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512 GIANNI ISOLA Ma dovevano passare quasi dieci anni prima che veterani e reduci tornassero a discutere assieme i problemi della categoria nel v o Congresso nazionale (Milano, 1895). La ripresa del dialogo e dell'attività venne confermata due anni dopo a Firenze, dove si tenne il VI° Congresso, che ripropose ai convenuti la necessità di ampliare le norme associative per rivitalizzare le strutture di tutto il movimento con l'iscrizione dei reduci della II e della III guerra d'Indipendenza. La soluzione prescelta al termine di un acceso dibattito fu compromissoria: se ne votò l'" aggregazione », riservando ai soci fondatori non solo la l a categoria per pensioni e assistenza, ma anche la presidenza delle singole associazioni 27. Però la fase ascendente del movimento era ormai conclusa: lento e inarrestabile invece il declino, testimoniato dalla drastica riduzione dell'attività dei reduci alla sola guardia d'onore al Pantheon, già iniziata a partire dal l882, e alla sempre più sparuta presenza in occasione delle manifestazioni celebrative 28• Battuti sul terreno assistenziale sia dalla miopia delle autorità governative che dalla crescente espansione del movimento operaio, in grado fra l'altro di fornire prestazioni di migliore qualità, i reduci ebbero un effimero sussulto di attività nel settembre 1906 quando, in occasione dell'Esposizione internazionale di Milano, fu possibile tenere nel capoluogo lombardo il vn o Congresso di quanti si chiamavano ormai significativamente, ma in maniera un po' lugubre, i" superstiti " delle patrie battaglie. Atto politico ben preciso ma di eco limitata, in piena Triplice, fu la festosa accoglienza riservata ad un gruppo dì veterani francesi, pronti dal canto loro a ricambiare l'invito ai commilitoni italiani per l'inaugurazione del monumento parigino a Garibaldi: a detta dei cronisti il cimelio che suscitò maggiore interesse nella visita al Museo del Risorgimento era stata la " bandiera portante la scritta « Republique universelle "• la quale era alla testa di un riparto di volontari italiani alla battaglia di Digione , 29. I resoconti organizzativi non mancarono di sottolineare la presenza ufficiale di ben 145 « sodalizi ,, sui 160 allora esistenti in Italia, per un totale 27 V. COMITATO REGIONALE TOSCANO, Atti del V! Congresso dei veterani del 1848-49 tenutosi a Firenze nel maggio 1897, Firenze, Tip. G. Campolmi, 1897. passim. 28 I veterani che avevano prestato almeno tre servizi d'onore al Pantheon venivano insigniti di una medaglia d'argento: per quanti venivano da fuori Roma lo Stato estese la riduzione ferroviaria del 75% , già accordata in occasione di convegni e di cerimonie pubbliche [cfr. Esposizione di Milano 1906, Comizio regionale lombardo dei veterani delle guerre 1848-49 al 1870, Milano, Pirola, 1906, p. 30]. 29 Cfr. Atti del Vll Congresso dei superstiti delle patrie battaglie 1848-70 tenuto a Milano dal 18 a 21 settembre 1906 col! 'intervento della rappresentanza dei veterani francesi, Sesto San Giovanni, Stab. Tip. Doni & Trasi, 1906, p. 30. UN LUOGO D'INCONTRO FRA ESERCITO E PAESE 513 di 13.000 iscritti: ma fu nonostante tutto il segno irreversibile della definitiva agonia. 2. Società di reduci e società civile Già nel corso del paragrafo precedente nel toccare sinteticamente le vicende organizzative del movimento, è stato necessario accennare al rapporto fra questo e la società civile di un'Italia in profonda trasformazione come quella della fine dell'800. Le ultime proposte di soluzione alla crisi che ormai da lunghi anni travagliava tutto il variegato ventaglio di componenti furono il segno da un lato del disperato tentativo di rimandare o di allontanare lo spettro della disgregazione, dall'altro di un reale radicamento nella società civile da parte di quelle associazioni che per prime avevano rinunciato al ruolo di simboli viventi delle glorie patrie per diventare parte attiva della costruzione di un sistema sociale più equo, giusto e moderno, quale la classe dirigente liberale non aveva saputo costruire nonostante le promesse della vigilia. L'atteggiamento governativo e dell'opinione pubblica - un misto di disinteresse e di rifiuto per questi ingombranti e petulanti relitti del passato - espresso implicitamente verso quanti avevano combattuto per l'Indipendenza nazionale non fece che aumentare il distacco fra paese legale e paese reale, fra governo e governati. Atteggiamento certo colpevole e condannabile nel giudizio corrente pur tenendo conto dei 'peccati originali' di tutto il movimento: l'ambivalenza e l'ambiguità del patto sociale, l'interclassismo della composizione sociale ma non della direzione, l'inadeguatezza del localismo perdurante per tutta la parabola della sua esistenza ben al di là della spontaneità e dell'immediatezza del momento costitutivo, la manifesta incapacità di darsi forme organizzative flessibili ed obiettivi unitari e unificanti furono certo i limiti più sensibili di quella complessa esperienza storica. Ma pur coscienti di questi limiti, ci sembra necessario sottolineare come l'associazionismo dei reduci si confermi, anche ad un'indagine ancora superficiale, uno dei principali filoni del più vasto movimento associativo delle masse popolari italiane ed uno dei mancati veicoli per un loro più rapido processo di avvicinamento e di progressiva integrazione nello Stato unitario sul terreno della democrazia e della partecipazione: un'occasione mancata per reagire a quella mancanza quasi completa di vita sociale extrafamiliare, al di fuori di feste e ricorrenze, quindi da una società estremamente povera e poco articolata, la cui impronta conservatrice e tradizionale era così organica a tali insediamenti, da rendere di fatto impossibile ogni mutamento, se non nei termini di una drammatica disgregazione

514 GIANNI ISOLA come ha osservato Ragionieri 3 0. Non meno importante si rivela lo studio ravvicinato di questa esperienza per cogliere il processo di organizzazione e di rappresentazione degli interessi della piccola e media borghesia, priva di una propria autonomia politica e di un moderno partito, e costretta perciò a rinnovare le tradizionali forme di presenza organizzata nella società senza la forza di intaccare il tessuto connettivo preesistente: quale altra migliore occasione poteva offrirsi a quei ceti che erano usciti con la partecipazione alle battaglie risorgimentali da una subalternità storica, che ripetere a livello organizzativo le forme e le gerarchie della fase eroica della « rivoluzione borghese " mancata 31? Perciò i circoli dei reduci e dei veterani fornirono ai piccoli professionisti usciti dall'anonimato della vita di provincia e legati ai modelli della ancora solida struttura feudale della società italiana come alla perdurante forza della massoneria, la possibilità di ripetere attraverso i modelli gerarchici dell'esercito la funzione mediatrice fra popolo e classe dirigente con accentuate funzioni di controllo sul primo: qualcosa di simile, ma anche di profondamente diverso da quello che accadrà durante e dopo il primo conflitto mondiale. Non a caso in questa fase i dirigenti delle associazioni furono per lo più ufficiali superiori, aristocratici e notabili, mentre i frequenti contatti con i presidi locali in occasione della definizione dello stato di servizio dei soci, necessario per poter accedere ai modesti contributi previsti dallo Stato, costituivano la prosecuzione di questo rapporto privilegiato con il potere e con lo Stato, di cui l'esercito rappresentava la manifestazione tangibile e più evidente. Contatti resi più frequenti dalla partecipazione a fianco dei reparti in armi dei reduci decorati e inquadrati militarmente, quasi a testimoniare un'ideale continuità fra le lotte risorgimentali e l'attività dell'esercito in periodo di pace, simbolo essi stessi, con i loro mutilati ed i loro cronici, della continuità del sacrificio per gli ideali patriottici e nazionali. Contatti ancor più enfatizzati nel corso delle numerose occasioni conviviali, promosse, ad esempio, in onore dell'arrivo del nuovo comandante del presidio militare o della visita del deputato locale, in cui rappresentanti dei reduci e militari sedevano l'uno accanto all'altro, al tavolo delle autorità. Episodi evidenti di una fraternizzazione che andava ben al di là delle occasioni contingenti per fornire l'immagine di una continuità fra esercito e paese, fra militari e società civile di cui i reduci, ambiguamente sospesi fra gli uni e l'altra, costituivano il debole e critico anello di congiunzione. La festosa acco- 3° Cfr. E. RAGIONIERI, La storia politica e sociale, in Storia d'Italia, v. 4: Dall'Unità ad oggi, t. 3, Torino, Einaudi, p. 1717. 3! Sui problemi e le frustrazioni della piccola e media borghesia nell'Italia unitaria v. R. ROMANELLI, L 'Italia liberale (1861-1900), Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 115 e sgg. UN LUOGO D'INCONTRO FRA ESERCITO E PAESE 515 glienza ad essi riservata, la frequente concessione delle bande militari in occasione dello scoprimento di lapidi o dell'inaugurazione di monumenti a quanto era ormai consegnato al mito e imbalsamato dalla retorica patriottarda delle feste di beneficenza promosse per autofinanziare le magre casse dei sodalizi, l'appoggio morale e formale, più che sostanziale, offerto da comandi soprattutto in sede locale favorirono la superficiale impresssione che i reduci avessero raggiunto nella scala sociale un posto di tutto rispetto; solo in ritardo però si cercò di provvedere concretamente ai bisogni degli ormai vecchi superstiti con l'istituzione di alcune case di riposo, come quella milanese di Turate, dove i pochi sopravvissuti poterono godere delle briciole di un'assistenza occasionale. Della duplicità e della doppiezza di questo ruolo fanno fede sia pubblicazioni fortunate come l'Almanacco dei reduci, dedicato nel 1885 all'agiografia di Casa Savoia 3 2 , sia le descrizioni letterarie, ad esempio del « Cuore , di De Amicis, uno dei romanzieri che più spesso cercò di affrontare il tema del rapporto fra esercito e paese: come l'episodio del padre di Precotti, venditore di legna veterano del '66 che si entusiasma al passaggio di Umberto I per le strade di Torino sino a carezzare il volto del figlio con la mano ancora "calda , della stretta regale 33 o dell'anziano ufficiale con « all'occhiello del vestito il nastrino azzurro della campagna di Crimea ,,, che di fronte al saluto alla bandiera degli scolari si lascia sfuggire un significativo, quanto minaccioso e patetico: " chi rispetta la bandiera da piccolo la saprà difendere da grande " 34 . Nell'immaginario popolare il reduce. tuttavia, - come abbiamo già accennato -, non tardò ad identificarsi con quella dell'eroe illuso e vilipeso, oltraggiato e dimenticato 35 : perfino il teatro popolare e anarchico se ne appropriò in una delle realizzazioni più note come il dramma Senza patria di 32 V. Anno 1885. Almanacco del reduce delle patrié battaglie, Torino, Civelli, 1885,, che nella Prefazione diceva: « Il primo, il più imperioso di tutti i bisogni per uno Stato è quello dell'unione. L'Italia ebbe la somma ventura che la meravigliosa sua unificazione, si avverò sotto un Principe tanto prode quanto amato appartenente ad una dinastia popolare da secoli ''· Seguivano i ritratti mensili di Amedeo VI, VII, VIII, di Emanuele Filiberto, sino a Carlo Alberto, a cui era dedicato lo spanio maggiore, a Maria Adelaide, moglie di Vittorio Emanuele IL 33 Cfr. E. DE AMICIS, Cuore, Libro per ragazzi, Milano, Treves, 1910, p. 174. 34 lvi, p. 37. 35 Valga per tutti l'esemplare racconto di ANNIE VIVANTI, [Veterani] in Memorialisti dell '800, t. 3, a cura di C. Cappuccio, Milano-Napoli, Ricciardi, s. d. [ma 1972], pp. 646-53, che racconta di una visita della scrittrice ad un gruppo di reduci garibaldini, ex-commilitoni del padre, ora residenti a Londra e ancora privi di pensione nel 1918, e si conclude con l'enfatico "Oh Italia, non dimenticare! "·

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Ma dovevano passare quasi dieci <strong>anni</strong> prima che veterani e reduci tornassero<br />

a discutere assieme i problemi della categoria nel v o Congresso nazionale<br />

(Milano, 1895). La ripresa del dialogo e dell'attività venne confermata<br />

due <strong>anni</strong> dopo a Firenze, dove si tenne il VI° Congresso, che ripropose<br />

ai convenuti la necessità di ampliare le norme associative per rivitalizzare<br />

le strutture di tutto il movimento con l'iscrizione dei reduci della II e della<br />

III guerra d'Indipendenza. La soluzione prescelta al termine di un acceso dibattito<br />

fu compromissoria: se ne votò l'" aggregazione », riservando ai soci<br />

fondatori non solo la l a categoria per pensioni e assistenza, ma anche la presidenza<br />

delle singole associazioni 27.<br />

Però la fase ascendente del movimento era ormai conclusa: lento e inarrestabile<br />

invece il declino, testimoniato dalla drastica riduzione dell'attività<br />

dei reduci alla sola guardia d'onore al Pantheon, già iniziata a partire dal l882,<br />

e alla sempre più sparuta presenza in occasione delle manifestazioni celebrative<br />

28• Battuti sul terreno assistenziale sia dalla miopia delle autorità governative<br />

che dalla crescente espansione del movimento operaio, in grado<br />

fra l'altro di fornire prestazioni di migliore qualità, i reduci ebbero un effimero<br />

sussulto di attività nel settembre 1906 quando, in occasione dell'Esposizione<br />

internazionale di Milano, fu possibile tenere nel capoluogo lombardo<br />

il vn o Congresso di quanti si chiamavano ormai significativamente,<br />

ma in maniera un po' lugubre, i" superstiti " delle patrie batt<strong>agli</strong>e. Atto politico<br />

ben preciso ma di eco limitata, in piena Triplice, fu la festosa accoglienza<br />

riservata ad un gruppo dì veterani francesi, pronti dal canto loro a ricambiare<br />

l'invito ai commilitoni italiani per l'inaugurazione del monumento parigino<br />

a Garibaldi: a detta dei cronisti il cimelio che suscitò maggiore interesse<br />

nella visita al Museo del Risorgimento era stata la " bandiera portante<br />

la scritta « Republique universelle "• la quale era alla testa di un riparto di<br />

volontari italiani alla batt<strong>agli</strong>a di Digione , 29.<br />

I resoconti organizzativi non mancarono di sottolineare la presenza ufficiale<br />

di ben 145 « sodalizi ,, sui 160 allora esistenti in Italia, per un totale<br />

27 V. COMITATO REGIONALE TOSCANO, Atti del V! Congresso dei veterani del 1848-49<br />

tenutosi a Firenze nel maggio 1897, Firenze, Tip. G. Campolmi, 1897. passim.<br />

28 I veterani che avevano prestato almeno tre servizi d'onore al Pantheon venivano<br />

insigniti di una med<strong>agli</strong>a d'argento: per quanti venivano da fuori Roma lo Stato estese<br />

la riduzione ferroviaria del 75% , già accordata in occasione di convegni e di cerimonie<br />

pubbliche [cfr. Esposizione di Milano 1906, Comizio regionale lombardo dei veterani<br />

delle guerre 1848-49 al 1870, Milano, Pirola, 1906, p. 30].<br />

29 Cfr. Atti del Vll Congresso dei superstiti delle patrie batt<strong>agli</strong>e 1848-70 tenuto<br />

a Milano dal 18 a 21 settembre 1906 col! 'intervento della rappresentanza dei veterani<br />

francesi, Sesto San Giov<strong>anni</strong>, Stab. Tip. Doni & Trasi, 1906, p. 30.<br />

UN LUOGO D'INCONTRO FRA ESERCITO E PAESE 513<br />

di 13.000 iscritti: ma fu nonostante tutto il segno irreversibile della definitiva<br />

agonia.<br />

2. Società di reduci e società civile<br />

Già nel corso del paragrafo precedente nel toccare sinteticamente le vicende<br />

organizzative del movimento, è stato necessario accennare al rapporto<br />

fra questo e la società civile di un'Italia in profonda trasformazione come<br />

quella della fine dell'800. Le ultime proposte di soluzione alla crisi che ormai<br />

da lunghi <strong>anni</strong> trav<strong>agli</strong>ava tutto il variegato vent<strong>agli</strong>o di componenti furono<br />

il segno da un lato del disperato tentativo di rimandare o di allontanare<br />

lo spettro della disgregazione, dall'altro di un reale radicamento nella società<br />

civile da parte di quelle associazioni che per prime avevano rinunciato<br />

al ruolo di simboli viventi delle glorie patrie per diventare parte attiva della<br />

costruzione di un sistema sociale più equo, giusto e moderno, quale la classe<br />

dirigente liberale non aveva saputo costruire nonostante le promesse della<br />

vigilia. L'atteggiamento governativo e dell'opinione pubblica - un misto<br />

di disinteresse e di rifiuto per questi ingombranti e petulanti relitti del passato<br />

- espresso implicitamente verso quanti avevano combattuto per l'Indipendenza<br />

nazionale non fece che aumentare il distacco fra paese legale e<br />

paese reale, fra governo e governati. Atteggiamento certo colpevole e condannabile<br />

nel giudizio corrente pur tenendo conto dei 'peccati originali' di<br />

tutto il movimento: l'ambivalenza e l'ambiguità del patto sociale, l'interclassismo<br />

della composizione sociale ma non della direzione, l'inadeguatezza<br />

del localismo perdurante per tutta la parabola della sua esistenza ben al di<br />

là della spontaneità e dell'immediatezza del momento costitutivo, la manifesta<br />

incapacità di darsi forme organizzative flessibili ed obiettivi unitari e<br />

unificanti furono certo i limiti più sensibili di quella complessa esperienza<br />

storica.<br />

Ma pur coscienti di questi limiti, ci sembra necessario sottolineare come<br />

l'associazionismo dei reduci si confermi, anche ad un'indagine ancora<br />

superficiale, uno dei principali filoni del più vasto movimento associativo<br />

delle masse popolari italiane ed uno dei mancati veicoli per un loro più rapido<br />

processo di avvicinamento e di progressiva integrazione nello Stato unitario<br />

sul terreno della democrazia e della partecipazione: un'occasione mancata<br />

per reagire a quella<br />

mancanza quasi completa di vita sociale extrafamiliare, al di fuori di feste e<br />

ricorrenze, quindi da una società estremamente povera e poco articolata, la<br />

cui impronta conservatrice e tradizionale era così organica a tali insediamenti,<br />

da rendere di fatto impossibile ogni mutamento, se non nei termini di una drammatica<br />

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