esercito e città dall'unità agli anni trenta. tomo i - Sistema ...
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656 LA DISCUSSIONE<br />
Incomincerei proprio dall'intervento di Ferruccio Botti su questa esigenza<br />
di storia comparata che è condivisa penso da tutti, sia sotto il profilo<br />
del rapporto <strong>città</strong> o paese ed <strong>esercito</strong> sia sotto il profilo più ampio che citava<br />
Rochat di un confronto con le esperienze di altri paesi. Senz'altro, da questo<br />
punto di vista, l'<strong>esercito</strong> italiano, io ne convengo con lui, ne esce abbastanza<br />
bene. Però c'è da tenere conto del fatto che i cosiddetti compiti di<br />
protezione civile, usati forse impropriamente ed estesi ad incombenze come<br />
la scorta per gli agenti delle tasse, per il controllo esterno delle carceri<br />
e via discorrendo, presuppongono un periodo iniziale di adattamento del<br />
nuovo Stato appena formato in cui la funzione dell'<strong>esercito</strong> inevitabilmente<br />
era quella, ma nella società italiana non si determina poi il fenomeno di una<br />
debolezza dell'elemento civile così acuto da proiettare i militari a quei vertici<br />
o a quelle funzioni di supplenza che in altre realtà esistono: si pensi solo<br />
a tutta la storia dell'America Latina dove la mancanza di una classe dirigente<br />
borghese addossa ai militari funzioni direttive politiche e anche logistiche<br />
smisurate. Da noi è diverso ancorché la presenza a livello parlamentare e<br />
governativo dei militari non sia tutto sommato secondaria. Certo, dice Botti,<br />
c'era una libertà di linguaggio insospettabile nelle riviste militari, una libertà<br />
che ci stupisce. Ma stupisce allora tutto il secondo Ottocento, a volere<br />
essere franchi, perché la durezza del linguaggio che viene usato nelle sue<br />
polemiche politiche è tale per cui se oggi un qualsiasi giornalista si permettesse<br />
da destra o da sinistra di adoperare terminologie che erano in voga nel<br />
secolo passato, finirebbe immediatamente sotto processo.<br />
L'intervento di Caforio sulle condizioni materiali nelle caserme che devono<br />
essere rapportate a quelle del paese ribadisce l'esigenza di uno studio<br />
comparato e per quanto riguarda il vestiario, l'igiene stessa senz'altro ha una<br />
sua incidenza: ce l'ha anche, direi, in particolar modo per l'alimentazione,<br />
ma giustamente diceva Rochat che l'alimentazione produce quell'innalzamento<br />
della statura media che gli studi di antropometria militare registrano ma<br />
non risolve poi il problema connesso, sotto un profilo psicologico e anche<br />
culturale complessivo, alla caserma e alla sua separatezza. In effetti, è una<br />
spia dal punto di vista della storia sociale e medica quella dell'incremento<br />
di determinati tipio di malattie che non si danno nella società civile quando<br />
i soldati di leva sono in borghese, pur a parità di condizioni ambientali e<br />
simili, anzi in presenza addirittura di forme di alimentazione superiori e<br />
migliori.<br />
Qui, però, con l'intervento di Rochat, ripreso poi da Morozzo della Rocca<br />
e da molti altri, si entra nella questione che evidentemente ha appassionato<br />
di più, rispetto a tanti altri temi indicati, forse troppo sommariamente nella<br />
mia relazione, coloro che sono intervenuti nel dibattito.<br />
LA DISCUSSIONE 657<br />
Io avevo accennato in realtà ad un anticlericalismo più che degli ufficiali,<br />
dell'<strong>esercito</strong> in maniera generica desumendo il concetto da Varnier, che<br />
ha evocato all'inizio della sua relazione questo atteggiamento, notando però<br />
poi come - lo dicevo anche nella sintesi - si assista col tempo ad un<br />
avvicinamento: Varnier cita ad esempio un articolo della Civiltà Cattolica<br />
del 1910 in cui vengono espressamente citate, come in passato non si era<br />
mai fatto, le due uniche istituzioni che_ saldamente possono fare argine al<br />
dilagare del disordine sociale: l'<strong>esercito</strong> e la Chiesa.<br />
A Rochat non risulta, e credo sia nel giusto, che un anticlericalismo degli<br />
ufficiali sia esistito, che sia esistita una compromissione continua, poniamo,<br />
con la massoneria; e, d'altronde non si verifica, tanto per restare all'unico<br />
esempio di contributo esterno alle nostre attività congressuali, in Italia<br />
quello che evidentemente c'è a Libourne dove il 15° Dragoni, che è lì acquartierato<br />
e che rimane per quaranta <strong>anni</strong> da quelle parti, manifesta chiaramente<br />
un orientamento cattolico conservatore sgradito invece alla massoneria<br />
e ad alcuni strati minoritari della classe dirigente borghese della cittadina<br />
francese.<br />
Restando su questa linea dell'anticlericalismo/clericalismo vorrei soltanto<br />
ricordare un piccolo particolare cha da un altro lato nel suo breve accenno,<br />
Monticone ha individuato come punto-chiave. Se noi siamo d'accordo sul<br />
fatto che, al di là della territorialità o meno, gli ufficiali attuavano delle forme<br />
dirette di integrazione con la società civile locale, è chiaro che laddove<br />
la società civile era più fortemente influenzata da elementi massonici o decisamente<br />
anticlericali il loro orientamento probabilmente vi si conformava.<br />
Non sono tuttavia dell'idea che questo isolamento dell'<strong>esercito</strong> e della<br />
Chiesa, pur nella versione cadorniana che ha più volte richiamato Rochat,<br />
sia tale da far superare il problema nella sua interezza e indico il luogo in<br />
cui secondo me avvenne, e abbastanza per tempo, il superamento dell'eventuale<br />
conflitto o meglio del conflitto esistente e legato alla questione romana.<br />
Il luogo specifico è la colonia, è l'<strong>esercito</strong> in colonia, è la guerra coloniale.<br />
È qui che Chiesa ed <strong>esercito</strong> non possono andar disgiunti e vanno d'accordo.<br />
È qui che addirittura interviene il governo, come fa Crispi alla fine<br />
degli <strong>anni</strong> Ottanta in Eritrea, per cacciare i Lazzaristi francesi e mettere i Francescani<br />
italiani e per attuare un rapporto fra <strong>esercito</strong> e Chiesa, fra nazione<br />
armata e nazione religiosa che inizialmente verrà anche teorizzato dai fondatori<br />
della Associazione Nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani,<br />
un organismo ibrido presieduto fra Otto e Novecento da illustri moderati<br />
soprattutto veneti e toscani, legatissimi <strong>agli</strong> ambienti militari e di Corte:<br />
il ceppo da cui nascerà più tardi, in età giolittiana, l'« Italica Gens » portavoce<br />
del nazionalismo clericale.