandini, il maestro Pagliari, la maestra Bianchi, il maestro Schiavone, il maestro<br />

Valenza (per me sono tutti maestri!). E gli allievi: Paola, Davide, Franca, Carla, Paolino,<br />

Daniele, Antonella. Tutte queste persone (davvero tutte, nel senso di ognuna di loro!) hanno<br />

condiviso con me una parte della loro vita che ha cambiato anche la mia!<br />

147


BIBLIOGRAFIA<br />

Amadei, G. (2005). Come si ammala la mente. Bologna: Il Mulino.<br />

Anolli, L., & Legrenzi, P. (2001). Psicologia generale. Bologna: Il Mulino.<br />

Balconi, M. (2006). Psicologia degli stati di coscienza. Milano: LED.<br />

Bartholini, I. (2003). Uno e nessuno. Milano: Franco Angeli.<br />

Bauman, Z. (2005). Globalizzazione e glocalizzazione. Roma: Armando <strong>ed</strong>itore.<br />

Bauman, Z. (2000). La solitudine del cittadino globale. Milano: Feltrinelli.<br />

Beebe, B., & Lachmann, F. (2002). Infant research and adult treatment: co- constructing<br />

interactions (tr. it. Infant research e trattamento degli adulti, Raffaello Cortina Editore, Milano<br />

2003). The analytic press, Inc.<br />

Bonino, S. (1997). Dizionario di Psicologia dello sviluppo. Torino: Einaudi.<br />

Bruner, J. (1998). Narrative and metanarrative in the construction of the self. In M. Ferrari, & R.<br />

Sternberg, Self-awareness: its nature and development. New York: The Guilford Press.<br />

Chang, D., & Fassi, R. (1993). Enciclop<strong>ed</strong>ia del Kung Fu Shaolin. Roma: Edizioni M<strong>ed</strong>iterranee.<br />

Chang, D., & Fassi, R. (2004). Il Tai <strong>Chi</strong> Chuan - Il segreto dell'energia vitale. Milano: DVE<br />

ITALIA.<br />

Chen Wei Ming. (1989). T’ai <strong>Chi</strong> Ch’üan Ta Wen (Questions and Answers). Berkeley: North<br />

Atlantic Books.<br />

Cheng Man Ch'ing. (2006). Tr<strong>ed</strong>ici saggi sul <strong>T'ai</strong> <strong>Chi</strong> Ch'uan. Milano: Feltrinelli.<br />

Chodorow, J. (1998). Danzaterapia e psicologia del profondo. L'uso terapeutico del movimento.<br />

Como: R<strong>ed</strong> <strong>ed</strong>izioni.<br />

Cicerone, P. (2006, settembre- ottobre). Tai <strong>Chi</strong>: l'arte del Supremo Polo. Mente & cervello , p. 75-<br />

79.<br />

Colli, L. (2001). <strong>T'ai</strong> <strong>Chi</strong> Ch'uan. La m<strong>ed</strong>itazione in movimento. . Firenze: Giunti.<br />

148


Confalonieri, E., & Grazzani Gavazzi, I. (2002). Adolescenza e compiti di sviluppo. Milano:<br />

Edizioni Unicopli.<br />

Corcoran, J., & Farkas, E. (1983). Martial arts - Traditions, history, people. New York: Gallery<br />

books.<br />

Da Liu. (1986). Tai <strong>Chi</strong> Chuan and m<strong>ed</strong>itation. New York: Schocken books.<br />

Dychtwald, K. (1978). Psicosoma. le vie orientali e occidentali all'autoconsapevolezza, alla salute<br />

e allo sviluppo personale. Roma: Astrolabio Ubaldini.<br />

Dyck, N., & Archetti, E. P. (2003). Dance, sport and embodi<strong>ed</strong> identities. Oxford: Berg.<br />

Erikson, E. (1982). The life cycle complet<strong>ed</strong>. A review (tr. it. I cicli della vita, Armando, Roma<br />

1984). New York: Norton & Co.<br />

Fassi, R. (2006, Maggio). <strong>T'ai</strong> <strong>Chi</strong> Ch'uan e preghiera cristiana. Popoli , p. 36-37.<br />

Freud, S. (1947). L'io e il super-io (ideale dell'io). In S. Freud, Nuovi saggi di psicoanalisi (p. 183-<br />

195). Roma: OET.<br />

Freud, S. (1947). L'io e l'es. In S. Freud, Nuovi saggi di psicoanalisi (p. 174-182). Roma: OET.<br />

Galimberti, U. (1999). Dizionario di Psicologia. Torino: Utet.<br />

Gallino, L. (1999). Identità, identificazione, relazioni seriali e alternanze. In A.A.V.V., Complessità<br />

sociale e <strong>identità</strong> (p. 227- 238). Milano: Franco Angeli.<br />

Garufi, B., & Adorisio, A. (1998). Presentazione. In J. Chodorow, Danzaterapia e psicologia del<br />

profondo (p. 11-14). Como: R<strong>ed</strong> <strong>ed</strong>izioni.<br />

http://www.nienteansia.it/glossario-dizionario-di-psicologia/termini-a2.html. Alla voce:<br />

"Autoconsapevolezza".<br />

Huard, P., & Huong, M. (1973). Tecniche del corpo in Cina, Giappone, India. Verona: Arnoldo<br />

Mondadori <strong>ed</strong>itore.<br />

I <strong>Chi</strong>ng - a cura di: Yuan Huaqing. (1993). Garzanti.<br />

Jung, C. (1990). Opere, vol. XIV. Torino: Boringhieri.<br />

Kaneklin, C., & Gozzoli, C. (in press.). Identità adulta al lavoro e cultura della flessibilità.<br />

149


Kaneklin, C., & Scaratti, G. (1998). Formazione e narrazione. Milano: Cortina Editore.<br />

Krueger, D. (2002). Integrating Body self and Psychological self. New York: Brunner-Routl<strong>ed</strong>ge.<br />

Lao Tze. Tao Te <strong>Chi</strong>ng - Il libro del principio e della sua azione. Milano: Edizioni M<strong>ed</strong>iterranee.<br />

Lao Tzu. (1983). Tao Te <strong>Chi</strong>ng - Il libro della Via e della Virtù - a cura di: Duyvendak, J.J.L.<br />

Milano: Adelphi.<br />

Leary, M., & Tangney, J. P. (2003). Handbook of self and identity. New York: The Guilford Press.<br />

Li Deyin. (2004). Tàijìquan. Beijing <strong>Chi</strong>na: Foreign languages press.<br />

Magni, D. (2004, Ottobre). L'attrazione del buddismo. Popoli , p. 6-11.<br />

Magni, D. (In press.). voce: Buddhismo. In Dizionario di bioetica.<br />

Mauss, M. (1973). Techniques of the body (<strong>prima</strong> pubblicazione in francese, 1935). Economy and<br />

Society , 70-88.<br />

Meinshousen, F. (2006). Cina: undici scrittori della rivoluzione pop. (F. Meinshausen, A cura di)<br />

Milano: Isbn Edizioni.<br />

Morelli, U., & Zaffalon, V. (2006, Marzo). Quando l'apprendimento promuove cambiamento:<br />

intervista a Ugo Morelli a cura di Valeria Zaffalon. Animazione sociale , p. 3-10.<br />

Muradoff, G. (1977). Tai <strong>Chi</strong> Chuan - Disciplina del movimento per la ricerca dell'equilibrio del sé<br />

- vol. 1,2,3. Roma: Edizioni m<strong>ed</strong>iterranee.<br />

Orlando, L., Kaneklin, C., & Gozzoli, C. (2005). Produrre conoscenza nella scuola: un percorso di<br />

ricerca-azione sul malessere identitario degli insegnanti. In A. Bruno, C. Kaneklin, & G. Scaratti, I<br />

processi di generazione delle conoscenze nei contesti organizzativi e di lavoro (p. 209-224).<br />

Milano: Vita e Pensiero.<br />

Padoan, I. (2006, Maggio 29). La psicologia del praticante. Milano, MI, Italia.<br />

Pert, C. (2000). Molecole di <strong>emozioni</strong>: il perchè delle <strong>emozioni</strong> che proviamo. Milano: Corbaccio.<br />

Pietropolli Charmet, G., & Marcazzan, A. (2000). Piercing e tatuaggio. Manipolazioni del corpo in<br />

adolescenza. Milano: Franco Angeli.<br />

Sanguineti, E. (2002). Identità e prassi. Intervista a cura di Cosimo Schinaia. Psiche (1. Nuove<br />

<strong>identità</strong>), 143-148.<br />

150


Siegel, D. (2001). La mente relazionale. Milano: Raffaello Cortina Editore.<br />

Sullivan, H. (1964). The illusion of personal identity: the fusion of Psychiatry and Social Science.<br />

New York: Norton.<br />

Thompson, E. (1996). The Mindful Body: embodiment and Cognitive Science. In M. O'Donovan-<br />

Anderson, The Incorporat<strong>ed</strong> Self: interdisciplinary perspectives on embodiment. London: Rowman<br />

and Littlefield.<br />

Tronconi, S. (1998). Tibetan vibration: il percorso del principio della durata della vita. Roma:<br />

Castelvecchi.<br />

Tronick, E. (2006). Gli stati di espansione diadica della consapevolezza e il processo del<br />

cambiamento del processo terapeutico. In G. Amadei, & I. Bianchi, L'enigma delle origini (p. 139-<br />

155). Milano: I.S.U. Università Cattolica.<br />

Turner, V. W. (1969). The ritual process: structure and anti-structure. London: Routl<strong>ed</strong>ge and<br />

Kegan Paul.<br />

Waysun Liao. (1996). I classici del <strong>T'ai</strong> <strong>Chi</strong>. Roma: Astrolabio.<br />

Yang Chen Fu. (2001). Fondamenti di Tai <strong>Chi</strong> Chuan. Milano: Luni.<br />

Yu, T. (2005). Tai <strong>Chi</strong> per il corpo e per la mente. Milano: <strong>ed</strong>. it. Tecniche Nuove.<br />

151

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!