esercito e città dall'unità agli anni trenta. tomo i - Sistema ...
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142 MARIO ISNENGHI<br />
ria militare in Italia, era una delle poche presenze, ovviamente accanto a Giorgio<br />
Rochat e dopo la generazione dei Pieri. La sua relazione verte su Caserma<br />
e <strong>città</strong> nel discorso militare dell'Italia militare, che si potrebbe forse<br />
semplificare in Caserma e caserme. Infatti si tratta sia delle caserme nel senso<br />
di edifici, e di legislazione, progettazione e arredo degli edifici; sia di caserma<br />
nel senso di vita di caserma, di psicologia di caserma e di rapporto<br />
- anche a livello di immagini - fra <strong>città</strong> e caserma, cittadini e militari accasermati.<br />
Mi sembra che questa relazione possa un po' fungere da cerniera<br />
fra il fattuale e il culturale, anche se le relazioni che abbiamo scorso fin qui<br />
sono in realtà anch'esse d'indole culturale e giustamente sono state perciò<br />
conglobate in questa specifica sessione dei lavori. È soltanto una questione<br />
di sfumature, di tipo di dati archivistici e di temi e di riflessioni. L'autore<br />
muove dal libro di Arturo Olivieri Sangiacomo, Psicologia delle caserme,<br />
del l905. Leggo una citazione: «Anche chi, come era il caso di Olivieri Sangiacomo,<br />
avrebbe voluto che le caserme italiane fossero 'non più sbarrate<br />
come conventi, ma aperte come alveari a tutti i soffi del pensiero moderno,<br />
spalancate alla nostra gioventù come tempii del patriottismo e come scuole<br />
di virtù civiche e militari' e che di conseguenza privilegiava un programma<br />
di 'utili riforme' (sosteneva, tra l'altro, che 'coi moderni contingenti, un anno<br />
di servizio è più che sufficiente a fare di qualunque cittadino un soldato eccellente',<br />
quanto mai lontano dall" imperialismo militare') ( . . . ) nel momento<br />
in cui rivolgeva la sua attenzione al benessere materiale della truppa, s'accontentava<br />
che fosse 'modesto' e conduceva il lettore a visitare una caserma colta<br />
spesso in una luce realistica, ma le cui camerate riservate ai soldati erano<br />
idilliacamente 'ariose, spaziose, piene di luce, aperte al sole dall'alba al tramonto,<br />
pavimentate di piastrelle bianche e rosse, pulitissime' » (v. pag. 159).<br />
In realtà, l'opinione militare della seconda metà dell'Ottocento, d'accordo<br />
con gli amministratori, fa il calcolo che, comunque, il soldato va a<br />
star meglio, rispetto a quando - ancora popolano e civile - vive come gli<br />
permettono i suoi pochi mezzi, assai più mediocremente. Per cui, al di là<br />
delle eventuali utopie di progettisti, qualunque caserma può andare bene,<br />
in forza di quel privilegio comparativo, e quindi qualunque grande fabbricato<br />
può diventare caserma. Vi sono tuttavia, e Del Negro lo documenta,<br />
anche degli studiosi militari che progettano p.es. la " caserma positivista »,<br />
che tiene conto di una serie di situazioni e di problemi di cui la casermaconvento<br />
- convento, molto spesso, nel senso letterale della parola - non<br />
poteva invece tenere conto. Si osserva che la separazione fra Esercito e Città<br />
è voluta anche dai borghesi, c'è una bella citazione del 1871, che si trova<br />
a pag. 153, di un giurista, che parla di questa 'massa armata' - s'intende,<br />
massa plebea, riottosa, violenta, pericolosa, ecc. -, che a cura dello Stato<br />
CULTURA E RUOLO SOCIALE DELL'UFFICIALE<br />
viene armata e che perciò, a cura di questo stesso Stato, deve essere tenuta<br />
a bada e strettamente vigilata, per questa situazionè-boomerang che si crea<br />
attraverso la coscrizione generalizzata, la quale mette indiscriminatamente<br />
le armi nelle mani di operai e di villici. La massa in divisa va disciplinata con<br />
il pugno di ferro, e da questo traspare come la separazione - anche materiale,<br />
oltre che disciplinare e spirituale, dell'Esercito dalla Città - sia voluta,<br />
da una parte almeno del Paese, per ragionLdi inquietudine sociale e di preoccupazione<br />
rispetto a queste ribollenti concentrazioni di masse armate, che<br />
incubano una violenza sospetta e almeno potenzialmente ambivalente. Per<br />
tornare alle caserme in quanto fabbricati, dopo l'Unità solo un quarto delle<br />
truppe sta in edifici costruiti ad hoc, nati per essere caserme, e di recente.<br />
Il convento, in questa situazione di penuria, che ha ovviamente delle determinanti<br />
economiche, gioca tuttavia nel contempo un qualche ruolo simbolico,<br />
dal momento che i nuovi 'monaci' ereditano d<strong>agli</strong> antichi, oltre che<br />
gli ambienti, anche altre incombenze, quali p. es. quelle paternalistiche e<br />
assistenziali nei confronti dei poveri e degli indigenti, ai quali si continuano<br />
a passare gli avanzi del vitto. Un travaso di tradizioni e una forma di supplenza,<br />
questa, che ingentilisce l'immagine torva e barbarica dei violenti disciplinati<br />
e reclusi suggerita sopra. Il che viene a dire quanto articolato e complesso,<br />
e quanto lontano dal potersi cristallizzare una volta per tutte in una<br />
formula onnicomprensiva, sia il rapporto fra Città ed Esercito: il quale non<br />
a caso - una volta che, passando dalla solidarietà sempre possibile fra le<br />
élite, alla misteriosa lontananza delle masse, si vada oltre la cerniera degli<br />
ufficiali e ci si addentri nel grosso delle truppe - finisce per presentarsi anche<br />
come una variabile, sia pur specifica, del rapporto fra Città e Campagna,<br />
ceti dirigenti e ceti subalterni, governanti e governati.<br />
Il contributo del col. Paolo Langella ha per titolo Cultura e vita dell 'ufficiale<br />
italiano, nel periodo a cavallo fra i due secoli. La cultura viene intesa<br />
e sottoposta a v<strong>agli</strong>o sia in quanto cultura generale sia in quanto cultura professionale<br />
degli ufficiali del tempo, soprattutto sulla base di tre incisive testimonianze<br />
di ufficiali, Marselli, De Rossi e De Bono, privilegiando direi decisamente<br />
la memoria storica incarnata nelle pagine del De Rossi, che sono<br />
relativamente recenti, del 1927. Mezzo secolo è compreso fra questi indicatori,<br />
fra la prima e l'ultima di queste opere di autorappresentazione dell'ufficialità.<br />
Secondo Langella, ne risulta che la cultura generale degli ufficiali è<br />
meschina, generalmente parlando, quasi inesistente, e comunque disprezzata<br />
e non richiesta; che la cultura tecnica e professionale - sempre nel quasi<br />
mezzo secolo in questione - si può considerare in genere scarsa e di routine;<br />
che probabilmente molto pesa, nel non professionalizzare bene questi<br />
uomini di guerra, la sensazione diffusa, in quei decenni, che la guerra<br />
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